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Sommario del 06/06/2010

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa consegna l'Instrumentum laboris: accorato appello per il Medio Oriente. Solo Cristo abbatte ogni barriera
  • Sintesi dell'Instrumentum laboris: cristiani uniti in Medio Oriente per testimoniare il Vangelo della pace e della giustizia
  • L'umanità ha bisogno della Croce di Cristo per vincere il male nel mondo: così il Papa nella Chiesa della Santa Croce
  • Padre Lombardi sul viaggio a Cipro: un bilancio oltre le attese
  • Oggi in Primo Piano

  • Proclamato Beato padre Popiełuszko, martire sotto il regime comunista polacco
  • Domani in Turchia i funerali di mons. Padovese
  • L'Aquila: il grazie di mons. Molinari per la scuola realizzata dalla Caritas
  • Chiesa e Società

  • Sri Lanka: l'aiuto della Chiesa per i profughi della guerra civile
  • “Consenso per lo sviluppo”, slogan della Settimana sociale argentina
  • Perù: Cuzco si prepara al Congresso missionario della Santa Infanzia
  • Convegno a Milano sulla recezione del Concilio Vaticano II
  • Usa: la replica degli episcopaliani all'arcivescovo Williams sul tema dell'autorità
  • Iniziativa degli anglicani per la Giornata mondiale dell'ambiente
  • La cooperazione italiana a sostegno del Monastero di Deir Mar Musa in Siria
  • Lettera degli universitari romani sul senso della domenica
  • Derby del Cuore a Roma contro lo sfruttamento sessuale dei minori
  • 24 Ore nel Mondo

  • Il piano contro la marea nera sembra funzionare: la Bp assicura che pagherà tutto
  • Il Papa e la Santa Sede



     Il Papa consegna l'Instrumentum laboris: accorato appello per il Medio Oriente. Solo Cristo abbatte ogni barriera

    ◊    Un appello per uno sforzo internazionale urgente per risolvere le tensioni nel Medioriente: lo ha rivolto Benedetto XVI al termine della Messa celebrata stamani presso il Palazzo dello Sport di Nicosia dove erano presenti circa 10 mila persone. Una trentina i vescovi e tutti i patriarchi del Medioriente hanno partecipato alla Messa a cui non ha potuto esserci mons. Padovese, ucciso giovedì scorso in Turchia e ricordato dal Papa. Benedetto XVI ha citato anche il sacerdote polacco Popieluszko, martire sotto il regime comunista polacco e da oggi beato. Il servizio della nostra inviata, Adriana Masotti:

     

    (canto) 

     

    E’ colmo il Palazzo dello sport di Nicosia e estremamente variegato per le tante etnie, nazionalità e appartenenze ecclesiali: ci sono anche fedeli venuti dal Libano, dalla Giordania e tanti immigrati soprattutto filippini e dello Sri Lanka e africani a cui, nell’omelia, Benedetto XVI invia un saluto particolare. Il Papa celebra alla presenza di tutti i patriarchi e di numerosi vescovi del Medio Oriente. E’ presente anche l’arcivescovo ortodosso Chrysostomos II che ha scambiato l’abbraccio con Benedetto XVI. La liturgia è quella della Solennità del Corpo e Sangue di Cristo. E il Papa spiega che la realtà del Corpus Christi ci fa meglio comprendere il mistero della comunione che lega tutti coloro che appartengono alla Chiesa. Tutti quelli che si nutrono del corpo e sangue di Cristo nell’Eucaristia sono riuniti dallo Spirito Santo in un solo corpo per formare l’unico popolo santo di Dio. E’ ciò che Sant’Agostino spiega facendo l’esempio del pane che si prepara a partire da numerosi grani. E prima che questi grani diventino pane devono essere macinati. Così dice il Papa è necessario avvenga anche per i cristiani: 



    "Chacun de nous qui appartenons à l’Eglise a besoin de sortir du monde...

    “Ciascuno di noi che apparteniamo alla Chiesa ha bisogno di uscire dal mondo chiuso della propria individualità ed accettare la compagnia di coloro che condividono il pane con lui. ... Abbattere le barriere tra noi e i nostri vicini è prima premessa per entrare nella vita divina alla quale siamo chiamati”.

     

     

    Abbiamo bisogno di essere liberati da tutto quello che ci blocca e ci isola: timore e sfiducia gli uni verso gli altri, avidità ed egoismo, mancanza di volontà di accettare il rischio della vulnerabilità alla quale ci esponiamo quando ci apriamo all’amore. Noi che ci nutriamo dell’Eucaristia, continua il Papa, siamo il suo corpo adesso sulla terra e cita santa Teresa d’Avila, che diceva: noi siamo gli occhi con i quali lui guarda chi è nel bisogno, siamo le mani che egli stende per benedire e per guarire, siamo i piedi dei quali si serve per andare a fare il bene, e siamo le labbra con le quali il suo Vangelo viene proclamato. Noi, perciò, non facciamo memoria di un eroe morto prolungando ciò che egli ha fatto: Cristo è vivente in noi! 



    "En nous nourissant de Lui dans l’Eucharistie et en accueillant l’Esprit Saint ...

    “Nutrendoci di Lui nell’Eucarestia e accogliendo lo Spirito Santo nei nostri cuori, diventiamo veramente il corpo di Cristo che abbiamo ricevuto, siamo veramente in comunione con lui e gli uni con gli altri, e diveniamo autenticamente suoi strumenti, rendendo testimonianza a lui davanti al mondo”.

     

     

    Benedetto XVI traccia le caratteristiche della prima comunità cristiana: La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola”. Ma il loro amore non era limitato verso agli amici credenti, essi si sentivano messaggeri della buona notizia inviati fino ai confini della terra. Oggi siamo chiamati, come loro, ad essere uniti ed ad essere suoi testimoni dinnanzi al mondo. 



    "We are called to overcome our differences, to bring peace and reconciliation…

    “Siamo chiamati a superare le nostre differenze, a portare pace e riconciliazione dove ci sono conflitti, ad offrire al mondo un messaggio di speranza. Siamo chiamati ad estendere la nostra attenzione ai bisognosi, dividendo generosamente i nostri beni terreni con coloro che sono meno fortunati di noi. E siamo chiamati a proclamare incessantemente la morte e risurrezione del Signore, finché egli venga”.

     

     

    Al termine della Messa il momento della consegna da parte del Papa ai patriarchi e ai vescovi del documento preparatorio al prossimo Sinodo per il Medioriente, l’“Instrumentum laboris”. Benedetto XVI ha voluto subito ricordare all’inizio del suo discorso il contributo che il vescovo Luigi Padovese, presidente della Conferenza episcopale turca, ha dato alla preparazione del documento. 



    News of his unforeseen and tragic death on Thursday surprised and shocked…

    La notizia della sua morte improvvisa e tragica, avvenuta giovedì, ha sorpreso e colpito tutti noi. Affido la sua anima alla misericordia di Dio onnipotente, ricordando quanto egli si impegnò, specialmente come Vescovo, per la mutua comprensione in ambito interreligioso e culturale e per il dialogo tra le Chiese. La sua morte è un lucido richiamo alla vocazione che tutti i cristiani condividono ad essere, in ogni circostanza, testimoni coraggiosi di tutto ciò che è buono, nobile e giusto”.

     

     

    Il Medio Oriente ha un posto speciale nel cuore di tutti i cristiani, ha proseguito il Papa, perché lì ha avuto inizio la storia della salvezza e anche ora che il messaggio del Vangelo si è diffuso in tutto il mondo, i cristiani da ogni luogo continuano a guardare al Medio Oriente con speciale riverenza. L’Assemblea dei vescovi desidera incrementare l’unità tra le Chiese e incoraggiare i cristiani di quelle terre nella testimonianza della fede, che avviene spesso in situazioni difficili: 



    "L’Assemblée Spéciale est une opportunité pour les Chrétiens du reste du monde …

    L’Assemblea Speciale è un’occasione per i cristiani del resto del mondo di offrire un sostegno spirituale e una solidarietà per i loro fratelli e sorelle del Medio Oriente. E’ un’occasione per porre in risalto il valore importante della presenza e della testimonianza cristiane nei Paesi della Bibbia, non solo per la comunità cristiana a livello mondiale, ma ugualmente per i vostri vicini e concittadini”.

     

     

    E ricorda il contributo offerto dai cristiani alle loro società ad esempio attraverso l’educazione, e l’assistenza a poveri e malati: 



    "Vous désirez vivre en paix et en harmonie avec vos voisins juifs et musulmans. …

    Voi desiderate vivere in pace ed in armonia con i vostri vicini ebrei e mussulmani. Spesso agite con artigiani della pace nel difficile processo di riconciliazione. Voi meritate la riconoscenza per il ruolo inestimabile che rivestite. E’ mia ferma speranza che i vostri diritti siano sempre più rispettati, compreso il diritto alla libertà di culto e la libertà religiosa, e che non soffriate giammai di discriminazioni di alcun tipo”.

     

     

    E ancora Benedetto XVI si augura che i lavori sinodali richiamino l’attenzione della comunità internazionale sulla condizione di quei cristiani in Medio Oriente, che soffrono a causa della loro fede: 



    "On this grave matter, I reiterate my personal appeal …

    In merito a questa grave questione, ripeto il mio appello personale per uno sforzo internazionale urgente e concertato al fine di risolvere le tensioni che continuano nel Medio Oriente, specie in Terra Santa, prima che tali conflitti conducano a uno spargimento maggiore di sangue”.





    Nelle parole pronunciate prima della preghiera mariana dell’Angelus, Benedetto XVI ha ricordato che proprio attraverso il pronto sì di Maria all’invito a divenire la Madre di Dio, la speranza della storia è divenuta una realtà, l’Unico che Israele aveva da lungo atteso venne dentro la nostra storia. Una speranza che per lei deve essere stata difficile mantenere, piangente, ai piedi della Croce. In quel momento avrebbe ripensato alle parole dell'Angelo e nella desolazione del Sabato Santo la certezza della speranza la sostenne fino alla gioia della mattina di Pasqua. Anche noi, suoi figli, ha concluso il Papa, viviamo nella stessa fiduciosa speranza che la Parola fatta carne nel seno di Maria, mai ci abbandonerà. Alla fine il Papa ha pronunciato alcune parole in polacco a proposito dell’odierna beatificazione di Jerzy Popiełuszko, sacerdote e martire: 

     

    "Serdeczne pozdrowienie kieruję do Kościoła w Polsce ...

    “Rivolgo un cordiale saluto alla Chiesa in Polonia, che oggi gioisce dell’elevazione agli altari del padre Jerzy Popiełuszko. Il suo zelante servizio e il martirio sono particolare segno della vittoria del bene sul male. Il suo esempio e la sua intercessione accrescano lo zelo dei sacerdoti e infiammino d’amore i fedeli laici”.

     

     

    (Canto)


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     Sintesi dell'Instrumentum laboris: cristiani uniti in Medio Oriente per testimoniare il Vangelo della pace e della giustizia

    ◊    L’Instrumentum laboris del Sinodo per il Medio Oriente, ovvero il documento di lavoro per l’assise sinodale, è pubblicato in 4 lingue: arabo, francese, inglese ed italiano. Il testo, di una quarantina di pagine, è stato realizzato dall’elaborazione delle numerose risposte al Questionario dei Lineamenta, pervenute dai Sinodi dei Vescovi delle Chiese Orientali Cattoliche sui iuris, dalle Conferenze episcopali, dai Dicasteri della Curia Romana, dall’Unione dei Superiori Generali come pure da tante persone singole e gruppi ecclesiali. Ecco una sintesi del documento nel servizio di Alessandro Gisotti:





    Il “piccolo gregge” dei cristiani del Medio Oriente è chiamato a testimoniare il Vangelo, impegnandosi per la pace, la giustizia e la dignità dell’uomo. E’ quanto sottolinea l’Instrumentum laboris che indica innanzitutto i due obiettivi principali del Sinodo: “Confermare e rafforzare i cristiani nella loro identità mediante la Parola di Dio e i Sacramenti” e “ravvivare la comunione ecclesiale tra le Chiese” per “offrire una testimonianza di vita cristiana autentica, gioiosa e attraente”. Sottolineati con forza anche l’impegno ecumenico e il dialogo con ebrei e musulmani “per il bene dell’intera società” e perché “la religione, soprattutto di quanti professano un unico Dio”, diventi “sempre di più motivo di pace”. Il documento constata che i conflitti regionali rendono particolarmente fragile la situazione dei cristiani.

     

     

    “L’occupazione israeliana dei territori Palestinesi – si legge nell’Instrumentum – rende difficile la vita quotidiana per la libertà di movimento, l’economia e la vita sociale e religiosa”. Inoltre, viene rilevato, “alcuni gruppi fondamentalisti cristiani giustificano, basandosi sulle Sacre Scritture, l’ingiustizia politica imposta ai palestinesi, il che rende ancor più delicata la posizione dei cristiani arabi”. Del resto, si ricordano le difficoltà dei cristiani in Iraq, in Libano, in Egitto. “In altri Paesi – si legge ancora – l’autoritarismo, cioè la dittatura, spinge la popolazione, compresi i cristiani, a sopportare tutto in silenzio per salvare l’essenziale”. L’estremismo islamico, nel frattempo, continua a crescere in tutta l’area costituendo “una minaccia per tutti, cristiani, ebrei e musulmani”. Purtroppo, si legge nel documento, in questo contesto di conflittualità, difficoltà economiche e limitazioni politiche e religiose, i cristiani continuano ad emigrare. Un intero capitolo del documento è incentrato sulla “comunione ecclesiale” in cui si incoraggia “lo spirito di cooperazione tra le varie comunità”. In particolare, viene espresso l’auspicio che il Sinodo esorti i fedeli a promuovere iniziative pastorali, specie per quanto riguarda l’impegno sociale, in comunione con i pastori della Chiesa.

     

     

    Ampio spazio viene dedicato al tema della testimonianza cristiana, anche in funzione del dialogo interreligioso. Il dialogo con gli ebrei è definito “essenziale, benché non facile” risentendo del conflitto israelo-palestinese. La Chiesa auspica che “ambedue i popoli possano vivere in pace in una patria che sia la loro, all’interno di confini sicuri ed internazionalmente riconosciuti”. Si ribadisce la ferma condanna dell’antisemitismo. I cristiani, afferma il documento, sono chiamati “a portare uno spirito di riconciliazione basata sulla giustizia e l’equità per le due parti”. “Le relazioni tra cristiani e musulmani – prosegue l’Instrumentum – sono, più o meno spesso, difficili soprattutto per il fatto che i musulmani non fanno distinzione tra religione e politica, il che mette i cristiani nella situazione delicata di non-cittadini, mentre essi sono cittadini di questi Paesi già da ben prima dell’arrivo dell’Islam”.

     

     

    Di qui, la convinzione che “la chiave del successo della coesistenza tra cristiani e musulmani dipende dal riconoscere la libertà religiosa e i diritti dell’uomo”. Si suggerisce a tal fine “la revisione dei libri scolastici e soprattutto di insegnamento religioso, affinché siano liberi da ogni pregiudizio e stereotipo sull’altro” e si invita al dialogo della “verità nella carità”. Nella situazione conflittuale della regione i cristiani sono dunque esortati a promuovere “la pedagogia della pace”.

     

     

    Il documento non manca di soffermarsi su alcune sfide urgenti per la Chiesa locale. La crisi delle vocazioni, si legge nel documento, è dovuta a varie cause, dall’emigrazione delle famiglie ad “un ambiente sempre più contrario ai valori evangelici”. E si ribadisce che la scomparsa dei cristiani rappresenterebbe una perdita per il pluralismo del Medio Oriente. D’altro canto, i cristiani sono chiamati a promuovere un concetto di “laicità positiva” dello Stato per permettere più uguaglianza tra i cittadini di religioni differenti.


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     L'umanità ha bisogno della Croce di Cristo per vincere il male nel mondo: così il Papa nella Chiesa della Santa Croce

    ◊    Il mondo ha bisogno della Croce di Cristo per vincere i mali del mondo: l’uomo non può salvare se stesso. E’ quanto ha detto il Papa ieri pomeriggio nell’omelia della Messa da lui celebrata per i sacerdoti, i religiosi e i diaconi nella Chiesa della Santa Croce a Nicosia. Il servizio di Sergio Centofanti.

     

    Grande intensità di preghiera, ma anche festa, tanta gioia e affetto nella Messa presieduta dal Papa nella Chiesa della Santa Croce, situata nella zona cuscinetto che separa le due comunità cipriote a Nicosia ed è controllata dalle forze dell’Onu. Poco prima della celebrazione, Benedetto XVI ha incontrato brevemente, all’esterno della nunziatura, un anziano leader islamico di un movimento sufi, Cheik Mohammed Nazim Abil Al-Haqqan, 89 anni, impegnato nel dialogo interreligioso. Il leader sufi, giunto dalla parte Nord di Cipro per salutare il Pontefice, si è scusato per il fatto di averlo aspettato seduto. “Sono molto vecchio”, ha detto. Il Papa ha risposto: “Sono anziano anch’io!”. Nazim ha poi donato al Papa un bastone istoriato, una targa con parole di pace in arabo e un rosario musulmano. Il Pontefice, da parte sua, gli ha donato una medaglia: quindi si sono abbracciati in un gesto di affetto fraterno. Nazim ha chiesto infine a Benedetto XVI di pregare per lui. “Certamente lo farò - gli ha risposto il Papa - pregheremo l'uno per l'altro”.

     

     

    canto

     

     

    Nell’omelia il Papa ha parlato della Croce di Cristo: 

     

    “Many might be tempted to ask why we Christians celebrate an instrument…

    “Molti potrebbero essere tentati di chiedere perché noi cristiani celebriamo uno strumento di tortura, un segno di sofferenza, di sconfitta e di fallimento. E’ vero che la croce esprime tutti questi significati. E tuttavia a causa di colui che è stato innalzato sulla croce per la nostra salvezza, rappresenta anche il definitivo trionfo dell’amore di Dio su tutti i mali del mondo”.

     

     

    Benedetto XVI ricorda l’antica tradizione secondo la quale il legno della croce sarebbe stato preso da un albero piantato sul Golgota, dove Adamo fu sepolto, e cresciuto da un seme proveniente da un altro albero, quello della conoscenza del bene e del male, che si trovava nell’Eden. “Attraverso la provvidenza di Dio – ha spiegato il Papa - l’opera del Maligno sarebbe stata sconfitta ritorcendo le sue stesse armi contro di lui”:

     

     

    “The wood of the Cross became the vehicle for our redemption…

    “Il legno della croce divenne lo strumento per la nostra redenzione, proprio come l’albero dal quale era stato tratto aveva originato la caduta dei nostri progenitori. La sofferenza e la morte, che erano conseguenze del peccato, divennero il mezzo stesso attraverso il quale il peccato fu sconfitto. L’agnello innocente fu sacrificato sull’altare della croce, e tuttavia dall’immolazione della vittima scaturì una vita nuova: il potere del maligno fu distrutto dalla potenza dell’amore che sacrifica se stesso”. 

     

    “L’uomo – ha proseguito il Pontefice - non può salvare se stesso dalle conseguenze del proprio peccato. Non può salvare se stesso dalla morte. Soltanto Dio può liberarlo dalla sua schiavitù morale e fisica”. La Croce – pertanto è “il simbolo più eloquente della speranza che il mondo abbia mai visto. Parla a tutti coloro che soffrono – gli oppressi, i malati, i poveri, gli emarginati, le vittime della violenza – ed offre loro la speranza che Dio può trasformare la loro sofferenza in gioia, il loro isolamento in comunione, la loro morte in vita. Offre speranza senza limiti al nostro mondo decaduto”: 

     

    “That is why the world needs the Cross…

    “Ecco perché il mondo ha bisogno della croce. Essa non è semplicemente un simbolo privato di devozione, non è un distintivo di appartenenza a qualche gruppo all’interno della società, ed il suo significato più profondo non ha nulla a che fare con l’imposizione forzata di un credo o di una filosofia. Parla di speranza, parla di amore, parla della vittoria della non violenza sull’oppressione, parla di Dio che innalza gli umili, dà forza ai deboli, fa superare le divisioni, e vincere l’odio con l’amore. Un mondo senza croce sarebbe un mondo senza speranza, un mondo in cui la tortura e la brutalità rimarrebbero sfrenati, il debole sarebbe sfruttato e l’avidità avrebbe la parola ultima. L’inumanità dell’uomo nei confronti dell’uomo si manifesterebbe in modi ancor più orrendi, e non ci sarebbe la parola fine al cerchio malefico della violenza. Solo la croce vi pone fine”. 

     

    “Nessun potere terreno può salvarci dalle conseguenze del nostro peccato, e nessuna potenza terrena può sconfiggere l’ingiustizia sin dalla sua sorgente” – ha aggiunto Benedetto XVI - ma “l’intervento salvifico del nostro Dio misericordioso ha trasformato la realtà del peccato e della morte nel suo opposto”. Ma cosa vuol dire dare al mondo il messaggio della Croce? 

     

    “When we proclaim Christ crucified we are proclaiming not ourselves, but him…

    “Quando proclamiamo Cristo crocifisso, non proclamiamo noi stessi, ma lui. Non offriamo la nostra sapienza al mondo, non parliamo dei nostri propri meriti, ma fungiamo da canali della sua sapienza, del suo amore, dei suoi meriti salvifici. Sappiamo di essere semplicemente dei vasi fatti di creta e, tuttavia, sorprendentemente siamo stati scelti per essere araldi della verità salvifica che il mondo ha bisogno di udire. Non stanchiamoci mai di meravigliarci di fronte alla grazia straordinaria che ci è stata data, non cessiamo mai di riconoscere la nostra indegnità, ma allo stesso tempo sforziamoci sempre di diventare meno indegni della nostra nobile chiamata, in modo da non indebolire mediante i nostri errori e le nostre cadute la credibilità della nostra testimonianza”.

     

     

    Il Papa esorta i sacerdoti a conformare la loro vita “al mistero della croce di Cristo Signore”. “Nel riflettere sulle nostre mancanze, sia individualmente sia collettivamente – ha aggiunto - riconosciamo umilmente di aver meritato il castigo che lui, l’Agnello innocente, ha patito in nostra vece. E se, in accordo con quanto abbiamo meritato, avessimo qualche parte nelle sofferenze di Cristo, rallegriamoci, perché ne avremo una felicità ben più grande quando sarà rivelata la sua gloria”.

     

     

    Rivolge quindi il suo pensiero ai molti sacerdoti e religiosi del Medio Oriente chiamati a vivere il mistero della croce del Signore: 

     

    “Through the difficulties facing their communities as a result of the conflicts…

    “Dove i cristiani sono in minoranza, dove soffrono privazioni a causa delle tensioni etniche e religiose, molte famiglie prendono la decisione di andare via, e anche i pastori sono tentati di fare lo stesso. In situazioni come queste, tuttavia, un sacerdote, una comunità religiosa, una parrocchia che rimane salda e continua a dar testimonianza a Cristo è un segno straordinario di speranza non solo per i cristiani, ma anche per quanti vivono nella Regione”. 

     

    “Abbracciando la croce loro offerta – ha concluso il Papa - i sacerdoti e i religiosi del Medio Oriente possono realmente irradiare la speranza che è al cuore del mistero” stesso della Croce di Cristo.

     

     

    Fuori dalla Chiesa un gruppo d’immigrati africani a Cipro ha voluto offrire al Papa il suo abbraccio con canti e appalusi.


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     Padre Lombardi sul viaggio a Cipro: un bilancio oltre le attese

    ◊    Per un bilancio del viaggio del Papa a Cipro, ascoltiamo il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, al microfono di Adriana Masotti:

     

    R. – E’ una valutazione estremamente positiva, che viene ad aggiungersi anche ai due viaggi precedenti. Una cosa che colpisce è che nel giro di poco più di un mese e mezzo abbiamo avuto tre viaggi all’estero del Papa, tutti e tre coronati direi da grandissimo successo, rispetto agli obiettivi che si potevano attendere e anche al di là di essi. Mi pare che i grandi risultati si possano notare nel campo ecumenico. Proprio questo abbraccio di pace durante la Messa, questa mattina, tra il Papa e Chrysostomos, è il simbolo di questo incontro che segna un passo ulteriore sulla lunga strada dell’ecumenismo, ma con una Chiesa, come quella di Cipro, che pur essendo piccola numericamente è molto significativa nel movimento ecumenico, soprattutto nell’ambito ortodosso, e molto ricca di iniziative, e che quindi si è sentita certamente incoraggiata e onorata dalla presenza, dall’attenzione del Papa con questa visita specifica, proprio nella sua dignità di Chiesa che cammina alla ricerca dell’unità, pure nella fedeltà alle radici, che per questa Chiesa sono antichissime e risalgono a Barnaba e Paolo e al loro primo viaggio apostolico. Quindi, questo incontro con la Chiesa ortodossa è certamente positivo. Le contestazioni di cui si è parlato qualche volta sono rimaste assolutamente marginali, direi insignificanti in un bilancio globale. Poi è stato certamente un evento assolutamente storico per la comunità cattolica cipriota, nelle sue diverse componenti, con momenti molto belli, entusiasmanti: l’incontro presso la suola maronita, con un momento di festa, di canti, di manifestazioni culturali, la Messa nella Chiesa della Santa Croce e poi stamattina la grande Messa, in cui ci sono state 8500 comunioni, il che vuol dire che erano presenti almeno 10 mila cattolici, che sono una parte sostanziale, la maggior parte, si può dire tranquillamente, dei cattolici presenti sull’isola. Certo non hanno mai potuto vivere un momento di unione e di entusiasmo, di mutuo sostegno nella fede, come quello di questa mattina, in cui hanno avuto addirittura al centro il Pastore universale ad incoraggiarli, ad invitarli, a vivere la comunione. Tra l’altro, il Papa faceva rilevare che è proprio la festa del Corpo e Sangue di Cristo, quindi la festa dell’Eucaristia che manifesta la comunione, costruisce la comunione nella Chiesa. E anche dal punto di vista del popolo di Cipro in generale, e anche delle sue autorità, il viaggio è stato molto ricco ed espressivo. Le autorità, sia quelle politiche, sia quelle religiose, hanno fatto presente con molta forza le loro attese, i loro problemi, connessi anche alla situazione di divisione dell’isola, di rischio di perdita del patrimonio culturale cristiano e così via. Lo hanno fatto con molta chiarezza, approfittando anche dell’occasione di avere un ospite così importante. Il Papa ha risposto da par suo con grande equilibrio e con chiarezza, sostenendo quelli che sono i principi fondamentali della convivenza: il rispetto dei diritti della persona umana e il diritto di poter tornare ai propri luoghi originari, essere in comunicazione con essi per coloro che li hanno dovuti lasciare, il diritto alla libertà religiosa, alla libertà di coscienza, alla libertà di culto. Ecco, quindi, in modo molto pacato il Papa ha saputo dimostrare la sua sensibilità a questi problemi e anche le vie attraverso cui si possono superare, così come negli appelli di pace per la regione del Medio Oriente. Alla conclusione della Messa c’è stato un appello molto esplicito proprio per la pace nel Medio Oriente e l’impegno di tutti in questa direzione. Tra l’altro, la venuta del Papa, e l’aver scelto Cipro come luogo del lancio del Sinodo del Medio Oriente, ha dato grandissima dignità all’isola in se stessa come crocevia, come punto di incontro, come luogo dove si può convenire da tutti i vari Paesi del Medio Oriente. Quindi, la dignità, l’importanza storica, culturale, religiosa di quest’isola è stata affermata nei fatti dal Papa e dalla Chiesa cattolica con grande evidenza, proprio approfittando di questo viaggio.

     

     

    D. – Alla Messa erano presenti tutti i patriarchi e numerosi vescovi delle Chiese del Medio Oriente e il Papa ha consegnato loro l’Instrumentum laboris. L’importanza di questo momento...

     

     

    R. – Il Sinodo è la risposta principale che in questi mesi il Papa cerca di dare ai problemi dei cattolici e dei cristiani nel Medio Oriente, che sono problemi molto gravi. Sappiamo quante violenze essi subiscono, quanto rischio di essere costretti all’emigrazione, ad abbandonare queste terre fondamentali per la nostra fede. E allora il Sinodo è chiamare insieme le diverse componenti, che sono molte, della Chiesa cattolica nel Medio Oriente, per ridarle forza, dignità, entusiasmo nello svolgere in questa terra la sua testimonianza e la sua missione, anche se in condizioni di minoranza. Ora la consegna, qui in terra di Medio Oriente, dello strumento fondamentale, su cui ci si misurerà poi nel corso dei prossimi mesi di preparazione e nel corso del Sinodo stesso ad ottobre in Roma, segna una tappa fondamentale. E quindi direi che questo sia proprio un momento molto importante, che guarda in avanti. Non è un viaggio che si conchiude in sé, ma anzi, un viaggio che apre un grande discorso della Chiesa cattolica e delle Chiese cristiane in favore del Medio Oriente, guardando avanti al Sinodo, che è una grande riunione, con delle discussioni, ma che speriamo sia anche l’inizio di una strada di impegno, di rinnovamento, di azioni concrete. Quindi, un avvio di un grande movimento che prende le mosse da questi giorni di Cipro. Vorrei notare purtroppo un’assenza nella Messa di questa mattina, che è stata notata anche dal Papa: l’assenza di mons. Padovese, che doveva essere presente e rappresentare la Turchia. Lui non c’era, non c’era nessun rappresentante della Turchia, che però è estremamente presente: come lui è nella nostra preghiera, nella nostra solidarietà spirituale, nel nostro impegno.


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    Oggi in Primo Piano



     Proclamato Beato padre Popiełuszko, martire sotto il regime comunista polacco

    ◊    Se la “dottrina perversa dell’odio e della morte” che “si abbatté sulla vostra patria” non prevalse sul Vangelo, lo si deve a persone come padre Jerzy Popiełuszko, che “con le sole armi spirituali della verità, della giustizia e della carità, cercò di rivendicare la libertà della sua coscienza di cittadino e di sacerdote”. Sono alcune delle parole pronunciate dall’arcivescovo Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, all’omelia della Messa di questa mattina a Varsavia, durante la quale il presule ha beatificato il sacerdote polacco, ucciso dal regime comunista del suo Paese nel 1984. Al microfono dei colleghi della redazione polacca della nostra emittente, il postulatore della Causa di Beatificazione, don Tomasz Kaczmarek, ricorda così padre Popiełuszko:

     

    R. – Egli fu, e voleva essere, soprattutto un pastore di anime, un sacerdote umile, segnato dalle sofferenze, pieno di amore che sapeva guardare ai problemi dell’uomo con gli occhi di Cristo, toccare i dolori della vita con la mano di Cristo. Con il suo modo gioioso di vivere il Vangelo egli sapeva suscitare in mezzo alla gente l’entusiasmo del Vangelo e la speranza di vincere il male con il bene. Consapevole che continuando la sua opera avrebbe rischiato la vita ripeteva: «Non posso abbandonare questa gente che, attraverso la mia voce, ascolta la dottrina della Chiesa, e pensare solo a me stesso. Devo rimanere con loro fino alla fine». Degli ultimi giorni della sua vita, si ricordano le sue parole: “Ho superato la barriera del terrore, non ho più paura. Sono pronto a tutto. Ho confidato in Dio”. Con questo stesso spirito proseguì la sua opera pastorale fino all’ultimo.

     

     

    D. – Cosa rappresentò per la Polonia del tempo il martirio di padre Popiełuszko? 

     

    R. – La sua morte fu anche una profonda scossa per il Paese. Allo stesso tempo, però, il suo martirio aiutò a scoprire in questo sacerdote una dimensione più profonda: quella di un discepolo di Cristo che seguiva il Divino Maestro fino al Calvario e anche un grande intercessore della gente presso Dio. Si noti che gli effetti dell’opera di questo Beato non furono solo pastorali. E’ un dato di fatto che a partire dalla sua morte non si poté più cancellare ed arrestare il processo ormai avviato del rinnovamento spirituale della nazione polacca e, di conseguenza, quello della liberazione dall’oppressione del potere comunista. In un certo senso si può affermare che egli ha preparato le trasformazioni che si sarebbero compiute un decennio più tardi.

     

     

    D. – Cosa significa per i cristiani di oggi questa Beatificazione?

     

     

    R. – Il nuovo Beato ci comunica con una nuova freschezza il messaggio che i cristiani forti nella fede sono in grado di diventare operatori di una nuova cultura e, quindi, di un autentico progresso umano. Don Popiełuszko sapeva predicare in modo convincente che solo il Vangelo è in grado di cambiare il volto della terra, pur essendo un programma molto esigente, che richiede sempre tre condizioni: la fedeltà alla verità, la fedeltà alla voce della coscienza, ed allo stesso tempo il sacrificio di sé dettato dall'amore, senza il quale risulta impossibile la realizzazione degli alti ideali cristiani. Si potrebbe aggiungere, inoltre, che il processo di Beatificazione di Jerzy Popiełuszko indirettamente richiama alla memoria la verità su un sistema politico e sociale in cui era stato eliminato in modo sistematico il riferimento alla legge di Dio. Esso ci ricorda una drammatica lezione che ci viene dalla storia dell’umanità: il mondo senza un riferimento a Dio si rivolge in modo spietato contro l’uomo stesso, nonostante le leggi. Il martirio di don Popiełuszko costituisce, quindi, un forte grido di amore, confermato dal tributo di sangue versato per aiutare a liberarci da questo inganno.


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     Domani in Turchia i funerali di mons. Padovese

    ◊    I funerali di mons. Luigi Padovese, ucciso giovedì scorso, si svolgeranno domani nella cattedrale di Iskenderun. Le esequie saranno presiedute dall’arcivescovo di Smirne, mons. Ruggero Franceschini. La salma poi partirà alla volta di Milano, dove sarà sepolta nella tomba di famiglia. Ma come vive questo momento la comunità cristiana locale? Eugenio Bonanata lo ha chiesto a padre Domenico Bertogli, vicario generale del vicariato apostolico d’Anatolia:

     

    R. – Ieri non ero a Iskenderun, ma oggi ci andrò, perché verrà il ministro della Giustizia di Antiochia a portare le sue condoglianze e la prefettura mi ha chiesto di andare. Il tutto avverrà alle 16.30. Anche questo è un bel gesto da parte dei rappresentanti dello Stato, del Parlamento, per esserci vicini in questa tragedia. Ad Antiochia abbiamo attaccato alla porta della chiesa un grande manifesto per questo avvenimento, invitando a pregare e ad essere vicini. I cattolici, anche durante la Messa di oggi, hanno fatto una preghiera particolare per Luigi Padovese, perché qui era conosciuto e molto amato, essendo una persona squisita, amichevole e molto disponibile verso gli altri.

     

    D. – Domani, ai funerali, si attende una grande folla...

     

    R. – Tutti i cristiani saranno presenti e sarà un momento importante, perché ci saranno i vescovi, ci sarà il nunzio e anche le autorità. Credo possa essere un momento di riflessione, per vedere che certe situazioni sono delle tragedie per tutti.

     

    D. – Sicuramente ci sarà una grande partecipazione da parte dei cittadini...

     

    R. - Penso anch’io. Per esempio qui ad Antiochia noi andiamo con due pullman. C’è una fabbrica di tessili, composta da cristiani, che ha messo a disposizione un pullman dalla Chiesa ortodossa e un pullman dalla Chiesa cattolica. Abbiamo già avvisato la Chiesa, perché in tanti vorranno venire. E’ una partecipazione molto significativa e anche attiva. Si vede il loro dispiacere, la loro maniera di essere vicini a questa Chiesa che soffre.

     

    D. – Padre Domenico, lei ha visto il corpo di mons. Padovese?

     

    R. – Purtroppo l’ho visto. E’ una tragedia. Cosa vuole? Davanti a certe oscenità non si può dire niente. Mi ricorda un po’ il primo cappuccino, padre Basilio da Novara, che riportò la Chiesa ad Antiochia, e che anche lui fu sgozzato nel 1851. Mi è venuto in mente proprio quell’avvenimento, perché, anche se così lontano, è un avvenimento che si è ripetuto nel tempo.


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     L'Aquila: il grazie di mons. Molinari per la scuola realizzata dalla Caritas

    ◊    Dalle macerie alla rinascita: inaugurata nei giorni scorsi a San Panfilo d’Ocre, in provincia dell’Aquila una scuola primaria e dell’infanzia all’avanguardia dedicata a don Lorenzo Milani. La struttura è stata realizzata dalla Caritas Italiana grazie alle offerte raccolte dalla Conferenza Episcopale Italiana dopo il terremoto del 6 aprile 2009. Costata 2 milioni e mezzo di euro, l’edificio copre una superficie di 1300 metri quadrati ed è in grado di ospitare 168 alunni. Soddisfazione e gioia dall’arcivescovo dell’Aquila, mons. Giuseppe Molinari. Paolo Ondarza lo ha intervistato.

     

    R. – Noi ringraziamo la Caritas Italiana e ringraziamo gli italiani che, attraverso la Caritas, hanno contribuito. Ringraziamo per questa realizzazione, che è importante. La scuola è sempre molto, molto importante e poi anche l’intitolazione a don Milani è molto bella. Don Milani ci richiama ad una figura di educatore che ha dato tutto per i giovani, per la scuola e certamente la sua passione educatrice nasceva da Gesù Cristo, dal Vangelo. E’ un esempio da non dimenticare.

     

     

    D. – Com’è stata accolta la realizzazione di questa scuola dalla popolazione?

     

     

    R. – Le persone sono tutte contente per questa realizzazione. Purtroppo il terremoto ha devastato tante cose: le abitazioni, le chiese e anche le scuole, soprattutto nel centro storico. Avere in questo centro questa bella scuola, realizzata grazie alla Caritas e alla generosità degli italiani, è qualcosa che porta gioia e soddisfazione nel cuore di tutti, anche e soprattutto nella gente del centro di San Panfilo d’Ocre.

     

     

    D. – Dopo tanta devastazione, finalmente un segno di svolta: dove c’è una scuola c’è speranza per il futuro…

     

     

    R. – Senz’altro. Anche perché quando si parla di bambini, di ragazzi, si parla sempre di speranza e noi ci auguriamo che i ragazzi e i bimbi dell’Aquila siano veramente coloro che, diventando sempre più grandi, porteranno avanti il discorso della ricostruzione, del futuro della nostra città, che è una bella città e merita di ricominciare una bella storia.

     

     

    D. – Finalmente potremmo dire anche una buona notizia, perché si parla di un segno concreto di solidarietà da parte degli italiani, della Chiesa italiana. Un segno concreto di vicinanza alla popolazione che si è trovata a vivere veramente un incubo che sembra, appunto, dietro le spalle…

     

     

    R. – Ormai è trascorso più di un anno dalla tragedia del 6 aprile 2009. Io ho sempre cercato di sottolineare gli aspetti positivi. La tragedia è stata grande, abbiamo subito tante perdite, 308 vite umane stroncate. Però c’è anche l’altra faccia della realtà, quella più bella, quella consolante dell’enorme, immensa solidarietà che abbiamo sperimentato da parte di tutti. E mi rivolgo anche agli aquilani, perché non solo sappiano fare la loro parte - é importante che anche noi aquilani facciamo la nostra parte – ma sappiano anche essere uniti, che non si lascino corrodere dal tarlo delle divisioni, perché di fronte a questi grandi problemi bisogna essere uniti, cercare insieme soluzioni, affrontarle, aspettare l’aiuto dello Stato e delle varie istituzioni ma anche fare la nostra parte, stando insieme.

     

     

    D. – Perché c’è un rischio di distruttività all’interno della comunità?

     

     

    R. – Purtroppo questi segni ci sono sempre. Dove esistono gli uomini esistono sempre questi rischi e mi dispiace che spesso i mass media sottolineino sempre solo questi aspetti un po’ negativi: qualche gruppo che contesta, qualcuno che si lamenta, qualcuno che vede tutto nero c'è sempre. Ma la maggioranza degli aquilani non vede questo. La maggioranza degli aquilani sa tutte le cose buone che sono state realizzate e la maggioranza degli aquilani vuole, compatta, andare avanti e trovare uno Stato e degli amministratori che sappiano accogliere questa voglia di ricostruire e di ricominciare.


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    Chiesa e Società



     Sri Lanka: l'aiuto della Chiesa per i profughi della guerra civile

    ◊    Anche se la Caritas-Sri Lanka è molto impegnata per aiutare le vittime della lunga guerra civile, “non possiamo essere del tutto soddisfatti. Possiamo dare aiuti, ma le necessità della gente sono tante. Non so come possiamo soddisfare tutte le loro necessità e tutte le loro richieste. Per quello che abbiamo fatto per loro, io, come Chiesa, sono contento, ma dico anche che le necessità sono tante, che c’è tanto da fare”. Padre George Sigamony, direttore della Caritas-Sri Lanka, racconta all'agenzia AsiaNews quanto la Chiesa cattolica ha fatto per le vittime della guerra e i profughi, e parla del tantissimo che ancora occorre fare. Padre Sigamony ha seguito per anni la difficile situazione dei campi profughi. Dice che “sono felice di vedere che la popolazione ora non è più confinata in campi profughi, ma è libera di muoversi, di tornare ai loro villaggi, ritrovare parenti e riunificate le famiglie. Ma questa gente ha ancora bisogno di tanto aiuto dello Stato e degli enti, per potersi reinsediare a casa. Invece viene loro dato poco sostegno. Nell’aprile 2009 – ricorda padre Sigamony – abbiamo iniziato a prenderci cura dei profughi nei campi di Manik Farm, Trincomalee, Jaffna: circa 97mila profughi. Abbiamo dato loro cibo e anche assistenza psicologica, istruzione. Quando sono tornati ai loro villaggi, abbiamo dato loro razioni di cibo per le necessità essenziali”. “Quando abbiamo chiesto cosa serviva loro, ci hanno detto che mancavano di ripari. Serviva loro la luce, in quanto là non c’è elettricità. Così abbiamo fornito loro lampade solari, soprattutto alle vedove e alle donne che devono fare da capo-famiglia. La nostra maggiore priorità è sostenere vedove e donne sole, la maggior parte di loro sono giovani tra 18 e 32 anni con 2 o 3 bambini”. “Vogliamo anche favorire l’istruzione dei bambini. Pure quando erano nei campi profughi, li abbiamo aiutati nell’istruzione”. La Chiesa non ha trascurato i bisogni non materiali dei profughi e il sacerdote esprime il suo ringraziamento “ai vescovi, soprattutto a mons. Joseph Rayappu e a mons. Thomas Savundaranayagam. Dall’inizio, costoro non hanno mai trascurato le necessità della gente, sono stati con queste persone. Nei campi sono stati sempre presenti sacerdoti, per le necessità spirituali”. “E quando la gente ha iniziato a reinsediarsi, con loro ci sono stati i sacerdoti”. “La gente ha capito che la chiesa non li ha mai lasciati soli, che la chiesa è in viaggio con noi”. (R.P.)


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     “Consenso per lo sviluppo”, slogan della Settimana sociale argentina

    ◊    “Promuovere lo sviluppo integrale della persona è la chiave per sradicare la povertà. Il Bicentenario dell’indipendenza dell'Argentina deve poter costituire un'occasione privilegiata per promuovere accordi, incrementare rapporti con le istituzioni e con tutti i soggetti sociali per realizzare politiche pubbliche che abbiano quale obiettivo lo sviluppo integrale e il bene comune”. Lo ha sottolineato monsignor Jorge Casaretto, vescovo di San Isidro, presidente della Commissione di pastorale sociale della Conferenza episcopale argentina (Cea), illustrando la Settimana sociale, organizzata insieme con la diocesi di Mar del Plata, dal 25-27 giugno, con lo slogan “Consenso per lo sviluppo”. L’Osservatore Romano riporta che spiegando lo scopo della Settimana sociale, il presule ha detto che è necessario raggiungere il consenso per sradicare la povertà e promuovere lo sviluppo globale. “Nell’ambito del Bicentenario, che avràò celebrazioni tra il 2010 e il 2016, occorre continuare a lavorare per sradicare la povertà e promuovere lo sviluppo. Come discepoli e missionari di Gesù Cristo, la grande causa della giustizia sociale e l'inclusione costituiscono per noi la missione fondamentale e il fulcro della pastorale sociale”. “Il primario compito della politica pubblica - ha ricordato il presule — è una rinnovata opzione per i nostri fratelli più poveri ed esclusi”. E nel documento di Aparecida, i vescovi dell'America latina, riaffermano la necessità di disegnare “misure di politica economica e sociale che soddisfino le svariate esigenze della gente e conducano allo sviluppo sostenibile. A livello mondiale, regionale e locale, abbiamo visto che la crescita economica da sola non è sufficiente per assicurare l'equità, il progresso e la mobilità sociale verso l'alto. Quindi, cercare il consenso per lo sviluppo integrale è la chiave per sradicare la povertà”. Secondo il vescovo, il consenso può essere raggiunto “guardando il volto reale di coloro che soffrono di più e che si aspettano da parte di coloro che hanno, a diversi livelli, responsabilità pubblica, gesti concreti, che non siano solo misure per le emergenze ma azioni durature”. Come indicato nella carta per il Bicentenario, dobbiamo renderci conto che “il successo sarà stabile soltanto sulla strada del dialogo e del consenso per il bene comune, se si avrà particolare considerazione verso i nostri fratelli più poveri ed esclusi”. Quando, infatti, prevalgono gli interessi personali e corporativi sul bene comune, inevitabilmente aumenta la povertà. “I sei anni di celebrazioni per il Bicentenario — evidenzia ancora monsignor Casaretto — possono essere una grande opportunità, un tempo di conversione e di crescita nella consapevolezza sociale, la riscoperta di una vera cultura di giustizia, di solidarietà e di equa distribuzione dei beni”. A questo cammino di solidarietà e alla costruzione del bene comune sono chiamati tutti i cittadini, i responsabili delle vita pubblica. “Si tratta — ha esortato il vescovo — di lavorare insieme per sradicare la povertà e promuovere lo sviluppo dell'individuo e della società, suscitando nuove vocazioni di impegno politico e sociale, educando alla responsabilità del servizio e alla gioia dell'essere gli uni per l'altro. Questo essere e agire insieme, oltre a rafforzare i vincoli della solidarietà, cementa il senso di appartenenza all’unica famiglia dell'Argentina, aperta però nel servizio agli altri popoli del mondo”. Secondo il presule, il debito degli argentini “è un debito soprattutto sociale” e la sua soluzione non rappresenta un mero “problema economico o statistico”, piuttosto si tratta di un “problema morale che coinvolge la nostra dignità più profonda e richiede un maggiore impegno civile”. Riflettendo sulla grande questione dell'esclusione sociale, in buona parte determinata dalla povertà, monsignor Casaretto sottolinea la gravità delle sue diverse forme così come le dinamiche che la innescano. “Quando un ragazzo finisce nel mondo della droga — spiega il presule — passa facilmente a quello della violenza e qui si gioca la propria vita poiché di essa e di quella degli altri non ha nessuna considerazione. Perde il senso dell'esistenza. In ciò si manifesta il suo problema affettivo e spirituale che richiama la nostra massima attenzione. Dunque la povertà è un problema integrale e non riguarda solo la mancanza di certi beni seppure necessari, ma la persona umana nella sua integrità”. Ricordando che le nuove misure nell'ambito dell'educazione verranno applicate a 900.000 mila giovani che non studiano e non lavorano, monsignor Casaretto ha sottolineato l'importanza di pensare ad estendere questi provvedimenti a tutti tenendo presente il “pianeta giovanile nella sua interezza”. La Chiesa argentina è in prima linea contro la povertà e in particolare contro una delle sue conseguenze più deleterie: l'esclusione sociale. Al riguardo monsignor Casaretto auspica che una “simile sensibilità si diffonda in tutti i settori del Paese e della classe dirigente argentina”, a cominciare da una riduzione dei consumi e soprattutto degli sprechi e dalla riduzione della disuguaglianza sociale, culturale ed economica. Il presidente della Commissione di pastorale sociale ha invitato i rappresentanti politici, sociali, sindacali e imprenditoriali a presentare le loro proposte e progetti per generare sviluppo. Poi verrà redatto un documento su cui si rifletterà e discuterà durante i lavori della Settimana sociale. Si è di fronte — ha evidenziato ancora — a una sfida storica: politiche pubbliche per lo sradicamento della povertà e lo sviluppo integrale; una sfida per i dirigenti politici, chiamati a riscoprire e a vivere i principi etico-morali rifuggendo le tentazioni del potere. (E. B.)


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     Perù: Cuzco si prepara al Congresso missionario della Santa Infanzia

    ◊    "Noi bambini missionari seminiamo la speranza per creare un posto migliore": è il tema del Congresso missionario della Pontificia Opera dell’Infanzia Missionaria (Santa Infanzia) che si celebrerà il prossimo 21 agosto nell’arcidiocesi peruviana di Cuzco. Secondo quanto riferisce l'agenzia Fides, la preparazione immediata al Congresso ha avuto inizio domenica 23 maggio, in occasione della celebrazione della Giornata dell'Infanzia Missionaria. L’arcidiocesi e la città hanno vissuto con gioia l’evento, che la Chiesa ha organizzato con l'obiettivo di aiutare i bambini a scoprire il volto di Dio in ciascuno dei bambini del mondo, soprattutto quelli più svantaggiati, per seminare la speranza e creare un mondo migliore per tutti. In tutte le parrocchie si è pregato in modo particolare per i bambini e per i giovani, perché possano essere protetti da qualsiasi cosa vada contro la loro innocenza e le loro capacità di sviluppo. In questa giornata ha anche avuto inizio la preparazione al Congresso Missionario della Santa Infanzia del prossimo 21 agosto, che è organizzato dalle Pontificie Opere Missionarie dell’arcidiocesi di Cuzco sotto la guida di padre Antonio Arias Cruz, con la partecipazione del consorzio di tutte le scuole cattoliche della zona, dell'Ufficio diocesano dell’Educazione Cattolica, di istituzioni educative, parrocchie, gruppi giovanili e missionari. (R.P.)


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     Convegno a Milano sulla recezione del Concilio Vaticano II

    ◊    “Recezione del Vaticano II a Milano. Le pratiche” è il convegno in programma il 10 e l’11 giugno a Villa Cagnola di Gazzada (Varese) per iniziativa della Fondazione Ambrosiana Paolo VI che negli anni scorsi ha avviato l’indagine “Recezione del Vaticano II a Milano”, coordinata dal teologo Gilles Routhier (Università Laval di Québec) e dai vescovi Franco Giulio Brambilla e Adriano Caprioli. Obiettivo della ricerca, spiegano dalla Fondazione all'agenzia Sir, “scoprire come il Concilio è stato accolto e assimilato, quali effetti ha provocato, come è diventato parte della vita” della diocesi di Milano; ma, allo stesso tempo, “come le vicende di questa Chiesa hanno contribuito alla sua recezione, come lo hanno preparato” e “più in generale, come la cultura e la società locale hanno influito su tutto il percorso”. Dopo aver messo a tema “le figure”, cioè i diversi soggetti coinvolti (vescovi, clero, religiosi, popolo di Dio) in un primo convegno nel giugno 2009, il percorso della ricerca si chiude con l’appuntamento della prossima settimana incentrato su “le pratiche”, ossia “gli effetti nella vita quotidiana della Chiesa” sul fronte della formazione e del dialogo con gli uomini e la cultura. Oltre ai coordinatori dell’indagine interverranno tra gli altri lo storico Philippe Chenaux, il teologo Luca Bressan e Fausto Colombo, docente di tecnica dei media presso l’Università cattolica di Milano. (R.P.)


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     Usa: la replica degli episcopaliani all'arcivescovo Williams sul tema dell'autorità

    ◊    Contrarietà a un'autorità centralizzata, ma volontà di proseguire il dialogo: è il pensiero espresso in una lettera pastorale, a nome della comunità episcopale degli Stati Uniti (il ramo americano della Comunione anglicana), dal presidente, il vescovo Katharine Jefferts Schori, dopo le recenti affermazioni del primate arcivescovo di Canterbury, Rowan Williams, che — in occasione della festa di Pentecoste — aveva proposto l'esclusione delle Province dissenzienti con le moratorie stabilite dalla Comunione anglicana, dalla rappresentanza nei colloqui formali ecumenici e dalla partecipazione, in qualità di membri effettivi, all'Anglican Standing Commission on Unity, Faith and Order, l'organismo che ha il compito di esaminare le questioni relative alla dottrina e all'autorità. Le moratorie - riferisce L'Osservatore Romano - riguardano il divieto di celebrare cerimonie religiose per la benedizione di unioni tra persone dello stesso sesso; il divieto di consacrazione di vescovi che vivono in unione con persone dello stesso sesso; l'impossibilità di un vescovo anglicano di autorizzare ministeri nel territorio di un'altra diocesi, senza una precisa autorizzazione. In particolare, Williams si era riferito all'avvenuta consacrazione a vescovo, avvenuta il 15 maggio, nella diocesi di Los Angeles, a opera degli episcopaliani, del reverendo Canon Mary Glasspool, dichiaratamente omosessuale, che ha aperto un acceso dibattito con i tradizionalisti. Il vescovo Schori ha sottolineato che le proposte dell'arcivescovo Williams rappresentano «un problematico passo in avanti verso la centralizzazione dell'autorità». Gli episcopaliani, ha puntualizzato, «sono preoccupati di fronte a quella che appare un'imposizione di sanzioni ad alcune Province». Il vescovo Schori ha spiegato che la Chiesa episcopale non mira a imporre la sua visione al resto delle comunità anglicane: «La Chiesa episcopale è consapevole che le decisioni adottate risultano problematiche per altri anglicani. Non cerchiamo d'imporre le nostre ragioni. Lo Spirito può parlare a tutti noi in modi differenti che, al presente, possono sembrare non coerenti o accettabili. Riconosciamo, in tutta umiltà, che potremmo sbagliarci, ma abbiamo proceduto con la convinzione che lo Spirito permea le nostre decisioni». Per il vescovo, tuttavia, «questo non comporta negare la realtà che molti anglicani e, non pochi episcopaliani, sono legati alla tradizione per quanto riguarda il tema della sessualità»; ma, ha aggiunto, «la Chiesa episcopale è abbastanza grande e inclusiva per accogliere le diverse espressioni di pensiero». Nel concludere, il vescovo Schori ha poi ribadito la volontà del dialogo: «Continueremo con fervida speranza il dialogo con tutti coloro che sono in disaccordo, perché crediamo che lo Spirito chiami tutti a una più grande comprensione; e continueremo a cercare ogni opportunità per accrescere la nostra collaborazione nella missione di Dio». (R.P.)


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     Iniziativa degli anglicani per la Giornata mondiale dell'ambiente

    ◊    Riflettere sulle grandi emergenze ambientali che attanagliano il pianeta, andando alla scoperta, attraverso il messaggio biblico, di nuove strade per costruire un più corretto rapporto tra l'uomo e il creato: è il senso dell'impegno al quale sono chiamati gli anglicani, nell'ambito di un'iniziativa lanciata in occasione della Giornata mondiale per l'ambiente, promossa dalle Nazioni Unite, che è stata celebrata ieri. La tutela del creato è, infatti, uno temi principali che vengono affrontati nel programma generale «The Bible in the life of the Church», dedicato alla lettura della Bibbia, - riporta L'Osservatore Romano - che le diverse comunità anglicane stanno compiendo alla luce delle particolari realtà in cui esse sono radicate. «Spero che mediante questo programma — ha sottolineato il primate della Comunione anglicana, l'arcivescovo di Canterbury, Rowan Williams — impariamo a dire non soltanto parole sull'importanza della Parola, ma a far sì che, attraverso la Bibbia, lo spirito e il verbo divino possano entrare in noi, rendendo le comunità e il mondo come Dio li vuole». In occasione della Conferenza delle Nazioni Unite sul clima, svoltasi a dicembre 2009, a Copenaghen, l'arcivescovo Williams aveva peraltro sollecitato i Governi e le società ad agire per amore. «Non possiamo — aveva evidenziato il primate — mostrare il lato giusto dell'amore, se come esseri umani non lavoriamo per salvaguardare la terra come dimora sicura per tutti». Il programma «The Bible in the life of the Church», in particolare, coinvolge le comunità di quelle nazioni colpite dai disastri naturali per i rapidi mutamenti climatici: «Stiamo assistendo alle conseguenze — ha osservato il responsabile del programma, Stephen Lyon — che il mutamento del clima stanno provocando nelle regioni meno sviluppate del pianeta: numerose comunità anglicane, per esempio, vivono in Paesi come l'India o la Nigeria, che risultano tra i più colpiti dalle inondazioni e dalla diminuzione delle fonti idriche potabili». Tutte le religioni e le confessioni, ha aggiunto, «hanno il dovere di proteggere l'ambiente nei loro contesti e negli altri». Per quanto riguarda la Comunione anglicana, ha puntualizzato, «questo dovere è stato sancito nel documento “The five marks of mission” ed è una delle ragioni per cui abbiamo deciso di affrontare l'argomento, attraverso la lettura della Parola, in modo tale che tutti i fedeli, in qualsiasi parte del mondo, possano realizzare l'imperativo biblico di proteggere il creato». (R.P.)


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     La cooperazione italiana a sostegno del Monastero di Deir Mar Musa in Siria

    ◊    Al via ufficialmente il 1° giugno il progetto di supporto alle attività casearie del Monastero di Deir Mar Musa, in Siria, realizzato dal COSV, il Comitato di coordinamento delle organizzazioni per il servizio volontari, grazie al contributo della Provincia Autonoma di Trento. L’iniziativa, che si svolgerà nei prossimi otto mesi, mira a favorire il miglioramento della qualità dei formaggi di capra prodotti localmente. L’obiettivo è anche quello di porsi come esempio e stimolo per un effettivo sviluppo delle condizioni economiche locali, dando anche un sostegno concreto al percorso di dialogo tra popoli e culture. “Il progetto – conferma Paolo Comoglio, direttore del COSV, organizzazione che da anni opera sui temi del dialogo inter-culturale oltre che dello sviluppo sostenibile - permetterà al Monastero di Deir Mar Musa di consolidare ancor di più i rapporti con le popolazioni e le autorità locali”. Il tutto offrendo strumenti di sviluppo adatti al contesto locale. L’obiettivo è dunque quello di rafforzare le relazioni tra le comunità attraverso il lavoro quotidiano. D’altro canto – spiega ancora Comoglio – si punta a fortificare “le radici su cui far crescere più saldamente il dialogo ed il confronto, proprio nel cuore di quella che in molte occasioni si è rivelata essere una delle aree di maggior tensione tra le culture dell’Oriente e dell’Occidente”. L’iniziativa si volge in un contesto divenuto il luogo di accoglienza e di dialogo tra culture e religioni spesso poco disponibili al confronto. “Un lavoro che richiede grande impegno – ha affermato il portavoce della comunità - a partire dalla relazione con le comunità locali, per lo più di pastori, con i quali il contatto più diretto avviene proprio attraverso la condivisione della quotidianità: vivere condividendo le stesse cose, lavorare insieme, risolvere i tanti problemi di una società che cerca di trovare un equilibrio anche economico, senza rinunciare alla sua identità e al suo rapporto con il territorio”. A Deir Mar Musa ogni anno già si realizzano incontri di riflessione e preghiera inter-religiosi. Si tratta di momenti di confronto e seminari sui problemi della Regione, che coinvolgono tutti gli attori locali: dalle autorità ai cittadini, ai pastori, fino ai turisti. Sono migliaia i pellegrini, di ogni fede, che visitano questo luogo che, dal centro del deserto, si pone come una sorta di punto di riferimento e di condivisione del possibile percorso di speranza e di pace che riguarda una Regione, quella che comprende la Siria e i Paesi confinanti, dalle caratteristiche complesse e dalle numerose sfaccettature culturali e religiose. (E.B.)


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     Lettera degli universitari romani sul senso della domenica

    ◊    «Per noi la domenica è il giorno dei giorni, il primo della settimana, un'esperienza di incontro con il desiderio tutto umano di infinito», perché è «il giorno del Signore». Nasce da questo incontro «la fiducia che è possibile costruire una comunità accademica a servizio della civiltà dell'amore». A scriverlo sono gli studenti impegnati nella pastorale universitaria di Roma in una lettera che sarà distribuita ai partecipanti al convegno ecclesiale diocesano «L'eucarestia domenicale e la testimonianza della carità», che si svolgerà dal 15 al 17 giugno, e, successivamente, negli atenei, nei collegi universitari e nelle parrocchie. Il documento, che intende rilanciare l'importanza della domenica, ha per titolo «Sine dominico non possumus. Non abbiamo cercato invano!» e comincia ripercorrendo brevemente la vita domenicale del giovane universitario. Per molti studenti — si afferma nella lettera — la domenica è un giorno come gli altri, forse ancora più faticoso; chiude un tempo pesante, in attesa di una settimana che si desidera più leggera. Per altri è il giorno del riposo dopo un weekend di svago. «Possibile — si chiedono gli universitari — che il tempo sia fatto soltanto di azioni ripetitive e spesso inappaganti e che la domenica ceda il passo alla stessa routine che riempie semplicemente di anni la nostra vita, piuttosto che donare vita ai nostri anni?». La domenica «non appiattisce il tempo che viviamo, ma al contrario lo trasforma nell'opportunità di toccare quel desiderio, senza fuggirlo, ma piuttosto assaporandolo». Centro del tempo è l'eucaristia domenicale «perché ci permette di incontrare un Dio che è vivo e che cammina con noi, che ci parla e che ci ascolta. È questo incontro — sottolineano gli studenti nel documento — la sorgente della nostra speranza. Con lui inizia una nuova settimana: la storia non è più un susseguirsi indefinito di eventi da vivere passivamente, perché c'è lui che ci rende protagonisti della nostra storia». Se la domenica è il giorno del Signore, dell'incontro con il Signore, allora — affermano gli studenti della pastorale universitaria — è anche il giorno dell'uomo, «di quell'uomo in ricerca e assetato di infinito a cui non basta vivere un tempo privo di senso». Nel volto di colui che è stato crocifisso, l'uomo può comprendere la sua grandezza e dignità. Per questo «la domenica è un dono da vivere insieme, è il dono di colui che ci offre la gioia e la speranza, è l'incontro con Gesù risorto. Questa è la nostra esperienza — concludono i giovani — non abbiamo cercato invano!». Sarà Benedetto xvi ad avviare i lavori del convegno ecclesiale diocesano, che si svolgerà nella basilica lateranense, per concludersi nelle parrocchie.(R.P.)


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     Derby del Cuore a Roma contro lo sfruttamento sessuale dei minori

    ◊    Il 9 giugno alle 20.30 allo Stadio Olimpico Cecchignola di Roma, in via dei Lanceri, si svolgerà il ‘Derby del Cuore’ la partita di calcio cui prenderanno parte la nazionale attori, la nazionale italiana militare e una rappresentanza dell’Asd Fonte Laurentina. L’evento, in vista dei prossimi Mondiali di Calcio in Sudafrica, è stato organizzato da Ecpat – la rete internazionale che si occupa di proteggere i minori dallo sfruttamento sessuale in oltre 70 Paesi - con l’obiettivo di raccogliere fondi a favore dei bambini delle periferie degradate di Johannesburg, capitale del Sudafrica. In particolare il progetto mira alla costruzione di un campo di calcio e di un campo di pallacanestro per i bambini delle scuole dei sobborghi di Yeoville e Hillbrow. Tra i principali problemi che affliggono queste due aree c’è il diffondersi dell’AIDS, l’estrema povertà e la disoccupazione che hanno creato un numero sempre crescente di ragazzi abbandonati. L’iniziativa, realizzata in collaborazione con Mais Africa, Orizzonti Sportivi e Mais Onlus, mira inoltre a garantire ai ragazzi la possibilità di crescere come dei veri campioni, all’insegna del gioco e della protezione dallo sfruttamento sessuale (articoli 31 e 34 della Convenzione dei diritti dei bambini e degli adolescenti). Il costo del biglietto è di 5 euro. (E. B.)


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    24 Ore nel Mondo



     Il piano contro la marea nera sembra funzionare: la Bp assicura che pagherà tutto

    ◊    Circa diecimila barili di petrolio al giorno: è quanto viene recuperato dal nuovo dispositivo che la Bp ha messo in funzione per attenuare il devastante impatto della marea nera nel Golfo del Messico. È quanto annunciato dall'amministratore delegato della Bp, Tony Hayward, e confermato dalla Guardia Costiera. Per Hayward il recupero del petrolio va meglio del previsto: si tratterebbe di circa metà della perdita che il responsabile ha quantificato il 12-19mila barili al giorno. Nell'intervista il leader del gruppo petrolifero afferma che la Bp fermerà la perdita e ripulirà tutto ripristinando le condizioni ambientali precedenti. Rispondendo alle pressioni nazionali e internazionali e facendo fronte alle accuse dello stesso Obama circa i dividendi da favola che la Bp si appresta a distribuire, il responsabile dei risarcimenti del gruppo, Darryl Willis, ha detto, in una conferenza stampa in Alabama, che la compagnia pagherà fino a che tutto non sarà finito e sarà presente fino a quando la gente non tornerà alla sua vita normale”. Bp ha già pagato 46 milioni di dollari alle vittime della marea nera e ritiene che nel mese di giugno verserà altrettanto. Da parte sua, nel consueto discorso del sabato, il presidente americano Barack Obama difende con forza la sua amministrazione dalle critiche che l'accusano di aver reagito in maniera troppo lenta al disastro nel Golfo del Messico. Obama, rivolgendosi agli americani per radio e su internet, precisa che la sua amministrazione ha organizzato la più imponente risposta ad un disastro ambientale nella storia degli Stati Uniti: oltre 1.900 navi e 20.000 persone stanno lavorando per ripulire la marea nera e sono mobilitati 17.500 soldati della Guardia Nazionale. Obama ribadisce inoltre il suo impegno ad assicurarsi che “Bp paghi ogni singolo centesimo dovuto alla gente sulla costa del Golfo”. A Paolo Mastrolilli, giornalista del quotidiano La Stampa esperto di politica americana, Stefano Leszczynski ha chiesto il perché di questo coinvolgimento così personale del presidente Obama nella vicenda:

     

    R. - Obama ha dato l’impressione di voler semplicemente scaricare la colpa sulla British Petroleum e aspettare che loro trovassero una soluzione. Per gli americani questo non è abbastanza, il presidente deve essere una persona che decide, che prende la situazione in pugno e che risolve i problemi e se fosse passata questa immagine sarebbe stato molto rischioso per Obama. Quindi, adesso il presidente sta cercando di cambiare l’impressione che il pubblico ha ricevuto dal suo comportamento in questa crisi.

     

    D. - Se questo può avere un effetto positivo da un punto di vista di opinione pubblica, dall’altro lato sembra creare una disarmonia tra le società petrolifere e il governo statunitense?

     

    R. - Sì, questo è certamente possibile. Tra l’altro questo governo americano è decisamente impegnato alla ricerca di fonti alternative. Purtroppo al momento sono coscienti i membri dell’amministrazione Obama che un’alternativa forte al petrolio non esiste e, quindi, continuano a rivolgersi alle compagnie petrolifere per garantire i rifornimenti energetici del Paese. Tra l’altro, l’amministrazione Obama puntava proprio sui giacimenti non ancora esplorati nel Golfo del Messico per recuperare le risorse necessarie da qui ai prossimi anni per poter continuare ad alimentare il Paese mentre si cercano delle soluzioni alternative dal punto di vista energetico. E’ una situazione molto delicata ed è molto difficile per Obama trovare una posizione di equilibrio che garantisca i rifornimenti necessari al Paese e nello stesso tempo renda chiaro agli americani che la sua amministrazione sta cercando di cambiare le politiche in questo settore. 



    Ban preme su Israele per un’inchiesta internazionale sul blitz di Gaza

    Secondo la stampa israeliana, il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon spinge per l’inchiesta internazionale sul sanguinoso blitz messo in atto lo scorso lunedì contro la flottiglia filo-palestinese diretta a Gaza. Intanto vengono rimpatriati gli attivisti della nave irlandese che ieri ha tentato di raggiungere la Striscia di Gaza così come quella di lunedì scorso. Ma in questo caso non ci sono stati incidenti. Il servizio di Fausta Speranza:  

     

    Il segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon avrebbe inviato alle autorità israeliane una proposta dettagliata per l'istituzione di una commissione di inchiesta internazionale che faccia luce sul sanguinoso blitz di lunedì scorso. È quanto scrive, nell’edizione online, il quotidiano israeliano Haaretz. E ci sono poi gli attivisti dell’altra nave, la Rachel Corrie, che ha tentato ieri di violare il blocco su Gaza. Oltre agli otto membri dell'equipaggio, c'erano cinque attivisti irlandesi e sei malesi. Alcuni sono stati trasferiti sotto scorta all'aeroporto di Tel Aviv in vista dell’espulsione, altri sono giunti in Cisgiordania. Ieri erano stati dirottati nel porto israeliano di Ashdod, poi trasferiti in un centro dei servizi di immigrazione non lontano da Tel Aviv. Anche loro portavano aiuti per la popolazione di Gaza, che Israele ha messo sotto embargo dopo la presa di potere nell’enclave palestinese degli integralisti di Hamas. Mentre si discute sul blocco e diverse voci autorevoli si levano contro, la Gran Bretagna annuncia oggi che stanzierà 23 milioni di euro in aiuti per le popolazioni della Striscia di Gaza ed è tornata a chiedere che Israele tolga l'isolamento. Inoltre, il Dipartimento di Stato Usa assicura che Italia, Francia e Stati Uniti si sono impegnati a versare 655 milioni di dollari per aiutare lo sviluppo economico del settore privato palestinese. 

     

    Autobomba a Baghdad: 4 morti

    Un'autobomba è esplosa questa mattina in mezzo ad un folto gruppo di poliziotti all'esterno di un commissariato a Baghdad, uccidendone almeno quattro e ferendone altri dieci. Secondo fonti del ministero degli Interni, un uomo ha lanciato l'auto imbottita di esplosivo al momento del cambio del personale nella stazione di polizia del distretto sciita di Amil, nella zona sudoccidentale della capitale.

     

    Due attentati in Afghanistan

    Un agente di polizia e due civili sono morti nella provincia meridionale afghana di Kandahar quando l'auto su cui viaggiavano ha urtato un rudimentale ordigno esplosivo. L'attentato è avvenuto nel distretto di Panjwai ed il governatore, Shah Barah Khaksar, ha precisato che altri nove civili, fra cui due donne e due bambini, sono rimasti feriti. A Jalalabad, capoluogo della provincia orientale afghana di Nangarhar un kamikaze a bordo di una motocicletta si è fatto esplodere vicino ad un convoglio di truppe Usa, causando almeno 13 feriti.

     

    In tema di economia, preoccupazioni per Ungheria e euro

    Cresce l’attesa per l’apertura della nuova settimana delle Borse, dopo il profondo rosso registrato venerdì, a cui si è aggiunto il crollo dell’euro sceso sotto 1,20 rispetto al dollaro, il minimo dal 2006. A soffrire soprattutto i listini europei, già provati dai poco incoraggianti dati sull’occupazione americana e poi definitivamente affossati dai timori del rischio default in Ungheria e in tutta Europa. Siamo dunque di fronte ad un nuovo caso Grecia? Gabriella Ceraso lo ha chiesto a Ugo Bertone editorialista economico:

     

    R. – Ci sono piccole speranze per evitare un default di stampo greco. Del resto, la situazione sembra quasi una fotocopia. In passato ci sono state valutazioni troppo ottimistiche. Anche in questo caso ha giocato un ruolo il tentativo di agganciarsi al carro dell’euro. Mi auguro che la crisi greca abbia insegnato qualcosa. In ogni caso, per la Germania l’Ungheria ha un peso assai più rilevante che non la Grecia, anche in termini geopolitici e quindi ci si può attendere un atteggiamento più deciso e più solido. Sarebbe anche il caso di creare delle regole generali per evitare di tamponare caso per caso.

     

    D. – Un’eventuale crisi ungherese potrebbe provocare poi un effetto domino anche nel resto dell’Europa?

     

    R. – Non credo, primo perché l’Ungheria è assai più solida. Secondo perché altri Paesi come l’area baltica hanno già fatto la loro grande “cura dimagrante”.

     

    D. – Dal G20 delle finanze, che si è da poco concluso, è arrivato all’Europa il monito di accelerare il consolidamento delle finanze pubbliche e mettere in ordine i sistemi bancari. Sono queste, dunque, le strade da percorrere?

     

    R. – Sono strade obbligate, però non dimentichiamoci che queste strade comportano minori soldi a disposizione per la crescita e per lo sviluppo. Quindi, da quel punto di vista, non aspettiamoci una grande ripresa. Sarà una di quelle situazioni da dominare con un movimento di colpi di accelerazione e colpi di freno ben coordinati. 

     

    Lieve malore per il presidente della repubblica italiana Napolitano

    Il presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano, si è scusato con il presidente della Regione Piemonte Roberto Cota, con il sindaco di Torino, Sergio Chiamparino e con gli altri organizzatori del convegno su Cavour, e subito dopo aver pronunciato il suo intervento ha lasciato la cerimonia, in anticipo rispetto al programma originario, per fare rientro a Roma, a causa di un lieve malore. Napolitano ha assistito a Torino alla presentazione del programma di iniziative per la celebrazione del 150/o anniversario dell'unità d'Italia” che si svolgeranno in Piemonte. Ha definito il programma bene avviato e ha affermato che “non è vero che ci sia indifferenza tra i cittadini italiani” rispetto all’anniversario. Nel discorso di Santena in cui ha celebrato la figura di Cavour come “massimo, sapiente artefice e regista” dell'unificazione italiana, Giorgio Napolitano ha difeso l'importanza dell'unità nazionale e della coesione sociale nella situazione attuale del Paese. Occorre difenderle e farle crescere - ha detto - e ciò è possibile “solo con riforme e le loro conseguenti attuazioni, con indirizzi di governo a tutti i livelli, con comportamenti collettivi, civili e morali, capaci di rinnovare la società e lo Stato, mirando in particolare ad avvicinare Nord e Sud, ad attenuare il divario che continua a separarli”.

     

    Pechino esprime “forte malcontento” per la dichiarazione Usa su Tiananmen

    La Cina ha espresso ''forte malcontento e ferma opposizione'' alla dichiarazione del Dipartimento di Stato americano sui fatti di Tiananmen. Lo scrive l'agenzia Nuova Cina riportando una dichiarazione di Ma Zhaoxu, portavoce del ministro degli Esteri di Pechino. Il 4 giugno scorso, nel 21mo anniversario della rivolta di piazza Tianamnen, Philip J. Crowley, assistente segretario dell'ufficio degli affari pubblici del segretario di Stato americano, ha emesso un comunicato nel quale si chiede alla Cina “il rilascio di coloro che sono detenuti per aver partecipato alle proteste pacifiche”', oltre a fare chiarezza sui morti, gli scomparsi e di proteggere i diritti umani universali di tutti i suoi cittadini, “inclusi coloro che dissentono pacificamente”. Rispondendo ad una domanda in conferenza stampa, Ma Zhaoxu ha detto che il comunicato americano “che ignora i fatti e critica senza fondamento il governo cinese, interferisce pesantemente negli affari interni della Cina”. Il portavoce cinese ha chiesto al governo americano di abbandonare “i suoi pregiudizi politici e rettificare la pratica sbagliata, evitando di disturbare le relazioni tra Cina e Stati Uniti”. (Panoramica internazionale a cura di Fausta Speranza) 

     

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIV no. 157 

     

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