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Sommario del 15/06/2010

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa apre, stasera nella Basilica Lateranense, il Convegno diocesano romano su “Eucaristia domenicale e testimonianza della carità”
  • L’arcivescovo di Belo Horizonte, mons. Oliveira de Azevedo: la visita ad Limina rafforza il legame con il Successore di Pietro
  • Il cardinale Bertone: valorizzare il patrimonio culturale al servizio della missione della Chiesa
  • Messaggio del cardinale Turkson al Cnel: l’economia sia sempre al servizio della persona umana
  • Mons. Marchetto: si è ridotta la tendenza al riconoscimento dei diritti dei rifugiati. Allarme dell'Acnur: 43 milioni di persone in fuga da guerre e persecuzioni
  • Incontro in Vaticano della Commissione bilaterale permanente Santa Sede-Israele
  • Nuove sorprendenti scoperte nelle catacombe romane di Santa Tecla
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Il nunzio in Kirghizistan: rischio di catastrofe umanitaria nel Paese, dopo gli scontri interetnici
  • Calcio e non solo. I Mondiali in Sud Africa, occasione di progresso sociale
  • Chiesa e Società

  • Appello di Ban Ki-moon ai giovani per un maggiore impegno per la pace
  • Un appello per la comunità cristiana afghana perseguitata per la sua fede
  • Nigeria: Medici Senza Frontiere chiede di ripulire i terreni contaminati dal piombo
  • Senegal: rapporto Unicef sull’allarmante fenomeno delle violenze subite dalle bambine
  • I vescovi chiedono che il nuovo Congo sia costruito su valori etici ed evangelici
  • Bolivia: appello alla riconciliazione del vescovo di Oruro per le violenze di Uncia
  • Celam: le linee guida per l’inculturazione della catechesi fra le popolazioni latinoamericane
  • Filippine: i vescovi contro l’apertura nel Paese di nuovi casinò
  • Cina: la visita pastorale dei nuovi vescovi di Xiamen e di Hohhot
  • Il cardinale Bagnasco: i direttori degli uffici catechistici promuovano la fede in campo educativo
  • Premio Mediterraneo per il dialogo interreligioso al patriarca latino di Gerusalemme
  • Spagna: 'no' di mons. Osoro al laicismo radicale che converte la religione in 'parodia'
  • Austria: la Chiesa chiede di dare voce anche ai mendicanti
  • La solidarietà del Consiglio Ecumenico delle Chiese al popolo di Haiti
  • L’Aquila: la Caritas consegna altre due strutture alle comunità colpite dal sisma
  • Buoni risultati per le 50 scuole cattoliche senegalesi dell'arcidiocesi di Dakar
  • 24 Ore nel Mondo

  • Belgio: dopo le elezioni il re avvia le consultazioni per il nuovo governo
  • Il Papa e la Santa Sede



     Il Papa apre, stasera nella Basilica Lateranense, il Convegno diocesano romano su “Eucaristia domenicale e testimonianza della carità”

    ◊    Benedetto XVI parteciperà stasera, alle 19.30 nella Basilica Lateranense, all’apertura del Convegno diocesano romano, che conclude l’anno pastorale. L’evento ecclesiale è incentrato sul tema: “Si aprirono loro gli occhi, lo riconobbero e lo annunziarono. L’Eucaristia domenicale e la testimonianza della carità”. Il Convegno sarà aperto dall’intervento del cardinale vicario Agostino Vallini. Dopo il discorso del Pontefice, il direttore dell’Ufficio Catechistico e Servizio per il Catecumenato del Vicariato, mons. Andrea Lonardo, svolgerà la sintesi delle relazioni delle assemblee parrocchiali. Proprio mons. Lonardo si sofferma sull’importanza di questo Convegno diocesano, al microfono di Federico Piana:

     

    R. – Il Convegno è il momento che vede radunata sempre la Chiesa di Roma a giugno. E' un momento di organizzazione, di riflessione sull’anno passato e sull’anno che comincia, un momento a partire dal quale tutte le realtà lavorano poi già per l’anno che si apre.

     

    D. – Il titolo di quest’anno è: “Si aprirono loro gli occhi, lo riconobbero e lo annunziarono. L’Eucaristia domenicale e la testimonianza della carità". Perché è stato scelto questo tema?

     

    R. – Per ripartire proprio dall’essenziale, questa necessità, in un mondo in cui il cristianesimo sembra morto. Come i discepoli di Emmaus se ne vanno tristi, sembra non esserci più alcuno spazio ormai per Cristo e allora tornano alle proprie case. Invece, c’è proprio la riscoperta del Volto di Cristo, della sua presenza, della sua forza, della sua bellezza. I due temi che sono stati evidenziati, come i primi della verifica per partire con sempre più slancio missionario, sono quelli dell’Eucaristia e della carità, perché ciò che è secondario poi viene da sé, dopo che l’essenziale è stato sempre posto al centro.

     

    D. – E’ un Convegno nel quale si delineeranno anche le prospettive per la Chiesa di Roma. Che prospettive ci saranno, secondo lei?

     

    R. – Non posso anticipare niente, perché bisognerà vedere poi lo svolgimento, quello che dirà il Santo Padre. Quello che si può dire è che dalle parrocchie di sicuro emerge il grande valore dell’Eucaristia. Mi viene in mente che, nella Chiesa antica, l’Eucaristia era un po’ come il culmine della fede, si arrivava all’Eucaristia dopo un lungo cammino. Invece oggi, per certi aspetti, è la soglia. La porta è aperta: c’è un funerale, un Battesimo, la celebrazione di un matrimonio e vengono a volte persone non credenti o persone che da 20 anni non entrano in una chiesa e realmente si trovano dinanzi a qualcosa di grande, se è celebrato veramente con la fede, con lo spirito del Signore. La Chiesa di Roma sente il bisogno di riscoprire questa centralità, questa forza di annunzio dell’Eucaristia. Questo emerge da molte parrocchie: la grande esigenza che c’è in campo educativo di educare di nuovo all’interiorità, alla cura della contemplazione, del mistero di Dio. A volte le persone pensano di trovare la fraternità solo guardandosi tra di loro, invece nell’Eucaristia si accorgono che l’essere inginocchiati al momento della consacrazione li rende realmente un popolo. C’è una presenza più grande che sostiene la fatica della comunione, dell’amore, della carità.

     

    D. – Un annunzio che naturalmente deve coinvolgere anche i giovani laici...

     

    R. – E’ molto interessante notare che la liturgia e la carità hanno il potere di coinvolgere i giovani. Nelle parrocchie più vive, ogni giorno che passa, ogni mese aumenta il numero di giovani, mentre in altre questo non avviene. E allora c’è da fare un discernimento sul perché i giovani sono molto vicini alla liturgia, e non sono per niente lontani, se essa è offerta in tutta la sua vitalità. Lo stesso direi per la carità: dare se stessi, non solo nel parlare del Signore, ma nel donarlo poi dopo averlo incontrato, è qualcosa di veramente decisivo.

     

    D. – Il Convegno si aprirà alle 19.30, questa sera, con il Santo Padre e poi come proseguirà?

     

    R. – L’ascolto dell'intervento del Santo Padre è il momento più importante, più bello. C’è grande attesa. Tanti vivono il giorno di oggi con la gioia di poter stare con lui, di pregare insieme, di accoglierlo. Poi si tornerà a casa e il secondo giorno saremo tutti riuniti per ascoltare il cardinale Vallini. Traccerò una proposta per il cammino pastorale della diocesi di Roma dell’anno avvenire e il terzo giorno, che è il giovedì, sarà il momento della ricaduta nelle parrocchie, che sono chiamate a riflettere sulla proposta che viene dal Santo Padre e dal cardinale vicario, per rendere già operativo quello che viene offerto da questi due grandi momenti di relazione.


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     L’arcivescovo di Belo Horizonte, mons. Oliveira de Azevedo: la visita ad Limina rafforza il legame con il Successore di Pietro

    ◊    Prosegue in questi giorni la visita ad Limina dei vescovi del Brasile, Regione Leste 2, iniziata lo scorso 7 giugno. Per una riflessione sulle aspettative riposte in questo avvenimento e in particolare sull’importanza dell’incontro con il Papa, Cristiane Murray ha intervistato mons. Walmor Oliveira de Azevedo, arcivescovo di Belo Horizonte e presidente della Regione ecclesiastica Leste 2:

     

    R. – La visita ad Limina è un grande dono e come dono è soprattutto l’opportunità di crescere nella collegialità episcopale, nella comunione, nell’adesione feconda, sincera e profetica al Santo Padre. L’esperienza della visita ad Limina ci dà l’opportunità ricca di spiritualità di essere presenti qui a Roma guardando la testimonianza “martiriale” degli apostoli Pietro e Paolo, di tante persone che sinceramente lavorano, di tutto quello che la Chiesa significa nel contesto del nostro mondo nell’annuncio del Vangelo di Cristo. Vogliamo crescere nella gioia del nostro ministero episcopale e abbiamo bisogno di questa gioia e di questa forza perché abbiamo tante sfide e tante necessità.

     

    D. – Quindi sentite vicino il Papa?

     

    R. - Il Papa è vicinissimo a noi. Questo lui lo dimostra per l’eccellenza della sua persona, la tenerezza, la capacità di ascolto, di guardare negli occhi, di farci sentire che il suo cuore ci è vicino quando ci domanda, quando ci raccomanda, quando riflette, quando ci dà la vera esperienza di essere accolti da lui. L’importanza della vicinanza del Papa a noi è qualcosa di molto profondo. (A cura di Maria Brigini)


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     Il cardinale Bertone: valorizzare il patrimonio culturale al servizio della missione della Chiesa

    ◊    Come ogni Biblioteca ecclesiastica, “anche la vostra rientra nella categoria dei beni culturali della Chiesa” che “sono posti anzitutto al servizio della sua missione”: è quanto affermato stamani dal cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, all’inaugurazione dei nuovi locali della Biblioteca del Tribunale della Rota Romana. I “libri conservati nelle nostre biblioteche – ha affermato il porporato – accanto al valore storico e artistico, conservano anche quello spirituale”. Essi presentano, infatti, “un interesse storico, per il fatto di essere, a loro modo, testimoni di un determinato periodo della vita della Chiesa e delle comunità cristiane, che li hanno prodotti”.





    In molti casi, ha proseguito il cardinale Bertone, i libri hanno “un valore intrinseco di opera d’arte, essendo prodotti della tecnica e dello stile di un’epoca e, nel contempo, espressione del linguaggio della bellezza universale e intramontabile”. Questi libri, ha rilevato il porporato, “documentano il livello spirituale degli ambienti che ne sono all’origine, perché sono espressione delle differenti forme di comprensione del dato culturale e teologico che li hanno ispirati e ai quali sono destinati”. Il cardinale Bertone non ha mancato di ringraziare la comunità del Tribunale della Rota Romana, chiamata a collaborare con la Santa Sede nell’attività giudiziaria.


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     Messaggio del cardinale Turkson al Cnel: l’economia sia sempre al servizio della persona umana

    ◊    Mettere la persona al centro dei processi economici: è l’esortazione del cardinale Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio “Giustizia e Pace”, contenuta in un messaggio al Convegno del Cnel sull’imprenditorialità sociale, tenutosi ieri pomeriggio a Roma. “È convincimento profondo del Pontefice – si legge nel messaggio del porporato – che l’economia può essere a servizio dell’uomo e della società quando, in particolare, sia animata da un’etica della gratuità fraterna”. All’incontro è intervenuto anche mons. Mario Toso, che ha messo l’accento sulla dimensione della fraternità nell’economia. Il segretario di “Giustizia e Pace” ha invocato inoltre la realizzazione di un nuovo ordine politico internazionale che, in un mondo sempre più globalizzato, promuova un’economia al servizio della persona. Ha seguito l’evento per noi Emanuela Bambara:

     

    “La Chiesa, a fronte dei grandi poteri che colpiscono soprattutto i più poveri, intende collaborare con gli Stati e le istituzioni civili per la definizione di una nuova governance mondiale, fondata sulla responsabilità e sulla partecipazione di tutti”. Questo il messaggio inviato dal cardinale Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, agli organizzatori del Convegno su “L’imprenditorialità sociale”, che si è tenuto ieri a Roma, al Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro. Nella sessione plenaria, sono intervenuti, con il presidente del Cnel, Antonio Marzano, il segretario del Pontificio Consiglio “Giustizia e Pace”, mons. Mario Toso, il cancelliere della Pontificia Accademie delle Scienze Sociali, mons. Marcelo Sanchez Sorondo, e il segretario generale dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo sociale, Angel Gurria. “L’umanità è entrata in una nuova fase, all’ombra di un nuovo capitalismo planetario”, è stato sottolineato, e in questo contesto di crisi e di radicali trasformazioni, l’imprenditoria sociale indica la giusta strada da percorrere, per la definizione di nuove regole e per una nuova alleanza tra etica ed economia. Per mons. Toso, oggi si registra “un’asimmetria tra il mondo economico globalizzato e la politica” ed è proprio questa asimmetria la radice della crisi, dovuta all’assenza di regole e controlli. Dunque, la politica è chiamata a “recuperare il controllo”, per la costruzione di “un nuovo ordine mondiale” e per “una riforma del sistema economico e finanziario”, che restituisca all’etica il posto che le compete.

     

     

    “Oggi – ha affermato Antonio Marzano – pur non avendo concorrenti, nelle economie pianificate, l’economia tradizionale di mercato è in crisi ed è caratterizzata dall’incertezza, soprattutto per chi è ai margini dell’attività economica: anziani, giovani e disoccupati”. Eppure, “manca un progetto per l’Occidente”. In questo contesto “la questione del comportamento degli operatori del mercato è fondamentale”. La “ripresa economica è fragile e lenta”, ha avvertito il segretario generale dell’Ocse, Angel Gurria. “La disoccupazione resterà a lungo a livelli alti, intorno al 10 per cento”. Eppure, “bisogna ripristinare la fiducia”. E l’imprenditoria sociale, spesso “in tandem con l’innovazione sociale”, è uno degli “strumenti strategici del rinnovamento economico, per promuovere responsabilità e partecipazione”, e “un progresso umano non calcolabile soltanto in termini di Pil”. Nel 2009, in Italia hanno operato 15mila imprese sociali, con oltre 150 mila lavoratori. “L’imprenditoria sociale – ha concluso Gurria – accende luci di speranza per il futuro”.


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     Mons. Marchetto: si è ridotta la tendenza al riconoscimento dei diritti dei rifugiati. Allarme dell'Acnur: 43 milioni di persone in fuga da guerre e persecuzioni

    ◊    Alla fine del 2009, sono state più di 43 milioni le persone costrette ad abbandonare le loro case per fuggire da guerre e persecuzioni. Il numero complessivo di rifugiati è di oltre 15 milioni. E’ quanto emerge dal rapporto 2010 dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Acnur). Il servizio di Amedeo Lomonaco:

     

    Lo studio pubblicato oggi, in vista della Giornata Mondiale dei Rifugiati che si celebrerà il prossimo 20 giugno, evidenzia due preoccupanti tendenze: nel 2009 il numero di persone costrette alla fuga è il più alto dalla metà degli anni novanta e quello dei rifugiati rientrati spontaneamente a casa è il più basso degli ultimi venti anni. Ad aggravare lo scenario si aggiunge la mancanza di segnali che facciano presagire una soluzione per i principali conflitti in corso, come quelli in Afghanistan, Somalia e Repubblica Democratica del Congo. Altri conflitti che sembravano vicini ad una svolta pacifica, come quelli in Sud Sudan e in Iraq, sono tuttora stagnanti. Le conseguenze sono allarmanti: nel 2009 i rifugiati che sono rientrati spontaneamente nelle loro case sono 251 mila. La media annuale nell’ultimo decennio era invece di circa un milione di rimpatriati. La maggior parte dei rifugiati sono poi in esilio da cinque o più anni. Sono, in particolare, almeno 5 milioni e mezzo i rifugiati di competenza dell’Acnur in situazioni di esilio protratto. E’ cresciuta inoltre del 4% la percentuale di sfollati, ovvero di persone in fuga da conflitti all’interno del proprio Paese. Questo incremento è dovuto soprattutto al perdurare di scontri nella Repubblica Democratica del Congo, in Pakistan e Somalia. Tra i Paesi dell’Unione Europea, la Germania accoglie quasi 600 mila rifugiati e il Regno Unito oltre 270 mila. In Italia, il dato è nettamente più basso: i rifugiati sono circa 55 mila. Nel rapporto si sottolinea che in Italia la diminuzione nel 2009 di domande d’asilo di quasi la metà rispetto all’anno precedente può essere anche “attribuita alle politiche restrittive attuate nel Canale di Sicilia” dalle autorità italiane e libiche. Questo netto calo – si osserva nel rapporto – dimostra come “i respingimenti, anziché contrastare l’immigrazione irregolare abbiano gravemente inciso sulla fruibilità del diritto di asilo in Italia”. 



    L’accoglienza, e non il respingimento, risponde ai principi del diritto umanitario. A ribadirlo, a pochi giorni dalla Giornata Mondiale dei Rifugiati del 2010, è l’arcivescovo Agostino Marchetto, segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale per i migranti e gli itineranti. Il presule, intervistato da Fabio Colagrande, si sofferma sulla drammatica situazione dei rifugiati:

     

    R. - Se guardiamo ai numeri - certo - sono impressionanti. Direi inoltre che c’è un po’ la tendenza al restringimento di quello che è il riconoscimento dei diritti, nel concreto, dei rifugiati e dei richiedenti asilo. Per quanto riguarda l’Europa, ci troviamo in alterne vicende. Almeno c’è questo Fondo europeo per i rifugiati. Con una recente risoluzione del Parlamento europeo, viene espresso il desiderio di contribuire a finanziare i Paesi che ospitano i rifugiati, anche se sono solo 12 gli Stati membri che hanno aderito a questo fondo. La preoccupazione è che i flussi sono misti: non ci sono cioè solo migranti - diciamo economici - ma ci sono anche migranti forzati. Questo crea certamente delle difficoltà ai Paesi che devono accogliere, ma crea anche difficoltà per noi. Anche i finanziamenti non è facile che raggiungano i loro scopi. I fondi disponibili non consentiranno poi di raggiungere tutti i profughi e tutti i rifugiati che ci sono e che - riferendoci all’Europa - dovrebbero essere circa mezzo milione. C’è, quindi, qualche aspetto che migliora e c’è qualche aspetto che continua ad essere grave.

     

     

    D. - Eccellenza, la chiusura dell’Ufficio dell’Alto Commissariato Onu per i rifugiati di Tripoli, in Libia, è un segnale preoccupante per quanto riguarda questo tema?

     

     

    R. - In questo contesto, è giunta a rattristarci proprio la notizia che in Libia sono stati chiusi i battenti dell’Alto Commissariato. Questo rende ancor più grave la questione dei respingimenti nel Mar Mediterraneo ed anche più difficile l’applicazione del principio del "non-refoulement"(non respingimento) in tale ambito. E’ di questi giorni, ancora, l’ultimo caso di un barcone, anche con un bambino di pochi mesi a bordo, in cui c’è stato - diciamo - un rimpallo di competenze e responsabilità anche tra Italia e Libia. Dunque c’è una realtà che ci preoccupa. Personalmente mi associo all’auspicio di Franco Frattini, ministro italiano degli Affari Esteri, di un dialogo per la riapertura di questo canale, che era esistente in Libia dell’Alto Commissariato Onu per i rifugiati. Vorrei anche aggiungere che in Africa vige la Convenzione dell’Organizzazione dell’Unità Africana del 10 settembre del 1969, che regola aspetti specifici del problema dei rifugiati in quel continente, in aggiunta ad elementi della Convenzione del ’51 e del Protocollo del ’67, che dilatano beneficamente la definizione di rifugiato. Anche di recente poi l’Unione Africana si è riunita per discutere dei rifugiati in una prospettiva positiva.


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     Incontro in Vaticano della Commissione bilaterale permanente Santa Sede-Israele

    ◊    Ha avuto luogo questa mattina in Vaticano la riunione della Commissione bilaterale permanente di lavoro tra la Santa Sede e lo Stato d’Israele. La riunione plenaria si è svolta in un clima costruttivo. La delegazione della Santa Sede era guidata da mons. Ettore Balestrero, sotto-segretario per i Rapporti con gli Stati mentre quella israeliana, dal vice-ministro degli Esteri Daniel Ayalon. Nel corso dell’incontro sono stati esaminati i progressi compiuti in vista della prossima Plenaria chiamata a concludere l’Accordo fondamentale. Plenaria prevista per il 6 dicembre presso il Ministero degli esteri israeliano, mentre il prossimo incontro di lavoro avrà luogo il 27-28 luglio prossimi.


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     Nuove sorprendenti scoperte nelle catacombe romane di Santa Tecla

    ◊    Ad un anno dalla notizia, apparsa su L’Osservatore Romano, della scoperta nelle catacombe romane di Santa Tecla della più antica icona di San Paolo, i responsabili della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra presentano altre sorprendenti scoperte effettuate dai restauratori nel cubicolo della medesima catacomba. Nella volta dell’ambiente sono comparse, attraverso l’uso del laser, altre effigi di immagini sante, che si pongono anch’esse come le più antiche del genere. Le importanti scoperte saranno illustrate in una conferenza stampa, che si terrà il 22 giugno alle ore 11.30 presso la Basilica di San Paolo fuori le mura. All’evento, parteciperà, tra gli altri, mons. Gianfranco Ravasi, presidente della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra.


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     Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊    In prima pagina, un fondo di Robert Imbelli dal titolo “L’audacia di Dio e l’opposizione del nemico”.



    Verso nuovi paradigmi di azione economica: nell’informazione internazionale, il vice presidente dell’Ocse Leed, Michele Dau, su una conferenza, a Roma, dedicata all’imprenditorialità sociale.



    La libertà di giudizio che solo un romanista può avere: in cultura, Paolo Vian su monsignor Giovanni Antonazzi il curiale (che amava Leone XIII) e don Giuseppe De Luca.



    Trent’anni fa usciva nelle sale cinematografiche degli Stati Uniti “The Blues Brothers” e fu (quasi) subito leggenda: l’articolo di Emilio Ranzato “In missione per conto di Dio” e di Giuseppe Fiorentino e Gaetano Vallini “La più bella colonna sonora della storia del cinema”.



    Appunti dal Mondiale: Damiano Tommasi sul sorriso di Simon Busk Poulsen, alla sua sesta presenza nella nazionale danese, nella partita più importante della sua carriera.



    Un articolo di Maurizio Sannibale dal titolo “Il ritorno delle ceramiche migranti”: nuove sezioni del museo etrusco di Villa Giulia a Roma.



    Nell’informazione religiosa, Giovanni Zavatta intervista Ali Hassoun, primo artista musulmano, nella storia del Palio di Siena, a dipingere lo stendardo di seta che viene assegnato come premio alla contrada vincitrice.



    Nell’informazione vaticana, un articolo di Gianluca Biccini dal titolo “L’economia reale prevalga sulla finanza opaca”: la lettura della crisi proposta dalla Pontificia Accademia delle Scienze Sociali.


    Il cardinale Tarcisio Bertone inaugura i nuovi locali della biblioteca della Rota Romana.

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    Oggi in Primo Piano



     Il nunzio in Kirghizistan: rischio di catastrofe umanitaria nel Paese, dopo gli scontri interetnici

    ◊    Sempre allarmante la situazione in Kirghizistan, malgrado la relativa calma di queste ore. Il governo provvisorio di Bishkek teme che le violenze possano estendersi in tutto il Paese, mentre cresce il numero di profughi. Il servizio di Eugenio Bonanata:

     

    Ha raggiunto quota 275 mila il numero di profughi in Kirghizistan. Di questi, 75 mila sono riusciti ad arrivare in Uzbekistan mentre gli altri si trovano nella zona di frontiera. La stima, fornita oggi dall’Onu, non convince le stesse autorità kirghize mentre quelle uzbeke hanno chiuso definitivamente i confini perché hanno detto di non essere in grado fornire altra accoglienza. Nessuna risposta pratica, almeno per il momento, alla richiesta urgente di aiuti per i feriti avanzata in queste ore. Una prima squadra di soccorso internazionale dovrebbe partire a breve da Dubai. Dal Palazzo di Vetro è arrivata la condanna degli scontri, che, ha affermato l’Alto Commissariato per i diritti umani – “sembrano bene orchestrati, mirati e pianificati”. La Casa Bianca cerca un’azione internazionale coordinata. Per questo mantiene contatti costanti con il governo provvisorio del Kirghizistan e con la Russia. Le due super potenze mondiali guardano anche alle proprie basi militari nel Paese - per ora al riparo - ma hanno escluso un intervento militare che potrebbe invece essere deciso nell’ambito Consiglio di sicurezza delle ex repubbliche sovietiche. Questa opzione è stata però rifiutata dal governo provvisorio, che, pur temendo l’estensione delle violenze anche al nord, ha confermato che il 27 giugno prossimo ci sarà il referendum sulla costituzione. L’ex presidente Bakiyev ha smentito il suo coinvolgimento nella tragedia in atto. Ma suo figlio è stato arrestato in Gran Bretagna, dove aveva tentato di fuggire. Bishkek ha già chiesto la sua estradizione, accusandolo di aver finanziato e fomentato la rivolta. 



    L’ultimo bilancio ufficiale delle violenze di questi giorni, fornito dalle autorità locali, è di 170 vittime, anche se l’insicurezza sul terreno non consente stime precise. Ma per una testimonianza diretta dal Paese, la nostra collega del programma francese, Marie Duahmel ha intervistato il nunzio apostolico in Kirghizistan e Kazakhstan, mons. Miguel Maury Buendía:

     

    R. – Ho saputo che ad Osh c’è una situazione di catastrofe umanitaria assoluta: non c’è luce, non c’è gas, non c’è acqua, non c’è cibo al mercato. Ieri i russi sono arrivati con aiuti umanitari per la gente, ma le persone hanno molta paura di andare in piazza perché per la strada vengono assaliti da gruppi di banditi. Ci sono centinaia di uzbeki che sono fuggiti in Uzbekistan; ci sono decine di morti. A Jalalabad, due giorni fa, ci sono stati 47 morti. Gli uzbeki non vanno negli ospedali perché hanno paura. Quindi, non si sa quanti feriti ci siano dalla parte uzbeka, perché rimangono a casa e tentano di curarsi a casa. Ognuno dà le cifre che vuole. Quindi, è difficile stare alle cifre ufficiali o alle cifre che dicono i rifugiati, in quanto a numero di morti.

     

    D. – Quali sono le cause di queste violenze?

     

    R. – Le cause sono gli odi etnici. Le cause etniche sono cause ataviche. La gente vive in una situazione di miseria, ma, nella miseria, gli uzbeki che lavorano di più forse stanno meglio e questo genera l’invidia degli altri. Poi si dice che ci sia interesse di provocare una guerra civile o almeno una situazione di instabilità. Il governo non sembra in grado di mantenere la calma e alcuni di quelli che dovrebbero mantenere la calma, a quanto pare, si sono messi anche a sparare contro gli uzbeki. Quindi, la situazione è davvero caotica. (A cura di Maria Brigini) 



    Una delle grandi emergenze, dunque, è ora quella umanitaria. Ma il governo provvisorio kirghizo potrà far fronte ad una crisi di tali proporzioni? Risponde Aldo Ferrari, responsabile ricerche su Caucaso e Russia dell’Istituto di politica internazionale Ispi di Milano, intervistato da Giada Aquilino:

     

    R. - Direi sicuramente di no. Bisogna tener presente che il Kirghizistan è appena uscito - due mesi fa - da una transizione di potere traumatica e violenta. Sicuramente il governo ad interim è ancora molto debole, non strutturato. Si tratta del governo di un Paese quanto mai povero e disorganizzato, che non è in grado di fronteggiare né l’emergenza profughi, né la crisi politica.

     

    D. - Ad inizio aprile, alcuni osservatori avevano ipotizzato che dietro l’uscita di scena del presidente Bakiyev ci fosse la Russia; ora il governo provvisorio sospetta che l’esplosione delle violenze tra kirghizi e minoranza uzbeka sia stata pianificata per destabilizzare il governo provvisorio. Potrebbero esserci strategie mirate in questa crisi?

     

    R. - Sono un po' perplesso di fronte a queste accuse abbastanza facili. La Russia è l’attore che nell’aria centroasiatica gioca ancora un ruolo principale, perché è rimasta presente negli ultimi anni nonostante l’indipendenza; il russo è tuttora la lingua di comunicazione più diffusa e Mosca ha molta influenza sia politica sia economica. Francamente, in questo caso, io credo che la Russia sia abbastanza imbarazzata da una situazione che non riesce a controllare, tanto è vero che - almeno per il momento - nonostante la richiesta pressante d’intervento militare ha prudentemente rifiutato. Non credo al fatto che, ogni azione che avvenga all’interno di un Paese, vada immediatamente attribuita ad uno dei Paesi che influiscono sull’area. In realtà, ci sono motivazioni interne: c’è una questione socioeconomica molto forte. A differenza di altri Paesi dell’Asia Centrale, il Kirghizistan è praticamente privo di risorse economiche, non ha risorse di energia, ha un’economia quanto mai precaria. Ha sperato anni fa, con la cosiddetta “rivoluzione di Bakiyev”, di migliorare tanto in termini di democratizzazione quanto in termini economici, ma questa speranza è andata delusa. C’è stato poi un rivolgimento due mesi fa: si sperava che Rosa Otumbajeva - anche perché la sua figura era molto rispettabile - portasse a forti miglioramenti, che nel sud soprattutto la minoranza uzbeka non ritiene di aver visto. Non bisogna mai dimenticare poi che questo Paese ha la caratteristica di aver una base russa a poca distanza da una base statunitense. E’ un Paese che, in un’area geopolitica molto delicata come questa centroasiatica, rimane una sorta di unicum e rimane un Paese che non ha ancora risolto molte delle sue contraddizioni interne.


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     Calcio e non solo. I Mondiali in Sud Africa, occasione di progresso sociale

    ◊    Goal ed emozioni ai Mondiali di calcio in Sud Africa. Oggi l’atteso esordio del Brasile contro la Corea del Nord e la sfida tra Portogallo e Costa d’Avorio. Ieri sera, intanto, l’Italia campione in carica ha pareggiato 1-1 contro il Paraguay, mentre l’Olanda ha battuto la Danimarca 2-0. Evento non solo sportivo, i primi Mondiali di Calcio in Africa hanno anche un significato sociale particolare. Il calcio, infatti, è stato uno strumento di emancipazione dei neri sudafricani negli anni bui dell’apartheid. E’ quanto sottolinea Angelo Inzoli, collaboratore del mensile dei gesuiti italiani, “Aggiornamenti Sociali”, intervistato da Luca Collodi:

     

    R. – Bisogna dire che durante il periodo dell’apartheid l’élite nera non aveva grandi possibilità di svilupparsi se non nel calcio, che è diventato in fondo una specie di "area grigia" di non presenza della politica, di una politica segregazionista, che certamente impediva di avere delle squadre miste, ma che lasciava in qualche modo agli africani la possibilità di organizzarsi. E lì è nato in fondo quel nucleo, quell’élite: è nato in uno spazio di dibattito politico e anche di coagulazione di forze economiche, che poi, dopo gli anni ’90, sono entrate a titolo pieno come i protagonisti nel Paese. Quindi, il calcio ha avuto veramente un ruolo importante nello sviluppo, nella nascita del Sud Africa moderno.

     

    D. – Tra l’altro, proprio il calcio, al tempo dell’apartheid, era una realtà dove la popolazione nera poteva in qualche modo esprimersi senza condizionamenti...

     

    R. – Effettivamente, bisogna anche dire che le condizioni di vita, soprattutto in quello che noi oggi chiamiamo Soweto, e che è uno dei grandi quartieri operai del Sud Africa, in questi cantieri, in queste miniere e piantagioni, si trova proprio nel calcio un’occasione di festa. C'è un’occasione di incontro, un’occasione di espressione che, abbiamo visto anche nel concerto inaugurale, fa parte in generale, culturalmente, del popolo africano: la possibilità di esprimersi, di danzare, di muoversi. Quindi, questo sta diventando un luogo particolarmente importante, al di là dei risultati, perché il calcio sudafricano è stato per molto tempo un mondo a sé e l’ingerenza della comunità internazionale, durante l’apartheid, ha un po’ relegato il mondo sportivo sudafricano in un angolo, in un mondo a sé. (Montaggio a cura di Maria Brigini)


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    Chiesa e Società



     Appello di Ban Ki-moon ai giovani per un maggiore impegno per la pace

    ◊    “Tra cento giorni, il mondo celebrerà la Giornata internazionale della pace, giorno in cui ci auguriamo che i conflitti armati si fermino: chiediamo ai combattenti di rispettare il cessate il fuoco e riaffermiamo il nostro impegno per la non-violenza e la risoluzione pacifica delle dispute”. Così, in una nota diffusa ieri, il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, si è rivolto a tutti i Paesi coinvolti in conflitti di qualsiasi genere, con la speranza che la tregua del 21 settembre, in occasione della Giornata della pace, si protragga a lungo e che i conflitti si riescano a risolvere pacificamente. “I giovani - continua il segretario generale Onu citato dal Sir - giocano già un ruolo cruciale nella costruzione della pace, ma possono fare ancora di più. Proprio per questo li esorto ad approfondire il loro lavoro, condividere piani e idee con creatività e passione, poiché il destino del mondo sarà presto nelle loro mani”. Ban Ki-moon conclude il suo appello spiegando che “a cento giorni da questo evento soltanto in un contesto pacifico i giovani posso esprimere a pieno il loro potenziale ed esclusivamente loro possono iniziare a costruire oggi la pace nel mondo”. (M.G.)


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     Un appello per la comunità cristiana afghana perseguitata per la sua fede

    ◊    Si leva dall’India l’appello rivolto a tutte le comunità cristiane del mondo per salvare un gruppo di afghani che il 31 maggio sono stati condannati a morte per essersi convertiti al cristianesimo. VijayKumar Singh, della India Bible Publishers e della Delhi Bible Fellowship, spiega ad AsiaNews che “occorre l’aiuto dei cristiani di tutto il mondo per fermare il governo afgano che arresta i cristiani afgani e li condanna a morte per esecuzione pubblica”. Secondo quanto riferisce Singh, l’emittente locale Noorin TV in un documentario trasmesso il 27 maggio ha mostrato fotografie e riprese video di persone “convertite in segreto al cristianesimo”, rivelandone nomi e volti. Tanto è bastato per causare proteste e dimostrazioni di piazza, per chiedere l’applicazione rigida della legge islamica, che prevede l’arresto e l’esecuzione per chi abiura l’islam per un’altra fede. L’indignazione popolare è stata cavalcata da personalità pubbliche che hanno chiesto immediati interventi, arrivando ad affermare che uccidere un islamico convertito al cristianesimo “non è un delitto”. Waheed Omar, portavoce del presidente Hamid Karzai, ha assicurato che egli ha già predisposto accertamenti e “compirà azioni immediate e serie per prevenire simile fenomeno”. Sono seguiti fermi in tutto il Paese, con torture agli arrestati per far confessare la fede cristiana ed estorcere il nome di altri convertiti. Singh denuncia inoltre “il preoccupante silenzio dei media” e chiede una ferma presa di posizione dei cristiani di tutto il mondo. L’esponente dell’India Bible Publishers rivela quindi una lettera scritta da Obaid S. Christ, della Comunità cristiana afgana (Acc), un piccolo gruppo di circa 150 cristiani profughi in India in cerca di asilo. Obaid spiega che tutti loro devono vivere in esilio “per salvare le vite proprie e delle famiglie, per l’ordine di esecuzione emanato dal governo per la conversione al cristianesimo”. “Il ministro afgano dell’Interno e il presidente della Intelligence – si legge ancora nella lettera - hanno detto al parlamento che quattro afgani cristiani e una famiglia sono stati arrestati, che 13 associazioni sono state sospese, che l’Intelligence afgana ha un elenco di cristiani afgani che vuole arrestare”. “Le nostre abitazioni sono controllate dalla polizia, le nostre famiglie e i genitori sono sotto indagine e alcuni sono stati arrestati, tutti i cristiani afgani sono dispersi”. Per questo la Comunità cristiana afgana chiede a tutti i cristiani di “non  restare silenziosi e non chiudere gli occhi mentre migliaia di fratelli sono perseguitati”; ma di pregare per i cristiani afgani e di “far sentire la loro voce alla comunità internazionale perché chieda al governo afgano di fermare le persecuzioni e le esecuzioni, concedere la libertà religiosa e rispettare e accettare i cristiani afgani”. (M.G.)


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     Nigeria: Medici Senza Frontiere chiede di ripulire i terreni contaminati dal piombo

    ◊    Con l’approssimarsi della stagione delle piogge 'Medici senza frontiere' lancia l’allarme per i villaggi della Nigeria contaminati dal piombo. In alcune aree dello stato dello Zamfara le attività di estrazione dell'oro si svolgono al centro dei centri abitati villaggi quindi il piombo utilizzato si trova ovunque, nella terra che viene coltivata, sulla quale tutti si sdraiano per dormire, nell'aria che si respira, nell'acqua che si beve, e i bambini che giocano all’aria aperta, le prime e più numerose vittime della contaminazione. Al momento l'organizzazione non governativa è presente nello Stato nord-occidentale con una squadra di medici che ha allestito un centro sanitario a Bukkuyum, a circa 80 chilometri dalla zona contaminata dal piombo, e sta curando una quarantina di bambini in pericolo di vita. Isabelle Jeanson, responsabile per la comunicazione di 'Medici senza frontiere', spiega alla Misna che “le cure consistono in una terapia di un ciclo o due di una durata di un mese ciascuno, alle quali i piccoli pazienti vengono sottoposti a una certa distanza dei siti inquinati altrimenti non funzionerebbero”. Per quanto riguarda l'inquinamento ambientale, l'intervento cruciale per la sopravivenza di chi abita ancora nei villaggi è svolto dalle autorità nigeriane con l'aiuto di esperti internazionali come quelli del Centro statunitense per il controllo e la prevenzione delle malattie (il Cdc, con sede ad Atlanta) che ripuliscono i terreni contaminati. Ma con l'avvicinarsi della stagione delle piogge è necessario accelerare queste operazioni visto che l'acqua potrebbe spostarli. Intanto il governo federale ha annunciato di aver confiscato le apparecchiature utilizzate dai locali per estrarre l'oro, una ricerca che svolgono lungo i corsi d’acqua e in improvvisate miniere illegali dove sono completamente assenti le più elementari norme di sicurezza. All’estrazione legale, si affianca già da tempo quella informale che vede anche i poveri contadini portar via i blocchi di pietra da frammentare e trattare per estrarne l'oro potenziale. In questo caso, i frammenti trasportati a Dareta e in altri villaggi della zona, contenevano una concentrazione di piombo particolarmente elevata: un metallo che se viene respirato o ingerito penetra facilmente nel sangue e blocca la produzione di emoglobina, che trasporta l'ossigeno agli organi. I bambini sono i più vulnerabili dal punto di vista della salute: secondo i bilanci ufficiali diffusi finora su 163 vittime 111 sono minori. Più allarmanti le cifre riferite dal quotidiano nigeriano 'Sunday Tribune', secondo cui le vittime sarebbero tra le 250 e le 300, soprattutto bambini e donne, di cui alcune incinte hanno anche abortito a causa delle esalazioni di piombo. Il giornale nigeriano sostiene che il bilancio potrebbe ulteriormente aggravarsi nei prossimi mesi visto che minatori illegali originari dagli Stati frontalieri di Kaduna, Kaduna, Katsina, Niger e Sokoto sono già venuti a Zamfara in cerca di oro. A essere stati uccisi sono stati anche 200 capi di bestiame che pascolavano nelle vicinanze dei villaggi dove i tassi di piombo rilevati da esperti erano tra le 23 e le 125 volte superiori a quelli consentiti dalle norme internazionali nelle zone abitative. Motivo per cui secondo il Cdc si tratta di un avvelenamento che non ha precedenti nella storia per estensione e gravità. (M.G.)


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     Senegal: rapporto Unicef sull’allarmante fenomeno delle violenze subite dalle bambine

    ◊    Secondo un gruppo di ricercatori della Casamance, regione meridionale del Senegal, la sicurezza delle bambine dipende dalla volontà dalle famiglie di parlare delle violenze sessuali. Da uno studio dell’Unicef e dell’Università di Ziguinchor, emerge una violenza molto diffusa contro le bambine tra i 10 e i 13 anni di età. A Kolda, Sédhiou e Ziguinchor, la famiglia, le pressioni sociali e culturali alimentano il silenzio e l’impunità. Essendo venuti a conoscenza di tanti casi di gravidanze precoci e di violenze nelle scuole e dintorni, l’Unicef, nel 2008 e 2009, ha avviato e condotto questa ricerca per avere un quadro più dettagliato della natura, della portata e delle cause di questo fenomeno. “E’ quanto mai urgente che i tabù che circondano la violenza sessuale vengano messi in luce nella società e soprattutto nella famiglia,” si legge nel rapporto, riferisce l’agenzia Fides. In questa cultura l’onore familiare è un fattore importante. Si pensa innanzitutto a salvare la faccia tra gli adulti; la gente non pensa alle conseguenze gravissime che queste povere bambine si porteranno per tutta la vita. In alcuni casi, anche se vogliono reagire spesso tendono a risolvere la questione in casa. Inoltre, le famiglie non vogliono parlare degli “accordi” tra i membri delle famiglie stesse e gli autori delle violenze, rendendo difficoltosa l’apertura al dibattito su questo problema e il suo impatto all’interno della comunità. In molti casi l’aggressore è un membro stesso della famiglia. Le ragazze sono destinate al matrimonio, per questo le famiglie non vogliono che vengano lasciate sole ed emarginate. L’impatto culturale negativo sulle ragazze non riguarda solo i casi di violenze sessuali, ci sono purtroppo altre pratiche altrettanto violente come il matrimonio forzato in giovane età, le gravidanze premature e la mutilazione genitale. Sono riti e pratiche che fanno parte di credenze religiose e tradizionali e non è semplice sradicarle. Nel rapporto si sottolinea il fatto che le istituzioni sanitarie, quelle dell’istruzione e i servizi sociali devono lavorare insieme per combattere ogni forma di violenza contro i bambini. Le due istituzioni fanno appello a migliorare l’educazione sulle violenze sessuali e sui diritti infantili sia per i piccoli che per gli adulti, fornendo assistenza legale alle vittime, e rinforzare i servizi sociali per le ragazze traumatizzate dalle violenze. (R.P.)


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     I vescovi chiedono che il nuovo Congo sia costruito su valori etici ed evangelici

    ◊    “Il nuovo Congo sarà costruito sui valori etici ed evangelici”: ha concluso con queste parole mons. Marcel Utembi Tapa, arcivescovo di Kisangani, il colloquio internazionale sul cinquantesimo anniversario della Repubblica Democratica del Congo, organizzato dal 9 al 12 giugno a Kinshasa, dalla Conferenza episcopale nazionale del Congo. L’incontro, organizzato allo scopo di indicare un cammino spirituale autentico per un benessere condiviso, si è svolto all’Università cattolica. Durante i lavori sono state elaborate risoluzioni e raccomandazioni ed è stato sottolineato che se il Paese ha raggiunto l’indipendenza, questa comunque resta un compito permanente, con sfide che richiedono discernimento per nuovi impegni della Chiesa e dello stato. Alcune di queste sfide per la Chiesa sono: catechesi appropriate, formazione dei laici e soprattutto dei giovani. Per la diffusione di documenti ed insegnamenti della Chiesa, l’idea è quella di organizzare incontri in cattedrali e cappelle. I partecipanti alla conferenza hanno anche dedicato parte dei lavori alla preghiera, ricordando in particolare tutti gli operatori dell’evangelizzazione: vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose, catechisti e tutte le vittime delle guerre. Padre Léonard Santedi, segretario generale della Conferenza episcopale ha pregato perché Dio susciti nella Repubblica Democratica del Congo politici santi che possano lavorare per lo sviluppo della nazione e che possano essere, in nome della loro fede, sale e luce del mondo. (T.C.)


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     Bolivia: appello alla riconciliazione del vescovo di Oruro per le violenze di Uncia

    ◊    “I fatti di Uncia sono deprecabili, è un crimine che non si deve ripetere mai più, i linciaggi che viviamo in diversi luoghi, soprattutto nelle aree rurali e nei quartieri poveri, non possono accadere”: sono le parole tratte dalla dichiarazione di mons. Krzysztof Bialasik, vescovo di Oruro, di cui è pervenuta copia all’agenzia Fides, che denuncia i terribili fatti verificatisi ad Uncia in Bolivia, dove gli abitanti del paesino di Saca Saca hanno torturato e ucciso 4 poliziotti. L’organo di informazione della Conferenza episcopale della Bolivia afferma che mentre le autorità governative stanno conducendo le indagini per accertare i fatti, ciò che è certo è che quattro vite sono state perdute e si è allungato l'elenco delle persone che soffrono le conseguenze di tali azioni violente in nome della cosiddetta "giustizia comunitaria". In questo senso, mons. Bialasik ha messo anche in evidenza che “non è possibile che alcun governo e le istituzioni della società possano accettare queste azioni, è necessario un lavoro urgente per prevenire questo genere di fatti, evitando che possano continuare a far piangere le famiglie boliviane.” Secondo la stampa locale la situazione è ancora molto tesa, perché gli indigeni della zona non vogliono far entrare i governatori per investigare e hanno annunciato una marcia verso La Paz per presentare altre richieste. Il comandante generale della polizia, generale Oscar Nina, ha detto che “non c'è nessun motivo per impedire la presenza della polizia o delle autorità richiamate dalla legge nella zona” e ha detto che troverà gli assassini dei quattro uomini della polizia. (R.P.)


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     Celam: le linee guida per l’inculturazione della catechesi fra le popolazioni latinoamericane

    ◊    Dio, Vangelo e culture latinoamericane sono i tre pilastri per procedere nell’inculturazione della catechesi volta a formare cristiani maturi che siano missionari nei loro ambienti. È quanto viene indicato nel comunicato – citato dall’Osservatore Romano - diffuso a margine dei lavori dell'incontro sul tema “Catechesi inculturata” svoltosi a Città del Messico e al quale hanno preso parte vescovi, segretari dei dipartimenti del Consiglio episcopale latino americano (Celam) e segretari esecutivi delle Commissioni nazionali di catechesi e pastorale. Presenti rappresentanze dei popoli indigeni provenienti da Guatemala, El Salvador, Honduras, Nicaragua, Costa Rica, Panama. L'incontro è stato voluto e organizzato dal vescovo di Verapaz in Guatemala, monsignor Rodolfo Valenzuela, responsabile della sezione per i popoli indigeni del Celam, insieme con il Dipartimento missione e spiritualità. Il tema centrale su “La catechesi inculturata”, è stato svolto in tre fasi. Nella prima sono state condivise le “grandi ricchezze delle esperienze maturate nelle Chiese particolari”; nella seconda fase si è analizzato il tema specifico dell'inculturazione: “Gesù Cristo, simboli, miti e riti indigeni” e “Criteri per la pedagogia catechetica e dottrinale inculturata”. Nella terza fase si è cercato di vagliare e individuare proposte più efficaci per attrarre una migliore inculturazione del Vangelo. In questo cammino — sottolinea il documento — occorre incoraggiare la formazione permanente dei laici accompagnandoli nella loro missione, rafforzandoli nella scelta del servizio in modo che “siano promotori di inculturazione del Vangelo nella loro realtà”. Una particolare attenzione nel cammino di evangelizzazione e promozione umana va riservata alle forme di servizio offerte dal postmodernismo: la radio, la televisione, internet. Sono le nuove forme di comunicazione a nostra disposizione “perché Cristo sia sempre più conosciuto”. Ma l'impegno di evangelizzazione non può prescindere dagli atti concreti di carità. Ecco allora la necessità di promuovere l'impegno sul fronte comunitario e sociale che “verifica l'autenticità della nostra fede in Lui”. Nella parte finale del documento vengono indicate alcune prospettive operative per tutti i soggetti ecclesiali. I vescovi vengono sollecitati a istruire, dove non c’è, “una commissione pastorale indigena”. Particolare attenzione va rivolta alla formazione permanente dei seminaristi e alle loro personali attitudini vocazionali. In particolare l'Amazzonia chiede un intervento esplicito che risponda alle esigenze pastorali di una terra segnata da problemi vecchi e nuovi. Ai sacerdoti viene raccomandato di imparare le lingue locali. Un mezzo questo per analizzare più in profondità il contesto sociale, religioso e per rispondere alle sfide dell'evangelizzazione. Indispensabile è lavorare nella comunità attraverso la promozione delle vocazioni: valorizzare cioè l'identità dei preti e del laicato indigeno, rispettando la loro cultura, la loro storia e le loro tradizioni. Ai religiosi, alle religiose viene raccomandata, infine, una maggiore integrazione con i piani pastorali delle diocesi e delle parrocchie; ai catechisti di privilegiare, in comunione con i pastori, “il lavoro di evangelizzazione integrale, cioè non limitata alla sola promozione sociale”. (M.G.)


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     Filippine: i vescovi contro l’apertura nel Paese di nuovi casinò

    ◊    Definendo i casinò come “la porta della corruzione”, sette vescovi cattolici hanno chiesto in questi giorni al neo eletto presidente Aquino di fermare la diffusione di nuove case da gioco nel Paese. I prelati hanno agito in seguito al piano di apertura di due nuovi casinò nelle città di Urdaneta (Pangasinan) e san Leonardo (Nuove Ecijia), pensati per creare posti di lavoro e combattere la povertà. “Dove ci sono i casinò - afferma mons. Socrates Villegas, arcivescovo di Lingayen Dagupan - vediamo gli effetti nocivi nelle fibre morali della società, come la crescita della criminalità, la diffusione della prostituzione e la corruzione spudorata che sostiene questi affari”. Secondo il prelato, - riferisce l'agenzia AsiaNews - il miraggio di un guadagno facile aumenta l’indolenza degli abitanti, generando povertà nelle famiglie. Mons. Villegas invita il presidente Aquino a fare riforme reali contro la povertà e offre al governo la collaborazione delle diocesi nella creazione di nuovi posti di lavoro, attraverso progetti di micro credito per le famiglie e aiuto alle piccole imprese. La questione del gioco d’azzardo è una sfida per Aquino che ha impostato la sua campagna elettorale sui temi di lotta a corruzione e povertà e sul cambiamento radicale del Paese, generando una grande aspettativa nella popolazione. In questi anni, la Chiesa filippina e i politici cattolici hanno più volte criticato gli ingenti investimenti assicurati dal precedente governo, guidato da Gloria Arroyo, per la costruzione di casinò e l'incremento del gioco online. (R.P.)


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     Cina: la visita pastorale dei nuovi vescovi di Xiamen e di Hohhot

    ◊    Rendere grazie al Signore, consolidare la fede del gregge loro affidato, promuovere l’evangelizzazione e il lavoro pastorale, pregare insieme per la Chiesa in Cina e per la Chiesa universale guidata da Benedetto XVI: questi i principali obiettivi della visita pastorale che due nuovi Vescovi cinesi, consacrati recentemente, hanno compiuto di recente alle loro comunità. Secondo le informazioni pervenute all’agenzia Fides, mons. Giuseppe Cai Bing Rui, vescovo di Xiamen (Hsiamen/Amoy), 44 anni di età e 18 di sacerdozio, consacrato l’8 maggio 2010 con l’approvazione della Santa Sede e poi riconosciuto anche dalle Autorità cinesi – ha visitato la chiesa di Quan Zhou presiedendo la solennità del Corpus Domini con la comunità locale, che ha atteso il suo vescovo per diversi decenni. “Pregare per la Chiesa in Cina e per la Chiesa universale, adorare l’Eucaristia, ricevere la Comunione più spesso per consentire un dialogo intimo con Gesù” sono le raccomandazione che il giovane vescovo ha rivolto ai suoi fedeli. Mons. Giuseppe Cai Bing Rui ha presieduto la celebrazione eucaristica e ha guidato l’adorazione, infine ha voluto salutare personalmente i diversi gruppi della comunità, perché, ha detto, “come Pastore ho bisogno di conoscere il mio gregge da vicino e i fedeli hanno bisogno di avvicinare il loro Pastore”. Dal 28 maggio al 1° giugno, mons. Paolo Meng Qinglu, 47 anni, nuovo vescovo di Hohhot (Mongolia Interna) consacrato il 18 aprile 2010 con l’approvazione della Santa Sede, ha compiuto la visita pastorale alla zona di Tai Qi, amministrando i sacramenti, verificando il lavoro pastorale e di evangelizzazione portato avanti dalla comunità ecclesiale di base. Accolto dai fedeli con grande entusiasmo, il Vescovo ha presieduto diverse celebrazioni eucaristiche concelebrate dai sacerdoti che lavorano da anni nella comunità locale. Ha anche conferito il Sacramento della Confermazione a 350 fedeli, visitando 9 parrocchie. Secondo il commento di un sacerdote locale, “i nostri 16.700 fedeli si sono sentiti incoraggiati dal nuovo vescovo, che è giovane e pieno di zelo pastorale”. La diocesi di Hohhot conta 50 mila cattolici, con 20 sacerdoti e 17 suore. (R.P.)


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     Il cardinale Bagnasco: i direttori degli uffici catechistici promuovano la fede in campo educativo

    ◊    “Il consenso che si è spontaneamente creato in Italia sul tema dell’educazione - si potrebbero citare numerosi interventi della stampa laica così come di esponenti del mondo della scuola e della società civile - non deve essere sottovalutato. La riscoperta dei fondamenti di una buona educazione è un anelito di tanti dentro e fuori la Chiesa”. Lo ha detto il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, nella lectio magistralis svolta a Bologna nell’ambito del convegno nazionale dei direttori degli uffici catechistici diocesani in programma fino a giovedì. “Le famiglie - ha proseguito il cardinale - dichiarano di avere spesso smarrito i necessari punti di riferimento educativi, la scuola di aver talvolta perso il coraggio di scommettere sulla passione e la qualità dell’educazione, i catechisti di essere a volte scoraggiati: tutti avvertono, però, l’esigenza di un rinnovato impegno per l’amore che portano alla vita delle nuove generazioni”. In questa prospettiva, ha ricordato il presidente della Cei “ trascurare la dimensione della fede in ambito educativo vuol dire ferire la stessa dignità dell’uomo. Promuoverla vuol dire invece esaltare la dignità dell’uomo. L’educazione alla fede, infatti, non è elemento accessorio del processo educativo, ma via appartiene di diritto con un ruolo centralissimo. Ecco allora il grande valore della catechesi come pure, ad altri livelli, dell’insegnamento della religione nella scuola che presenta in modo organico il fatto religioso e cattolico così come si è configurato nella storia e nella nostra cultura”. Tutto questo ha concluso il cardinale ”rende evidente come l’educazione alla fede deve partire dai grandi temi dell’annuncio cristiano perché un’educazione alla fede che non aiutasse l’intelligenza a orientarsi su questi temi non aiuterebbe le nuove generazioni a comprendere il valore e la dignità della fede cristiana”. (Da Bologna, Stefano Andrini)


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     Premio Mediterraneo per il dialogo interreligioso al patriarca latino di Gerusalemme

    ◊    Un premio con dedica alle “persone che rimangono sconosciute: le tante madri, sia israeliane che palestinesi, che hanno perso uno o più membri della loro famiglia, e non nutrono nel loro cuore sentimenti di vendetta, desiderando invece continuare ad impegnarsi per la pace e per un futuro migliore. A loro va in realtà questo riconoscimento”. E’ il pensiero del patriarca latino di Gerusalemme, Fouad Twal, che domenica scorsa - riporta l'agenzia Sir - ha ricevuto il “Premio Mediterraneo per il dialogo interreligioso” riconoscimento assegnato dalla Fondazione Mediterraneo, a personalità che hanno contribuito, con la loro azione, a ridurre le tensioni e ad avviare un processo di valorizzazione delle differenze culturali e dei valori condivisi nell’area mediterranea. “Abbiamo bisogno di pace – ha detto Twal in un video messaggio trasmesso il 13 al teatro san Carlo di Napoli e diffuso oggi dal patriarcato latino - i nostri bambini, le nostre madri, le famiglie, meritano un presente ed un futuro di serenità, in cui poter vivere e crescere normalmente. Mi auguro che questo “mare nostro” possa diventare sempre di più un mare che unisce le sponde dei nostri Paesi. Esse sono già unite attraverso comuni tradizioni, costumi, abitudini, modi di pensare… Siamo uniti anche perché tanti pellegrini e turisti vengono in Terra Santa a ritrovare le proprie radici. Nei cuori dei cittadini arabi e israeliani c’è posto per una cultura di pace”. (R.P.)


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     Spagna: 'no' di mons. Osoro al laicismo radicale che converte la religione in 'parodia'

    ◊    Un avvertimento sulla“tendenza perniciosa di escludere Dio e il religioso dall’ambito sociale” da parte del “laicismo radicale” che vorrebbe convertire la religione in “parodia”: lo ha fatto l’arcivescovo di Valencia, mons. Carlos Osoro, nella sua lettera pastorale settimanale, ripresa dall'agenzia Sir, mentre in Spagna c’è polemica per la bozza sulla riforma di legge per la libertà religiosa del Governo, anticipata attraverso il quotidiano El Pais. Per mons. Osoro, si tratta della “frattura più importante” che si vorrebbe realizzare nella società occidentale, dal momento che “l’essere umano ha desiderio del Dio che si è rivelato a noi in Gesù Cristo, che Dio che cura tutte le ferite che si subiscono nella vita umana e nella storia degli uomini”. Dopo aver distinto tra “laicismo radicale” e “la concezione laica, che è frutto di neutralità o di indeterminazione religiosa”, l’arcivescovo ha sottolineato come per il primo il fatto religioso “è intrinsecamente negativo e appartiene a un’epoca dell’umanità superata”, il che lo porta a voler “espellere l’idea di Dio e della religione dallo spazio pubblico e ridurlo, nel migliore dei casi, a fatto privato”. Così la vita religiosa “sarebbe una parodia o una pura finzione”. Secondo mons. Osoro ci troviamo di fronte a “un problema centrale del nostro tempo che non possiamo minimizzare o ignorare”. L’arcivescovo di Valencia ricorda che la “Chiesa nacque per essere pubblica per la sua stessa natura” e, perciò, “non può restare relegata a spazi privati, né essere una specie di club privato o una società segreta”. Per mons. Osoro, “quando si esclude Dio, si produce una frattura antropologica”, con la quale “si pretende di modificare la natura umana” attraverso la biologia e le leggi. Tutto ciò porta a un “materialismo inumano e disumanizzante, senza la luce del rispetto dello stesso essere umano e della società”, che invece è conseguenza delle “considerazioni morali e religiose”. C’è “un’idolatria politica” per cui “quel partito, la nazione o lo Stato si presentano come se fossero valori superiori ai quali deve assoggettarsi tutto, anche l’ambito religioso”. Tutto ciò, osserva l’arcivescovo di Valencia, è una conseguenza della “società dello svincolamento”, la cui “massima aspirazione è l’autodeterminazione individuale, intesa come soddisfazione di tutte le pulsioni, le tendenze e i desideri”, malgrado questo “comporti gravi conseguenze come, per esempio, che non possa esistere vincolo alcuno con nessuna credenza religiosa o filosofica né con nessuna tradizione né storia”. Ciò porta a un “degrado terribile” perché abbiamo bisogno di “identità e questa si sostiene con le tradizioni, la storia, i diritti comuni e una morale”. (R.P.)


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     Austria: la Chiesa chiede di dare voce anche ai mendicanti

    ◊    Le Chiese in Europa devono impegnarsi di più sul tema dell’accattonaggio: questo uno dei risultati del workshop interdisciplinare “Accattonaggio a Vienna”, conclusosi nella capitale austriaca. Tredici esperti in campo giuridico, sociologico e pedagogico – riporta l’agenzia Sir - hanno riferito le proprie esperienze. "Le Chiese sono tenute a dare voce a chi non ha lobby sociali e politiche", ha dichiarato ieri il teologo Ferdinand Koller, organizzatore dell'incontro. Intervistato dall’agenzia cattolica austriaca Kathpress, Koller ha denunciato una “grossa carenza della ricerca" in questo settore in tutti i Paesi europei. "I mendicanti non sono considerati come veri portatori di diritti fondamentali da nessuno dei Paesi in cui viene vietato l’accattonaggio”. Inoltre, “le tendenze sempre più diffuse a 'ripulire' zone commerciali e turistiche, indicano un problema sociale più profondo: i mendicanti non hanno più posto nella nostra società". Nel corso dell’incontro è stata espressa una severa critica ai divieti di accattonaggio attualmente esistenti in Tirolo e a Salisburgo, così come al divieto del cosiddetto “accattonaggio professionale” a Vienna, vigente nella capitale da due settimane. Secondo Koller, “si tratta di un fantasma mediatico che distrae dal vero problema della povertà nel Paese”. (R.P.)


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     La solidarietà del Consiglio Ecumenico delle Chiese al popolo di Haiti

    ◊    Esprimere solidarietà alle vittime del terremoto del 12 gennaio scorso, offrire una guida pastorale e riflettere sulle sfide che le Chiese affrontato nel tentativo di servire il popolo haitiano. Con questo scopo ha preso il via ieri la visita di tre giorni ad Haiti della delegazione ecumenica guidata dal segretario generale del Consiglio ecumenico delle Chiese (Cec), il reverendo Olav Fykse Tveit. La delegazione, riferisce l’Osservatore Romano, esaminerà i progetti in corso per la ricostruzione del Paese e farà visita agli edifici delle diverse confessioni religiose andati distrutti. Infine, pregheranno con i leader religiosi ad Haiti. Intanto, un appello accorato a non dimenticare Haiti è stato lanciato nei giorni scorsi dall'arcivescovo di Cap-Haïtien e presidente della Conferenza episcopale di Haiti, monsignor Louis Kébreau, nel corso di una visita in Francia con il cardinale André Vingt-Trois, arcivescovo di Parigi. Intensa emozione ha suscitato nei vescovi francesi la testimonianza dell'arcivescovo haitiano circa “le sofferenze dopo il terribile terremoto che ha colpito una popolazione già segnata dalla precarietà e fortemente traumatizzata”. “Le persone che disponevano di una relativa situazione sociale — ha scritto nel resoconto della visita del presule haitiano, mons. Bernard Podvin, portavoce della Conferenza episcopale della Francia — hanno raggiunto le file dei nuovi poveri”. L'arcivescovo Kébreau si è soffermato con i presuli francesi sulla situazione drammatica in cui è piombata l'isola. “Il terremoto — ha detto — ha colpito un popolo già fortemente segnato dalla precarietà e profondamente traumatizzato. I morti non hanno altra possibilità di sepoltura se non la fossa comune. Non dimentichiamo Haiti. I media cancellano troppo velocemente gli avvenimenti, inseguendone uno dopo l'altro”. A più di cinque mesi dal terremoto l'emergenza non è finita. Circa cinquecentomila sfollati vivono ancora nelle tendopoli costruite a Port-au-Prince e nelle città vicine, in condizioni igieniche precarie che rischiano di aggravarsi. E almeno altrettanti si stanno trasferendo nelle zone del Paese meno colpite dal sisma, mettendo a rischio la convivenza in villaggi rurali che si ritrovano con un aumento di popolazione imprevedibile. A Port-au-Prince, che contava con la sua area metropolitana almeno due milioni e mezzo di abitanti prima del sisma, quattrocentosessantamila persone vivono sotto i teli blu. Nel centro della città, una delle zone più colpite dal terremoto, la gente improvvisa la vita accanto alle macerie della cattedrale, dei palazzi del potere distrutti, delle chiese smembrate, degli edifici accartocciati su loro stessi. “Tutto deve essere ricostruito — ha concluso l'arcivescovo Kébreau — l'educazione alla coscienza politica degli haitiani è una vera priorità. La comunità internazionale non deve abbassare l'attenzione, Haiti è in ginocchio”. Nel Paese più povero dell'America latina, migliaia di sopravvissuti restano intanto esposti a smottamenti e inondazioni mentre è già iniziata la stagione degli uragani. (M.G.)


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     L’Aquila: la Caritas consegna altre due strutture alle comunità colpite dal sisma

    ◊    Ad oltre un anno dal sisma che ha devastato l’Aquila prosegue l’opera di solidarietà della Caritas italiana nelle terre d’Abruzzo. Dopo la scuola a San Panfilo d'Ocre, oggi saranno inaugurati a l’Aquila il centro per minori “La Torretta” e il centro della comunità San Giacomo, realizzati con il contributo delle Caritas diocesane della Puglia e dell’Emilia Romagna. Le strutture saranno consegnate all’arcivescovo del capoluogo abruzzese, mons. Giuseppe Molinari, da mons. Mario Paciello, incaricato regionale Puglia per il servizio della carità e la salute e dal vescovo di Imola, mons. Tommaso Ghirelli. Interverranno anche il direttore di Caritas Italiana e rappresentanti delle Caritas della Puglia e dell’Emilia Romagna. Il programma prevede che alle ore 16.00 a L’Aquila, in località La Torretta sarà aperto al pubblico il Centro per minori. L’opera – dal costo complessivo di oltre 300.000 euro – ospiterà le Suore Francescane Alcantarine, che già prima del terremoto collaboravano con l’Arcidiocesi di L’Aquila nella cura e lo sviluppo dei giovani attraverso servizi di accoglienza e di carità e consentirà l’avvio della “Casa Stella Polare”, un servizio rivolto ai minori sul territorio – attivato in collaborazione con l’arcidiocesi di L’Aquila, l‘Ordine dei Ministri degli Infermi–Camilliani, Imr (Italian Medical Research), l’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma. Quattro i cardini del servizio illustrati da una nota diffusa dalla Caritas: un’innovativa ricerca (Progetto “Rainbow”) condotta su un campione di 7.200 bambini di età compresa tra i 6 ed i 14 anni per verificare gli effetti dello stress post-traumatico causato dal terremoto; attività di formazione rivolta ai pediatri di famiglia (abilitazione alla diagnosi degli effetti causati dal terremoto nei bambini) e agli insegnanti, educatori, animatori giovanili (interventi di educazione alla socialità); apertura di uno spazio di aggregazione (ludoteca, biblioteca, mediateca…) e un servizio di diagnosi e cura degli effetti da stress post-traumatico sui minori e, infine, l’attivazione di iniziative sul territorio di animazione e presa in carico dei giovani, attraverso le parrocchie, le associazioni, le realtà di aggregazione presenti. A seguire, alle ore 18.00, sempre a L’Aquila, in località San Giacomo verrà consegnato un Centro della comunità, alla presenza anche del parroco. Si tratta di una struttura di 325 mq costata oltre 500.000 euro, con ampi spazi multifunzionali, adatti per attività sociali, culturali, pastorali e ricreative tese a riaggregare e rafforzare il tessuto sociale. Sono previsti anche due spazi abitativi da destinare alle fasce deboli della popolazione presenti sul territorio della parrocchia: anziani, donne sole con figli, studenti. I numeri di un anno di presenza e attività sul territorio aquilano dicono che Caritas ha speso quasi 16 milioni di euro. Accanto ad aiuti d'urgenza e progetti sociali, sono 29 le strutture finora avviate (17 concluse e 12 in fase di realizzazione): scuole, centri di comunità, strutture di edilizia sociale e abitativa, strutture socio-caritative, ripristino e consolidamento spazi parrocchiali.  E nei prossimi mesi è prevista la realizzazione di ulteriori 25 strutture per un importo di altri 15 milioni di euro. (M.G.)


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     Buoni risultati per le 50 scuole cattoliche senegalesi dell'arcidiocesi di Dakar

    ◊    Cinquantamila studenti beneficiano dell’istruzione scolastica offerta dalla Chiesa cattolica nell’arcidiocesi di Dakar, nel Senegal. Sono i dati che ha reso pubblici il direttore diocesano dell’Insegnamento cattolico Stanislas Diouf alcuni giorni fa nel corso di una manifestazione nella scuola Saint Pierre Julien Eymard. Sono in tutto 50 le scuole cattoliche nell’arcidiocesi di Dakar che fanno registrare un esito scolare al 100%, 1587 gli insegnanti e 732 i dipendenti amministrativi e di servizio che assicurano 800 ore di scuola in uno sforzo educativo che non fa distinzione delle confessioni religiose cui appartengono gli alunni. “Insegniamo ai bambini il senso di Dio nel rispetto delle convinzioni religiose – ha detto Stanislas Diouf – non cerchiamo di cristianizzare, di convertire. Servire Dio, servire il prossimo, amare Dio, adorarlo, amare il proprio prossimo e accettare di vivere nella pluralità: questo cerchiamo di insegnare”. Se gli alunni cattolici partecipano a corsi di catechismo, agli altri allievi sono riservati corsi di morale, ma tutti, ha aggiunto il direttore diocesano dell’Insegnamento cattolico dell’arcidiocesi di Dakar, vengono educati al rispetto dell’altro, all’apertura all’altro, non alla tolleranza alla stima reciproca. In Senegal le scuole private – cattoliche, laiche e franco-arabe – beneficiano di sovvenzioni statali, ma i fondi non sono sufficienti a coprire le spese che ogni istituto scolastico deve sostenere, è per questo, ha spiegato Stanislas Diouf, che alle famiglie che scelgono le scuole private viene chiesta una retta. (T.C.)


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    24 Ore nel Mondo



     Belgio: dopo le elezioni il re avvia le consultazioni per il nuovo governo

    ◊    Dopo le legislative di domenica, prove di compromesso in Belgio tra l’indipendentista De Wever - che ha spopolato nelle Fiandre, al nord - ed Elio di Rupo, socialista francofono che ha ottenuto la maggior parte dei consensi in Vallonia. Da Bruxelles Laura Serassio:

    I due si sono recati ieri dal re come consuetudine all’indomani delle elezioni e hanno valutato la possibilità di una coalizione che, per quanto bizzarra, sembra inevitabile. Nazionalista e liberista il primo, socialista “doc” il secondo. De Wever e Di Rupo dovranno stendere un programma per vedere se davvero possono essere in grado di governare insieme. La scelta degli elettori fiamminghi per il partito indipendentista, poi, è troppo netta per non mettere al centro del futuro politico la riforma dello Stato. Non una scissione unilaterale, che non sarebbe accettata in seno europeo ma, piuttosto, un confederalismo con un ampiamento di poteri economici e di bilancio a favore delle più ricche e dinamiche Fiandre. Per decidere chi sarà primo ministro e dare via libera ad una coalizione di governo la parola è rimessa ad Alberto II re dei Belgi. 

     

    Marea Nera

    C’è attesa negli Stati Uniti per il discorso alla nazione del presidente Obama, che alle 2 – ora italiana – parlerà in diretta dallo Studio Ovale. Parlerà degli sforzi della sua amministrazione per fermare la Marea Nera nel Golfo del Messico. Secondo le anticipazioni di stampa, il Capo della Casa Bianca, che ieri ha visitato per la quarta volta i luoghi colpiti, chiederà alla compagnia 'Bp' di impegnarsi per rendere l’area migliore di prima. Il senato americano ha già chiesto alla compagnia di depositare 20 miliardi di dollari in un fondo per gli indennizzi.





    Messico

    Ancora in primo piano le violenze in Messico. Dopo la mattanza messa in atto dalle gang di narcotrafficanti la scorsa settimana, in cui sono state uccise 80 persone, ieri hanno perso la vita 28 detenuti e 15 poliziotti in due diversi episodi. Il più sanguinoso si è consumato in una prigione nella città di Mazatlan, nello Stato di Sinaloa. Ci riferisce Linda Giannattasio.  

     

    Ancora sangue in Messico. Tra venerdì e sabato si è compiuta quella che è stata definita la mattanza delle gang del narcotraffico, la peggiore sotto la presidenza di Felipe Calderon, con almeno 80 persone uccise in 24 ore in varie aree del Paese. Ieri altre 43 vittime: 28 morti, soltanto in una sparatoria nella prigione a Mazatlan, nel violento Stato di Sinaloa, cardine del narcotraffico nel Paese. All’origine di tutto, ci sarebbe uno scontro tra due gruppi di detenuti in guerra tra di loro, secondo quanto annunciato dalla procura dello Stato. Poche ore prima si era consumato un altro massacro: almeno 15 poliziotti sono stati uccisi in un agguato nei pressi di Zitacuaro, nello Stato di Michoacoan. Secondo fonti ufficiali, responsabile dell’attacco sarebbe una banda di narcotrafficanti della zona. Dopo l'agguato ci sono state altre sparatorie che hanno provocato diversi feriti in due zone diverse di Zitacuro, altro crocevia del traffico di droghe, dove operano due dei principali cartelli narcos del Paese, in lotta tra di loro: gli 'Zetas' e la 'Familia Michoacana'. 



    Bin Laden

    Il leader di al-Qaeda, Osama Bin Laden, è tornato a farsi sentire. In un messaggio audio via internet, diffuso la notte scorsa nei forum jihadisti, ha accusato il presidente Obama di continuare a sbagliare le sue mosse soprattutto in Afghanistan. Il capo della rete terroristica ha dunque minacciato gli Stati Uniti parlando di un nuovo 11 settembre.





    Gaza

    Dopo le pressioni internazionali, lo Stato di Israele sembra pronto ad allentare a breve il blocco terrestre verso la Striscia di Gaza. Nessuna apertura sul versante marittimo. Le autorità ebraiche hanno ribadito che la soluzione avrebbe conseguenze preoccupanti per la sicurezza interna. Intanto Hamas ha criticato la commissione d’inchiesta israeliana sul blitz contro la flottiglia di attivisti. Per il presidente palestinese Abu Mazen si tratta di una soluzione lontana dalle richieste del Consiglio di Sicurezza dell’ONU.





    Iran

    I leader dell’Ue decideranno giovedì sull’Iran, Stato accusato di fini militari per il suo programma di sviluppo nucleare. Previste sanzioni supplementari che riguarderebbero gli investimenti nel settore del gas e del petrolio mentre giungono sanzioni anche dall’Australia. Intanto il presidente iraniano, Ahmadinejad, ha annunciato che l'accordo con Brasile e Turchia per lo scambio di uranio arricchito "è ancora vivo", nonostante le nuove sanzioni Onu.





    Coree

    Intervento dell’Onu sui difficili rapporti tra le due Coree. Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha invitato i due Paesi ad astenersi da qualunque azione che possa aumentare la tensione tra le parti. Alla base dei dissidi, l’affondamento di una nave da guerra sudcoreana attribuito alla Corea del Nord e avvenuto lo scorso mese di marzo nel Mar Giallo.





    Sudan

    Al via in Sudan il nuovo esecutivo formato dal presidente Omar al Bashir a due mesi dalle elezioni. Sono 35 i membri che ne fanno parte. Ministro degli Esteri è stato designato Ali Karti, del partito di Bashir, Congresso Nazionale, mentre il dicastero del Petrolio è andato a Luwal Ashweil Deng, del Movimento popolare di liberazione (Splm) degli ex ribelli del Sudan del sud.(Panoramica internazionale a cura di Eugenio Bonanata) 

     

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIV no. 166 

     

    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sulla home page del sito www.radiovaticana.va/italiano.


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