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Sommario del 28/05/2010

Il Papa e la Santa Sede

  • Il futuro poggia sull'incontro dei popoli e sul rispetto di diritti e doveri: così il Papa alla plenaria della pastorale per i migranti
  • Il Papa al nuovo ambasciatore del Benin presso la Santa Sede: il Paese si sviluppa promuovendo la fraternità e combattendo la corruzione
  • Altre udienze e nomine
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Conferenza stampa del cardinale Bagnasco a chiusura dell'assemblea Cei
  • India: oltre 70 morti per una sciagura ferroviaria, forse un attentato maoista
  • Accordo di pace in Guinea grazie alla mediazione della Comunità di Sant'Egidio
  • Trent'anni fa l'assassinio del giornalista cattolico Walter Tobagi, un uomo col coraggio della verità
  • Stress da super-zelo: un libro dedicato al burnout dei sacerdoti
  • Chiesa e Società

  • Cina: gli aiuti del Papa per i terremotati di Yu Shu
  • Il patriarca Twal consacra mons. Shomali nuovo vescovo ausiliare di Gerusalemme
  • Rapporto sugli abusi nelle scuole gestite dai Gesuiti in Germania
  • Diminuisce del 5% il tasso di mortalità infantile tra i bambini dell’India
  • Siccità in Ciad: milioni di persone rischiano la morte per fame
  • La Mauritania centra un “Obiettivo del Millennio”: dimezzata la mortalità materna
  • Senegal: appello del cardinale Sarr per la pace nel Casamance
  • Sudafrica: Medici Senza Frontiere denuncia la drammatica condizione dei rifugiati
  • Haiti: dopo il terremoto riprende l’attività di Radio Soleil
  • Appello dei vescovi brasiliani per i diritti dei contadini
  • Iraq: nuova pastorale della Chiesa per fronteggiare l’esodo dei fedeli
  • Indonesia: parlamentari e vescovi uniti nella difesa della libertà religiosa e di pensiero
  • Sri Lanka: raccolta di cartoline per la democrazia in Myanmar
  • I sindacati di Hong Kong: suicidi in fabbrica, frutto dell’indifferenza del mondo
  • Rio de Janeiro: le raccomandazioni dei giovani al Forum dell’Alleanza di Civiltà
  • Spagna: domenica si celebra la giornata Pro Orantibus
  • Incontro dell'Ordine francescano secolare d'Italia sul senso della fraternità
  • Assemblea generale straordinaria della Confederazione internazionale vincenziana
  • 24 Ore nel Mondo

  • Operazione “top kill” contro la marea nera: oggi Obama sarà in Louisiana
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il futuro poggia sull'incontro dei popoli e sul rispetto di diritti e doveri: così il Papa alla plenaria della pastorale per i migranti

    ◊   L’avvenire delle nostre società poggia sull’incontro dei popoli: per questo gli Stati sono chiamati a condividere le responsabilità del crescente fenomeno immigratorio, riconoscendo la dignità di ogni persona, in un contesto in cui siano rispettati i diritti ma anche i doveri degli stranieri: è quanto ha detto il Papa alla plenaria del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti che si sta svolgendo in Vaticano sul tema della corresponsabilità degli Stati e degli organismi internazionali. Il servizio di Sergio Centofanti.

    Il Papa ha espresso il proprio apprezzamento per quelle convenzioni internazionali che regolano la circolazione delle persone mirando “a garantire la protezione dei diritti umani fondamentali e a combattere la discriminazione, la xenofobia e l’intolleranza”.

     
    “E’ apprezzabile lo sforzo di costruire un sistema di norme condivise che contemplino i diritti e i doveri dello straniero, come pure quelli delle comunità di accoglienza, tenendo conto, in primo luogo, della dignità di ogni persona umana, creata da Dio a sua immagine e somiglianza (cfr Gen 1,26). Ovviamente, l'acquisizione di diritti va di pari passo con l'accoglienza di doveri”.

     
    “La responsabilità degli Stati e degli Organismi Internazionali – ha affermato il Pontefice - si esplica specialmente nell'impegno di incidere su questioni che, fatte salve le competenze del legislatore nazionale, coinvolgono l'intera famiglia dei popoli, ed esigono una concertazione tra i Governi e gli Organismi più direttamente interessati” come “l'ingresso o l'allontanamento forzato dello straniero, la fruibilità dei beni della natura, della cultura e dell'arte, della scienza e della tecnica, che a tutti deve essere accessibile”. L’obiettivo è quello di promuovere la pace in una “fase critica che le istituzioni internazionali stanno attraversando, impegnate a risolvere le questioni cruciali della sicurezza e dello sviluppo, a beneficio di tutti”:

     
    “È vero che, purtroppo, assistiamo al riemergere di istanze particolaristiche in alcune aree del mondo, ma è pure vero che ci sono latitanze ad assumere responsabilità che dovrebbero essere condivise”.

     
    “Inoltre – ha aggiunto - non si è ancora spento l'anelito di molti ad abbattere i muri che dividono e a stabilire ampie intese, anche mediante disposizioni legislative e prassi amministrative che favoriscano l’integrazione, il mutuo scambio e l’arricchimento reciproco”:

     
    “In effetti, prospettive di convivenza tra i popoli possono essere offerte tramite linee oculate e concertate per l’accoglienza e l’integrazione, consentendo occasioni di ingresso nella legalità, favorendo il giusto diritto al ricongiungimento familiare, all'asilo e al rifugio, compensando le necessarie misure restrittive e contrastando il deprecabile traffico di persone”.

     
    Si tratta di conciliare “il riconoscimento dei diritti della persona e il principio di sovranità nazionale” con il riferimento “alle esigenze della sicurezza, dell'ordine pubblico e del controllo delle frontiere”. Il Papa rinnova quindi il suo “appello agli Stati affinché promuovano politiche in favore della centralità e integrità della famiglia” così come “l’apertura alla vita”:
     
    “L’avvenire delle nostre società poggia sull'incontro tra i popoli, sul dialogo tra le culture nel rispetto delle identità e delle legittime differenze. In questo scenario la famiglia mantiene il suo ruolo fondamentale. Perciò la Chiesa, con l’annuncio del Vangelo di Cristo in ogni settore dell’esistenza, porta avanti ‘l'impegno… a favore non solo dell'individuo migrante, ma anche della sua famiglia, luogo e risorsa della cultura della vita e fattore di integrazione di valori’”.

     
    Benedetto XVI invita infine a lasciarsi ispirare dal Beato Giovanni Battista Scalabrini, definito “Padre dei migranti” da Giovanni Paolo II, e di cui il prossimo 1° giugno si ricorderanno i 105 anni della nascita al cielo.

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    Il Papa al nuovo ambasciatore del Benin presso la Santa Sede: il Paese si sviluppa promuovendo la fraternità e combattendo la corruzione

    ◊   Promuovere la fraternità vuol dire sviluppare un elemento di stabilità e sviluppo sociale, così come combattere la corruzione in ambito politico significa radicare nelle coscienze il principio dell’equità. Su entrambi i fronti è attivo lo Stato del Benin, ha riconosciuto questa mattina Benedetto XVI, che ha ricevuto il nuovo ambasciatore del Paese africano, Comlanvi Théodore Loko, per la presentazione delle Lettere credenziali. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    La moneta del Benin ricorda ogni giorno a ciascun abitante i tre valori sui quali il Paese è stato costruito e vuole scrivere la sua storia: “Fraternità, Giustizia, Lavoro”. Benedetto XVI ha trovato in questo “vero compendio” uno spunto per la sua riflessione sullo stato attuale che vive questa piccola nazione dell’Africa occidentale, stretta tra il Togo e la Nigeria e affacciata sull’Atlantico. Il Papa ha anzitutto messo in risalto il valore della sacralità della vita, “verso la quale – ha chiesto – è necessario trarre le conseguenze di ciò che la riguarda, in particolare in ambito legislativo”. Quindi ha aggiunto:

     
    “Espressione concreta della pari dignità di tutti i cittadini, la fraternità è un principio fondamentale e una virtù basilare per costruire una società autenticamente illuminata, perché essa consente di valorizzare tutte le potenzialità umane e spirituali. La fraternità deve anche portare alla ricerca della giustizia la cui assenza è sempre motivo di tensioni sociali e causa di molte conseguenze negative”.
     
    “Chiedo a Dio – ha proseguito il Pontefice – di benedire gli sforzi di tutti coloro che lavorano per costruire una società fondata sulla giustizia e la pace, nel riconoscimento dei diritti di tutti i membri della nazione. Il raggiungimento di questo ideale richiede unità fraterna, l'amore per la giustizia e la valorizzazione del lavoro”. Al contrario, ha poi proseguito, è “la ricerca di interessi personali a scapito del bene comune” il male da combattere, poiché “corrode le istituzioni pubbliche, impedendo il pieno sviluppo degli esseri umani”. Di qui, l’appello a politici, uomini del mondo economico e sociale: voi, ha affermato il Papa, siete “come la ‘coscienza vigile’ che assicura la trasparenza nelle sue strutture e l’etica che anima la vita di ogni società”:

     
    “Costoro devono essere giusti. La giustizia accompagna sempre la fraternità. Si tratta di un fattore di efficienza ed equilibrio sociale, che permette agli abitanti del Benin di rendersi partecipi attraverso le loro risorse umane e naturali, di vivere dignitosamente e garantire il futuro dei propri figli”.
     
    Dalla giustizia al lavoro, ritenuto dal Papa fondamentale per contribuire alla crescita prospera del Benin ma anche per insegnare un altro valore, quello della solidarietà, come dimostrato dalla nazione africana in occasione del terremoto di Haiti. Come esempio, Benedetto XVI ha indicato la figura del cardinale Bernardin Gantin, scomparso due anni fa. “Questo straordinario uomo della Chiesa non era solo un nobile figlio della sua nazione – ha ricordato il Papa – ma anche un vero costruttore di ponti tra culture e continenti. Sono certo che la sua figura sarà un esempio per molti in Benin, in particolare per i giovani”. Mentre il suo ministero ecclesiale, ha concluso, “stimolerà gli uomini e le donne della Chiesa a un servizio sempre più generoso e responsabile" per il bene del Paese, che l'anno prossimo festeggia il 150.mo anniversario della sua evangelizzazione.

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    Altre udienze e nomine

    ◊   Benedetto XVI ha ricevuto questa mattina anche il cardinale Agostino Vallini, vicario generale di Sua Santità per la diocesi di Roma; il cardinale Cláudio Hummes, prefetto della Congregazione per il Clero; il presidente della Regione Lazio, Renata Polverini.

    Il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Oudtshoorn (Sud Africa), presentata da mons. Edward Robert Adams, per raggiunti limiti di età. Gli succede il rev. Francisco Fortunato De Gouveia, del clero di Cape Town, Parroco di St. John the Evangelist a Fish Hoek. Il rev. Francisco Fortunato De Gouveia è nato l’11 giugno 1951 a Cape Town da genitori portoghesi. È cittadino sudafricano. Ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale l’11 gennaio 1976 nella St. Agnes Church, a Woodstock, arcidiocesi di Cape Town.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Nel rispetto di diritti e doveri di emigranti e comunità d'accoglienza: Benedetto XVI alla plenaria del dicastero per i migranti invita alla corresponsabilità internazionale.

    Fratellanza e giustizia per l'equilibrio sociale: nell'informazione internazionale, il discorso del Papa al nuovo ambasciatore del Benin presso la Santa Sede.

    L'Eurocina che rende euforica Wall Street: il Dragone rassicura sugli investimenti nel vecchio continente.

    La guerra vista con gli occhi della gente: in cultura, l'intervento dell'ambasciatore d'Italia presso la Santa Sede, Antonio Zanardi Landi, alla presentazione - oggi pomeriggio alla Camera dei Deputati - dell'opera di Bruno Fabio Pighin "Ai margini della guerra (1938-1947), con il diario inedito del cardinale Celso Costantini".

    Dottor Jack e mister Morte: Cristian Martini recensisce il film "You don't know", un'apologia dell'eutanasia e del suicidio.

    Aperto (quasi a tutto): Sandro Barbgallo sull'inaugurazione del museo Maxxi, progettato da Zaha Hadid per Roma.

    Un articolo di Alessandro Omizzolo dal titolo "La brillante cattura di padre Lais": cent'anni fa la Specola Vaticana fotografò la cometa di Halley.

    Impegno senza rivoluzioni: Elisabetta Galeffi ricorda, a trent'anni dall'assassinio, Walter Tobagi e il suo modo di fare giornalismo.

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    Oggi in Primo Piano



    Conferenza stampa del cardinale Bagnasco a chiusura dell'assemblea Cei

    ◊   Si è chiusa oggi in Vaticano la 61.ma Assemblea generale dei vescovi italiani iniziata lunedì scorso. Diversi i temi della riunione fra cui l’approvazione degli “Orientamenti pastorali per il decennio 2010-2020”, sottolinea il comunicato finale. Il testo definitivo – a cui sarà aggiunto il discorso del Papa rivolto ai vescovi – sarà presentato nel prossimo settembre al Consiglio episcopale permanente, che ne autorizzerà la pubblicazione. A concludere l’evento, la conferenza stampa del presidente della Conferenza episcopale italiana, il cardinale Angelo Bagnasco. Ce ne parla Debora Donnini:

    Giorni impegnativi e sereni. Così il cardinale Bagnasco parla di questa assemblea della Cei. Al centro delle domande dei giornalisti, la questione degli abusi sessuali del clero sui minori. Il cardinale Bagnasco spiega l’importanza delle linee-guida fatte pervenire dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, che sono una precisazione e un rilancio di quanto già messo a punto anni fa:

     
    “Per questo motivo, i vescovi italiani fino ad oggi non hanno ritenuto necessario né opportuno prendere altre particolari iniziative, tantomeno altri documenti, perché trovano – e troviamo, come ovviamente è logico – in queste linee-guida non solo la cosa più autorevole, ma anche la cosa più concreta che veramente ci possa aiutare e orientare – teoricamente e praticamente – di fronte a casi di questo tipo”.
     
    Quindi sull’autoriforma il porporato ha detto che è legata all’Anno Sacerdotale; deve essere non sociologica ma che parta dalla conversione, e sia radicale. I suoi elementi sono appunto penitenza, purificazione e conversione:

     
    “L’autoriforma è, nella sua sostanza e nella sua radice, non una qualche organizzazione strutturale, ma è la santità innanzitutto dei ministri di Dio!”.
     
    Ogni vescovo, di fronte al caso concreto, deve decidere i diversi gesti, aggiunge il cardinale Bagnaso. La prima preoccupazione per i pastori è comunque il bene delle singole vittime. Al porporato sono state quindi rivolte domande sul federalismo fiscale. Per il cardinale Bagnasco questo deve salvaguardare due beni fondamentali, cioè l’unità profonda del Paese e il valore della cresciuta solidale di tutta l’Italia per raggiungere il suo obiettivo. Sulla manovra e più in generale sulla crisi economica, il cardinale Bagnasco ribadisce le preoccupazioni: la famiglia, crollo demografico, e il sostegno a piccole e medie imprese:

     
    “Proprio in un momento, a mio parere, in cui la situazione economica è in maggiore difficoltà in un Paese, in un qualunque Paese – a mio modo di vedere – mi pare che bisogna, che sia necessario proprio in quel momento intervenire di più sulla famiglia. E lo stesso – ecco la seconda preoccupazione che ho espresso nella prolusione – riguarda il sostegno alle imprese piccole e medie”.
     
    Infine, il porporato ha messo in luce l’importanza di un rilancio dell’evangelizzazione.

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    India: oltre 70 morti per una sciagura ferroviaria, forse un attentato maoista

    ◊   Dietro l'incidente ferroviario che la notte scorsa ha causato 71 morti e 200 feriti nello Stato indiano del West Bengala c'è quasi certamente la mano della guerriglia maoista, molto forte nella zona. Due volantini del "Comitato popolare contro le atrocità della polizia" (Pcpa), movimento di ispirazione maoista, sono stati trovati nelle vicinanze del disastro ferroviario. Attivi da tempo in una decina di Stati indiani dell'est e del centro i maoisti, conosciuti anche come "naxaliti", utilizzano spesso i sabotaggi dei binari ferroviari come metodo di lotta. Sull’aggravamento delle azioni dei ribelli "naxaliti" all’interno dell’India, Stefano Leszczynski ha intervistato Michelguglielmo Torri, docente di Storia dell’Asia all’Università di Torino e membro dell’Osservatorio Asia Maior.

    R. – La guerriglia maoista in India, o naxalita che dir si voglia, sta diventando sempre più preoccupante. L’attentato al treno non è in realtà un salto qualitativo, nel senso che fa parte di una serie di attacchi di tipo militare contro gli apparati di sicurezza e contro le forze private agli ordini di proprietari terrieri o, in ogni caso, di personaggi eminenti del mondo rurale indiano.

     
    D. – Quanto ha influenzato un certo sostegno a questo movimento il boom economico che l’India ha vissuto negli ultimi anni?

     
    R. – Il boom economico è stato estremamente squilibrato ed è stato un boom di cui hanno beneficiato soprattutto gli strati alti delle classi medie urbane e degli strati molto limitati di contadini ricchi. La verità dei fatti è che la situazione nelle campagne indiane, a partire dall’avvio della nuova politica di sviluppo neoliberista all’inizio degli anni ’90, è peggiorata. L’agricoltura indiana è sostanzialmente in uno stato di crisi, e accanto a questo c’è un’altra questione: in India ci sono ampie zone dove abitano ancora popolazioni tribali che vivono sostanzialmente con un’economia basata sull’utilizzo di frutti spontanei delle foreste, e negli ultimi 10-15 anni si è scoperto che queste zone dove vivono i tribali sono zone ricchissime dal punto di vista minerario. Sta succedendo quindi che le grandi multinazionali indiane e straniere stanno spossessando questi tribali. E il movimento naxalita, quindi, ha trovato un terreno molto fertile in queste zone.

     
    D. – Questo movimento gode di un qualche appoggio all’esterno dell’India? C’è qualche elemento che potrebbe renderlo più significativo a livello geopolitico nella regione?

     
    R. – E’ una lotta armata che non ha referenti fuori dall’India: non l’ha in Nepal e non l’ha ovviamente in Cina.

     
    D. – A livello internazionale questo movimento può provocare grossi problemi all’India, soprattutto da un punto di vista economico?

     
    R. – Forse in futuro. A questo livello, effettivamente, l’azione militare dei naxaliti può diventare un grosso problema, perché questo significa che una serie di grandi multinazionali indiane, ma anche straniere, dovranno riconsiderare la situazione, e forse riconsidereranno la situazione.

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    Accordo di pace in Guinea grazie alla mediazione della Comunità di Sant'Egidio

    ◊   I rappresentanti del Comitato Nazionale di Transizione e delle principali formazioni politiche della Guinea hanno firmato oggi a Roma, nella sede della Comunità di Sant’Egidio, un accordo per costruire un futuro democratico per la Guinea e porre fine a un periodo di incertezza e violenza. A siglare il documento, El Hadj Mamadou Saliou Sylla, secondo vicepresidente del Consiglio nazionale di transizione, e altri 20 rappresentanti dei partiti politici e della società civile del Paese africano. L’accordo fornisce le garanzie per il corretto svolgimento delle elezioni presidenziali fissate al 27 giugno prossimo. A seguire l’avvenimento c’era Salvatore Sabatino:

    (Voce di Mariama Aribot)

     
    E’ Mariama Aribot, direttrice degli affari politici e sociali del Comitato Nazionale di Transizione, a leggere l’accordo raggiunto dopo un’intensa settimana di lavori.

     
    (applausi)

     
    L’applauso suggella l’accordo siglato tra 22 rappresentanti della Guinea, grazie alla mediazione della Comunità di Sant’Egidio. E’ la prima base per il futuro pacifico del Paese e per il ritorno alla vita democratica, dopo la situazione venutasi a creare a seguito del colpo di Stato del dicembre 2008, dopo un anno di regime militare e un lungo periodo di incertezza politica, con scontri e vittime. Solo un brutto ricordo, arrivati a questo punto, perché il futuro della Guinea riparte da oggi. Riparte da Roma. Il prof. Mario Giro, della Comunità di Sant’Egidio, ci spiega i termini dell’accordo:

     
    R. – Anzitutto, direi delle regole di buona condotta, un po’ costringenti per non andare verso la deriva etnica, ma per fare in modo che la transizione si svolga nel miglior modo possibile. Noi abbiamo immaginato, sia nell’Accordo politico globale che nella Dichiarazione di Roma - che sono due documenti e il primo riguarda il periodo fino alle elezioni e il secondo il periodo post-elezioni e quindi la riconciliazione nazionale – che ci siano delle regole comuni condivise. La società guineana, la società politica guineana è molto complessa, si sono formati molti partiti e ci sono – come dire – le conseguenze della storia del recente passato, e quindi bisogna ora fare in modo che si creino delle regole condivise.

     
    D. – Una partecipazione, possiamo dire, compatta e totale. Ci sono praticamente tutti i partiti e la società civile rappresentata in toto. Questo vuol dire che nessuno sarà escluso da questo processo?

     
    R. – Noi faremo in modo che nessuno sia escluso. Naturalmente ci sono sempre rischi di ogni tipo quando si parla di un Paese che dal '58 ad oggi è stato sempre in situazione – direi - non democratica, con governi autoritari o simili, e quindi il passaggio alla democrazia non esclude qualche scossa. Noi ci abbiamo tenuto molto ad avere tutti qui: ci hanno anche detto che prima di venire non si parlavano. Il fatto che siamo riusciti a creare un dialogo fra di loro rappresenta certamente una nostra fierezza. Naturalmente bisognerà continuare.

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    Trent'anni fa l'assassinio del giornalista cattolico Walter Tobagi, un uomo col coraggio della verità

    ◊   Un uomo con "il coraggio della verità" del quale non bisogna "perdere la memoria", al pari di tutti coloro "che sono stati esemplari nel loro impegno sociale e civile". Sono alcuni dei pensieri con i quali il cardinale Carlo Maria Martini ricorda oggi, in un articolo, la figura di Walter Tobagi, assassinato 30 anni fa a Milano per mano dei terroristi rossi. Tobagi fu un cattolico "animato dalla responsabilità di lavorare per una società meno lacerata dalla violenza", afferma il giornalista Giuseppe Baiocchi, che a Tobagi fu legato da una sincera amicizia, dalla comune partecipazione alle lezioni di Giorgio Rumi alla Statale di Milano e dagli anni trascorsi insieme nella redazione del Corriere della Sera. Paolo Ondarza lo ha intervistato:

    R. - Walter Tobagi era uno studioso, uno storico, un giornalista impegnato nel sindacato, nella società, ma soprattutto era anche un credente, perché era questo il fondamento, la roccia sulla quale poi costruì il suo impegno civile e professionale in anni terribili, difficili, in cui anche la fede sembrava espulsa dal discorso pubblico.

     
    D. – Un uomo che comprese la responsabilità sociale associata ai comportamenti individuali...

     
    R. – C’era sempre in lui questa straordinaria capacità di andare al fondo delle cose e di non essere mai soddisfatto dell’apparenza iniziale, ma con il bisogno di scavare. Scavare vuol dire poi raccontare la realtà tutta così com’è, anche quando magari non è come ce la si aspetta.

     
    D. – Ed è una lezione appresa oggi?

     
    R. – Non lo so. Certo è che il giornalismo purtroppo sembra tornato ad essere quello militante. Da una parte e dall’altra sembra che bisogna per forza mettersi l’elmetto e andare in guerra, mentre invece per gli spiriti liberi c’è un disagio profondissimo.

     
    D. – Proprio quell’andare al fondo nelle cose, cui faceva riferimento, il desiderio di osservare e conoscere non conobbe ostacoli e fu scomodo e impopolare soprattutto per chi poi decise di ucciderlo. Tobagi sapeva di andare incontro alla morte?

     
    R. – Da tempo sapeva di essere esposto, però coltivava fino in fondo due elementi cristiani: una speranza testarda di poter cambiare in meglio la società e un abbandono fiducioso al mistero della Provvidenza. Anche a me e agli amici più cari diceva: “Io non posso sottrarmi alle responsabilità alle quali il mio lavoro, il mio impegno civile, professionale e sindacale mi hanno portato”.

     
    D. – Impopolare anche perché cattolico. Un cattolico che non esibì mai la fede, ma neppure la nascose, che sempre seppe di essere un cristiano chiamato a fare il giornalista. Su 300 giornalisti del Corriere eravate in sette credenti dichiarati ...

     
    R. – Adesso mi auguro che ce ne sia qualcuno di più. Era un semplice fedele, che era disponibile anche alla vita della parrocchia, coltivava molto la lettura della Parola di Dio. La fede gli dava, io credo, la tranquillità interiore, la libertà di andare avanti, di fare delle scelte certamente scomode, però innovative. Era un uomo rivestito di un mite coraggio. Fu sempre colpito dall'invito di Gesù: Gesù non fa programmi, non lancia messaggi, risponde una cosa sola a chi gli chiede: “Che cosa fai? Che cosa hai in mente?”. Lui dice: “Venite e vedete”. E andare a vedere, magari anche con le astuzie la professionalità del cronista, fa parte proprio del mestiere.

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    Stress da super-zelo: un libro dedicato al burnout dei sacerdoti

    ◊   “Agio e disagio nel servizio pastorale. Riconoscere e curare il 'burnout' nella dedizione agli altri”. Questo il titolo del libro scritto dallo studioso don Giuseppe Crea, dedicato allo stress da super-lavoro che affligge anche i sacerdoti. Alla presentazione del volume, in programma oggi pomeriggio alle 18.00 a Roma, presso l’Istituto delle Suore Guanelliane in Piazza San Francesco, interverrà tra gli altri anche il cardinale Oscar Andrés Rodríguez Maradiaga, arcivescovo di Tegucigalpa. Ma in cosa consiste questo disturbo? Eugenio Bonanata lo ha chiesto all’autore:

    R. – Quando ci si dedica agli altri senza tener conto di se stessi, del proprio sovraccarico e della propria fatica il rischio è quello di consumarsi: consumarsi dentro, consumarsi a livello di energie, ma soprattutto consumarsi a livello di entusiasmo. E’ come se ad un certo punto venisse a mancare proprio lo zelo che caratterizza di per sé il lavoro pastorale e, quindi, subentra un po’ un senso di apatia, di indifferenza, di rigidità emotiva.

     
    D. – Ricordiamo che spesso si va dal sacerdote a raccontare un po’ tutte le vicissitudini della vita quotidiana: lo fanno le mamme, le mogli, i giovani, gli anziani. Il sacerdote si trova quindi sovrastato da una mole infinita di sollecitazioni…

     
    R. – Certo. La gente si rivolge al sacerdote e lui sa di essere un testimone – se vogliamo – speciale, uomo di Dio e uomo che media la Parola di Dio a chi si rivolge a lui. Questo potrebbe, però, essere anche la trappola - la patologia del burnout - perché se insieme con il dare agli altri non viene equilibrato anche il nutrimento per se stessi, il rischio è di bruciarsi e invece di essere capace di paternità spirituale si rischia di “arraffare” umori e quindi prendere in maniera distorta dall’esterno per i propri bisogni egoistici.

     
    D. – Come arginare il fenomeno?

     
    R. – Una prima cosa è quella di accorgersi dei diversi campanelli d'allarme che cominciano a subentrare nella propria vita: poco tempo per la preghiera, poco tempo per il proprio tempo libero, poco tempo per la lettura.

     
    D. – Fermarsi un po’ potrebbe aiutare?

     
    R. – Certo. Fermarsi un poco e in maniera continuativa e cioè un poco ogni giorno, ogni settimana. Uno degli elementi che facilita il recupero delle proprie energie è l’acquisizione di un metodo di vita e quindi riuscire a creare un spazio di rilassamento o sapersi gustare le piccole cose di ogni giorno, saper gustare sia l’attività che viene svolta all’esterno per la gente, ma anche il silenzio dentro se stessi e quindi la preghiera, la propria stanza. A volte i sacerdoti hanno paura di restare nella propria stanza, perché è come se si fosse un po’ strattonati all’esterno.

     
    D. – Don Giuseppe, la comunità laica può aiutare il sacerdote?

     
    R. – E’, secondo me, fondamentale. Oggi se ne parla sempre di più: se i sacerdoti non riescono a trovare delle nuove forme di collaborazione all’interno dell’attività pastorale, rischiano di girare a vuoto, rischiano anzi di consumarsi sempre di più e non soltanto per una questione strutturale, perché mancano vocazioni, perché le parrocchie sono tante, perché le esigenze della gente sono tante, ma questo anche per una questione di arricchimento reciproco. Un sacerdote si arricchisce nella misura in cui riesce a cogliere una sana collaborazione con la gente con cui condivide lo stesso Vangelo. I laici hanno tanto da poter condividere di ricchezze evangeliche con loro.

     
    D. – Quindi, il consiglio agli ascoltatori è quello di stare vicino il più possibile ai sacerdoti?

     
    R. – Certamente, perché poi questa vicinanza permette di sentire veramente una solidarietà comune per la stessa causa, perché sia il sacerdote che i laici hanno lo stesso obiettivo quello cioè di rendere testimonianza al Vangelo di Gesù Cristo. Per cui se la cura pastorale, la carità pastorale, che è poi un po’ la carta di identità del sacerdote, non diventano patrimonio comune rischia di ritornare alla patologia del burnout, cioè del bruciarsi nello zelo.

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    Chiesa e Società



    Cina: gli aiuti del Papa per i terremotati di Yu Shu

    ◊   Gli aiuti di Benedetto XVI, giunti attraverso il Pontificio Consiglio Cor Unum, sono nelle mani dei terremotati della Regione autonoma tibetana di Yu Shu, della provincia di Qing Hai, colpiti dal violento terremoto del 14 aprile scorso. Secondo quanto riferiscono all’agenzia Fides i responsabili di Jinde Charities, “la donazione di 25.000 dollari del Papa, che ha lanciato subito l’appello alla solidarietà per i terremotati di Yu Shu poche ore dopo la tragedia, è stata destinata per coperte, tende, latte in polvere per i bambini, verdure ed alimenti vari, per soddisfare le prime necessità urgenti, esattamente come il Santo Padre ha desiderato”. Jinde Charities è l’ente caritativo cattolico cinese, attivo sul posto fin dal primo momento della tragedia, che opera in collaborazione con Caritas international, la Caritas tedesca e quella australiana, ed anche con i gruppi caritativi cattolici continentali, come il Catholic Social Service Center della diocesi di Xi An. Grazie agli aiuti della comunità cattolica internazionale ed alla donazione del Santo Padre, i cattolici hanno potuto offrire una rilevante quantità di aiuti ai terremotati dalla prima emergenza fino ad oggi. Jinde Charities informa che hanno distribuito 60 set per l’igiene personale; 800 divise per la scuola; decine di scarpe per i bambini della scuola elementare di Yu Shu (dove sono morti 5 tra bambini ed insegnanti, 9 aule sono state distrutte, 53 studenti sono rimasti feriti); 10 tonnellate di verdure per 2.000 famiglie; 300 tende; 590 letti pieghevoli; 465 materassi; 325 set per la notte; 31 bombole di gas; 100 chili di farina; 2.000 chili di riso; 150 chili di spaghetti; 400 litri di olio da cucina; 800 set a studenti ed insegnanti per l’igiene personale; set per l’igiene personale di 2.300 donne (soprattutto monache buddiste); generatori di elettricità e 1.000 chilometri di fili elettrici. Tutti questi aiuti sono stati consegnati ai bisognosi grazie all’intenso lavoro dei volontari cattolici. Le suore e i sacerdoti continuano ancora oggi, a più di un mese dal terremoto, la loro missione di servizio e di solidarietà tra i terremotati seguendo l’indicazione del Papa. Tre religiose quotidianamente vanno ad offrire sostegno psicologico ai 31 bambini tibetani rimasti orfani, e tanti altri servizi resi dalla comunità cattolica brillano come testimonianza di fede, di carità e di speranza per i terremotati. (R.P.)

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    Il patriarca Twal consacra mons. Shomali nuovo vescovo ausiliare di Gerusalemme

    ◊   Una consacrazione che è, al tempo stesso, “incoraggiamento e consolazione in un periodo di violenti attacchi volti a screditare il celibato sacerdotale” e ricordo che “l’episcopato non è una classe sociale superiore, alla quale sarebbero connessi certi privilegi, ma un ministero, un servizio, ed una pesante responsabilità dove l’incomprensione, il rifiuto e la persecuzione, sotto diverse forme, abbondano”. Con queste parole - riporta l'agenzia Sir - il patriarca latino di Gerusalemme, Fouad Twal, ha salutato mons. William Shomali, ordinato vescovo ausiliare di Gerusalemme ieri sera a Betlemme. “La consacrazione episcopale di mons. Shomali che coincide con il giubileo dei 150 anni di fondazione della parrocchia di Beit Sahour, suo paese natale ci invita – ha detto il patriarca - a pregare per i sacerdoti del mondo intero e a chiedere al Signore nuove vocazioni sacerdotali e religiose. Ci offre anche l’occasione di esprimere la nostra fiducia e stima verso tutti i nostri sacerdoti che portano il fardello della responsabilità e della missione apostolica”. Ricordando come mons. Shomali sia già il secondo vescovo della famiglia, dopo mons. Fernando Shomali, attuale ausiliare di Santiago, figlio di un ramo della stessa famiglia emigrata da alcuni decenni in Cile, mons. Twal ha ribadito che “il vescovo ha la responsabilità di annunciare il Vangelo, di vegliare sul gregge affidatogli e dare a tutti il buon esempio”. Ed ha aggiunto rivolgendosi direttamente al neo vescovo: “nel nostro Patriarcato si trova la ‘porta stretta’ di cui parla il Vangelo, la Via Dolorosa, come anche i muri di separazione di ogni tipo. Lei è al servizio di questa cara patria dove la gran parte dei cittadini cristiani, purtroppo, è già partita, abbandonando a malincuore i luoghi più santi della nostra redenzione. I suoi concittadini, allo stesso modo di tutti gli uomini di buona volontà, reclamano incessantemente dalla comunità internazionale la giustizia e la pace per questa Terra Santa”. Per questo, ha concluso il patriarca, “tra qualche giorno ci recheremo a Cipro, che fa parte della nostra diocesi patriarcale, per incontrare il Santo Padre, che ci consegnerà l’Instrumentum laboris in vista del Sinodo per il Medio Oriente. A Sua Santità noi presenteremo le preoccupazioni di tutte le Chiese, le nostre sofferenze e le nostre preoccupazioni, ma anche le nostre gioie e le nostre speranze”. (R.P.)

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    Rapporto sugli abusi nelle scuole gestite dai Gesuiti in Germania

    ◊   Sono stati almeno 205 i minori vittime di maltrattamenti o abusi sessuali nelle scuole gestite dai Gesuiti in Germania. E’ quanto emerge dal rapporto conclusivo diffuso ieri dall'avvocato Ursula Raue, incaricata dalla stessa Compagnia di Gesù di condurre sulla vicenda un’inchiesta indipendente con l’obiettivo di raggiungere la verità dei fatti attraverso la strada della massima trasparenza. Nel rapporto si parla di altri 50 casi di abusi, che non riguardano i Gesuiti, ma altre istituzioni. Per quanto riguarda l'Ordine dei Gesuiti, sono 12 i padri accusati di maltrattamenti o abusi, sei dei quali sono già deceduti, mentre accuse analoghe sono state rivolte ad altre 30 persone circa, in gran parte educatori ed insegnanti nelle stesse istituzioni ecclesiastiche. I casi elencati nel rapporto sono avvenuti negli anni '70 ed '80. La signora Raue ha parlato anche di coperture. Il provinciale uscente dei Gesuiti tedeschi, padre Stefan Dartmann, ha chiesto perdono alle vittime, esprimendo la propria vergogna per il risultato dell'inchiesta. (S.C.)

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    Diminuisce del 5% il tasso di mortalità infantile tra i bambini dell’India

    ◊   L’India registra una diminuzione annuale tra il 4 e il 5% del tasso di mortalità infantile sotto i cinque anni. È quanto emerge da una ricerca condotta dall’Institute for Health Metrics and Evaluation dell’università di Washington, che ha raccolto informazioni in 187 diversi Paesi in un arco di tempo che va dal 1970 al 2009. A livello mondiale, - riporta l'agenzia AsiaNews - nel 1990 le morti sotto i cinque anni toccavano quota 12 milioni. Per il 2010 gli scienziati prevedono 7,7 milioni di decessi, così distribuiti: 3,1 milioni di neonati; 2,3 milioni di morti post-neonatali; 2,3 milioni di bambini fra uno e quattro anni. Negli ultimi due decenni il crollo nei decessi si attesta intorno al 35%, con una diminuzione annua attorno al 2%. I ricercatori sottolineano che il dato è inferiore al 4,4% annuo necessario per centrare il traguardo fissato dalle Nazioni Unite: abbattere dei due-terzi il tasso di mortalità infantile entro il 2015. Al momento sono 31 le nazioni in via di sviluppo in grado di raggiungere l'Obiettivo di sviluppo del millennio (66% entro il 2015). Tuttavia, secondo gli scienziati si è registrato un netto miglioramento: nel 1990 in 12 Paesi il tasso di mortalità era di 200 bambini ogni 1000 nascite. Oggi nessuna nazione al mondo ha un valore così elevato, sebbene restano ancora sacche di povertà e di degrado. Tornando ai dati relativi all’India, in linea con gli obiettivi fissati dall’Onu, dalla ricerca emerge che oggi muoiono 20 neonati su mille in meno rispetto al 1990 (entro il 28mo giorno di vita). Per le morti post-neonatali sono 15 su mille in meno rispetto al 1990; 30 su mille in meno nella fascia tra gli uno e i quattro anni. Suor Georgina, direttore dell’ospedale della Santa Croce ad Ambikapur, nello Stato centrale del Chhattisgarh, conferma l’impegno della Chiesa cattolica – attraverso i servizi per la salute – nella riduzione del tasso di mortalità neo-natale e infantile. Attiva nel campo della sanità dalla fine degli anni ‘60, la religiosa ha fondato la Raigarh Ambikapur Health Association: “All’epoca, siamo nel 1968, dovevamo spostarci a piedi nelle aree più remote – spiega la suora – per portare medicine agli abitanti dei villaggi che vivevano nell’ignoranza, nella povertà, malnutriti e superstiziosi. Abbiamo fondato 96 centri per la salute – continua – nelle aree agricole più sperdute, prive di qualsiasi accesso. Pur senza sostengo del governo, siamo riusciti a portare cure mediche e a ridurre il tasso di mortalità salvando i bambini dalla dissenteria gastrointestinale: esso è uno dei fattori più a rischio”. La suora aggiunge che “la Chiesa cattolica è il più grande fornitore di cure mediche dopo il governo” con i suoi oltre 5mila centri di cura, il 70% dei quali sparsi nei luoghi più sperduti e inaccessibili del Paese. Essi si ispirano al motto lanciato da Madre Teresa: “prendersi cura dei più poveri fra i poveri”. (R.P.)

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    Siccità in Ciad: milioni di persone rischiano la morte per fame

    ◊   In Ciad circa due milioni di persone rischiano la morte per fame a causa della siccità e delle infestazioni di parassiti che hanno ridotto drasticamente la produzione alimentare. Questo si legge in un comunicato diffuso dalla Fao che vede a rischio le operazioni di emergenza a causa della mancanza di fondi. L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione – riferisce una nota dell’agenzia Fides - nei giorni scorsi ha denunciato che la situazione alimentare è molto preoccupante in particolare in diverse parti del Sahel, cioè la zona semidesertica che confina con l'estremità occidentale del Sahara. Gli abitanti del Sahel si trovano quotidianamente a lottare con la fame e in alcuni casi anche con la sete. In questa zona l'avanzata del deserto minaccia la sopravvivenza dei suoi abitanti. La situazione non è migliore in altre zone del Continente. Si stima che rispetto al 2008 la produzione cerealicola in Ciad sia calata del 34%, in Niger del 30%, in Mauritania del 24% ed in Burkina Faso del 17%. Anche la pastorizia è seriamente compromessa. La produzione di foraggio in Niger è di circa il 62% inferiore al fabbisogno secondo le informazioni dell'allerta diffusa dalla Fao. In Ciad, l'anno scorso - si apprende dallo stesso comunicato - il tasso di mortalità dei bovini è stato del 30% e notevoli morie di bestiame si sono verificate anche in zone del Mali. E proprio il calo della produzione cerealicola, le cattive condizioni dei pascoli, insieme ai prezzi alimentari conseguentemente sostenuti hanno portato ad un aumento della malnutrizione. Si stima che quest'anno in Niger saranno circa 2.7 milioni le persone che avranno bisogno di aiuti alimentari, mentre altri 5.1 milioni di persone nel Paese sono considerate a rischio insicurezza alimentare. In Ciad circa due milioni di persone avranno bisogno di assistenza, mentre 258.000 persone dovranno affrontare una grave insicurezza alimentare in Mali. In Mauritania avranno bisogno di aiuti alimentari circa 370.000 persone. (M.A.)

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    La Mauritania centra un “Obiettivo del Millennio”: dimezzata la mortalità materna

    ◊   La Mauritania sempre più vicina agli Obiettivi del Millennio fissati dalle Nazioni Unite nel 2000. Nel Paese dell’Africa occidentale il tasso di mortalità materna è diminuito del 50% passando dagli 800 casi di decessi ogni 100.000 parti registrato nel 2002 ai 404 casi del 2009. A sostenerlo è un rapporto diffuso al ministero della Sanità di Nouakchott, di cui dà notizia l'agenzia Misna. Secondo le autorità sanitarie della Mauritania la netta diminuzione è legata principalmente al finanziamento speciale di circa 6000 ‘ouguiyas’ (circa 15 euro) garantito, a partire dal 2002, a tutte le donne in gravidanza. Misura che, sommata a una maggiore attenzione nelle strutture sanitarie pubbliche per la fase prenatale e alla creazione di un nuovo ospedale speciale per mamme e bambini, ha fatto registrare anche altri dati positivi. La riduzione della mortalità, infatti, va affiancata all’aumento del 58% del numero dei parti assistiti (passati dai circa 20.000 del 2002 ai 33.000 del 2009) e alla forte crescita (87%) delle consultazioni prenatali. Proprio il tema della sanità materna, insieme a quello della riduzione della mortalità infantile, sarà al centro del prossimo vertice dell’Unione Africana (UA) in programma dal 19 al 27 luglio in Uganda, dove si cercherà di consolidare i molti passi avanti compiuti nel continente, accelerando i progressi in modo da riuscire a raggiungere gli Obiettivi del Millennio, che in materia prevedono una riduzione del 75% della mortalità materna. (M.G.)

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    Senegal: appello del cardinale Sarr per la pace nel Casamance

    ◊   “Lavoriamo il più presto possibile, troviamo una soluzione definitiva al problema. Dio ci chiede di farlo e le popolazioni lo vogliono”: è l’invito rivolto dall’arcivescovo di Dakar, il cardinale Théodore Adrien Sarr, perché tutti, in Senegal, possano impegnarsi per la pace nel Casamance. Il porporato ha lanciato l’appello lunedì scorso, alla conferenza stampa indetta a Popenguine al termine della 122.ma edizione del pellegrinaggio mariano. All’incontro con i giornalisti, insieme all’arcivescovo di Dakar c’era il ministro dell’Interno Bécaye Diop. Rivolgendosi alle autorità il cardinale Sarr ha espresso ampi ringraziamenti per gli sforzi sostenuti nell’organizzazione del pellegrinaggio, quindi, ribadendo la volontà della comunità cattolica ad impegnarsi per il Casamance, il porporato ha ricordato l’apporto fino ad ora offerto dalla Chiesa. Il cardinale Sarr ha aggiunto che la Conferenza episcopale aveva chiesto la creazione di una commissione cristiana che potesse apportare il proprio contributo nella ricerca di una soluzione nella regione martoriata dai disordini. Per l’arcivescovo di Dakar la soluzione va cercata al più presto, per aprire un dialogo con i combattenti e consentire alla popolazione del Casamance, provata da anni, di vivere serenamente. Nel corso della conferenza stampa il porporato ha anche parlato della partecipazione di molti musulmani al pellegrinaggio di Popenguine, segno delle buone relazioni che esistono con i cristiani, che non sono da definire rapporti di tolleranza, bensì mutuo riconoscimento, rispetto, stima e amore degli uni verso gli altri. “La vostra risposta positiva – ha sottolineato l’arcivescovo di Dakar rivolgendosi ai musulmani – la vostra presenza, manifestano, una volta di più, il vostro attaccamento alle buone relazioni fra musulmani e cristiani in questo Paese”. Il cardinale Sarr ha inoltre auspicato che tutte le comunità religiose possano beneficiare di una equa concessione di spazi, da parte dello Stato, per il culto. “A livello della ripartizione di questi luoghi di culto, qualche volta, alcuni, sono dimenticati, come i cristiani” ha osservato il porporato. Infine l’arcivescovo di Dakar ha voluto ringraziare giornalisti ed operatori della comunicazione per il lavoro svolto in occasione del pellegrinaggio mariano di Popenguine. “Possa Dio, che ha voluto entrare e restare nella comunicazione con gli uomini – ha concluso l’arcivescovo di Dakar –, assistervi sempre accompagnandovi nella vostra missione, aiutandovi a mantenervi nel rispetto dell’altro nella fedeltà e nella verità”. (T.C.)

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    Sudafrica: Medici Senza Frontiere denuncia la drammatica condizione dei rifugiati

    ◊   Violenze sessuali, terribili condizioni di vita, molestie da parte della polizia, attacchi xenofobi e mancanza di accesso alle cure di base, rappresentano lo scenario con cui migliaia di persone vulnerabili si confrontano ogni giorno. E’ quanto denuncia l’Ong Medici Senza Frontiere profondamente preoccupata per la salute e per le condizioni di vita in cui versano migliaia di immigrati e di rifugiati in Sudafrica. L’organizzazione fornisce cure mediche gratuite e dà assistenza ai migranti e ai rifugiati a Johannesburg e nella cittadina di confine di Musina che si trova al confine con lo Zimbabwe. A Musina, dall’inizio dell’anno, è stato riscontrato un preoccupante aumento del numero di violenze sessuali e di rapine da parte di gruppi armati attivi in entrambi i lati del confine a danno dei migranti che lo attraversano. Sono stati trattati 103 casi di violenza sessuale nei primi quattro mesi dell’anno, 71 da marzo a oggi. Nel fornire assistenza ad una media di 2300 pazienti al mese nella clinica di Johannesburg, - riferisce l'agenzia Fides - l’Ong ha riscontrato una serie di patologie legate al sovraffollamento degli spazi abitativi e alle condizioni di vita estremamente precarie. Mentre alcuni migranti trovano rifugio in una chiesa metodista nel centro della città, migliaia continuano a vivere in edifici abbandonati in altre aree di Johannesburg, spesso senza luce, acqua e gas, con il rischio concreto di contrarre patologie come infezioni al tratto respiratorio, gastroenteriti, diarrea e infezioni cutanee. Violenze da parte delle bande che agiscono sul confine e incertezza sui documenti una volta entrati nel Paese, rappresentano il quotidiano per questa gente. Senza l’accesso alle cure mediche di base e senza un sistema di accoglienza dignitoso, la vita di migliaia di migranti in Sudafrica rimarrà estremamente precaria e incerta. Msf, inoltre, è impegnata in Sud Africa dal 1999 a Musina, Johannesburg e Khayelitsha vicino Città del Capo, con un progetto rivolto ai pazienti affetti da Hiv/Aids. (R.P.)

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    Haiti: dopo il terremoto riprende l’attività di Radio Soleil

    ◊   Ad Haiti, il difficile ritorno alla normalità è scandito anche dalle trasmissioni di Radio Soleil. L’emittente cattolica può dire di aver superato la fase di emergenza grazie alla generosità dei vescovi degli Stati Uniti e di una serie di benefattori della Chiesa tedesca che hanno raccolto 100 mila dollari in attrezzature per un nuovo studio che si sta allestendo a Petionville, un sobborgo nelle colline sopra la capitale haitiana di Port-au-Prince, dove l’emittente si è trasferita dopo il terremoto. Secondo quanto riferisce l'agenzia Fides, le apparecchiature sostituiscono quelle perse quando l'edificio che ospitava la stazione radio è crollato su stesso. L’emittente aveva sede dall'altra parte della strada della Cattedrale di Nostra Signora Assunta, anch’essa distrutta dal sisma. Ma il vero protagonista di questa seconda rinascita è il padre gesuita Pierre Belanger, che si è impegnato per far tornare la stazione radio alla sua normale attività a tempo pieno ed ha anche instaurato legami più stretti tra Radio Soleil e le altre nove stazioni radio cattoliche di tutto il Paese. L'attrezzatura per lo studio radiofonico sarà ospitata in due moduli prefabbricati nel cortile di un edificio robusto, che ha resistito al terremoto riportando solo danni di lieve entità. Anche gli uffici dell'arcidiocesi di Port-au-Prince si stanno trasferendo in questo edificio. (M.G.)

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    Appello dei vescovi brasiliani per i diritti dei contadini

    ◊   I grandi progetti speculativi, sui cui convergono gli interessi dei “fazendeiros” e delle multinazionali, stanno mettendo sempre di più a repentaglio la dignità dei lavoratori della terra brasiliani. La denuncia, ripresa dall'agenzia Misna, è stata lanciata nella dichiarazione finale diffusa al termine del III congresso nazionale della Commissione pastorale della terra (Cpt), organismo della Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile da sempre vicino alle lotte dei contadini per l'accesso alla terra e le loro rivendicazioni per l'attuazione della riforma agraria. “Nel momento in cui l'umanità prende sempre più coscienza del grido proveniente dalla madre terra - si legge nel documento - noi accogliamo il silenzioso clamore dei poveri privati della loro terra, aiutandoli nella difesa della loro vita e della vita delle generazioni future. Occorre lavorare insieme per la dignità della persona umana del lavoratore, per vincere l'individualismo e il consumismo mercantile, che sono una delle molte forme di schiavitù”. Nella dichiarazione, messa a punto al termine dei lavori a cui hanno partecipato quasi un migliaio di persone (tra lavoratori della terra, operatori pastorali della Chiesa brasiliana e rappresentanti delle parti sociali), si sottolinea il denominatore comune emerso dalle molte testimonianze e cioè che “si può e deve vivere con i diversi ecosistemi senza distruggerli e coltivare un rapporto di rispetto e di fratellanza tutti gli esseri viventi e con la madre Terra, dono di Dio da proteggere e conservare integro come eredità per le generazioni future”. Le esperienze talvolta “eroiche” di sopravvivenza, di vita e di speranza si intrecciano però con “il grido disperato che si leva di fronte alla potenza impressionante dei grandi progetti speculativi scanditi da violenze, da emarginazioni forzate degli indigeni dai territori natii, da deforestazioni, da gravi alterazioni del sistema ecologico. Progetti imposti con arroganza e che si fanno beffa della legge agraria e ambientale attraverso sistemi di malaffare avallati, non di rado, da funzionari pubblici corrotti”. La globalizzazione, specialmente di stampo neoliberale, sta modificando e complicando il problema della terra in Brasile. I vecchi fazendeiros, si sottolinea nel documento, si sono alleati con le grandi imprese transnazionali per sviluppare l'agrobusiness, ponendo una minaccia ancora maggiore alle immense risorse naturali e alla biodiversità del Paese. Un particolare appello viene rivolto alle istituzioni, ai partiti politici, ai sindacati, ai movimenti perché “non lascino sola” e sostengano “la gente della terra”, difendendo i suoi diritti, assecondando “le sue attese di giustizia e di speranza”. In questo cammino di promozione umana, la Chiesa si “pone in prima linea” e il documento della Cpt si conclude con una esortazione rivolta a tutti i soggetti ecclesiali, affinché collaborino nel “difficile e delicato lavoro della Commissione pastorale della terra, impegnata a dare voce a chi non ha voce nel nome di Gesù di Nazareth, nella fedeltà al Dio dei poveri e dei poveri della Terra”. Secondo l’ultimo rapporto realizzato dalla Cpt, e diffuso lo scorso aprile, i conflitti per il possesso della terra in Brasile, diminuiti negli ultimi anni, sono tornati ad aumentare da 751 del 2008 a 854 nel 2009. (M.G.)

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    Iraq: nuova pastorale della Chiesa per fronteggiare l’esodo dei fedeli

    ◊   Spirito propositivo, speranza e iniziative per rimanere vicini alla comunità. È questa la ricetta del nuovo arcivescovo dei caldei di Erbil, mons. Bashar Warda, per affrontare la difficile situazione della regione semi-autonoma del Kurdistan, che continua ad essere una meta per i cristiani in fuga dalle città più pericolose dell’Iraq, come Baghdad e Mosul. Basti pensare che la diocesi nel 2005 contava circa 2500 famiglie oggi arrivate a 7200 solo ad Ankawa. Lo scorso 24 maggio il redentorista ha sostituito mons. Rabban Al-Qas che dal 2007 reggeva la diocesi come amministratore. mons. Warda è impegnato da tempo a ripensare una nuova attività pastorale che affronti esigenze e problemi venutisi a creare in seguito alla persecuzione e all’esodo forzato dei fedeli. È questa la sfida maggiore per la Chiesa caldea in Iraq, che sta concentrando i suoi sforzi per essere vicina ai suoi pastori e potenziare la catechesi per contrastare l’aggressiva evangelizzazione portata avanti dalle sette protestanti nel Paese. Per questi motivi, nonostante la crisi economica, mons. Shlemon Warduni, vicario patriarcale di Baghdad, ha assicurato, parlando all'agenzia AsiaNews, che “la Chiesa caldea e la diocesi patriarcale di Baghdad stanno bene e continuano a sostenere economicamente senza difficoltà i loro sacerdoti”. Per potenziare al meglio la catechesi a Baghdad e aiutare quella nel resto dell’Iraq, il patriarcato sta anche studiando progetti che gli garantiscano maggiori entrate “per il bene della sua Chiesa e per tutti i suoi bisogni”. (M.G.)

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    Indonesia: parlamentari e vescovi uniti nella difesa della libertà religiosa e di pensiero

    ◊   Una delegazione di parlamentari indonesiani ha incontrato i vescovi del Paese nella sede della Conferenza episcopale a Central Jakarta per rilanciare l’impegno comune contro il fondamentalismo e per la convivenza pacifica all’insegna di quell’ “unità nella diversità” sancita fin dalla dichiarazione di Indipendenza del 17 agosto 1945 con il motto latino “E pluribus unum”. Secondo quanto riferisce l'agenzia AsiaNews, la delegazione della People’s Consultative Assembly era guidata da Taufik Kiemas, marito della ex presidente Megawati Soekarnoputri e presidente dell’assemblea. Mons. Johannes Pujasumarta Pr, segretario generale dei vescovi indonesiani, ha affidato ai parlamentari il compito di “assicurare il mantenimento di valori così importanti” a garanzia del “pluralismo alla base della società indonesiana”. L’Indonesia è infatti uno Stato laico fondato su Cinque principi base (la Pancasila), che “garantiscono il pieno rispetto delle diversità culturali” e dei diritti umani. In Indonesia è ammessa la pratica di cinque religioni, riconosciute a livello ufficiale: islam, taoismo, buddismo, induismo e cristianesimo. Tuttavia, la crescita di una frangia fondamentalista interna, che preme per l’introduzione della legge islamica, rischia di minare il valore della laicità alla base dello Stato. Dal 2002, ad esempio, in alcune parti della provincia di Aceh la shariah ha sostituito l’ordinamento giuridico statale. Per scongiurare questa deriva, lo stesso gruppo di parlamentari nei prossimi giorni, incontrerà anche i leader di Nahdlatul Ulama, la più importante organizzazione musulmana moderata del Paese. (M.G.)

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    Sri Lanka: raccolta di cartoline per la democrazia in Myanmar

    ◊   Il gruppo “Gli Amici del Terzo Mondo” ha tenuto martedì a mezzogiorno una protesta davanti all’ambasciata del Myanmar in Sri Lanka, a Colombo, per protestare contro la dittatura e per chiedere il rilascio della leader democratica Aung Sang Suu Kyi insieme agli altri prigionieri politici imprigionati per le proteste pacifiche del 2007 contro la giunta militare. Dure le parole di Freddy Gamage, coordinatore del gruppo promotore della protesta, che ha evidenziato la chiusura dell’ambasciata “per paura della nostra voce e della nostra azione democratica. Non ci viene mai consentito di consegnare la petizione che ogni anno noi portiamo loro. Così – ha proseguito - quest’anno abbiamo organizzato una campagna di cartoline per raccogliere il voto della gente per la liberazione di Aung Sang e per la democrazia in Myanmar”. La campagna delle cartoline è iniziata martedì e durerà 2 mesi, fino a luglio. Circa 50 attivisti di vari gruppi e fedi hanno partecipato alla protesta, tra cui sacerdoti e suore cattolici, monaci buddisti e politici di sinistra. Questa manifestazione pacifica – riferisce l’agenzia Asianews - si svolge ogni anno, nello stesso luogo, per ricordare la vittoria di Aung San Suu Kyi nelle elezioni politiche birmane il 27 maggio 1990 con oltre il 90% dei voti. La leader democratica venne però subito incarcerata, in violazione di ogni legge, dai militari birmani che presero il potere e da allora lo detengono. Quest’anno è stata anticipata al 26 maggio per evitare la concomitanza con la festa sacra del Vesak che celebra la nascita, l'illuminazione e l’estinzione di Buddha. (M.A)

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    I sindacati di Hong Kong: suicidi in fabbrica, frutto dell’indifferenza del mondo

    ◊   “L’ondata di suicidi alla Foxconn deriva dalla repressione e dall’oppressione che il governo cinese impone ai suoi operai, ma anche dall’indifferenza del mondo che cerca solo prodotti a basso costo”. Lee Cheuk Yan, sindacalista e membro del Consiglio Legislativo di Hong Kong, riferisce all’agenzia AsiaNews le cause dell'ondata di suicidi nel gigantesco stabilimento di Shenzhen, nel sud della Cina, finito sui giornali di tutto il mondo anche perché la società, partner di Apple, assembla il famoso iPad. L’ultimo suicidio si è verificato martedì: un dipendente di 19 anni, Li Hai, si è gettato dal tetto di uno dei padiglioni del complesso. Lavorava alla Foxconn da appena 42 giorni. Riflettendo sulle responsabilità di queste tragedie, riconosce ampiamente quella del governo cinese ma fa notare anche le colpe della comunità internazionale che, interessata soltanto alla manodopera a basso costo, non mostra preoccupazione per le condizioni in cui lavorano gli operai: “Sono trattati come bestie nonostante abbiano lasciato casa e famiglia per cercare un lavoro. Non hanno il sostegno della famiglia, affrontano pressioni incredibili e non hanno alcun sostegno umano: scelgono la via più estrema perché non hanno alternative”. Il responsabile della Federazione dei sindacati del territorio e membro del gruppo pandemocratico aggiunge che “Qui a Hong Kong non abbiamo giurisdizione sulla Cina continentale: ma possiamo fare pressione affinché le fabbriche trattino i loro operai in maniera umana. Non c’è altro modo per evitare i suicidi”. (M.A.)

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    Rio de Janeiro: le raccomandazioni dei giovani al Forum dell’Alleanza di Civiltà

    ◊   Oggi è il giorno del confronto con i Capi di Stato al III Forum dell’Alleanza di Civiltà. I lavori dell’organismo Onu, riunito in questi giorni a Rio de Janeiro, entreranno nel vivo con gli interventi del Segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki Moon e del presidente brasiliano Luiz Inácio ‘Lula’ da Silva. Subito dopo 140 giovani provenienti da 60 paesi si rivolgeranno ai capi di Stato, ma anche alle altre migliaia di partecipanti in rappresentanza di istituzioni, aziende e società civile di tutto il pianeta. Gli stessi ragazzi ieri si sono confrontati per mettere a punto una lista di raccomandazioni” con le quali superare le differenze culturali e aumentare la mutua conoscenza tra differenti civiltà. E di creare “ponti tra culture” ha parlato anche l’ex-presidente portoghese Jorge Sampaio, oggi Alto Rappresentante Onu dell’Alleanza che, in un’intervista di cui riferisce l'agenzia Misna, ha sottolineato con forza che “il mondo è uno solo, piaccia o no. E quindi l’unico modo di vivere insieme è con un confronto interculturale”. E se questo principio ha valenza planetaria, esso trova applicazione anche a livello regionale. Per questo i 100 Paesi membri dell’Alleanza (tra cui da quest’anno si contano anche gli Stati Uniti d’America), vogliono che dal Forum di Rio emerga anche una “strategia regionale di difesa della diversità”. Una strategia fatta di iniziative e proposte e azioni destinate a promuovere a livello regionale gli obiettivi dell’Alleanza, ovvero la convivenza tra le diversità nell’ambito del reciproco rispetto. La strategia che verrà messa a punto per l’America Latina, si sommerà a quelle realizzate nei vertici precedenti (per i Balcani e per il Mediterraneo). (M.G.)

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    Spagna: domenica si celebra la giornata Pro Orantibus

    ◊   Il 30 maggio, domenica della Santissima Trinità, si celebra in Spagna la Giornata Pro Orantibus, dedicata alla preghiera a favore dei religiosi e delle religiose di vita consacrata contemplativa. Celebrata per la prima volta il 13 maggio 1953 e organizzata dalla Commissione episcopale per la vita consacrata, vuole essere espressione di riconoscimento, stima e gratitudine per ciò che rappresentano tali vocazioni nella Chiesa. Una specifica catechesi – si apprende dall’Osservatore Romano - farà conoscere la vocazione contemplativa, tanto attuale e necessaria, mentre alcune iniziative pastorali consentiranno ai fedeli, dove sarà possibile, di partecipare alle celebrazioni liturgiche nei monasteri, senza violare le esigenze e le regole della clausura. L’arcivescovo di Oviedo, Jesùs Sanz Montes, presidente della Commissione episcopale per la vita consacrata, ha spiegato la scelta del tema di quest’anno: “Venite, adoratori! La vita contemplativa un cenacolo eucaristico”. Il presule ritiene che “La presenza amabile di Gesù nella santa eucarestia ha generato non pochi carismi nella vita della Chiesa e - prosegue nella sua riflessione stesa in occasione della giornata Pro Orantibus – tutti i consacrati hanno un particolare vincolo con il Signore. I chiamati alla vita contemplativa fanno di questo una particolare professione di vita e di amore”. In particolare, ha evidenziato come “il silenzio del chiostro e il ritiro appartato, lontano da essere mutismo o una fuga, si convertano nella condizione per poter vivere e poter poi testimoniare l’amore di tutta la Chiesa verso Gesù eucaristia, che i fratelli e le sorelle contemplativi sanno vivere silenziosamente nel nascondimento della loro offerta al buon Dio”. (M.A.)

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    Incontro dell'Ordine francescano secolare d'Italia sul senso della fraternità

    ◊   Da oggi al 30 maggio l’Ordine francescano secolare d’Italia promuove a Padova un incontro sul senso della fraternità, con la partecipazione di numerosi francescani e francescane secolari provenienti dall’Italia e dall’estero. In collaborazione con le istituzioni e nella comunione sinergica dell’intera famiglia francescana, la tre giorni padovana intitolata “Semplicemente Fratelli” mira ad individuare e proporre nuovi percorsi di carità fraterna per il sostegno delle povertà fisiche e morali e per il servizio del bene comune. Interverranno, fra gli altri, il sociologo Giuseppe De Rita, presidente del Censis e il priore della Comunità di Bose, fra’ Enzo Bianchi, che terrà una relazione su “Le radici e motivazioni evangeliche e francescane della Fraternità”. Al raduno è collegata la realizzazione di un’iniziativa di solidarietà destinata al Comune di Poggio Picenze, nell’aquilano, sconvolto dal terremoto del 2009; il progetto riguarda in particolare la costruzione di un centro polivalente di aggregazione e di animazione sociale. (M.V.)

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    Assemblea generale straordinaria della Confederazione internazionale vincenziana

    ◊   Da oggi fino al primo giugno si terrà nella città di Salamanca, in Spagna, l'assemblea generale straordinaria della Confederazione Internazionale della Società di San Vincenzo de' Paoli, convocata per l'elezione del suo 15.mo presidente Internazionale. La Confederazione, che è uno degli organismi membri del Pontificio Consiglio Cor Unum, riunisce 51.000 Conferenze in 142 Paesi, con oltre 700.000 membri, sostenuti da un milione e mezzo di volontari: può cosi raggiungere 37 milioni di poveri. Interviene regolarmente a beneficio delle vittime di disastri naturali: dai tifoni in Asia ai terremoti in Indonesia e Cile, alle inondazioni in India, ecc. con aiuti distribuiti dalla Famiglia Vincenziana e dai volontari. Per Haiti, ad esempio, dove è presente nelle zone più povere, ha creato la rete Zafén, che permette a piccole imprese e artigiani di accedere al credito. C'è poi l'impegno quotidiano delle Conferenze nazionali e locali, che gestiscono strutture di accoglienza per il sostegno al disoccupati e scuole di formazione professionale; accompagnano famiglie povere, sordi, rom, giovani emarginati, ecc. e sono sempre in prima linea a servizio di chi ha più bisogno. In occasione di questa ricorrenza, il presidente di Cor Unum, il cardinale Paul Josef Cordes, è stato invitato dai responsabili della Confederazione a tenere una conferenza a tutti i delegati delle diverse nazioni presenti all'assemblea. Il cardinale Cordes parlerà del Beato Frederic Ozanam, anche in riferimento alle tematiche che oggi Cor Unum affronta, in particolare l'identità specifica delle organizzazioni cattoliche di aiuto e di assistenza. Tutto questo avviene alla luce dell'enciclica Deus caritas est, di Benedetto XVI. Nel corso della sua presenza a Salamanca, il cardinale presiederà inoltre la solenne Eucaristia di domenica prossima, insieme al vescovo di Salamanca, mons. Carlos Lopez Hernandez, e avrà l'opportunità di congedarsi dal presidente uscente della Confederazione, dott. Jose Ramon Diaz-Torremocha, che per lungo tempo ha servito questa Istituzione. (D.D.)

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    24 Ore nel Mondo



    Operazione “top kill” contro la marea nera: oggi Obama sarà in Louisiana

    ◊   Un disastro senza precedenti, la British Petroleum è responsabile e dovrà pagare. Così in sintesi, ha parlato ieri il presidente statunitense, Barack Obama, sull’emergenza causata dalla marea nera nel Golfo del Messico. Oggi il presidente, che ha bloccato le trivellazioni nel Golfo ed in Alaska, sarà in Louisiana per visitare la costa raggiunta dal greggio. Secondo stime governative, sarebbero 68 milioni i litri di petrolio che si sono riversati in mare dal 20 aprile scorso, dopo l’apertura della falla seguita all’esplosione della piattaforma Deepwater Horizon. Intanto, c’è cautela per l’operazione “Top Kill” che per il momento ha bloccato il pozzo della BP con fango e liquidi iniettati ad alta pressione. Massimiliano Menichetti ha intervistato Ezio Amato, già responsabile del Servizio emergenze ambientali in mare dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), oggi in forza alle Nazioni Unite:

    R. – Questo è sicuramente uno dei più gravi disastri, per due ordini di motivi: la quantità di olio versata e l’altro aspetto rilevante è il fatto che l’olio viene da 1.500 metri di profondità, affliggendo soprattutto quello che è invisibile, cioè la colonna d’acqua e i fondali. Come abbiamo potuto vedere dalle cronache, abbiamo le spiagge che sono state colpite ma il vero disastro, a mio avviso, è quello che sta avvenendo sui fondali e quello che avverrà negli anni a venire. Sono effetti che chiamiamo cancro, mutagenesi, teratogenesi.

    D. – C’è cautela per quanto riguarda l’operazione “Top Kill”, che cerca di creare un tappo sul fondale marino. Andrà a buon fine?

     
    R. – E’ una tecnica sicuramente in linea di principio efficace, che può servire a fermare il flusso continuo di grezzo dal fondale. Rimarrà poi il problema di come affrontare le migliaia di tonnellate che in questo momento sono sott’acqua.

     
    D. – Si stanno utilizzando dei “disperdenti”. E’ una scelta giusta?

     
    R. – Relativamente. Disperdono la chiazza in miliardi di particelle sub-millimetriche che sono senz’altro più aggredibili della massa di petrolio da parte di microrganismi deputati a degradarli. Considerato però quello che sta fuoriuscendo, ancora una volta la maggior parte dell’olio non viene in superficie ma rimane intrappolata lungo la colonna d’acqua, sui fondali, dove i disperdenti sicuramente non hanno nessuna efficacia.

     
    R. – E quelli che sono stati utilizzati direttamente sulla testa del pozzo?

     
    D. – Il risultato che producono è quello di impedire che emerga una grande chiazza di petrolio. Ma, da un punto di vista ambientale, il risultato non cambia, anzi può essere anche peggiore proprio perché queste microparticelle di petrolio che sono state disperse dall’utilizzo di questi prodotti, sono poi in grado di affliggere più facilmente tutti quegli animali che vivono, per esempio, catturando ciò che è sospeso nella colonna d’acqua o filtrando l’acqua, come fanno le nostre pozze. Quello che è riducibile è l’aspetto visivo, estetico, dei siti colpiti. Ma gli effetti a lungo termine, purtroppo, sono difficilmente minimizzabili.

     
    D. – Questo per quanto riguarda i disperdenti. Ma ci sono altre tecniche che potrebbero essere utilizzate oppure, allo stato attuale delle conoscenze, quella è l’unica via?

     
    R. – Le tecniche sono soltanto due: quella di disperderlo e quella di bruciarlo, ma abbiamo visto che anche quello serve soltanto a trasferire l’inquinamento ancora una volta dalla superficie del mare verso i fondali – le particelle carboniose che affondano – e nell’atmosfera, con i fumi che s’innalzano nell’aria. Per il resto, non ci sono altri mezzi che possono essere utilizzati se non la raccolta meccanica - quella che stanno facendo – ma è chiaro che quando si è di fronte ad una situazione di grande marea nera come questa, il massimo dell’efficienza sta nella raccolta del 10-15 per cento di quello che si è versato in mare. Questo non vuol dire che l’85 per cento finisce sulle coste, perché parte del grezzo viene naturalmente degradato attraverso processi fisico-chimici di diverso tipo, ma senz’altro una parte cospicua, pur sostanzialmente degradata, non lo è così tanto da sparire dal punto di vista degli effetti nocivi.

     
    Medio Oriente, incontro Obama-Netanyahu. Il 9 giugno Obama-Abu Mazen
    Il presidente dell'Autorità nazionale palestinese (Anp), Mahmud Abbas (Abu Mazen), verrà ricevuto alla Casa Bianca il 9 giugno prossimo dal presidente Usa, Barack Obama. Obiettivo dell'incontro col capo della Casa Bianca – che nelle prossime ore vedrà il premier israeliano Benyamin Netanyahu – è capire come procedano i negoziati indiretti israelo-palestinesi, in vista di un’eventuale ripresa dei negoziati diretti. Intanto, un'impennata di tensione viene registrata ai confini della striscia di Gaza, mentre fra oggi e domani si attende l'arrivo nella zona di una flottiglia organizzata da Ong filopalestinesi, che si prefiggono di “spezzare il blocco israeliano alla Striscia”. La Marina militare israeliana ha già reso noto che non consentirà alle navi di avvicinarsi a Gaza.

    Il Giappone rafforza le sanzioni contro la Corea del Nord
    Il governo giapponese ha annunciato il rafforzamento delle sanzioni contro la Corea del Nord: si tratta di una risposta all'affondamento della corvetta sudcoreana Cheonan. Una misura di natura più simbolica che reale, essendo l'interscambio commerciale pressochè azzerato tra i due Paesi. Nella sostanza, i nordcoreani saranno tenuti a chiedere il via libera alle autorità nipponiche sulle rimesse verso Pyongyang del valore superiore ai 3 milioni di yen (poco più di 27 mila euro al cambio attuale), a fronte del precedente limite di 10 milioni di yen (91 mila euro).

    La preoccupazione dell’Onu per il Nepal
    Le Nazioni Unite sono “seriamente” preoccupate per lo stallo politico in Nepal che potrebbe far deragliare il processo di pace con i maoisti. Stasera, alla mezzanotte, scade il mandato dell'Assemblea costituente e se i partiti non voteranno la sua estensione, il Paese entrerà di fatto in un "limbo" legislativo. In un comunicato dal Palazzo di vetro, il segretario generale, Ban Ki-moon, ha rivolto un appello ai gruppi politici perchè "ritrovino la loro unità" in modo da “salvare l'Assemblea costituente e il processo di pace, ponendo al primo posto l'interesse nazionale”. Finora, sono falliti tutti i tentativi di trovare un compromesso per evitare lo scioglimento. In una riunione, stamattina, i due principali partiti di governo – i comunisti del Cpn-Ulm e il Congresso nepalese – hanno lanciato un ultimo richiamo agli ex ribelli maoisti che rappresentano la principale forza nell'Assemblea costituente, creata nel 2008 e incaricata di scrivere una nuova carta costituzionale entro il 28 maggio 2010. Il partito maoista all'opposizione, guidato da Pushpa Kamal Dahal, l'ex capo ribelle conosciuto come Prachanda, rimane però fermo sulla sua posizione. I maoisti chiedono le dimissioni del premier, Madhav Kumar Nepal, come condizione per estendere il mandato dell'assemblea.

    Attacco a una moschea a Lahore in Pakistan
    Commandi pesantemente armati del movimento talebano Tehrik-i-Taliban Pakistan (Ttp) hanno attaccato oggi, giorno della preghiera del venerdì nel mondo islamico, due moschee popolate di fedeli a Lahore, lanciando bombe a mano e sparando con armi automatiche, con un bilancio di 56 morti e decine di feriti. I militanti del Ttp sono passati all'offensiva a fine mattinata quando migliaia di fedeli della setta minoritaria Ahmadi, in conflitto con i musulmani sunniti, erano intenti a pregare nelle moschee dei quartieri di Garhi Shahu e di Model Town. L'azione terroristica ha assunto ad un certo punto caratteristiche spettacolari, perchè per qualche tempo gli attentatori sono riusciti a bloccare le uscite, dando l'impressione di poter tenere in ostaggio fino a duemila persone. Ingenti forze di sicurezza sono giunte sul posto sferrando una controffensiva che ha avuto successo soprattutto nella moschea di Model Town, già attaccata nel marzo scorso, dove cinque dei sette membri del commando del Ttp sono stati uccisi e gli ostaggi liberati. (Panoramica internazionale a cura di Fausta Speranza)
     
    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIV no. 148

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