![]() |
![]() |

Sommario del 16/05/2010
Benedetto XVI al Regina Caeli: servire Dio con radicalità e coerenza, combattendo il peccato e le seduzioni del mondo. In Piazza San Pietro, 200 mila fedeli per esprimere vicinanza al Papa
◊ Radicati in Dio, i cristiani combattano le seduzioni del mondo: è quanto affermato da Benedetto XVI al Regina Caeli in una Piazza San Pietro gremita da una moltitudine di pellegrini, che hanno raccolto, con entusiasmo, l’invito della Consulta Nazionale delle Aggregazioni Laicali ad una manifestazione di solidarietà al Pontefice. Il Papa ha invitato i 200 mila fedeli presenti a combattere il peccato che a volte, purtroppo, "contagia anche i membri della Chiesa". Soffermandosi poi sull’odierna Solennità dell’Ascensione del Signore, ha sottolineato che Gesù è sempre vicino a ciascuno di noi e guida il nostro cammino cristiano. Il servizio di Alessandro Gisotti:
Una manifestazione di fede e solidarietà, “bella e spontanea”: Benedetto XVI definisce così, al Regina Caeli, lo straordinario colpo d’occhio di una Piazza San Pietro gremita di fedeli, accorsi da tutta Italia per esprimere vicinanza al Papa, che ricambia con affetto e “viva riconoscenza" all’entusiasmo dei pellegrini:
“Vi ringrazio di cuore, cari fratelli e sorelle, per la vostra calorosa e nutrita presenza! Grazie" (Applausi)
Benedetto XVI saluta i fedeli laici italiani accompagnati dal cardinale Angelo Bagnasco e rivolge anche un pensiero speciale ai tanti immigrati che in Piazza San Giovanni in Laterano, assieme al cardinale vicario Agostino Vallini, stanno celebrando la Festa dei Popoli:
“Cari amici, voi oggi mostrate il grande affetto e la profonda vicinanza della Chiesa e del popolo italiano al Papa e ai vostri sacerdoti, che quotidianamente si prendono cura di voi, perché, nell’impegno di rinnovamento spirituale e morale possiamo sempre meglio servire la Chiesa, il Popolo di Dio e quanti si rivolgono a noi con fiducia. Il vero nemico da temere e da combattere è il peccato, il male spirituale, che a volte, purtroppo, contagia anche i membri della Chiesa”.
“Viviamo nel mondo, ma non siamo del mondo”, rammenta il Papa e aggiunge che "dobbiamo guardarci dalle sue seduzioni".
“Dobbiamo invece temere il peccato e per questo essere fortemente radicati in Dio, solidali nel bene, nell’amore, nel servizio. E’ quello che la Chiesa, i suoi ministri, unitamente ai fedeli, hanno fatto e continuano a fare con fervido impegno per il bene spirituale e materiale delle persone in ogni parte del mondo”.
E’ quello, prosegue il Papa rivolto ai fedeli in Piazza San Pietro, che “specialmente voi cercate di fare abitualmente nelle parrocchie, nelle associazioni e nei movimenti: servire Dio e l’uomo nel nome di Cristo”. Di qui l’esortazione a guardare con speranza al futuro:
“Proseguiamo insieme con fiducia questo cammino, e le prove, che il Signore permette, ci spingano a maggiore radicalità e coerenza. E’ bello vedere oggi questa moltitudine in Piazza San Pietro come è stato emozionante per me vedere a Fatima l’immensa moltitudine, che, alla scuola di Maria, ha pregato per la conversione dei cuori. Rinnovo oggi questo appello, confortato dalla vostra presenza così numerosa! Grazie!” (Applausi)
Prima del saluto ai fedeli, il Papa si era soffermato sulla solennità dell’Ascensione del Signore. L’episodio dell’ultimo distacco del Signore dai suoi discepoli, ha detto, non rappresenta un abbandono, giacché Gesù “rimane sempre con loro in una forma nuova”:
“Il Signore attira lo sguardo degli Apostoli verso il Cielo per indicare loro come percorrere la strada del bene durante la vita terrena. Egli, tuttavia, rimane nella trama della storia umana, è vicino a ciascuno di noi e guida il nostro cammino cristiano: è compagno dei perseguitati a causa della fede, è nel cuore di quanti sono emarginati, è presente in coloro a cui è negato il diritto alla vita”.
Quindi, ricordando che oggi ricorre la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, ha messo l’accento sul tema del suo Messaggio per l’occasione, “Il sacerdote e la pastorale nel mondo digitale: i nuovi media al servizio della Parola”:
“Rinnovo poi il mio particolare invito ai fratelli nel Sacerdozio, affinché “nella loro vita e azione si distinguano per una forte testimonianza evangelica” e sappiano utilizzare con saggezza anche i mezzi di comunicazione, per far conoscere la vita della Chiesa e aiutare gli uomini di oggi a scoprire il volto di Cristo”.
Aprendoci la via del Cielo, ha aggiunto, il Signore “ci fa pregustare già su questa terra la vita divina” ed ha concluso con un ricordo dell’emozionante visita al Santuario di Fatima:
"Ringrazio la Vergine Maria, che nei giorni scorsi ho potuto venerare nel Santuario di Fatima, per la sua materna protezione durante l’intenso pellegrinaggio compiuto in Portogallo".
In Piazza San Pietro, la preghiera guidata dal cardinale Bagnasco per il Papa e le vittime degli abusi
◊ Prima del Regina Caeli, tantissimi fedeli provenienti da tutta Italia si sono raccolti in Piazza San Pietro per esprimere vicinanza a Benedetto XVI, ma anche per pregare per le vittime degli abusi. Il momento di preghiera, promosso dalla Consulta Nazionale delle Aggregazioni Laicali, è stato guidato dal cardinale arcivescovo di Genova, Angelo Bagnasco, presidente della Cei. Il servizio di Cecilia Seppia:
Una piazza gioiosa, serena, quella di oggi, unita nella diversità, davanti a Benedetto XVI per dimostrargli solidarietà, affetto e amicizia, ma anche per condividere il dolore che in questi ultimi mesi ha scosso la Chiesa. Assiepati fin dalle prime ore del mattino per non perdersi un posto nell’abbraccio del colonnato di San Pietro, i fedeli, provenienti da tutta Italia hanno voluto essere qui per ribadire la propria fede, consapevoli che proprio nel momento della prova il popolo di Dio si stringe, senza esitare, attorno al suo Pastore. La preghiera della piazza è dunque unanime: sostenere il Papa nel suo impegnativo ministero, esprimendogli affetto e gratitudine per la sua passione per Cristo e per l’umanità intera, ma anche ribadire la vicinanza a tutte le vittime degli abusi.
“La nostra preghiera è il modo privilegiato per rendere efficace e visibile la vicinanza di tutta la Chiesa al Santo Padre e a chi ha sofferto a causa di coloro che avrebbero dovuto essere immagine di Cristo buon pastore”.
Intenso anche il momento di preghiera presieduto dal cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, cha ha invocato "Misericordia, perdono per i peccati, purificazione e forza per tutta la Chiesa".
“Dio onnipotente ed eterno, conforto degli afflitti, sostegno dei tribolati, ascolta il grido di coloro che sono nel dolore perché trovino giustizia e conforto, così che partecipando alla vita della tua Chiesa, purificata dalla penitenza, possano riscoprire l’infinito amore di Cristo tuo Figlio”.
Poi la lettura dell’omelia di Benedetto XVI alla Santa Messa per l’inizio del Ministero Petrino, in cui già riecheggiano le parole perdono, amore, servizio: “Pascere il gregge - diceva allora il Pontefice - vuol dire amare e amare vuol dire essere pronti a soffrire, pregate per me – chiedeva - perché io impari sempre di più ad amare voi tutti”.
Quindi le preghiere dei fedeli, per le vittime degli abusi, per le loro famiglie e per ogni sacerdote che ogni giorno svolge il proprio ministero nel silenzio, con umiltà e donazione. Infine, l’invocazione dello Spirito Santo su tutta la Chiesa e l’esortazione, attraverso la preghiera alla Vergine, a riscoprirsi popolo di Dio, a ritrovare vigore, a testimoniare con forza l’annuncio del Vangelo sotto la guida del suo amato Pastore.
Una grande manifestazione d'affetto al Papa: il commento del cardinale Bertone e dei leader dei movimenti ecclesiali
◊ "Insieme con il Papa": è la scritta che stamani campeggiava su uno dei tanti striscioni portati dai fedeli in Piazza San Pietro. Una grande manifestazione d'affetto filiale a Benedetto XVI, come sottolinea il cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, al microfono di Patricia Jauregui:
“La manifestazione che si è svolta qui a Roma dice tutto l’affetto di cui è circondato il Papa. Ma dice anche la volontà, i buoni propositi dei cristiani, dei cristiani autentici - appartenenti alle diverse forze della Chiesa e ai diversi movimenti - a rinnovare dal profondo del cuore la Chiesa, a fare penitenza per i peccati che sono nella Chiesa e nel mondo e a risvegliare proprio l’impegno della testimonianza limpida, chiara e coerente con il Vangelo di Cristo. Mi sembra che sia il senso più bello di questa manifestazione e delle grandi manifestazioni in Portogallo”.
In Piazza San Pietro dunque tanti movimenti, associazioni, comunità ecclesiali e parrocchiali provenienti da ogni parte d’Italia. Cecilia Seppia ha raccolto alcune testimonianze:
R. – Siamo qui come aggregazioni laicali per dimostrare al Papa ma anche al mondo la solidarietà dei laici in questo momento particolare della Chiesa, perché la Chiesa non è fatta solo di sacerdoti e vescovi ma è anche il popolo di Cristo, che siamo noi. Con questa manifestazione vogliamo dimostrare che siamo con lui, che la Chiesa di Cristo è viva, che nonostante siano state mosse in questi momenti tante cattiverie e accuse, queste non trovano una conferma nel popolo di Dio.
R. – Siamo qui perché siamo in famiglia, nel senso che tutta la Chiesa è chiamata a stringersi attorno al Papa. La cosa bella è che non è lui che ci ha chiamato ma siamo noi che siamo venuti a sostenerlo, anche se lui non ne ha tanto bisogno, perché comunque è sicuro che sia il Signore che lo Spirito Santo sono con lui! Siamo noi che abbiamo bisogno di lui in questo momento abbastanza difficile un po’ per tutti.
D. – Questa è una piazza gioiosa, sembra che ci sia un clima sereno, eppure è anche un modo per condividere il dolore che la Chiesa sta vivendo in questo periodo...
R. – La cosa veramente bella è il fatto che il peso e il dolore si portano sempre insieme, mai da soli. Non si è mai abbandonati nelle fatiche che uno fa nella vita. Credo che questo sia fondamentale.
R. – Oggi siamo qui innanzitutto per fare un po’ di festa non solamente al Papa ma per riconoscere ancora una volta che lui è il nostro segno di Gesù Cristo sulla terra. Quindi, evidentemente, lui ha già lo Spirito Santo che lo protegge da tutti gli attacchi che ha ricevuto. Sicuramente è un po’ come un riaffermare il suo primato anche per quello che riguarda la nostre umile sequela. Certo, è un momento di difficoltà ma penso che la Chiesa ne abbia avuti tanti e grazie al Signore è sempre riuscita a venirne fuori.
D. – C’è chi ha parlato di un “inverno della Chiesa” per i recenti fatti sugli abusi dei minori. Oggi, però, sembra che tra i palloncini e questi festoni ci sia una nuova primavera per la Chiesa...
R. – Oggi è l’Ascensione e credo non ci sia un giorno più bello per risorgere tutti quanti e lo possiamo fare solo intorno al Santo Padre, esprimendo solidarietà e vicinanza. Molto dipende dalla preghiera che tutti i credenti potranno fare. Tutto il mondo cattolico è unito attorno al Santo Padre proprio in spirito di comunione.
D. – Perché oggi siete qui?
R. – Per manifestare il nostro essere cristiani. Poi devo dire che partecipare insieme a tanti altri movimenti dà uno spirito particolare a quest’incontro di oggi. Trovarsi insieme a tanti altri e scoprire che alla fine non sei solo contro tanti giganti, ma siamo in tanti e facciamo tutti la stessa strada.
R. – Siamo qui per pregare per il Papa e con il Papa. Rinnovargli la nostra vicinanza, il nostro affetto significa anche unirsi alla sua preghiera per tutta la Chiesa e soprattutto per le membra sofferenti che in questo momento soffrono di più, sia vittime sia persone che hanno commesso gravi peccati. Siamo qui anche per dire la nostra gioia, la bellezza che proviamo nell’essere all’interno di questa bellissima esperienza ecclesiale.
Dunque, tantissime le realtà ecclesiali presenti oggi in Piazza San Pietro. Ascoltiamo le voci di alcuni leader di movimenti e comunità in questo servizio di Sergio Centofanti.
Migliaia di appartenenti al Rinnovamento nello Spirito Santo sono giunti da tutta Italia per essere presenti oggi al Regina Caeli di Benedetto XVI. Ascoltiamo il presidente nazionale, Salvatore Martinez:
“Il Rinnovamento nello Spirito ha aderito a quest’invito con grande convinzione. Ce ne siamo fatti promotori e interpreti per dire che stiamo con il Papa e per il Papa. Con il Papa perché l’amore non sa tradire, anzi, esprime visibilmente fiducia e fedeltà e poi per il Papa perché fa esercizio di ‘Caritas in veritate’, non è soltanto un motto o un ideale ma un passo del suo Pontificato. Sta facendo la verità, questo nostro mondo ha bisogno di verità. Anche all’interno della Chiesa c’è bisogno di verità. La fede è sempre combattuta, la fede conosce anche le cadute del peccato ma la Chiesa è viva, la Chiesa sta in piedi. I laici e i movimenti ne sono espressione nella loro vitalità, nella bellezza e nella forza che esprimono ogni giorno con la loro testimonianza”.
Ha partecipato all’evento anche l’Azione Cattolica. Isabella Piro ha sentito il presidente dell’Ac di Roma, Benedetto Coccia:
“E’ una presenza di preghiera affettuosa e filiale nei confronti del Papa. La preghiera è, per noi cristiani, l’arma più forte per testimoniare la vicinanza al Papa e per pregare per la vita della Chiesa, per i sacerdoti in questo Anno Sacerdotale, per le difficoltà che la Chiesa sta vivendo. Naturalmente in questa preghiera sono comprese anche le vittime degli errori che all’interno della Chiesa pure ci sono stati e come il Papa stesso ha sottolineato. La Chiesa è fatta da persone che vivono la fragilità dell’umanità. Bisogna, quindi, pregare affinché queste fragilità vengano superate. Ma non vorrei rimanesse in ombra anche la preghiera per il ringraziamento del servizio che tanti sacerdoti svolgono quotidianamente nelle nostre parrocchie, un servizio che resta importantissimo”.
Massiccia anche la presenza dei Neocatecumenali. Fabio Colagrande ha chiesto il perché di questa vasta partecipazione a Giampiero Donnini, responsabile della prima comunità neocatecumenale di Roma, quella dei Martiri Canadesi:
R. - Perché in questo momento bisogna sostenere il Papa. Deve sentire che il popolo di Dio è con lui e quindi l’affetto ed il sostegno di tutte le persone. Pietro è il fondamento della Chiesa e quindi quando uno tocca Pietro, tocca la Chiesa come realtà umana e divina.
D. – Lei crede che la campagna di stampa che in molti casi ha cercato di attaccare Benedetto XVI abbia in qualche modo potuto oscurare la sua immagine di fronte all’opinione pubblica?
R. – No, assolutamente. Questo è il tentativo di una certa parte, ma nel popolo di Dio ha suscitato un maggior affetto.
In tanti anche dalle Acli, le associazioni dei lavoratori cristiani. Il presidente Andrea Olivero spiega, al microfono di Fabio Colagrande, perché sono giunti in così tanti in Piazza San Pietro:
“Noi crediamo che sia importante che quella colpa di cui Papa Benedetto ci ha detto così bene in questi ultimi giorni - e che, in qualche modo, è stato lui stesso per primo ad individuare con forza e con grande coraggio - debba essere sentita come croce da parte di tutti noi. Non possiamo lasciare che siano soltanto i nostri pastori a vivere questa sofferenza, che è una sofferenza di tutto il tessuto ecclesiale. Al contempo dobbiamo anche assumerci degli impegni per il futuro: innanzitutto quello di non lasciarci intimorire e spaventare dal peccato ma invece rilanciare in un’ottica di rinnovata volontà, rimettersi nell’ambito dell’educazione, del servizio. In queste settimane, talvolta anche in maniera ingenerosa, ci si è dimenticati di mettere in luce tutte le cose che la Chiesa sta facendo a difesa dei più deboli. La Chiesa, nei secoli, è stata il primo soggetto nell’ambito dell’educazione, della tutela e del sostegno proprio a coloro che venivano violati, coloro che subivano in tanti modi violenza e tuttora subiscono in tanti Paesi molteplici offese”.
Il rettore del Santuario di Fatima: dal viaggio di Benedetto XVI in Portogallo un messaggio di speranza per tutti i fedeli
◊ Un viaggio apostolico all’insegna della gioia di essere cristiani. Così il rettore del Santuario di Fatima, padre Virgílio do Nascimento Antunes, sintetizza il significato della visita pastorale del Papa in Portogallo, conclusasi venerdì scorso. Al microfono di Eugenio Bonanata, padre Antunes ripercorre i momenti forti di questo viaggio di Benedetto XVI, in particolare a Fatima:
R. – E’ stata veramente un’opportunità eccellente per il contatto con Dio, per la gioia di essere cristiani, per il senso della comunione con tutta la Chiesa, per riconoscere nella persona del Santo Padre il pastore universale. Posso dire che sono stati veramente dei giorni di festa, di grande gioia per tutti i pellegrini di Fatima.
D. – Che ricordo, che immagine le rimane della visita papale?
R. – Quello dell’arrivo del Santo Padre alla Cappella delle Apparizioni, che è il cuore del Santuario di Fatima, dove vanno tutti i pellegrini quando arrivano a Fatima. Il Papa arriva, s’inginocchia davanti alla statua della Madonna: è un gesto tipico tra i pellegrini di Fatima e soprattutto tra i portoghesi. Per questo si sentiva che il Papa era un pellegrino come tutti gli altri nella sua semplicità e pure nella sua umiltà davanti alla Vergine. La sua preghiera silenziosa è stata un momento bellissimo dell’incontro con Dio. Dopo, la sera, l’inizio della processione con le candele, la benedizione delle candele, la preghiera del Rosario che il Papa conduceva, recitando la prima parte del Padre Nostro, dell’Ave Maria: lì si vedeva la Chiesa con il Santo Padre che pregava con questa fiducia, questa speranza in Maria come madre, perché le preghiere potessero arrivare a Dio. Poi, c’è la Messa del 13. Il Santo Padre veramente ci ha toccato con le sue parole ma soprattutto con il suo sorriso, con il suo modo di fare, di comunicare. La folla che era così grande, come sappiamo, era intensamente partecipe e sembrava creasse nel suo cuore un amore e una devozione così grandi per il Santo Padre che appartengono anche al messaggio di Fatima.
D. – “La missione profetica di Fatima non si è conclusa”: come ha letto lei questa affermazione di Benedetto XVI?
R. – E’ un’affermazione molto importante e forte. Durante il Ventesimo secolo alcuni hanno pensato che con la caduta dei regimi dell’est dell’Europa, con l’attentato a Giovanni Paolo II, la caduta del muro di Berlino, con la persecuzione della Chiesa, si sarebbe compiuto tutto il messaggio di Fatima. Invece, il Papa viene a dirci di no, perché il messaggio di Fatima - a mio avviso - riguarda tutta la storia della Chiesa e del mondo con tutti i suoi problemi e questi problemi - le questioni della pace, della giustizia, anche della fede, della carità - continueranno. Per questo il messaggio di Fatima è un messaggio aperto, che ci aiuta ad interpretare la storia del nostro tempo, ad affermare l’esistenza di Dio, la necessità che l’uomo ha di Dio, della spiritualità dei valori, della conversione.
D. – Cosa ha lasciato Benedetto XVI a Fatima?
R. – Il Papa ha lasciato una grandissima speranza in tutti i pellegrini e non soltanto nei pellegrini di Fatima, ma in tutto il Paese. Il Portogallo era e continua ad essere in una situazione un po’ difficile dal punto di vista economico, c’è la mancanza di lavoro, alcune povertà che crescono. Il Papa ha portato veramente un messaggio che tocca un po’ tutti i cuori perché arriva a parlare di speranza, a parlare di gioia, a parlare di Dio, a parlare del futuro, a parlare delle possibilità dell’uomo, se continua a credere e ad accettare Dio nella sua vita, a parlare di pace. Veramente, il Papa con il suo messaggio, con la sua persona, ha toccato la gente e per questo la speranza dei portoghesi, dei cristiani e dei non cristiani sembra sia stata approfondita e arricchita con questo viaggio e con queste parole.
D. – Si aspettava un’accoglienza così calorosa da parte del Portogallo?
R. – Posso dire che ha superato moltissimo le mie aspettative perché anche a Fatima c’è stata una folla molto grande. Il Papa era visto in Portogallo come il teologo, il filosofo, che non riusciva a toccare i cuori… E’ stato tutto il contrario! Il Papa ha toccato il cuore della gente, si è avvicinato ai bambini, ai giovani, agli anziani, ha parlato ai malati. E’ un uomo così tanto umano che sembrava qualcuno della nostra famiglia, che conoscevamo già da tanto tempo e per questo è cambiato moltissimo il modo di accogliere o di riconoscere la sua personalità. Mi sembra che abbia superato in tutto le aspettative dei portoghesi.
Mons. Celli nella Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali: la Chiesa sempre più impegnata nella pastorale del mondo digitale
◊ “Il sacerdote e la pastorale nel mondo digitale: i nuovi media al servizio della Parola”. E' questo il tema dell’odierna 44.ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali. “Attraverso i moderni mezzi di comunicazione – sottolinea Benedetto XVI nel Messaggio per l’occasione pubblicato il 24 gennaio scorso – il sacerdote potrà far conoscere la vita della Chiesa e aiutare gli uomini di oggi a scoprire il volto di Cristo, coniugando l’uso opportuno e competente di tali strumenti, con una solida preparazione teologica ed una spiccata spiritualità sacerdotale, alimentata dal continuo colloquio con il Signore”. Sul significato di questo messaggio, Philippa Hitchen ha intervistato mons. Claudio Maria Celli, presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali:
R. – Il messaggio non è rivolto solamente ai sacerdoti ma è rivolto a tutti perché è la Chiesa in quanto tale, quindi sacerdoti e fedeli laici impegnati, che deve riprendere consapevolezza di questa sua responsabilità nel campo dei media, in questa cultura digitale. Certo è che nel contesto della Chiesa i sacerdoti giocano un ruolo particolare e il Papa sottolinea in maniera molto esplicita che si tratta di una pastorale vera e propria nel campo creato dalle nuove tecnologie. Il Papa, nel suo messaggio, fa rilevare che dobbiamo esercitare una diaconia, un servizio, nel campo della cultura digitale. Qualcuno, recentemente, mi domandava: ma esiste veramente una cultura digitale? Tutto dipende da che contenuto noi diamo alla parola “cultura”. Una cosa però è certa: le nuove tecnologie hanno cambiato la nostra vita e, allora, credo che chi svolge un ministero sacerdotale debba vedere anche come suo campo di pastorale il mondo dei media.
R. – Il tono del messaggio è molto positivo e incoraggia tutte queste possibilità, ma è anche vero che ci sono grandi preoccupazioni, grandi sfide in questo mondo digitale?
R. – Il Papa in questi suoi ultimi messaggi guarda le nuove tecnologie con interesse, ne percepisce anche l’offerta concreta che le nuove tecnologie possono offrire all’annuncio della Parola. Perché - è innegabile - rimane sempre valida la missione affidata alla Chiesa, quella di annunciare la Parola, l’unica parola che salva. Però è anche vero, e ne siamo pienamente consapevoli, che le nuove tecnologie danno ampio spazio anche a ciò che va a detrimento dell’uomo, che influisce negativamente sulla vita dell’uomo. Io, alle volte, sottolineo sorridendo che l’uomo di oggi è molto attento all’ecologia e – direi – giustamente: è attento all’aria che respira, all’acqua che beve, ai cibi che gli vengono offerti. Però è meno attento a una ecologia spirituale. Vuol dire che è meno attento a tutto ciò che oggi la società alle volte ci offre anche di meno degno, di meno rispettoso per la dignità dell’uomo. Direi che il Papa – io l’ho sottolineato varie volte – non è ignaro di queste difficoltà, anzi lui stesso nel messaggio dello scorso anno sottolineava alcuni limiti della cultura digitale. Ecco perché credo che in questo settore chi è preposto, quindi quel sacerdote che si assume in maniera esplicita una pastorale nel mondo digitale, deve essere consapevole. Ed è qui ancora di più l’attenzione della Chiesa. E’ innegabile, oggi che le nuove tecnologie non aiutano al silenzio e io mi domando che spiritualità vera, profonda, possa esserci se l’uomo non sa godere di certi momenti di silenzio! (Montaggio a cura di Maria Brigini)
Il cardinale Bertone ai Padri Mercedari: l’uomo di oggi ha bisogno del Vangelo della redenzione che libera da vecchie e nuove schiavitù
◊ Vivete e testimoniate il “Vangelo della redenzione”: è l’esortazione rivolta dal cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, ai Padri Mercedari in occasione del loro Capitolo generale in corso a Roma fino al 22 maggio prossimo. In una Messa celebrata stamani per l’occasione all’Istituto Maria Bambina, il porporato ha invitato i Padri Mercedari ad annunciare all’uomo di oggi il Vangelo che libera da vecchie e nuove schiavitù. Il servizio di Alessandro Gisotti:
“Anche oggi Dio continua ad affidarvi il compito di annunciare la liberazione ai prigionieri, agli uomini e alle donne del nostro tempo, soggetti a vecchie e nuove schiavitù”: è quanto affermato dal cardinale Tarcisio Bertone che ha innanzitutto portato i saluti del Papa ai Padri Mercedari, riuniti nel Capitolo generale. “L’uomo contemporaneo, che talvolta continua ad essere asservito a schemi ideologici - ha detto il porporato - è sempre più ostaggio del secolarismo e del relativismo; rischia di pensare di poter edificare la società senza Dio; ripone la propria speranza in sé stesso, anziché in Colui che solo può soddisfarla”. Proprio da qui, ha avvertito, “nasce la difficoltà forse più profonda per una vera opera evangelizzatrice: alla radice della sfiducia nella vita c’è infatti una crisi di fiducia in Dio e l’incapacità di riconoscere il suo amore”. “L’uomo della strada”, ha aggiunto il cardinale Bertone, “ha bisogno di qualcuno che gli faccia intravedere la possibilità di un’esistenza liberata, illuminata dalla Verità di Gesù, da cui non è ragionevole allontanarsi, una volta percepitone il fascino perenne”.
Ecco allora che “evangelizzare ed educare alla fede” costituisce oggi una “vera opera di liberazione”, proprio come ai tempi di San Pietro Nolasco, fondatore nel XIII secolo dei Padri Mercedari, che testimoniò l’amore del Signore a quanti avevano perduto la libertà. Oggi, ha detto il cardinale Bertone, risulta arduo “il compito di prendersi cura e accompagnare gli schiavi dei nostri giorni alla riscoperta di Dio, cioè alla comprensione del senso della propria esistenza!” Di qui l’esortazione ai Padri Mercedari, mettendo “da parte le mode del momento”, a “testimoniare all’uomo d’oggi quanto sia avvincente una vita che si sottometta radicalmente a Dio e ai suoi progetti!” La vostra missione, ha concluso, è quella “di far sperimentare, a quanti sono oppressi da schiavitù materiali, morali e spirituali, quella carità per la quale c’è qualcuno disposto a sacrificare la propria vita, quell’ardore che spinge ad accettare di farsi prigioniero al posto di chi è schiavo, perché egli possa continuare a vivere e a crescere affidandosi al Salvatore!”.
"Una tenda per l'incontro": è il tema della XIX Festa dei Popoli. A San Giovanni in Laterano la Messa celebrata dal cardinale Vallini
◊ Si celebra oggi a Roma la XIX edizione della Festa dei Popoli sul tema "Una tenda per l’incontro". 42 le etnie presenti in Piazza San Giovanni in Laterano e 27 i gruppi che hanno animato la Messa di stamani in Basilica, presieduta dal cardinale Agostino Vallini, vicario del Papa per la diocesi di Roma. Oggi pomeriggio, poi, 26 gruppi balleranno dando vita ad una vera e propria festa. “La Festa dei Popoli - afferma il responsabile dell’evento, padre Gaetano Saracino, parroco scalabriniano del Santissimo Redentore a Val Melaina, dove la Festa è nata nel 1992 – è un indicatore di direzione, per raccontare alle comunità alle quali si rivolge qual è la strada da seguire affinché la convivenza possa essere pacifica”. Ma quali sono i passi da fare lungo questo percorso? Lo stesso padre Saracino ne parla al microfono di Claudia Di Lorenzi:
R. – Noi proponiamo l’intelligenza della condivisione, l’accettazione delle differenze e il coraggio della convivenza. Noi non abbiamo ricette preconcette. Vorremmo proprio partire da un dato, che le differenze non sono un impedimento.
D. - Dal 1992, quanto è cambiato il rapporto fra italiani e migranti? È possibile intravedere un progresso nel percorso di reciproca accoglienza e d’integrazione? Di consapevolezza reciproca…
R. – Decisamente sì. Si parlava di accoglienza negli anni ’90: erano gli anni degli sbarchi dall’Albania. Si è parlato di appartenenza, quando eravamo al Giubileo del 2000. Oggi si parla di prospettive, di futuro, quale direzione dare a questa convivenza.
D. - C’è molto da lavorare anche sugli stessi italiani…
R. – Decisamente sì, perché abbiamo un’Italia secondo me a due velocità. C’è un dato di fatto di base, delle comunità che realmente lavorano a fianco a fianco, costruendosi giorno per giorno la convivenza. C’è poi un’Italia, che è quella istituzionale, o meglio quella de media, che divulgano soltanto un certo tipo di notizie, quando si parla di immigrati. Ecco, in questa domenica, facciamo venire fuori quella convivenza pacifica, che giorno per giorno le nostre comunità stanno costruendo.
D. - Rifiutare una società multiculturale vuol dire oggi evitare il confronto con la modernità…
R. – Sì, nel mondo ci sono più di 200 milioni di persone che vivono in una nazione in cui non sono nate, sono persone che si muovono per dare prospettiva ad essi stessi. Però, è stato calcolato che, nelle società dove queste persone sono approdate, le società sono migliorate, come persone, come comunità ecclesiali e civili, dalla convivenza dei "diversi".
D. - Soprattutto negli ultimi anni, assistiamo al dramma dei respingimenti di tanti migranti che si avvicinano ai confini italiani ed europei. Pur considerando le dovute misure sotto il profilo della legalità e dell’ordine pubblico, voi sottolineate che rifiutare i migranti significa anche perdere la ricchezza che essi rappresentano per i Paesi di accoglienza, sotto il profilo culturale, umano, oltre che meramente economico...
R. – La legalità ci sta a cuore a tutti ed è giusto preservarla. Emigrare è un diritto, però non è un diritto quello di fare emigrare e, quindi, un’azione che vada ad incidere anche nei Paesi da cui queste persone provengono. Crediamo che sia uno dei luoghi dove operare a tutti i livelli, istituzionali, politici ed economici, unitamente a quella che è l’accoglienza. E poi anche valutare meglio la presenza di coloro che sono in un’altra nazione, perché sono venuti a migliorare le loro condizioni di vita e vanno a migliorare la condizione di vita nella nazione cui partecipano con le tasse, il lavoro e con la loro presenza.
Nella quinta Giornata nazionale del malato oncologico, un’attenzione particolare alla cura del tumore al seno
◊ Si celebra oggi in Italia la quinta edizione della Giornata nazionale del malato oncologico, istituita per iniziativa della Favo, la Federazione Italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia. L’obiettivo è di promuovere il miglioramento dei servizi che cercano di rispondere alle esigenze dei malati di tumore non solo nel campo della cura, ma anche nell’ambito lavorativo e assistenziale. Sempre oggi si tiene a Roma la mini-maratona di 5 chilometri “Race for the cure”, promossa dall’organizzazione Komen Italia, per dare un messaggio di solidarietà alle donne colpite da tumore al seno. Ma quale è oggi la situazione del cancro alla mammella in Italia? Eliana Astorri lo ha chiesto al direttore del Centro di Senologia del Policlinico Gemelli, prof. Riccardo Masetti:
R. – E’ il tumore più frequente nelle donne. E’ in costante aumento ma, fortunatamente, la mortalità nell’ultimo decennio ha iniziato a diminuire e questo grazie soprattutto ai progressi che sono stati fatti nelle cure, ma anche grazie ad una maggiore attenzione alla diagnosi precoce, che rimane un’arma molto importante nella cura di queste malattie.
D. – Quando una donna si rivolge al senologo, normalmente ha avvertito un dolore, un cambiamento alla mammella…
R. – Noi vogliamo soprattutto incoraggiare le donne a fare la mammografia dopo i 40 anni una volta l’anno, in modo da rivolgersi eventualmente al senologo quando ancora non si sente niente nel seno, ma eventualmente si vede qualche segnale molto iniziale di un possibile sviluppo di un tumore solo sulla mammografia. In alternativa consigliamo a tutte le donne di imparare a conoscere il proprio seno e quindi di sentirlo almeno una volta al mese, in modo che se c’è qualche cambiamento si possono prendere eventualmente i provvedimenti del caso e, primo fra tutti, sentire il proprio medico di base o una specialista per un consulto.
D. – Queste indagini diagnostiche annuali, come mammografia o ecografia mammaria, svolgono un ruolo preventivo al cento per cento?
R. – No, non sono esami infallibili. In medicina non abbiamo niente che sia infallibile, ma sono certamente gli strumenti più efficaci che abbiamo adesso per poter eventualmente evidenziare qualcosa che inizia a svilupparsi, prima che questo qualcosa si manifesti sul piano clinico. Questo è molto importante perché una diagnosi precoce consente di guarire dal tumore del seno in oltre il 90 per cento dei casi e, soprattutto, consente ad una donna di guarire con dei provvedimenti curativi molto poco invasivi e che non creano nessuna penalizzazione nemmeno sotto il profilo estetico.
Anno Sacerdotale: l’amore per l’Africa nella testimonianza di padre Ermanno Bastin
◊ Era ancora bambino quando ha conosciuto le missioni in Africa, poi la decisione di entrare nella congregazione dei Padri Bianchi per dedicarvisi totalmente. Padre Ermanno Bastin, religioso di origine belga, vive oggi a Roma, ma nel suo bagaglio di sacerdote ci sono esperienze in Burkina Faso e in Terra Santa, dove ha sperimentato la ricchezza del confronto con culture diverse. Per la nostra rubrica dedicata all’Anno Sacerdotale, ascoltiamo padre Ermanno raccontarsi al microfono di Tiziana Campisi:
R. – Mi sembra di non essermi mai visto diversamente se non sacerdote. In particolare, forse è stata l’esperienza di un missionario dell’Africa che mi ha indotto a scegliere la vita religiosa. Quando avevo 10 anni, lui ci mostrava delle foto dell’Africa e io ho sempre sognato l’Africa. Poi sono diventato davvero missionario in Africa. Devo dire che per me è stata una cosa quasi naturale. Sono stato ordinato nel 1961, sono stato 10 anni in missione in Burkina Faso, in Africa, in una parrocchia rurale, dove ancora la tradizione africana era molto forte. Dopo 12 anni, mi sono occupato della formazione dei sacerdoti africani, dove ho lavorato per 15 anni; poi, sono stato 6 anni a Gerusalemme, dove ho guidato gruppi di missionari che seguivano corsi di rinnovamento spirituale. Da 11 anni, infine, vivo a Roma, dove lavoro per la nostra congregazione, ma dirigo anche molti ritiri spirituali, esercizi, e mi occupo di accompagnamento spirituale.
D. – Che cosa conserva delle sue esperienze in missione?
R. – Un bellissimo ricordo della bellezza del Vangelo, quando trasforma le comunità umane; la gioia della fede di coloro che non hanno mai sentito parlare di Cristo …
D. – Cosa può dirci invece della sua esperienza strettamente personale, da sacerdote?
R. – Per me, il sacerdozio non è stato prima di tutto la scelta di un lavoro, di una carriera, di un impegno, è stato un "affare" tra Cristo e me; piuttosto una questione di amore personale, di relazione personale. E’ stata una consacrazione totale a Cristo con l’impegno di seguirlo, di imitarlo … Per me era evidente che di amore totale può essercene uno soltanto: uno non si può sposare con due donne contemporaneamente! Così, per me è stata sostanzialmente un’esperienza di consacrazione totale a Cristo. Per questo non ho sentito il celibato come qualcosa che la Chiesa impone; per me è stata un’ovvietà perché per vivere così, totalmente dedicato a Cristo, non avrei potuto condividere nessun altro amore umano – bellissimo - ma diverso.
D. – Lei è un padre Bianco. Come vive la spiritualità che le è propria?
R. – Nel riconoscere, nel cercare nella vita concreta la presenza e la volontà di Dio, non ritirandomi dal mondo ma vivendo in mezzo al mondo, nelle scelte da fare ogni giorno, nell’avere uno spirito di ricerca del volere di Dio. Quindi cercando in ogni momento la volontà di Dio, ciò che è nella linea del Vangelo, della Buona Novella. In tutta la mia vita, sono stato considerato come una persona che aveva una sola cosa da dare: Cristo. E quindi, anche persone non credenti hanno sempre visto in me qualcuno che aveva una sola cosa da offrire: Cristo.
D. – Lei è felice?
R. – Molto! Veramente. E sempre più! Non voglio dire che sono contento di me stesso: sono consapevole delle mancanze umane. Sono contento di Lui. Non di me.
Messa di mons. Fisichella nella Casa-Santuario delle Figlie di San Camillo a Grottaferrata
◊ “Testimoni dell’amore di Dio, testimoni di vita”. E’ stato questo il passaggio più volte sottolineato ieri da mons. Rino Fisichella, rettore della Pontificia Università Lateranense e presidente della Pontificia Accademia per la Vita, nel corso della Messa presieduta nella Casa-Santuario delle Figlie di San Camillo a Grottaferrata. Rievocando l’esempio di San Camillo de Lellis e dei due Beati fondatori, padre Luigi Tezza e madre Giuseppina Vannini, il presule ha chiesto espressamente alle suore di annunciare Cristo vivo perché scegliere Cristo significa operare per la vita. “Mi rivolgo proprio a voi che ogni giorno vedete i segni della passione lungo le corsie degli ospedali al letto della sofferenza”, ha detto il presidente della Pontificia Accademia per la Vita. “Anche la sofferenza ha un suo preciso significato”, ha aggiunto. “Viviamo in un contesto in cui la vita sembra aver perso il suo valore, risulta debole, priva di significato, più che un elemento di uguaglianza è diventato di disuguaglianza. Ma la vita è un dono che ci ha fatto il Signore e nessuno può metterla in discussione”. Mons. Fisichella ha spiegato inoltre che: “Dio ci ha fatto liberi. Anche di fronte alla malattia? Certamente, se sappiamo dare alla nostra sofferenza un senso. Perché solo così si è capaci di recuperare quel sentimento di amore che oggi sembra essere smarrito. Sentiamo spesso parlare di elisir di lunga vita, di ricette magiche per vivere oltre i cento anni”, ha rilevato il presule, “anche se più tardi, siamo comunque chiamati a lasciare questo mondo e ciò che rimarrà di noi sarà proprio quella testimonianza di vita e d’amore che Dio ci ha chiesto”. Nell’accogliere il rettore della Pontificia Università Lateranense, madre Laura Biondo, superiora generale delle Figlie di San Camillo, ha ricordato l’impegno quotidiano delle strutture camilliane in difesa della vita: “Insieme ai laici che prestano servizio nelle nostre strutture cerchiamo nel nostro servizio quotidiano di coniugare il progresso della medicina con le esigenze etiche della persona umana”, ha evidenziato la religiosa aggiungendo che: “Le scienze mediche sono giunte a conoscere meglio le strutture biologiche dell’uomo e il processo della sua generazione. Questi sviluppi sono certamente positivi e meritano di essere sostenuti, quando servono a superare o a correggere patologie e concorrono a ristabilire il normale svolgimento dei processi generativi. Ma essi sono negativi, e pertanto non si possono condividere, quando implicano la soppressione di esseri umani o usano mezzi che ledono la dignità della persona, oppure sono adottati per finalità contrarie al bene integrale dell’uomo” ha concluso madre Laura Biondo. (A cura di Davide Dionisi)
Congo: i guanelliani inaugurano un dispensario medico
◊ Si compone di una piccola farmacia e di una sala di osservazione e consultazione il laboratorio di analisi e dispensario medico inaugurato il 3 maggio scorso nella Citè Guanella di Plateaux de Bateke, in Congo, promosso dai guanelliani. Un presidio medico che risponde ai bisogni di cura di migliaia di persone, fino a ieri costrette a recarsi a Kinshasa, ad oltre 100 km di distanza, per ogni tipo di assistenza medica. “Un avamposto importante in questa zona rurale per la prevenzione e la cura della salute” spiega padre Guido Matarrese, responsabile del centro, dove sono curate “malaria, febbre tifoide, malattie polmonari, gastriti e focolai di febbre del sonno”, e dove particolare attenzione è riservata alla prevenzione: “Puntiamo sull'educazione all'igiene, alla buona alimentazione ed invitiamo a ricorrere il più presto possibile alle analisi sanitarie quando si riscontrassero sintomi di patologie – spiega padre Matarrese - Non sempre infatti questo avviene rapidamente, riuscendo ad evitare complicazioni”. La struttura è realizzata grazie al sostegno di benefattori e del Movimento per la Cooperazione internazionale - una onlus italiana - e si avvale dell’operato di tre giovani infermieri, due uomini e una donna, provenienti da Kinshasa, che si alterneranno 10 giorni ciascuno, risiedendo presso la Cité Guanella. La comunità agricola guanelliana di Plateaux de Bateke è un punto di riferimento per i numerosi villaggi della zona, promuove una scuola primaria per oltre 210 bambini e accoglie 20 giovani per percorsi di formazione e reinserimento. (C.D.L.)
Kenya: i vescovi dicono no alla nuova Costituzione
◊ "Rinnoviamo il nostro consiglio al popolo di respingere la proposta di Costiutuzione" , un testo "fondamentalmente errato" che non può essere approvato "con la vaga speranza che verrà modificato in seguito". Così, i vescovi keniani al termine dell’assemblea plenaria sulla proposta di Costituzione che sarà sottoposta al voto della popolazione attraverso un referendum. Al fianco di norme positive – sottolineano i presuli – sono presenti anche norme che "creano problemi di ordine morale", come la clausola che sposta l’inizio della vita dal concepimento alla nascita, e quella che istituisce il riconoscimento delle corti civili musulmane, le cosiddette "Kadhi courts". Nel primo caso – si legge sull’ Osservatore Romano – la Chiesa cattolica in Kenya ha fatto notare più volte che la questione dell’aborto non è una scelta politica ma morale; sulle corti islamiche invece i vescovi affermano che "si tratta di una questione di uguaglianza civile di fronte allo Stato" e dunque chiedono che vengano riconosciuti uguali diritti a tutti i membri delle fedi presenti nel Paese. "Non possiamo in coscienza lasciare la questione ai keniani senza dare il nostro ponderato consiglio in materia morale – spiegano i vescovi sulle ragioni del loro intervento – in modo che possano formare la propria coscienza in accordo con la volontà di Dio, comunicataci attraverso le leggi morali che fanno parte della nostra cara tradizione cristiana". Intanto nel Paese è stato fondato il Movimento dei professionisti cattolici del Kenya, che, tra l’altro, svolge un ruolo di revisione sullo stato dei diritti umani nel Paese. (C.D.L.)
Msf in Sud Africa: terribili le condizioni di vita di rifugiati e migranti nel Paese
◊ “Violenze sessuali, terribili condizioni di vita, molestie da parte della polizia, attacchi xenofobi e mancanza di accesso alle cure di base, rappresentano lo scenario con cui migliaia di persone vulnerabili si confrontano ogni giorno” in Sud Africa. E’ la denuncia di Medici Senza Frontiere che – in un comunicato - ad un anno dal rapporto “No Refuge, Access Denied: Medical & Humanitarian Needs of Zimbabweans in South Africa”, che nel giugno 2009 denunciava i rischi per la salute delle persone marginalizzate presenti nel Paese, rileva con “profonda preoccupazione” che nulla è cambiato. Nel fornire assistenza a circa 2300 pazienti al mese, a Johannesburg e nella cittadina di Musina, al confine con lo Zimbabwe, l’organizzazione umanitaria rileva “che i pazienti presentano in maniera sempre più preoccupante patologie legate al sovraffollamento degli spazi abitativi e alle condizioni di vita estremamente precarie”. Sono in molti a vivere senza luce, acqua e gas, con il rischio di contrarre patologie come infezioni al tratto respiratorio, gastroenteriti e infezioni cutanee. Cresce inoltre il rischio di rapine e abusi sessuali per le donne che attraversano il confine: Msf chiede alle autorità che sia loro fornito un trattamento medico adeguato e ricorda infine che "senza l’accesso alle cure mediche di base e senza un sistema di accoglienza dignitoso, la vita di migliaia di migranti in Sud Africa rimarrà estremamente precaria e incerta". (C.D.L.)
Omaggio a Giovanni Paolo II dell'Università Regina Apostolorum
◊ “Un uomo venuto da lontano. Omaggio a Giovanni Paolo II”: è il tema dell’incontro che si terrà martedì prossimo, 18 maggio, alle ore 18.00, presso l’Università Regina Apostolorum, in Roma. Promosso dal Centro Studi “Giovanni Paolo II”, che sta per essere inaugurato presso l’Ateneo Pontificio – secondo quanto riferito dal Sir - il convegno vuole essere un omaggio alla figura dell’amato Pontefice. Per l’occasione, gli organizzatori dell’incontro fanno sapere che il nuovo Centro studi raccoglierà le pubblicazioni e gli scritti di e su Papa Wojtyla, come pure la documentazione fotografica, audiovisiva e altri materiali significativi che lo riguardano. Il centro sarà inoltre impegnato nella promozione di studi o ricerche “sulla vita, sul carisma, sulle opere, sulla significativa traccia lasciata nella storia sia durante la sua vita e il suo Pontificato, come pure dopo la sua morte”. L’incontro di martedì sarà aperto dalla presentazione di padre Pedro Barrajón, rettore dell’ateneo, e dal saluto di Martino Cichocki, coordinatore del Centro Studi. Interverranno Edith Arbib, Hanna Suchocka, ambasciatore polacco presso la Santa Sede, il giornalista Saverio Gaeta, Guido Traversa, dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, Antonello Blasi, della Pontificia Università Lateranense e Luigi Lombardo, Cavaliere dell’Ordine di Malta. (C.D.L.)
Iniziative dei Movimenti per la vita per i 32 anni della Legge 194
◊ Il prossimo 22 maggio la legge 194, contenente "norme per la tutela sociale della maternità e per l'interruzione volontaria di gravidanza", compie 32 anni. Per l’occasione il Movimento per la vita, il Forum delle associazioni familiari e Scienza&Vita hanno organizzato una tre giorni di manifestazioni, dal 21 al 23 maggio, per sensibilizzare al tema della lotta all’aborto e sollecitare un cambiamento della stessa normativa. “Almeno due elementi giustificano la speranza di un cambiamento, quanto meno sul piano della cultura e del costume – afferma l’on. Carlo Casini, presidente del Movimento per la Vita, in un comunicato diffuso per l’occasione - In primo luogo sembra essersi raggiunto un generale consenso su un giudizio di preferenza per la nascita: è meglio che un bambino nasca e che una madre abbia il coraggio di accoglierlo. In secondo luogo è divenuta assolutamente maggioritaria la consapevolezza che il crollo delle nascite ha conseguenze estremamente dannose per il futuro anche economico della nostra società’’. Il calendario delle manifestazioni vede venerdì 21 un incontro presso la Regione Lazio dove gli amministratori si confronteranno sul tema delle politiche per la vita; sabato 22, presso l’università Lumsa, si svolgerà un incontro dedicato agli operatori della comunicazione, per riflettere sulla legge, sui suoi effetti e sulle possibili alternative ma soprattutto sulla responsabilità dei giornalisti chiamati a trattare il tema del diritto alla vita; infine, domenica 23 maggio i partecipanti si ritroveranno davanti al Senato, per ricordare i 5 milioni di bambini mai nati a causa delle pratiche abortive, e poi in Piazza San Pietro, dove la tre giorni si concluderà con la benedizione del Papa al Regina Caeli. (C.D.L.)
Festival di Cannes: tra i candidati alla Palma d'Oro Mike Leigh e il regista ciadiano Haroun
◊ Al quarto giorno di Festival di Cannes, si sentiva la mancanza di quella forte emozione che segna l’emergere di un grande film, in grado di aspirare alla Palma d’Oro. Una tale mancanza incomincia ad essere colmata da due opere di grande profondità etica. Parliamo di “Another Day” di Mike Leigh e “Un homme qui crie” di Mahamat-Saleh Haroun. Nel film del regista inglese le quattro stagioni di un anno scivolano sui corpi e sui sentimenti di un piccolo gruppo di esseri umani. Il nucleo centrale è una coppia felice ai confini della terza età, lui geologo, lei psicologa, con un figlio avvocato, gentile e brillante. Il mondo potrebbe essere quello, la quieta consapevolezza di esistere. Invece intorno a loro si agitano le ombre dell’infelicità, quelle di gente in preda alla solitudine: un’amica, zitella nevrotica, un amico, bulimico e alcolista, un parente, ammutolito dal lutto. Fatto di dialoghi precisi e puntuali, segnato da memorabili interpretazioni attoriali, splendidamente fotografato, il film ci ricorda con implacabile tenerezza che la nostra felicità vive a fianco del dolore degli altri. È quanto fa anche il regista del Ciad, con echi più profondamente tragici. Qui siamo a Djamena, la capitale del Paese sahariano, in piena guerra civile. Sullo sfondo di un paesaggio socialmente instabile, un uomo è completamente assorbito da suo dovere: ex-campione di nuoto, gestisce la piscina di un grande albergo insieme al figlio ventenne. Anche qui la vita potrebbe essere questa: lavorare, amare, rispettarsi. Invece il mondo sconvolge l’armonia: la padrona mette da parte il padre per fare posto al figlio; il padre è pressato dai fanatici perché dia il suo contributo alla guerra; il padre consegna il figlio alla coscrizione militare. Il resto è la prevedibile conseguenza della colpa: rimorso, dolore, inutile tentativo di rimediare. Il film si chiude su un’immagine di pietà e la frase di un poeta ci impone di distogliere gli occhi dallo spettacolo, perché “un uomo che grida non è un orso che balla”. Mentre il fuori concorso segue in chiave minore l’andamento del Concorso (con Woody Allen e Oliver Stone che deludono alquanto), di grande livello continua a rivelarsi il programma del Certain Regard, dove un film, “Aurora” di Christi Puiu, si segnala come una vera e propria incursione nel tessuto di una nazione. Già autore di “La morte del signor Lazarescu”, il regista rumeno interpreta egli stesso un personaggio torvo, intento a regolare i suoi conti col mondo, in maniera metodica e impietosa. Minuziosa ricostruzione di una giornata di ordinaria violenza, il film ci consegna l’ossessione dell’ordine in una società disordinata e contemporaneamente la tragedia di un uomo ridicolo. Sono tre ore di suspence del reale, in cui ogni atto è l’attesa terribile del successivo. In primo piano il protagonista, una maschera, da cui traspare l’odio della disperazione ma anche la freddezza di un sistema razionale, logico-punitivo, che nel caso individuale porta all’omicidio e in quello collettivo al genocidio. (Da Cannes, Luciano Barisone)
Acnur: si aggrava la situazione dei rifugiati in Somalia
◊ Dall’inizio dell’anno sono circa 200mila le persone costrette alla fuga in Somalia, la maggioranza delle quali è sfollata all’interno del Paese a causa del crescente pericolo e delle difficoltà ad abbandonare l’area degli scontri. Un’escalation di violenze che ha spinto l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Acnur) a chiedere un ulteriore sostegno economico per alleviare la terribile condizione dei rifugiati, nei confinanti Kenya, Yemen, Etiopia, Gibuti e dentro i confini del Paese, e per provvedere all’ampliamento del campo di Dadaab, in Kenya, uno dei più vecchi, vasti e sovraffollati, che riceve mensilmente migliaia di persone. “Con il deteriorarsi della situazione in Somalia cresce il numero di persone costrette alla fuga e l’Acnur deve prepararsi ad eventuali fughe di massa”, ha detto il vice Alto Commissario Alexander Aleinikoff, che ha visitato nelle scorse settimane Somalia, Etiopia, Gibuti e Kenya ed ha annunciato: “Dobbiamo essere pronti. Abbiamo il dovere di incrementare gli sforzi destinati a fornire protezione e a migliorare le condizioni dei rifugiati che sono fuggiti dalla violenza, dai combattimenti indiscriminati e dalla violazione dei diritti umani. Dobbiamo inoltre essere preparati all’eventualità del perdurare dell’instabilità nel Paese e dei movimenti forzati di popolazione ad essa associati”. Sono circa 550mila i rifugiati somali e circa 1 milione e 400mila gli sfollati interni – riferisce l’organismo delle Nazioni Unite - Nel 2009 oltre 120mila somali hanno cercato rifugio negli Stati confinanti, ripiegando per lo più in Kenya, che sostiene il peso più grande di queste fughe di massa. Solo quest’anno, più di 37mila somali hanno cercato asilo nella regione ed altrove. I fondi richiesti saranno utilizzati per migliorare i servizi nei campi esistenti ed in particolare il rifornimento idrico, gli alloggi e le strutture sanitarie, e per aprire due nuovi campi per i rifugiati somali – uno in Yemen e l’altro a Gibuti. Fondi addizionali sono inoltre necessari per le operazioni di registrazione ed assistenza legale, nutrizione complementare e supplementare, e per la fornitura degli aiuti di base. (C.D.L.)
Nuovi scontri in Thailandia. Le 'camice rosse' disponibili al dialogo col governo
◊ Nuova giornata di scontri in Thailandia, nel centro di Bangkok tra esercito e ‘camice rosse’. I militari si preparano a stringere l’assedio attorno alla zona occupata dagli oppositori del governo che in queste ore hanno dato segnali di apertura al dialogo. Intanto un civile ha perso la vita, portando a 25 il numero dei morti negli ultimi 4 giorni. Il servizio di Eugenio Bonanata:
Ancora scene di guerriglia nel centro di Bangkok. Giornalisti sul posto riferiscono di spari ad altezza d’uomo dell’esercito contro i dimostranti che hanno risposto con lanci di petardi e molotov. Gli scontri hanno provocato un morto e alcuni feriti. I soccorsi hanno difficoltà a raggiungere la zona, avvolta dal denso fumo nero proveniente da pneumatici in fiamme. I vertici dell’esercito hanno diffuso un nuovo ultimatum: abbandonare l’area entro domani mattina, garantendo che nessuno sarà perseguitato. L’intenzione sembra quella di stroncare definitivamente la protesta. La strategia prevede di attuare il blocco definitivo attorno all’accampamento degli anti-governativi - che dall’inizio di aprile raccoglie circa sei mila persone – con l’obiettivo di impedire l’arrivo di cibo. Predisposto un servizio di evacuazione per donne, bambini e anziani. Accantonata, invece, l’idea di imporre il coprifuoco nella città. Le 'camicie rosse' non vogliono altri morti e si sono dette pronte al negoziato, a condizione che sia mediato dall’Onu e solo se il governo fermerà la repressione. L’esecutivo però ha rifiutato la proposta e ha intimato nuovamente ai manifestanti di arrendersi. In precedenza altri leader del movimento di protesta avevano chiesto l’intervento dell’anziano sovrano del paese, Bhumibol, credendo fermamente, che, dato il suo carisma, sia l’unica persona in grado di risolvere pacificamente la crisi.
Liberazione Reiss
Ritorno a Parigi per Clotilde Reiss la ricercatrice francese all’università iraniana di Isfahan scagionata ieri da Teheran dall’accusa di essere una spia e di aver preso parte a un complotto per destabilizzare il governo locale dopo la rielezione di Ahmadinejad. In queste ore l’incontro con il presidente Sarkozy all’Eliseo. La diplomazia francese ha fatto sapere che non è stata fatta alcuna concessione al regime iraniano per ottenere la sua liberazione.
Brasile - Iran
Il Brasile scende in campo nella mediazione con l’Iran in merito al suo programma nucleare. Al via oggi a Teheran i colloqui fra il presidente Lula e il suo omologo Ahmadinejad, con l’obiettivo di trovare un accordo sulle proposte della comunità internazionale per evitare nuove sanzioni del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Nel Paese è giunto anche il capo della diplomazia turca per incontrare i vertici locali. Ma come valutare l’impegno del Paese sud americano in questa fase? Eugenio Bonanata lo ha chiesto ad Alberto Negri, inviato speciale del ‘Sole 24 Ore’:
R. – Adesso il presidente Lula si propone anche come un protagonista di una scena più internazionale, più ampia che non quella dell’America Latina. Ha detto che cercherà di fare del proprio meglio per convincere l’Iran a cooperare con la comunità internazionale. E’ interessante sottolineare che il presidente russo Medvedev ha detto che questa missione brasiliana potrebbe essere addirittura l’ultima chance, per l’Iran, prima della prossima riunione del Consiglio di Sicurezza che dovrebbe decidere nuove sanzioni.
D. – Quante possibilità di successo ha Lula in questa sua missione?
R. – Non è detto che questa possa essere una missione definitiva. Certamente vediamo che intorno al nucleare iraniano si stanno agitando una serie di attori internazionali anche nuovi. Il il Brasile in primo luogo e poi la Turchia, che si propone forse come luogo di scambio se eventualmente ci fosse l’accordo sull’uranio arricchito da parte del Brasile con l’Iran.
D. – Fra l’altro, il Brasile appoggia molto questo ruolo della Turchia...
R. – Sì, certamente, anche perché ha preso atto di una realtà. Il mondo musulmano, come abbiamo visto – soprattutto il Medio Oriente – non è più il mondo arabo, anzi il mondo arabo - se vogliamo - è un po’ in seconda fila. Le due potenze emergenti della regione sono l’Iran e la Turchia. La Turchia che, naturalmente, ha una sua proiezione occidentale molto forte e nell’ultimo anno – soprattutto con il governo di Erdogan – ha definito ancora di più la propria posizione. Basta guardare lo scontro che c’è stato con Israele sulla questione palestinese e su Gaza, l’appoggio dato alla Siria, i rapporti sempre più frequenti con l’Iran stesso, insomma la Turchia è un Paese-chiave della regione.
Coree
Torna alta la tensione fra le due coree nel Mar Giallo, al confine fra i due Paesi. Navi della marina di Seoul hanno sparato colpi di avvertimento per allontanare due motovedette di Pyongyang che avevano sconfinato e che tuttavia si sono ritirate senza rispondere al fuoco. Intanto una commissione di inchiesta sud coreana ha ribadito che è stato un siluro nordcoreano ad affondare lo scorso 26 marzo la motovedetta “Cheonan”, provocando la morte di 46 uomini dell’equipaggio.
Sudan
Le forze di sicurezza sudanesi hanno arrestato l’ex presidente del parlamento, Hassan al-Turabi, ieri sera presso la sua abitazione di Khartoum. Non si conoscono le ragioni del provvedimento ai danni del leader politico, strenuo oppositore del presidente Omar el-Bashir dopo essere stato suo stretto alleato e dopo averlo sostenuto nel golpe che lo ha portato al potere nel 1989. Al-Turabi non si è presentato alle elezioni dello scorso mese di aprile, vinte da el Bashir, ma ha appoggiato un esponente del Partito del congresso definendo la tornata ‘fraudolenta’.
Kigali attentato
Doppio attentato con granate a Kigali, la capitale del Rwanda. Una persona e morta e altre 28 sono rimaste ferite. A riferirlo alla radio pubblica del Paese è stato un portavoce della polizia locale, precisando che gli attentati sono avvenuti ieri sera nella zona commerciale della città nei pressi di una stazione di autobus.
Marea nera
Pressing dell’amministrazione Obama sui vertici della British Petroleum in merito agli indennizzi che dovrà versare per la perdita di petrolio nel Golfo del Messico. La Casa Bianca ha chiesto “chiarimenti pubblici immediati” sulle reali intenzioni del colosso petrolifero. La Bp ha fatto sapere che sono 17 mila le persone impiegate nel tentativo di contenere le falle dalle quali continua a fuoriuscire greggio. Oltre all’applicazione di solventi si lavora per impiantare un tubo capace di aspirare il petrolio dal pozzo.
Vulcano Islanda
La nube di cenere del vulcano islandese continua a minacciare i cieli del nord Europa. Chiuso parte dello spazio aereo dell’Irlanda del Nord. Le autorità britanniche hanno bloccato i voli verso la regione fino a stasera. Esclusa la possibilità di estendere la misure anche in altre zone del Paese. Restano tuttavia aperti gli aeroporti di Londra, Belfast e Dublino, mentre in Islanda sarà chiuso per tutta la giornata lo scalo internazionale di Keflavik, a circa 40 chilometri dalla capitale Reykjavik. In Italia, invece, l’Enac, l’Ente nazionale per l’aviazione civile, ha comminato una multa da circa 3 milioni di euro alla compagnia irlandese Ryanair per non aver fornito assistenza – in 178 casi – ai passeggeri per i voli cancellati nei giorni scorsi.
Grecia
In Grecia cala la fiducia dei cittadini nella capacità del governo Papandreou di superare da solo l’emergenza. Lo affermano gli ultimi sondaggi che vedono comunque largamente favorito il partito socialista al potere. Intanto, Atene ha annunciato inchieste contro la corruzione politica per ristabilire credito nei confronti delle istituzioni. I principali sindacati hanno intanto convocato uno sciopero generale di 24 ore, il prossimo 20 maggio, contro la riforma che prevede di innalzare l’età pensionabile.
Afghanistan
In Afghanistan un soldato dell’Isaf ha perso la vita nel sud del Paese a causa di un attacco dei talebani, mentre ieri tre militari polacchi sono rimasti feriti in un’imboscata contro il convoglio su cui viaggiavano nella provincia di Ghazni. Ieri a Londra il presidente Karzai ha incontrato il neo primo ministro britannico Cameron il quale ha assicurato il sostegno del suo Paese per la stabilità e la sicurezza dell’Afghanistan. I due, che hanno parlato della conferenza internazionale in programma il prossimo 20 luglio a Kabul, hanno inoltre ribadito la necessità di rafforzare i rapporti bilaterali.
Pakistan
Liberati in Pakistan circa 40 ostaggi sequestrati ieri da sospetti militanti integralisti islamici al confine con l’Afghanistan. Altre 10 persone erano riuscite a fuggire, subito dopo la cattura. In queste ore nella regione del Khaiber c’è stato un nuovo attacco condotto da aerei senza piloti statunitensi. Il bilancio è di 5 morti, anche se fonti televisive locali parlano di 15 vittime.
Marcia Perugia-Assisi
C’è bisogno di un’altra cultura, che abolisca la paura, la mafia, la violenza, la censura, il razzismo, la guerra e l’egoismo. Creiamo un’altra cultura. E’ lo slogan principale della Marcia per la pace 2010, che si è svolta oggi da Perugia ad Assisi. Il servizio di Francesca Sabatinelli:
Pane, acqua e lavoro: sono le tre priorità dell’edizione 2010 della Perugia-Assisi, la Marcia per la pace. Un’occasione per ribadire i grandi temi del momento accanto ad una delle preoccupazioni degli organizzatori: la situazione in Italia. Oltre mille le adesioni, tra associazioni, reti, scuole ed enti locali. A camminare anche gli operai delle aziende in crisi, i familiari delle vittime sul lavoro, così come i testimoni di guerre e conflitti: dall’Afghanistan al Medio Oriente, dall’Iran all’Iraq. La testimonianza di Flavio Lotti, coordinatore della Tavola della Pace, tra i promotori della marcia:
R. – Oltre un miliardo di persone non ha il pane; un miliardo e trecento milioni di persone non hanno acqua da bere e c’è un’umanità intera che non ha un lavoro dignitoso. Noi abbiamo bisogno di riconoscere queste priorità e di metterle al centro delle nostre attenzioni dell’agenda politica ed anche dell’informazione.
D. – E’ tradizione della marcia soffermarsi su alcune urgenze particolari. Quest’anno ciò che vi preoccupa molto è l’Italia, perché?
R. – Sentiamo quasi un crollo di valori. Quello che si percepisce, un po’ tutti i giorni, è un clima di tensione, di angoscia, di preoccupazione certamente per il futuro, ma anche quasi di ostilità nei confronti di quelli che ci stanno accanto e che sono diversi da noi. Tutto questo ci sta facendo perdere anche la pace nel nostro Paese, perché non c’è pace quando qualcuno perde il lavoro; quando una persona non vede riconosciuti i propri diritti fondamentali.
Olanda-Libia
E' tornato in Olanda il piccolo Ruben, il bambino di nove anni unico sopravvissuto allo schianto dell’aereo nei pressi di Tripoli, avvenuto mercoledì scorso, nel quale hanno perso la vita i genitori e il fratello. A prendersi cura di lui saranno gli zii materni. Adesso si trova ricoverato in un ospedale del Paese, dopo le prime cure ricevute in strutture libiche. I familiari hanno chiesto massima riservatezza sulla vicenda. (Panoramica Internazionale a cura di Eugenio Bonanata)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIV no. 136
E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sulla home page del sito www.radiovaticana.va/italiano.