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Sommario del 01/04/2010

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa alla Messa crismale: essere cristiani vuol dire non accettare leggi ingiuste come l'aborto, portare la pace, restare lieti nella prova
  • Vicenda degli abusi. La Chiesa: no ai falsi scoop, ma verità e trasparenza
  • Il cardinale George: Benedetto XVI impetuoso nella lotta agli abusi
  • La Messa in Coena Domini apre il Triduo Pasquale: la riflessione di mons. Camisasca
  • Nomine
  • Giovanni Paolo II a cinque anni dalla morte. Il cardinale Comastri: ci ha lasciato il coraggio di testimoniare la fede nel mondo
  • Aiuti per Haiti: 9 miliardi in 10 anni dai Paesi donatori. L'impegno della Chiesa
  • Visita in Cile del cardinale Bertone
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Medvedev a sorpresa in Daghestan: misure dure contro il terrorismo
  • Chiesa e Società

  • Al via a Gerusalemme le celebrazioni del Triduo Pasquale
  • Elezioni in Gran Bretagna: i vescovi indicano i valori non negoziabili
  • Settimana Santa ad Haiti: fervore nelle celebrazioni nonostante le difficoltà
  • Pakistan: il governo istituisce un numero telefonico per le minoranze perseguitate
  • Egitto: Pasqua nella diocesi di Luxor dopo le violenze contro la comunità cristiana
  • L'arcivescovo di Bangkok: sacerdoti, testimoni autentici di Cristo risorto
  • Sri Lanka: l’impegno comune dei leader religiosi per un voto libero e pacifico
  • Pellegrinaggio on line fra le Chiese di Manila per i fedeli filippini emigrati nel mondo
  • Argentina: Pasqua nel segno della giustizia sociale per i vescovi della Patagonia
  • Messaggio pasquale del cardinale Poletto a pochi giorni dall'ostensione della Sindone
  • Il cordoglio della Comece per il decesso dell'ex presidente, mons. Homeyer
  • Sabato prossimo a Santa Maria Maggiore si celebra l'Ora della Madre
  • Paesi del Sahel e Sahara varano un piano contro la desertificazione
  • Preoccupante aumento dell'esportazione delle armi italiane verso il Sud del mondo
  • 24 Ore nel Mondo

  • La Cina annuncia la sua linea sul nucleare iraniano
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa alla Messa crismale: essere cristiani vuol dire non accettare leggi ingiuste come l'aborto, portare la pace, restare lieti nella prova

    ◊   Essere cristiani significa, come Cristo, essere “unti” con l’olio dello Spirito Santo, che dona sia la forza di opporsi a leggi false o ingiuste, come quella che consente l’aborto, sia la gioia di mantenersi fedeli a Dio anche nella sofferenza, senza rispondere con la vendetta agli insulti ricevuti. Sono alcuni degli esempi che hanno caratterizzato l’omelia di Benedetto XVI alla Messa crismale del Giovedì Santo. Il Papa l’ha presieduta questa mattina nella Basilica di San Pietro benedicendo i tre oli sacri dei catecumeni, dell’unzione degli Infermi e del crisma. La cronaca della celebrazione nel servizio di Alessandro De Carolis:

    Bellezza, vigore, capacità di lotta e di sopportazione. Capacità di rimanere lieti anche nella sofferenza. Tante qualità e un solo elemento, un frutto della natura, a racchiuderle in sé come materia e come simbolo: l’olio. Si è concentrata su questo che il Papa ha definito uno dei quattro elementi che fanno parte del “cosmo dei Sacramenti” – assieme all’acqua, al pane e al vino – la lunga, intensa riflessione di Benedetto XVI alla Messa crismale: celebrazione nella quale, ha detto, “gli oli santi stanno al centro dell’azione liturgica” e segnano “in varie forme” tutto l’arco della vita cristiana, dal Battesimo alla fine dell’esistenza, con l’Unzione degli Infermi.

     
    (canto)

     
    Fin dal nostro nome di cristiani, ha osservato il Pontefice, “è presente il mistero dell’olio”, che rimanda al nome di Cristo che in greco significa l’“Unto”:

     
    “Essere cristiani vuol dire: provenire da Cristo, appartenere a Cristo, all'Unto di Dio, a Colui al quale Dio ha donato la regalità e il sacerdozio. Significa appartenere a Colui che Dio stesso ha unto - non con un olio materiale, ma con Colui che è rappresentato dall'olio: con il suo Santo Spirito. L'olio di oliva è così in modo del tutto particolare simbolo della compenetrazione dell'Uomo Gesù da parte dello Spirito Santo”.
     
    Da questa consapevolezza spirituale propria di un cristiano discendono responsabilità concrete. Al simbolismo dell’olio, ha affermato Benedetto XVI, appartiene anche il fatto “che esso rende forti per la lotta”, il che porta i cristiani a rispettare “come buoni cittadini” il diritto e a fare “ciò che è giusto e buono”, ma anche, specularmente, a rifiutare di fare – ha sottolineato il Papa – “ciò che negli ordinamenti giuridici in vigore non è diritto, ma ingiustizia”:

     
    “Anche oggi è importante per i cristiani seguire il diritto, che è il fondamento della pace. Anche oggi è importante per i cristiani non accettare un'ingiustizia che viene elevata a diritto - per esempio, quando si tratta dell'uccisione di bambini innocenti non ancora nati. Proprio così serviamo la pace e proprio così ci troviamo a seguire le orme di Gesù Cristo, di cui san Pietro dice: ‘Insultato non rispondeva con insulti; maltrattato non minacciava vendetta, ma si affidava a colui che giudica con giustizia’”.

     
    “La lotta dei cristiani – aveva spiegato in precedenza il Pontefice – consisteva e consiste non nell'uso della violenza, ma nel fatto che essi erano e sono tuttora pronti a soffrire per il bene, per Dio”. Per loro, la pace è un valore che discende direttamente da Dio e che è frutto del sacrificio di Gesù:
     
    “I cristiani dovrebbero quindi essere persone di pace, persone che riconoscono e vivono il mistero della Croce come mistero della riconciliazione. Cristo non vince mediante la spada, ma per mezzo della Croce. Vince superando l'odio. Vince mediante la forza del suo amore più grande (...) Come sacerdoti siamo chiamati ad essere, nella comunione con Gesù Cristo, uomini di pace, siamo chiamati ad opporci alla violenza e a fidarci del potere più grande dell'amore”.

     
    E per i sacerdoti c’è un significato ancora più alto da tenere in considerazione, ha insistito Benedetto XVI. L’olio – che in greco si dice elaion – col quale i nuovi presbiteri vengono consacrati è strettamente connesso al concetto di misericordia, che in greco si dice eleos. Un collegamento che implica una responsabilità ben chiara:

     
    “L'unzione per il sacerdozio significa pertanto sempre anche l'incarico di portare la misericordia di Dio agli uomini. Nella lampada della nostra vita non dovrebbe mai venir a mancare l'olio della misericordia. Procuriamocelo sempre in tempo presso il Signore - nell'incontro con la sua Parola, nel ricevere i Sacramenti, nel trattenerci in preghiera presso di Lui”.
     
    Segno della grazia, simbolo della forza, ma non solo. L’olio, ha ricordato il Papa, secondo la definizione di un antico Salmo è anche portatore di letizia. E’ lo Spirito Santo, che è “la letizia che viene da Dio”:

     
    “Questa letizia è una cosa diversa dal divertimento o dall'allegria esteriore che la società moderna si auspica. Il divertimento, nel suo posto giusto, è certamente cosa buona e piacevole. È bene poter ridere. Ma il divertimento non è tutto. È solo una piccola parte della nostra vita, e dove esso vuol essere il tutto diventa una maschera dietro la quale si nasconde la disperazione o almeno il dubbio se la vita sia veramente buona, o se non sarebbe forse meglio non esistere invece di esistere.

     
    Viceversa, ha concluso Benedetto XVI:

     
    “La gioia, che da Cristo ci viene incontro, è diversa. Essa ci dà allegria, sì, ma certamente può andar insieme anche con la sofferenza. Ci dà la capacità di soffrire e, nella sofferenza, di restare tuttavia intimamente lieti”.
     
    (canto) 

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    Vicenda degli abusi. La Chiesa: no ai falsi scoop, ma verità e trasparenza

    ◊   Continua a tenere banco sulla stampa internazionale la questione degli abusi su minori da parte di esponenti del clero. Ce ne parla in questo servizio Sergio Centofanti.

    Il cardinale arcivescovo di Vienna Christoph Schönborn ha presieduto ieri, nella Cattedrale di Santo Stefano, una Messa cui hanno partecipato alcune vittime degli abusi compiuti da esponenti del clero. Un momento intenso che ha visto anche il susseguirsi di testimonianze delle vittime: testimonianze forti e talvolta rabbiose. Il porporato ha chiesto perdono a nome della Chiesa per quanto compiuto da alcuni sacerdoti. Intanto sulla questione delle accuse al Papa per la gestione dei casi di abuso si registrano numerosi interventi.

     
    Il cardinale William Joseph Levada, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, in un articolo scritto per il sito online del Catholic San Francisco, il giornale della diocesi di cui era arcivescovo, afferma: noi americani non siamo considerati “esempi di alta cultura, ma possiamo essere orgogliosi della nostra passione per la giustizia”. Ebbene, aggiunge, devo ammettere “di non essere fiero del New York Times come esempio di giustizia”. Il quotidiano accusa infatti ingiustamente Benedetto XVI con “prosa altisonante” e “apparenti scoop” ignorando, con i “soliti pregiudizi”, che fu proprio l’allora cardinale Ratzinger a cercare di ripulire la Chiesa dalla sporcizia al suo interno, e in particolare dal 2001 allorché fu affidata alla Congregazione per la Dottrina della Fede la gestione degli abusi. Per quanto riguarda il caso del prete pedofilo Lawrence Murphy, ricorda quanto detto dal vicario giudiziario dell’arcidiocesi di Milwaukee, padre Thomas Brundage, che aveva la responsabilità della vicenda come presidente del collegio giudicante: non ha mai ricevuto alcuna comunicazione dal Vaticano di sospendere il processo contro Murphy, che quindi non è stato mai fermato fino alla sua morte nel 1998. Gli articoli del New York Times – conclude il porporato –“mancano di qualsiasi ragionevole standard di giustizia che gli americani hanno il diritto di trovare – e si aspettano di trovare – nei loro media principali”. (L'articolo integrale del cardinale Levada, intitolato "The New York Times and Pope Benedict XVI: how it looks to an American in the Vatican", è disponibile sul sito vaticano: www.resources.va. Per la traduzione italiana vedi sul nostro sito nella categoria Chiesa)
      
    Interviene anche l’arcivescovo di New York, Timothy Dolan: “la Chiesa – afferma – ha bisogno di critica, tutto quello che chiediamo è che sia corretta e precisa”: per quanto riguarda il Papa “non è stato così”. Vero e falso s’intrecciano scandalosamente nelle ricostruzioni del New York Times: il resoconto sugli abusi è nauseante e amaramente vero ma le insinuazioni contro l’allora cardinale Ratzinger sono totalmente prive di fondamento e fanno parte di una campagna di falsità “ben oliata” contro il Papa. Tra l’altro – sottolinea il presule – la documentazione presentata dal quotidiano non fa altro che confermare che non ci fu alcun blocco del processo contro padre Murphy, il cui caso non costituisce nessun grande scoop giornalistico perché liberamente reso noto dalla stessa arcidiocesi di Milwaukee svariati anni fa. Perché – si chiede mons. Dolan – esce solo adesso questa “non-notizia”? Non ha fatto notizia invece – aggiunge - il recente rapporto sul rispetto della Carta di protezione dei bambini varata dalla Chiesa statunitense che prevede misure rigidissime per prevenire eventuali abusi: secondo il rapporto nell’ultimo anno vi sono sei accuse credibili di abusi in una Chiesa che conta 60 milioni di fedeli. Anche se ce ne fosse uno solo – rileva – sarebbe troppo: tuttavia si tratta di una percentuale notevolmente inferiore alla media nazionale ed è conosciuta perché la Chiesa ne dà un resoconto trasparente. Un giornale che vuole essere rispettabile – conclude l’arcivescovo di New York – dovrebbe semplicemente dire la verità.

     
    In questo contesto c’è da registrare l’intervento di un altro importante giornale di New York, il Daily News, uno dei più diffusi negli Stati Uniti, che – pur rivolgendo critiche alla Chiesa - bolla senza mezzi termini come “false” le accuse del New York Times contro Benedetto XVI.

     
    E alcuni giornali italiani ricordano due elementi: il fatto che le accuse rivolte all’allora cardinale Ratzinger sembrano ricoprire decenni di storia, mentre è solo dal 2001 che la Congregazione per la Dottrina della Fede assume la gestione diretta degli abusi da parte del clero. Inoltre, riguardo al cosiddetto “segreto pontificio” relativo ai casi di abusi, si ribadisce che non ha nulla a che vedere con la denuncia alle autorità civili ma riguarda solo il processo canonico per garantire le vittime e tutelare chi, accusato, potrebbe risultare innocente.

     
    Da parte sua il cardinale brasiliano Odilo Pedro Scherer, arcivescovo di San Paolo, parla di azione concertata contro il Papa per renderlo responsabile di tutti i mali attraverso notizie forzate e strumentalizzate che vogliono criminalizzare tutta la Chiesa a fronte di delitti commessi solo da alcuni.

     
    Il patriarca di Venezia Angelo Scola ribadisce il proprio affetto per Benedetto XVI che “tanto ha fatto e tanto fa per togliere 'ogni sporcizia' dalla compagine degli uomini di Chiesa” e al quale ''vengono rivolte accuse menzognere''.

     
    Infine, l'arcivescovo di Genova e presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco, nell'omelia che ha pronunciato questa mattina nella Cattedrale di San Lorenzo in occasione della Messa Crismale, ha affermato che i sacerdoti "devono essere portatori di gioia" e "nessuna ombra, per quanto grave, dolorosa, deprecabile, puo' annullare il bene compiuto". "La gente - ha ricordato ancora il cardinale rivolgendosi ai numerosi sacerdoti presenti - vi vuol bene e vi guarda con stima” perché "sempre e comunque, il mondo, credente o meno, guarda al sacerdote con l'aspettativa di vedere in noi il meglio dell'umanità e del bene. Vuole dal sacerdote niente meno che la santità".

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    Il cardinale George: Benedetto XVI impetuoso nella lotta agli abusi

    ◊   Sulla questione degli abusi ascoltiamo l’arcivescovo di Chicago e presidente della Conferenza episcopale statunitense, il cardinale Francis George, intervistato da Lydia O’Kane:

    R. – Every time there are reports ...
    Ogni volta che la stampa riferisce di casi di abusi sessuali che riguardino chiunque, molte delle vittime rivivono la loro esperienza e quelli di noi che hanno frequenti contatti con le vittime sanno quanto questo sia per loro profondamente doloroso. Il Papa stesso si rese conto di questo, quando venne negli Stati Uniti ed ebbe l’occasione di parlare con le vittime, ma in modo da lenire le ferite piuttosto che riaprirle. La sua presenza pastorale ebbe un effetto straordinariamente potente per coloro che avevano subito abusi nell’arcidiocesi di Boston, alcuni anni prima. Per nessuno di noi, che avevamo lavorato con lui fin dal 2001- 2002, la sua sollecitudine era una novità: era stato Papa Benedetto a suggerirci i diversi modi di trattare queste crisi, con tempi più rapidi e in maniera tale da contribuire a sanarle. Quindi, le norme speciali che abbiamo oggi e che sono oggi messe in opera dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, hanno avuto inizio nella stessa Congregazione quando Benedetto XVI era prefetto e ci consentono di allontanare permanentemente i colpevoli dal sacerdozio in un modo che prima era impossibile. Accanto a questo, egli ci ha incoraggiato ad andare a cercare le vittime e penso che molte diocesi – la maggior parte di esse, in questo Paese – abbiano un servizio di assistenza alle vittime, ed hanno anche istituito un sistema per insegnare ai bambini a tutelare se stessi, perché capiscano quando si trovano di fronte ad un pericolo; abbiamo preparato centinaia di migliaia di adulti a riconoscere i segni di un abuso sui bambini. Nulla di ciò avrebbe potuto essere possibile se non ci fossero state le premesse legali e l’impeto pastorale di Papa Benedetto.

     
    D. – Quando Papa Benedetto XVI è venuto negli Stati Uniti nel 2008 nessuno si aspettava che incontrasse le vittime degli abusi: certamente è stato uno dei momenti di maggiore impatto del suo viaggio americano ...

     
    R. – That’s certainly true!...
    Questo è certamente vero. E’ stato forse il momento più commovente di tutta la sua visita: tutto il resto, infatti, era stato programmato. L’incontro si è svolto molto bene, perché lui ha una presenza pastorale dominante: è molto umile ma al contempo molto forte. E’ riuscito ad organizzare questo incontro in maniera tale da rispettare le persone e la loro privacy, e quindi lo ha collocato a metà di un programma molto pieno. Questo dà il significato dell’importanza che questo incontro rivestiva per lui. E lui ne parlò anche con i vescovi americani.

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    La Messa in Coena Domini apre il Triduo Pasquale: la riflessione di mons. Camisasca

    ◊   Questo pomeriggio alle 17.30, Benedetto XVI presiederà, nella Basilica di San Giovanni in Laterano, la Santa Messa in Coena Domini, nella quale si fa memoria dell'istituzione dell'Eucaristia e del sacerdozio e che apre il Triduo Pasquale. Proprio al sacerdozio è dedicato l'ultimo libro di mons. Massimo Camisasca, superiore generale della Fraternità Sacerdotale dei Missionari di San Carlo Borromeo, intitolato "Padre", edizioni San Paolo. Rosario Tronnolone lo ha intervistato:

    R. – Il sacerdozio è una realtà necessaria alla vita della Chiesa e, secondo la Chiesa, alla vita del mondo, perché attraverso il sacerdote, che consacrando il pane e il vino rende presente il Corpo e il Sangue di Cristo, si realizza questo ponte tra la terra e il cielo, questa cancellazione dei peccati degli uomini, questa strada di salvezza, questo curvarsi di Dio sull’umanità, che è il cuore stesso del cristianesimo. E' poi una realtà di servizio, di servizio al Corpo di Cristo che è la Chiesa. Io ho imparato ad amare, servendo: è servendo Gesù che io ho imparato a conoscerLo ed ho imparato ad amarLo. Così ho avuto la possibilità di servirLo, Lui mi ha permesso di entrare un po' nella sua carità.

     
    D. – Mons. Camisasca, perché – come lei dice nel suo libro - per il sacerdote sono necessarie l’umiltà, la mitezza e la povertà di Spirito?

     
    R. – Perché il sacerdozio è anzitutto relativo a Dio. Il sacerdote è un uomo che deve stare continuamente in ascolto di Dio, perché non ha delle cose proprie da fare, delle parole proprie da dire e questo, fra l’altro, è una osservazione radicale che io ho imparato leggendo gli scritti del cardinale Ratzinger sul sacerdozio, che insistono molto su questo tema e sono molti illuminanti al riguardo. E’ un uomo che ha da dire delle parole, ha da compiere delle azioni che gli vengono suggerite e che addirittura gli vengono rese possibili dallo Spirito di Dio. Il sacerdozio è un’imitazione del rapporto fra Gesù e il Padre e qui, questo rapporto, è fra il sacerdote e Cristo. Quindi l’umiltà - intesa non come negazione delle proprie doti o come affettazione, ma proprio come continua ricerca della volontà di Dio – è la strada necessaria per poter vivere il sacerdozio.

     
    D. – Dall’umiltà si passa direttamente all’obbedienza. Che cos’è l’obbedienza?

     
    R. – L’obbedienza oggi è una virtù sconosciuta e addirittura misconosciuta. Si ritiene cioè che l’obbedienza sia la virtù di chi rinuncia, la virtù – in questo caso fra virgolette - di chi “rinuncia alla propria identità, alla propria libertà” e, quindi, una virtù negativa. Io, al contrario, metto in luce non solo l’importanza, ma addirittura la necessità dell’obbedienza. Obbedire vuol dire, appunto, mettersi in ascolto di Dio, che parla attraverso gli uomini che Egli ha scelto per guidare la nostra esistenza. Non c’è perciò vita cristiana senza obbedienza, anzi devo dire che l’obbedienza – man mano che la si scopre - e non intesa come aderire a qualcuno irragionevolmente, chiudendo gli occhi, chiudendo la ragione, chiudendo la propria fede, ma affidandoci a qualcuno di cui si riconosce l’autorità divina - è una virtù esaltante, liberante. Noi diventiamo liberi, proprio perché aderiamo a qualcuno. Questa è la dinamica dell’amore: quando uno ama un’altra persona, aderisce a lei e – nello stesso tempo – scopre se stesso. (Montaggio a cura di Maria Brigini)

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    Nomine

    ◊   Benedetto XVI ha nominato vescovo di Balanga (Filippine) mons. Ruperto Cruz Santos, del clero dell’arcidiocesi di Manila, finora rettore del Pontificio Collegio Filippino a Roma. Mons. Ruperto Cruz Santos è nato a San Rafael - Bulacan, nella diocesi di Malolos, il 30 ottobre 1957. Ha conseguito la Licenza in Missiologia presso la Pontificia Università Gregoriana a Roma. E' stato ordinato sacerdote il 10settembre 1983 per l'arcidiocesi di Manila. Nel 1997 è stato nominato cappellano di Sua Santità e chiamato tra i superiori del Pontificio Seminario Filippino a Roma, divenendone rettore nel 2000.

    Il Santo Padre ha nominato capi ufficio nella Sezione per gli Affari Generali della Segreteria di Stato mons. Giuliano Gallorini, mons. Assunto Scotti e mons. Paolo Luca Braida, finora minutanti nella medesima Sezione della Segreteria di Stato.

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    Giovanni Paolo II a cinque anni dalla morte. Il cardinale Comastri: ci ha lasciato il coraggio di testimoniare la fede nel mondo

    ◊   Messe, momenti di preghiera, mostre, libri, incontri culturali: sono molteplici i modi con i quali fedeli cattolici e non si apprestano, in tutto il mondo, a commemorare il quinto anniversario della morte di Giovanni Paolo II, avvenuta il 2 aprile 2005. Alla vigilia di questo evento, Alessandro Gisotti ha raccolto la testimonianza del cardinale Angelo Comastri, vicario generale del Papa per lo Stato della Città del Vaticano, che ritorna con la memoria a quei momenti indelebili vissuti 5 anni fa:

    R. – Sono indimenticabili, quei momenti, anche perché sono momenti nei quali ognuno ha qualcosa di suo da ricordare. Io ricordo l’incontro che ebbi con il Santo Padre Giovanni Paolo II, ormai sulla soglia dell’eternità, il primo aprile 2005. Venni chiamato dall’allora segretario, mons. Dziwisz, che mi disse: “Il Santo Padre sta morendo. Se vuole, venga a prendere l’ultima benedizione”. Feci una corsa come non ho mai fatto, per raggiungere l’appartamento del Papa. Quando mi trovai accanto al suo letto, mi inginocchiai e mons. Dziwisz, toccando il braccio del Papa, lo scosse un po’ e gli disse: “Padre Santo, c’è qui Loreto” – perché io venivo da Loreto. Il Papa aprì gli occhi, mi guardò e disse sottovoce: “No, San Pietro!”: quindi ricordò – era lucidissimo! – che io avevo lasciato Loreto ed ero venuto a San Pietro e che lui mi aveva dato questo incarico. Allora, mi feci coraggio e chiesi: “Padre Santo, mi dia una benedizione per questa nuova missione alla quale mi ha chiamato!”. Lo vedo ancora: tentò di alzare la mano destra, che era gonfia. Alzò la mano soltanto di due o tre centimetri, poi la mano ricadde. Io allora dissi: “Padre Santo, la benedizione è già partita dal cuore, io la custodisco come un tesoro prezioso. La ringrazio”. Questo è l’ultimo ricordo, indelebile, che porto con me.

     
    D. – A cinque anni dalla morte, la presenza di Giovanni Paolo II nella vita di una moltitudine di persone è ancora vivissima: basta affacciarsi la mattina a San Pietro, per vedere le migliaia di pellegrini che ogni giorno fanno la fila per passare poi solo qualche secondo davanti alla tomba di Giovanni Paolo II. Perché, secondo lei?

     
    R. – E’ vero: la folla di pellegrini continua ininterrotta. Molto spesso, al mattino, io mi fermo per una breve preghiera davanti alla tomba di Giovanni Paolo II e osservo i volti, guardo i volti e noto emozione. All’inizio, forse, c’era un po’ di curiosità; oggi c’è soprattutto devozione e desiderio di raccogliere in qualche modo il profumo che viene dalla tomba, che viene quindi dalla testimonianza di Giovanni Paolo II. Anch’io mi chiedo perché: sicuramente, perché Giovanni Paolo II è stato un modello di vita spesa per il bene. Oggi la società, purtroppo, è dominata da modelli vuoti, da modelli insignificanti, da modelli che – come fuochi artificiali – appaiono per un momento sullo schermo televisivo e poi spariscono. Giovanni Paolo II era un uomo che sapeva perché viveva e per chi viveva. Si vedeva che era mosso da un ideale, era mosso da un progetto di vita; era un uomo che si spendeva per l’ideale a cui aveva legato la sua vita, e il suo ideale era Gesù! A vedere un uomo così determinato nel vivere il proprio ideale di vita, indubbiamente oggi commuove, perché è raro trovare persone così! E credo che la gente, soprattutto i giovani, vengano da lui per cercare – in qualche modo – di carpire il segreto di questa vita e – in qualche modo – imitarla.

     
    D. – Di Giovanni Paolo II è stato detto e scritto di tutto. Ma qual è, secondo lei, il messaggio, la testimonianza più forte che ha lasciato all’umanità?

     
    R. – A mio giudizio è il coraggio. Il coraggio di testimoniare la fede in un mondo che sembra molto spesso indifferente e ostile alla fede. Io non dimenticherò mai che il 16 ottobre 1978 improvvisamente in Piazza San Pietro, quando si affacciò questo nuovo Papa che per tutti era una sorpresa – “un Papa venuto da lontano”, come lui stesso disse – tuonò in Piazza San Pietro la sua testimonianza di fede gridando: “Sia lodato Gesù Cristo!”. A me venne in mente un altro momento della storia della Chiesa, la Pentecoste dell’anno Trenta, quando a Gerusalemme il primo Papa, Pietro, uscendo dal Cenacolo, senza paura, in Gerusalemme, cioè in quella città che aveva condannato Gesù, senza paura, gridò il nome: “Gesù di Nazareth, che voi avete crocifisso, è risorto!”. La storia cristiana è iniziata con questo grido di Pietro. Ebbene, il 16 ottobre 1978 a me sembrò che quel grido ritornasse, che nella voce di Giovanni Paolo II ritornasse il coraggio delle origini, il coraggio degli inizi: “Sia lodato Gesù Cristo! Non abbiate paura di lui! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo!”. Tutta la sua vita si è mossa all’interno di questo coraggio. Ha gridato la sua fede in un mondo che sembrava addormentato o indifferente, e dovunque sia passato, ha scosso le coscienze.

     
    D. – “Totus tuus”. Giovanni Paolo II è anche il Papa mariano per antonomasia. Ha qualche ricordo, anche personale, di questa dimensione davvero particolare della figura di Karol Wojtyla?

     
    R. – Io ero in piazza San Pietro il 25 marzo 1984, quando Giovanni Paolo II consacrò il mondo alla Madonna e consacrò in modo particolare la Russia alla Madonna. Ebbene, il 25 marzo di quell’anno, nessuno poteva immaginare che cosa avrebbe significato quella consacrazione. Però – e questa è storia! – subito dopo, in Russia va al potere Michail Gorbaciov e inizia il pacifico processo di autodemolizione dell’impero del comunismo ateo: qualcosa di incredibile, di impensabile, di imprevedibile! E non solo: l’8 dicembre 1991 – siamo sempre negli anni di Giovanni Paolo – festa dell’Immacolata Concezione di Maria, in una riunione dei leader delle più importanti repubbliche della vecchia Urss, viene deciso lo smantellamento dell’Unione Sovietica. Il fatto stupì il mondo intero e lasciò tutti con il fiato sospeso, addirittura anche quei leader che erano lì presenti … Lo stesso Michail Gorbaciov, nel 2001, sul Corriere della Sera, ha rilasciato questa dichiarazione: “Ancora oggi – sono parole sue – non riesco a capire quello che passò per la testa dei deputati russi, ucraini e bielorussi in quell’8 dicembre 1991”. Dieci anni dopo, Gorbaciov ancora se lo chiedeva. Ma io credo che alla radice di tutto ci sia stato quell’atto di devozione mariana di Giovanni Paolo II: si è affidato a Maria, obbedendo all’invito di Gesù che ci ha presentato Maria come nostra Madre quando a Giovanni ha detto: “Giovanni, ecco tua madre!”. Giovanni Paolo II ha preso sul serio questa consegna di Gesù e ce l’ha dimostrato in mille maniere. Ma quel giorno, questa devozione mariana è diventata storia che ancora segna la storia del nostro tempo.

     
    D. – Karol Wojtyla e Joseph Ratzinger sono legati da un profondo, indissolubile legame di amicizia in Cristo. Cosa pensa di chi, anche ultimamente, ha voluto contrapporre le due figure?

     
    R. – Contrapporre le due figure è impossibile e impensabile. Tra Karol Wojtyla e Joseph Ratzinger c’è un’amicizia, un’amicizia di fede e quindi una continuità di fede che nessuno potrà mai mettere in discussione. Poi, è chiaro, le persone sono diverse, come sono diversi i fiori, come sono diversi i paesaggi … Dio non fa nulla in fotocopia! Sono due persone diverse, ma c’è una continuità di fede, una continuità di passione per il Vangelo, una continuità di dedizione alla Chiesa, una continuità di stile profetico che accomuna i due Papi. E questo è uno spettacolo che commuove nel quale noi leggiamo con sicurezza la mano della Provvidenza che guida la Chiesa e guida quindi anche il Papato. 

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    Aiuti per Haiti: 9 miliardi in 10 anni dai Paesi donatori. L'impegno della Chiesa

    ◊   Nove miliardi dollari in dieci anni: la risposta di solidarietà della comunità internazionale alle necessità di Haiti, colpita dal terremoto del 12 gennaio scorso. Si è conclusa ieri sera la Conferenza per la ricostruzione del piccolo Paese caraibico, ospitata nel Palazzo di Vetro dell’Onu a New York. Presente ai lavori anche una delegazione vaticana. Il servizio di Roberta Gisotti.

     
    “Dobbiamo gettare le basi per la ripresa di Haiti sul lungo termine”, aveva auspicato il direttore generale dell’Onu Ban Ki-moon in apertura della Conferenza dei Paesi donatori, 130 le delegazioni, oltre quella della Santa Sede, che ha perorato la piena cancellazione del debito estero di Haiti e sollecitato che i programmi pubblici e privati per la ricostruzione portino al “pieno e leale inserimento nel sistema economico mondiale di Haiti”, che - ricordiamo - era il Paese più povero dell’emisfero occidentale ben da prima del terremoto. Terremoto che ha sepolto sotto le macerie oltre 200 mila persone e lasciato senza tetto nella disperazione un milione e mezzo di abitanti.

     
    Allora che cosa è stato deciso a New York? Gli aiuti complessivi saranno di 9 miliardi di dollari nell’arco di 10 anni. L’Onu ne aveva chiesti 11,5. Ma l’impegno di stanziarne 5,3 miliardi già nei prossimi due anni è superiore alle attese del governo di Port-au-Prince di averne 3,9 miliardi. 250 milioni di dollari aggiuntivi li offre la Banca Mondiale, che ha pure annunciato la cancellazione del debito di Haiti di 39 miliardi. Soddisfazione dunque generale. “Sarà un processo di finanziamento trasparente, verrà controllato passo passo”, ha assicurato il segretario di Stato Usa, Hillary Clinton, che farà affidamento sul marito Bill Clinton, nominato responsabile delle supervisione dei fondi assieme al premier haitiano, Jean-Max Bellerive. Gli Stati Uniti sono il Paese maggior donatore con 1,15 miliardi di dollari, che si aggiungono ai 2,8 miliardi mobilitati dal presidente Obama subito dopo il sisma, mentre l’Unione Europea offrirà 1,6 miliardi, che uniti ai contributi già versati e ai fondi raccolti dai cittadini europei nell’immediato della calamità – ha dichiarato Catherine Ashton - si arriva a circa 3 miliardi di dollari.

     
    Generoso e tempestivo anche l’intervento offerto dalla Chiesa cattolica e dai fedeli in tutto il mondo. La Caritas internationalis, nel primo mese dopo il terremoto, ha raccolto 200 milioni di dollari in 40 Paesi, mentre altri vari organismi cattolici hanno inviato ad Haiti oltre 90 milioni di dollari per i bisogni più urgenti, e molti fedeli - dopo gli appelli di Benedetto XVI - hanno fatto donazioni a enti pubblici e privati nazionali e internazionali ed ancora numerose istituzioni e migliaia di persone, volontarie sul campo, si sono attivati per distribuire gli aiuti dell’Onu, dei governi e delle organizzazioni umanitarie, che non hanno strutture permanenti ad Haiti. Il contributo offerto da enti religiosi e Ong locali - ha assicurato la delegazione della Santa Sede - è stato significativo e continuerà a lungo dopo che organizzazioni internazionali e Ong avranno lasciato Haiti. La rete degli aiuti della Chiesa cattolica sarà quindi impegnata nei prossimi 5 anni in progetti di ricostruzione, che interesseranno diversi ambiti: casa, sanità, mezzi di sussistenza, educazione.

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    Visita in Cile del cardinale Bertone

    ◊   Dal 6 al 14 aprile: le date del prossimo viaggio in Cile del cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato, invitato dalla Conferenza episcopale del Paese latinoamericano, quale ospite ufficiale del governo, in occasione del bicentenario della Repubblica cilena. Il servizio di Roberta Gisotti.

    Fitta di impegni ecclesiali, colloqui con le autorità civili ed incontri con il popolo cileno l’agenda del porporato, che giungerà a Santiago del Cile martedì 6 aprile. Nella capitale, all’indomani, incontrerà il presidente della Repubblica, per poi trasferirsi in giornata nella diocesi di Punta Arenas; qui, giovedì 8 aprile, svolgerà diverse attività, che concluderà con la Santa Messa nella cattedrale cittadina, in programma alle 19. Quindi, il giorno dopo si recherà a Concepcion per presiedere alle 11.30 l’Eucaristia, mentre nel pomeriggio incontrerà i giovani e poi diverse comunità a Talcahuano. Sabato visiterà i Santuari di Santa Teresa delle Ande ad Auco e di Sant’Alberto Hurtado. Quindi nella domenica in Albis parteciperà alla tradizionali cerimonie liturgiche, suggellando la giornata con la celebrazione della Messa nella cattedrale di Santiago, prevista alle ore 17, durante la quale affiderà solennemente la Chiesa e il popolo cileno all’immagine della Vergine Missionaria del Carmen, benedetta la scorsa settimana a Roma da Benedetto XVI, che l’ha regalata al Cile per la ricorrenza del Bicentenario, icona che peregrinerà quest’anno per il Paese unita al Vangelo del Cile (scritto a mano da migliaia di fedeli e con il primo versetto ad opera di Benedetto XVI) a partire da alcune delle zone più colpite dal recente terremoto e maremoto.

    Il programma della visita del cardinale Bertone prevede inoltre: una Conferenza alla Pontificia Università cattolica del Cile su “La Chiesa e lo Stato a 200 anni dall’indipendenza nazionale. Storia e prospettive”; un incontro con le comunità salesiane; una Santa Messa nel Santuario nazionale di Maipù per il centenario dell’Episcopato castrense del Cile.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   In prima pagina, un editoriale del direttore dal titolo «In memoria di Giovanni Paolo II».

    Alla Messa crismale del Giovedì Santo Benedetto XVI chiede ai sacerdoti di portare al mondo la gioia e la misericordia di Dio.

    I casi di abusi su minori: il cancelliere tedesco, Angela Merkel, elogia le misure assunte dalla Chiesa cattolica. I messaggi di solidarietà al Papa da parte del cardinale Christoph Schönborn, presidente della Conferenza episcopale austriaca, e del cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana. Sul tema anche l’intervento dell’arcivescovo di Milwaukee, Jerome E. Listecki.

    Il Papa, gli artisti e il dialogo sulla bellezza: un articolo di Paolo Portoghesi dal titolo «Quell’esaltazione dell’io che porta alla solitudine».

    Le donne del Vangelo: Silvia Guidi sul festival del teatro di Bergamo «DeSidera».

    Il potere della compassione: Sylvie Barnay intervista Lytta Basset, teologa protestante all’università di Ginevra.

    Quando la morte ridà senso alla vita: Gaetano Vallini sul film «Departures» del regista giapponese Yojiro Takita.

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    Oggi in Primo Piano



    Medvedev a sorpresa in Daghestan: misure dure contro il terrorismo

    ◊   Il leader del Cremlino Medvedev ha sollecitato l'allargamento e il rafforzamento delle misure antiterrorismo, che – dice - devono essere non solo più efficaci, ma anche dure, feroci e preventive. Medvedev è giunto oggi a sorpresa nella capitale daghestana, Makhackala, tre giorni dopo l'attentato alla metro di Mosca, che ha fatto 39 vittime, e all'indomani di quello in Daghestan che ha ucciso 12 persone. Nella notte due persone sono rimaste uccise nella regione russa del Daghestan per l'esplosione della loro auto, che presumibilmente trasportava esplosivi. Medvedev incontrerà i capi delle repubbliche del nuovo distretto federale del Caucaso del nord. Intanto, il capo dell'Fsb, Bortnikov, ha reso noto che i servizi segreti russi "conoscono l'identità degli organizzatori degli attentati". Bisogna dire che a rivendicare gli attentati è stato il leader del movimento indipendentista ceceno ed auto-proclamato “emiro del Caucaso”, Doku Umarov. Giada Aquilino ne ha parlato con Fulvio Scaglione, vicedirettore di Famiglia Cristiana ed esperto di questioni caucasiche:

    R. – Umarov è uno degli ultimi superstiti della lotta indipendentista della Cecenia, perché i servizi segreti russi – quando le ostilità si sono ridotte e poi sostanzialmente spente – hanno condotto internazionalmente una vera e propria caccia all’uomo per eliminare tutti i leader sia della guerriglia, sia dell’opposizione politica cecena. Ma probabilmente Umarov è, in questo momento e con tale rivendicazione, soprattutto una facciata, perché sono assai poco convinto che tutte le spiegazioni così concentrate sul Caucaso siano poi, alla fine, quelle veritiere rispetto all’origine di questa strage.

     
    D. – Quale linea si potrebbe seguire, invece?

     
    R. – Intanto, è ovvio che il Caucaso è una polveriera: lo è da parecchi anni e lo è storicamente. Per fare solo un piccolo esempio, la Cecenia era – pure ai tempi dell’Unione Sovietica – la più povera tra tutte le Repubbliche e quindi un bacino di fortissimo malcontento, anche a prescindere dalle deportazioni e dalle stragi di ceceni compiute all’epoca di Stalin. Si dovrebbe badare maggiormente alla svolta che la politica russa sta vivendo nei confronti del resto del mondo: siamo usciti da un decennio in cui c’era questo fortissimo confronto Usa-Russia, dovuto soprattutto all’ambizione che entrambi avevano di controllare i flussi energetici del petrolio e del gas, le rotte degli oleodotti, i prezzi del mercato energetico. La crisi economica del 2008-2009 ha spazzato via le ambizioni di entrambi i Paesi. Washington e Mosca, in questa situazione, hanno riavvicinato le proprie posizioni: c’è stato il Trattato Start e, subito dopo, il presidente russo Medvedev ha fatto un sostanziale passo verso le posizioni Usa nei confronti dell’Iran e delle sue ambizioni nucleari. Mi domanderei, quindi, se questa ripresa del dialogo tra Russia e Usa non dispiaccia a qualcun altro.

     
    D. – Perché proprio in questo momento gli attentati di Mosca e nel Caucaso?

     
    R. – Il Daghestan è una palestra di stragismo ormai da molti anni: nella sola estate scorsa, credo che siano morte in atti di violenza a sfondo più o meno politico almeno 400 persone. Perché è stata colpita così Mosca, in questo momento? Io credo che lo si debba proprio a quel mutamento di rotta della politica russa e al riavvicinamento agli Usa che possono dispiacere a molti: per esempio in primo luogo all’Iran, che ha sempre avuto, per anni, nella Russia un alleato fedele, un alleato che invece adesso parla di sanzioni ed è più lontano di prima dalla politica degli ayatollah. Ma se nascesse un’intesa russo-americana, anche alla Cina potrebbe non fare molto piacere: Pechino ha con l’Iran un rapporto di affari molto stretto. E potrebbe non far piacere a molti Paesi del Golfo, perché sulla rotta Mosca-Washington si giocano anche i prezzi del mercato del petrolio. Non dimentichiamo che la Russia è il secondo esportatore mondiale di petrolio e non è nell’Opec.

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    Chiesa e Società



    Al via a Gerusalemme le celebrazioni del Triduo Pasquale

    ◊   Il Triduo Pasquale a Gerusalemme è iniziato stamattina, con la celebrazione della Messa in Coena Domini, nella basilica del Santo Sepolcro: la liturgia ha compreso i tre momenti della lavanda dei piedi, della rinnovazione delle promesse sacerdotali, e della benedizione degli olii sacri - l’olio degli infermi, dei catecumeni e del crisma. Presieduta dal patriarca di Gerusalemme dei Latini mons. Fouad Twal, si è svolta intorno all’edicola che custodisce la tomba vuota. Intorno al Sepolcro del Signore erano riuniti circa 170 celebranti, religiosi e pellegrini, che hanno fatto presente l’unione del sacrificio eucaristico con il mistero della morte e Resurrezione del Signore. La celebrazione viene anticipata al mattino per necessità locali legate anche ai turni che scandiscono la vita della basilica cuore della cristianità. Condiviso dalla comunità greco-ortodossa, armena e francescana, il Santo Sepolcro o Anastasis come la chiamano i greci, vede soprattutto in questi giorni un continuo susseguirsi di liturgie, a motivo della coincidenza della data della Pasqua cattolica e di quella delle chiese ortodosse che seguono il calendario giuliano. E così mentre davanti alla tomba veniva proclamato il Vangelo che narra l’episodio celebrato, sul palco allestito all’esterno della basilica, il patriarca greco ortodosso Teofilos III iniziava la celebrazione della lavanda dei piedi alla presenza di molti pellegrini. “Il sacerdozio di Gesù annunciato nell’ultima cena trovò il suo compimento sul Calvario, a pochi passi da questa tomba vuota, davanti alla quale ci troviamo” – ha detto mons. Twal nella sua omelia in cui ha contrapposto il sacerdozio ed il sacrificio nell’antica e nella nuova Alleanza, sottolineando come “la totale obbedienza di Cristo al Padre manifestata attraverso l’accettazione della morte in croce, sarebbe stata l’unico sacrificio della Nuova Alleanza”. Poi il presule ha citato le parole del Santo Padre secondo cui “senza il sacerdozio, la passione e la morte di Cristo rimarrebbero per noi inaccessibili”, ma ha anche chiesto perdono per “le debolezze, le deviazioni e gli abusi dei sacerdoti”, “fatti spiacevoli che provano che noi abbiamo questo tesoro in vasi di argilla e che quest’autorità straordinaria viene da Dio e non da noi”. “E’ in questa città di Gerusalemme - ha proseguito il patriarca Twal – che il Signore Gesù ha istituito il sacerdozio in vita del ministero della Nuova Alleanza, secondo lo spirito e non secondo la lettera, insieme al sacerdozio regale di ogni battezzato. Grazie al battesimo, noi tutti siamo sacerdoti, profeti e re, rigenerati nell’acqua e nello Spirito Santo, come figli spirituali di questa nuova Gerusalemme, aperta a tutti i popoli.” Culmine e termine della celebrazione, la tradizionale processione con il SS. Sacramento, che compie tre giri intorno all’edicola e infine giunge ai piedi del Calvario. Essa fa risplendere l’unità del mistero pasquale e la connessione tra la mensa eucaristica e il sacrificio della croce. Tra inni e canti il Santissimo Sacramento viene riposto nel Tabernacolo collocato sul Sepolcro, a significare la presenza del Signore fattosi cibo, in mezzo ai suoi. (Da Gerusalemme: Sara Fornari)

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    Elezioni in Gran Bretagna: i vescovi indicano i valori non negoziabili

    ◊   Vita, famiglia, migrazioni, responsabilità verso i paesi poveri, ruolo delle religioni nella società. Sono le cinque questioni al centro del messaggio dei vescovi inglesi rivolto a cittadini e politici in vista delle prossime elezioni politiche della Gran Bretagna. Si tratta, come affermano i vescovi nel testo citato dal Sir, di una sorta di “promemoria” da sottoporre ai futuri candidati dove vengono elencate cinque istanze “non esaustive” ma indicative dell’impegno per “il bene comune”. La Conferenza episcopale ha anche elaborato un documento dove viene sintetizzato l’insegnamento della dottrina sociale della Chiesa. “Questo messaggio – spiegano i vescovi - illustra alcune delle considerazioni che tutti noi dovremmo avere in mente” nel fare la scelta del candidato. Come Vescovi non stiamo sostenendo nessun partito politico in particolare. “Non è questo il nostro ruolo”. Tuttavia “la domanda fondamentale che ognuno di noi si dovrebbe chiedere per decidere per chi votare, non è chi mi servirà meglio, ma chi servirà meglio il bene comune di tutti noi”. “Sono – spiegano ancora i vescovi inglesi – questioni aperte, con nessuna singola 'risposta giusta'. Ma dalle risposte, ci si può fare un'idea migliore di quanto ogni candidato saprà affrontare le esigenze del bene comune”. Al primo punto i vescovi pongono la valutazione dei candidati rispetto alla vita. Non usano mezzi termini e affermano che “ciò significa opporsi all'aborto, all’abbandono degli anziani”. Poi le domande da fare ai candidati: “Che cosa significa per te il rispetto della vita? Tutte le vite hanno lo stesso valore? Dagli anziani agli infermi, dai disabili gravi ai bambini non ancora nati?”. Si passa poi alla questione numero due che è la famiglia. “Sono – scrivono i vescovi - la struttura base di ogni società stabile. Il matrimonio è il migliore contesto in cui allevare i figli e deve avere il chiaro sostegno e l'incoraggiamento del governo”. Su questo tema al candidato si chiede: “Cosa intende fare per il matrimonio e per la famiglia? Quali misure concrete intenderà prendere per incoraggiare e sostenere una vita familiare stabile e l'istituzione del matrimonio”. Al punto tre ci sono le migrazioni che – precisano i vescovi – non sono una questione “di numeri” ma di “esseri umani. Ogni volta che il governo fissa la limitazione su chi può o non può vivere qui, deve applicare le sue regole con equità, decenza e rispetto per l'individuo”. Per cui al candidato si chiede: “Quali convinzioni e valori ci sono alla base del suo approccio alla migrazione? E come pensate di metterle in pratica?”. C’è poi anche la questione della responsabilità per il sostegno allo sviluppo delle popolazioni più povere del mondo e per la salvaguardia dell'ambiente e anche a questo proposito si chiede al candidato quali misure concrete pensa di adottare. Infine, al punto cinque, i vescovi pongono l’attenzione alla “fede” che “è al centro della nostra vita”. Ed aggiungono: “La fede religiosa non è solo qualcosa di privato: essa contribuisce a creare una società che vuole vedere tutti fiorire”. E su questo ultimo tema la domanda da porre è: “quale pensa sia il posto della religione nella società?”. Il messaggio si chiude con un appello finale: “chiunque tu decida di votare, qualsiasi partito politico tu decida sostenere, invia qualcuno che capisce il Parlamento e sappia lavorare per il bene comune”. (M.G.)

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    Settimana Santa ad Haiti: fervore nelle celebrazioni nonostante le difficoltà

    ◊   “Per gli haitiani le celebrazioni pasquali non sono negoziabili”: usano praticamente le stesse parole monsignor Pierre-André Dumas, vescovo della diocesi di Anse-à-Veau e Miragoane e padre André Siohan, missionario dei Padri di Saint Jacques, parlando all'agenzia Misna sullo spirito che circonda i consueti eventi verso la Pasqua di Risurrezione di Gesù, a tre mesi dal terremoto che ha distrutto buona parte della capitale Port-au-Prince e dintorni. Uno spirito di fede e di coinvolgimento straordinario, che ogni anno raduna tutta la popolazione haitiana – molto credente, sia nella religione cristiana che nel’antico vudù - nelle strade, nelle chiese, nelle piazze, a seguito dei loro pastori che con grande impegno preparano gli appuntamenti. “Questa mattina celebrerò la messa crismale e questa sera nella cattedrale di sant'Anna di Anse-à-Veau (sudovest) l’accoglienza degli olii sacri e la lavanda dei piedi: lo faremo a dodici prigionieri in fin di pena che, in accordo con la polizia, sono stati liberati un po’ in anticipo” racconta monsignor Dumas, haitiano, che in passato ha lavorato nelle carceri – anche in quello romano di Rebibbia – e che ha molto a cuore la causa dei prigionieri, spesso dimenticati in queste occasioni. “Venerdì ci sarà ovviamente la Via Crucis, che nella mia diocesi ci porterà lungo un percorso fino alle montagne e alle cascate del ‘Saut du Baril’ per un momento di meditazione. Continueranno poi nel pomeriggio, poi ci saranno le celebrazioni di Sabato e Domenica...” continua monsignor Dumas, la cui voce al telefono trasmette un grande entusiasmo. “Nemmeno io so dirvi come sia possibile – dice ancora alla Misna il prelato – ma il popolo haitiano ha questa capacità di stare ‘in piedi’, con dignità, anche nei momenti più difficili. Trovano la forza, le energie, e le troveranno anche in questi giorni, in cui le condizioni di vita sono davvero difficili. Pasqua è il momento della Risurrezione di Cristo e metaforicamente, anche gli Haitiani adesso devono ‘risorgere’. Forse la gente comune non fa questi ragionamenti ‘filosofici’, ma è ciò che vivono, e credo che quest’anno lo faranno con un fervore ancora più grande rispetto al passato”. Dal cuore di Port-au-Prince, conferma padre Siohan: “Tutto avrà luogo come gli altri anni, forse con modalità un pò diverse, e nelle strade della città, seppur semi-distrutta, si svolgerà il tradizionale cammino della Via Crucis: dalle sette del mattino e anche prima, la gente si radunerà per processioni nei vari quartieri”. In questa fase del dopo ‘emergenza’, i missionari di Saint Jacques in Haiti, oltre a continuare un’assistenza ai feriti (in particolare a due loro seminaristi) e qualche distribuzione di viveri, sono coinvolti in un lavoro di sostegno psico-sociale alle persone colpite dal terremoto, in un progetto che impegna 45 giovani haitiani. (R.P.)

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    Pakistan: il governo istituisce un numero telefonico per le minoranze perseguitate

    ◊   A pochi giorni dalla nuova fiammata di violenze anti cristiane, il Presidente del Pakistan, Ali Zardari, ha annunciato l'istituzione di un numero telefonico d'emergenza per aiutare le minoranze religiose oppresse. Zardari ha annunciato l'avvio di questa linea direttamente collegata al Ministero delle Minoranze. I membri delle minoranze religiose del Paese vittime della violenza potranno usarla per denunciare gli atti che subiscono e chiedere aiuto alle autorità. Secondo quanto riferisce l’agenzia Zenit, Ali Zardari ha chiesto al Ministro delle Minoranze, Shahbaz Bhatti, che è cattolico, che i contatti tra il Ministero e il suo gabinetto si realizzino in modo molto stretto per favorire la rapida reazione delle autorità in caso di necessità. A questo si aggiunge la creazione di una commissione nazionale interreligiosa incaricata di discutere con il governo i temi che impediscono l'armonia interreligiosa nel Paese. Per i responsabili della comunità cristiana del Pakistan, questi annunci sono benvenuti e vanno nella giusta direzione, soprattutto se permettono alle minoranze religiose di farsi ascoltare dalla polizia, che molto spesso rifiuta di registrare le denunce delle vittime di questo tipo di violenza. Tuttavia gli stessi responsabili considerano che la reazione delle massime autorità è debole e giunge in ritardo rispetto ai fatti degli ultimi giorni. Il segretario esecutivo della Commissione giustizia e pace della Conferenza dei vescovi cattolici del Pakistan ha lamentato in particolare il silenzio del Ministro Shahbaz Bhatti, segnalando che il Governo "finora non ha preso le misure necessarie per prevenire la violenza commessa contro le minoranze e perseguire chi la commette". Negli ultimi tempi, gli atti di violenza contro i cristiani sono stati numerosi ed efferati. Il 22 gennaio, una bambina cattolica di 12 anni è morta per i maltrattamenti inflitti dal suo datore di lavoro, un potente avvocato musulmano di Lahore, che in seguito è stato accusato del delitto. Un'altra giovane cristiana è stata uccisa il 10 marzo da una donna che gestisce un bordello e che l'aveva venduta a un musulmano tentando di convertirla a forza all'islam per fargliela sposare. Il 23 marzo è stata spezzata la vita di un'intera famiglia di cristiani al servizio di un ricco musulmano di Rawalpindi. Arshed Masih e sua moglie Martha lavoravano da cinque anni per lo sceicco Mohammad Sultan, lui come autista e lei come domestica. Sultan ha chiesto loro di convertirsi all'islam se volevano restare al suo servizio. Di fronte al rifiuto dei coniugi, si sono succedute le minacce e la coppia è stata accusata del furto di alcuni oggetti di valore. Arshed Masih è stato bruciato vivo dal suo datore di lavoro il 19 marzo, sua moglie è stata violentata da alcuni agenti di polizia che vivono di fronte alla residenza di Mohammad Sultan. Dopo tre giorni di agonia, Arshed Masih è morto nell'ospedale della Sacra Famiglia di Rawalpindi. Aveva 38 anni e ha lasciato tre figli tra i 7 e i 12 anni, che hanno assistito al calvario dei genitori. E non va meglio nelle zone tribali che confinano con l'Afghanistan, dove alcuni esponenti delle minoranze religiose hanno subito atti violenti. Alla fine di febbraio, due fedeli sikh sono stati sequestrati e poi decapitati, visto che le loro famiglie, di poveri agricoltori, non potevano pagare il riscatto richiesto. Il 10 marzo, nella provincia della frontiera del nord-est, un commando sospettato di appartenere ai talebani ha fatto irruzione in alcuni locali occupati dal personale di World Vision. Sei impiegati pakistani di questa ONG di ispirazione cristiana sono morti e altri sette sono rimasti feriti. (M.G.)

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    Egitto: Pasqua nella diocesi di Luxor dopo le violenze contro la comunità cristiana

    ◊   Grande partecipazione di tutta la comunità cristiana di Luxor, in Egitto, alle celebrazioni della Settimana Santa. A descriverla all’agenzia Fides il vescovo della località egiziana, mons. Joannes Zakaria: “Durante la Settimana Santa visito le 22 parrocchie della mia diocesi per incontrare i fedeli e vivere con loro la Passione e la Risurrezione di Cristo”. “La Domenica delle Palme sono stato ad Assuan, dove c’è la famosa diga, lì ho presieduto la Messa che è stata caratterizzata dalla partecipazione dei bambini” racconta il vescovo di Luxor. “Giovedì Santo – prosegue il presule - mi recherò in due villaggi a nord di Luxor dove, tra l’altro, ordinerò alcuni diaconi permanenti. La domenica di Pasqua presiederò la Messa nella chiesa principale di Luxor, poiché non abbiamo una vera cattedrale”. “La chiesa è insufficiente per accogliere tutti i fedeli, abbiamo così allestito uno schermo esterno per permettere a tutti di assistere alla Messa” continua il vescovo di Luxor. Mons. Zakaria riferisce inoltre che la Domenica di Pasqua circa 50 personalità civili e religiose si incontreranno con lui per fare gli auguri alla comunità cristiana. Tra loro vi sono il governatore, il capo delle polizia e i parlamentari eletti nella locale circoscrizione elettorale. “È un segno di attenzione nei nostri confronti e di comunione tra tutti gli abitanti di Luxor – spiega ancora il presule egiziano -. Anch’io mi reco a presentare gli auguri in occasione delle festività musulmane e di quelle civili”. Si tratta di iniziative che assumono un aspetto ancora più significativo se si considera che proprio a Luxor, il 7 gennaio scorso sei fedeli cristiani e una guardia musulmana furono uccisi al termine della Veglia del Natale ortodosso. Infine il lunedì di Pasqua si celebra una festa che risale ai tempi degli antichi egizi, il Sham en-Nesim, o festa di primavera. “Ci si alza intorno alla 4 del mattino per poi recarsi nei giardini o in riva al Nilo con la famiglia e gli amici. È una festa che è molto sentita ed è celebrata da tutti gli egiziani, musulmani e cristiani ed è quindi molto importante perché unisce tutto il popolo egiziano” conclude mons. Zakaria. (M.G.)

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    L'arcivescovo di Bangkok: sacerdoti, testimoni autentici di Cristo risorto

    ◊   I sacerdoti devono annunciare la Buona Novella con la propria vita, prima ancora che a parole, essendo “testimoni autentici” di Gesù per tutti i laici e i fedeli. È l’invito lanciato da mons. Francis Xavier Kirengsak Kovithavanij, arcivescovo di Bangkok, a 140 sacerdoti e religiosi provenienti dall’arcidiocesi e varie zone della provincia, durante la messa crismale del Giovedì Santo. Al termine della funzione, - riferisce l'agenzia AsiaNews - il prelato ha benedetto gli oli e il crisma usati per diversi riti nell’arco dell’anno. All’inizio della messa, l’arcivescovo di Bangkok ha ricordato ai presenti che “siamo qui per esprimere l’unità fra vescovo e sacerdoti ed è un’occasione speciale per quattro di voi, che festeggiano il giubileo d’argento dell’ordinazione”. Mons. Kovithavanij ha sottolineato l’importanza di “diffondere il Vangelo da testimoni viventi” prima ancora che “usando le parole”. Compito dei consacrati è “l’unione con Cristo”, per “condurre sulla giusta via i laici, contro le sfide e le insidie della società moderna”. Per adempiere all’attività pastorale, ricorda ancora il prelato, i sacerdoti devono “leggere, meditare e contemplare” la Parola di Dio. Essi, aggiunge, “una volta ogni tanto devono ritrovarsi per nutrire lo Spirito della Comunione” e riflettere sul valore della “Comunione nella vita della Chiesa” universale. Nel messaggio di auguri rivolto ai fedeli, l’arcivescovo di Bangkok sottolinea che “la Pasqua è il vertice definitivo dell’amore di Dio e il centro della nostra fede”. Egli ha ricordato le parole di san Giovanni Evangelista, quando afferma che “Dio ha donato il suo unico figlio, perché tutti credessero in Lui” (3:16), e ha augurato “ogni felicità e ogni bene” ai presenti. “Possa la Resurrezione di Cristo – ha concluso – essere presente nelle famiglie e nella comunità cristiana” affinché “la cultura dell’amore che Gesù Cristo porta al mondo”, possa emergere anche nella comunità dei fedeli di Bangkok. (R.P.)

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    Sri Lanka: l’impegno comune dei leader religiosi per un voto libero e pacifico

    ◊   Scongiurare le violenze e garantire il diritto di ciascuno di votare con libertà e senza interferenze. È questo l’intento dell’appello della Coalizione Interreligiosa dello Sri Lanka, che riunisce i rappresentanti delle quattro principali fedi, rivolto a tutti i candidati impegnati nelle elezioni politiche dell’8 aprile e ai cittadini che si recheranno alle urne. Il messaggio, ripreso da AsiaNews, è stato lanciato dai rappresentanti delle diverse fedi in una conferenza stampa tenuta presso l’hotel Nippon a Colombo, lo scorso 30 marzo. Mons. Kumara Elangasinghe, vescovo di Kurunegala, ha sottolineato come il gruppo  interconfessionale “è la sola guida rappresentativa” di tutte le fedi e che comune è la condanna contro ogni minaccia o violenza per condizionare il voto. Il prelato ha insistito sull’importanza di questa iniziativa per assicurare l’espressione di un voto libero e consapevole. Il monaco buddista venerabile Weligama Dhammissara Thero ha osservato che nello Sri Lanka convivono le quattro religioni più diffuse (islam, buddismo, cristianesimo, induismo) e che tutte insegnano lo stesso messaggio di condanna contro la violenza, gli abusi e la corruzione. Il religioso indù Lakshmikanthan Jegadeeshan Kurukkal ha pure sollecitato tutti i candidati e i votanti ad agire in modo corretto e pacifico. Mons. Elangasinghe ha ripetuto poi che “la coesistenza è importante, dobbiamo lavorare per consentirla. Tutti noi, come leader religiosi, rifiutiamo qualsiasi tipo di violenza. Speriamo che anche chi partecipa alle elezioni la rifiuti come noi”. E ancora il buddista Venerabile Madampagama Assaji Thero, coordinatore della Coalizione Interreligiosa, ha spiegato ad AsiaNews che “stiamo incontrando tutti i candidati, per sollecitarli di persona per elezioni libere e corrette”. Il gruppo ha preparato un adesivo con scritto in Sinhalese e in Tamil “Il vostro voto per un’elezione pacifica”, da attaccare su veicoli e luoghi di transito. In passato le elezioni del Paese hanno visto diffusi episodi di violenza e pure la campagna elettorale ha visto atti violenti. (M.G.)

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    Pellegrinaggio on line fra le Chiese di Manila per i fedeli filippini emigrati nel mondo

    ◊   Una visita virtuale ai principali luoghi di culto di Manila per consentire anche ai migranti all’estero di compiere il tradizionale pellegrinaggio “Visita Iglesia” che si svolge in periodo di Quaresima. È quanto prevede l’iniziativa della Conferenza episcopale filippina che attraverso il suo sito www.cbcponline.net si è voluta avvicinare agli oltre 10 milioni di emigranti filippini sparsi nel mondo, oltre due milioni dei quali risiedono nei Paesi islamici dove non vi sono chiese ed è proibito manifestare in pubblico la propria fede.  In questo modo, spiega la Chiesa locale ad AsiaNews, tutti i fedeli potranno partecipare alle sofferenze di Cristo e pregare per la Chiesa. “Visita Iglesia” fu importata dai missionari spagnoli nel XVIII secolo e riprende il pellegrinaggio delle sette basiliche romane istituito nel XVII secolo da S. Filippo Neri. Ma a differenza del pellegrinaggio delle sette basiliche romane dedicato all’adorazione del Santissimo Sacramento, essa è incentrata soprattutto sui momenti della Passione di Cristo. I fedeli filippini possono dunque scegliere i luoghi di culto da visitare e in ognuna delle sette chiese meditano su due delle 14 stazioni della via Crucis. “Questo gesto – afferma padre Restie de la Pena, sacerdote dell’arcidiocesi di Manila – è una via che aiuta a riflettere sulla gravità dei propri peccati e il rinnovamento spirituale avviene attraverso un gesto concreto”. Secondo il sacerdote compiere il pellegrinaggio come una via verso il Calvario prepara le persone a comprendere il significato della passione, morte e resurrezione di Cristo. (M.G.)

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    Argentina: Pasqua nel segno della giustizia sociale per i vescovi della Patagonia

    ◊   Mancanza di lavoro, povertà ed esclusione sociale. È tutto incentrato sulla situazione sociale in Argentina il messaggio in vista della Pasqua dei vescovi della Patagonia. “Come Chiesa che cammina in Patagonia, in vista delle celebrazioni del Bicentenario della nostra patria vogliamo che la Pasqua rinnovi il nostro impegno a costruire la patria a cui tutti aneliamo. Non possiamo credere in Cristo Resuscitato e lasciare da parte il nostro impegno per cambiare la realtà”, si legge nel testo rivolto ai fedeli e ripreso dalla Misna. I presuli auspicano una patria “dove tutti possano avere una casa per vivere e convivere con dignità” e che lo spirito della Pasqua possa “riunire e rendere un insieme persone in cui ci si scopre fratelli”, sottolineando tuttavia che oggi in Argentina, esistono “situazioni che attentano a questa vocazione profonda di fraternità”. Per risollevare l’economia osservano i presuli, “non rappresentano una soluzione adeguata i mega-progetti che non tengono conto della preservazione dell’ambiente e arricchiscono pochi ipotecando il futuro”. L’assistenza sanitaria pubblica “come bene per tutti – aggiungono - è sempre più difficile da ottenere” e “l’assenza di creatività ed efficacia di molti funzionari pubblici nel ricevere, ascoltare e dare risposta ai molteplici conflitti che potevano essere evitati”. Cristo “che rende nuove tutte le cose, in questa Pasqua vuole aprirci gli occhi affinché non ci abituiamo a vivere nell’indifferenza e nell’isolamento”. Tuttavia, spiegano i vescovi, oltre i problemi esistono anche “persone che credono nella cultura del lavoro, nella sobrietà e nella condivisione, uomini e donne che credono nella forza trasformatrice di unirsi per affrontare i problemi…iniziative diverse per includere nella vita sociale bambini, adolescenti, anziani e malati che la società consumista considera ‘avanzi’. Si tratta certamente – concludono i vescovi - di piccoli fatti che non sempre appaiono sui giornali o sui mezzi di comunicazione, ma che hanno in sé la forza del cambiamento”. (M.G.)

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    Messaggio pasquale del cardinale Poletto a pochi giorni dall'ostensione della Sindone

    ◊   “La nostra fede non si fonda sulla Sindone, bensì sui Vangeli. Ma ciò che colpisce e commuove i cuori davanti alla Sindone è il constatare che in quel misterioso lino c’è un’immagine di un uomo crocifisso che corrisponde con una precisione di particolari impressionante al Gesù sofferente e crocifisso descritto dai Vangeli”. Lo ha ribadito il cardinale Severino Poletto, arcivescovo di Torino, nel suo messaggio per la Pasqua e a pochi giorni dall’avvio dell’ostensione della Sindone. “Ciascuno di noi è invitato a mettere a confronto le moltissime croci dell’umanità e le proprie con la salvifica croce di Cristo. Solo così è possibile gettare un fascio di luce sull’oscurità misteriosa di tante nostre sofferenze di fronte alle quali restiamo muti e disorientati: le croci degli ammalati e moribondi, dei tanti poveri che ci vivono accanto, quelle di coloro che non hanno lavoro e quindi un reddito, la situazione di tante famiglie lacerate e divise, la fatica di molti immigrati onesti a sentirsi accolti e integrati, le persecuzioni di vario tipo che ancora oggi colpiscono la Chiesa”. L’arcivescovo - riferisce l'agenzia Sir - ha poi ricordato la presenza del Papa a Torino il 2 maggio: “un dono preziosissimo perché Benedetto XVI ha il carisma di presentare le verità della fede non solo con la sua competenza di grande teologo, ma anche con uno stile di linguaggio semplice e comprensibile a tutti”. Intanto ieri si è tenuta la premiazione dei vincitori del concorso “Imago Veritatis. L’uomo della Sindone. Il volto e il corpo del Cristo”, promosso dall’ufficio Scuola della diocesi di Torino, dal Miur piemontese e dall’Associazione Sant’Anselmo per il progetto culturale della Cei. Don Bruno Porta, direttore dell’ufficio Scuola della diocesi di Torino, parlando al Sir ha fatto un bilancio positivo dell’iniziativa: “I giovani hanno risposto con entusiasmo alla nostra proposta culturale-educativa per far conoscere il Cristo storico attraverso la sua rappresentazione artistica”. Hanno risposto all’invito di rappresentare attraverso le arti visive, artistiche e letterarie “l’Uomo della Sindone” oltre un centinaio di scuole, con l’invio di circa 200 opere. Le scuole delle prime tre opere classificate hanno ricevuto una lavagna interattiva, e le biblioteche delle prime 20 classi in graduatoria libri della Jaca-Book. L’opera vincitrice: un quadro con sfondo rosso, come immagine della passione di Cristo, e cornice in sughero, “per ricordare che l’uomo deve assorbire l’insegnamento di Gesù, ma anche perché è un materiale che si rigenera”. E poi l’oro, “per rappresentare la preziosità e la regalità del sacro corpo”. L’opera è stata realizzata dai ragazzi della classe primaria terza C di Abbadia di Stura, in provincia di Torino. (R.P.)

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    Il cordoglio della Comece per il decesso dell'ex presidente, mons. Homeyer

    ◊   “Costruttore del legame tra le Chiese e l’Unione Europea”, “difensore del contributo del dialogo interreligioso alla definizione dell’Europa”, “sostenitore dell’apporto essenziale della fede cristiana al fondamento del progetto europeo”. Con queste parole, la Comece (Commissione degli episcopati della Comunità europea) ricorda il suo ex presidente, mons. Josef Homeyer, scomparso nei giorni scorsi, dopo un intervento chirurgico. Il presule era stato per tredici anni, a partire dal 1993, a capo della Comece, guidandola “con devozione instancabile e una sensibilità precisa per i segni dei tempi”. Fondamentale anche il suo impegno indefesso “per una presenza migliore della Conferenze episcopali all’interno delle istituzioni europee”, impegno che “porta ancora innumerevoli frutti”. In una nota a firma di mons. Adrianus van Luyn, attuale presidente della Comece, si sottolinea la sfida portata avanti da mons. Homeyer “nel coniugare la libertà con la solidarietà ed il senso di responsabilità in politica, economia e società”. “Convinto della necessità di affermare l’eredità cristiana come ‘bussola’ per il Trattato europeo – scrive la Commissione degli episcopati della Comunità europea – mons. Homeyer ha elaborato diverse opere a carattere cattolico-sociale sui temi centrali della costruzione europea”, in particolare il volume “Il divenire dell’Unione Europea e la responsabilità cattolica”. “Convinto del contributo essenziale della fede cristiana al fondamento del progetto europeo – afferma la Comece – così come alla stabilizzazione e allo sviluppo dell’Europa contemporanea, mons, Homeyer ha cercato di istituzionalizzare il dialogo tra le Chiese e l’Unione Europea”, rispettando sempre “l’imperativo ecumenico” e recandosi in visita ogni anno presso il Patriarcato ortodosso, nella convinzione che “i due polmoni d’Europa dovessero respirare armoniosamente per realizzare il proprio potenziale politico e culturale”. Di qui, è derivata anche la difesa “del contributo del dialogo interreligioso alla definizione dell’Europa”. “L’Europa – conclude la Comece – ha perduto un grande europeo”. Le esequie di mons. Hmeyer saranno celebrate il 10 aprile, alle ore 10.00, presso la Basilica di San Godehard di Hildesheim, in Germania. (I.P.)

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    Sabato prossimo a Santa Maria Maggiore si celebra l'Ora della Madre

    ◊   Sabato Santo, 3 aprile, dalle ore 10.30 alle ore 11.30, nella Basilica di Santa Maria Maggiore in Roma, avrà luogo - come da molti anni - una speciale celebrazione mariana: “L'Ora della Madre”. Una celebrazione che intende riproporre e far rivivere la fede suprema di Maria nell’attesa della risurrezione del Signore. Presiederà la celebrazione il cardinale Bernard Francis Law, arciprete della Basilica di Santa Maria Maggiore. Vi parteciperà il coro “Jubilate Deo” diretto da suor Dolores Aguirre. II termine misterioso di “ora” scandisce nei Vangeli, soprattutto in quello di Giovanni, l’evento di Gesù e della salvezza. “Donna - disse a Cana - non è ancora giunta la mia ora”. II Venerdì Santo è l’ “Ora” di Cristo, che, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino all’ultimo segno: fino all’oblazione di sé sull’altare della Croce. II Sabato Santo è l’ “Ora” della Madre, alla quale morendo Gesù ha consegnato i suoi discepoli e tutti gli uomini redenti dal suo Sangue: “Donna! - le disse - Ecco il tuo figlio. E da quell’Ora il discepolo la prese con sé”. La celebrazione mariana che si compie in Santa Maria Maggiore, e in tante altre parti d’ltalia e del mondo il mattino del Sabato Santo, trova parallelo e ispirazione nella liturgia bizantina, che canta davanti all’icona della sepoltura di Gesù i lamenti della Madre sul Figlio ucciso e la sua ansia di vederlo ritornare dai morti. Infatti, la fede della Chiesa e le speranze del mondo in quell’Ora si raccolsero tutte nel cuore della Madre: è lei “Chiesa che crede” contro ogni umana evidenza, che spera contro ogni speranza. L’ “Ora” della Madre, celebrata nel Sabato Santo, e la più adatta e significativa preparazione a vivere la grande Veglia del Signore morto e risorto. (A cura di padre Ermanno Toniolo)

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    Paesi del Sahel e Sahara varano un piano contro la desertificazione

    ◊   Una strategia per dare nuovo slancio a un processo di sviluppo concertato e solidale tra Paesi della regione con l’obiettivo di rilevare le sfide della protezione delle risorse naturali e dell’adattamento ai cambiamenti climatici: è la principale azione varata dall’Osservatorio dei Paesi del Sahel e del Sahara (Oss) al termine di una riunione tenuta ad Algeri. Il presidente dell’Oss, Nadir Hamada, ha reiterato “la vitale mobilitazione delle risorse finanziarie sia al livello bilaterale che internazionale per poter attuare la ‘Strategia 2020’ che prevede un rafforzamento dei programmi di valutazione e esecuzione nella lotta alla desertificazione, la gestione delle risorse idriche e la lotta al degrado dei terreni” su scala regionale. Il ministro delle risorse idriche di Algeri, Abdelmalek Sellal, - riferisce l'agenzia Misna - ha invece sottolineato che “desertificazione e siccità sono fenomeni che non conoscono confini e colpiscono costantemente l’Africa dagli anni ’60 con il risultato che due terzi dei terreni sono affetti dall’erosione e dal degrado”. Secondo il ministro algerino, altrettanto “cruciale è la questione dell’accesso all’acqua e di risorse che scarseggiano” in tutti i Paesi del Sahel e del Sahara con gravi conseguenze umane ed economiche. Una doppia valutazione che impone “un intervento globale e integrato una cooperazione tecnica e scientifica per attuare meccanismi di concertazione e una gestione comune dei problemi” ha detto Sellal. All’era del riscaldamento globale, che acutizza carenze e fragilità delle risorse naturali, l’Osservatorio si presenta per i paesi africani e europei come uno strumento comune per identificare le problematiche e avviare azioni congiunte. Sulla strada della cooperazione si stanno indirizzando 17 Paesi del Sahel e della Comunità economica dell’Africa Occidentale (Cedeao): riuniti a Lomé stanno valutando la situazione alimentare di ogni Paese per elaborare una mappatura delle zone a rischio carestia. Si tratta di mettere in comune i dati statistici per fare circolare le informazioni, identificare in tempo i bisogni delle popolazioni e fornire una risposta rapida. (R.P.)

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    Preoccupante aumento dell'esportazione delle armi italiane verso il Sud del mondo

    ◊   Sono aumentati del 61% nel 2009 gli ordinativi internazionali di armi prodotte in Italia e ammontano a 4,9 miliardi di euro le autorizzazioni all’esportazione di armamenti rilasciate dal governo. Il dato si ricava dal Rapporto della presidenza del Consiglio sull’esportazione di materiali militari diffuso ieri a Roma e ha sollevato le preoccupazioni della società civile per l’incremento in generale e per l’aumento dei trasferimenti verso paesi del Sud del mondo. Nord Africa e Medio oriente sono i principali clienti dell’industria militare italiana, e contano per il 39,5% del totale delle autorizzazioni. “Nell’insieme – riferisce l’organizzazione Unimondo ripresa dall'agenzia Misna – primeggiano e preoccupano le autorizzazioni verso i paesi del Sud del mondo che totalizzano più di 2,6 miliardi di euro (pari al 53,2%). Tra i maggiori acquirenti ci sono Arabia Saudita, Qatar, Emirati arabi uniti, Marocco, Libia e Nigeria. La relazione, per il secondo anno consecutivo, non riporta la tabella delle autorizzazioni rilasciate alla banche per le operazioni di sostegno finanziario alle esportazioni di armamenti e contiene elementi che annunciano una revisione della legge 185/90, considerata un caposaldo in materia di controllo delle esportazioni degli armamenti. (R.P.)

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    24 Ore nel Mondo



    La Cina annuncia la sua linea sul nucleare iraniano

    ◊   La controversia internazionale sul discusso programma nucleare iraniano coinvolge anche la Cina. Dopo le dichiarazioni dell’ambasciatore statunitense all’Onu, Susan Rice, che aveva affermato la disponibilità di Pechino ad avviare sanzioni contro Teheran, stamani la Repubblica popolare ha puntualizzato la sua posizione, annunciando di voler continuare a privilegiare sul dossier nucleare iraniano la soluzione pacifica. Intanto, il presidente cinese, Hu Jintao, ha annunciato la propria partecipazione al summit internazionale sulla sicurezza nucleare in programma il 12 e 13 aprile a Washington e oggi il capo negoziatore iraniano per il nucleare, Said Jalili, si trova proprio a Pechino per colloqui. Sulla posizione cinese, Giancarlo La Vella ha intervistato Francesco Sisci, corrispondente a Pechino per il quotidiano La Stampa:

    R. – Per la Cina, la priorità assoluta è il buon rapporto con l’America, che era stato poi il passo con cui erano cominciati i rapporti tra Cina e Stati Uniti, con la presidenza Obama. E in realtà, alla fine dell’anno - dopo il Vertice di Copenaghen, dopo la vicenda Google - questo buon rapporto si era andato sfilacciando. E' importante per Pechino, ma anche per Washington, che aveva scommesso così tanto su questa intesa bilaterale, avere una conferma di un rapporto solido. L’Iran è in un punto di partenza importante, che mostra come Pechino voglia collaborare con l’America su questioni internazionali.

     
    D. – Le questioni sulle quali trovare una convergenza?

     
    R. – La Nord Corea, perché Pyongyang è restia a farsi manipolare e a subire le pressioni da chiunque. L’Afghanistan è una materia più delicata, perché significa mandare delle truppe, e su questo i cinesi sono più in difficoltà, perché hanno timore di entrare poi, in sostanza, in guerra in un territorio che non gli appartiene. L’altro terreno delicato e importante a livello globale è quello della rivalutazione della moneta cinese sul dollaro. Questa, però, è una questione molto complessa, che potrebbe tradursi in massiccia disoccupazione in Cina e quindi è molto più delicata da affrontare.

     
    Pakistan, un commando di talebani distrugge 5 scuole e un dispensario sanitario
    Un commando talebano ha gravemente danneggiato ieri cinque scuole e un dispensario sanitario nella zona tribale della Orakzay Agency, nel Pakistan nordoccidentale, dove nel corso di un'operazione dell'esercito otto insorti sono stati uccisi. Secondo quanto hanno riferito fonti locali, le scuole - che si trovavano a Spin Kada, Dhand Garhi e Shalon Talab - sono prima state incendiate e quindi fatte saltare con esplosivo. Intanto, nell'ambito di un’operazione militare cominciata una settimana fa, elicotteri blindati hanno attaccato posizioni degli insorti a Merobek, Surgul, Sherin Dara e Bezot, uccidendo otto ribelli.

    Karzai accusa la comunità internazionale per i presunti brogli elettorali
    In Afghanistan, il presidente, Hamid Karzai, ha sferrato un duro attacco contro la comunità internazionale, in relazione ai brogli elettorali nelle presidenziali del 20 agosto scorso. Le irregolarità – ha detto il capo di Stato di Kabul – sono state organizzate anche dai rappresentanti di Nazioni Unite, Unione Europea e ambasciate. La denuncia di Karzai avviene 24 ore dopo che il parlamento ha bocciato un decreto di riforma della legge elettorale da lui preparato in vista delle legislative di settembre.

    Dopo le tensioni l’ambasciatore turco negli Usa torna a Washington
    L'ambasciatore turco negli Stati Uniti, Namik Tan - che il 4 marzo scorso venne richiamato in patria dopo il voto di una Commissione della Camera dei rappresentanti americana che aveva definito “un genocidio” il massacro degli armeni avvenuto tra il 1915 e il 1917 - tornerà tra qualche giorno a Washington. Lo ha detto all'Ansa lo stesso diplomatico. L'ambasciatore turco dovrebbe comunque rientrare a Washington prima del prossimo 12 aprile, giorno in cui il premier turco, Tayyip Erdogan, secondo indiscrezioni di stampa, “molto probabilmente” dovrebbe recarsi negli Usa per partecipare ad un vertice internazionale sulla sicurezza nucleare. Proprio ieri l'altro, il governo di Ankara aveva deciso di rimandare a Stoccolma l'ambasciatore turco in Svezia, la signora Zergun Koruturk, richiamata in patria per consultazioni lo scorso 11 marzo, subito dopo che il parlamento svedese aveva approvato una mozione analoga a quella passata alla Commissione esteri del Congresso Usa.

    Attentato e evasione di detenuti nel sud dello Yemen
    Almeno trenta detenuti, sostenitori del movimento secessionista dello Yemen meridionale, sono evasi dalla prigione di Daleh, nel sud, dopo l'esplosione di una bomba. Secondo la polizia, la bomba è stata lanciata da secessionisti arrestati che hanno scatenato un’enorme rissa con la polizia del carcere. I separatisti sudisti erano stati arrestati per aver partecipato ad una manifestazione a Daleh (280 km a sud della capitale Sanaa) organizzata dal Movimento sudista, un'alleanza di forze che propugnano la secessione del sud dello Yemen o una soluzione federale. Approfittando della confusione scoppiata dopo l'attentato, tra i 30 e i 40 detenuti sono evasi dal carcere.

    Emergenza Darfur, il leader dell’opposizione in Sudan non si presenterà alle elezioni
    Il candidato degli ex ribelli del Movimento per la liberazione del Sudan (Splm), Yasser Arman, ha deciso ieri di ritirarsi dalle elezioni presidenziali del prossimo mese. Alla base della scelta del principale oppositore all’attuale capo di Stato, Omar el-Béchir, lo stato di emergenza nella turbolenta regione del Darfur. Un portavoce dell'Splm ha tuttavia annunciato che il movimento presenterà propri candidati alle elezioni regionali e legislative che si terranno tra l'11 e il 13 aprile, in contemporanea con le presidenziali.

    La Corte penale internazionale indagherà sulle violenze in Kenya nel 2008
    Via libera della Corte penale internazionale alle indagini sulle violenze compiute in Kenya dopo le elezioni del 2008. Le aveva chieste, lo scorso novembre, il procuratore, Louis Moreno Ocampo, per accertare le responsabilità degli scontri etnici scoppiati in seguito alla contestata elezione del presidente, Mwai Kibaki. (Panoramica internazionale a cura di Fausta Speranza)
     
    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIV no. 91

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