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Sommario del 17/01/2010

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa all'Angelus: la visita alla sinagoga, un ulteriore passo di concordia tra cattolici ed ebrei. Appello per la tutela dei minori migranti e la preghiera per l'unità dei cristiani
  • Un evento che rafforza il dialogo. Sulla visita del Papa alla sinagoga di Roma, il commento di Riccardo Pacifici e di mons. Vincenzo Paglia
  • Benedetto XVI prega ancora per le vittime di Haiti. Secondo l'Oms le vittime sarebbero 50 mila, oltre due milioni i senzatetto
  • Il sostentamento del clero in Medio Oriente e nell'est Europa al centro dell'82.ma assemblea della Roaco in Vaticano
  • Oggi in Primo Piano

  • Ballottaggio presidenziale in Cile, si profila la vittoria della destra
  • La Chiesa ricorda e celebra Sant’Antonio Abate, eremita e monaco per amore di Dio ma aperto alla carità vissuta
  • Anno Sacerdotale. L’esperienza di don Paolo Salvo: dalla Radio Vaticana al sacerdozio in un quartiere di Roma
  • Chiesa e Società

  • Usa: preoccupazione dei vescovi per i finanziamenti pro aborto nella riforma sanitaria
  • Congo: costruzione di una moschea in un terreno parrocchiale
  • Cattolici di Ho Chi Minh City accolgono gli studenti fuorisede per il capodanno vietnamita
  • India: il contributo delle Missionarie dell’Immacolata a Kalidindi
  • Kenya: Camilliani e Regione Abruzzo realizzano impianto solare per un ospedale
  • Caritas in prima linea per l’Anno europeo contro la povertà
  • Il cardinale Vallini in visita alla Cappella dell’Università “La Sapienza” di Roma
  • 24 Ore nel Mondo

  • Iraq. Condanna a morte per Ali “il chimico”, responsabile della strage di Halabjia, dove morirono 5000 curdi
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa all'Angelus: la visita alla sinagoga, un ulteriore passo di concordia tra cattolici ed ebrei. Appello per la tutela dei minori migranti e la preghiera per l'unità dei cristiani

    ◊   La constatazione del clima di “grande rispetto” e dialogo che oggi lega cattolici ed ebrei. Un appello perché siano garantiti i diritti dei minori immigrati nella Giornata mondiale del migrante e del rifugiato, oltre a una nuova preghiera di solidarietà per la catastrofe di Haiti. Infine, una rinnovata esortazione all’unità dei cristiani, alla vigilia della tradizionale Settimana di preghiera dedicata al tema. Molti i temi che hanno accompagnato questa mattina la preghiera dell’Angelus di Benedetto XVI in Piazza San Pietro, davanti a migliaia di fedeli. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    “Una ulteriore tappa nel cammino di concordia e di amicizia tra cattolici ed ebrei”. A poco più di quattro ore da una visita già segnata dai connotati della storicità, quella alla sinagoga di Roma che compirà oggi pomeriggio, Benedetto XVI ha definito con queste parole il senso del suo incontro con la comunità ebraica capitolina, 24 anni dopo l’abbraccio di Giovanni Paolo II al rabbino capo Elio Toaff:

     
    “Malgrado i problemi e le difficoltà, tra i credenti delle due Religioni si respira un clima di grande rispetto e di dialogo, a testimonianza di quanto i rapporti siano maturati e dell’impegno comune di valorizzare ciò che ci unisce: la fede nell’unico Dio, prima di tutto, ma anche la tutela della vita e della famiglia, l’aspirazione alla giustizia sociale ed alla pace”.
     
    L’alba della storia cristiana vide subito il dramma di un neonato rifugiato: Gesù. Con questo esempio il Papa aveva cominciato la sua riflessione prima di intonare l’Angelus, ricordando il lavoro da sempre svolto dalla Chiesa al fianco dei rifugiati e dei migranti, nel giorno in cui il mondo viene sensibilizzato sulle loro difficili condizioni. Cristo neonato, perseguitato da Erode e costretto a fuggire, insegna - ha affermato il Pontefice - “ad accogliere i bambini con grande rispetto e amore”:

     
    “Anche il bambino, infatti, qualunque sia la nazionalità e il colore della pelle, è da considerare prima di tutto e sempre come persona, immagine di Dio, da promuovere e tutelare contro ogni emarginazione e sfruttamento. In particolare, occorre porre ogni cura perché i minori che si trovano a vivere in un Paese straniero siano garantiti sul piano legislativo e soprattutto accompagnati negli innumerevoli problemi che devono affrontare”.
     
    Ricordando l’attenzione da sempre mostrata dalla Chiesa verso gli immigrati - che ebbe figure di eccellenza nel Beato Giovanni Battista Scalabrini o in Santa Francesca Cabrini - Benedetto XVI ha incoraggiato le comunità cristiane e gli organismi impegnati nel settore “a tenere viva - ha detto - la sensibilità educativa e culturale” nei confronti dei migranti e dei rifugiati, augurando nel contempo alle comunità etniche “di partecipare pienamente alla vita sociale ed ecclesiale” nei Paesi di accolgienza, “custodendo i valori delle proprie culture di origine”.

     
    Quindi, in una dimensione più spirituale, il Papa ha rivolto un incoraggiamento ai credenti in vista della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani che inizia domani. Sia “un tempo propizio - ha auspicato il Papa - per ravvivare lo spirito ecumenico, per incontrarsi, conoscersi, pregare e riflettere insieme”:

     
    “Il nostro annuncio del Vangelo di Cristo sarà tanto più credibile ed efficace quanto più saremo uniti nel suo amore, come veri fratelli. Invito pertanto le parrocchie, le comunità religiose, le associazioni e i movimenti ecclesiali a pregare incessantemente, in modo particolare durante le celebrazioni eucaristiche, per la piena unità dei cristiani”.
     
    Tra i saluti in cinque lingue alle persone radunate in Piazza San Pietro, Benedetto XVI ha rivolto un pensiero particolare ai partecipanti alla seconda edizione del Festival Internazionale degli Itinerari dello Spirito e ai soci dell’Associazione Italiana Allevatori, come sempre in Piazza San Pietro con uno stand di animali domestici, nel giorno della memoria liturgica del loro Patrono, sant’Antonio Abate. “Cari amici ha concluso - esprimo apprezzamento per il vostro impegno in favore di uno sviluppo giusto, solidale e rispettoso dell’ambiente, ed auspico ogni bene per la vostra attività”.

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    Un evento che rafforza il dialogo. Sulla visita del Papa alla sinagoga di Roma, il commento di Riccardo Pacifici e di mons. Vincenzo Paglia

    ◊   La Roma ebraica e la Roma cristiana si incontrano: poche ore separano dunque Benedetto XVI dal suo ingresso al Tempio Maggiore, la sinagoga romana. Un evento, come ha sottolineato il Papa, che consolida il dialogo tra le due comunità, legate da un rapporto speciale, che non si è mai interrotto anche nei momenti di particolare difficoltà. Per una testimonianza sui sentimenti con i quali gli ebrei romani si preparano ad accogliere, Alessandro Gisotti ha intervistato Riccardo Pacifici, presidente della Comunità ebraica di Roma:

    R. - Ovviamente, sarà una visita storica. E questo proprio per quel processo - seppur lento, ma comunque importante - di riconciliazione e di opportunità che esiste non tanto tra le confessioni ma tra i singoli, che immaginiamo possa avere come ricaduta questo evento.

     
    D. - La visita del Papa avviene nel giorno in cui la comunità ebraica e quella cattolica celebrano insieme la Giornata del dialogo e in cui ricorre anche il “Mo’ed di piombo”. La volontà di dialogare è più forte di ogni difficoltà ed anche incomprensione…

     
    R. - C’è la memoria forte di questa festa - il Mo’ed significa "festa" - che ricorda un miracolo avvenuto nel ghetto di Roma, nel momento più basso per gli ebrei, che erano costretti a vivere a causa del potere temporale dei Papi dentro i ghetti. Una rivolta popolare aveva dato fuoco al ghetto: un cielo di piombo nero calò nella città e il diluvio spense quell’incendio, che chissà quale catastrofe avrebbe provocato. L’idea che questo incontro avvenga, invece, in un clima completamente diverso - e noi lo ricordiamo - nel Giorno del dialogo testimonia come nel corso dei secoli e degli anni tanta strada sia stata fatta insieme. Abbiamo ora il dovere di continuare a tracciarla con un occhio certamente al passato, ma allo stesso tempo senza alcuno spirito di rivalsa e cercando soprattutto di consegnare ai nostri figli un mondo migliore e capire come le confessioni possano lavorare non tanto per convincersi delle ragioni dell’altro, ma soprattutto per capire come insieme possiamo lavorare per il benessere della società civile, anche per coloro che credenti non sono, compresi anche coloro che sono di fede diversa dalle nostre, tanto che abbiamo invitato anche esponenti moderati del mondo islamico.

     
    D. - A ricordo della storica visita, verrà piantato un albero di ulivo. Un momento, questo, anche simbolicamente significativo…

     
    R. - Secondo la simbologia ebraica, l’albero ha un senso della continuità della vita anche dopo il nostro trapasso. L’idea che da parte del Pontefice arrivi un segnale per noi così importante qual è quello della piantagione di un albero nei giardini della Sinagoga, credo che possa rappresentare un momento molto alto e significativo. Vogliamo immaginare che non rimanga solo relegato al momento della piantagione, ma che possa poi realmente dare dei frutti.

     
    D. - L’immagine del Rabbino di Roma e del vescovo di Roma assieme sarà certo un messaggio forte per le due comunità…

     
    R. - Vogliamo utilizzarlo affinché questo momento di dialogo e di confronto nella diversità possa irradiarsi anche in quei luoghi del mondo dove non esiste la libertà religiosa e dove costruire una chiesa o una sinagoga significa perdere la vita. Credo che se da Roma si riuscisse a mandare un messaggio forte di libertà per tutte le confessioni religiose in quei Paesi dove questa è vietata, vorrà dire che certamente avremo fatto un passo in più per la libertà di ogni essere umano. Dopo Giovanni Paolo II, dunque, anche Benedetto XVI incontrerà la comunità ebraica romana nella sinagoga. Pontefici e contesti diversi, ma con lo stesso inequivocabile messaggio di dialogo e riconciliazione. Alessandro Gisotti ha chiesto una riflessione sull’evento al vescovo di Terni, mons. Vincenzo Paglia, già presidente della Commissione Ecumenismo e Dialogo della Conferenza episcopale italiana (Cei):
     
    R. - Dopo quell’evento straordinario, questa seconda visita conferma in maniera totale quella di Giovanni Paolo II e porta verso un passo ulteriore, una collaborazione ancora più evidente tra queste due religioni. Potremmo dire che l’amicizia tra ebrei e cristiani, un’amicizia intesa in senso robusto, non è più ormai una sorta di optional, diventa - azzardo - una sorta di obbligo teologico. La fraternità tra questi due popoli è parte integrante - direi - dei rispettivi credo.

     
    D. - La visita del Papa alla Sinagoga di Roma coincide con la XXI Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei. Un modo straordinario di celebrare questa iniziativa…

     
    R. - Non c’è dubbio. Tra l’altro, voglio sottolineare una cosa. I temi che stiamo trattando in queste Giornate, ossia le Dieci Parole, i Dieci Comandamenti, sono nati proprio dall’ascolto di quanto il Papa Benedetto disse nella Sinagoga di Colonia nel 2005, quando affermò che i campi di incontro tra le due fedi sono ampi. In particolare, il Papa accennò al patrimonio spirituale dei Dieci Comandamenti che uniscono ebrei e cristiani per riproporre l’unicità di Dio, riproporre la sua legge iscritta nei cuori degli uomini, fatti appunto a Sua immagine e somiglianza.

     
    D. - In un intervento del 2000, l’allora cardinale Ratzinger sottolineava che per i cristiani la fede testimoniata nella Bibbia degli ebrei non è un’altra religione ma il fondamento della propria fede. L’impegno di Benedetto XVI per il dialogo con gli ebrei viene da lontano…

     
    R. - Esattamente. Molti sono gli interventi dell’allora teologo e poi cardinale Ratzinger sul rapporto tra le Scritture ebraiche e le Scritture cristiane. Questo, per esempio, è un tema che Benedetto XVI sottolinea. L’interpretazione ebraica dell’Antico Testamento fa parte in qualche modo anche del patrimonio cristiano, il Papa lo sottolinea da tempo. Questo è un altro dei campi dove il cammino delle due religioni deve continuare, anzi deve essere percorso in maniera più coraggiosa.

     
    D. - La storia dei rapporti tra la comunità ebraica e cattolica è stata talora “tormentata”, come ebbe a dire Giovanni Paolo II. Eppure, nonostante difficoltà e incomprensioni, è sempre prevalsa la comune volontà di camminare assieme. Questa è una certezza anche per il futuro?

     
    R. - Io direi proprio di sì. Prendiamo l’esempio di una strada: nessuna strada è mai priva di sassi o di qualche buca. Il problema è non lasciarle allargare. Ma ormai io credo che il dialogo ebraico-cristiano sia assolutamente irreversibile, semmai dobbiamo scoprirne tutte le potenzialità. Penso, ad esempio, quanto sia utile l’incontro tra cristiani ed ebrei nei confronti delle altre religioni. Il patrimonio spirituale ebraico cristiano è non solo un legame forte tra noi, ma è anche una energia propulsiva per l’incontro con le altre regioni e io direi anche per la promozione della cultura, in particolare quella occidentale. A mio avviso, non sono radici secche: al contrario sono gravide di forza, di energia, di ispirazione.

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    Benedetto XVI prega ancora per le vittime di Haiti. Secondo l'Oms le vittime sarebbero 50 mila, oltre due milioni i senzatetto

    ◊   Benedetto XVI, all'Angelus di stamattina, ha rivolto di nuovo il suo pensiero ad Haiti, l’isola duramente provata dal terremoto di martedì scorso. Secondo le ultime stime dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), il bilancio delle vittime è compreso tra i 40 mila e i 50 mila morti, 250 mila sono i feriti e due milioni e mezzo le persone rimaste senza tetto. Intanto, è corsa contro il tempo per trovare i sopravvissuti e per salvare i feriti. Benedetta Capelli:

    Incoraggiamento per chi si prodiga negli aiuti e preghiere per coloro che ad Haiti stanno vivendo momenti drammatici. E’ quanto ha assicurato il Papa all’Angelus:

     
    "Il nostro pensiero, in questi giorni, è rivolto alle care popolazioni di Haiti, e si fa accorata preghiera. Il nunzio apostolico, che grazie a Dio sta bene, mi tiene costantemente informato, e così ho appreso la dolorosa scomparsa dell’Arcivescovo, come pure di tanti sacerdoti, religiosi e seminaristi. Seguo e incoraggio lo sforzo delle numerose organizzazioni caritative, che si stanno facendo carico delle immense necessità del Paese. Prego per i feriti, per i senza tetto, e per quanti tragicamente hanno perso la vita".

     
    Una vicinanza che proprio Benedetto XVI aveva fatto sentire una prima volta mercoledì scorso all’udienza generale, seguita subito da un impegno da parte delle Conferenze episcopali del mondo. Gli aiuti stanno arrivando, ma restano le difficoltà registrate soprattutto all’aeroporto della capitale che è congestionato. La priorità - come ha evidenziato ieri l’Onu - è il recupero dei sopravvissuti. Stamani, a 100 ore dal sisma, due persone sono state estratte vive dalle macerie a Port-au-Prince, le loro condizioni sembrano buone. Con il passare delle ore, si affievolisce la speranza di trovare altri corpi, il pessimismo è dettato anche dalla mancanza di mezzi appropriati e dal caos che sta mettendo a dura prova l’intera isola. Bisogna fare presto anche per i feriti, Medici senza Frontiere ha parlato di una corsa contro il tempo, si lavora a ritmo frenetico, soprattutto negli interventi che riguardano amputazioni e parti cesarei. La vita in mezzo alla desolazione c’è ed è quella di un bambino nato oggi a bordo di una motovedetta americana.

    Il Papa ha fatto anche riferimento, nel suo appello da Piazza San Pietro, ai tanti religiosi che hanno perso la vita nel devastante sisma. Accanto a loro, ce ne sono tanti altri che continuano a sostenere la popolazione in ogni modo possibile. Tra questi, suor Luisa Dell’Orto della comunità delle Piccole Sorelle del Vangelo di Charles de Foucauld, raggiunta telefonicamente ad Haiti da Benedetta Capelli:

    R. - Io vivo in un quartiere popolare. Stiamo bene e la nostra casa ha avuto qualche crepa, ma stiamo bene, quindi adesso dormiamo fuori con la gente del quartiere. Il quartiere si è organizzato in settori su dei terreni liberi.

    D. - Quel giorno che cosa è accaduto?

     
    R. - Ero in casa perché stavo preparando il mio lavoro per giorno dopo - insegno - quindi ero seduta al tavolo e il tavolo ha tremato, si è spostato tutto, i mobili in casa si sono spostati, poi sono caduti e quindi c’è stato questo forte movimento. Una grande parte della scuola del quartiere è crollata e anche le case intorno sono crollate. Stiamo lavorando lentamente anche perché il quartiere è sovrapopolato, le strade sono piccole, le case sono cadute l’una sull’altra, ci sono viottoli che non si possono più attraversare. C’è una strada sola che permette di uscire, ci si arrangia come si può.

    D. - Suor Luisa di cosa c’è bisogno?

     
    R. - In questo momento, c’è bisogno dell’acqua potabile, c’è stata qualche distribuzione di aiuti venuti da Santo Domingo in modo informale. Sembra che gli aiuti siano arrivati, che siano all’aereoporto. Disperatamente stiamo cercando un canale per far arrivare a questi aiuti, ma pare che non ci sia una porta d’entrata, solo ieri pomeriggio è stato dichiarato lo stato d’urgenza da parte del governo e non so se questo sbloccherà gli aiuti. Ci sono gli americani che stanno arrivando, c’è bisogno almeno dell’acqua, poi c’è la gente che è un po’ stanca e c’è bisogno di mangiare.

    D. - Qual è la sua speranza per questa popolazione così duramente colpita?

     
    R. – La speranza è che tutti quelli che hanno la possibilità di decisione possano agire in modo tale che tutte queste forze di buona volontà - tutta questa giovinezza che è sopravvissuta e che si sta cercando di organizzare - possa accedere alla generosità e alla solidarietà internazionale, perché la ricostruzione non sappiamo come sarà: è tutto, tutto distrutto. Bisogna fare sì che anche la gente veda la possibilità di andare avanti in questi giorni. La forza di vita è enorme, ma sono i mezzi che mancano.

     
    D. - Suor Luisa, che immagine porta nel cuore di questo terremoto?

     
    R. - La scuola comunale del quartiere aveva 180 bambini che stavano facendo il secondo turno, hanno tirato fuori venti corpi… e adesso non c’è più niente, non c’è più niente.

     
    Ed è allarmante la situazione dei bambini di Haiti, che costituiscono oltre la metà della popolazione del Paese. Sarebbero più di due milioni i minori colpiti dal sisma: morti, feriti o rimasti orfani. Intanto, si diffonde per loro anche l'allarme malattie. Numerosi Paesi hanno lanciato campagne per favorire l’adozione dei piccoli. Per un commento sulla condizione dei bambini sull’isola, ascoltiamo al microfono di Linda Giannattasio il direttore generale di Save The Children Italia, Valerio Neri:

    R. - C’è un numero molto alto di bambini abbandonati per strada che si trovano senza gli adulti, oltre quelli che sono rimasti feriti. In questo momento, uno dei pericoli maggiori per loro è che essendo esposti a chiunque, possono essere vittime di violenze, abusi sessuali e quindi è una situazione veramente molto grave.

     
    D. - Sono stati pianificati gli aiuti ai più piccoli?

     
    R. - L’obiettivo primo è creare posti - che possono essere tende, luoghi che hanno retto al terremoto - nei quali raccogliere i bambini e assisterli dandogli acqua, medicine, cibo. Aiutarli a superare il trauma che hanno subito che è molto, molto grave, al di là della ferita fisica che si vede.

     
    D. - Concretamente, come state agendo su questo fronte?

     
    R. - I nostri operatori di emergenza, sono operatori preparati per aiutare i bambini ad elaborare questa gravissima esperienza. Non è una cosa facile e non è neanche una cosa che si elimina in qualche settimana di lavoro.

     
    D. - Si diffonde anche l’allarme malattie per il rischio soprattutto di infezioni, queste sarebbero ancora più gravi per i bambini…

     
    R. - Già tre quarti di tutti i bambini haitiani erano malnutriti, già prima c’era difficoltà ad accedere all’acqua potabile. Quindi, se i bambini - come purtroppo accade - bevono acqua non pulita, e in questo momento addirittura appestata dai cadaveri, il rischio di infezioni gravissime all’apparato gastro-intestinale è terribile. Sono bambini sottonutriti e quindi potrebbero esserci dei danni davvero gravissimi.

     
    D. - Nell’isola c’è in questo momento un grave allarme sicurezza: i minori rischiano di essere vittime di violenze. Come proteggerli?

     
    R. - Riuscendo al più presto a realizzare degli spazi in cui i bambini possano essere accuditi e tenuti anche la notte. I bambini che invece sono traumatizzati devono avere un altro tipo di percorso. Comunque, anche i bambini che sembrano aver subito meglio lo shock del terremoto vanno tenuti protetti in questi luoghi. Bisognerebbe poi, quanto prima possibile, ricominciare la vita di tutti i giorni, compresa la scolarizzazione.

     
    Oggi, sull’isola arriverà il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, mentre domani il presidente haitiano Preval sarà a Santo Domingo per una conferenza internazionale su Haiti. Sul tavolo gli aiuti e la ricostruzione del Paese, uno dei più poveri al mondo. A sostegno della popolazione, anche la Conferenza episcopale italiana (Cei), che per domenica 24 gennaio ha indetto una raccolta straordinaria. Massimiliano Menichetti ne ha parlato con mons. Domenico Pompili, direttore dell'Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali della CEI:

    R. - La Conferenza episcopale italiana ha inteso rispondere immediatamente all’appello di Benedetto XVI ad esprimere solidarietà, soprattutto in vista delle necessità più urgenti dopo il disastro. Il 24 gennaio è stato indicato come il giorno in cui in tutte le Chiese e le parrocchie italiane verrà raccolto aiuto, sicuramente con un grande senso di partecipazione da parte di tutti come è già avvenuto in precedenti circostanze, come nello scorso mese di maggio per il terremoto in Abruzzo.

     
    D. - I fondi che saranno raccolti come saranno portati ad Haiti?

     
    R. - Attraverso la Caritas di Haiti che, fortunatamente, è una delle poche realtà rimaste in piedi e che è già operativa in tutte e dieci le diocesi di Haiti. C’è questo contatto diretto tra la Caritas italiana e la Caritas del Paese così martoriato.

     
    D. - Quindi, il ponte sarà Caritas italiana che poi darà a Caritas di Haiti?

     
    R. - Esattamente. Lo farà in maniera diretta, senza mediazioni.

     
    D. - Queste donazioni in cosa si trasformeranno?

     
    R. - Generi alimentari, acqua potabile e direi anche strutture di prima necessità come tende ed anche interventi di carattere sanitario.

     
    D. - La Chiesa italiana è già stata promotrice, nelle prime ore della notizia, di un’iniziativa di solidarietà: due milioni di euro stornati dall’8 per mille…

     
    R. - E’ stato questo il primo gesto compiuto a qualche ora di distanza dal cataclisma, perché è sembrato opportuno dare immediatamente un segnale che fosse anche il volano della solidarietà che certamente non mancherà nei prossimi giorni e nelle prossime settimane. Anche perché la situazione è talmente drammatica che occorre senz’altro uno sforzo ulteriore.

     
    D. - Il Pontificio Consiglio Cor Unum ha rilanciato le parole del Papa: “Siate generosi”…

     
    R. - La proporzione di questa tragedia è tale che non ammette incertezze. Reclama un generosità che sappia fare appello a quello che c’è dentro il cuore di ciascuno di noi.

     
    La tragedia di Haiti ha scosso l’opinione pubblica, colpita dalla devastazione dell’isola, già segnata dalla povertà e dalle sofferenze della popolazione. Luca Collodi ha chiesto una riflessione a mons. Vincenzo Pelvi, ordinario militare per l'Italia, durante il Josp Fest, Festival Internazionale degli Itinerari dello Spirito, che si conclude oggi a Roma:

    “E’ una tragedia immane, una sofferenza che credo segni il cammino della storia dei nostri giorni e metta davanti al nostro sguardo come la tecnica, come la scienza non possano prevedere il rischio che tante volte viviamo nella realtà umana. Una tragedia che sconvolge e davanti a questa sofferenza il cuore dell’uomo - ma soprattutto il cuore del credente - deve mobilitarsi e non può stare a guardare. Per cui, unitamente ai cappellani militari, ai nostri militari, abbiamo avviato una serie di proposte. Innanzitutto, la preghiera in ogni caserma, su ogni nave, in ogni aeroporto, perché la consolazione e la speranza vengono come dono dall’alto e il Signore deve essere accanto a questo popolo che è il suo popolo, che è il popolo dentro cui c’è l’umanità, perché dove muore un essere umano muore una parte di ogni uomo e di ogni donna della terra”.

    Per sostenere gli interventi umanitari ad Haiti si possono inviare offerte alla Caritas Italiana tramite C/C POSTALE N. 347013 specificando nella causale: "Emergenza terremoto Haiti".
     Offerte sono possibili anche tramite altri canali, tra cui:

    UniCredit Banca di Roma Spa, via Taranto 49, Roma Iban: IT 50 H 03002 05206 000011063119

    Intesa Sanpaolo, via Aurelia 796, Roma Iban: IT 19 W 03069 05092 100000000012

    Banca Popolare Etica, via Parigi 17, Roma Iban: IT 29 U 05018 03200 000000011113
     CartaSi e Diners telefonando a Caritas Italiana tel. 06 66177001

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    Il sostentamento del clero in Medio Oriente e nell'est Europa al centro dell'82.ma assemblea della Roaco in Vaticano

    ◊   Inizia domani in Vaticano, e si concluderà mercorledì, l’assemblea semestrale della Roaco, la Riunione delle Opere in Aiuto alle Chiese Orientali. L’appuntamento, l’82.mo, tratterà del sostentamento del clero dell’area orientale del pianeta, specie in Europa centrale e orientale e in Medio Oriente. Parte dei lavori sarà inoltre dedicata alla situazione delle Chiese cattoliche orientali in Eritrea, Etiopia e Iraq. La riunione vedrà la partecipazione di rappresentanti di una ventina di agenzie cattoliche, provenienti da dieci Paesi occidentali, oltre al nunzio apostolico in Israele, l’arcivescovo Antonio Franco e l’arcivescovo Leo Boccardi, nunzio apostolico in Sudan ed Eritrea. Romilda Ferrauto, responsabile della sezione francese della nostra emittente, ha domandato a padre Leon Lemmens, segretario generale della Roaco, se la questione dell’aiuto finanziario ai sacerdoti delle zone orientali sia più importante oggi rispetto al passato:

    R. - Bisogna ricordarsi che le Chiese cattoliche orientali nell’Europa centro-orientale sono rinate soltanto vent’anni fa. In questi anni, però, hanno avuto la benedizione di tantissime vocazioni sacerdotali: sono stati ordinati più di tremila preti e questo vuol dire che, ormai, quasi tutte le parrocchie di rito bizantino nell’Europa centrorientale hanno un loro parroco: dunque, a questo riguardo, la loro situazione è migliore di quella della Chiesa di tanti Paesi dell’Europa occidentale. Inoltre, la formazione di questi preti è stata poi uno sforzo immenso.

     
    D. - Come sono rinate queste Chiese?

     
    R. - Sono rinate senza un patrimonio, perché i regimi comunisti avevano tolto loro ogni avere, soltanto una piccola parte è stata riconsegnata dopo la caduta dei regimi comunisti. Queste Chiese sono rinate senza strutture, senza un sistema di autofinanziamento e ciò è tutt’ora così. Vivono poi in Paesi poveri: basti pensare alla gravissima crisi economica in Ucraina che, dal nostro punto di vista, è il Paese più importante, dove vivono duemila di questi preti, ma dove quasi tutta la popolazione soffre la fame e la povertà. Questo vuol dire che negli anni passati gran parte del sostentamento finanziario dei sacerdoti è stato preso in carico dalle agenzie radunate nella Roaco e questo grazie anche ai tanti e generosi doni di semplici fedeli in Occidente. La sfida economica aumenta e allora, durante l’assemblea della Roaco, vorremmo fare il punto della situazione soprattutto per quest’area dell’Europa centrorientale e poi anche per il Medio ’Oriente, dove i problemi si presentano forse in un modo un po’ diverso: vorremmo identificare le questioni, le sfide e cominciare a sviluppare delle risposte a queste sfide.

     
    D. - Qual è dunque la questione fondamentale?

     
    R. - Il cuore della questione è prendersi cura dei preti, perché loro possano vivere materialmente non da ricchi ma nemmeno da poveri e quindi essere disponibili per il lavoro pastorale. Tutto questo come espressione dell’amore, delle nostre agenzie, di tantissimi fedeli che sono dietro queste agenzie e che donano dei soldi alle agenzie in favore dei sacerdoti di queste Chiese e certamente anche per tutte le Chiese orientali.

     
    D. - Queste agenzie - visto un po’ il disinteresse e la caduta della frequentazione religiosa nei Paesi ricchi dell’Occidente - riescono ancora a far fronte al peso di questo finanziamento?

     
    R. - Finora sì. Certo, ogni tanto sento qualche segnale di preoccupazione nel senso che dicono: “Certo, adesso noi sappiamo come fare, ma saremo poi capaci di farlo tra dieci, vent’anni, visto l’indebolimento relativo della Chiesa cattolica in certi Paesi europe?”. Penso ad esempio alla Germania, perché parte di questa solidarietà con i sacerdoti dell’Europa orientale proviene da contributi dati dai sacerdoti cattolici tedeschi, ma il loro numero diminuisce e dunque diminuisce anche l’importo del loro aiuto. Perciò, dicono di avere dei dubbi circa la loro futura capacità di garantire tutto ciò che devono a queste Chiese per quanto riguarda il sostentamento dei preti. Anche per questo alcuni vogliono parlare apertamente tra di loro, fare il punto della situazione per vedere come potranno fare, affinché non accada che un giorno i sacerdoti si ritrovino senza un aiuto finanziario. (Montaggio a cura di Maria Brigini)

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    Oggi in Primo Piano



    Ballottaggio presidenziale in Cile, si profila la vittoria della destra

    ◊   Oggi si vota in Cile per il ballottaggio presidenziale. Si affrontano il miliardario Sebastian Pinera, candidato delle destre, ed il senatore democristiano, Eduardo Frei, in corsa per la coalizione di centrosinistra al governo da vent'anni. Da giorni si parla della possibile vittoria di Pinera, che riporterebbe le destre al potere in modo democratico dopo circa mezzo secolo, ma in ogni caso, secondo i sondaggi, non dovrebbero essere moltissimi i voti di stacco tra i due. Fausta Speranza ha intervistato Luis Badilla, giornalista della nostra emittente esperto di questioni latinoamericane:

    R. - Sembrerebbe, dalle notizie che arrivano, che il ballottaggio è molto sentito, nel senso che, siccome i sondaggi dicono che praticamente fra il candidato del centrosinistra e quello di destra c’è un pareggio matematico, o meglio, la differenza a favore di quello di destra è minima, è cresciuto molto l’interesse politico per andare a votare. Quindi, il Paese è molto polarizzato, cosa abbastanza insolita, perché in generale i cileni negli ultimi anni si erano molto allontanati dalla politica.

     
    D. - In ogni caso, in ballo c’è un possibile ritorno dopo 20 anni della destra?

     
    R. - Certamente, è possibile. Nel primo turno, non solo era possibile, ma era quasi certo. Dopo due settimane di campagna elettorale per il ballottaggio, le cose sono radicalmente mutate, perché il candidato che era arrivato secondo - lontano dieci, dodici punti dal candidato della destra - ha recuperato in modo strepitoso. Certo, ha l’appoggio degli altri due candidati, il terzo e il quarto al primo turno, tutti e due di sinistra, e si è avvicinato tanto che, adesso, domenica, tutto si deciderà per una manciata di voti.

     
    D. - E’ di questi giorni la notizia che il Cile diventerà il 31.mo Paese dell’Ocse, primo in Sudamerica, ma come sta l’economia del Cile?

     
    R. - Sostanzialmente, bene. E’ vero che ha patito gli effetti di questa crisi economica e finanziaria internazionale, soprattutto per quanto riguarda le sue esportazioni orientate verso l’Asia, ma è anche vero che, comunque, il rallentamento della crescita è stato modesto. Il problema del Cile, da questo punto di vista, è che i suoi indici macroeconomici sono fra i migliori, ragion per entrerà all’interno di questa organizzazione di Paesi che, in un certo qual modo, sono fuori dal sottosviluppo. D’altra parte, è anche uno dei Paesi dove c’è la più grande iniquità sociale, cioè dove la ricchezza è molto mal distribuita.

     
    D. - E per questa ricchezza mal distribuita, per questa popolazione che non sta in buone condizioni economiche e, dunque, sociali, cosa promettono i due candidati, di destra e sinistra?

     
    R. - Forse, questa è la cosa più interessante di tutte, nel senso che tutti e due i candidati più o meno hanno promesso o prospettato le stesse cose. Innanzitutto, tutti e due hanno detto che non modificheranno sostanzialmente nulla del governo della signora Bachelet, che se ne va a casa con una popolarità superiore all’80 per cento: non cambieranno sostanzialmente nulla. Per un certo verso, addirittura, il candidato della destra si è spinto a fare più promesse a carattere sociale di quello del centrosinistra. Adesso, il problema è se chi vince sarà in grado di mantenere queste promesse.

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    La Chiesa ricorda e celebra Sant’Antonio Abate, eremita e monaco per amore di Dio ma aperto alla carità vissuta

    ◊   Fondatore del monachesimo cristiano e primo degli Abati: così viene considerato Sant’Antonio Abate, che la Chiesa ricorda oggi, 17 gennaio, nel giorno della sua morte. A questo santo di origini egiziane, vissuto nel terzo secolo, si deve la costituzione in forma permanente di una famiglia di monaci che, sotto la guida di un padre spirituale, si consacrarono a Dio nel corso dei secoli. Ce ne parla Isabella Piro:

    “Se vuoi essere perfetto, va’, vendi ciò che hai, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo. Poi vieni e seguimi”. Furono le parole dell’evangelista Matteo a segnare la vita di Sant’Antonio Abate. Nato a Coma, in Egitto, intorno al 250, proveniva da una famiglia agiata di agricoltori. Intorno all’età di 18 anni, rimase orfano, amministratore di un ricco patrimonio. Ma Antonio scelse la strada della povertà, del silenzio, della preghiera. Mise in vendita i suoi beni e si rifugiò in un’antica tomba nei dintorni di Coma. Viveva pregando, cibandosi dei prodotti della terra, resistendo alle tentazioni e perseverando nella fede.

     
    Nel 285, Antonio si spostò verso il Mar Rosso, sulle montagne del Pispir. Rimase lì per 20 anni, in una fortezza abbandonata, infestata dai serpenti. Due volte l’anno, riceveva del pane. Ogni giorno lottava contro il demonio, che spesso si presentava sotto forma di animale. La sua figura divenne leggendaria, finché un giorno le persone che volevano dedicarsi alla vita eremitica abbatterono le mura della fortezza e lo raggiunsero. Cominciarono così a formarsi i primi gruppi di monaci, ai quali Antonio offriva consigli nel cammino verso la perfezione dello spirito. Una figura singolare, dunque, quella di questo Santo, come spiega padre Graziano Pesenti, carmelitano, ed autore del libro “San’Antonio Abate. Padre del monachesimo”, edito dalla Velar:

    “Era veramente una persona interessante, direi quasi unico nella sua espressività forte. Si impose perché ebbe un’intraprendenza singolare pur desiderando di essere solitario, di essere un monaco. Desiderava solitudine, povertà e lavoro, perché quanti bussavano alla sua porta ottenevano sempre un dono. Non è che fuggisse il mondo perché lo odiasse o per altri motivi, ma lo fuggiva per potersi unire a Dio ed accrescere il suo amore verso il prossimo. Era un autentico cristiano, che visse integralmente la fedeltà a Cristo. Avvertiva, insomma, un bisogno di estraniarsi, non voleva il potere”.

    Nel 311, Antonio non esitò a lasciare il suo eremo per recarsi ad Alessandria, dove imperversava la persecuzione contro i cristiani, ordinata dall’imperatore Massimino Daia. Antonio sostenne e confortò i fratelli nella fede. Il martirio gli fu risparmiato. Tornata la pace nell’impero, il Santo egiziano si trasferì nel deserto della Tebaide dove morì il 17 gennaio del 356. Aveva 106 anni. Ma quale eredità ci ha lasciato Sant’Antonio Abate? Ancora padre Pesenti:

    “Il distacco dei beni materiali - essenziale in un rapporto religioso con Dio - il rispetto della natura, perché lavorava, ed un grande amore verso il prossimo, indipendentemente da protezioni civili o religiose”.

    Nella sua lunga vita, Antonio scrisse molto. I suoi discepoli raccolsero la sua sapienza in 120 detti e 20 lettere. In una di queste, il Santo scriveva: “Chiedete con cuore sincero quel grande Spirito di fuoco che io stesso ho ricevuto ed esso vi sarà dato”.

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    Anno Sacerdotale. L’esperienza di don Paolo Salvo: dalla Radio Vaticana al sacerdozio in un quartiere di Roma

    ◊   Un momento di gioia per la Radio Vaticana e per la diocesi di Roma: ieri sera, nella parrocchia di San Vincenzo Pallotti, nel quartiere di Pietralata, è stato ordinato sacerdote Paolo Salvo, già capo servizio della nostra emittente. La liturgia è stata presieduta dal vescovo ausiliare di Roma Nord, mons. Guerino Di Tora, e concelebrata dal nostro direttore, padre Federico Lombardi. Al microfono di Alessandro Gisotti, don Paolo Salvo racconta il percorso che lo ha portato al sacerdozio, dagli anni giovanili alla grande famiglia dei Pallottini, attraverso il lungo servizio nella “Radio del Papa”:

    R. - E’ una vocazione che viene da lontano. La mia è una storia un po’ fuori dagli schemi. Tutto è cominciato quand’ero ragazzo di più o meno 20 anni, nella mia parrocchia dei Padri Pallottini. Entrato in questo Istituto, ho fatto tutti gli studi di filosofia e teologia e, arrivato al quinto anno per la laurea in Teologia, è successo un fatto, perché tutti noi uomini dobbiamo poi fare i conti con la nostra umanità: sono andato in crisi. Da un lato, perché avevo mia madre sola - e anche il mio superiore provinciale me lo fece notare. Dall’altra parte, però, io stesso mi ero posto una domanda, mi ero impuntato su una questione, e dicevo: “Io voglio, di fronte alla scelta decisiva, una valida alternativa, davanti alla quale pormi per poter fare una libera scelta”.

     
    D. - Quindi, il disegno alternativo in qualche modo tu l’hai letto proprio nella Radio Vaticana...

     
    R. - La Radio Vaticana è stato il disegno alternativo, parliamo dell’inizio degli anni ’70. Io devo dire una cosa di tutto questo periodo, di questi anni della Radio Vaticana, una cosa che mi ha colpito una volta e che mi è rimasta proprio dentro. C’è un articolo nel regolamento della Radio Vaticana, il quale dice: “Coloro che lavorano alla Radio Vaticana partecipano alla missione universale del romano Pontefice”. Altro che disegno alternativo! Io ho vissuto veramente questo lavoro, non solo come tale - sono diventato giornalista professionista - ma come una missione.

     
    D. - Un lavoro che è una missione e che chiaramente ha aiutato anche a tenere viva la vocazione. E così arriviamo ai giorni nostri...

     
    R. - Direi che i passi concreti di questo risveglio vocazionale li ho compiuti quando ancora lavoravo alla Radio Vaticana. Naturalmente, il mio lavoro ha assorbito molto le mie energie, quindi non era facile poi impegnarmi in altre cose. Stabilii un contatto con il cardinale Ruini - mi venne questa intuizione - e il cardinale Ruini mi fece rispondere dal suo segretario don Mario Parmeggiani, che adesso è diventato vescovo di Tivoli, con il quale ebbi un colloquio bellissimo, che lui poi ha riferito al cardinale Ruini, e mi hanno indirizzato ad un sacerdote - padre spirituale al Seminario maggiore di Roma, don Angelo De Donatis - che in quel momento diventava parroco nella parrocchia di San Marco a Piazza Venezia. Mi hanno affidato a lui. Quindi, ho vissuto un periodo in questa parrocchia di San Marco evangelista a Piazza Venezia.

     
    D. - Parlavi all’inizio di una vocazione fuori dagli schemi, sicuramente c’è anche questa originalità: arrivare all’ordinazione sacerdotale in età adulta. Come vivi questo aspetto particolare della tua dimensione vocazionale e sacerdotale? Come la vivono i confratelli, i Pallottini, e i fedeli, che già ormai da qualche anno incontri quotidianamente?

     
    R. - Certo, perché adesso viviamo insieme. Sto con due sacerdoti brasiliani nel quartiere di Pietralata, che è un quartiere periferico popolare di Roma. Che cosa provo? Io sento questo, ci ho pensato in questi ultimi tempi: un senso di sereno stupore.

     
    D. - L’età è grande, ma è ancora più grande l’entusiasmo...

     
    R. - Il sacerdote che fa il parroco nella parrocchia di Pietralata dove mi trovo una volta mi ha detto proprio questo: “Paolo, abbiamo bisogno del tuo entusiasmo”. Quando ho dovuto fare l’immaginetta per il ricordo dell’ordinazione sacerdotale ho scelto una frase del Curato d’Ars: “Il prete non è per se stesso, ma è per voi”. Essere un testimone delle meraviglie del Signore, che Lui compie nella vita di tutti noi, se ci apriamo a Lui. Poi, un altro pensiero che mi viene è questo - perché ho nominato il Curato d’Ars - che Dio si serve non solo dei Santi, ma anche dei peccatori. Questo mi dà molta serenità e naturalmente mi suggerisce anche di dire ad un certo punto: “Peccatori di tutto il mondo uniamoci e convertiamoci, tutti insieme, perché altrimenti se non ci convertiamo precipitiamo nel vuoto, nel baratro”.

     
    D. - Sei felice di questa tua condizione di servizio totale a Dio e ai fedeli?

     
    R. - Felicità è una parola grande. Direi sono contento, sono sereno. Il sentimento che sento maggiormente dentro di me, come dicevo prima, è questo sereno stupore e un sentimento di gioia, la gioia di cominciare una vita nuova.

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    Chiesa e Società



    Usa: preoccupazione dei vescovi per i finanziamenti pro aborto nella riforma sanitaria

    ◊   La riforma sanitaria è una priorità nazionale, ma è stata troppo politicizzata: è quanto si legge sulla pagina web ufficiale della Conferenza episcopale statunitense, in una dichiarazione di Kathy Saile, direttore dell’Ufficio per lo Sviluppo sociale nazionale. Si tratta, come riferisce l’agenzia Zenit, della prima posizione pubblica dei vescovi degli Stati Uniti sulla questione da quando il senato ha approvato la sua versione della riforma del sistema sanitario, il 24 dicembre scorso. “I vescovi - afferma la Saile - chiedono da molto tempo un’autentica riforma sanitaria”, che è “un imperativo morale ed una priorità nazionale”. Secondo i presuli Usa, la legislazione sanitaria deve “considerare come priorità i poveri ed i vulnerabili, il che include le famiglie a basso reddito, gli immigrati, i malati ed i concepiti”. Pur sottolineando i numerosi aspetti positivi della riforma, come gli aiuti alle donne in gravidanza, ed il coinvolgimento di milioni di persone che attualmente sono sprovviste di un’assicurazione, la portavoce Saile constata che la nuova normativa “è stata tristemente politicizzata con sforzi per ampliare il finanziamento dell’aborto”. “Se il Congresso non revocherà questa politica nella legge finale, i vescovi non avranno altra scelta che opporsi alla legislazione”, dice la Saile. Assieme alla dichiarazione, i presuli statunitensi hanno avviato una campagna nelle parrocchie per invitare i cattolici di tutto il Paese ad esercitare pressioni per una riforma sanitaria conforme alla morale. Se le modifiche sull’aborto non verranno realizzate, i credenti dovranno opporsi al disegno di legge e chiedere ai legislatori di respingerlo. (F.C.)

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    Congo: costruzione di una moschea in un terreno parrocchiale

    ◊   La comunità islamica ha avviato i lavori per la costruzione di una moschea sul terreno della parrocchia “Mater Admirabilis” nel centro di Dungu, diocesi di Doruma-Dungu, nel nordest della Repubblica Democratica del Congo. La moschea - riferisce l’Agenzia Fides - si troverebbe così a sorgere proprio accanto alla chiesa cattolica. “È una vecchia questione che ancora una volta è stata sollevata. Mi sembra una provocazione che si poteva evitare”, dice alla Fides mons. Richard Domba Mady, vescovo di Doruma-Dungu. “Abbiamo tutti i documenti comprovanti che quel terreno appartiene alla Chiesa cattolica: li abbiamo inviati alle autorità locali, affinché la giustizia e il diritto fondiario siano chiaramente stabiliti”. Secondo “Les Amis de la Mission” - agenzia di informazione promossa dalle Pontificie Opere Missionarie congolesi - il parroco, don Remy Mbeliaro, ha infatti inviato alle autorità competenti una lettera nella quale dimostra, in maniera documentata, che il terreno appartiene alla diocesi di Dungu-Doruma dal 12 dicembre 1968. “Les Amis de la Mission” afferma che non è la prima volta che i musulmani tentano di costruire su quel terreno. Già nel 1980, il commissario della Regione aveva concesso alla comunità islamica il permesso di occupare provvisoriamente il terreno per costruire una casa ma non una moschea. “Nessuno contesta il diritto della comunità islamica locale, che tra l’altro non è molto numerosa, di costruire una moschea, ma non su un terreno della Chiesa dove, tra l’altro, abbiamo progettato di costruire delle scuole e altre strutture. Perché collocare il luogo di culto islamico proprio accanto ad una chiesa?”, si chiede mons. Domba Mady. Nel 2002, era sorto un contrasto tra le due comunità sul possesso del terreno e ora, nel 2010, è stata avviata la costruzione della moschea. Secondo alcune fonti di “Les Amis de la Mission”, la costruzione della moschea avrebbe ricevuto il sostegno logistico della Missione delle Nazioni Unite in Congo (Monuc), in particolare per il trasporto dei materiali di costruzione. “Non abbiamo prove certe del coinvolgimento della Monuc nella costruzione della moschea, ma un’impressione sì, anche perché tra i soldati dell’Onu molti sono musulmani. Se così fosse, sarebbe una violazione del mandato della Monuc e del principio di imparzialità al quale sono tenuti i Caschi Blu”, conclude mons. Domba Mady.

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    Cattolici di Ho Chi Minh City accolgono gli studenti fuorisede per il capodanno vietnamita

    ◊   Grande mobilitazione delle parrocchie della capitale vietnamita Ho Chi Minh City per accogliere gli studenti che non potranno festeggiare il Tet con le loro famiglie. Secondo una recente statistica, più di duemila studenti fuori sede, fra i quali oltre 600 cattolici, resteranno in città per guadagnare i soldi necessari per mantenersi agli studi. Per festeggiare l’inizio dell’Anno della Tigre, sono dunque previste diverse attività animate dai volontari cattolici. Un gruppo di universitari ha affittato degli alloggi nei pressi della Facoltà di economia, area poco distante dalla sede dell’Università per le relazioni economiche internazionali, vicino alla chiesa di Cho Quan. Hoa, studentessa di economia, conferma ad Asianews che quest’anno rimarrà da sola a Ho Chi Minh City a festeggiare il Nuovo anno lunare e si chiede “come starà la famiglia”. La ragazza rivela poi che molti suoi amici e studenti resteranno in città. “Fanno questa scelta - aggiunge - perché non hanno i soldi per il viaggio. Per loro è importante risparmiare denaro, che utilizzeranno per pagare le tasse del prossimo semestre”.  Molti studenti, la maggior parte dei quali provenienti dalle diocesi del nord, ricordano con piacere “l’atmosfera che si respira in famiglia durante i preparativi per l’Anno nuovo” e avvertono la mancanza della famiglia e delle attività della parrocchia. Nonostante tutto, i giovani sentono il sostegno e l’aiuto della comunità d’origine, che li invita a partecipare alle attività e ai gruppi di lavoro dell’arcidiocesi di Ho Chi Minh City. Il distacco dalla famiglia è compensato dai legami di amicizia e di aiuto reciproco che si creano fra gli studenti. Essi si riuniscono per partecipare alla Messa ogni sabato e domenica. E la gioia che provano diventa occasione di testimonianza: ai padroni degli alloggi, che in un primo momento non comprendono la ragione della loro fede, i giovani mostrano una felicità, un’amicizia e un sostegno che rallegra anche i vicini di casa. (M.G.)

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    India: il contributo delle Missionarie dell’Immacolata a Kalidindi

    ◊   Un’opera importante quella delle Missionarie dell’Immacolata a Kalidindi, in India. Questa comunità di religiose è stata istituita nel 1967. All’inizio si occupava della gestione di un piccolo centro sanitario. “In quel periodo - ha riferito all’agenzia Fides suor Roberta Azhakathel - nella zona non esistevano servizi sanitari. Visto che non c’erano altri ospedali, molta gente si recava presso il nostro centro per avere assistenza medica”. Col passare del tempo, sempre più persone ha conosciuto la fede cristiana grazie all’opera di queste suore ed ha chiesto di essere battezzata. “Ci siamo subito rese conto - ha proseguito suor Roberta - che la gente era assetata della Parola di Dio e che c’era necessità di avere altre suore”. Così, nel 2005 si è dato vita ad un Centro per l’evangelizzazione. Il 14 giugno 2006, è stato finalmente inaugurato il "St. Joseph’s evangelitazion and catechetical training centre", alla presenza del vescovo di Kalidindi, Mallavarapu Prakash. La realtà che ruota attorno al centro è ben descritta da suor Roberta. “La popolazione locale - ha raccontato - è costituita prevalentemente da manovali che vivono di una paga quotidiana, che quando non lavorano non hanno nulla. La maggior parte vive in baracche o capanne di paglia e non è in grado di mandare i propri figli a scuola. Inoltre, per noi è difficile riuscire ad impartire agli adulti un’educazione scolastica visto che sono sempre in giro in cerca di lavoro”. (F.C.)

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    Kenya: Camilliani e Regione Abruzzo realizzano impianto solare per un ospedale

    ◊   Tradurre in realtà la dottrina sociale della Chiesa sulla protezione del Creato. È questo lo spirito che anima il progetto energetico in Kenya, realizzato dai Missionari Camilliani e l’Istituto Tecnico Industriale “A. Volta” di Pescara. Grazie al contributo dell’Ufficio per la Cooperazione internazionale della Regione Abruzzo e alla collaborazione offerta dalla scuola pescarese, padre Giuseppe Proserpio, missionario camilliano in Africa, ha realizzato un impianto fotovoltaico per la produzione di energia elettrica alternativa presso la Missione cattolica che dirige, nel Consolata Hospital di Nkubu, situato nella diocesi di Meru. L’impianto ha consentito la riduzione dei costi di gestione del nosocomio e i conseguenti risparmi sono stati utilizzati in favore della popolazione più indigente contagiata da Hiv/Aids, malaria, tubercolosi, malattie infettive notoriamente endemiche in tutta l’area sede della missione camilliana. “L’iniziativa - spiega all’Agenzia Fides il dott. Vincenzo Di Giovanni, medico volontario di Salute e sviluppo - è nata dalla collaborazione fra la sezione pescarese dell’Ong Salute e Sviluppo, organo dei Padri Camilliani, con la Regione Abruzzo”. “L’aumento delle competenze dei Paesi in via di sviluppo attraverso la formazione professionale di tecnici specializzati e la sensibilizzazione del personale locale al risparmio energetico e alla custodia del Creato costituiscono un ponte per l’incontro con le future generazioni”, ha aggiunto il medico italiano. “Il progetto realizzato a Nkubu - ha infine precisato il dott. Di Giovanni - si inserisce in un ampio programma di attuazione degli obiettivi del Millennio, di tutela dell’ambiente e di condivisione della conoscenza tecnologia con le popolazioni più povere del pianeta”. (M.G.)

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    Caritas in prima linea per l’Anno europeo contro la povertà

    ◊   “Zero poverty act now” è il titolo della campagna di Caritas Europa per l’Anno europeo contro la povertà e l’esclusione sociale, che sarà lanciata il 27 gennaio a Bruxelles, nella sede del parlamento europeo. Con tale iniziativa, Caritas Europa intende riaffermare che la lotta alla povertà può essere un impegno di tutti. "La povertà significa, per molte persone in Europa, una lotta quotidiana per la sopravvivenza", afferma Caritas Europa in una nota ripresa dal Sir. "La povertà - si legge - è molto più della mancanza di benessere. Ferisce la persona nel corpo, nell’anima e nella vita. Ferisce la comunità dove le persone vivono”. Per l’occasione, si terrà una conferenza stampa che prevede anche la presentazione del Libro bianco 2010 sulla povertà di Caritas Europa, dal quale emerge la necessità di mettere in pratica politiche per prevenire la povertà. Interverranno, tra gli altri, Elisabeth Schroedter, vicepresidente del Comitato sull’impiego e gli Affari sociali al parlamento europeo; Erny Gillen, presidente di Caritas Europa; Paolo Pezzana e Patrizia Cappelletti, Caritas italiana. (M.G.)

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    Il cardinale Vallini in visita alla Cappella dell’Università “La Sapienza” di Roma

    ◊   Nella comunità della Cappella dell’Università “La Sapienza” è tutto pronto per la visita di giovedì prossimo, 21 gennaio, del cardinale Agostino Vallini, vicario del Papa per la diocesi di Roma. L’occasione coincide con la riapertura dell’ingresso principale della Chiesa della Divina Sapienza, che sarà benedetto dal porporato prima della celebrazione eucaristica, in programma alle ore 12. “Vogliamo esprimere il nostro desiderio di continuare ad essere, in Università, una porta aperta all’incontro e alla collaborazione, perché l’esperienza quotidiana sia di crescita e di benedizione per tutti”, è l’auspicio espresso, all'agenzia Sir, da padre Vincenzo D’Adamo, cappellano della della città universitaria romana. “Con la rinnovata fruibilità di questo spazio, sia in termini funzionali che estetici - assicura il sacerdote - anche la nostra comunità è posta in migliori condizioni ambientali per sviluppare il proprio servizio, in special modo agli studenti, che troveranno un luogo relazionale accogliente”. (M.G.)

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    24 Ore nel Mondo



    Iraq. Condanna a morte per Ali “il chimico”, responsabile della strage di Halabjia, dove morirono 5000 curdi

    ◊   Un tribunale iracheno ha condannato a morte per impiccagione Ali “il chimico” il braccio destro di Saddam Hussein che nel 1988 ordinò la strage nel villaggio curdo di Halabja, dove morirono cinquemila persone, soprattutto donne e bambini. I particolari nel servizio di Roberta Barbi.

    Usò il gas per sedare una rivolta nel villaggio curdo di Halabja nel 1988, quando ormai la guerra tra Iraq e Iran era agli sgoccioli: è questa la motivazione della condanna a morte inflitta da un tribunale iracheno ad Ali Hassan al-Majid, più noto come Ali “il chimico” proprio per la sua propensione all’uso del gas nervino. L’episodio, considerato il più grave attacco chimico della storia contro civili causò cinquemila morti, molte donne e molti bambini. Per lui è la quarta condanna alla pena capitale: nel 2007 la Corte suprema irachena lo giudicò colpevole di genocidio nei confronti della popolazione curda; nel 2008 un’altra condanna per la repressione contro gli sciti durante la Guerra del Golfo nel 1991 e ancora, nel 2009, per le stragi di sciiti di dieci anni prima. Fedelissimo di Saddam Hussein - di cui era anche cugino - 67 anni, Ali si guadagnò anche il soprannome di “boia” quando fu, per alcuni mesi, governatore del Kuwait occupato. In seguito ricoprì per il regime le cariche di capo delle unità d’elite nella guerra contro l’Iran e responsabile del programma di sviluppo dell’industria militare. Fu arrestato nel nord del Paese nel 2003.

     
    Afghanistan
    Nuovo stop del parlamento afghano al presidente, Hamid Karzai, che sta formando la squadra di governo per il suo secondo mandato. I parlamentari hanno sospeso le sedute prima della pausa invernale senza approvare le nomine: ieri il Parlamento ha bocciato 17 dei candidati presentati da Karzai alla carica di ministri e già il 2 gennaio scorso 17 dei 24 nomi proposti erano stati rigettati. Allo stato attuale il presidente dispone di 14 ministri su 24 da cui è composta la compagine governativa. Intanto, nel Paese si continua a morire: non ce l’ha fatta il soldato americano rimasto coinvolto ieri nell’esplosione di un ordigno nell’est dell’Afghanistan.

    Egitto
    Saranno giudicati dall'Alta corte per la sicurezza dello Stato di Qena, in Egitto, i tre uomini arrestati per la strage di cristiani a Nagaa Hamadi la sera della vigilia di Natale. Lo ha deciso oggi il procuratore generale, Abdel-Meguid Mahmoud. I tre sono accusati di omicidio premeditato per la morte di sei cristiani e di un poliziotto musulmano e per il ferimento di nove persone. Nel frattempo, gli Stati Uniti - attraverso il portavoce del Dipartimento di Stato americano, Mark Toner - hanno espresso "profonda preoccupazione" per gli arresti di una ventina di cristiani copti, che ieri stavano viaggiando verso Naga Hammadi per ricordare le vittime della strage.

    Iran
    Un uomo che aveva con sé un ordigno lo ha fatto esplodere nei pressi dell'ufficio del governatore a Mashhad, nel nord dell’Iran, rimanendo ucciso ma non provocando altre vittime. L'episodio è stato reso noto oggi ma è avvenuto ieri: il gesto non avrebbe motivazioni politiche. Intanto, l'ex procuratore di Teheran, Said Mortazavi, ha respinto le accuse rivoltegli da una commissione d'inchiesta parlamentare in merito alle violenze subite da oppositori arrestati nelle manifestazioni di protesta dell'estate scorsa, rinchiusi nel centro di detenzione di Kahrizak, a sud della capitale iraniana.

    Iran - terremoto
    Ieri sera, nell’ovest del Paese è stato registrato un terremoto di magnitudo 5 sulla scala con epicentro nei pressi della città di Dezful, non lontano dal confine con l’Iraq. Lo ha annunciato il servizio geologico degli Stati Uniti.

    Giappone
    Una scossa di terremoto di magnitudo 5.5 è stata registrata oggi nel nord del Giappone, a 200 chilometri al largo dell'Oceano Pacifico. La scossa, secondo quanto riferito dalla Japan metereological agency, ha interessato soprattutto la prefettura di Iwate, ed è stata avvertita fino a Tokyo. Non è stato lanciato nessun allarme tsunami e non risultano esserci danni a persone o cose.

    Turchia
    Un soldato turco è morto e un suo commilitone è rimasto ferito oggi nel sudest della Turchia, in uno scontro a fuoco con militanti del separatista Partito dei lavoratori del Kurdistan, Pkk. La notizia arriva alla vigilia della scarcerazione, in programma domani, di Mehmet Ali Agca, il 52.enne turco, ex membro dell’organizzazione terroristica dei Lupi Grigi, che il 13 maggio 1981 sparò a Giovanni Paolo II in piazza San Pietro. Da quasi 30 anni in carcere, l’ex terrorista si è macchiato anche di uno dei delitti politici più famosi della storia turca: quello di Abdi Ipekci, direttore del quotidiano Milliyet. Ora, però, Ali Agca potrebbe dover prestare in Turchia il servizio militare: trovato renitente alla leva, infatti, i suoi avvocati hanno fatto sapere che le Forze armate turche avrebbero respinto l’esame psichiatrico presentato per essere esonerato.

    Pakistan
    Il lancio di missili da un drone americano ha causato oggi la morte di almeno 15 persone, per lo più guerriglieri stranieri, a sud est di Miransha, capoluogo del Waziristan del Sud, regione tribale pakistana al confine con l'Afghanistan, dove erano accampati. Nella stessa area, già venerdì scorso c’erano stati altri due attacchi da parte di drone Usa.

    Yemen
    Controlli più severi e misure di sicurezza più restrittive sono state decise dalle autorità yemenite per le centrali elettriche e gli impianti petroliferi del Paese, dopo che in un attacco aereo nel nord sono stati uccisi sei miliziani di al Qaeda. Potenziata la vigilanza anche nelle installazione di gas a Shabwa, località dove, assieme a Maarib, si concentra la presenza del ramo yemenita della rete terroristica.

    Usa allarme sicurezza aeroporto New York
    Una falla nel sistema di sicurezza: per questo motivo, ieri, il terminal della American Airlines all'aeroporto JFK di New York è stato evacuato, causando ritardi a decine di voli e costringendo centinaia di persone a sottoporsi ai controlli una seconda volta. L’allarme è scattato dopo che un passeggero - forse un haitiano in fuga dal disastro causato dal sisma nell’isola - è uscito dal terminal attraverso un varco riservato agli equipaggi e senza sottoporsi ai controlli. L’allarme è successivamente rientrato.

    Ucraina
    Procedono regolarmente anche se con qualche episodio isolato di tensione, le elezioni in Ucraina, dove 37 milioni di elettori sono chiamati a scegliere tra 18 candidati il successore di Viktor Iushenko, ex protagonista della rivoluzione arancione filo-occidentale del 2004. I favoriti sono il leader dell'opposizione filo-russa, Viktor Ianukovich, e l'ex alleata del presidente uscente, la premier Iulia Timoshenko. In un seggio nella regione di Kirovohrad, nell’Ucraina centrale, alcuni rappresentanti del partito della premier Timoshenko hanno bloccato l'uscita dei funzionari per il timore di brogli. A Donetsk, invece, numerosi georgiani presentatisi come osservatori, ma non registrati dalla commissione centrale elettorale, sono stati fermati dalla polizia. L'ambasciatore georgiano, Grigol Katamadze, ha chiesto alla Commissione elettorale centrale un incontro urgente per chiarire la situazione.

     Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIV no. 17

    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sulla home page del sito www.radiovaticana.va/italiano.

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