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Sommario del 08/04/2010
Il magistero del Papa sui discepoli di Emmaus: Gesù nostro compagno di viaggio per riaccendere nei cuori il calore della fede e della speranza
◊ Sulle strade del mondo Cristo si fa, attraverso l’Eucaristia, un quotidiano “compagno di viaggio” per ogni persona, come lo fu per i discepoli di Emmaus. I protagonisti di questo celebre episodio del Vangelo di Luca sono al centro della liturgia della Messa del mercoledì e del giovedì dell’Ottava di Pasqua. E alla loro vicenda umana, che si intreccia con lo straordinario incontro con Gesù risorto, Benedetto XVI ha dedicato una pagina del suo magistero, ricordata in questo servizio da Alessandro De Carolis:
(musica)
Sette miglia a piedi per raccontarsi la cocente delusione di un sogno spezzato. Per tornare a casa con l’acuto rammarico di chi si è visto strappare via, con violenza sanguinosa, le speranze di un nuovo futuro per Israele. Questo è perlomeno ciò che credono quel lunedì Cleopa e il suo sconosciuto compagno di cammino, mentre lentamente sollevano polvere e rimpianti lungo la strada che porta al loro villaggio, Emmaus, e mentre alle loro spalle le mura di Gerusalemme rimpiccioliscono come le loro attese tradite il venerdì precedente. E poi quell’uomo che per strada si unisce a loro, così “straniero” da aver bisogno che qualcuno gli racconti cosa è successo tre giorni prima sull’altura del Golgota, teatro di una morte ingiusta quanto giusto era stato “in parole e opere” il profeta crocifisso. Riflettendo con attenzione sui sentimenti dei due discepoli dal “volto triste”, al Regina Caeli del 6 aprile 2008, Benedetto XVI nota: “Nel colloquio dei discepoli con l'ignoto viandante colpisce l'espressione che l'evangelista Luca pone sulle labbra di uno di loro: 'Noi speravamo'...”:
“Quel verbo al passato dice tutto: Abbiamo creduto, abbiamo seguito, abbiamo sperato..., ma ormai tutto è finito. Anche Gesù di Nazaret, che si era dimostrato profeta potente in opere e in parole, ha fallito, e noi siamo rimasti delusi. Questo dramma dei discepoli di Emmaus appare come uno specchio della situazione di molti cristiani del nostro tempo: sembra che la speranza della fede sia fallita. La stessa fede entra in crisi, a causa di esperienze negative che ci fanno sentire abbandonati dal Signore”.
Neanche il racconto delle donne che riferiscono di aver avuto una visione di uomini secondo i quali Gesù “è vivo” ha il potere di scuotere sul serio i due uomini di Emmaus. I discepoli corsi al sepolcro “non l’hanno visto”, ammettono, come a dire che una pur grandiosa notizia, la risurrezione, non ha che il peso di un’illusione davanti al realismo di un sepolcro desolatamente vuoto. Dopodiché, su quella strada per Emmaus, ha inizio un ideale secondo tempo: Cristo si rivela gradualmente ai due, prima parlando di sé attraverso i testi sacri e poi spezzando il pane per loro:
“Questo stupendo testo evangelico contiene già la struttura della Santa Messa: nella prima parte l'ascolto della Parola attraverso le Sacre Scritture; nella seconda la liturgia eucaristica e la comunione con Cristo presente nel Sacramento del suo Corpo e del suo Sangue”.
A quel punto Cristo scompare alla vista dei due discepoli di Emmaus. Ma sull’altare in cui è stata trasformata la loro povera tavola resta il segno di quel pane frazionato e offerto, come da duemila anni avviene nelle chiese del mondo:
“E così l’incontro con Cristo Risorto, che è possibile anche oggi, ci dona una fede più profonda e autentica, temprata, per così dire, attraverso il fuoco dell’evento pasquale; una fede robusta perché si nutre non di idee umane, ma della Parola di Dio e della sua presenza reale nell’Eucaristia".
L’incredulità è vinta, la delusione dimenticata, la tristezza dissolta. Adesso, i due di Emmaus avvertono l’ardore di una gioia che, si dicono l’un l’altro, ha iniziato a bruciare il cuore dalle prime parole dello straniero. Adesso è l’ora dell’entusiasmo consapevole, di un annuncio da portare a Gerusalemme senza perdere tempo. Le sette miglia vengono ripercorse al contrario, subito, non importa più se si è fatta sera e il giorno è già volto al declino. Adesso, la polvere e la distanza dissolvono in fretta i contorni di un piccolo villaggio, che più che un sito geografico, afferma il Papa, resta nella storia cristiana un luogo dello spirito:
“La località di Emmaus non è stata identificata con certezza. Vi sono diverse ipotesi, e questo non è privo di una sua suggestione, perché ci lascia pensare che Emmaus rappresenti in realtà ogni luogo: la strada che vi conduce è il cammino di ogni cristiano, anzi, di ogni uomo. Sulle nostre strade Gesù risorto si fa compagno di viaggio, per riaccendere nei nostri cuori il calore della fede e della speranza e spezzare il pane della vita eterna”.
Nomina
◊ Il Santo Padre ha nominato vescovo ausiliare di La Plata (Argentina), assegnandogli la sede titolare di Tepelta, il rev. Nicolás Baisi, rettore del Seminario della diocesi di San Miguel. Il rev. Nicolás Baisi è nato a Buenos Aires il 15 luglio 1964. Dopo aver studiato presso il Collegio Don Jaime (Bella Vista, diocesi di San Miguel), per due anni ha frequentato la Facoltà di Ingegneria all’Università Nazionale di Buenos Aires. Quindi è entrato nel Seminario diocesano Arcángel San Miguel. Terminati gli studi di Teologia presso l’Università del Salvador (Colegio Máximo de San José, a San Miguel), è stato ordinato sacerdote per la diocesi di San Miguel il 21 novembre 1993. Vicario parrocchiale nella Parrocchia del Cuore Immacolato di Maria a Los Polverines, è stato poi inviato a Roma dove, nel 2001, ha ottenuto la Licenza in Teologia presso la Pontificia Università Angelicum. Rientrato in diocesi, ha ricoperto gli incarichi di vice-direttore della Caritas e di parroco di Nuestra Señora del Rosario (Grand Bourg), dove ha eretto varie cappelle ed ha irrobustito la vita parrocchiale con diverse iniziative. È stato anche direttore diocesano della catechesi e membro del Consiglio presbiterale. Nel 2007 è stato nominato rettore del Seminario Maggiore di San Miguel.
Cinque anni fa i funerali di Papa Wojtyla celebrati dal cardinale Ratzinger: grazie all'amore per Cristo portò un peso oltre le forze umane
◊ L’8 aprile del 2005, una moltitudine di fedeli rendeva, in Piazza San Pietro, l’ultimo commosso saluto a Giovanni Paolo II. Un evento che, anche grazie ai mass media, assunse una dimensione planetaria e che, ancora oggi, resta scolpito nella memoria di milioni di persone. A rendere ancor più straordinario, provvidenziale, quel momento la circostanza che a presiedere la celebrazione dei funerali fu l’allora cardinale decano Joseph Ratzinger. Quasi un ideale passaggio di testimone. Nel servizio di Alessandro Gisotti ripercorriamo le intense emozioni di quel giorno:
Il vento che sfoglia il Vangelo. La folla di fedeli che grida “Santo Subito”. Le bandiere polacche listate a lutto. Il suono della campane. La porpora dei paramenti dei cardinali celebranti. Le strette di mano tra leader di Paesi nemici. Immagini e suoni indelebili di un evento che è stato innanzitutto una testimonianza di fede. Per un quarto di secolo, Giovanni Paolo II aveva percorso le vie del mondo per annunciare la Buona Novella. Ed ora, sembra che il mondo si sia raccolto in Piazza San Pietro per abbracciare ancora una volta il Papa “venuto da lontano”. Per ringraziare il sacerdote, il pastore, l’uomo che a tutti ed ognuno ha ripetuto instancabilmente: “Non abbiate paura. Aprite, anzi spalancate le porte a Cristo”. Nel riascoltare le testimonianze dei fedeli convenuti a Roma in quei giorni, si coglie la consapevolezza che Karol Wojtyla è sì tornato alla Casa del Padre, ma è ancora, anzi di più, vivo in mezzo a noi:
R. – Ci ha fatto conoscere direttamente la persona di Gesù, non valori astratti, ma una persona e questo sicuramente rimarrà per sempre.
D. – Cosa rappresenta per te questa perdita?
R. – Rappresenta un punto di partenza verso una fede più matura, più consapevole anche senza il Papa, ma soprattutto con il suo appoggio, adesso che è vicino a Cristo e può aiutarci molto di più e indirizzarci con più forza verso il cammino che ci ha indicato durante la sua vita.
R. – Noi stiamo qui a Roma dalle 4 di questa mattina. Stiamo in fila perché vogliamo dire grazie al Papa.
R. – Il disagio è sopportabile perché se consideriamo quello che lui ha dato a noi, questo è il minimo che noi possiamo fare per lui.
R. – Per me è il Santo di tutti!
R. – Ha parlato al cuore di tutti, ma con un linguaggio universale: il linguaggio di Cristo.
E Giovanni Paolo II “è diventato una sola cosa con Cristo”. Lo sottolinea il cardinale Joseph Ratzinger, che, nell’omelia esequiale, ricorda il tragitto terreno di Karol Wojtyla. Il Successore di Pietro, ma anche l’amico fraterno con il quale ha condiviso l’amore senza riserve per Cristo e la Chiesa. “Seguimi”. Per tutta la sua vita, afferma il futuro Pontefice, Giovanni Paolo II ha risposto alla chiamata del Signore. E’ questo il segreto, il mistero della sua forza:
“L’amore di Cristo fu la forza dominante nel nostro amato Santo Padre; chi lo ha visto pregare, chi lo ha sentito predicare, lo sa. E così, grazie a questo profondo radicamento in Cristo ha potuto portare un peso, che va oltre le forze umane: Essere pastore del gregge di Cristo, della sua Chiesa universale”.
Il cardinale Ratzinger conclude la sua omelia rivolgendosi direttamente a Karol Wojtyla. Le sue parole, pronunciate con voce commossa, interpretano i sentimenti del popolo di Dio e manifestano con forza il legame in Cristo tra Giovanni Paolo II e Benedetto XVI:
“Possiamo essere sicuri che il nostro amato Papa sta adesso alla finestra della Casa del Padre, ci vede e ci benedice. Sì, ci benedica, Santo Padre. Noi affidiamo la tua cara anima alla Madre di Dio, tua Madre, che ti ha guidato ogni giorno e ti guiderà adesso alla gloria eterna e del Suo Figlio, Gesù Cristo nostro Signore”.
Il cardinale Bertone in Cile: plauso del Papa per la risposta unitaria del Paese di fronte al terremoto
◊ Il cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone prosegue la sua visita in Cile, dove è giunto martedì scorso, in occasione del bicentenario della Repubblica. Il porporato ha portato alla popolazione la solidarietà del Papa per il recente terremoto. Ce ne parla Luis Badilla:
“Ho espresso al presidente Sebastián Piñera la soddisfazione del Santo Padre per i coraggiosi passi di unità di tutti i settori della società cilena per superare insieme le conseguenze del terremoto”. Così ieri il cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone, alla fine del suo incontro con il neopresidente cileno con il quale si è intrattenuto per oltre un’ora in compagnia del nunzio apostolico, mons. Giuseppe Pinto, il cardinale arcivescovo di Santiago, Francisco Javier Errázuriz, e mons. Alejandro Goic, vescovo di Rancagua e presidente dell’Episcopato. Da parte sua, il capo di Stato ha espresso gratitudine al Papa e alla Chiesa cilena, in particolare alla Caritas, che dal primo momento della tragedia è in prima linea per portare aiuto e soccorso a migliaia di persone bisognose di ogni cosa. Il porporato ha rilevato che la Caritas continuerà a prestare la sua opera di sostegno non solo materiale “ma anche di ascolto e preghiera”, e poi ha ringraziato per la sollecitudine delle autorità civili per i gravi danni che hanno subìto centinaia di chiese, cappelle e struttura ecclesiastiche, come scuole, oratori, mense e consultori. Osservando che la sua visita s’inquadra nella cornice del Bicentenario dell’indipendenza del Cile, il cardinale Bertone ha spiegato: “Senza dubbio sarà un’opportunità importante per evidenziare i valori fondamentali di questo Paese e della sua gente. Molti di questi valori si sono manifestati in questi tempi di sofferenza e dolore. Ciò che è proprio dell’identità cilena, e che il cardinale Raúl Silva Henríquez chiamava «l’anima del Cile», sarà il fondamento delle celebrazioni dell’indipendenza e invita a rinnovare l’impegno di rendere questa nazione una terra sempre più giusta, fraterna e solidale”. Condividendo in pieno l’affermazione dei vescovi cileni, che recentemente hanno ribadito che “il regalo migliore che la Chiesa oggi può fare al Cile è Gesù Cristo e il suo Vangelo”, il segretario di Stato ha ricordato che si “tratta certamente del nostro più grande tesoro poiché la vita che Lui ci offre è un sentiero sicuro per raggiungere, come società, giorni migliori per le generazioni future”.
Parlando dell’invito del presidente a Benedetto XVI perché visiti il Cile, il cardinale Bertone ha affermato che la visita non può essere programmata prima del 2012 e che ne parlerà con il Pontefice. Poi, il segretario di Stato si è trasferito alla città di Punta Arenas, la più a Sud del continente, capitale di una regione coinvolta in passato nella controversia con l’Argentina e che si risolse con la mediazione di Giovanni Paolo II e la firma di Trattato di cooperazione e amicizia. Nella cerimonia di benvenuto, il vescovo della città, mons. Bernardo Bastres, ha ricordato, oltre alla mediazione pontificia, la visita di Papa Wojtyla il 4 aprile del 1987. Il cardinale Bertone, ricordando l’importanza della ultracentenaria presenza dei salesiani, i primi evangelizzatori della regione sulla scia di una profezia di don Bosco, ha parlato soprattutto del “dono della pace fra i due popoli, che il Papa invoca con la preghiera”. Infine, dopo l’incontro con i giovani presso il Liceo Maria ausiliatrice, il cardinale Bertone è rientrato a Santiago dove oggi alle 19 ore locale presiederà la Santa Messa per la popolazione di Santiago.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ San Paolo al forum di Davos: in prima pagina, Ettore Gotti Tedeschi su un manuale di carità inventiva scritto da Carl Anderson.
Nell'informazione internazionale, un articolo di Luca M. Possati dal titolo "Erdogan critico su Israele".
Una trappola mortale su tutta la terra: in cultura, il "discorso del biglietto" con cui John Henry Newman - appresa la decisione di Leone XIII di nominarlo cardinale - il 12 maggio 1879 rispose agli attacchi della società secolarizzata, con un articolo di Edoardo Aldo Cerrato dal titolo "Con la gioia pensosa e gentile dell'oratorio".
I sensi del cristiano: Timothy Verdon su sensualità e carne nella rappresentazione sacra tra Rinascimento e Barocco.
Francesco M. Petrone recensisce il saggio di Jean-Louis Chrétien "La ferita della bellezza", sull'estetica tra filosofia e arte.
Nell'informazione vaticana, la visita del cardinale Tarcisio Bertone in Cile.
"Stern" e il caso Maciel: un commento di padre Federico Lombardi.
Nell'informazione religiosa, Elisabetta Galeffi intervista padre Bruno, francescano e formatore con laurea in psicologia.
Rivolta in Kirghizistan: la Russia riconosce il nuovo governo
◊ Rivoluzione lampo in Kirghizistan. Le proteste popolari, sfociate ieri in gravissimi scontri con la polizia, hanno provocato nella capitale Bishkek ed in altri centri del Paese almeno 75 morti e un migliaio di feriti. In seguito ai rivolgimenti, il presidente Bakiev si è rifugiato nella città meridionale di Osh ed il governo ha dato le dimissioni. E’ stato creato un nuovo esecutivo provvisorio di “fiducia popolare”, guidato dall’ex ministro degli Esteri, la signora Roza Otunbaieva, che ha annunciato una nuova Costituzione ed elezioni presidenziali entro sei mesi “conformi a tutte le regole democratiche”. Il governo provvisorio è stato riconosciuto dalla Russia, dopo una telefonata tra il premier di Mosca Putin e la Otunbaieva. Da domani sarà a Bishkek un inviato dell’Onu. Ma quali gli effetti di questa rivolta? Giancarlo La Vella lo ha chiesto a Fulvio Scaglione, vicedirettore di "Famiglia Cristiana", esperto dell’area ex sovietica:
R. – E’ difficile dirlo, anche perché il Kirghizistan ha ormai una lunga tradizione di rovesciamenti, di inquietudini, di governi instabili, di presidenti che si impossessano del potere e poi sono costretti a lasciarlo. Io credo che, alla fine, paradossalmente, la conseguenza forse più probabile dei rivolgimenti di questi giorni, sia invece una certa stabilità di fondo, anche per le caratteristiche geografiche ed economiche del Paese. Questo è un Paese bloccato tra le opposte esigenze della Russia e degli Stati Uniti e, in qualche modo, altrettanto bloccato dalla sua composizione economica. E’ un Paese dove l’agricoltura è ancora fondamentale, ma altrettanto fondamentale è il settore energetico, il quale non può vivere se non di relazioni internazionali.
D. – Cambieranno in qualche modo i rapporti con le grandi potenze, tra le quali anche la Cina, con la quale il Kirghizistan confina?
R. – Io non credo che un nuovo governo possa reinventarsi equilibri radicalmente diversi da quelli attuali. Gli Stati Uniti hanno una base militare a Manas, che è l’immediata retrovia delle operazioni in Afghanistan. Lo stesso dicasi per la Russia che, tra l’altro, con il Kirghizistan ha degli accordi importanti per le forniture di gas. Più silenzioso è il rapporto con la Cina, ma altrettanto essenziale, perché la Cina è un’acquirente di risorse energetiche notevole, è un’acquirente che paga subito e bene e che ha in progetto anche la costruzione di infrastrutture, per garantire a sé le forniture energetiche, ma evidentemente anche per fornire il Kirghizistan di gasdotti e attrezzature che il Paese da solo non potrebbe costruire. Quindi, io credo che la questione del Kirghizistan sia tutta interna.
D. – La realtà kirghiza non rientra, dunque, in quella situazione di forte destabilizzazione che invece abbiamo visto in molte repubbliche ex sovietiche, soprattutto del Caucaso. Ha, quindi, cause proprie?
R. - Io direi di sì, anche perché il Kirghizistan per un certo periodo era stato addirittura considerato una sorta di esempio per le altre repubbliche ex sovietiche dell’Asia centrale. Credo che valga la pena notare che si compie con questa rivolta di piazza, con le dimissioni dei vertici, la parabola negativa di un’altra delle rivoluzioni che avevano fatto sperare in una svolta realmente democratica; rivoluzioni sì cruente, ma non cruentissime, come era successo per esempio in Ucraina. Si era molto sperato, ma questi governi, che si sono insediati in quel modo, si sono rivelati poi, per certi versi, addirittura peggiori di quelli che hanno sostituito.
Giornata internazionale dei Rom: appello contro la discriminazione
◊ Si celebra oggi la Giornata internazionale dei Rom: proprio ieri, l'Unione Europea ha approvato una risoluzione contro la discriminazione di questa comunità, che conta in Europa oltre 10 milioni di persone. Da parte sua, la Fondazione Migrantes della Conferenza episcopale italiana ha invitato a promuovere “una sensibilità nei confronti dei Rom che apra le persone e le famiglie al rispetto, alla tutela dei diritti e costruisca nuove relazioni che portino ad affrontare insieme i problemi della casa, della cura dei minori e del lavoro giovanile”. E Amnesty International chiede ai Paesi del vecchio continente di spezzare il ciclo di discriminazione nei confronti dei Rom. A questo proposito Francesca Sabatinelli ha intervistato Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia:
R. - Nei Paesi dell’Est si segnala una discriminazione profonda nell’accesso al diritto di istruzione con bambini e bambine Rom che vengono, di per sé e in quanto Rom, considerati persone con disabilità mentale e, dunque, inseriti in scuole speciali. In altri Paesi come la Grecia, la Serbia e la Bulgaria a preoccupare sono gli sgomberi forzati e questo è un qualcosa che riguarda anche l’Italia.
D. – Quindi quale sono le responsabilità che Amnesty International riconduce direttamente ai governi di questi Paesi?
R. – Quelle di aver favorito un pregiudizio sempre più radicato. Ci sono percentuali, purtroppo, significative di cittadine e cittadini europei che provano disagio e fastidio nell’aver come vicini di casa dei Rom. C’è, quindi, una responsabilità nel non aver mai detto a chiare lettere che la discriminazione non è tollerabile e che non va permessa e c’è una responsabilità nel non aver adottato legislazioni che favorissero una piena uguaglianza di una minoranza, composta tra i 10-12 milioni di persone, che sono cittadini europei tanto quanto gli altri, ma che sono tenuti ai margini.
D. – Un dato importante che viene messo in luce da Amnesty è quello degli sgomberi forzati in violazione degli obblighi internazionali. Ma cosa ne è poi di queste persone?
R. – Molto spesso fanno una brutta fine, perché l’obiettivo di uno sgombero, che sia illegale o meno, è quello di trasferire il più lontano queste persone e il più lontano vuol dire lontano dagli occhi, lontano dai centri urbani, lontano dalla socialità, lontano da occasioni di lavoro e, dunque, anche lontano dai diritti. Quando poi questi sgomberi vengono effettuati con violenza e senza quelle garanzie previste dal diritto internazionale, la situazione è ancora peggiore, perché in questo caso non si prevede neanche un alloggio alternativo adeguato. Non c’è un preavviso, non c’è una notifica, non c’è un atto giudiziario che possa essere impugnato. Queste persone vengono semplicemente obbligate a spostarsi nel giro di pochissime ore, con la distruzione anche dei propri beni personali e con qualcosa che preoccupa particolarmente e cioè la compromissione quasi completa delle opportunità di inserimento nel mondo della scuola e che per tantissimi bambini e bambine Rom è una via contro l’esclusione e detto in termini ancora più concreti è anche un modo per avere un pasto!
Verso l'Ostensione della Sindone: intervista con mons. Ghiberti
◊ Si aprirà dopodomani, sabato 10 aprile, nel Duomo di Torino, l’Ostensione della Santa Sindone, in programma fino al 23 maggio prossimo; un evento che arriva dieci anni dopo l’ultima esposizione in occasione del Giubileo del 2000. Benedetto XVI giungerà nel capoluogo piemontese il 2 maggio. Sono attesi 2 milioni di pellegrini da tutto il mondo. Secondo mons. Giuseppe Ghiberti, presidente della Commissione diocesana per la Sindone, riguardo al ‘Sacro Lino’ la prima domanda che ci si dovrebbe porre è: perché ci è stata data? Ascoltiamolo al microfono di Fabio Colagrande:
R. - Guardando la Sindone nella sua realtà, siccome è l’immagine di una pena che ha portato alla morte un povero giustiziato con la tortura della crocifissione - e c’è una corrispondenza fortissima tra quello che viene narrato da queste immagini e ciò che leggiamo nei Vangeli sulla Passione di Gesù - la risposta che sembra proprio imposta dalla realtà stessa è che il Signore ci dia questo segno per la sofferenza del Figlio suo perché ci rendiamo conto di quanto grande è stato il suo amore per noi. Di fatto tutti i particolari che vediamo sulla Sindone sono uno specchio di quello che il Vangelo enuncia, solo che il Vangelo dice le cose con molta velocità e senza commento qui, invece, si vedono nella loro crudezza addirittura analitica e, quindi, sembra proprio che ci sia una complementarietà tra i due messaggi, anche se evidentemente il Vangelo è parola ispirata e questo, invece, è un regalo che il Signore ci fa. Non riusciamo nemmeno a definirlo bene ma che le cose stiano in questi termini per l’oggetto della comunicazione è innegabile.
D. - Ecco, ma qual è la posizione della Chiesa cattolica circa il fatto che la Sindone sia o no realmente il telo che avvolse Gesù dopo la sua morte?
R. - La posizione della Chiesa cattolica è molto prudente - mi pare - a questo riguardo. Da una parte c’è la piena accondiscendenza a un culto, c’è la considerazione della potenzialità evangelica che proviene dal suo messaggio, e dall’altra parte la parola di Papa Giovanni Paolo II è stata di lasciare alla scienza ciò che è della scienza e, quindi, il compito di rispondere alle due famose domande della sindonologia: la prima riguarda l’età di questo telo e la seconda riguarda la modalità di formazione di questa misteriosissima e, per ora, inimitabile immagine. Quindi, nel rispetto della reciproca competenza c’è la consapevolezza da una parte dell’autonomia del rapporto religioso nei confronti della Sindone perché la constatazione del fatto che ciò che Gesù ha sofferto sulla Sindone è espresso, è raffigurato in una maniera fedele, è precedente a qualsiasi discorso scientifico. Dall’altra parte c’è l’interesse - si capisce - per la ricerca della scienza perché ciò che è prescientifico non è antiscientifico e allora alla scienza si domanda la luce che in questo momento non è ancora completa.
D. - Mons. Ghiberti, lei ha avuto il privilegio di contemplare a lungo la Sindone: che cosa si prova?
R. - Non è una visione gratificante perché è proprio soltanto lo spettacolo della sofferenza che ti viene incontro e la sofferenza a guardarla non è una soddisfazione, anzi, più si cerca di immedesimarci nello spettacolo che sta davanti agli occhi, che ti sta entrando nel cuore, e più partecipi della tribolazione. Anche perché la seconda riflessione che uno fa, cioè quale coinvolgimento la mia persona ha con questo mistero, non lascia molto tranquilli perché viene subito in mente: è morto per i nostri peccati, per i miei peccati e, quindi, da questo punto di vista si può dire che è un cibo duro quello che offre il contatto con la Sindone. Però è anche tanto consolante il fatto di vedere gente che se ne va con le lacrime agli occhi e non sono reazioni di tipo soltanto superficialmente emotivo, ma ci dice che il dialogo attraverso questo segno con il mistero della redenzione è molto forte.
Italia: riviste missionarie e diocesane a rischio chiusura
◊ Associazioni senza fini di lucro, grandi e piccoli editori, organizzazioni che editano settimanali e mensili dicono “no” alla soppressione delle tariffe postali agevolate per i giornali e i periodici. La decisione è stata presa con un decreto interministeriale che va ad incidere su una legge del 2004, che appunto prevedeva costi ridotti per i prodotti editoriali inviati via posta. Il rischio per molti editori è la chiusura, oppure dover aumentare il costo per gli abbonati. In pericolo le riviste missionarie e diocesane. Alessandro Guarasci ha intervistato don Giorgio Zucchelli, presidente della Fisc, la Federazione che raccoglie i settimanali cattolici:
R. – I nostri giornali hanno un aumento dei costi praticamente del 120 per cento. Evidentemente molti dei nostri giornali si troveranno in grandi difficoltà nel dover pagare un costo completo della spedizione postale. Naturalmente, poi, se qualche giornale dovesse rischiare di chiudere o malauguratamente chiudere, si porrà un problema di pluralismo dell’informazione. Potremmo rischiare di avere molte testate, e non soltanto delle nostre, ma penso ad esempio anche a tantissime testate di no-profit, di istituti religiosi, che avranno un aumento non del doppio, ma addirittura del triplo o del quadruplo.
D. – Questo vuol dire che la piccola editoria, soprattutto quella cattolica, ha ancora un senso in Italia?
R. – I nostri giornali sono giornali dei territori. In alcuni territori, l’unico giornale che parla della gente siamo noi. Chiudendo, quindi, i nostri giornali, si chiuderebbe anche quell’informazione locale, che per i singoli territori è estremamente importante.
D. – Ma, secondo lei, non si può ricorrere – ad esempio – ad internet per raggiungere tanti abbonati?
R. – Noi questo lo abbiamo già fatto. I nostri giornali hanno, quasi tutti, anche la versione elettronica. Tanto è vero che al prossimo Convegno della Cei “Testimoni digitali” presenteremo il sito-portale della Fisc, che è collegato a tutti i siti dei nostri giornali. Anche se siamo convinti, però, che le due versioni possano andare in tandem, ottimizzandosi l’una l’altra. La versione cartacea non finirà mai.
D. – E’ un problema anche di scarsa concorrenza nel settore delle poste e della distribuzione dei settimanali, secondo lei?
R. – Certamente. Le Poste hanno il monopolio fino alla fine di quest’anno. E’ sempre mancata questa concorrenza ed abbiamo sempre avuto problemi e non solo di costi, ma anche di distribuzione, nel senso che non siamo sempre stati soddisfatti di come le Poste diffondono i nostri giornali. Penso che la concorrenza possa giovare sia per quanto riguarda i costi, sia per quanto riguarda l’efficienza del servizio.
Inaugurato a Roma il Festival internazionale del cinema patologico
◊ Si è inaugurato ieri sera a Roma la prima edizione del Festival internazionale del cinema patologico, in programma fino al 10 aprile: un tentativo per attivare una sinergia tra il mondo del cinema e i malati che soffrono per il disagio mentale e sociale e insieme a loro il mondo dell’assistenza e del volontariato. Il servizio di Luca Pellegrini:
Non soltanto il cinema che racconta la malattia mentale e il disagio sociale, ma i malati stessi che si rapportano al mondo del cinema e attraverso il cinema esprimono la loro realtà, il loro modo d’essere, la loro vita e le loro esigenze primarie. E’ un Festival, questo del cinema patologico, assolutamente singolare e innovativo. Non avrà la grande visibilità delle star e dei titoli, ma il suo significato travalica quello meramente artistico e spettacolare diventando un momento importantissimo di condivisione per il superamento di barriere e pregiudizi. Abbiamo chiesto all’ideatore e direttore del festival, Dario D’Ambrosi, come si deve intendere il cinema patologico:
R. - Per cinema patologico, in qualche modo, si intende un cinema che raccoglie un po’ tutta la disabilità: quella fisica, quella psichica, ma soprattutto anche quella giovanile di rapporto e di conflitto con le generazioni maggiori. Attraverso questo Festival del cinema internazionale penso di poter affrontare tutte queste problematiche.
D. - Voi accogliete nel Festival non solo pellicole che raccontano il disagio, ma date la possibilità ai malati di confrontarsi con questa forma d’arte e comunicazione. Con quale scopo?
R. – Vengo da un’esperienza teatrale che sta dando dei risultati straordinari. Ogni anno accoglievo nel mio centro dalle 15 alle 20 persone con disabilità psichica. Quest’anno sono arrivate 62 famiglie e continuano ogni giorno ad arrivare famiglie, cooperative, associazioni che vogliono portare nuovi ragazzi perché il risultato è straordinario. Capendo quanto è importante il teatro per questi ragazzi ho voluto confrontarmi anche con il cinema, non a caso la giuria è composta dai ragazzi disabili, e già qui ho visto delle cose straordinarie, di come loro vedono il film, che tipo di giudizio, che tipo di confronto hanno attraverso una proiezione del film.
D. - In quale modo secondo lei il cinema può contribuire a prendere coscienza di queste forme di malattia ai fini di un’assistenza e di una cura responsabile dei malati?
R. – Il Festival internazionale del cinema patologico ci dà proprio la possibilità di confrontarci con quelle che sono le problematiche in giro per tutto il mondo. Infatti, noi abbiamo ricevuto moltissimi filmati dove appunto si affronta il problema della disabilità e questo fa capire a noi del mondo dello spettacolo ma soprattutto agli operatori, ai genitori, agli stessi assistenti sociali con gli utenti quello che succede negli altri Paesi, come si affrontano certe problematiche, e così si può veramente imparare qualcosa in più e capire come comportarci con il mondo dei ragazzi disabili.(Montaggio a cura di Maria Brigini)
Sri Lanka. Appello dell’arcivescovo di Colombo per elezioni libere e pacifiche
◊ È un appello alla non violenza, al rispetto del diritto di voto e ad una scelta responsabile dei candidati quello lanciato da mons. Malcom Ranjith, arcivescovo di Colombo, per le elezioni generali che si svolgono oggi nello Sri Lanka. Le operazioni di voto per il rinnovo del Parlamento sono iniziate alle 7.00 (le 3.30 in Italia), senza particolari problemi di ordine pubblico. Oltre 14 i milioni di elettori chiamati a scegliere 225 parlamentari fra i candidati di una trentina di partiti. Due i principali schieramenti: l’Alleanza per la libertà del popolo unito (Upfa), che fa capo al presidente Mahinda Rajapksa, e il Partito nazionale unito (Unp) che ha candidato l’ex comandante dell’esercito Sarath Fonseka, attualmente in carcere. In vista di questo importante appuntamento, quindi, mons. Ranjith ha diffuso una nota in cui lancia “uno speciale appello a tutti i srilankesi ed in particolare alla comunità cattolica”. “In primo luogo – scrive l’arcivescovo di Colombo – è responsabilità propria di tutti i cittadini dello Sri Lanka esercitare il diritto di voto. Ed è un dovere fare uso dell’opportunità dataci per influenzare il destino della nostra nazione nel modo migliore. D’altronde, non sono molte le opportunità che abbiamo per dire la nostra pubblicamente”. Inoltre, continua mons. Ranjith, è dovere dei cristiani “assicurare la salvaguardia dei diritto di voto, un diritto sacro e democratico. Come sottolinea il Concilio Vaticano II, il cristiano che trascura i suoi impegni temporali, trascura i suoi doveri verso il prossimo, anzi verso Dio stesso, e mette in pericolo la propria salvezza eterna (Gaudium et Spes, n. 43)”. Quindi, l’arcivescovo di Colombo ricorda “ai candidati ed ai fedeli cattolici la necessità di evitare ogni tipo di negligenza, violenza o interferenza con la legge in questo momento così importante. Dobbiamo essere scrupolosamente corretti per rendere queste elezioni pacifiche ed essere pronti ad assicurare quella tranquillità che mette i responsabili in condizione di fare il loro dovere, secondo coscienza e rispettando la legge”. Ribadendo, poi, che “la trasparenza garantisce la credibilità e la legittimità di tutti gli eletti”, il presule auspica che “siano mantenuti livelli etici alti, specialmente nel frangente che va dalle operazioni di voto vere e proprie all’annuncio dei risultati”. Rivolgendosi, quindi, agli organizzatori delle elezioni, mons. Ranjith prega affinché “eseguano i loro compiti mantenendo l’integrità ed agendo con senso di responsabilità. E tutti noi dobbiamo sostenerli e facilitare il loro gravoso incarico”. Poi, lo sguardo dell’arcivescovo di Colombo si concentra sui candidati: “Inutile dire che le persone che eleggiamo dovrebbero essere uomini e donne onesti, impegnati nel servizio alla nazione al di là degli interessi personali, fautori e attori dei valori democratici”. “Devono essere responsabili e trasparenti nei confronti della popolazione – scrive ancora l’arcivescovo nella sua nota – Dovrebbero rispettare la diversità, sia essa di genere, razza, età o religione. L’integrazione nazionale, l’uguaglianza e l’unità tra tutte le fasce sociali dovrebbero essere gli obiettivi-chiave di ogni futuro governo”. Quindi, mons. Ranjith si dice convinto del fatto che “i cittadini siano abbastanza saggi da scegliere candidati che siano a tale livello, piuttosto che lasciarsi influenzare da slogan vuoti o da striscioni ammaliatori!”. Centrale, nelle parole del presule, anche “la necessità di evitare ogni forma di discriminazione e di assicurare l’uguaglianza in una società multiculturale come quella dello Sri Lanka”. “Sforziamoci - è quindi l’esortazione di mons. Ranjith – di far sì che le persone di tutte le religioni, le etnie e i punti di vista siano rappresentate nel corpo legislativo che eleggiamo”, così che “tutti i gruppi sociali possano sentirsi adeguatamente considerati da coloro che detengono il potere”. Ma per ottenere questo, l’arcivescovo di Colombo ribadisce la necessità di “elezioni libere, pacifiche e corrette”. Infine, un ultimo appello viene rivolto ai vincitori “perché collaborino con gli sconfitti” e agli sconfitti stessi “perché siano sufficientemente magnanimi da riconoscere di aver perso e lavorino insieme ai vincitori per rendere lo Sri Lanka un posto migliore per tutti i cittadini”. (I.P.)
Mons. Warduni: Iraq nel caos
◊ Siamo nel caos. Mancano la legge e la sicurezza. Non sappiamo cosa può accaderci fra un attimo. Possiamo solo confidare nel Signore”. Così il vicario patriarcale caldeo di Baghdad, mons. Shlemon Warduni, commenta al Sir l’ondata di violenza e di bombe che in questi ultimi giorni hanno devastato la capitale provocando decine di morti e centinaia di feriti. Secondo diversi analisti si tratterebbe di un avviso contro le trattative per il nuovo Governo, dopo il voto del 7 marzo che ha visto vincere di soli due seggi di scarto il blocco laico di Iyyad Allawi contro quello del premier uscente Nouri al Maliki. “La formazione del nuovo Governo – dichiara il vescovo caldeo - non si sa come andrà a finire. Ci sono tanti interessi in ballo, dei partiti ma ci sono anche interventi esterni”. Nonostante ciò, aggiunge, “le comunità cristiane hanno potuto celebrare la Pasqua in relativa tranquillità, anche a Mosul. Solo domenica di Pasqua, dopo le 11.30, quando abbiamo udito scoppi tremendi all’esterno ci sono stati dei fedeli che hanno lasciato la chiesa ma la maggioranza e rimasta a pregare. Ed quello che continueremo a fare per il nostro Paese e per tutto il suo popolo”.
Australia: i vescovi chiedono più accoglienza per rifugiati e richiedenti asilo
◊ Davanti all’aumento degli sbarchi di immigrati sulle coste del Paese, la Chiesa australiana ribadisce la sua posizione di accoglienza verso coloro che chiedono, a buon diritto, asilo politico. In una nota diffusa ieri - di cui riferisce l’agenzia Sir - i vescovi australiani chiedono “al Governo e all’opposizione di ricercare il dialogo con i Paesi vicini così come con quelli da cui provengono richiedenti asilo e rifugiati e di adoperarsi per dare risposte veloci alle loro richieste”. Mons. Joseph Grech, delegato dei vescovi per i migranti ed i rifugiati, “pur considerando il bisogno di salvaguardare la sicurezza nazionale, chiede che la compassione non venga sacrificata per coloro che hanno un chiaro bisogno di aiuto. Siamo impegnati – si legge nella nota – a ricercare un approccio umanitario verso coloro che sono in fuga dal pericolo e dalla persecuzione”. “Dobbiamo trovare soluzioni affinché le persone non siano costrette a lasciare la loro terra ed anche per contrastare coloro che sfruttano finanziariamente il bisogno di questa gente”. “La Chiesa cattolica – conclude la nota – rinnova il suo impegno a lavorare in collaborazione con il Governo per fornire continua assistenza pastorale ai rifugiati ed ai richiedenti asilo per assicurare il dovuto aiuto a coloro che fuggono la persecuzione nel loro Paese”. (R.G.)
Cina: nuovo record per numero di battesimi e partecipazione ai riti pasquali
◊ Secondo le informazioni pervenute all’Agenzia Fides, il numero dei battesimi e la partecipazione ai riti pasquali in Asia hanno registrato quest’anno un nuovo record. In attesa delle statistiche complete, presentiamo di seguito alcune delle testimonianze raccolte sulla recente celebrazione della Pasqua in Cina. Secondo la Cattedrale della diocesi di Bao Ding, la partecipazione alla solenne celebrazione della Santa Pasqua ha superato tutti gli anni precedenti. Inoltre tantissimi non cristiani dopo avere assistito ai riti si sono iscritti al corso di catechismo. Durante la Veglia pasquale 15 catecumeni sono stati battezzati, hanno ricevuto il sacramento della Cresima e la Prima Comunione. Il parroco ha esortato: “continuiamo questo cammino di evangelizzazione perché sempre più persone abbiano la possibilità di conoscere Gesù Cristo”. Oltre 30 catecumeni adulti della diocesi di Nan Chong durante la veglia pasquale celebrata nella Cattedrale, hanno ricevuto i sacramenti dell’iniziazione cristiana. Secondo il parroco, “la percentuale dei giovani e degli adulti supera visibilmente l’anno scorso”. A nome della comunità, ha regalato ad ogni battezzato un copia della Sacra Scrittura. Oltre mille fedeli hanno preso parte alla solenne celebrazione. Nella notte di Pasqua sono stati battezzati 24 adulti e 19 bambini della parrocchia di Ju Lu, della diocesi di Xing Tai, nella provincia dell’He Bei. La parrocchia di Gui Lin della provincia di Guang Xi durante la solenne celebrazione pasquale ha accolto in modo particolare i lavoratori immigrati e gli amici stranieri che vivono nel luogo. Durante la veglia 2 sorelle sono state battezzate e una sessantina di anziani hanno ricevuto il sacramento dell’unzione degli infermi. Subito dopo la celebrazione, i sacerdoti e le religiose sono partiti per raggiungere le diverse Comunità ecclesiali di base nei villaggi, per festeggiare anche con loro Gesù Risorto. Nella circostanza hanno anche distribuito stampati sull’evangelizzazione tra i partecipanti non cristiani.
Il cardinale Grocholewski: antieducativa la sentenza della Corte europea sul Crocifisso
◊ “Penso che nessun cattolico che vive nei Paesi a maggioranza buddista, islamica o di altra religione si sia sentito offeso dai segni religiosi di quelle religioni,pretendendo che vengano tolti”. Con queste parole il cardinale Zenon Grocholewski, prefetto della Congregazione per l’Educazione Cattolica, ha illustrato il “carattere antieducativo” della recente sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo sul’esposizione dei simboli religiosi, come il Crocifisso, nelle aule scolastiche. Lo riferisce il Sir. Intervenendo al XV Forum europeo per l’insegnamento della religione, in corso a Roma, il porporato ha accostato tale sentenza alla questione, dibattuta qualche anno fa, del preambolo della Costituzione europea, dove furono banditi il riferimento a Dio e la menzione delle “radici cristiane” dell’Europa: in entrambi i casi, per il relatore, “è stata scelta la via della cancellazione”, ma “una società ricca di cancellature è povera di cultura”. “Non è questa la strada da seguire”, ha sottolineato il cardinale, secondo il quale l’insegnamento della religione è “un diritto che riguarda non solo le famiglie e la Chiesa, ma chiama in causa direttamente la scuola in quanto luogo naturale in cui avviene larga parte dell’opera formativa delle nuove generazioni. La libertà religiosa e il diritto dei genitori di scegliere l’educazione dei loro figli sono alla base della legittimità dell’insegnamento della religione”. “Un insegnamento della religione, posto come disciplina scolastica, in dialogo con altri saperi – ha aggiunto - non solo non è di intralcio a un’autentica educazione interculturale, ma diviene strumento privilegiato per la conoscenza e l’accoglienza dell’altro”. “Un insegnamento della religione che si limita a presentare le differenti religioni, in maniera comparativa o neutra – ha detto il porporato – può creare confusione o generare negli alunni relativismo e indifferentismo religioso”. Oggi, invece, “in un contesto multietnico e multi religioso … risulta quanto mai importante la presenza di un insegnamento confessionale di qualità elevata, capace di mantenere l’identità dell’insegnamento, di introdurre l’alunno alla conoscenza della religione cattolica, contribuendo così a creare le condizioni per formare identità sicure e perciò capaci anche di sostenere il dialogo con le altre religioni”. Di qui la necessità di stigmatizzare le scelte di “alcuni “Paesi” con “orientamenti legislativi delle politiche scolastiche tendenti a condizionare il contenuto dell’insegnamento religioso, a sottovalutare i diritti dei genitori e dei responsabili religiosi”.
Allarme dell’Oms per inquinamento e stili di vita sbagliati nelle città europee
◊ Il 70 per cento della popolazione europea, che vive nei centri urbani, è attanagliata da smog e sedentarietà, secondo quanto documenta l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), che ha monitorato il grado d’inquinamento non solo nelle grandi metropoli dei Paesi in via di sviluppo ma anche nelle città industrializzate. Negli ultimi decenni il problema principale risulta essere l’uso crescente dell’automobile, per cui oltre il 90 per cento della popolazione urbana convive oggi con alti livelli d’inquinamento atmosferico. Altri disagi derivanti dall’eccessivo utilizzo dell’auto sono il sovrappeso e l’obesità, che interessa il 30-80 per cento degli adulti e il 5-25 per cento dei bambini tra gli 11 e i 13 anni. Da una ricerca condotta in Italia nel 2008 risulta che le categorie più refrattarie al movimento fisico sono i 50-69enni, le donne, le persone con livello di istruzione inferiore, quanti si trovano in condizioni economiche svantaggiate e gli abitanti delle regioni meridionali. In particolare uno studio effettuato a Milano ha stimato che almeno 20 dei ricoveri giornalieri in ospedale sono causati dallo smog. (C.F.)
Appello dell'Europarlamento per la prevenzione e riduzione dei tumori
◊ Più campagne di prevenzione e controlli estesi per la diagnosi precoce dei tumori al fine di ridurre del 15 per cento entro il 2020 l'incidenza delle malattie tumorali in Europa. Da qui l’appello del Parlamento di Strasburgo agli Stati membri perché quanto prima possibile lancino specifici “Piani cancro”, come indica un rapporto ad hoc adottato ieri dalla Commissione ambiente, sanità pubblica e sicurezza alimentare. I parlamentari ribadiscono che la prevenzione resta la soluzione migliore. Da qui l'incoraggiamento a ciascun Paese ad investire in programmi mirati a ridurre fattori di rischio come l'inquinamento, il fumo, l'alimentazione scorretta, l'uso di prodotti chimici cancerogeni. Gli eurodeputati hanno valutato positivamente il piano d'azione comune europeo per il quadriennio 2009-2013, che punta ad aiutare i diversi Paesi a combattere la malattia, ma suggeriscono un sostegno particolare ai nuovi Stati membri. L'appello, inoltre, è anche a rendere disponibili i trattamenti per tutti i pazienti dell'Unione. In Europa si contano ogni anno 3 milioni di nuovi pazienti oncologici e circa 1,7 milioni di morti per tumore. (R.G.)
I Salesiani festeggiano i 25 anni di presenza in Indonesia
◊ “Bersama Mewudjudkan Mimpi”, che significa “insieme portiamo a compimento il sogno”, è il motto che contraddistingue le celebrazioni per il 25.mo anniversario della presenza dei Salesiani di don Bosco in Indonesia. Iniziate a settembre 2009, le celebrazioni giubilari vedono in questi giorni la presenza nel paese asiatico di Don Pascual Chávez Villanueva, il rettor maggiore dei Salesiani, che è stato accolto al suo arrivo a Giakarta da don Andrew Wong, consigliere regionale per l’Asia Est-Oceania, e da don Andres Calleja, superiore della Visitatoria “San Callisto Caravario” di Indonesia-Timor Est. Secondo le informazioni diffuse dall’agenzia Ans, i Salesiani hanno iniziato il loro apostolato in Indonesia nel 1985, a Rajawali Selatan, Pademangan. Tuttavia già molto tempo prima, nel 1927, Don Bosco era noto in Indonesia e a lui venivano intitolati orfanotrofi e scuole. Nel 1991 i figli di Don Bosco si trasferirono a Wisma, dove sorse la casa madre del paese che oggi ospita anche il postnoviziato. Successivamente altre opere vennero aperte a Tigaraksa nel 1999, quindi la parrocchia San Giovanni Bosco a Sunter nel 2002, il centro di Sumba nel 2003 e quello di Blitar e Surabaya nel 2009. Il primo salesiano nato in Indonesia è stato don Andre Delimarta, ordinato a Jakarta Utara il 15 aprile 1997, seguito da oltre 50 salesiani. In Indonesia sono presenti anche le Figlie di Maria Ausiliatrice, i Salesiani Cooperatori e numerosi amici dell’opera di Don Bosco.
Filippine: al via i lavori della nuova Casa don Guanella a Quezon City
◊ Avviati a Quezon City, nelle Filippine, i lavori per la costruzione della Casa Don Guanella, destinata ad accogliere 20 bambini in condizioni di disagio, all’interno della Harong Kan Sagrada Familia, centro di riabilitazione per disabili fisici e mentali promosso dai guanelliani. “Un progetto - spiega p. Luigi De Giambattista, superiore provinciale - nato per celebrare i 20 anni della presenza guanelliana nelle Filippine”. La nuova struttura, realizzata grazie all’aiuto della Chiesa tedesca e all’impegno della neonata Procura missionaria guanelliana, sarà inaugurata a dicembre, accanto alla casa religiosa, alla casa di formazione, all’area riservata ai 12 disabili accolti in forma residenziale, alla scuola materna per 20 bambini normodotati e al centro polivalente che offre assistenza ambulatoriale e servizi di fisioterapia ad oltre 100 utenti ogni giorno. Ma la fantasia della carità va già oltre: “custodiamo un altro sogno - spiega p. Luigi - realizzare 17 piccole case, con due locali e un servizio, per le famiglie che hanno bimbi disabili e vivono nei quartieri più poveri, perché possano seguirli da vicino durante le terapie e la scuola speciale, senza essere costretti a separarsi da loro. La Provvidenza ha donato già 10 mila pesos per bloccare il terreno attiguo al nostro su cui poter costruire il complesso. Nella realizzazione è previsto il coinvolgimento delle stesse famiglie. Ora cerchiamo chi voglia condividere con noi questo sogno. 80 mila pesos il costo di ogni casetta, pari a circa 1300 euro. Per informazioni è possibile connettersi ai siti: ufficiostampa@guanelliani.org e www.guanelliani.org (R. G.)
Presentazione, il 22 aprile a Roma, del libro “La famiglia è ancora un affare?”
◊ Sarà presentato il prossimo 22 aprile, a Roma - riferisce l’agenzia Sir - il volume “La famiglia è ancora un affare? La finanza responsabile, la società e la famiglia”. Frutto della collaborazione tra l'Istituto Giovanni Paolo II e Sri Group, primaria società di consulenza italiana, il volume a cura di Livio Melina e Giulio Gallazzi indaga le prospettive della finanza e dell'economia, in particolare nell'attuale contesto di crisi sistemica, a partire dalla prospettiva assolutamente originale della famiglia. La “sfida” è mostrare che la famiglia “conviene” e che partire da essa può offrire sentieri nuovi e fecondi per uscire dalla crisi. Prendendo spunto dalle sollecitazioni contenute nell'ultima Enciclica di Benedetto XVI “Caritas in veritate”, il volume offre alla riflessione economico-finanziaria quel necessario fondamento antropologico e quell'orizzonte di valori senza il quale non può esserci – sostengono i curatori - produzione di vera ricchezza né sviluppo. Il volume si apre con la prefazione di Ettore Gotti Tedeschi, presidente dello Ior, che interverrà alla presentazione insime a Livio Melina e Giulio Gallazzi. (R.G.)
“Our world 2.0”: nuova rivista on line dell'Onu sulle emergenze globali del Pianeta
◊ Un 'pensatoio' dove confrontarsi e dibattere sulle emergenze globali del Pianeta, dallo sviluppo ai cambiamenti climatici, dalla povertà alla fame. Si chiama “Our World 2.0” (il nostro mondo 2.0): è la webzine (la rivista on line) dell'Università delle Nazioni unite. Rajendra Pachauri, capo del gruppo intergovernativo di scienziati che su mandato dell'Onu studiano i cambiamenti climatici, rilancia l'attenzione sul problema, dopo lo scandalo degli errori contenuti nel quarto rapporto dell’Ipcc, mentre si lavora già al quinto rapporto, atteso per il 2013-2014, che valuterà la velocità di scioglimento dei ghiacciai dell'Himalaya al 2035. Pachauri ribadisce che ci sono ''prove scientifiche schiaccianti che il riscaldamento del sistema climatico è inequivocabile'' e che ''la maggior dell'aumento osservato nella temperatura media globale a partire dal ventesimo secolo è molto probabilmente dovuto all'aumento della concentrazione dei gas serra di origine antropica''. Anche per questo dal Vertice delle Nazioni unite sui cambiamenti climatici, dello scorso dicembre a Copenaghen, ci si aspettava qualcosa di più del 'prendere nota' uscito fuori dall'Assemblea. In ogni caso, l'accordo della Cop15 (quasi 10 miliardi di dollari all'anno in aiuti e cooperazione alle Nazioni povere nel periodo 2010-2012, fino a 100 miliardi di dollari al 2020 per combattere gli impatti legati a inondazioni, siccità e aumento del livello dei mari) viene ritenuto, in particolare dal segretario della Convenzione Onu sui cambiamenti climatici (Unfccc), Yvo de Boer, ''un punto di partenza'' per i negoziati che riprenderanno domani 9 aprile a Bonn e per la riunione Onu prevista in Messico a dicembre 2010. Nel frattempo, il testo di quell'accordo - fanno sapere dall'Unfccc - viene sostenuto da 111 Paesi, più l'Unione europea, mentre sono 41 i Paesi industrializzati e 35 quelli in via di sviluppo, rappresentativi dell'80% delle emissioni globali derivanti da consumo energetico, che hanno 'promesso' alla Convenzione Onu sui cambiamenti climatici di ridurre la ‘febbre’ del Pianeta tagliando le emissioni di Co2 (anidride carbonica) entro il 2020. Nello specifico i compiti sono stati suddivisi: impegni 'economici' per i Paesi industrializzati e di 'mitigazione' per i Paesi in via di sviluppo. (R.G.)
Concerto benefico a Firenze dell'Orchestra giovanile dell'Ue diretta dal maestro Ashkenazy
◊ Un concerto di beneficenza a favore dell'Associazione italiana per la ricerca sul cancro, si terrà mercoledì 14 aprile presso il Teatro della Pergola di Firenze. L’evento vede in scena l'Orchestra giovanile dell'Unione Europea (Euyo), una delle più prestigiose e dinamiche, composta da 140 musicisti, scelti tra i migliori talenti dei 27 Stati dell’Ue, sotto la direzione di maestri di fama internazionale. I giovani musicisti sono selezionati ogni anno tra oltre 4000 candidati di età compresa tra i 14 e i 24 anni. A dirigere l’orchestra a Firenze sarà Vladimir Ashkenazy, il celebre maestro islandese d’origine russa. L’Euyo è stata fondata nel 1978 da Lionel e Joy Bryer con l’intento di rappresentare gli ideali europei di solidarietà e lavoro comune per raggiungere la pace e l’integrazione sociale. (C.F.)
Accordo storico a Praga: Obama e Medvedev firmano la riduzione degli arsenali nucleari
◊ Storico è l’aggettivo con cui sia il presidente Usa, Barack Obama, sia il capo del Cremlino, Dmitri Medvedev, hanno commentato la firma stamane a Praga dell’accordo Start2 per la riduzione del 30% delle armi nucleari. La firma e la conferenza stampa congiunta hanno fatto seguito a due ore di colloquio. Il servizio Fausta Speranza:
La firma dell'accordo Start2 per la riduzione delle armi nucleari è un “avvenimento storico” anche perchè avviene a Praga, città che è un “monumento alla pace”. Sono parole del presidente americano, Obama, che sottolinea che con questo accordo Mosca e Washington hanno “fermato la deriva” nei rapporti bilaterali. Obama aggiunge poi che l’accordo rende gli Stati Uniti e il mondo "più sicuri”. E non sono da meno i commenti del presidente russo Medvedev che parla di pagina nuova nelle relazioni tra i due Paesi e si dice certo che l’accordo aumenterà la sicurezza in tutto il mondo”. Medvedev ci tiene anche a puntualizzare che si tratta di un accordo equilibrato e – aggiunge – non ci sono “né vincitori ne' vinti: a vincere è la sicurezza mondiale, dunque la comunità internazionale”. Medvedev poi liquida anche la questione dello scudo antimissile statunitense, affermando che “i passi fatti dall'amministrazione Obama rispetto a quella Bush sullo scudo antimissile hanno favorito il progresso dei negoziati” e che se restano divergenze ci sono però motivi di ottimismo. Resta da dire che il leader del Cremlino ha ringraziato Obama per il “lavoro di squadra” e le autorità ceche per la bellissima sala del Castello di Praga che hanno messo a disposizione per la cerimonia.
Katyn: commemorazione dell’eccidio di 22 mila polacchi ordinato da Stalin
Il premier russo, Vladimir Putin, e quello polacco, Donald Tusk, hanno commemorato ieri a Katyn, in Russia, l’eccidio di circa 22 mila polacchi, in gran parte ufficiali ed esponenti della classe dirigente, compiuto dalla polizia segreta sovietica per ordine di Stalin. Si è trattato della prima commemorazione comune tra Polonia e Russia, a 70 anni da quel terribile massacro. Ha preceduto i discorsi politici una celebrazione religiosa alla quale hanno partecipato, da parte polacca, mons. Tadeusz Pikus, presidente della Consiglio per il Dialogo ecumenico dell’episcopato polacco, il metropolita ortodosso, il rabbino capo, il vescovo della chiesa luterana e il rappresentante delle comunità musulmane, insieme a sacerdoti del patriarcato di Mosca. Il servizio di Adriana Masotti:
Una delle pagine più buie anche se poco conosciute della storia del Novecento, quella del massacro di oltre 20 mila polacchi trucidati in Russia per ordine di Stalin fra l’aprile e il maggio del 1940. Erano per lo più ufficiali e membri dell'intelighenzia polacca. Lo scopo, quello di eliminare il nerbo di una possibile resistenza o rinascita della Polonia. Pesante la mistificazione del regime sovietico, che fino al 1990 attribuì il massacro ai nazisti. Tutto era cominciato dopo l’invasione nel 1939 della Polonia orientale da parte dell’Unione Sovietica. Numerosi prigionieri furono deportati in Russia. Poi, “in nome dell’interesse supremo dello Stato”, la decisione di eliminarne circa 22 mila, ciascuno con un colpo d’arma da fuoco alla nuca, davanti alle fosse comuni scavate in varie zone della Russia, tra cui la foresta di Katyn, 400 km. a sud ovest di Mosca, diventata il simbolo di questa tragedia. "Per questi crimini non possono esistere giustificazioni", ha detto Putin durante la cerimonia di commemorazione. Il premier russo ha voluto poi sottolineare che le vittime del regime comunista furono anche i cittadini sovietici: cosacchi, preti, contadini, professori, operai. “Alla Russia e alla Polonia - ha detto ancora - è toccato in sorte, come a nessun altro Paese, di passare per tutte le tragedia del Ventesimo secolo, di pagare un prezzo estremamente alto per le due guerre mondiali, per conflitti fratricidi, per la ferocia e disumanità del totalitarismo”. Una condanna ferma dello stalinismo, dunque, ma nessuna richiesta di perdono. E neppure la decisione di togliere il segreto di Stato su due terzi dei faldoni giudiziari del processo che ha liquidato gli orrori di Katyn come delitti comuni, e non come crimini di guerra o genocidio. Ma in ogni caso un primo, importante passo è stato fatto e lo stesso premier polacco Tusk si è detto convinto che “Russia e Polonia troveranno la forza e il coraggio di andare fino in fondo perché la via della riconciliazione sia facile e breve”.
Forte calo della Borsa di Atene
Sempre più critica la situazione dei conti economici della Grecia. Oggi, tonfo della piazza finanziaria. La Borsa di Atene segna un calo del 5,68%. Mentre è in corso una missione di due settimane di una delegazione tecnica del Fondo monetario internazionale, oggi la crisi ellenica dominerà l'agenda della riunione della Banca centrale europea a Francoforte.
Tensione altissima in Thailandia: oscurata la tv dei manifestanti
La tv di riferimento delle “camicie rosse” thailandese è stata oscurata e i dimostranti minacciano ritorsioni se rimarrà fuori onda. Dalle province rurali nel nord del Paese, giungono intanto notizie di manifestazioni parallele dei sostenitori dell'ex premier, Thaksin Shinawtra. Ma dopo la proclamazione dello stato di emergenza, la situazione a Bangkok è sostanzialmente immutata rispetto a ieri: nonostante i poteri speciali, le forze armate non si fanno vedere nelle strade e migliaia di dimostranti continuano a presidiare alcuen zone sotto un sole torrido. I manifestanti - sostenitori dell’ex premier Shinawatra - chiedono le dimissioni del primo ministro Vejjajiva e nuove elezioni. L'emittente Ptv, il "Canale del popolo", che trasmette tutte le manifestazioni dei “rossi”, è stata oscurata questa mattina assieme ad altri siti - anche in inglese – che simpatizzano con la loro causa. Dal palco eretto presso la Ratchaprasong Intersection, i leader del movimento hanno intimato al governo di Abhisit Vejjajiva di annullare l’oscuramento della televisione, pena un'escalation della protesta. Hanno anche aggiunto di voler cercare altri satelliti disposti a far tornare in onda Ptv. Abhisit - che per seguire la situazione ha annullato un previsto viaggio in Vietnam - ripete di non aver intenzione di usare la forza e ha messo a disposizione un servizio di trasporto via autobus, invitando i manifestanti a tornare nelle province con l'assicurazione che non verranno perseguiti. Ma per domani i fedelissimi di Thaksin hanno già annunciato l'ennesimo corteo per le strade di Bangkok.
Elezioni in Sri Lanka
In tutto lo Sri Lanka sono cominciate oggi, alle 7 (le 3:30 italiane), le operazioni di voto per il rinnovo del parlamento, senza che si registrassero problemi di ordine pubblico. Lo riferiscono i media a Colombo. Oltre 14 milioni di elettori avranno tempo fino alle 16 per scegliere 225 parlamentari fra i candidati di una trentina di partiti. Fra questi, i principali sono l'Alleanza per la libertà del popolo unito (Upfa) del presidente, Mahinda Rajapaksa, e il partito nazionale unito (Unp), che ha candidato l'ex comandante dell'esercito, Sarath Fonseka, attualmente in carcere. Il presidente Rajapaksa, che ha vinto le presidenziali del 26 gennaio, è stato fra i primi oggi a recarsi a votare nella sua città natale di Hambantota. Il servizio di Maria Grazia Coggiola:
Ci si aspetta una riconferma nel partito di maggioranza di Rajapaksa, che dovrà di nuovo vedersela con il suo maggiore rivale, il generale Sarath Fonseca, in carcere per accuse di golpe e di corruzione e sottoposto a Corte marziale. Fonseca, l’ex capo di Stato maggiore, artefice della vittoria militare contro le Tigri Tamil, gode ancora di molta popolarità, nonostante la dura repressione del governo contro i suoi sostenitori e contro la stampa indipendente. Secondo l’opposizione, le elezioni del 26 gennaio scorso, dove Rajapaksa vinse con larga maggioranza, sono state truccate da brogli e da irregolarità e hanno visto una scarsa partecipazione della minoranza Tamil. Anche se favorito, il partito nazionalista di Rajapaksa difficilmente riuscirà però a raggiungere una maggioranza dei due terzi, che permetterebbe al parlamento di avviare alcune importanti riforme costituzionali. (Panoramica internazionale a cura di Fausta Speranza)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIV no. 98
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