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Sommario del 02/06/2010

Il Papa e la Santa Sede

  • Udienza generale. Appello del Papa per Gaza: la violenza genera violenza. Catechesi dedicata a San Tommaso d'Aquino
  • Il Papa invita i fedeli ad accompagnare con la preghiera il suo prossimo viaggio a Cipro
  • Benedetto XVI invoca la solidarietà internazionale per il Guatemala colpito dalla tempesta tropicale Agatha
  • Mons. Vegliò: aumenta lo sfruttamento dei migranti
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Israele espelle gli attivisti pro-Gaza. Abu Mazen: terrorismo di Stato
  • Festa della Repubblica. Napolitano: lavorare insieme per sicurezza e benessere comune
  • "Tutti indietro": Laura Boldrini raccoglie in un libro storie di migrazioni e umanità
  • Mostra in Vaticano su "Compostela e l'Europa. La storia di Diego Gelmirez"
  • Chiesa e Società

  • Cuba: iniziato il trasferimento dei prigionieri politici
  • I vescovi del Senegal: dialogo, perdono e giustizia per porre fine alla crisi nel Casamance
  • Il vicario apostolico di Comores: al servizio di una Chiesa silenziosa ma operosa
  • Indonesia: gli aiuti della Chiesa tra la gente della giungla
  • Dieci Paesi con l’Italia contro la sentenza europea sul Crocifisso
  • Papua Nuova Guinea: gli indigeni perdono i diritti su territorio e risorse naturali
  • Mons. Fortino: gioia per il riavvicinamento tra i Patriarcati di Costantinopoli e Mosca
  • Religiosi cristiani e musulmani a Beirut per parlare di educazione tra fede e cultura
  • Pellegrinaggio dei giovani nei luoghi di Gesù per sostenere la pace in Terra Santa
  • Roma: tutto pronto per il primo festival internazionale di canto sacro
  • 24 Ore nel Mondo

  • Attacco talebano a Kabul all'apertura dell'Assemblea di pace
  • Il Papa e la Santa Sede



     Udienza generale. Appello del Papa per Gaza: la violenza genera violenza. Catechesi dedicata a San Tommaso d'Aquino

    ◊    Non serve la violenza, che provoca altra violenza, ma capacità di cercare “soluzioni giuste attraverso il dialogo”. Benedetto XVI ha concluso l’udienza generale di stamattina in Piazza San Pietro con un appello preoccupato e intenso per la grave situazione di questi giorni nella Striscia di Gaza. La catechesi è stata dedicata al grande teologo del 1200, San Tommaso d’Aquino, che “mostrò – ha detto il Papa – che tra fede cristiana e ragione sussiste una naturale armonia”. Quindi, il Pontefice ha ricordato la Messa che domani sera presiederà nella solennità del Corpus Domini. Il servizio di Alessandro De Carolis:

     

    La preghiera finale del Papa è perché sia Cristo a sostenere “gli sforzi di coloro che non si stancano di operare per la riconciliazione e la pace”. E’ su questo contrasto, tra chi fomenta l’odio e chi è chiamato a lavorare per la distensione, che si gioca l’appello di Benedetto XVI per la crisi esplosa a Gaza, dopo il raid israeliano contro la “Freedom Flotilla” e la reazione di condanna internazionale. Affermando di seguire con “profonda trepidazione” quelle che definisce “tragiche vicende” ed esprimendo il cordoglio per le vittime, il Papa dice con forza: 

     

    “Ancora una volta ripeto con animo accorato che la violenza non risolve le controversie, ma ne accresce le drammatiche conseguenze e genera altra violenza. Faccio appello a quanti hanno responsabilità politiche a livello locale e internazionale affinché ricerchino incessantemente soluzioni giuste attraverso il dialogo, in modo da garantire alle popolazioni dell'area migliori condizioni di vita, in concordia e serenità”. 

     

    Al momento della catechesi, Benedetto XVI è tornato a parlare dei pensatori cristiani del Medioevo, aprendo la pagina su uno dei più celebri e influenti per la storia della Chiesa: Tommaso d’Aquino. Per evidenziarne l’importanza, il Papa ha riferito un dato: per ben 61 volte il Catechismo della Chiesa cattolica lo cita, secondo solo a Sant’Agostino. Ricordandone i momenti salienti della vita, tra cui la scelta di consacrarsi fra i Domenicani, il Pontefice ha spiegato come il giovane Tommaso si distinse nell’interpretazione della filosofia aristotelica. Un complesso universale di conoscenze, fin lì semisconosciuto, da alcuni scoperto e accolto con “entusiasmo acritico”, e da altri temuto perché ritenuto “in opposizione alla fede cristiana”: 

     

    "Tommaso d’Aquino, alla scuola di Alberto Magno, svolse un’operazione di fondamentale importanza per la storia della filosofia e della teologia, direi per la storia della cultura: studiò a fondo Aristotele e i suoi interpreti (...) distinguendovi ciò che era valido da ciò che era dubbio o da rifiutare del tutto, mostrando la consonanza con i dati della Rivelazione cristiana e utilizzando largamente e acutamente il pensiero aristotelico nell’esposizione degli scritti teologici che compose. In definitiva, Tommaso d’Aquino mostrò che tra fede cristiana e ragione sussiste una naturale armonia". 

     

    Su questa che fu una disputa culturale del tempo, Tommaso si innalzò grazie alle sue “eccellenti doti intellettuali”, che lo resero a un tempo – ha spiegato il Papa – seguitissimo professore a Parigi, ammirato intellettuale anche dai suoi avversari accademici, e soprattutto un teologo di eccezionale fecondità. La sua produzione letteraria “ha del prodigioso”, ha commentato Benedetto XVI, come dimostra la “poderosa” Summa Theologiae, che gli diede l’immortalità. E qui, il Papa ha osservato che, nella “composizione dei suoi scritti”, l’Aquinate “era coadiuvato da alcuni segretari”, tra i quali il confratello Reginaldo di Piperno, suo grande amico: 

     

    “È questa una caratteristica dei santi: coltivano l’amicizia, perché essa è una delle manifestazioni più nobili del cuore umano e ha in sé qualche cosa di divino, come Tommaso stesso ha spiegato in alcune quaestiones della Summa Theologiae, in cui scrive: ‘La carità è l’amicizia dell’uomo con Dio principalmente, e con gli esseri che a Lui appartengono’”. 

     

    In definitiva, “un maestro di pensiero e modello del retto modo di fare teologia”: questo è per la Chiesa San Tommaso, secondo quanto scrisse Giovanni Paolo II nella Fides et ratio. Ma un uomo capace di essere compreso anche quando si rivolgeva al popolo, che “volentieri andava ad ascoltarlo”. Circostanza che ha suggerito al Pontefice una sottolineatura particolarmente sentita: 

     

    “È veramente una grande grazia, quando i teologi sanno parlare con semplicità e fervore ai fedeli. Il ministero della predicazione, d’altra parte, aiuta gli stessi studiosi di teologia a un sano realismo pastorale, e arricchisce di vivaci stimoli la loro ricerca”. 

     

    Al termine della catechesi, Benedetto XVI si è soffermato su diversi appuntamenti ecclesiali di stretta attualità, a cominciare dalla solennità del Corpus Domini di domani, che lo vedrà presiedere alle 19 la Messa in San Giovanni in Laterano, seguita dalla processione a Santa Maria Maggiore. Poco prima, il Papa aveva ricordato che San Tommaso era stato incaricato da Papa Urbano IV di scrivere i testi liturgici proprio per la festa del Corpus Domini, da poco istituita in seguito al miracolo eucaristico di Bolsena: 

     

    “Tommaso ebbe un’anima squisitamente eucaristica. I bellissimi inni che la liturgia della Chiesa canta per celebrare il mistero della presenza reale del Corpo e del Sangue del Signore nell’Eucaristia sono attribuiti alla sua fede e alla sua sapienza teologica”. 

     

    Da rilevare anche l’invito a rinnovare l’impegno “a lavorare con umiltà e pazienza” per il dialogo ecumenico, che Benedetto XVI ha indirizzato ai partecipanti alla Conferenza in corso a Edimburgo, a 100 anni dalla prima riunione di confessioni cristiane che diede l’avvio al moderno movimento ecumenico. E un saluto, in forma di videomessaggio, il Papa lo ha dedicato ai partecipanti alla "Catholic Media Convention" di New Orleans, che tratta di evangelizzazione nell’era digitale. Ribadendo “le straordinarie potenzialità” che i nuovi media offrono “per portare il messaggio di Cristo e l'insegnamento della sua Chiesa per l'attenzione di un pubblico più vasto”, Benedetto XVI ha concluso con queste parole: 

     

    If your mission is to be truly effective…

    Se la vostra missione è quella di essere veramente efficace - se le parole che proclamate intendono toccare i cuori, impegnare la libertà delle persone e cambiare la loro vite – dovete collocare ciò all’interno di un incontro con persone e comunità che testimoniano la grazia di Cristo attraverso la loro fede e le loro vite”.


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     Il Papa invita i fedeli ad accompagnare con la preghiera il suo prossimo viaggio a Cipro

    ◊    Il Papa, oggi all’udienza generale, ha invitato i fedeli ad accompagnare con la preghiera il suo viaggio pastorale a Cipro, che si svolgerà dal 4 al 6 giugno prossimi, “affinché sia ricco di frutti spirituali per le care comunità cristiane del Medio Oriente”. Benedetto XVI sarà il primo Pontefice in assoluto a visitare l’isola di Cipro. Un dato che conferisce a questo viaggio una nota di grande originalità e rilevanza storica. Nemmeno Giovanni Paolo II, il Papa che più volte ha fatto il giro del mondo, era riuscito a fare tappa a Cipro. Attraverso quali passi si è arrivati a questa visita? La nostra inviata Adriana Masotti lo ha chiesto a George Poulides, ambasciatore della Repubblica di Cipro presso la Santa Sede:

     

    R. - L’arcivescovo di Cipro, Chrysostomos, a meno di un anno dalla sua elezione, nel giugno del 2007 è venuto ospite della Santa Sede in Vaticano ed ha invitato Sua Santità a visitare la nostra isola. Nel novembre del 2008 la Comunità di Sant’Egidio ha organizzato, ospite del governo cipriota e della Chiesa ortodossa di Cipro, la sua giornata di preghiera a Cipro con più di tre mila persone. Nel marzo del 2009 il nuovo presidente della Repubblica di Cipro, il signor Dimitri Christofias, è venuto in visita ufficiale in Vaticano ed ha invitato il Santo Padre a visitare la nostra isola. Nell’ottobre del 2009 la Commissione cattolica e ortodossa si è riunita a Pafos. Come vede, le condizioni per una visita del Santo Padre si sono create negli anni.

     

     

    D. – Cipro è ancora un’isola divisa e sappiamo che c’è una forte attesa per questa visita del Papa anche per via di questo problema. C’è la speranza che la sua presenza e le sue parole possano favorire in qualche modo una soluzione?

     

     

    R. – Noi speriamo che la visita del Santo Padre attiri l’attenzione del mondo sulla nostra isola, sugli sforzi fatti dal presidente della Repubblica con la comunità turco-cipriota per trovare una soluzione e le parole di pace del Santo Padre sono importantissime per noi.

     

     

    D. – Il Papa non andrà nella parte nord di Cipro. Voi pensate comunque che le sue parole possano essere ascoltate anche dalla popolazione o dai leader religiosi musulmani di quei territori?

     

     

    R. – Il Papa parlerà a tutti i ciprioti. Su quello che dirà il Santo Padre non sono in grado – né lo permette la mia posizione – di passare dei commenti né dei suggerimenti, ma il Santo Padre parlerà di pace e questa è la cosa che interessa tutti noi. Noi vogliamo la pace e la riunificazione della nostra isola.

     

     

    D. – La popolazione di Cipro vive una profonda divisione che non ha però origini religiose…

     

     

    R. – A Cipro non c’è mai stato uno scontro tra religioni, tra musulmani, ortodossi, cattolici o armeni. Tutti noi vivevamo insieme: nei villaggi c’erano un po’ di turchi e un po’ di greci. Dopo l’invasione dell’esercito turco del 1974, con più di 200 mila profughi nel sud e l’obbligo dei turco-ciprioti di andare nelle parti occupate, le cose sono cambiate. Tenga presente che anche i turco-ciprioti, che oggi sono sì e no 70 mila al nord, dal 1974 ad oggi tantissimi di loro sono emigrati in Inghilterra, in America, in Australia e in Canada.

     

     

    D. – Che cosa ha perso Cipro a causa dell’occupazione dei militari turchi?

     

     

    R. – Prima di tutto hanno perso le loro case, le loro proprietà, più di 200 mila persone, che si ritrovano a casa loro come profughi e dall’altra parte tutte le Chiese e tutti i monasteri e tutti i cimiteri sono stati o distrutti o lasciati deperire nei territori occupati, mentre le moschee e tutti i luoghi santi islamici sono mantenuti e in perfetto funzionamento nella parte della Repubblica di Cipro.

     

     

    D. – C’è la speranza che la Turchia, per entrare nell’Unione Europea, spinga verso una soluzione per il problema di Cipro?

     

     

    R. – Io mi auguro di tutto cuore che presto si trovi anche una soluzione per l’ultima città europea divisa da un muro.


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     Benedetto XVI invoca la solidarietà internazionale per il Guatemala colpito dalla tempesta tropicale Agatha

    ◊    Il Papa ha espresso il suo profondo dolore per le vittime, oltre 150, provocate in Guatemala dalla tempesta tropicale 'Agatha'. In un telegramma a firma del cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone, inviato al nunzio in Guatemala, mons. Paul Richard Gallagher, Benedetto XVI si dice vicino ai parenti di quanti hanno perso la vita, ai feriti e ai tanti sfollati le cui case sono state distrutte o danneggiate. Lancia quindi un appello alla comunità internazionale e a tutti gli uomini di buona volontà perché “mossi dalla solidarietà fraterna, forniscano un'assistenza efficace a questo Paese perché superi questi momenti difficili”. Il Pontificio Consiglio "Cor Unum", inoltre, come segno del concreto amore del Papa per i guatemaltechi, invierà presto aiuti alla popolazione del piccolo Paese centroamericano.


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     Mons. Vegliò: aumenta lo sfruttamento dei migranti

    ◊    “Rinnovare speranza. Ricercare giustizia”: questo il tema della Consultazione regionale delle Conferenze episcopali delle Americhe in ambito di migrazioni, in programma da oggi fino al 4 giugno a Washington, negli Stati Uniti. In apertura dei lavori, la relazione – anticipata alla Radio Vaticana - dell’arcivescovo Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio per i migranti e gli itineranti. Il servizio di Roberta Gisotti.

     

    “Migranti, rifugiati e gente trafficata - sottolinea mons. Vegliò nel suo intervento - sono persone come noi”, che però “devono scappare dalle loro case a causa di persecuzioni, mera sopravvivenza oppure per cercare una vita migliore per sé e per le proprie famiglie”. 38 milioni oggi gli immigrati regolari solo negli Usa, 12 milioni quelli irregolari. Se “la migrazione è fenomeno di ogni epoca”, osserva il capo del dicastero vaticano, “il punto di partenza” per servire questi fratelli “ è di capire la loro situazione in tutti i suoi risvolti (personali, sociali, economici e politici), alla luce della Parola di Dio e di lasciarsi coinvolgere”, affrontando “anche quei fattori che causano il loro sradicamento”. “L’impiego di persone nate fuori del Paese – riferisce ancora il presule – è ad uno dei livelli più alti degli ultimi cento anni” nel Continente americano. E, cambiamenti si notano ovunque “a partire dal rapido incremento della lingua spagnola parlata nelle Chiese, dal lavoro pastorale che dipende molto dai sacerdoti stranieri, fino alla concentrazione di ristoranti etnici in un determinato quartiere”. Sono “ i segni esterni di una società che cambia”, che non rispecchiano però - aggiunge mons. Vegliò – una crescita nell’accettazione dell’altro e una disponibilità a un reciproco cambiamento, sia per chi arriva, che per la società che riceve”.

     

     

    Ci sono poi i rifugiati, gli Stati Uniti ne hanno accolti oltre 2 milioni negli ultimi 30 anni e nel biennio 2008-09 ne sono arrivati quasi 135 mila, sostenuti da un sussidio governativo per un breve periodo, ma destinati in massima parte ad entrare nella categoria dei poveri americani. E, ci sono anche le tante vittime del traffico di esseri umani, a fini di sfruttamento sessuale, lavoro forzato, assoldamento di bambini soldato, adozioni illegali, persone ingannate e sovente assoggettate a forme moderne di schiavitù. Cosicché anche nei Paesi sviluppati sono riemerse situazioni di sfruttamento nel lavoro, “contrarie ai più rudimentali principi di rispetto dei diritti umani”, tanto che – secondo dati dell’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil) - l’America Latina dopo l’Asia detiene il più gran numero di lavoratori forzati, e mantiene forme di diseguaglianza e discriminazione, specie riguardo le popolazioni indigene. Da qui il monito di mons. Vegliò, che vale anche per la Chiesa e le organizzazione ecclesiali, a “non distogliere i nostri occhi dal povero, ma di lasciarci spezzare il cuore e frantumare il nostro mondo”.


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     Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊    Soluzioni giuste per Gaza: all'udienza generale il Papa esprime cordoglio per le vittime del blitz israeliano e condanna la violenza; in prima pagina, un fondo di Luca M. Possati dal titolo "Obama, Ankara e i timori di Israele".





    Quel lato oscuro del desiderio di giustizia: in cultura, Oddone Camerana sul volto sociale dell'invidia.





    L'imperdonabile fascino della bellezza: Andrea Monda recensisce il romanzo di Paolo Maurensig "La tempesta. Il mistero di Giorgione".





    Un destino preparato dall'eternità: Inos Biffi su Gesù, gli uomini e l'Eucaristia.





    Quando il drago incontra l'aquila: Rossella Fabiani sull'impero cinese e quello romano a confronto, in una mostra al Palazzo Reale di Milano.





    L'isola di Barnaba: Fabrizio Bisconti su Cipro e le rotte marine del cristianesimo delle origini.


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    Oggi in Primo Piano



     Israele espelle gli attivisti pro-Gaza. Abu Mazen: terrorismo di Stato

    ◊    Oltre cento attivisti che si trovavano a bordo della flottiglia fermata dalle forze israeliane e rimasti in stato di fermo fino alla notte scorsa sono giunti in Giordania, dopo essere stati espulsi da Israele. Alcuni sono stati liberati poco fa, tra cui i sei italiani. A bordo delle navi c'erano 682 persone di 42 diverse nazionalità. Almeno nove sono state uccise nell'assalto delle Forze speciali della marina israeliana, più di 40 sono state ferite. Qualcuno aveva accettato di rimpatriare subito. Intanto, il presidente palestinese, Abu Mazen, accusa Israele di terrorismo di Stato e parla delle sue richieste ad Obama. Il servizio di Fausta Speranza:  

     

    “Decisioni coraggiose per cambiare il volto del Medio Oriente”. Questo chiederà il presidente palestinese a Obama che lo riceverà mercoledì prossimo a Washington. Un incontro già previsto nell’ambito dell’impegno statunitense a far ripartire il processo di pace israelo-palestinese. E confermato ieri dalla Casa Bianca. Ma il sanguinoso blitz israeliano nelle acque nei pressi di Gaza non può certo non pesare. E bisogna dire che gli Stati Uniti, alleati storici di Israele, sono sotto i riflettori mondiali: dopo 10 ore di confronto, Washington ha dato il via libera nella notte tra lunedì e martedì alla dichiarazione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu che ha stigmatizzato gli “atti” a bordo della Mavi Marmara e intimato un'indagine “rapida, imparziale, autorevole e trasparente”. Un pronunciamento significativo, ma non forte come una risoluzione, come la Turchia chiedeva. Inoltre, Washington è riuscito a far scartare l'ipotesi di una commissione internazionale indipendente, sul modello di quella che ha prodotto il controverso rapporto sull’operazione israeliana "Piombo fuso". Dunque, un freno da parte degli Stati Uniti cui ha fatto seguito l’affermazione critica di Obama, in una telefonata al premier turco Erdogan: è importante “trovare modi migliori per aiutare la popolazione di Gaza, senza mettere in pericolo la sicurezza di Israele”. Cautela anche nelle parole del segretario di Stato americano, Hillary Clinton, che però ammette che la situazione a Gaza è “inaccettabile" e che così com'è “non può durare”. In ogni caso, dietro alla prudenza delle parole ufficiali c’è tutta la preoccupazione per il processo di pace, che si percepisce al momento sull'orlo del baratro. Resta da riferire della nota del Congresso ebraico mondiale: esprime il rammarico per le violenze e le perdite di vite umane durante l'attacco, ma al tempo stesso evidenzia come Israele non abbia cercato nè provocato un tale risultato. 



    Intanto resta drammatica la situazione nella Striscia dove tutto è fermo nelle giornate di lutto nazionale. Si teme per la sorte di altre due navi cariche di aiuti internazionali e dirette al porto di Gaza. A questo proposito sentiamo la testimonianza di Lino Zambrano, responsabile per la Palestina della Ong Cric (Centro regionale di intervento per la cooperazione), raggiunto telefonicamente a Gerusalemme. L’intervista è di Gabriella Ceraso.

     

    R. - La situazione a Gaza è drammatica ma questo già da alcuni anni. Adesso ci sono state varie manifestazioni e dimostrazioni spontanee: si sono incontrati - anche dopo vari anni - le differenti personalità che fanno riferimento a Fatah e Hamas nella Striscia di Gaza.

     

     

    D. - A livello di vita, a Gaza, i giornali riportano di strade vuote, di negozi chiusi, difficoltà di vario genere…

     

     

    R. - Le strade sono vuote ed i negozi sono chiusi perché è stato indetto uno sciopero generale contro questo massacro e, nello stesso tempo, sono stati dichiarati tre giorni di lutto. In generale, la gente di Gaza sopravvive con gli aiuti umanitari, con le rimesse dall’estero, con quel minimo di commercio che c’è tra i tunnel. Quindi al momento questa è, secondo me, la priorità: fare in modo che la gente possa vivere normalmente e che le sia data la possibilità di svilupparsi.

     

     

    D. - A questo proposito l’Egitto ha aperto il valico per la Striscia, dunque è un fattore positivo…

     

     

    R. - Quando ieri è arrivata la notizia dell’apertura a tempo indeterminato del valico di Rafah i palestinesi erano contentissimi. Su quanto continuerà e su cosa significherà bisognerà poi vedere.

     

     

    D. - Voi come Ong sapete che fine hanno fatto questi aiuti che erano sulla flottiglia, avete notizie a riguardo e vi siete mobilitati in qualche modo?

     

     

    R. - Al momento sembra che le merci siano state trasferite dal porto di Ashdod fino al valico israeliano con Gaza di Kerem Shalom - dove passano le merci -, però sono ferme lì. Come Ong abbiamo richiesto un intervento più forte da parte della comunità internazionale. Stanno arrivando altre due navi, che trasportano anche questi aiuti per la popolazione. Chiediamo che i governi garantiscano in prima persona l’arrivo e che non si ripeta quello che è successo l’altro giorno.

     

     

    D. - Lei ora è a Gerusalemme, da dove ci parla. Lì i riflessi di quanto sta accadendo quali sono, se ne parla e come?

     

     

    R. - Se ne parla sicuramente. Ci sono state ieri alcune dimostrazioni nella città vecchia. Quello che è interessante è che la parte pacifista della società israeliana si sta muovendo.


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     Festa della Repubblica. Napolitano: lavorare insieme per sicurezza e benessere comune

    ◊    In un mondo sempre più interdipendente non potrà esservi vera sicurezza se permarranno focolai di minaccia; non potrà esservi vero benessere se anche soltanto una parte dell'umanità sarà costretta a vivere nell'indigenza. E’ il messaggio del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in occasione della festa della Repubblica. Il Capo dello Stato, che ha deposto una corona d'alloro davanti al monumento del Milite Ignoto, ha ribadito la necessità di lavorare insieme per la sicurezza e il benessere comune. E davanti alle più alte cariche dello Stato si è svolta in via dei Fori Imperiali la parata militare collegata idealmente con il contingente italiano ad Herat, in Afghanistan, visitato dal presidente della Camera Fini. Al microfono di Luca Collodi, l’ordinario Militare mons. Vincenzo Pelvi:

     

    R. - E’ una commozione sempre nuova. Le forze armate danno un contributo incisivo, direi insostituibile, al servizio della speranza dei popoli. Dico questo perché oggi le forze armate sono di apporto al bene comune. Pensiamo al terremoto dell’Aquila, pensiamo al problema ambientale della Campania. Mi pare che lo strumento militare - perciò è bella questa festa - diventa promozione di sviluppo e, quindi, anche sostegno alla causa dei diritti umani.

     

     

    D. - Durante l’ultimo tragico attentato in Afghanistan che è costato la vita a diversi militari italiani, alcuni giornali italiani hanno titolato: ma vale la pena morire per l’Afghanistan?

     

     

    R. - Le missioni di pace sono per dare dignità a chi piange e soffre in terre dimenticate. La pace deve essere fondata sul riconoscimento dell’uguaglianza tra gli uomini, sulla fraternità. Le missioni sono una manifestazione di quella responsabilità di bene che va sempre protetto e custodito. Se uno Stato non è in grado di proteggere la propria popolazione è chiaro che si è invitati a intervenire. C’è la via diplomatica, si presta attenzione a tutti quei segni di democrazia. Per cui, il sacrificio dei militari non è vano, non solo per l’Afghanistan, ma per il mondo intero. 



    Il 2 giugno quest’anno si inserisce all’interno dei festeggiamenti per il 150esimo dell’Unità d’Italia. Luca Collodi ne ha parlato con il segretario generale della Cei, mons. Mariano Crociata.

     

    R. - Un valore che è maturato ed è stato compreso sempre di più con il passare del tempo ma che è contenuto nei suoi inizi e - direi - ancora di più nelle sue radici che attingono profondamente nel passato di questo Paese, perché l’unità d’Italia raggiunge la sua configurazione politico-istituzionale dopo un lungo processo storico in cui l’unità religiosa, culturale, morale si elabora, fermenta - possiamo pure dire - da secoli.

     

     

    D. - Mons. Crociata il processo federalista può rafforzare questa unità tra nord e sud d’Italia?

     

     

    R. - Il punto non è mettere in contrapposizione unità e federalismo. Io evocherei il principio della sussidiarietà. Ciò che la singola parte può fare è bene che lo faccia autonomamente. Solidarietà e sussidiarietà non possono essere contrapposte, perché se è vero che una certa unitarietà gestita in maniera centralistica, disattenta ad alcune istanze, rischia di mortificare o di non tenere conto di esigenze proprie di determinati territori, è vero anche che, all’opposto, il chiudersi delle singole parti alla fine impoverisce anche quelle parti che si isolano pensando illusoriamente di essere autosufficienti in tutto.


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     "Tutti indietro": Laura Boldrini raccoglie in un libro storie di migrazioni e umanità

    ◊    “Un’opera che è già storia, con i suoi abissi di dolore, persecuzione, violenza e morte, ma anche con le vette della pietà umana che si fa solidarietà, aiuto, condivisione”. Sono le parole con le quali mons. Agostino Marchetto, segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale per i migranti e gli itineranti ha voluto commentare il libro di Laura Boldrini, portavoce dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, dal titolo “Tutti indietro”, durante la presentazione del testo, ieri a Roma. Un libro che raccoglie le tante storie del dolore di uomini e donne in fuga. C’era per noi Linda Giannattasio.

     

    I racconti di violenza, di disperazione, ma anche di solidarietà e accoglienza, raccolti nel libro “Tutti indietro”, sono stati i protagonisti dell’intervento di mons. Marchetto, che è tornato anche sul tema dei respingimenti e delle leggi internazionali. Molti si adoperano per l’osservanza delle leggi, ha detto, ma vi è in tanti Paesi, anche in Europa, uno scivolamento verso livelli inferiori di protezione dei perseguitati. Credo che il titolo del volumetto “Tutti indietro” - ha detto – voglia dire proprio questo: nel non rispetto della legislazione internazionale sui rifugiati, sul respingimento dei possibili richiedenti asilo, tutti arretriamo e scendiamo di qualche gradino nella nostra umanità. Ma “Tutti indietro” - ha ribadito - significa per tutti la stessa soluzione, a prescindere dalle cause che stanno alla base della fuga di ciascuno. Una sentenza unica e sbrigativa, senza appello. 

     

    “E’ bene sottolinearlo, perché in genere, quando si parla di migranti, non si fanno distinzioni. E se noi parliamo di rifugiati, per esempio, molti dicono “migranti” e invece sono migranti forzati. Per cui c’è tutta una legislazione internazionale, umanitaria, che dobbiamo cercare di rispettare e di portare avanti. Ci sono degli Stati, dei Paesi, che accolgono, per cui bisogna incoraggiare questa visione”. 

     

    Mons. Marchetto ha poi sfogliato idealmente le pagine del libro, ricordando la storia di Sayed, ragazzo afghano, e dei bambini blu, del giovane ghanese, che nuota seguendo il volo lento di un uccello. Laura Boldrini - ha sottolineato, inoltre, mons. Marchetto - scrive poi dell’Italia della solidarietà, fatta di uomini e donne che in circostanze straordinarie, in mare per esempio, o nella vita quotidiana, in rapporto con immigrati o rifugiati, fanno integrazione, costruiscono il futuro. Non ci si può abituare al dolore dell’umanità - ha ribadito mons. Marchetto - e ciò dovrebbe essere ancor più vero per i cristiani. Ma cosa lasciano e quale significato hanno le storie e il dolore di queste persone, costrette a scappare? Ascoltiamo il commento di Laura Boldrini

     

    “Tutte le storie sono un mondo, un universo incredibile. Quello che queste persone passano va al di là di ogni immaginazione. Per cui, il tentativo che io faccio è di dar voce a queste persone, che invece, purtroppo, vengono spesso rappresentate come una minaccia alla nostra sicurezza, ma sono loro persone che chiedono protezione, persone in pericolo. E quindi, credo anche che la cosa migliore da fare, per uscire da questo tunnel della paura, sia conoscere chi magari ha un’altra cultura o un’altra religione e che però viene da noi in alcun modo per farci del male, ma magari per darci qualcosa”.


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     Mostra in Vaticano su "Compostela e l'Europa. La storia di Diego Gelmirez"

    ◊    Dopo il grande successo di Parigi, è giunta a Roma la mostra “Compostela e l’Europa. La storia di Diego Gelmirez”, dedicata al primo arcivescovo di Santiago, figura fondamentale nella costruzione della cattedrale della città ma soprattutto promotore di un pellegrinaggio ancora oggi vissuto da milioni di persone. L’esposizione allestita presso il Braccio di Carlo Magno in Vaticano fino al primo agosto, ospita anche opere d’arte mai esposte al pubblico e si inserisce all’interno delle attività programmate in occasione dell’Anno Santo. Il servizio di Cecilia Seppia:  

     

    Santiago come Roma, come Gerusalemme sotto la guida di colui che contribuì a rendere il luogo dove giaceva l’apostolo Giacomo uno dei grandi centri nevralgici del mondo cristiano. Diego Gelmirez: primo arcivescovo di Compostela, vissuto tra il 1070 e il 1140 diede un impulso senza pari allo sviluppo di tutta la Galizia, con lui si aprì l’epoca d’oro della cultura e dell’arte compostelana, e milioni di persone cominciarono appunto a mettersi in cammino, attratti senz’altro da questa fioritura artistica senza pari, ma anche da un profondo sentimento di devozione spirituale. Sentiamo il curatore dell’esposizione, il prof. Manuel Castinerias: 

     

    “Dobbiamo pensare che Gelmirez è stata una figura simile a quella di Desiderio di Montecassino o dell’abate Ugo de Cluny, l’abate Bégon de Conques. Ci sono cioè dei personaggi importantissimi per la storia della Chiesa nell’XI-XII secolo che hanno capito che era molto importante costruire dei grandi monumenti per lasciare il messaggio della loro fede e del loro credo e, grazie a queste grandi costruzioni, noi abbiamo questa storia culturale d’Europa, perché culto e cultura hanno la stessa radice”. 

     

    Tra le opere esposte, provenienti dalla Cattedrale di Santiago e da altri monumenti, spiccano la colonna tortile e il bassorilievo Donna con i grappoli d’uva, così come opere provenienti da monumenti situati lungo le vie di pellegrinaggio a Compostela, ma il soggetto principale di questa esposizione è senza dubbio il viaggio. Ancora Manuel Castinerias

     

    “Credo che il viaggio sia stato sempre il motore dell’arte: è attraverso il viaggio e la conoscenza degli altri che uno impara a fare una’altra cosa. Noi siamo debitori di questo grande progetto del XII secolo. Compostela è conosciuta grazie a questo lavoro di promozione di Gelmirez ed il suo messaggio è quello di una cultura unitaria europea, di mettere in rapporto i grandi centri d’Europa ed anche di costruire una grande cattedrale credo sia molto attuale per l’Europa stessa”. 

     

    La mostra diventa dunque una grande opportunità per ripercorrere quelle radici comuni che, oggi come allora, sono fondamentali per il consolidamento dell’unità europea. Gelmirez fu in definitiva un sapiente architetto, costruttore di palazzi e monumenti ma soprattutto di ponti, di vie di comunione e condivisione.


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    Chiesa e Società



     Cuba: iniziato il trasferimento dei prigionieri politici

    ◊    Un comunicato stampa dell’arcidiocesi dell’Avana conferma che ieri il cardinale Jaime Ortega, arcivescovo della capitale, è stato informato nel corso della giornata dalle autorità cubane che era cominciato il trasferimento dei primi prigionieri politici in carceri vicine ai loro rispettivi luoghi d’origine o dove risiedono i familiari, così come si era discusso con le autorità ecclesiastiche dell’isola giorni fa. La nota elenca le prime sei persone trasferite (tre a Matanzas, uno a las Tunas e due all’Avana). La misura era attesa da diversi giorni dopo che sulla questione si era parlato in un incontro durato quattro ore, lo scorso 19 maggio, tra il presidente di Cuba Raúl Castro, il cardinale Ortega e mons. Dionisio García, arcivescovo di Santiago di Cuba e presidente della Conferenza episcopale. E’ probabile che prossimamente si verifichino altri trasferimenti simili se la cifra di questi prigionieri, come si sostiene da più parti, è superiore a 20. Il giornalista Guillermo Fariñas, che da oltre 70 giorni è in sciopero della fame per chiedere la libertà di tutte queste persone, ha detto che si “tratta di un fatto lodevole ma insufficiente” poiché, ha aggiunto, “ne mancano altre 16”. Da quanto scrivono le agenzie internazionali, la notizia si è diffusa rapidamente in tuta l’isola e alla sorpresa di molti si sono aggiunte reazioni di speranza da parte di molti cubani che ritengono che si tratti di un problema fondamentale da risolvere con urgenza. La Chiesa cattolica cubana, da diversi anni, ha seguito la questione con particolare sollecitudine e a più riprese è intervenuta presso le autorità per chiedere una soluzione, in particolare nel caso delle persone malate o anziane. Il cardinale Ortega, giorni fa in risposta ad una domanda della Reuter sul contenuto dei colloqui con il presidente Castro in merito ai prigionieri, ha osservato che si tratta di “un magnifico inizio”, sottolineando che “queste conversazioni continueranno prossimamente”. “Quando si dice che abbiamo discusso su affari d'interesse nazionale – ha aggiunto - dovete pensare che tra questi ci sono le Dame vestite di bianco e i prigionieri. Non è una vicenda conclusa. La stiamo trattando”. “La questione dei prigionieri è in discussione - ha concluso il cardinale - ma non posso anticipare date concrete, gesti concreti, ma confermo che il tema è in discussione e si tratta seriamente”. Lo scorso 22 maggio il governo cubano aveva informato il cardinale Ortega che la sua prima decisione al riguardo era il trasferimento dei prigionieri in carceri più vicine al loro luogo d’origine e, nei casi necessari, in ospedali. E’ da allora che si attendeva l’avvio dell’operazione sulla quale ora arriva la conferma ufficiale. (A cura di Luis Badilla)


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     I vescovi del Senegal: dialogo, perdono e giustizia per porre fine alla crisi nel Casamance

    ◊    Un invito ai sacerdoti e agli uomini di Chiesa a tornare ai valori supremi del sacerdozio di Cristo: lo hanno rivolto i vescovi del Senegal al termine della seconda sessione ordinaria della Conferenza episcopale che si è svolta dal 25 al 30 maggio a Dakar e che ha riunito anche i presuli della Mauritania, della Guinea Bissau e del Capo Verde. Fra i temi più discussi quello della pedofilia e la realtà del Casamance. All’incontro ha preso parte il nunzio apostolico, mons. Luis Mariano Montémayor, che ha esortato i vescovi a vegliare sulla Chiesa del Senegal perché non si verifichino abusi su minori. Circa la situazione nel Casamance i presuli chiedono che il dialogo e le negoziazioni possano portare alla pace e alla fine della crisi nella regione. “A tutti i sacerdoti, religiosi, religiose e laici, chiediamo solennemente che, tutti i giorni, nelle chiese, nelle famiglie e nelle scuole, si preghi per la pace nel Casamance” ha detto il vescovo di Tambacounda, mons. Jean Noël Diouf. I vescovi hanno anche sottolineato quanto importante sia costruire una pace giusta e definitiva, basata sulla verità, sulla giustizia e sulla riconciliazione. “Se non accettiamo di fare un passo nella direzione dell’altro, di sederci allo stesso tavolo per ascoltarci reciprocamente, se non accettiamo di perdonarci gli uni gli altri, lasciandoci penetrare dallo ‘splendore della verità’ che libera, se non rinunciamo alla logica della guerra e della violenza, non potrà esserci pace tra noi” ha evidenziato mons. Diouf. Anche il cardinale Théodore Adrien Sarr, arcivescovo di Dakar, ha rimarcato che non può esserci pace senza equità, verità, giustizia e solidarietà. Nel Casamance, hanno ricordato i vescovi, la gente è stanca della guerra e desidera la pace perché la regione possa conoscere lo sviluppo. Nel corso dell’assemblea i vescovi della Provincia ecclesiastica di Dakar hanno deciso di pubblicare ad ottobre un documento di lavoro sulle responsabilità dei pastori di anime, per analizzare gli aspetti positivi e negativi di quanto è stato fatto in questi ultimi 50 anni. (T.C.)


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     Il vicario apostolico di Comores: al servizio di una Chiesa silenziosa ma operosa

    ◊    “Una presenza silenziosa ma attiva che vuole testimoniare con le opere concrete che l’umanità tutta è amata da Cristo”. È questo il ritratto della Chiesa delle isole Comores che emerge dalla parole rilasciate alla Fides da mons. Charles Mahuza Yava, primo vicario apostolico dell’Arcipelago dell’Oceano Indiano, che verrà ordinato Vescovo il 19 giugno, in una cerimonia a cui prenderanno parte il Capo dello Stato , il Primo Ministro e diversi Ministri dell’Unione delle Comores. La nomina arriva dopo che il primo maggio scorso Papa Benedetto XVI ha elevato l’amministrazione apostolica delle Comores al rango di vicariato apostolico. Il vicariato comprende l’Unione delle Comores, Stato sovrano formato da tre isole, più Mayotte, che è rimasta legata alla Francia. Mons. Yava descrive una “Chiesa cattolica molto apprezzata dalla popolazione locale che è interamente musulmana, per le attività caritative e di promozione umana”. “Mentre a Mayotte la laicità dello Stato riconosce la libertà religiosa di tutte le confessioni, nelle Comores vige l’Islam di Stato, per cui la Chiesa cattolica non può nemmeno suonare le campane per annunciare le funzioni religiose” spiega il nuovo vicario apostolico. “Offriamo però la nostra testimonianza dell’amore di Cristo verso tutta l’umanità con la nostra opera di assistenza umanitaria – aggiunge il prelato -. In particolare l’ospedale cattolico dell’isola di Gran Comore è molto apprezzato dalla popolazione, per il livello delle cure e l’abnegazione del personale”. “Non potendo fare proselitismo i 6mila cattolici del Vicariato sono costituti da immigrati, in gran parte malgasci, e da cittadini francesi che abitano a Mayotte. Abbiamo solo un comoriano che si è convertito al cattolicesimo, prendendo il nome di Jesus. La scelta ha però comportato per lui l’allontanamento dalla famiglia e dall’asse ereditario”, conclude il vicario apostolico dell’arcipelago delle Comores. La presenza missionaria nelle Comores è iniziata intorno al 1935, con i Gesuiti, seguiti dagli Spiritani, dai Cappuccini e infine dalla Società del Divin Salvatore (Salvatoriani). Attualmente il Vicariato apostolico è servito da 5 Salvatoriani (tre sacerdoti religiosi congolesi, un sacerdote religioso belga, un fratello tanzaniano ed uno congolese) e da un sacerdote religioso indiano delle Missioni Estere di Parigi (Mep), ai quali si aggiungono le Missionarie della Carità e le Suore della Divina Provvidenza. (M.G.)


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     Indonesia: gli aiuti della Chiesa tra la gente della giungla

    ◊    Prosegue e si rafforza l’impegno della Chiesa indonesiana per gli abitanti dei villaggi della provincia di Papua, la più orientale e remota dell’Indonesia. Le popolazioni di queste terre sono emarginate da autorità e cittadini delle isole più “sviluppate” come Java, Bali, Sumatra, Borneo/Kalimantan, molti vivono in povertà e nella zona sono scarsi i servizi sanitari e anche l’istruzione scolastica è carente. Per questa gente “dimenticata” l’attività della Chiesa cattolica, ma anche di alcuni gruppi di protestanti, rappresenta l’unica fonte di sostegno alle loro difficilissime condizioni di vita. La Chiesa cattolica ha organizzato servizi sanitari, ma la sua attività pastorale è stata fino ad epoca recente limitata nel sottodistretto di Mayamuk, reggenza di Strong nella Papua Occidentale. Da febbraio l’attività si è però allargata anche in zone remote, curata da gesuiti indonesiani, dalle Suore di Carlo Borromeo (SCB) e dai cattolici locali della parrocchia San Francesco Saverio Makbusun in Sorong. Padre Joseph Wiharjono, parroco di San Francesco Saverio, spiega ad AsiaNews che religiosi e laici sono attivi nell’assistenza dei malati e dei più miseri tra gli abitanti della zona. Il sacerdote, nativo di Java, ha passato la gran parte della sua vita da religioso nelle province orientali del Paese, specie Molucca e Papua. Arga Satpada, un ex studente gesuita che poi ha deciso di fare il contadino in questo zone remote, è attivo nella missione pastorale e racconta che alcuni villaggi possono essere raggiunti solo a piedi, camminando per ore attraverso la giungla. Suor Annunsianes, SCB, racconta che tra le prime preoccupazioni vi è insegnare ai papuani più remoti le basilari norme di igiene. “Molti indonesiani – aggiunge la religiosa - ritengono divertente che noi dobbiamo insegnare a queste persone come lavarsi i denti. Spieghiamo anche i pericoli per chi fuma”. Il fumo è una diffusa abitudine dei papuani, anche tra i giovani. Altri bevono troppo alcol o giocano d’azzardo. Suor Annuncianes ricorda inoltre che svolgono educazione sanitaria e hanno “curato almeno 21 malati con un pagamento di non più di 5mila rupie indonesiane” (circa 32 centesimi di euro). Infine si segnala l’impegno di padre Vincent Nuhuyanan che guida il suo gruppo a Segun: per raggiungerlo ci vogliono 2 ore di navigazione attraverso i fiumi nella giungla. (M.G.)


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     Dieci Paesi con l’Italia contro la sentenza europea sul Crocifisso

    ◊    Lo Stato italiano non è più solo nel ricorso contro la sentenza della Corte europea dei Diritti dell’Uomo che proibisce l'esposizione del Crocifisso nelle aule scolastiche. In vista dell’istruzione del processo davanti alla Gran Camera del Tribunale, in programma per il 30 giugno prossimo, dieci Stati membri del Consiglio d’Europa si sono dichiarati "amicus curiae", cioè parte terza. Il Tribunale ha comunicato ieri allo European Center for Law and Justice (ECLJ) la lista delle nazioni che si sono schierate in difesa dell'Italia: Armenia, Bulgaria, Cipro, Grecia, Lituania, Malta, Monaco, San Marino, Romania e Federazione Russa. La condizione di "parte terza" permette agli Stati di poter presentare in forma ufficiale al Tribunale osservazioni scritte e orali. Questi Paesi intendono intervenire in appoggio dello Stato italiano che sta facendo di tutto per far annullare la sentenza del mese di novembre scorso che proibisce i Crocifissi nelle scuole pubbliche. Allo stesso tempo, anche dodici organizzazioni non governative (ONG) sono state ammesse dal Tribunale come "parte terza". C’è inoltre da segnalare che finora nessuno Stato o ONG è intervenuto a sostegno della sentenza. Oltre a questi dieci Stati membri, altri Stati si sono pronunciati contro la sentenza del 3 novembre 2009, come l'Austria o la Polonia che hanno rilasciato dichiarazioni politiche rispettivamente il 19 novembre e il 3 dicembre 2009. "Si tratta di un precedente importante per la vita del Tribunale, perché in generale gli Stati membri si astengono dall'intervenire o intervengono solo quando il caso colpisce un cittadino del proprio Stato", ha spiegato a ZENIT Gregor Puppinck, direttore dello European Center for Law and Justice. "Il 'caso del Crocifisso' è unico e non ha precedenti. Dieci Stati hanno deciso di spiegare alla Corte qual è il limite della sua giurisdizione e qual è il limite della sua capacità di creare nuovi 'diritti' contro la volontà degli Stati membri. In tutto ciò si può scorgere un controbilanciamento del suo potere", ha aggiunto Puppinck. Il "caso del Crocifisso” - noto anche come “caso Lautsi”, dal nome della donna che ha presentato il ricorso -, è stato rimesso alla Gran Camera del Tribunale dopo che il Governo italiano aveva presentato ricorso il 28 gennaio scorso contro la sentenza emessa dalla Sezione Seconda del Tribunale il 3 novembre 2009. In questa prima istanza, il Tribunale si era espresso affermando che la presenza del Crocifisso nelle aule scolastiche è “contraria al diritto dei genitori di educare i figli in linea con le loro convinzioni e con il diritto dei bambini alla libertà di religione”, perché gli studenti potrebbero avvertire “di essere educati in un ambiente scolastico che ha il marchio di una data religione”. Il Tribunale concluse che si trattava di una violazione dell'articolo 2 del Protocollo numero 1 (Diritto all'educazione), come dell'articolo 9 (libertà religiosa) della Convenzione. Questa decisione è stata duramente criticata da parte di esperti politici e giuristi di vari Stati europei e giudicata come un'imposizione del "laicismo". In concreto, è stato detto che la Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo non prevede che lo Stato “è tenuto alla neutralità confessionale nel quadro dell’istruzione pubblica obbligatoria” o in qualunque altro settore pubblico. In realtà, vari Stati membri del Consiglio d'Europa sono "Stati confessionali", nel senso che hanno una religione ufficiale o riconoscono Dio nelle loro leggi e costituzioni. Nel demandare lo scorso 2 marzo alla Gran Camera la decisione sul “caso Lautsi”, il Tribunale ha riconosciuto che la sentenza del novembre scorso solleva gravi problemi legali e deve essere riconsiderata per la formazione del Tribunale. Lo scorso 29 aprile, il Governo italiano ha presentato il suo memorandum al Tribunale spiegando che i giudici di Strasburgo non hanno competenze per imporre il laicismo ad un Paese, in particolare all'Italia, una nazione caratterizzata in maggioranza da fedeli che praticano e si identificano nella religione cattolica. La decisione del Tribunale, successiva all'udienza pubblica della Gran Camera che si terrà il 30 giugno, sarà pubblicata alla fine dell'anno. (M.G.)


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     Papua Nuova Guinea: gli indigeni perdono i diritti su territorio e risorse naturali

    ◊    Gli indigeni della Papua Nuova Guinea, la parte orientale dell'isola, hanno perso i diritti sulle loro terre e sulle risorse naturali. “Non sono state solo violate molte parti della Costituzione, è stata violata anche la convenzione internazionale sulle Popolazioni Indigene e Tribali nei Paesi Indipendenti, ratificata dal Parlamento nel 2000”. Questo ha affermato in una nota – ripresa dall’agenzia Fides - Tiffany Nonnggor, avvocato e sostenitore dei diritti umani a Port Moresby, la capitale. Il Parlamento del Paese ha da poco modificato alcune parti dell’ Environment and Conservation Act 2000, che regola la gestione delle risorse dell’isola del Pacifico. Gli emendamenti affidano ampio potere al direttore dell’ufficio per l’Ambiente e la Tutela dei Beni: ha piena libertà relativamente alla gestione e alla concessione di permessi agli investitori per progetti ambientali. Non vi è infatti alcun diritto di revisione delle decisioni da parte di qualsiasi tribunale. L’opposizione non condivide questa linea d’azione e ritiene gli emendamenti devastanti per tutti i proprietari terrieri. Le modifiche, infatti, tolgono i diritti che gli abitanti della Papua Nuova Guinea hanno avuto per anni circa la tutela delle loro proprietà dai danni ambientali, oltre al diritto di risarcimento. Dispute riguardo proprietà terriere e diritti sulle risorse tra gruppi indigeni, governo e aziende non sono nuove in Papua Nuova Guinea. Oltre cinquemila persone sono morte sull’isola di Bougainville, al largo della costa occidentale del paese, tra il 1989 e il 1999 in seguito a violenti scontri su mancati risarcimenti da parte di un’industria mineraria australiana. (M.A.)


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     Mons. Fortino: gioia per il riavvicinamento tra i Patriarcati di Costantinopoli e Mosca

    ◊    “Con sincera gioia e soddisfazione si apprendono le notizie positive dell’incontro fra i due Patriarchi di Costantinopoli e di Mosca e il coinvolgimento della comunità ecclesiale”: così mons. Eleuterio Fortino, sotto-segretario del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, commenta al Sir la storica visita del Patriarca Ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I in Russia, che si è conclusa il 31 maggio scorso dopo dieci giorni di soggiorno che hanno segnato un passo decisivo nel riavvicinamento tra le due Chiese ortodosse. “Lo scambio di visite dei Primati o di loro delegazioni con le conseguenti conversazioni e con le concelebrazioni eucaristiche – osserva mons. Fortino - è uno dei modi in cui le Chiese ortodosse esprimono e vivono la loro comunione nella fede e nella solidarietà ecclesiale”. Ciò contribuisce, prosegue il presule, “al rafforzamento delle loro relazioni ed anche alla cooperazione interortodossa. Questo è un aspetto vitale, soprattutto per quelle Chiese che sono uscite da una situazione di limitazioni di libertà a causa di regimi oppressivi e che ora riorganizzano la loro vita materiale, spirituale, culturale e pastorale”. “L’esperienza della comunione – sottolinea il rappresentante del dicastero vaticano – sostiene e rafforza”. “Ciò significa anche – afferma ancora mons. Fortino - che sono superate le cause contingenti ma gravi che nel recente passato avevano creato tensioni fra le due Chiese fino alla non menzione nella Chiesa russa del nome del Patriarca Ecumenico nei Dittici che si proclamano nella liturgia patriarcale”. Secondo mons. Fortino “un altro motivo di particolare interesse è stata la discussione circa la preparazione e la convocazione del santo e grande Concilio di tutte le Chiese ortodosse. L’evento darebbe un contributo decisivo alla comunione e cooperazione delle Chiese ortodosse nel nostro tempo. Nel progetto di quel Concilio è anche presente la questione dell’atteggiamento delle Chiese ortodosse verso il mondo cristiano”. “Come cattolico – conclude mons. Fortino - guardo a tutto ciò con simpatia e interesse a quanto avviene tra le Chiese. La vitalità delle Chiese ortodosse è importante per la Chiesa di Cristo nel mondo. Ma è anche positiva per il ristabilimento fra cattolici e ortodossi, anche per il superamento di frange critiche o reticenti presenti in varie Chiese verso le relazioni ecumeniche”. (M.G.)


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     Religiosi cristiani e musulmani a Beirut per parlare di educazione tra fede e cultura

    ◊    Oltre 70 tra studiosi e uomini delle religioni si riuniranno il 21 e 22 giugno a Beirut, in Libano, per il Comitato Scientifico della fondazione Oasis sul tema “L’educazione tra fede e cultura: esperienze cristiane e musulmane in dialogo”. La due giorni si pone l’obiettivo di mettere a confronto esperienze cristiane e musulmane circa la sfida educativa, che “sembra incalzare inevitabilmente tutte le società, oggi sempre più plurali”. Secondo quanto riferisce il Sir, tra i relatori si annoverano il cardinale Nasrallah Sfeïr, Patriarca di Antiochia dei Maroniti, il patriarca di Venezia, cardinale Angelo Scola, che terrà una relazione su “L’educazione come paideia: una proposta per il nostro tempo”, e il presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, cardinale Jean-Louis Tauran, che parlerà di “Cristiani e musulmani di fronte alla sfida educativa”. Con loro anche Hani Fahs, membro dell’Alto consiglio sciita del Libano, Mohammed Samaha, segretario generale della Lega per l’insegnamento religioso musulmano e Ridwan al-Sayyed, docente di studi islamici all’università libanese, già codirettore della rivista al-Ijtihad. La Fondazione Oasis è stata fondata nel 2004 per iniziativa del cardinale Angelo Scola ed è presente in varie parti del mondo grazie alla sua rete di contatti. Scopo della Fondazione è quello di promuovere la mutua conoscenza e comprensione tra cristiani e musulmani. L’edizione 2009 del comitato scientifico si è svolta a Venezia. (M.G.)


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     Pellegrinaggio dei giovani nei luoghi di Gesù per sostenere la pace in Terra Santa

    ◊    Confermare quella volontà di cambiare il mondo ed abbattere tutte le barriere delle guerre, attraverso la preghiera, il confronto interreligioso e ponendo Gesù stesso, Re di pace, al centro della propria azione. È lo spirito del secondo pellegrinaggio “Vogliamo la pace in Terra Santa” a cui prenderanno parte i “giovani per la pace” che quest’anno andranno nei luoghi di Gesù dal 18 al 22 giugno. Il Pellegrinaggio – che arriva dopo la “Giornata internazionale di intercessione per la pace in Terra Santa”, che ha visto 1000 città di tutto il mondo unirsi in preghiera - prevede momenti di preghiera e la visita delle città nevralgiche della Terra Santa, da Betlemme a Gerusalemme, passando per Nazareth. Nella serata di sabato 19 giugno si svolgerà la seconda edizione dell’Adunanza Eucaristica Internazionale a Betlemme, dove nacque Gesù, con una veglia Eucaristica per tutta la notte. Tra gli appuntamenti in programma, di cui dà notizia l’agenzia Fides, anche l’incontro con il Patriarca di Gerusalemme Fouad Twal. Le associazioni giovanili che promuovono il Pellegrinaggio sono l’Associazione Nazionale Papaboys, l’Apostolato Giovani per la vita e l’Adunanza Eucaristica. Per aderire all’iniziativa: ufficiostampa@papaboys.it. (M.G.)


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     Roma: tutto pronto per il primo festival internazionale di canto sacro

    ◊    Valorizzare il patrimonio della musica vocale sacra, dal gregoriano all’età contemporanea. È questo lo spirito che anima il primo Festival Internazionale di Canto Sacro, che prenderà il via domani a Roma per concludersi sabato 6 giugno. L’evento, di cui da notizia l’agenzia Zenit, è organizzato dal Centro Culturale Aracoeli dei Francescani di Roma, il Comune di Roma e l’Associazione Musicale Vocalia Consort, che hanno voluto rendere la città protagonista di un’iniziativa di risonanza internazionale in un suo luogo simbolo per storia, tradizione e spiritualità: la Basilica di Santa Maria in Aracoeli. Il filo conduttore della manifestazione è rappresentato dalla natura dei complessi ospitati, il Consortium Vocale di Oslo, diretto da Alexander M. Schweitzer, e la Vokalna Akademija Ljubljana, diretta da Stojan Kuret, due cori maschili il cui repertorio dà ampio spazio all’esecuzione di musica sacra, sia nella sua espressione più antica – il canto gregoriano – sia nelle forme più rarefatte e meditative della musica contemporanea. Conclude il Festival un concerto del Vocalia Consort che è anche il testamento musicale di un maestro gregorianista, Tito Molisani, scomparso il 4 giugno 2009. Scopo della manifestazione è quello di dare testimonianza della ricchezza e della versatilità della produzione musicale in rapporto al sacro – inteso nell’accezione più vasta non solo liturgica ma anche religiosa, spirituale e meditativa – e riaffermare l’importanza dei valori della spiritualità per l’esperienza umana e civile. (M.G.)


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    24 Ore nel Mondo



     Attacco talebano a Kabul all'apertura dell'Assemblea di pace

    ◊    Si è aperta all’insegna del terrore l'Assemblea di pace afgana riunitasi a Kabul. Un razzo è caduto nelle vicinanze della zona, alla periferia di Kabul, dove si svolge la jirga, l’Assemblea che riunisce oltre 1600 rappresentanti tribali e della società afghana. L'attacco, rivendicato dai talebani, è avvenuto proprio in apertura dei lavori, mentre aveva appena preso la parola il presidente, Hamid Karzai. Sull’importanza di questo evento, Serena Di Matteo, direttore di Christian Aid a Kabul, intervistata da Stefano Leszczynski:

     

    R. – Ovviamente, noi siamo contenti che questo processo di pace che include un dialogo politico stia avvenendo. Abbiamo un po’ tutti delle preoccupazioni sulle modalità e su chi poi sarà coinvolto in questo dialogo e come, quindi, il processo di sviluppo verrà eventualmente influenzato da chi sarà il detentore del potere. Inoltre, non so quanto questa peace-jirga sarà la sede effettiva del dialogo politico che è già iniziato settimane avanti.

     

    D. - Ci sono stati anche degli attentati mirati contro la partecipazione così massiccia a questa jirga?

     

    R. – In un incontro che ho avuto la settimana scorsa con un ministro del governo afgano coinvolto nella jirga, egli mi rassicurava che la jirga non avrebbe coinvolto gli estremisti, perché il governo stesso è preoccupato del rispetto dei diritti umani e dei gruppi più vulnerabili. Quanto ciò poi avverrà non lo so, lo dovremmo vedere dopo. C’è però una parte della popolazione, forse quella dei talebani, che forse non vuole un processo di pace stabile e lo sviluppo del Paese e cerca di interromperlo, di disturbare l’evento che è cominciato oggi e che durerà per due giorni. Quindi, ce lo aspettavamo un po’ tutti.

     

    D. – Nella sostanza un dialogo con almeno una parte di talebani, così come era stato annunciato, è partito?

     

    R. – Sì. Diciamo che quello che noi, come Christan Aid, siamo contenti stia avvenendo è questo dialogo politico: c’è la consapevolezza da parte del governo che per raggiungere la pace bisogna raggiungere un accordo. Non si possono tenere fuori fasce della popolazione che destabilizzano ciò che il governo e la comunità internazionale cercano di portare avanti. 

     

    L’esercito pakistano dichiara “libera dai terroristi” la zona di Orakzai

    Secondo un comunicato dell'esercito pachistano, le operazioni militari avviate nella regione nordoccidentale del Paese sono state concluse “con successo” e il capo di Stato maggiore, il generale Ashfaq Parvez Kayani, ha visitato ieri le zone di Orakzai, a ridosso della frontiera afghana, per avere un resoconto della situazione. Il servizio stampa dell'esercito riferisce che gli sfollati "potranno tornare presto" nella zona "liberata dai terroristi". Circa 200 mila abitanti, infatti, sono stati costretti a lasciare le loro case quando, circa tre mesi fa, è iniziata la campagna militare in queste aree che fanno parte dei territori tribali amministrati a livello federale. Intanto, continuano gli scontri nelle altre zone del turbolento nordovest. Almeno 10 sospetti militanti integralisti islamici sono stati uccisi nel distretto di Hangu, confinante con le zone liberate.

     

    Giappone: il premier si dimette a poche settimane dalle elezioni

    A poche settimane dalle elezioni, il premier del Giappone, Hatoyama, ha rassegnato le dimissioni. A spingerlo alla decisione, il fallimento negoziale riguardante la base statunitense di Futemna, che gli abitanti di Okinawa avrebbero voluto far spostare dalla sua attuale ubicazione. I particolari nel servizio di Michela Altoviti:

     

    Il premier giapponese Yukio Hatoyama ha annunciato con le lacrime agli occhi le sue dimissioni dalla guida del governo e del Partito democratico, dopo soli otto mesi e a poche settimane dalle elezioni previste per l’11 luglio. Secondo i media locali, a far precipitare la situazione di Hatoyama sarebbe stato l'insuccesso delle trattative per la base Usa di Futenma. La popolazione locale di Okinawa da tempo chiede lo spostamento della base fuori dalla sua prefettura, lamentandosi del rumore, dell'inquinamento, temendo incidenti e collisioni. In campagna elettorale l’ex primo ministro promise il trasferimento fuori dall'isola ma, a seguito di colloqui con gli Stati Uniti, ha poi stabilito di spostarla semplicemente ad una zona della costa meno popolata. In pole per la successione a Hatoyama c'e' l'attuale vicepremier e ministro delle Finanze giapponese Naoto Kan. Intanto, in seguito all’annuncio delle dimissioni, la Borsa di Tokyo chiude gli scambi a -1,12%, lo yen ha toccato i minimi da due settimane contro il dollaro. 

     

    Obama promette: i responsabili della marea nera saranno portati in Tribunale

    "Porteremo in tribunale i responsabili del disastro" della marea nera nel Golfo del Messico, "se sono state violate le leggi". L’ha detto ieri a Washington il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, al termine di un incontro con i vertici della Commissione d'inchiesta sulla vicenda. E il ministro della Giustizia americano, Holder, ha annunciato che nelle scorse settimane sono state avviate inchieste penali e civili. Intanto, prosegue l'operazione "Cut and cap" in corso per arginare il flusso di petrolio. I robot in fondo al mare stanno tagliando un'estremità del braccio flessibile del pozzo, in un secondo momento, secondo la Bp, verrà inserito un tappo sulla valvola. Risultati attesi nelle prossime 72 ore.

     

    In Thailandia il premier ottiene la fiducia

    Il premier thailandese, Abhisit Vejjajiva, ha superato una mozione di sfiducia presentata dall'opposizione. Dopo un dibattito di due giorni trasmesso in tv, il premier ha ottenuto 246 voti di appoggio, mentre i contrari sono stati 186. L'opposizione accusava il governo di aver violato i diritti umani di migliaia di camicie rosse, nonchè di corruzione e cattiva amministrazione. La mozione è arrivata dopo le recenti proteste politiche durate per settimane, nelle quali sono morte 88 persone e l'economia e il turismo del Paese sono stati compromessi. (Panoramica internazionale a cura di Fausta Speranza e Michela Altoviti)

     

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIV no. 153 

    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sulla home page del sito www.radiovaticana.va/italiano.


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