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Sommario del 02/04/2010
Il Papa alla Messa in Coena Domini: l'annuncio degli Apostoli non potrà mai cessare nella storia
◊ La Chiesa nasce dalla preghiera di Gesù: garanzia che l’annuncio degli Apostoli non potrà mai cessare nella storia. Così Benedetto XVI, ieri pomeriggio, nella Basilica di San Giovanni in Laterano durante la Messa in Coena Domini, inizio del Triduo Pasquale. Nel corso della celebrazione il Papa ha lavato i piedi a dodici sacerdoti, rinnovando il gesto che Cristo compì verso i suoi discepoli, mentre al momento dell’offertorio ha ricevuto la somma raccolta dai fedeli che sarà devoluta per la ricostruzione del seminario di Port-au-Prince in Haiti. Il servizio è di Paolo Ondarza:
(canto)
La preghiera sacerdotale pronunciata da Cristo al termine della lavanda dei piedi è stata il filo conduttore dell’omelia di Benedetto XVI durante la Messa in Coena Domini. “Non prego solo per questi – diceva Gesù, riferendosi agli apostoli – ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola: perché tutti siano una sola cosa”:
“Che cosa chiede precisamente qui il Signore? Innanzitutto Egli prega per i discepoli di quel tempo e di tutti i tempi futuri. Guarda in avanti verso l’ampiezza della storia futura. Vede i pericoli di essa e raccomanda questa comunità al cuore del Padre. Egli chiede al Padre la Chiesa e la sua unità. Così questa preghiera è propriamente un atto fondante della Chiesa”.
“Il Signore ha chiesto la Chiesa al Padre – ha spiegato il Papa – ha pregato perché l’annuncio dei discepoli prosegua lungo i tempi”. Quindi le parole di Gesù sono una garanzia: l’annuncio degli apostoli non cesserà mai nella storia e susciterà sempre la fede e raccoglierà nell’unità gli uomini”. Ma la preghiera del Figlio di Dio – ha proseguito il Pontefice – è sempre anche un esame di coscienza per tutti noi:
“In quest’ora il Signore ci chiede: vivi tu, mediante la fede, nella comunione con me e così nella comunione con Dio? O non vivi forse piuttosto per te stesso, allontanandoti così dalla fede? E non sei, forse, con ciò colpevole della divisione, che oscura la mia missione nel mondo, perché preclude agli uomini l’accesso all’amore di Dio?”.
Aver visto tutto ciò che minaccia e distrugge l’unità – ha detto Benedetto XVI – è stata e rimane una componente della Passione di Gesù:
“Quando noi meditiamo sulla Passione del Signore, dobbiamo anche percepire il dolore di Gesù per il fatto che siamo in contrasto con la sua preghiera, che facciamo resistenza al suo amore, che ci opponiamo all’unità, che deve essere per il mondo testimonianza della sua missione”.
Gesù parla della vita eterna – ha proseguito il Papa – vita autentica, vera, non semplicemente quella che viene dopo la morte, ma che deve iniziare già in questo mondo. Essa – ha spiegato il Santo Padre, parafrasando il Vangelo - è conoscenza di Dio e di Gesù Cristo. Vita, dunque, è relazione nella verità e nell’amore, la relazione rende bella, piena la vita. Già nella filosofia greca – ha ricordato Benedetto XVI – esisteva l’idea che l’uomo può trovare la vita eterna se si attacca a ciò che è indistruttibile: riempiendosi di verità, dunque, può portare in sé la sostanza di eternità. “Ma solo se la verità è persona - ha proseguito – può portarmi attraverso la notte della morte. Ci aggrappiamo al Risorto e siamo così portati da Colui che è la Vita stessa”.
Secondo le Sacre Scritture – ha spiegato ancora Benedetto XVI – conoscere è diventare una cosa sola con l’altro, amarlo. La nostra vita, dunque, diventa eterna se conosciamo Colui che è la fonte di ogni essere e di ogni vita:
“Cerchiamo di conoscerLo sempre di più! Viviamo in dialogo con Lui! Impariamo da Lui la vita retta, diventiamo suoi testimoni! Allora diventiamo persone che amano e allora agiamo in modo giusto. Allora viviamo veramente”.
Gesù porta a termine ciò che era iniziato con Mosè presso il roveto ardente: mostra il suo Volto. L’immagine del “Dio con noi” si manifesta nell’incarnazione di Cristo, uomo – e quindi vicino - ma anche Dio, eterno e infinito:
“In quest’ora deve invaderci la gioia e la gratitudine, perché Egli si è mostrato, perché Egli - l’Infinito e l’Inafferrabile per la nostra ragione - è il Dio vicino che ama, il Dio che noi possiamo conoscere ed amare”.
(canto)
Venerdì Santo. Le parole del cardinale Ratzinger alla Via Crucis del 2005, a pochi giorni dalla scomparsa di Giovanni Paolo II
◊ Per la quinta volta dall’inizio del suo Pontificato, Benedetto XVI presiederà questa sera, alle 21.15, il rito della Via Crucis al Colosseo. L’evento, con le meditazioni scritte dal cardinale Camillo Ruini, che vedrà fra gli altri due iracheni portare la croce, sarà trasmesso in radiocronaca diretta dalla nostra emittente a partire dalle 21.05. Ma il 2 aprile è anche il quinto anniversario della morte di Giovanni Paolo II. In questa particolare coincidenza, la memoria non può non tornare alla sera di quel 25 marzo 2005, quando il Papa polacco, ormai costretto all’immobilità, partecipava seduto nella sua cappella privata all’ultima Via Crucis della sua vita, ascoltando dalla televisione le riflessioni di colui che, meno di un mese dopo, sarebbe diventato il suo successore sul Soglio di Pietro. Nel suo servizio, Alessandro De Carolis ripropone le meditazioni che l’allora cardinale Joseph Ratzinger scrisse per la Via Crucis di quell’anno:
La croce di legno sarà forse ferma alla quarta stazione, forse in transito verso la quinta, sullo sfondo delle fiaccole e delle penombre del Colosseo, quando alle 21.37 di stasera scoccheranno l’ora e il minuto in cui cinque anni fa la folla ammutolita in Piazza San Pietro apprendeva della morte di Giovanni Paolo II. O forse la rievocazione del tragitto al Golgota avrà già toccato la settima stazione, quella della seconda caduta di Gesù e quella in cui il cardinale Ruini ricorderà la scomparsa di Papa Wojtyla. E probabilmente in tanti, tra la folla di stasera, ne rammenteranno il profilo curvo, ripreso di spalle e aggrappato alla Croce, in quel Venerdì Santo di cinque anni fa. Il profilo di un uomo, che come Cristo verso il Calvario, ha consumato nella missione che Dio gli ha affidato le ultime energie e al quale, spogliato di ogni forza umana, resta l’essenza spirituale del chicco di frumento del Vangelo: la morte per una nuova vita. Ed è proprio dalla “sorte del chicco grano” che il cardinale Ratzinger si lascia ispirare nelle meditazioni che in quella sera di cinque anni fa tagliano l’aria con la schiettezza di pensiero che il mondo presto imparerà a scoprire:
(annuncio della prima stazione)
Gesù è condannato a morte, la folla gli inveisce contro, e Joseph Ratzinger fa risaltare quell’ipocrisia da poco prezzo che spesso si nota in tante piazze del mondo: “Urlano perché urlano gli altri e come urlano gli altri. E così – scrive – la giustizia viene calpestata per vigliaccheria, per pusillanimità, per paura del diktat della mentalità dominante”. “Il prezzo della giustizia – riconosce nella seconda stazione – è sofferenza in questo mondo” e prega:
“Signore, ti sei lasciato deridere e oltraggiare. Aiutaci a non unirci a coloro che deridono chi soffre e chi è debole. Aiutaci a riconoscere in coloro che sono umiliati ed emarginati il tuo volto. Aiutaci a non scoraggiarci davanti alle beffe del mondo quando l’obbedienza alla tua volontà viene messa in ridicolo”.
Ma sono le tre cadute di Gesù sotto il peso della Croce a suggerire al futuro Papa affermazioni vibranti, che sanno di un magistero finora maturato nel segreto dell’anima o enunciato nella sobrietà di un’aula universitaria e che ora, per uno sconosciuto disegno, erompono in pubblico, quasi prestando la voce al grande Pontefice e amico che ha perso la sua:
“Signore Gesù, il peso della croce ti ha fatto cadere per terra. Il peso del nostro peccato, il peso della nostra superbia ti atterra (...) La superbia di pensare che siamo in grado di produrre l’uomo ha fatto sì che gli uomini siano diventati una sorta di merce, che vengano comprati e venduti, che siano come un serbatoio di materiale per i nostri esperimenti, con i quali speriamo di superare da noi stessi la morte, mentre, in verità, non facciamo altro che umiliare sempre più profondamente la dignità dell’uomo”.
Dalla superbia dell’uomo a quella delle “grandi ideologie”. E’ la settima stazione: Gesù ha incontrato sua madre, ha l’aiuto del Cireneo, ma cade di nuovo. In ciò, il cardinale Ratzinger vede l’ombra della cristianità che, scrive, “stancatasi della fede” ha abbandonato Cristo, sedotta da quel “nuovo paganesimo” che “volendo accantonare definitivamente Dio, ha finito per sbarazzarsi dell’uomo”. La preghiera che ne scaturisce è forte e secca:
“Distruggi il potere delle ideologie, cosicché gli uomini possano riconoscere che sono intessute di menzogne. Non permettere che il muro del materialismo diventi insuperabile. Fa’ che ti percepiamo di nuovo. Rendici sobri e attenti per poter resistere alle forze del male e aiutaci a riconoscere i bisogni interiori ed esteriori degli altri, a sostenerli”.
E poi quelle parole, inaudite, da allora rimaste scolpite nella coscienza di ogni cristiano e oggi di bruciante attualità. Una denuncia netta, affilata, sorprendente, incurante di bizantinismi o prose protocollari, che rivela il dolore acuto del sacerdote per chi ha tradito il comune ministero, la consapevolezza del vescovo che implora un cambio di rotta per la “barca di Pietro” che “fa acqua da tutte le parti”, la volontà di trasparenza e pulizia che solo un Pontefice può rendere universale e che di lì a tre settimane l’autore di quelle parole si troverà, eletto Papa, nelle condizioni di trasformare in realtà:
(annuncio della nona stazione)
“Che cosa può dirci la terza caduta di Gesù sotto il peso della croce? (…) A quante volte si abusa del santo sacramento della sua presenza, in quale vuoto e cattiveria del cuore spesso egli entra! (…) Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a lui!”
Signore, spesso la tua Chiesa ci sembra una barca che sta per affondare (…) La veste e il volto così sporchi della tua Chiesa ci sgomentano. Ma siamo noi stessi a sporcarli! (…) Con la nostra caduta ti trasciniamo a terra, e Satana se la ride, perché spera che non riuscirai più a rialzarti da quella caduta; spera che tu, essendo stato trascinato nella caduta della tua Chiesa, rimarrai per terra sconfitto. Tu, però, ti rialzerai. Ti sei rialzato, sei risorto e puoi rialzare anche noi. Salva e santifica la tua Chiesa. Salva e santifica tutti noi”.
Cinque anni fa la Pasqua di Giovanni Paolo II: le testimonianze di Salvatore Martinez e Franco Miano
◊ Il 2 aprile del 2005, con la morte di Giovanni Paolo II, si chiudeva uno dei più straordinari Pontificati nella storia della Chiesa. In questo quinto anniversario della morte di Karol Wojtyla, che coincide con il Venerdì Santo, torniamo indietro negli anni, all’aprile del 1979, alla prima Pasqua celebrata da Giovanni Paolo II. Il servizio di Alessandro Gisotti:
(musica)
Chi è Cristo? E’ il 5 aprile 1979 quando Giovanni Paolo II rivolge questa domanda agli universitari romani, che partecipano ad una Messa in preparazione della Pasqua. Il “Papa venuto da lontano” guida da sei mesi la Barca di Pietro e da un mese ha pubblicato la “Redemptor Hominis”. La sua prima Enciclica che traccia il programma del suo Pontificato. Un programma riassunto in una parola, in una Persona: Cristo. Karol Wojtyla ricorda ai giovani di Roma che Gesù, il Figlio di Dio, “ha accettato la necessità della morte”, ha “accettato la realtà del morire umano”. E proprio per questo Egli è “colui che ha compiuto un rivolgimento fondamentale nel modo di capire la vita”:
“Ha mostrato che la vita è un passaggio, non solamente al limite della morte, ma a una vita nuova. Così la Croce per noi è diventata suprema cattedra della verità di Dio e dell’uomo. Tutti dobbiamo essere alunni – 'in corso o fuori corso' di questa cattedra. Allora comprenderemo che la Croce è anche la culla dell’uomo nuovo”.
A quella Croce, il Papa polacco che viene da un terra martire volge lo sguardo il 13 aprile nella “Via Crucis” al Colosseo. “Guardando questa Croce, la croce degli inizi della Chiesa”, è la sua esortazione, “dobbiamo sentire ed esprimere una solidarietà particolarmente profonda con tutti i nostri fratelli nella fede, che anche nella nostra epoca sono oggetto di persecuzioni e discriminazioni”:
“Guardando la Croce nel Colosseo, chiediamo a Cristo che non manchi loro – così come quelli che una volta hanno subìto qui il martirio - la potenza dello Spirito di cui hanno bisogno”.
Certo, riconosce Giovanni Paolo II nella Veglia Pasquale, “la parola morte si pronuncia con un nodo in gola”. “Essa è ogni volta qualcosa di sconvolgente”. Ma il cristiano sa che Cristo, mediante la Croce, ha vinto la morte. E nella notte già possiamo vedere le luci dell’alba:
“Ecco la notte della Grande Attesa. Attendiamo nella fede, attendiamo con tutto il nostro essere umano Colui, che all’alba ha spezzato la tirannia della morte e rivelato la Divina Potenza della Vita: egli è la nostra Speranza”.
E questa Speranza, la vera Speranza, Giovanni Paolo II annuncia al mondo il 15 aprile del 1979 nel Messaggio Urbi et Orbi per la Pasqua:
“Come è per noi eloquente questo Giorno, che parla con tutta la verità della nostra origine. Pietra angolare di tutta la nostra costruzione e lo stesso Cristo Gesù. Questa pietra, scartata dai costruttori, che Dio ha irradiato con la luce della risurrezione, si trova posta al fondamento stesso della nostra fede, della nostra speranza e della nostra carità”.
Nel Giorno del Risorto, nel “Giorno dell’universale speranza”, Karol Wojtyla invita tutti a scoprire di nuovo la propria vocazione che ognuno riceve già nel Battesimo. Una missione, sottolinea, vivificata “dalla gioia della Risurrezione”. E conclude con un’invocazione di speranza, che riecheggia forte oggi come allora. Il Giorno di Pasqua è l’inizio di un tempo nuovo:
“L’uomo non può mai perdere la speranza nella vittoria del bene. Questo giorno diventi oggi per noi l’esordio della nuova speranza”
(musica)
Proprio sulla dimensione pasquale della figura e del Pontificato di Giovanni Paolo II, si sofferma il presidente nazionale di Rinnovamento nello Spirito Santo, Salvatore Martinez, al microfono di Alessandro Gisotti:
R. – Pasqua è il dono della vita e Giovanni Paolo II ha fatto della sua vita una offerta, sofferta, agli altri. E’ stata Pasqua per i giovani: il binomio giovani-gioia è stato preziosissimo nel ministero pontificio di Giovanni Paolo II; è stato il binomio famiglia-amore: ha insegnato alle famiglie a fare passaggio, a fare Pasqua dinanzi ai tanti attacchi mortiferi; è stato il Vangelo della pace: pace come unità, come abbattimento di tutti i muri di inimicizia … Il binomio poi di sofferenza e vita, forse tra i più alti, che ha rivelato il cuore mistico di Giovanni Paolo II eppure così profondamente incarnato nelle sofferenze del nostro tempo. Direi anche il binomio carità e giustizia sociale, perché non è Pasqua se le ingiustizie non vengono redente … Certamente Giovanni Paolo II è uomo pasquale, è uomo che ci ha rivelato il segreto della Pasqua!
D. – Più passa il tempo e più è forte il messaggio, la testimonianza di Giovanni Paolo II. Questo ricorda l’esperienza dei Santi …
R. – Non c’è dubbio: il suo è, intanto, un magistero interiore, di un uomo che era maestro di anime, e testimone in quanto maestro di anime. Con quella capacità di declinare il Vangelo, di rendere accessibile il Vangelo, praticabile per ogni uomo. Questo fascino contagioso è proprio dei Santi. In ogni angolo del mondo, credenti e non credenti, anche uomini di altre religioni continuano a ricordarlo come un uomo immerso nelle realtà temporali, eppure separato, direi già elevato verso il Cielo. Ed è questo, infondo, il vero destino degli uomini, ed è questo che i Santi ancora oggi ci ricordano.
E di un Giovanni Paolo II quanto mai presente nella vita di una moltitudine di persone, parla anche il presidente dell’Azione Cattolica, Franco Miano, intervistato da Alessandro Gisotti:
R. – La caratteristica dei Santi è che continuano ad accompagnarci. Sono persone vissute in un dato tempo e tuttavia è come se continuassero a vivere sempre, e dunque anche oggi. E così è per Giovanni Paolo II: è morto cinque anni fa, ma è vivo, è vivo con noi e continua ad accompagnare la nostra vita, la vita di tutti. In un certo senso è come se nel tempo ci fosse più di prima, e questo significa poi tantissime cose, in concreto. Significa la sua parola, il suo esempio, il suo ricordo, la sua caratteristica di uomo libero, il modo di interpretare gli eventi, i tanti eventi che sono accaduti nel corso del suo Pontificato … E questo vale sempre, per i Santi: la distanza nel tempo non ne diminuisce la presenza, ma la accresce.
D. – La libertà è forse proprio la dimensione di quest’uomo che colpisce nel tempo, così libero perché così legato a Cristo…
R. – Questo è proprio il punto! Papa Wojtyla è stato un grandissimo, mirabile esempio di libertà ma ci ha detto che cos’è la libertà. Perché la vera libertà è sostanzialmente frutto di un grande legame, di un grande legame di vita. Per noi cristiani, il grande legame della nostra vita è il legame con il Signore Gesù e in questo senso ci ha testimoniato come possa essere possibile vivere da persone libere e innamorate di Gesù Cristo.
Questione abusi: smascherare gli obiettivi di una campagna falsa e calunniosa contro la Chiesa
◊ La questione degli abusi sui minori da parte di esponenti della Chiesa, con le accuse rivolte al Papa sulla vicenda da certi quotidiani, anche oggi occupa le pagine della stampa internazionale, in particolare in Occidente. Tanti gli attestati di solidarietà a Benedetto XVI. Ce ne parla Sergio Centofanti.
I vescovi dell’America Latina esprimono, in una nota del Celam, dolore e sdegno per gli abusi compiuti da alcuni membri del clero e nello stesso tempo manifestano la loro completa solidarietà al Papa, che ha agito con coraggio contro questi casi già da quando era prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, ma che è diventato il bersaglio di una campagna mediatica “falsa e calunniosa”.
Molto acuto l’intervento dell’intellettuale americano George Weigel, ripreso dal Foglio, che parla senza mezzi termini della decadenza del New York Times, i cui redattori “hanno abbandonato ogni pretesa di rispetto verso i più elementari standard giornalistici” trasformando quello che era un grande quotidiano in un tabloid scandalistico fondato su menzogne e insinuazioni. Per attaccare il Papa - scrive Weigel - ricorre a fonti “sul piano giornalistico chiaramente inaffidabili” come l’arcivescovo emerito di Milwaukee, Rembert Weakland, costretto alla rinuncia dal Vaticano per una storia omosessuale, e un celebre avvocato che ha costruito la sua fortuna sulla pedofilia. Dati alla mano, Weigel parla della “piaga mondiale” degli abusi ricordando che solo negli Stati Uniti circa 39 milioni di giovani li hanno subìti. Tra il 6 e il 10% degli studenti di scuole pubbliche hanno subìto molestie sessuali tra il 1991 e il 2000. Nel 2009 sono stati segnalati sei casi certi di abuso da parte di esponenti del clero su una Chiesa di oltre 60 milioni di fedeli. Cionostante è presa di mira solo la Chiesa cattolica, “raffigurata come l’epicentro delle violenze sui giovani”. Infatti – spiega Weigel – se la Chiesa è fatta passare per "una cricca criminale internazionale di molestatori sessuali, non può naturalmente avere alcuna pretesa di occupare un proprio posto” nel dibattito pubblico sulle politiche sociali. Così i nemici della Chiesa - che possono contare anche sull’aiuto di certi settori cattolici – “cercano di distruggerla moralmente e finanziariamente” infangando il nome dei suoi capi. Weigel ricorda che la Chiesa stessa ha riconosciuto i suoi sbagli nella gestione della vicenda degli abusi: tuttavia – aggiunge – “nessun’altra istituzione ha mantenuto un atteggiamento di simile trasparenza sui propri errori, e nessuno ha profuso maggiori sforzi per rimediarvi…Questi fatti non si sono però imposti all’opinione pubblica”. Ora – conclude Weigel – se il New York Times appare in prima fila in questa campagna di furore ideologico contro la Chiesa – “ciò non dovrebbe impedire ad altri organi di informazione di comprendere” che il quotidiano, d’impronta fortemente laicista, “ha pubblicato sulla Chiesa notizie estremamente distorte e di smascherarle come tali”.
E sono in molti a chiedersi cosa ci sia dietro l’attacco frontale alla Chiesa. L’arcivescovo di New York Timothy Dolan chiede al quotidiano perché usi due pesi e due misure nel trattare i casi di abusi nella comunità ebraica di Brooklyn e quelli negli istituti cattolici. E ci sono editorialisti avveduti che si domandano perché il quotidiano americano non indaghi sul fatto che le autorità civili di Milwaukee, polizia e magistratura, pur essendo a conoscenza del caso Murphy, non abbiano preso in considerazione la vicenda. Il vescovo di Cremona Dante Lanfranconi punta il dito sugli interessi economici che girano intorno alla questione. Solidarietà al Papa arriva anche da zone dove i cristiani sono fisicamente eliminati, come dall’Iraq, attraverso un messaggio di vicinanza dell’arcivescovo di Kirkuk Louis Sako.
Interviene anche il cardinale Carlo Maria Martini, intervistato dal mensile 30 Giorni: Benedetto XVI - afferma - ''non ha bisogno di essere difeso, perché a tutti è chiara la sua irreprensibilità, il suo senso del dovere e la sua volontà di fare del bene''. ''Le accuse lanciate contro di lui in questi giorni sono ignobili e false'' e ''sarà bello constatare la compattezza di tutti gli uomini di buona volontà nello stare con lui e nel sostenerlo nel suo difficile compito''. Il porporato denuncia anche l’ipocrisia di una società che predica la totale libertà sessuale mentre la pubblicità utilizza motivi sessuali anche per i bambini.
In Francia, intellettuali, politici e artisti cristiani hanno lanciato un “Appello alla verità” in cui, esprimendo orrore per il crimine dei preti pedofili e solidarietà per le vittime, invitano i mezzi d’informazione ad un sussulto etico di responsabilità: “constatiamo con tristezza – affermano – che numerosi media del nostro Paese, e dell’Occidente in generale, trattano questi casi con parzialità, ignoranza o compiacimento”, facendo dimenticare i “tanti preti che portano con coraggio, e talvolta nella solitudine, il messaggio di Cristo”.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ La preghiera sacerdotale di Cristo è un esame di coscienza per la Chiesa: Benedetto XVI a San Giovanni in Laterano per la Messa “nella Cena del Signore”.
“Con le vittime e con la Chiesa”: in prima pagina, la solidarietà degli intellettuali francesi a Benedetto XVI in merito alla vicenda degli abusi su minori in strutture ecclesiastiche.
Nell'informazione vaticana, l'omelia di padre Cantalamessa per il Venerdì Santo.
Nell'informazione internazionale, la dichiarazione della Santa Sede alla conferenza, a New York, sulla ricostruzione di Haiti.
Ognuno ha un ruolo nel dramma eterno: sul futuro del cristianesimo l'articolo di Giandomenico Mucci nel numero in uscita de “La Civiltà Cattolica”.
Jean-Marie Guenois e Anita Bourdin ricordano padre Joseph Vandrisse, missionario e vaticanista del “Figaro” scomparso ottantatreenne lo scorso 31 marzo.
Un articolo di Sandro Barbagallo dal titolo “L'Hidalgo dell'architettura”: un giorno a Zurigo con Santiago Calatrava.
Marco Nereo Rotelli rievoca l'incontro del Papa con gli artisti in Vaticano, il 21 novembre scorso.
L'algoritmo al potere: Marco Tebaldi su sapere e vita quotidiana ai tempi della rete.
Elezioni in Sudan: quattro candidati boicottano il voto
◊ Quattro candidati che avrebbero dovuto sfidare il presidente Omar al-Beshir alla prossime elezioni in Sudan hanno deciso di boicottare la consultazione. L'annuncio arriva all'indomani di quello del principale avversario di Beshir, il capo del Movimento di Liberazione Popolare, Yasser Arman, anche lui deciso a non presentarsi alle consultazioni elettorali che si terranno dall'11 al 13 aprile prossimi. Come descrivere questa situazione? Salvatore Sabatino lo ha chiesto a padre Franco Moretti, direttore della rivista comboniana "Nigrizia":
R. – Già si sapeva che le elezioni avrebbero incontrato delle difficoltà e non solo. Molti si chiedevano che senso avessero alla vigilia di un referendum che potrebbe portare alla separazione delle due nazioni – Nord Sudan e Sud Sudan – e quindi ad un nuovo turno di elezioni per i due nuovi Stati. Teniamo presente che le elezioni fanno comodo soprattutto ad al-Beshir che – 20 anni fa – salì al potere con un colpo di Stato: se vincesse delle elezioni sarebbe una sorta di sua legittimazione. Il partito dell’opposizione e dell’ex Splm nel Sud Sudan non vogliono che questo finisca con il legittimare un golpista ed una persona che è ricercata per crimini di guerra.
D. – Human Rights Watch ha più volte denunciato la repressione del governo sudanese nei confronti degli avversari politici. Si hanno prove concrete di questa situazione?
R. – Sembra di sì. Queste milizie, guidate dagli ex capi rivoluzionari del Sud Sudan, che sono ora al soldo del governo di Khartoum – per esempio – continuano ancora a seminare panico e morte nel Sud Sudan e soprattutto in quegli Stati dove il confine o l’eventuale confine dovrebbe passare.
D. – Preoccupazione per lo svolgimento delle elezioni è stata espressa dagli Stati Uniti, ma anche dalla Gran Bretagna e della Norvegia, che è uno dei Paesi che fornisce maggiori aiuti al Sudan. Preoccupazioni, quelle della Comunità internazionale, che però - a quanto pare- rimangono piuttosto inascoltate?
R. – Oggi la Comunità internazionale si dice preoccupata, ma avrebbe dovuto preoccuparsi immediatamente, già il giorno dopo aver firmato l’accordo globale di pace. Avrebbe dovuto seguire questo accordo, seguire tutte quante le clausole e tutti i passi che avrebbero dovuto fare. Quando alcuni della stessa Comunità internazionale – soprattutto gli organismi per la difesa dei diritti umani – dicevano che la pace non stava crescendo, che la pace non stava maturando in Sudan, avrebbe dovuto intervenire: mentre si sono vantati di aver portato l’ex Splm e il regime di Karthoum a firmare questo accordo di pace nel 2005, ma si sono poi occupati esclusivamente del Darfur. Nel frattempo, però, al-Beshir ha creato confusione nel resto del Paese. Oggi, insomma, i nodi vengono al pettine. In primo luogo al-Beshir non vuole la pace e in secondo luogo il Nord Sudan non vuole affatto perdere il Sud. Perché? Perché le risorse petrolifere sono in gran parte nel Sud del Paese.
Giornata mondiale dell'autismo: patologia che colpisce tre bambini su mille
◊ “I bambini e gli adulti affetti da autismo hanno un doppio fardello. Oltre alle sfide quotidiane con la propria disabilità, essi devono anche lottare contro gli atteggiamenti negativi della società, contro un inadeguato supporto alle loro necessità e, in alcuni casi, contro una discriminazione sfrontata”. E’ quanto scrive il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, nel suo messaggio per l’odierna Giornata mondiale di sensibilizzazione sull’autismo. Un dramma che colpisce oggi tre bambini su mille e che si scontra con il pregiudizio e con dolorose forme di esclusione sociale. A tutti i portatori di autismo il Papa, nella scorsa Domenica delle Palme, ha rivolto il proprio pensiero, assicurando la sua vicinanza e la sua preghiera. Ma a fronte di una crescente diffusione della patologia, è possibile oggi identificarne le cause? Eliana Astorri lo ha chiesto al prof. Giovanni Neri, direttore dell’Istituto di genetica medica al Policlinico gemelli di Roma:
R. – Le cause non sono note individualmente o specificamente. Siamo però sicuri che c’è una componente genetica e su questo non c’è dubbio. L’esistenza di una componente genetica è testimoniata dal fatto che ci sono delle famiglie in cui c’è una ricorrenza di autismo. Mi spiego meglio: nella popolazione generale l’autismo ha una frequenza di circa 3 per mille, molto più frequente nei maschi che non nelle femmine, in un rapporto di circa 4 ad 1; se poi andiamo a vedere le famiglie in cui c’è già un caso di autismo, la probabilità che ve ne sia un secondo fra i fratelli di questo soggetto non è più del 3 per mille, ma va intorno al 3 per cento. Si tratta, quindi, di una frequenza circa 10 volte maggiore. Questo testimonia che vi è una componente genetica alla base di questo disturbo.
D. – Quindi ci si nasce?
R. – Sì, ci si nasce.
D. – E’ un bel problema in questa patologia, professore, perché c’è una sorta di impotenza?
R. – E’ un grandissimo problema e sicuramente anche perché l’autismo è vissuto dalle famiglie come un grande dramma. Ed è il dramma quotidiano dei genitori cercare di capire che cosa c’è nella mente di questi bambini, con i quali si fa così fatica a comunicare.
Ma che tipo di comunicazione è possibile fra un bambino autistico e i propri genitori? Claudia Di Lorenzi lo ha chiesto alla prof.ssa Paola Facchin, docente di pediatria all’Università di Padova e membro del comitato scientifico dell’Angsa, Associazione Nazionale genitori dei soggetti autistici:
R. – E’ possibile una qualche comunicazione a livelli molto diversi, anche perché ognuno di questi soggetti ha una possibilità di comunicazione: alcuni sviluppano il linguaggio, anche se magari più povero o diverso da altri, mentre altri non lo sviluppano per niente, ma mantengono possibilità di comunicazione con la gestualità, con la mimica, con il gioco. Il modo con cui comunicare con questi bambini diventa uno degli obiettivi dei trattamenti.
D. – Per accrescere questa capacità di comunicazione è utile il coinvolgimento dei familiari nella terapia?
R. – Il coinvolgimento è essenziale e non c’è soltanto il coinvolgimento nelle cose da fare e quindi dare indicazioni su come comportarsi, cosa fare, ma anche un coinvolgimento attivo e che è un coinvolgimento nell’imparare a gestire il bambino, ma anche imparare a promuovere la sua salute, la sua qualità di vita, il suo benessere e con questo anche quello della famiglia. Le potenzialità possono essere più o meno ampie, ma non dobbiamo immaginare che per questi bambini non ci sia niente da fare.
D. – Quali pregiudizi condizionano un approccio costruttivo alla patologia?
R. – Questi bambini, da un lato, sono esclusi perché fanno “paura”, sono assolutamente diversi dagli altri e ci mettono in discussione, ci mettono in difficoltà, e, dall’altro, siamo noi a creare delle categorie uniche, vengono ad esempio tutti accorparti sotto l’etichetta “ritardati mentali”, cosa che non è vera perché non tutti lo sono, anzi molti non lo sono per niente e sono dotati di una buona se non addirittura elevata intelligenza. Il secondo problema è l’intangibilità della patologia: una patologia fisica come tale viene riconosciuta e in qualche modo anche giustificata ed accettata; in questi bambini il danno tangibile non si vede, perché c’è un danno comportamentale, e quindi l’esclusione si trova frequentemente ed è una di quelle cose contro le quali bisogna assolutamente agire.
D. – Come combattere il pregiudizio?
R. – Dare delle sensibilizzazioni su questo problema è molto importante e questo sia su cosa è, sia sulle possibili cause e sia anche sulle conseguenze. Molto importante è poi la comunicazione che ci deve essere tra i centri specializzati e tutte le reti sanitarie, ma anche sociali, educative, del tempo libero, le reti orizzontali, dove questi bambini vivono. La seconda leva è la formazione dei professionisti e tra i professionisti metto – ad esempio – gli insegnanti e tutti coloro che hanno a che fare con gruppi di bambini e di famiglie.
D. – Sulla base delle conoscenze oggi in possesso, che tipo di integrazione è possibile per i soggetti autistici?
R. – Una qualche integrazione è possibile. Se nell’ambito dell’età pediatrica i servizi sono in qualche modo allertati nel fare e nel riconoscere questa diagnosi, incredibilmente quando si varca l’età dei 18 anni questi soggetti perdono perfino l’identità della loro patologia, sono dispersi nei servizi, con delle finte diagnosi di ritardo mentale. Certamente non si può avere integrazione se non si ha riconoscimento del proprio problema e trattamento specifico del proprio problema.
Maria ai piedi della Croce: la riflessione di padre Toniolo
◊ La Croce è il luogo del dolore e dell’amore. Ai piedi della Croce c’è Maria, acanto al Figlio morente e in attesa della Risurrezione. Quale icona possiamo scorgere vedendo Maria straziata dal dolore per la morte di Gesù? Amedeo Lomonaco lo ha chiesto a padre Ermanno Toniolo, dell’Ordine dei Servi di Maria:
(Stabat Mater)
R. – Il Concilio Vaticano II ci ha dato un’immagine meravigliosa della Vergine Maria, che non è soltanto la Madre, ma è Colei che ha camminato in una peregrinazione di fede lunga, come persona umana oltre che come la Madre del Figlio di Dio. E perciò è arrivata ai piedi della Croce in una lunga notte oscura di fede, con la quale lo ha seguito per 33 anni. Stette alta, soffrendo profondamente con il suo Figlio unigenito, associandosi con animo materno al sacrificio di Lui e amorosamente acconsentendo all’immolazione della vittima che Lei stessa aveva generato per il sacrificio. Questa è l’immagine che il Concilio ci ha dato. La Madre ai piedi della Croce ha consumato la sua strada di fede e di amore.
D. – Nel Vangelo, la vocazione innanzitutto è quella della maternità. Maternità significa proteggere, custodire, far rivivere la vita sull’esempio di Maria …
R. – Sì, ma possiamo guardarla in tanti aspetti, questa maternità di Maria! E’ una maternità che inizia custodendo, addirittura nel grembo, il germe di una vita che comincia. Ma è germe non solo di una vita umana, perché è il Figlio di Dio che assume da Lei la carne umana! Vestendolo, Lei, delle sue carni immacolate e del suo sangue purissimo, lo ha accompagnato, crescendolo, piano piano. Lei stessa è cresciuta accanto a Lui nella sua dimensione di maternità, una maternità in crescendo, fino alla Croce. Alla Croce, la sua maternità si è definitivamente – per così dire – “fissata”: è La Madre!
D. – Cosa ci dice il Papa di Maria ai piedi della Croce?
R. – Nella sua Enciclica “Spe salvi” Benedetto XVI scrive che nell’Ora della Croce, quando tutto è sembrato un fallimento, quando l’erede di Davide, il Figlio di Dio, lo vide morire come un fallito, esposto allo scherno, tra i delinquenti, in quell’ora in cui accolse dalle sue labbra morenti la parola di consegna “Donna, ecco il tuo figlio!”, in quell’ora ritornano alla sua mente le parole dell’Angelo: “Non temere, Maria!”. E’ dunque la figura della fede incrollabile, della figura intrisa di speranza, anch’essa incrollabile perché fondata sulla parola e sulla natura del Figlio, e sulla fedeltà del Padre al suo progetto d’amore per noi. “Non temere, Maria!”. Quando sembra tutto fallito, è allora che tutto incomincia perché c’è sempre un’Ora di Dio, c’è sempre un terzo giorno per l’amore che il Padre ha riservato a tutti i suoi figli.
D. – Le menzogne degli uomini hanno portato Gesù sulla Croce. Oggi, altre menzogne colpiscono la Chiesa e anche il Papa. Come possiamo leggere questo tempo attraverso lo sguardo di Maria?
R. – Io penso che una madre sa sempre compatire, capire e attendere il ritorno dei figli. Condannare non è proprio di una madre, tanto più della Madre dei redenti: sono tutti figli suoi. Tanto colui che è in capo alla Chiesa viene bersagliato oggi ingiustamente quanto coloro che lo bersagliano. Sono tutti figli suoi! Anche i crocifissori sono diventati suoi figli, mentre insultavano Colui che moriva, il Dio per loro. Oggi, dunque, l’occhio della Vergine si può velare di lacrime e il suo cuore di tristezza, ma non venir meno mai né alla comprensione né alla compassione né alla supplice preghiera perché possano ritornare tutti - come il Papa tante volte ricorda - sulla via della verità, per avere la vita.
(Stabat Mater)
Migliaia di pellegrini per la Via Crucis a Gerusalemme
◊ Non è scontata la Via Crucis a Gerusalemme dove stamattina sulle strette vie della Città Vecchia si sono intersecati diversi gruppi: molti i blocchi della polizia a regolare il grande flusso di cristiani in preghiera. Fedeli che talora con qualche difficoltà, si sono mescolati agli abitanti musulmani, che a frotte si recavano a pregare in moschea. A mezzogiorno la Via Dolorosa era satura di fedeli: giunti dall’Asia, dalle Americhe e soprattutto dall’Europa dell’Est, tantissimi ortodossi che imbracciando grandi croci hanno ripercorso anche loro il cammino del Signore. Il patriarca di Gerusalemme dei Latini, mons. Fouad Twal, ha compiuto la Via Crucis dopo aver presieduto la celebrazione della Passione, sul Calvario. I fedeli della parrocchia latina di San Salvatore, insieme a religiosi locali e tanti pellegrini, si sono uniti alla processione dei francescani presieduta dal custode di Terra Santa, che ha sostato nelle varie stazioni. Questo fiume di gente della più varia provenienza, raccolto in preghiera - malgrado il chiasso circostante - ha risalito lentamente, di tappa in tappa, la Via Dolorosa fino al Santo Sepolcro. La Via Crucis si conclude con le stazioni sul Calvario e poi davanti alla tomba vuota, dove si prega per le intenzioni del Santo Padre. Intensa l’agenda di questo Triduo pasquale a Gerusalemme: ieri pomeriggio, come ogni anno, si è svolto il tradizionale pellegrinaggio dei francescani al Cenacolo, insieme a fedeli di diverse nazionalità. Nell’ambiente identificato con la sala al piano superiore di cui parlano i Vangeli di Marco e di Luca, sono stati letti i brani evangelici che narrano l’Ultima Cena, la lavanda dei piedi e l’addio del Signore, tutti episodi avvenuti proprio qui. La lavanda dei piedi con i bambini della parrocchia latina, e i canti, sono gesti importanti se si considera che in questo luogo non è possibile officiare alcuna funzione e che i francescani - che ne erano custodi sin dal 1333 - possono recarsi al Cenacolo soltanto due volte l’anno: per il Vespro solenne la sera di Pentecoste e il Giovedì Santo. Ieri sera infine, al Getsemani si è svolto un altro suggestivo momento di preghiera, animato ancora dai francescani e presieduto dal Custode di Terra Santa. Con loro pellegrini e fedeli locali hanno commemorato l’agonia del Signore presso la Roccia dove Egli sudò sangue, e accanto agli olivi millenari che ne videro la Sua ultima angoscia prima del tradimento. La preghiera si è conclusa con la bellissima fiaccolata che parte dal Getsemani, e illuminando la Valle del Cedron, un fiume luminoso, giunge fino al santuario San Pietro in Gallicantu. Moltissimi i giovani e i pellegrini che hanno sostato in preghiera nella notte nel luogo dell’agonia, e al Gallicantu, dove una tradizione colloca il rinnegamento di Pietro e individua il palazzo di Caifa, la prigione di Gesù. (Da Gerusalemme, Sara Fornari)
I cristiani del Pakistan temono attentati ma attendono la Pasqua con fede
◊ Il clima di paura non allontana in Pakistan i cristiani dalle celebrazioni della Pasqua. Sono disposti a correre “ogni rischio” pur di partecipare alle funzioni. E’ quanto afferma ad AsiaNews padre Nadeem John Shaker, segretario esecutivo della Commissione per le comunicazioni sociali della Conferenza episcopale pakistana. Nei luoghi di culto mancano luci o decorazioni esteriori nel timore di attacchi da parte di estremisti islamici. Ma la Pasqua risplende nell’animo dei fedeli che vivono questo tempo di gioia “con profonda devozione”. Per le celebrazioni pasquali – aggiunge padre Nadeem - si prevede un’alta partecipazione perché la “fede è incrollabile”. L’arcivescovo di Lahore e presidente della locale Conferenza episcopale del Paese, mons. Lawrence John Saldanha, sottolinea nel proprio messaggio che la festa di Pasqua porta “speranza e gioia nonostante le difficili circostanze”. I cristiani in Pakistan – si legge nel documento ripreso dall’agenzia Zenit – celebrano “la vittoria della luce sulle tenebre, della vita sulla morte e della speranza sulla disperazione”. Mons. Sebastian Shah, vescovo ausiliare di Lahore, esorta poi i cristiani a diventare “portatori della Buona Novella” tra i loro fratelli non cristiani, “terrorizzati” anche loro per la situazione del Paese. In Pakistan, infatti, il crescente fondamentalismo è una delle cause principali di discriminazioni e persecuzioni contro le minoranze religiose. A questo si aggiunge una situazione di crisi generale attraversata dal Paese: attentati, mancanza di energia elettrica, aumento dei prezzi e disoccupazione contribuiscono a peggiorare il quadro, alimentando la lotta estremista contro il governo centrale. (A.L.)
Orissa: sacerdote vittima dei pogrom, promuove la pacificazione con l’esempio della Croce
◊ A quasi due anni dalle violenze anticristiane che colpirono lo stato indiano dell’Orissa, padre Thomas Chellan, una delle vittime dei pogrom, racconta ad AsiaNews la situazione dei fedeli e il percorso di perdono che nella Settimana Santa trova nuovo slancio nell’esempio della Croce. L’amore “è sacrificio, e sacrificarsi per amore è una gioia che include sofferenza. Ma questa è l’unica strada: oltre la Croce non c’è nulla, ed è sopra la Croce che noi proviamo quella gioia che è vera e duratura” afferma il religioso. “La mia prova si è svolta nel distretto di Kandhamal – aggiunge padre Thomas -, altri hanno avuto altre esperienze, ma è il Calvario che trasforma la debolezza umana nella forza di Dio”. L’amore, spiega ancora il sacerdote, “non reclama diritti. Esiste per servire, come ci ha insegnato per primo Gesù. Per i sacerdoti, i missionari o anche i laici, il Calvario può essere trovato ovunque ci si trovi. E quando rispondiamo al Suo invito, seguire le Sue orme e imitarlo, allora troviamo la vera vita. Nella nostra situazione, per quanto possa sembrare deplorabile, dobbiamo accettare il Calvario e percorrerlo. Ed ecco che la nostra croce assume un pieno significato”. Padre Thomas Chellan, 58 anni, era direttore del Centro pastorale Divyajyoti, della diocesi di Cuttack- Bhubaneshwar. Il 25 agosto 2008, due giorni dopo il lancio del pogrom contro i cristiani, un gruppo di circa 50 estremisti indù lo ha picchiato, ferito, denudato, usando bastoni, asce e lance. Con lui, anche una suora ha subito le stesse violenze, forse anche più brutali. Entrambi hanno rischiato di essere bruciati, cosparsi di benzina. Solo alla fine sono stati soccorsi dalla polizia, che sembrava connivente con la folla violenta. Il sistema giudiziario e quello politico, tuttavia, hanno di fatto ignorato i colpevoli dei ripetuti attacchi avvenuti contro la comunità cristiana e hanno emesso sentenze estremamente leggere (due anni di galera) contro gli unici due ritenuti colpevoli. Altri dieci imputati sono stati rilasciati, mentre suor Meena – coinvolta in un’accusa di stupro - è stata trasferita dal distretto dopo undici mesi di vessazioni. Per quanto riguarda la situazione della giustizia nel distretto che lo ha visto perseguitato, padre Chellan dice: “Certo, sono scoraggiato quando qualunque persona – in qualunque parte dell’India – non trova giustizia neanche dopo undici mesi. Nel caso di suor Meena, ad esempio, i tempi si allungano e ancora non sappiamo quanto ci vorrà. Ma è in questi momenti che trovo consolazione dalla Croce, dal perdono che Cristo ha dato e dalla Vergine, il dono che Gesù ha fatto all’umanità. È in Maria che troviamo la forza per camminare sulle orme del Figlio”. Al momento, il sacerdote si trova per motivi di salute e di cause legali fuori dallo Stato: “Mi manca il mio gregge. Anche se qui sono tutte brave persone sento la nostalgia di Kandhamal, soprattutto in questi giorni pasquali: qui sono uno straniero. Sono costretto a rimanere qui, ma il mio cuore è con il mio popolo e la mia missione. L’unica via è quella che passa attraverso Gesù e il Suo Calvario. La Passione di Cristo non è una via di dolore, ma una strada di speranza”. (M.G.)
Madagascar: Pasqua a Vohipeno accanto agli alluvionati del ciclone Hubert
◊ “Quello che ci colpisce di più in questi giorni di Pasqua è la profonda fede dei malgasci", dice all'agenzia Misna padre Alexandre Rafanomezantsoa, fondatore dell’emittente radio ‘Rakama’, abbreviazione di Radio cattolica della luce dell’est, che in lingua malgascia significa “il tuo miglior amico”. “A causa del recente passaggio della tempesta tropicale Hubert, hanno perso molto eppure cercano di sorridere, si rimboccano le maniche e in tanti parteciperanno ai canti e balli tradizionali della messa di Domenica” dice ancora il missionario lazzarista, raggiunto nella località di Vohipeno, cuore di una regione risicola, sulla costa orientale battuta da raffiche di vento e forte piogge a partire dall’11 marzo. Sarà una Pasqua all’insegna della carestia e del timore per il prossimo futuro, dice padre Alexandre, tra piantagioni allagate e case da ricostruire. “La Chiesa – sottolinea il missionario - sta fornendo aiuti alimentari alla popolazione, cioè sacchi di riso, un alimento che consumiamo a colazione, a pranzo e cena, ma anche sostegno per la ricostruzione degli alloggi”. Padre Alexandre invita i suoi connazionali a non perdere coraggio e per loro spera “in un miglioramento delle condizioni di vita quotidiana e una vera riconciliazione, che superi le rivalità politiche e gli interessi di parte”. Di fronte alle difficoltà materiali, il missionario confida di aver riscoperto il vero significato dell’essere sacerdote: “La nostra missione acquista senso stando accanto alla gente, soffrendo con loro, aiutandoli spiritualmente e materialmente”. Grazie a Radio Rakama, fondata nel 2001, padre Alexandre è riuscito a salvare molte vite durante la tempesta; sono stati ritrasmessi i messaggi per l’evacuazione delle case che sorgono lungo il fiume e gli appelli a mettersi al riparo nelle zone più alte al riparo dalle alluvioni. Da Antananarivo, padre Luca Treglia, direttore dell’emittente salesiana Radio Don Bosco parla soprattutto della crisi politica, una crisi che continua “per soli interessi economici e a discapito della popolazione, la prima a essere colpita dalle sanzioni e dall’interruzione degli aiuti allo sviluppo”. Padre Treglia dice anche che nelle ultime settimane il clima nella capitale è stato abbastanza calmo. “La gente è stanca – sottolinea il missionario – e si mobilita sempre di meno per le cause dei politici. Speriamo che la Pasqua possa segnare l’inizio di un percorso che porti verità, giustizia e riconciliazione e anche ad elezioni democratiche”. (R.P.)
Haiti: il nunzio mette in guardia i donatori sul corretto utilizzo dei fondi per la ricostruzione
◊ I Paesi donatori hanno quasi raggiunto la somma necessario per la ricostruzione di Haiti, ora bisogna impegnarsi affinché questi fondi siamo realmente impiegati. È il monito espresso da mons. Bernardito Auza, nunzio apostolico della Santa Sede ad Haiti, interpellato al termine della Conferenza di New York, durante la quale i Paesi donatori hanno promesso 5,3 miliardi di dollari nei prossimi 18 mesi e fino a 9,9 miliardi di dollari negli anni successivi. “Se tutta la somma promessa sarà davvero impiegata – spiega il presule al Sir -, potremmo vedere, in due anni, una bella differenza nella creazione di infrastrutture e nella capacità amministrativa di questo Paese”. “Il governo di Haiti ha chiesto 11,5 miliardi di dollari per la ricostruzione – aggiunge mons. Auza -. La somma è stata quasi raggiunta con circa 10 miliardi promessi. 5,3 miliardi sono per i primi due anni. La cifra calcolata a Santo Domingo prima di New York era, se non erro, 4 miliardi per i prossimi 18 mesi, dunque stiamo li”. Sono sufficienti? “Dipende da cosa si vuole fare o "rifondare" – risponde il nunzio -: ormai non si parla più di ricostruzione, perché ricostruire quello che c’era prima sarebbe troppo poco e non assicurerebbe lo sviluppo d'Haiti”. “Non sono un esperto in materia – precisa poi il nunzio -. So solo che anche se tutta la somma fosse sborsata, una gran parte rimarrà nei capitali dei donatori, come si sa nell’ambito della comunità internazionale: analisi, piani, esperti, valutazioni, incontri ecc”. “Spero di avere torto – ammonisce nuovamente mons. Auza -, ma temo che le somme promesse siano in parte già spese. Qui ad Haiti circola la paura che un donatore possa dare 1,2 miliardi, ma magari 900 milioni di quella somma sono già stati spesi nelle operazioni post-terremoto fino ad oggi. Allora non resterebbero che 300 milioni per la ‘rifondazione’. Spero che sia solo un’invenzione o il frutto di un certo cinismo”. Il nunzio auspica inoltre che “una parte di quella somma sia impiegata nella ricostruzione delle scuole private, tra cui quelle cattoliche”, visto che “il settore privato ha in mano il 90% delle scuole di Haiti”. (M.G.)
La Conferenza episcopale statunitense dona cappelle mobili alle diocesi cilene colpite dal sisma
◊ La sottocommissione per la Chiesa in America Latina della Conferenza Episcopale statunitense ha stanziato 280mila dollari per sostenere la fornitura di 20 cappelle mobili per le diocesi colpite dal terremoto in Cile. Il sisma di febbraio ha infatti colpito molte parrocchie cilene rendendole inagibili e quasi un milione di cattolici non può più praticare il proprio culto in questi edifici. In un comunicato diffuso oggi i vescovi statunitensi spiegano che la creazione di queste cappelle fornirà immediatamente uno luogo di culto per più parrocchie e darà loro il tempo necessario per sviluppare piani a lungo termine per la ricostruzione. Altre Quindici cappelle aggiuntive saranno fornite dall’associazione cattolica internazionale 'Aiuto alla Chiesa che Soffre'. "Questo progetto è stato portato alla nostra attenzione attraverso la collaborazione con 'Aiuto alla Chiesa che Soffre'. Essi hanno un architetto in Cile che ha progettato una cappella temporanea per 150 posti a sedere", ha detto mons. José H. Gómez di Sant'Antonio, presidente della sottocommissione. " Siamo lieti di poter rispondere a questa richiesta di aiuto da parte del presidente della Conferenza episcopale cilena. È essenziale che i fedeli siano in grado di tornare ai sacramenti e alla comunità di fede che li ha sostenuti". Lo scorso 26 marzo, la sottocommissione della Conferenza episcopale statunitense ha poi destinato altri 50 mila dollari alla Chiesa cilena per vari progetti pastorali legati alla crisi attuale ed ha inoltre annunciato che prossimamente si recherà in visita in Cile per individuare altre aree di intervento. (M.G.)
I vescovi venezuelani: cresce lo spirito antireligioso promosso da correnti marxiste
◊ In occasione della Settimana Santa il Comitato permanente della Conferenza episcopale del Venezuela ha rinnovato il suo invito a tutti i cattolici ad “approfittare al massimo di questo tempo di grazia per rinforzare la fede, prendendo parte ai riti religiosi ma anche compiendo opere di misericordia e giustizia”. “Vogliamo fare nostre, prosegue il comunicato, le preoccupazioni dell’arcivescovo di Caracas, cardinale Jorge Urosa, espresse nella sua lettera per la Settimana Santa, di fronte alle minacce che assediano la nostra fede e la religione cattolica a causa del crescente secolarismo, i fenomeni della superstizione, della ‘new age’ e del ‘santerismo’ (riti sincretici tipici dei Caraibi)”. D’altra parte, i vescovi ritengono che tali minacce provengano anche dai recenti “scandali che hanno coinvolto alcuni ministri della Chiesa e ampiamente divulgati dalla stampa internazionale e dal crescente spirito antireligioso diffuso dalla corrente atea-marxista”. Per i presuli venezuelani questa settimana in corso, così speciale, “è un tempo propizio per elevare, con piena fiducia, fervide e insistenti preghiere al Padre provvidente” affinché vaste zone del Paese colpite da lunga siccità possano avere dalla natura l’acqua necessaria a salvare le coltivazioni e abbeverare il bestiame. I vescovi del Venezuela prima di congedarsi rinnovano il loro appello ai politici, a tutti i cittadini e agli operatori sociali “ma in modo particolare a diversi poteri dello Stato perché moltiplichino le azioni utili a promuovere la convivenza cittadina nel rispetto della tolleranza e dei diritti umani, superando la tentazione di utilizzare il potere per favorire alcuni a scapito di altri, a restringere la libertà d’opinione e a far tacere la dissidenza”. “Chiediamo a Dio che ci doni la salvezza liberatrice, in modo speciale, alle persone sequestrate, a quelle private della libertà e a tutti gli esclusi. Che il Signore morto e risorto ci comunichi il suo Spirito per essere capaci di costruire convivenza fraterna, amando tutti senza escludere nessuno, offrendo solidarietà ai poveri e lavorando per la pace e la riconciliazione”. (A cura di Luis Badilla)
Messico: entrata nel vivo la 15.ma edizione della Pasqua per l'infanzia
◊ Settimana Santa all’insegna della pace per centinaia di bambini messicani riuniti a Mazatlán, nello stato nord-orientale di Sinaloa, per la 15.ma Pasqua per l'infanzia, un’iniziativa voluta e portata avanti dal sacerdote Tomas Meza. A guidare i bambini in un’atmosfera di gioia e spiritualità è il vescovo Mario Espinosa Contreras. L’agenzia Misna riferisce di riflessioni, canti, preghiere ma anche momenti di gioco e condivisione dei pasti che hanno caratterizzato la cerimonia dedicata “alla pace sociale” in uno Stato sconvolto dalla guerra tra bande rivali di narcotrafficanti che solo dall’inizio dell’anno ha provocato almeno 130 vittime. L’esortazione a valorizzare, rispettare e difendere la vita umana, “di fronte al deterioramento del tessuto sociale che genera ogni volta più violenza e insicurezza”, pronunciata dal vescovo di Culiacán Benjamín Jiménez Hernández, ha accompagnato tutta la Settimana Santa a Sinaloa. “Noi cristiani non possiamo tacere né rimanere passivi” ha detto il presule, invitando i messicani a promuovere “i veri valori umani, morali e spirituali che danno dignità all’uomo e consistenza alla convivenza sociale”. (M.G.)
Commenti per la Settimana Santa nello Sri Lanka
◊ “Questa è la settimana più importante dell’anno, per i cristiani in tutto il mondo”. “Perché, come dice san Paolo, se Gesù non è risorto dai morti, tutta la nostra fede è vana”. Il cattolico padre domenicano Jayalath Balagalla e il vescovo anglicano di Colombo mons. Duleep de Chikera parlano all'agenzia AsiaNews della Settimana Santa, momento sacro per tutti i cristiani. Padre Balagalla parla del Triduo santo, iniziato ieri, che i fedeli cingalesi vivranno insieme, come ogni anno. Ricorda che “il Triduo è un evento unico, anche se celebriamo tre eventi separati: l’istituzione dell’Eucarestia, la crocifissione e la resurrezione”. “La resurrezione è fondamentale per la nostra fede, e dopo la resurrezione Gesù apparve prima ad alcune donne, per primo a Maria Maddalena. Anche se nella società ebraica quello che dicevano le donne non aveva grande considerazione”. “Ma Maria Maddalena e le altre donne per prima sono andate al sepolcro, la mattina presto, cosa inusuale, ma loro amavano davvero molto Gesù”. I fedeli cingalesi riuniti per la veglia di Pasqua, o la mattina dopo per la Santa Messa, nel racconto di quella mattina ripercorreranno lo sgomento, poi la sorpresa e infine la gioia dei fedeli e dei discepoli di Gesù, nel trovare il sepolcro vuoto e, poi, nell’incontrarlo di nuovo vivo tra loro. “Così la resurrezione è diventata un fatto concreto, per i primi discepoli. San Paolo dice che Egli risorgerà ogni volta. Spesso lo dimentichiamo, ma è il fatto più importante, quello che cambia la nostra vita. Gesù che ora vive con noi e ci ama”. Mons. de Chikera parla della resurrezione come vittoria della morte sulla vita, “della giustizia e dell’amore su falsità e violenza” e vede la Pasqua come “la festa che ci chiama ad abbandonare il male che gli esseri umani si fanno e ad abbracciare una vita guidata dalla libertà e dalla gratuità che Dio ci offre”. Per il vescovo anglicano questo impegno è quotidiano e attuale, perché non succeda più “che una madre debba piangere la morte insensata del figlio”, come troppo spesso è accaduto durante la lunga guerra civile. Non succeda più che “i poveri debbano cercare lavoro in terre lontano e i giornalisti debbano fuggire lontano dal Paese di nascita. Che nessuno debba più languire nei campi per profughi, ma sia libero di andarsene e costruirsi la casa dove vuole”. Il vescovo, nelle celebrazioni di questi giorni, ha ricordato e ricorderà i molti mali della società cingalese, anche causati dall’uomo, con l’auspicio che “la libertà ci faccia liberi e che diventiamo un popolo risorto che passa dalle tenebre alla luce e dallo sconforto alla speranza”. (R.P.)
Vietnam: opere di carità e preghiere per aiutare la fede dei giovani migranti
◊ Durante la Settimana Santa un gruppo di 50 giovani lavoratori migranti della parrocchia St. Paul di Ho Chi Minh City riscopre la fede in Dio, attraverso il gesto della Via Crucis e condividendo tra loro i problemi e la fatiche della giornata. L’iniziativa è parte di un progetto della Commissione Pastorale per i migranti della diocesi. Essa propone ai giovani stressati e provati dal lavoro, attività caritative per i poveri e momenti di preghiera per dare un significato alla loro vita. “Abbiamo iniziato attraverso piccole opere di carità per i poveri – racconta uno dei giovani – e attraverso le meditazioni sulle 14 stazioni della Via Crucis comprendiamo l’amore che Dio ha per noi”. A Ho Chi Minh City (7 milioni di abitanti) vivono oltre 2 milioni di migranti provenienti dalle province più povere del Paese. Di questi molti sono giovani cattolici tra i 16 e i 25 anni attirati dalla metropoli dall’alta richiesta di mano d’opera e dalla possibilità di intraprendere gli studi. “La pressione al lavoro è inevitabile – racconta Tan, ragazzo di 16 anni della provincia di Quan Tri – spesso ho nostalgia di casa e quando sono a Messa sono sempre oberato dai pensieri”. Da anni la Commissione pastorale per i migranti tenta di fornire ai ragazzi non solo aiuti economici, ma anche la possibilità di condividere le proprie esperienze di lavoro, le difficoltà e i problemi liberandoli dalla solitudine. A tutt’oggi la Commissione segue circa 6 mila giovani lavoratori della diocesi di Saigon, 700 nella sola parrocchia di St. Paul. (R.P.)
Francia: Pax Christi chiede a Sarkozy di sostenere l'accordo Start 2
◊ L’8 aprile sarà firmato, a Praga, dal presidente americano Barack Obama e da quello russo Dmitry Mevdeved, l’accordo sulle armi nucleari che sostituirà l’accordo Start 1 risalente alla guerra fredda e scaduto lo scorso 5 dicembre. Lo Start 2 prevede la riduzione dei rispettivi arsenali nucleari con un tetto stabilito di 1.550 testate nucleari operative e di 800 vettori nucleari. Sulla scia di questo accordo il presidente di Pax Christi Francia, nonché vescovo di Troyes, mons. Marc Stenger, ha scritto una lettera al presidente francese Nicolas Sarkozy anche in considerazione del fatto che la Francia è la maggiore potenza nucleare europea e la terza mondiale. Nel testo il presule chiede alla Francia “gesti concreti” come “sostenere il progetto di convenzione di disarmo nucleare, dichiarare una moratoria sulle ricerche di nuove armi atomiche, in particolare sulle testate nucleari oceaniche previste per fornire i missili M 51 nel 2015, eliminare gli armamenti nucleari, invitare ufficialmente a un dibattito pubblico sulla difesa della Francia entro questa scadenza”. La Francia, ricorda mons. Stenger, “fu esemplare quando, l'8 aprile 1992, annunciò la sospensione dei suoi test nucleari. Trascinò gli Stati Uniti e la Russia in una simile dinamica che arriva all'estensione, per una durata indeterminata, del Trattato di non proliferazione nucleare”. “Oggi la Francia ha di nuovo davanti a sé un appuntamento con la storia. Gesti significativi di saggezza e di buona volontà rilancerebbero la fiducia. Inaugurerebbero una spirale virtuosa atta, lo crediamo, a risolvere l'insieme delle sfide mondiali”. (R.P.)
Morta la suora che consentì la beatificazione di Giovanni XXIII
◊ Nella notte tra mercoledì e giovedì si è spenta a Napoli suor Caterina Capitani, la religiosa che dopo una guarigione considerata miracolosa, ha consentito la beatificazione di papa Giovanni XXIII. Figlia della Carità, aveva 68 anni e si occupava assiduamente degli ammalati di Aids. Secondo quanto riferisce l’Agensir, la religiosa nel 1966 fu colpita da un gravissimo male: la religiosa non riusciva più a mangiare, era molto dimagrita e dopo circa sei anni di sofferenze non c’erano più speranze di guarigione per lei. Le sue consorelle hanno pregato a lungo Giovanni XXIII. “Il 25 maggio 1966, terzo giorno della novena delle mie consorelle – raccontò la suora - ebbi la netta impressione che non sarei giunta fino a sera. Il termometro aveva segnato 39,5°, respiravo affannosamente. Chiesi a una suora di socchiudere la porta perché desideravo starmene in attesa del Signore”. Dopo alcuni minuti, continuò, “sentii una voce che mi chiamava dal lato sinistro: ‘Suor Caterina’. Spaventata mi voltai e vidi in piedi, accanto al mio letto, Papa Giovanni”. La suora ricordò sempre le sue parole: “Mi hai molto pregato ed anche molte suore lo hanno fatto! Me l’avete proprio strappato dal cuore questo miracolo”. (M.G.)
Il cardinale Bagnasco: "torniamo a Cristo per vincere le menzogne del mondo"
◊ Viviamo in un mondo che proclama, menzognero, che la vita è “godimento a qualunque costo”. E’ quanto ha detto l’arcivescovo di Genova e presidente della Conferenza Episcopale Italiana, cardinale Angelo Bagnasco, nella Messa ‘In Coena Domini’ celebrata nella cattedrale di San Lorenzo. Oggi si diffonde il pensiero secondo cui “il mondo è dei furbi e dei forti”. Il sacrificio e la fatica - ha aggiunto il porporato - sono visti come “mali da evitare, anzi da bandire perché incompatibili con la gioia”. Si è diffusa l’dea secondo cui bisogna spendersi “solo per le proprie visioni particolari”. La fedeltà agli affetti e ai doveri quotidiani – ha poi detto il cardinale Bagnasco - “è ingenua rinuncia alle avventure che la vita offre”. Nel mondo odierno si “predica che non esistono valori buoni e vincolanti per tutti, ma che ognuno si fa i suoi”. E’ una visione che “non soddisfa l'uomo”. La cultura diffusa – ha osservato il presidente della Cei le cui parole sono state riprese dal Sir - fa sentire banale e noiosa l'esistenza in particolare per i giovani “che il cinismo della cultura nichilista spinge a subire la vita”. Di questa “noia” e di questo “vuoto” sono testimonianza “la violenza e il disprezzo della vita umana, specialmente quando è debole e non efficiente”. L’invito dell’arcivescovo di Genova è di tornare a Cristo: “Guardiamolo nel suo porsi in ginocchio davanti all’uomo. Egli ci fa vedere che la verità dell’amore è la vita che si dona a prezzo di se stessa”. Non si deve poi dimenticare - ha proseguito - la vita umile di tanti, che nel nascondimento spendono la vita a servizio dei fratelli: in famiglia, tra i malati, i deboli e i piccoli. Ai sacerdoti presenti l’arcivescovo di Genova ha, infine, ricordato l'Anno Sacerdotale: “Le esigenze della santità sono il nostro dovere perché se saremo pastori santi serviremo meglio la Chiesa, e saremo noi stessi veramente felici. I limiti umani sono anche nostri, così insufficienze e peccati; ma il fiume della santità sacerdotale e pastorale è immenso e da duemila anni scorre fino a noi”. (A.L.)
L'agenzia Migranti-press invita a non chiudere il cuore ai morenti della Terra
◊ Dove celebreremo la Pasqua, quest'anno? “Non lo so. Forse in trincea, di fronte ai fratelli, in carcere, in un campo di concentramento, sulle rovine delle chiese. Non importa dove celebreremo la Pasqua. Noi sappiamo che la Pasqua è, e che nessuna fobia atea e disumana ce la può togliere, perché il Calvario è rimasto in piedi dappertutto. La nostra Pasqua è il Cristo crocifisso. E la Pasqua egli la fa lo stesso. Scende sulle piazze, lungo le strade, negli ospedali, nelle prigioni, ovunque è fame, dolore, oppressione, martirio”. E’ quanto scrive mons. Giancarlo Perego nell’editoriale dell’ultimo numero dell’agenzia di stampa “Migranti-press”. “Quando la Terra è piena di morenti, non si può chiudere il cuore alle loro voci estreme. Almeno un gemito arriverà fino al più distratto di noi. Se non sarà quello del Cristo che muore crocifisso sul legno del Calvario, sarà il gemito di coloro che muoiono crocifissi sul fango, sulla sabbia, sulla roccia, o dentro le carlinghe d'alluminio, gli scafi corazzati, i carri di ferro; spiega: “cambiano le croci, ma la croce resta, e da ognuna di esse il Morente parla come dalla croce del Calvario”. (R.P.)
Obama: aumentare la pressione sull'Iran per la questione nucleare
◊ Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, intende "incrementare la pressione" sull'Iran per il suo programma nucleare e ritiene che Teheran stia diventando sempre più isolata. Lo riferisce la Cbs che oggi trasmetterà un'intervista con il presidente Usa. Intanto, il capo negoziatore iraniano, Saeed Jalili, in visita a Pechino ha detto che le sanzioni internazionali non impediranno all'Iran di procedere nelle proprie attività nucleari. Il servizio di Fausta Speranza:
"Gli iraniani sono abituati alle sanzioni. Noi le consideriamo un’opportunità: con queste parole il capo negoziatore sul nucleare, Jalili, taglia corto sulla possibilità di negoziare parlando di sanzioni e aggiunge che sull’inefficacia di tale misure anche la Cina è d’accordo. Jalili ha parlato in conferenza stampa a Pechino, dopo aver incontrato il consigliere di Stato cinese, Dai Bingguo, e il ministro degli Esteri cinese, Yang. Sappiamo che Yang ha ribadito che “tutti devono fare uno sforzo diplomatico e mostrare maggiore flessibilità per creare le condizioni per una soluzione basata sul dialogo e le negoziazioni”. Se poi Pechino sosterrebbe o meno eventuali sanzioni internazionali è tutto da vedere. Nelle ultime ore, si è registrato l’avvicinamento tra Pechino e Washington e lo stesso Yang ha confermato la presenza del presidente cinese, Hu Jintao, a Washington per discutere di nucleare nell'ambito della Conferenza internazionale voluta da Obama per il 12 e 13 aprile, con la partecipazione di 40 Paesi.
Disperso un giornalista giapponese in Afghanistan: si teme il rapimento
Un giornalista free lance giapponese di 40 anni è dato per disperso in Afghanistan: si teme possa essere stato rapito in una zona controllata dai talebani, quella di Kunduz, nella parte settentrionale del Paese. Intanto, non cessa la polemica innescata dalle dichiarazioni del presidente Karzai, che ieri ha accusato responsabili di organismi internazionali di aver prodotto gravi interferenze nelle elezioni del 20 agosto 2009 per poter "installare a Kabul un governo fantoccio", ha detto il presidente afghano.
Raid israeliani nella striscia di Gaza contro le postazioni di Hamas
Almeno sette attacchi dell’esercito israeliano sono stati sferrati ieri sera nella striscia di Gaza. Diversi raid aerei israeliani hanno colpito un’area a ovest di Khan Yunis, nella parte meridionale del territorio palestinese controllato da Hamas. Distrutta una fonderia di metalli nel campo profughi di Nusseirat. Tre bambini sono rimasti feriti in maniera lieve a causa di detriti dispersi dal lancio di un missile che ha colpito una piccola fabbrica. I raid sono stati compiuti dopo l’uccisione di due soldati israeliani, avvenuta nei giorni scorsi in scontri, e come risposta ai nuovi lanci di razzi Qassam partiti dalla Striscia. Inoltre, erano stati preannunciati dall'esercito israeliano che aveva lanciato volantini per le strade di Gaza, dopo i lanci ripetuti di razzi dalla Striscia verso il sud di Israele.
Iraq: uccisi e catturati alcuni leader di al Qaeda da truppe statunitensi e irachene
In Iraq, tre leader di al Qaeda sono stati uccisi e altri tre catturati grazie ad un’azione congiunta di truppe statunitensi ed irachene nel nord dell’Iraq. L’operazione è stata compiuta tra il 18 e il 24 marzo scorso a Mossul, per contrastare le estorsioni ai danni di compagnie petrolifere e piccole imprese, in cui erano coinvolti gli affiliati di al Qaida. Secondo quanto riferito dall'esercito statunitense, si tratta di manovre che col tempo mirano a indebolire l’abilità di al Qaeda di operare e ristrutturarsi. Tra gli uccisi figurano Khalid Muhammad Hasan Shallub al-Juburi, emiro di al Qaeda nel nord Iraq, Abu Ahmad al-Afri, emiro per la sicurezza economica, e Bashar Khalaf Husyan Ali al-Jaburi, presunto "governatore" del network del terrore a Mossul.
Pakistan
Il governo del Pakistan ha inviato oggi ufficialmente a Camera e Senato di Islamabad un progetto di riforma della Costituzione nazionale che si propone di sottrarre potere al presidente della Repubblica, rafforzando nel contempo il ruolo del primo ministro e del parlamento. Conosciuto con il nome di "18th Amendment Bill", il progetto è stato messo a punto da un comitato di 26 membri interpartitico, presieduto da Mian Raza Rabbani, e dovrà essere trasformato in legge con una maggioranza dei due terzi che, secondo gli esperti, sarà facilmente ottenuta. Una volta in vigore, il nuovo provvedimento ridurrà in modo drastico i poteri del presidente, Asif Ali Zardari, che sono frutto di una riforma costituzionale avvenuta durante la dittatura del generale, Pervez Musharraf, fra cui quelli di esonerare il premier e sciogliere le Camere. Intanto, l'operazione condotta dalle forze di sicurezza del Pakistan nelle zone tribali a nordovest del Paese continua con un bilancio di numerosi militanti fondamentalisti uccisi e di loro basi distrutte.
Ancora alta la tensione nello Stato indiano del Kashmir
A conferma della ripresa di una pericolosa tensione nello Stato indiano del Kashmir, la guerriglia separatista ha fatto saltare un tratto della linea ferroviaria inaugurata un anno fa che attraversa il distretto di Pulwama. Negli ultimi due giorni, l'esercito di New Delhi ha avviato un'operazione di sicurezza per le infiltrazioni di militanti del movimento Lashkar-e-Taiba dal Pakistan.
Dopo il golpe militare, calma apparente nella capitale della Guinea Bissau
All'indomani del tentato golpe, nella capitale della Guinea Bissau c'è una situazione di calma apparente. Quello che era il vicecapo di stato maggiore militare della Guinea Bissau, il generale Antonio Indjai, è stato "incaricato di gestire la situazione" del Paese, dopo che il primo ministro Carlos Gomes Jr e il capo delle forze armate, Zamora Induta, sono stati arrestati da un gruppo di militari ribelli. Il servizio di Carla Ferraro:
Dopo che per alcune ore le strade di Bissau si erano riempite di militari, sembra essere diminuito il loro numero, riferisce l’agenzia portoghese Lusa. Mentre Gomes jr è agli arresti domiciliari, restano in stato di arresto Induta e un certo numero di alti ufficiali. Il primo ministro incontrerà oggi il presidente, Malam Bacai Sanha, per fare il punto della situazione. Il generale Antonio Indjai ha minacciato due volte di far uccidere il premier se le proteste non fossero cessate. Il ministro degli esteri francese, Bernard Kouchner, ha denunciato il "colpo di Stato", esprimendo "preoccupazione", come ha fatto anche l'ex potenza coloniale, il Portogallo. Il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, si è appellato ai dirigenti della Guinea Bissau affinché riescano a ''risolvere le controversie in maniera pacifica'' e a ''mantenere l'ordine costituzionale''. Il Paese africano ha conosciuto diversi periodi d’instabilità dal 1974, anno della sua indipendenza dal Portogallo, una situazione che ha permesso ai trafficanti di droga di trasformare la Guinea Bissau in un luogo di transito della cocaina proveniente dal Sudamerica e diretta in Europa. Dagli inizi degli anni Novanta, nessun presidente è riuscito a completare il suo mandato quinquennale. (Panoramica internazionale a cura di Fausta Speranza e di Carla Ferraro)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIV no. 92
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