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Sommario del 31/08/2010

Il Papa e la Santa Sede

  • L’arcivescovo di Westminster, Vincent Nichols, sulla visita del Papa: Benedetto XVI parlerà al cuore degli inglesi
  • Ratzinger, un professore attento e gentile: il ricordo degli anni accademici di mons. Jaschke, ex allievo del Papa
  • Pubblicato entro la fine dell’anno il libro-intervista con Benedetto XVI del giornalista Peter Seewald
  • A Seul circa 400 partecipanti ai lavori del Congresso dei laici cattolici dell'Asia, oggi al via
  • Viaggio pastorale di mons. Zimowski nella diocesi statunitense di Des Moines
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • I vescovi tedeschi approvano nuove linee guida contro gli abusi sessuali nella Chiesa
  • La visita di Gheddafi in Italia, occasione per riflettere sul rapporto tra Europa e islam
  • Chiesa e Società

  • Pakistan: inondati altri centri. Alcuni villaggi cristiani denunciano allagamenti ‘pilotati’
  • Chiese europee: da domani il pellegrinaggio sulla custodia del creato
  • Belgio. Il cardinale Danneels: "Mai cercato di nascondere abusi"
  • Conclusa in Uganda la Conferenza dei vescovi anglicani del continente africano
  • Sarà pubblicata domani la Lettera pastorale dei vescovi messicani per il Bicentenario
  • Brasile: le indicazioni dei vescovi per le presidenziali del 3 ottobre
  • Repubblica Democratica del Congo: rapito un altro esponente della società civile
  • Camerun: in forte aumento il tasso di malnutrizione infantile nel nord del Paese
  • Etiopia: rischio alluvioni per la stagione delle piogge
  • India: il commiato dell’Andhra Pradesh dal suo “vescovo del popolo”
  • Oltre seimila cristiani dell'India impegnati nella rieducazione dei carcerati
  • Sri Lanka. Dengue: 26.824 contagi, l'intera popolazione del Paese è in grave pericolo
  • Filippine: dopo il sequestro del bus a Manila, la Chiesa chiede la riforma delle Forze dell’Ordine
  • Usa: petizione in difesa della libertà delle organizzazioni religiose
  • Bolivia: Scuola di animazione missionaria per adolescenti
  • Caritas Singapore: “Costruire un clima di giustizia”
  • Francia: secondo i primi dati ufficiali evacuati 128 campi ed espulsi 977 rom
  • Forum dei cattolici tedeschi a Fulda: solidarietà ai cristiani perseguitati
  • Giornata della cultura ebraica: il 5 settembre in 28 Paesi europei e 62 città italiane
  • 24 Ore nel Mondo

  • Da oggi l’Iraq è sovrano e indipendente: così il premier iracheno saluta le ultime truppe combattenti Usa
  • Il Papa e la Santa Sede



    L’arcivescovo di Westminster, Vincent Nichols, sulla visita del Papa: Benedetto XVI parlerà al cuore degli inglesi

    ◊   “Papa Benedetto sia il benvenuto in Gran Bretagna”. è quanto afferma Lord George Carey, ex Primate anglicano che, in un messaggio, sottolinea il ruolo positivo della Chiesa cattolica per la società britannica. A due settimane dal viaggio del Papa nel Regno Unito, cresce dunque l’attesa per un evento che coinvolgerà non solo la comunità cattolica, ma tutto il Paese. Per una testimonianza sulle speranze e aspettative riposte in questo viaggio apostolico, Alessandro Gisotti ha intervistato l’arcivescovo di Westminster, mons. Vincent Nichols, presidente della Conferenza episcopale d’Inghilterra e Galles:

    R. - Personalmente, attendo la visita con gioia e con grande partecipazione, poiché la presenza del Papa qui in Inghilterra sarà un momento molto importante per la vita della fede. Questo perché Benedetto XVI è un protagonista elegante, pieno di rispetto per tutti. Penso che il pubblico inglese, scozzese e gallese riceverà il Santo Padre con un affetto che crescerà certamente durante la visita.

    D. - Il cuore di questo viaggio è la Beatificazione del cardinale Newman. Quanto è importante questo evento per la società inglese e non solo per i cattolici?

    R. - Per noi, è un momento storico, perché è la prima volta in 500 anni che verrà beatificata una persona non martire. Newman è un figura importante della cultura inglese e il suo “viaggio” dalla Chiesa anglicana alla Chiesa romana ha rappresentato una cosa mirabile per il suo tempo. Newman aveva la capacità di spiegare questo viaggio di fede. E’ certamente una figura della letteratura, una figura di educazione. Per tutte queste ragioni, questa Beatificazione è molto importante.

    D. - Quali frutti si aspetta da questa visita, anche sul fronte ecumenico?

    R. - Sul fronte ecumenico, ci saranno due momenti. Il primo sarà caratterizzato dalla visita del Santo Padre al Lambeth Palace e l’incontro personale con l’arcivescovo di Canterbury, perché in questo periodo le relazioni tra le nostre Chiese sono in un momento delicato. Il secondo momento sarà nella Westminster Abbey, quando il Santo Padre pregherà insieme con tutti i cristiani di questo Paese. Ci sono tanti cattolici di diversi riti, ci sono tante diverse Chiese e tutti saranno insieme per questa preghiera della sera.

    D. - Il Papa parlerà al cuore, come il motto stesso della visita dice: “Il cuore al cuore”…

    R. - La lingua del cuore è anche la lingua delle immagini, dei momenti più che degli argomenti. Questa visita sarà piena di momenti iconici, di momenti simbolici che parleranno direttamente al cuore. Il Santo Padre ha la capacità di parlare in modo molto personale ed attrattivo. Il Papa ha la capacità di parlare dal suo cuore con immagini e con frasi molto nobili. Credo che questo avverrà anche con noi in Inghilterra.

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    Ratzinger, un professore attento e gentile: il ricordo degli anni accademici di mons. Jaschke, ex allievo del Papa

    ◊   Con la celebrazione della Messa e un successivo momento conviviale, è terminato domenica scorsa a Castel Gandolfo il “Ratzinger Schülerkreis”, ovvero il tradizionale incontro estivo degli ex studenti di Benedetto XVI. Il seminario, durato tre giorni a porte chiuse, ha trattato dell’interpretazione del Concilio Vaticano e ha visto la partecipazione di una quarantina di ex allievi. Uno di loro, il vescovo ausiliare di Amburgo, mons. Hans-Jochen Jaschke, ne ha parlato con padre Bernd Hagenkord, responsabile della redazione tedesca della nostra emittente, rievocando gli anni del suo dottorato assieme al prof. Ratzinger:

    R. – Also, als ich anfing zu promovieren – 1970 – war so…
    Quando ho cominciato il dottorato di ricerca, era il 1970. Sono arrivato a Ratisbona per lavorare con il prof. Ratzinger, ero particolarmente interessato della pneumatologia. Poi, in un corso con lui mi sono appassionato di Ireneo di Lione, il grande teologo del secondo secolo cristiano e padre della dogmatica. Noi dottorandi eravamo tanti, più o meno venti persone, e abbiamo incontrato il prof. Ratzinger una volta al mese. Cominciavamo sempre con la Santa Messa, poi ci riunivamo fino a mezzogiorno e uno di noi raccontava dei progressi del suo lavoro. Ecco, questa era la forma principale del suo accompagnamento professionale per noi. Naturalmente, potevamo rivolgergli delle domande. Da parte mia, sono sempre stato una persona abbastanza discreta. Sono andato da lui solo quando avevo quasi finito. Mi ha dato qualche suggerimento, ha tagliato un po’ il lavoro. Insomma, mi ha detto ogni volta: “Vada pure” in un modo sempre molto gradevole. E penso che non l’ho deluso…

    D. – Il “Ratzinger Schülerkreis” ormai esiste da tanti anni. Come possiamo immaginarlo, come un incontro accademico oppure un incontro di vecchi amici?

    R. – Wir bilden eine Mischung aus einem “Veteranenklub” und einem…
    È un misto tra "club dei veterani" e incontro accademico. Siamo tutti cresciuti, ci conosciamo da tanto tempo. Questo “Schülerkreis” originalmente l’abbiamo fondato noi studenti. Poi, un giorno abbiamo invitato il professore ed arcivescovo di Monaco, Joseph Ratzinger. Da quando è Papa, ha preso lui l’iniziativa e ha cominciato a invitarci a Roma. Anche se oggi parliamo con il Santo Padre, sempre in modo amichevole, a un certo punto ridiventa il nostro vecchio professore… I nostri incontri hanno sempre un tema: questa volta il tema è stato il Concilio Vaticano II e la sua interpretazione, nel senso di una riforma e non della discontinuità. Abbiamo sentito relazioni su questo tema, abbiamo discusso con lui e tra di noi. Sabato scorso, il Santo Padre ha avuto un po’ di tempo per noi, abbiamo fatto due gruppi, uno la mattina, uno il pomeriggio. E’ stato quasi come tornare a tanto tempo fa, a uno dei corsi che abbiamo fatto con lui. Ha condotto l’incontro, ha ascoltato molto attentamente e ogni tanto è intervenuto. È stata una discussione molto piacevole, sobria e amichevole.

    D. – Questa volta c’erano anche giovani teologi che, se ho letto bene, non hanno mai studiato con il prof. Ratzinger …

    R. – Ja. Seit einigen Jahren sind wir dabei, den Kreis etwas zu erweitern…
    Sì, da alcuni anni ci impegniamo ad allargare lo Schülerkreis, lo vogliamo rendere più “giovane”. Ma con una distinzione: gli incontri col Papa li hanno solo i vecchi membri del gruppo. Non vogliamo che il vecchio “Schülerkreis” perda la sua identità originaria. In questi tre giorni, abbiamo incontrato i giovani teologi a Roma. Abbiamo discusso intensamente sul Vaticano II e ci siamo piuttosto avvicinati nelle posizioni. Certo, se ci sono dieci nuovi giovani, allora è necessario conoscersi bene e vedere se teologicamente possa nascere un dialogo. Domenica scorsa, infine, il Santo Padre ha presieduto la Santa Messa e dopo abbiamo fatto colazione insieme. I giovani teologi hanno partecipato alla colazione, erano quindi inclusi nel gruppo. E durante l’Angelus, brevemente, hanno incontrato il Papa che ha stretto la mano a ognuno di loro.

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    Pubblicato entro la fine dell’anno il libro-intervista con Benedetto XVI del giornalista Peter Seewald

    ◊   Nella settimana dal 26 al 31 luglio, a Castelgandolfo, Benedetto XVI ha concesso al giornalista tedesco Peter Seewald una serie di conversazioni, rispondendo alle sue domande su vari argomenti, analogamente a quanto già avvenuto altre due volte in passato, con lo stesso giornalista, quando il cardinale Joseph Ratzinger era prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Le conversazioni si sono svolte in lingua tedesca.

    La pubblicazione del volume - informa una nota del direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi - è prevista in tempi abbastanza brevi, prima della fine dell'anno in corso, in italiano e in tedesco, e se possibile anche in altre lingue. Com'è noto, conclude padre Lombardi, i diritti relativi alle pubblicazioni del Santo Padre sono detenuti dalla Libreria Editrice Vaticana, che pubblicherà anche l'edizione italiana.

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    A Seul circa 400 partecipanti ai lavori del Congresso dei laici cattolici dell'Asia, oggi al via

    ◊   Testimoniare Gesù Cristo e ad annunciare il suo Vangelo come dono universale di salvezza: questi gli obiettivi del Congresso dei laici cattolici dell’Asia, che si apre oggi a Seoul, nella Corea del Sud. Organizzato dal Pontificio Consiglio per i Laici, l’evento ha come tema “Proclamare Gesù Cristo in Asia oggi” e vede la presenza di 400 partecipanti, esponenti sia delle Conferenze episcopali asiatiche che di oltre 35 comunità e movimenti ecclesiali. I lavori proseguiranno fino a domenica e vedranno, fra gli altri, l’intervento di padre Bernardo Cervellera, direttore dell’agenzia AsiaNews, che proporrà una riflessione intitolata “Coraggiose testimonianze di fede”. Ma quanto coraggio ci vuole oggi per testimoniare la fede in Asia? Isabella Piro lo ha chiesto allo stesso padre Cervellera:

    R. – Ce ne vuole tanto, perché credo che la Chiesa in Asia, nella sua storia, sia tra le più perseguitate. Forse la Chiesa in Asia ha dato più martiri al mondo di tutte le altre Chiese messe insieme. La seconda cosa è che diversi Paesi asiatici, ancora adesso, non permettono la libertà di religione: tra i dieci Paesi che più soffocano le religioni, almeno otto sono asiatici. Questo vuol dire che effettivamente c’è tantissima sofferenza e tantissime limitazioni. Ci sono ancora martiri in Asia, se pensiamo ai massacri dell’Orissa, ai prigionieri in Cina, alla Nord Corea, e a tanti altri. Quindi, c’è ancora moltissimo martirio e c’è ancora moltissima difficoltà.
    D. – Spesso, in Asia i cristiani vengono accusati di proselitismo. Ma come distinguere evangelizzazione e proselitismo?

    R. – Il proselitismo sarebbe un tentativo capzioso di commerciare sulle conversioni, di convincere una persona a convertirsi attraverso favori, somme di denaro… e questo non avviene assolutamente tra i cristiani, tra i cattolici in Asia! C’è, invece, la testimonianza della bellezza della vita cristiana e questo spinge la gente a convertirsi. Naturalmente, però, l’accusa di proselitismo avviene proprio perché queste religioni tradizionali si sentono “mancare l’aria” in un mondo che sta vorticosamente cambiando.

    D. – In diversi Paesi asiatici, come ad esempio nelle Filippine, in Corea o in India, la presenza della Chiesa nei mass media è significativa. In questo ambito, le Chiese locali come si muovono per coinvolgere i laici nell’uso dei nuovi media per l’evangelizzazione?

    R. – Proprio nei Paesi che lei ha citato, ci sono esperienze grandissime sia come giornali, sia come radio. C’è pure, qua e là, qualche esperienza di televisione, ma la televisione è molto costosa e quindi la Chiesa in Asia, essendo una minoranza, non ha la possibilità di sostenere spese così ampie. Però, in tutti questi ambiti ci sono i laici che lavorano, non sono tutti preti: il sacerdote dà indicazioni, dà il valore spirituale al progetto, però sono i laici che portano avanti i media per l’evangelizzazione. Pensiamo a che cos’è Radio Veritas nelle Filippine: informa, diffonde il catechismo, può far comunicare culture diverse per decine di Paesi asiatici.

    D. – Quale spazio viene dato alle donne e ai giovani, come “speranza” per il futuro della Chiesa in Asia?

    R. – La Chiesa in Asia, qualche volta – per lo meno come concezione – a me sembra un po’ “clericale”, perché c’è un grande rispetto per l’autorità, quindi c’è un grande rispetto per il sacerdote, per il vescovo come “autorità sacrali”. Questo, appunto, dipende un po’ dalle concezioni religiose presenti in questi Paesi. Il Convegno vuole proprio spingere ad una collaborazione tra il personale consacrato ed il personale laico e in questo, secondo me, effettivamente le donne e i giovani hanno una grande chance. Già adesso, di fatto, l’evangelizzazione quotidiana è affidata proprio alle donne, è affidata proprio ai giovani: con i compagni di scuola, oppure nelle Università, con il vicinato, o anche con posti di responsabilità nella società.

    D. – In questo contesto, quindi, diventano fondamentali le Giornate Mondiali della Gioventù, sia a livello nazionale che continentale?

    R. – Assolutamente. Perché le Giornate Mondiali della Gioventù sono la scoperta dell’universalità della Chiesa. La Chiesa, cioè, non è semplicemente una famiglia legata ad una nazione, ad un’etnia, ad una semplice cultura: la Chiesa è qualcosa che va oltre tutte le culture e che abbraccia veramente il mondo. Le Giornate Mondiali della Gioventù sono entusiasmanti proprio per i giovani dell’Asia e spesso, in queste giornate, diversi giovani decidono di seguire il Signore in qualche vocazione di consacrazione.

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    Viaggio pastorale di mons. Zimowski nella diocesi statunitense di Des Moines

    ◊   E’ da oggi negli Stati Uniti l’arcivescovo Zygmunt Zimowski, presidente del Pontificio Consiglio per gli Operatori Pastorali. Nella settimana di soggiorno in programma, il capo dicastero – accompagnato da don Charles Namugera, officiale del Pontificio Consiglio – visiterà oggi il Mercy Medical Center di Des Moines, dove incontrerà i malati, gli operatori sanitari, i cappellani e celebrerà la Messa. Una seconda struttura sanitaria di Des Moines, il Mercy College of Health Sciences, sarà visitata domani da mons. Zimowski per un incontro con studenti, docenti e ricercatori e quindi la concelebrazione della Messa con mons. Richard Pates, il vescovo della diocesi locale, che il prossimo anno festeggerà il centenario della sua istituzione.

    Venerdì 3 settembre, mons. Zimowski interverrà all’International Medical Conference, organizzata dal Pope Paul VI Institute nell’ambito delle celebrazioni del 25.mo della propria fondazione. Infine, il 5 settembre il presidente del Pontificio Consiglio per gli Operatori Pastorali presiederà la Messa conclusiva delle iniziative dell’Istituto.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Il messaggio di Benedetto XVI in apertura della messa celebrata nella cappella del centro Mariapoli, a Castel Gandolfo, alla quale hanno partecipato i suoi ex allievi.

    In prima pagina, una crisi a due velocità: mentre l’economia americana resta in preda delle difficoltà, l’Europa cresce grazie ai buoni risultati della Germania.

    Il processo di pace in Medio Oriente: israeliani e palestinesi attesi a Washington per un nuovo vertice.

    Lo sport nell’antica Roma: Umberto Broccoli ricostruisce la mentalità agonistica ai tempi di Caligola.

    Due calci in Paradiso: Gaetano Vallini traccia una lettura filosofica e teologica del gioco del football.

    Trent’anni di Solidarność: Andrea Possieri ricorda padre Jerzy Popiełuzko assassinato per il suo sostegno esplicito ai lavoratori dei cantieri.

    Se la paura è imprigionata in un videoclip: Emilio Ranzato sul remake cinematografico di “Nightmare” firmato da Samuel Bayer.

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    Oggi in Primo Piano



    I vescovi tedeschi approvano nuove linee guida contro gli abusi sessuali nella Chiesa

    ◊   La Conferenza episcopale tedesca ha presentato oggi a Treviri le nuove linee guida per contrastare la piaga degli abusi sessuali da parte di membri della Chiesa del Paese. Durante una conferenza stampa, l’incaricato per la questione degli abusi, mons. Stephan Ackermann, ha presentato il documento che entrerà in vigore domani, primo settembre. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    Le nuove norme, è stato spiegato, rappresentano un “proseguimento” del documento del 2002 contro gli abusi sessuali nella Chiesa. In particolare, le linee guida chiariscono meglio le competenze nel caso di abusi da parte di membri del clero e collaboratori ecclesiali. La prima innovazione è la nomina da parte delle diocesi di uno o più responsabili per vagliare i casi di abuso. Dopo una prima valutazione, questi incaricati sono tenuti ad informare il vescovo diocesano o, nel caso di religiosi, il superiore generale. Il vescovo è inoltre chiamato ad istituire un consiglio permanente di cui dovranno far parte specialisti in psichiatria, psicoterapia e diritto. Una seconda grande novità è rappresentata dalla “prevenzione attiva”: i collaboratori della Chiesa sono tenuti a segnalare immediatamente all’incaricato i sospetti di eventuali abusi. Qualora si confermasse il sospetto di abuso, le informazioni dovranno essere trasferite all’autorità giudiziaria statale o ad altre autorità competenti.

    L’obbligo di segnalazione alla procura dello Stato, sottolinea il documento, decade solo nel caso in cui sia la vittima stessa a chiederlo. Parallelamente a questo iter, sarà avviata una procedura ecclesiastica. Il vescovo diocesano ne informerà la Santa Sede, che deciderà sui passi successivi. Il vescovo può comunque sollevare il presunto colpevole dal suo incarico ed avviare provvedimenti diversi al fine di evitare ulteriori casi di abuso. Nel documento si fa anche riferimento al sostegno pastorale e terapeutico alle vittime: un aiuto che avverrà in collaborazione con il competente servizio di assistenza ai minori o ad altre istituzioni specifiche. Il documento stabilisce inoltre che quanti saranno riconosciuti colpevoli non dovranno più essere inseriti nel servizio ecclesiale con bambini e adolescenti. Ciò, ed è un’ulteriore innovazione, vale anche per coloro che rivestono incarichi emeriti.

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    La visita di Gheddafi in Italia, occasione per riflettere sul rapporto tra Europa e islam

    ◊   Sta per concludersi la visita in Italia del leader libico, Muammar Gheddafi, in occasione delle celebrazioni del secondo anniversario del Trattato di amicizia italo-libica. Hanno suscitato vasta eco, in particolare, le parole pronunciate da Gheddafi nella sede dell’Accademia libica di Roma: “L’Islam - ha detto il leader libico - dovrebbe diventare la religione di tutta Europa”. Ma quanto è realistica l’ipotesi un forte radicamento dell’islam in Europa? Fabio Colagrande lo ha chiesto a don Andrea Pacini, consultore della Commissione per i Rapporti con i musulmani presso il Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso:

    R. – L’Europa è oggi talmente attraversata da una cultura tendenzialmente relativista che ritengo vi sia poco spazio, se non in dimensioni di nicchia, per un islam che si presenta con un’osservanza delle norme, della sharia. Mi pare molto in contraddizione con lo spirito europeo di ieri, ma certamente ancora di più di oggi.

    D. – Però, l'idea della possibile islamizzazione dell’Europa circola da tempo nel Vecchio Continente, e forse in una chiave di strumentalizzazione politica…

    R. – Credo ci siano effettivamente, anche in Europa, delle componenti dell’islam legate all’immigrazione, che pensano in maniera attiva a un’estensione del comportamento islamico all’interno della società europea. D’altra parte, però, questa non è certamente una tendenza generalizzata all’interno della popolazione di origine musulmana presente in Europa, perché ci sono forse tendenze, persino più forti, anche di secolarizzazione, all'interno della popolazione islamica. Soprattutto nelle seconde e terze generazioni.

    D. – Quindi, Gheddafi in qualche modo rappresenta una cultura islamica spaventata dalla secolarizzazione?

    R. – Credo che Gheddafi certamente tema la secolarizzazione. Ma, nello stesso tempo, non bisogna nemmeno dimenticare che Gheddafi all’interno del mondo musulmano rappresenta un po’ se stesso. E’ noto come abbia anche inaugurato, ormai da anni, un’interpretazione dell’islam che, ad esempio, si concentra esclusivamente sul Corano. Esclude invece la Sunna che invece per l’islam tradizionale è a tutti gli effetti un altro pilastro del dogma religioso. Quindi, questa “boutade” di Gheddafi credo voglia essere un modo di confermarsi o di cercare di vedere confermato un proprio ruolo di leadership anche all’interno del mondo musulmano, che è molto variegato. Un mondo in cui c’è una competizione piuttosto forte tra molti poli, come quello pakistano, quello dell’Arabia Saudita, dell’Iran. Poli con i quali Gheddafi, peraltro, ha rapporti spesso di forte tensione.

    Le parole del leader libico sono un invito a riflettere sull’attuale società multietnica europea. Una società che deve garantire, anche in ambito religioso, un confronto segnato dal rispetto reciproco e dal mantenimento dell’identità confessionale. E’ quanto sottolinea il prof. Paolo Branca, docente di lingua araba e islamistica all’Università Cattolica di Milano:

    R. – Che l’Europa stia diventando plurale è un fatto non soltanto per la presenza dei musulmani, ma anche per altre tradizioni religiose che erano assenti o molto minoritarie nel passato. Io non vedo in questo, però, un pericolo immediato di conversioni di massa. Certamente, il fatto demografico potrà incidere sul lungo periodo, ma si nota che pure tra gli immigrati il numero di figli tende a decrescere, anche per ragioni economiche. E poi perché non vedo, sinceramente, masse di italiani pronte ad abbracciare la religione islamica in toto. Il confronto tra diverse tradizioni religiose, che si può avere oggi nella nostra società plurale, può essere anche di stimolo perché ciascuno recuperi una consapevolezza più profonda, più critica, anche, della propria e dell’altrui tradizione religiosa nel rispetto, nella conoscenza reciproca, pur conservando le proprie peculiarità e differenze.

    Sulla visita di Muammar Gheddafi in Italia, Massimiliano Menichetti ha chiesto un commento a mons. Domenico Mogavero, vescovo di Mazara del Vallo e presidente del Consiglio della Conferenza episcopale italiana per gli affari giuridici:

    D. - Al di là delle polemiche, delle strumentalizzazioni e delle letture di parte, io credo che comunque la visita abbia dei risvolti positivi: che ci si incontri, ci si veda, ci si conosca di più questo io lo reputo fortemente costruttivo. Ho apprezzato particolarmente alcuni accenti che Gheddafi ha avuto nei confronti del Mediterraneo, quando ha parlato di un mare che unisce, di un mare che dovrebbe essere ponte tra i popoli e un mare di pace e di dialogo.

    D. – Gheddafi ha ribadito anche: serve un finanziamento di cinque miliardi di euro alla Libia, altrimenti l’Europa potrebbe diventare l’Africa, potrebbe diventare "nera" come se ci fosse invasione …

    R. – Ma io credo che, intanto, bisogna escludere qualsiasi tentazione di terrorismo psicologico che metta in allarme noi europei, particolarmente sensibili su questo versante. Non credo che ci sia pericolo di un’invasione. Però, convinciamoci di una cosa: le migrazioni sono una costante della storia. Oggi, diciamo che ha piuttosto un carattere di natura umanitaria, perché chi fugge dalla propria terra lo fa o perché va in cerca di libertà o perché vuol migliorare la propria vita, o perché non si sente molto al sicuro nella sua terra:pensiamo ai perseguitati politici … Che tutto questo, però, venga bollato ed etichettato come ‘manovre del racket’, mi sembra veramente estremizzare il problema. L’Europa – checché ne dica Gheddafi – non rischia di diventare un’Europa "nera".

    D. – Comunque, di fondo, un problema esiste…

    R. – Certamente, il problema va affrontato. Non può essere lasciato all’improvvisazione o alle strategie di un singolo Stato. Che l’Italia sia rimasta un po’ sola, rispetto all’Unione Europea, a gestire questo problema, questo è grave. La prima cosa da fare per rispondere a Gheddafi è, intanto, una concertazione a livello europeo per non farsi dettare condizioni solo di carattere economico, per disciplinare in modo rispettoso della persona e dei diritti umani un fenomeno che oggi ha molteplici aspetti e molteplici sfaccettature.

    D. – Chiedere cinque miliardi di euro per evitare un’immigrazione non gradita mette sul piatto di scambio la persona, l’immigrato…

    R. – Questo è tristissimo: trasformare una sciagura umana, una emergenza umana, in una merce di scambio o in una richiesta risarcitoria è un po’ troppo. Qui, la palla passa all’Europa, perché se l’Europa non si muove e se pensa di tamponare questo problema solo con i respingimenti, ha buon gioco Gheddafi il quale – giocando sulle nostre paure o sulle nostre fragilità istituzionali – alza il prezzo obbedendo ad una legge di mercato: la domanda e l’offerta. Allora, lui dal suo punto di vista può giocare questa carta, ma spetta all’Europa respingere questa proposta e attrezzarsi in maniera giuridicamente più corretta e umanitariamente più dignitosa.

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    Chiesa e Società



    Pakistan: inondati altri centri. Alcuni villaggi cristiani denunciano allagamenti ‘pilotati’

    ◊   Nonostante la piena dell'Indo stia lentamente regredendo, oggi nuove aree della provincia del Sindh sono state inondate. Secondo quanto riferiscono i media locali, una nuova breccia in uno sbarramento ha causato l'allagamento di un centinaio di villaggi nel distretto di Badin. La Marina militare pachistana è al lavoro per portare in salvo la popolazione. L'area si trova a est di Thatta, la storica città evacuata quattro giorni fa e scampata alle inondazioni. Dopo aver flagellato negli ultimi dieci giorni il bacino dell'Indo e minacciato la metropoli di Hyderabad, la piena sta confluendo lentamente nel mare Arabico. Rimane però l'emergenza per 8 milioni di alluvionati, che secondo l'Onu hanno disperato bisogno di cibo, acqua pulita e medicine. Stamattina il direttore dell'Unicef, Anthony Lake e quello del Pam, Josette Sheeran, hanno visitato un campo di accoglienza degli alluvionati nella provincia del Punjab. Insieme al responsabile dell'Unesco, Irina Bokova, e all'inviato speciale dell'Onu, Jean-Maurice Ripert, terranno una conferenza stampa a Islamabad nel pomeriggio per fare il punto sulla crisi. A margine del disastro arriva pure la denuncia di gruppi di cristiani i cui villaggi sarebbero stati allagati di proposito. Sarebbe accaduto nel Punjab, nel Pakistan centrale - come riferisce l'agenzia Fides – dove gli abitanti del villaggio cristiano di Khokharabad, nei pressi di Multan, sono stati colpiti dalle acque - si presume - deviate deliberatamente. L'intero villaggio è stato spazzato via: almeno 15 i morti e 377 i profughi cristiani rimasti senza tetto. Secondo informazioni di alcune Ong locali, le inondazioni, in questo caso, sono state ‘guidate’: un politico locale di Muzaffargarh e proprietario di appezzamenti di terra nei pressi del villaggio, avrebbe fatto sì che fossero costruite dighe e barriere per deviare il flusso delle acque verso il villaggio e salvare così i propri possedimenti. Il politico ha negato ogni responsabilità affermando che la decisione è stata del Dipartimento per l'agricoltura del Distretto. A sua volta, in un gioco di rimpalli di responsabilità, il governatore del Distretto ha negato di aver impartito tali ordini. (R.G.)

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    Chiese europee: da domani il pellegrinaggio sulla custodia del creato

    ◊   Un pellegrinaggio “verde” per “presentare all’Europa qual è lo sguardo della Chiesa sui doni della creazione”, riflettendo sul tema indicato da Benedetto XVI per la Giornata mondiale della pace 2010: “Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato”. Organizzato dal Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (Ccee), il pellegrinaggio, al quale parteciperanno vescovi e delegati delle Conferenze episcopali d’Europa responsabili per la custodia del creato e che attraverserà Ungheria, Slovacchia e Austria, si aprirà domani, 1° settembre, nella basilica di Esztergom, in Ungheria, con una celebrazione eucaristica e la benedizione del pellegrino da parte del cardinale Peter Erdő, arcivescovo di Esztergom-Budapest e presidente del Ccee. L’appuntamento cade a sei anni dalla conclusione delle consultazioni organizzate dal Ccee sul tema dell’ambiente e della responsabilità per il creato, dalle quali nacque una rete dei delegati nazionali delle Conferenze episcopali d’Europa. Ora, l’organismo ecclesiale europeo intende riavviare e intensificare lo scambio e la rete dei delegati nazionali, per presentare al continente lo sguardo della Chiesa sui doni della creazione. “L’attenzione per il creato – commenta padre Duarte da Cunha, segretario generale del Ccee – è sempre stata presente nei lavori del Ccee, come testimonia il lavoro fatto dal gruppo di lavoro Ccee-Kek in occasione della terza Assemblea ecumenica europea di Sibiu nel 2007”. “La nostra odierna attenzione – sottolinea – parte dalla consapevolezza che la questione ecologica è spesso stata affrontata quasi in termini ‘apocalittici’ e a volte in modo dialettico, ponendo quasi l’uomo come nemico della natura. Noi, invece, come ci ha spesse volte invitato il Santo Padre, desideriamo motivare la nostra riflessione e la nostra azione per l’ambiente per il semplice fatto che la custodia del creato, il rispetto per la natura, è alla base della ‘ricerca di un’autentica solidarietà a dimensione mondiale, ispirata dai valori della carità, della giustizia e del bene comune’”. Il pellegrinaggio partirà da Esztergom (Ungheria); i partecipanti si dirigeranno poi, il 2 settembre, verso Bratislava (Slovacchia) riflettendo sui temi dell’acqua e dell’energia. Venerdì 3 tavola rotonda sulla formazione alla custodia del creato; poi, nel pomeriggio, i pellegrini si trasferiranno in Austria a St. Pölten, dove è prevista in cattedrale una celebrazione ecumenica. Sabato 4 si raggiungerà Bürgeralpe e domenica 5, infine, celebrazione eucaristica conclusiva a Mariazell. (R.P.)

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    Belgio. Il cardinale Danneels: "Mai cercato di nascondere abusi"

    ◊   Il cardinale Godfried Danneels, arcivescovo emerito di Bruxelles, assicura di non aver cercato di nascondere il caso relativo agli abusi sessuali commessi dall'ex vescovo di Bruges, mons. Roger Vangheluwe. In una dichiarazione affidata al suo portavoce Toon Osaer e rilanciata dalla Conferenza episcopale belga, il cardinale risponde così alle rivelazioni pubblicate il 28 agosto scorso da due quotidiani fiamminghi “De Standaard” e “Het Nieuwsblad”, che hanno svelato il contenuto di alcune registrazioni fatte dalla vittima nel corso di un incontro che si è svolto in presenza del cardinale Danneels. “Il cardinale – si legge nella dichiarazione del suo portavoce ripresa dall'agenzia Sir - ha acconsentito a una richiesta della famiglia di essere mediatore all'interno della cerchia familiare a causa di questo abuso. In questo contesto confidenziale di una riunione di famiglia, sono state esaminate diverse soluzioni in vista di una riconciliazione. In nessun momento è stata esercitata pressione sulla famiglia o sulla vittima affinché mantenessero il segreto sulla questione o non si rivolgessero alla Giustizia o alla Commissione Adriaenssens”, la Commissione istituita dalla Chiesa cattolica belga per ricevere denunce per abusi sessuali commessi da chierici. Nella dichiarazione, il cardinale torna a “condannare l'abuso commesso dall'ex vescovo” e a “deplorarlo profondamente”. Esprime anche “la sua delusione per il fatto che sia stata registrata e pubblicata una conversazione confidenziale, all’insaputa delle parti presenti”. Ed aggiunge: “il fatto che non avesse reso pubblico quanto detto in questo incontro in una precedente conferenza stampa è dovuto al fatto che non voleva infrangere il carattere confidenziale dell'incontro. E’ anche per rispetto alla vittima, che non si era ancora fatta conoscere pubblicamente né aveva ancora rivelato quanto aveva subito”. (R.P.)

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    Conclusa in Uganda la Conferenza dei vescovi anglicani del continente africano

    ◊   Un appello ai cristiani d'Africa a “prendersi cura del proprio futuro con le proprie mani” è stato lanciato domenica scorsa da quattrocento presuli della Comunione anglicana al termine della seconda riunione della All Africa Bishops Conference (Aabc), che si è svolta a Entebbe, in Uganda, dal 23 al 29 agosto. Nel documento pubblicato al termine dell'incontro dei religiosi, - riferisce L'Osservatore Romano - si sottolinea che “la Comunione anglicana in Africa ha continuato ad essere testimone del proprio sviluppo ed ora è possibile perfino pensare che il centro di gravità della cristianità nel mondo stia spostandosi verso questo Continente. Nondimeno, la possibile rilevanza che la Comunione anglicana ha sulla missione globale e sulle trasformazioni sociali, economiche e politiche del Continente nero rimane per tutti quanti noi un'autentica sfida”. Per i presuli anglicani d'Africa, giunti ad Entebbe da 21 Paesi, il tema dell'unità tra i membri della Comunione, che conta 80 milioni di fedeli suddivisi in una quarantina di organizzazioni regionali e nazionali presenti in 160 Paesi, rimane di fondamentale importanza. “Mentre noi siamo sempre pronti – sottolineano i vescovi anglicani - ad ascoltare le opinioni provenienti dagli esponenti della Comunione che svolgono la propria missione in altri Paesi, è certamente opportuno che il mondo si ponga all'ascolto della voce unica che proviene dalle nostre Chiese in Africa”. Nel documento finale di Entebbe vengono anche esaminate le sfide comuni per i religiosi anglicani che svolgono la loro missione nei diversi Paesi del Continente nero: sfide alla povertà, sfide alla violenza, specialmente quella esercitata sulle donne, sfide alla corruzione politica, sfide per fermare ogni tipo di conflitto. Per agire efficacemente contro questi mali, i presuli anglicani africani ritengono opportuna “la collaborazione con altre organizzazioni ad ogni livello”. Questa collaborazione diviene maggiormente urgente quando bisogna combattere i nuovi e i vecchi mali che affliggono le popolazioni del Continente. Per i pastori africani è necessario collaborare per garantire “l'accesso all'assistenza medica, per fornire sicurezza alimentare e per promuovere le misure necessarie per la salute delle famiglie africane, con speciale riguardo per le madri, i bambini e gli anziani”. Sul tema degli abusi perpetrati nell'ambito sociale e su quello delle violazioni dei diritti umani, i pastori riuniti ad Entebbe sottolineano che “la Comunione anglicana in Africa dovrebbe unirsi al movimento globale costituito da quanti si rifiutano di rimanere in silenzio di fronte alle ingiustizie dell'attuale situazione socio-economico e di fronte all'iniqua gestione della politica. Il documento sottoscritto ad Entebbe contiene anche un appello ai leader politici dei singoli Paesi del Continente affinché collaborino tra loro a raggiungere il traguardo della riduzione della povertà. Inoltre, per i presuli anglicani rimane valido “il modello biblico della famiglia che si basa sull'unione matrimoniale di un uomo con una donna”. Al tema del risveglio dell'identità africana è stata dedicata altra parte del documento. Al riguardo si afferma che “dopo un lungo periodo di sottosviluppo e di misconoscimento dell'identità africana, adesso si assiste ad una presa di coscienza che il futuro del nostro Continente dipende sempre più da noi stessi". Nell'ultima parte del documento di Entebbe, i pastori anglicani esaminano le situazioni particolari che i cristiani devono affrontare in alcuni Paesi dell'Africa. Nello specifico l'analisi dei presuli approfondisce quanto accade oggi nella Repubblica Democratica del Congo, in Sudan e nel Madagascar. Al riguardo, i presuli rivolgonio un appello alle autorità nazionali ed internazionali affinché si impegnino a riportare la pace tra le popolazioni che abitano in quelle regioni afflitte da diversi conflitti di carattere etnico e religioso. (R.G.)

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    Sarà pubblicata domani la Lettera pastorale dei vescovi messicani per il Bicentenario

    ◊   “Commemorare la nostra storia dalla fede per impegnarci oggi con la nostra patria”: così s’intitola la Lettera pastorale dei vescovi del Messico, di 74 pagine, che sarà resa pubblica domani nel corso di una solenne concelebrazione eucaristica nel santuario della Madonna di Guadalupe. L’ampio documento percorre a grandi linee la storia della nazione messicana in questi ultimi 200 anni, soffermandosi “sull’evento fondante della nostra identità nazionale”, scrivono i presuli: cioè, l’apparizione della Madonna di Guadalupe, “che ebbe una profonda eco nel popolo che nasceva, quale seme di riconciliazione e fraternità”. In seguito, il documento riflette sul contributo del cristianesimo alla “costruzione di un progetto culturale dalla fede”, capace di privilegiare “il legittimo anelito di libertà e giustizia in favore della promozione umana, individuale e sociale, con una prospettiva trascendente, in dialogo pluralista con l’insieme delle ideologie che cercano anche lo sviluppo umano integrale”. I vescovi messicani chiedono ad ogni cittadino di diventare “protagonisti della costruzione di un futuro di speranza”. Al riguardo il documento propone tre priorità: lotta frontale alla povertà, educazione di qualità e integrale per tutti e lavoro incessante “in favore della riconciliazione, dell’armonia e integrazioni dei diversi attori sociali”. Tutto ciò però, avvertono i vescovi messicani, deve avere sempre una premessa: “Porte chiuse a qualsiasi tentazione che possa far intraprendere sentieri violenti che causano solo morte, arretratezza e distruzione. A coloro che cercano di seminare uno stato di paura e di morte, tramite attività delinquenziali, mettendo a repentaglio – sottolineano i presuli - tutto ciò che abbiamo raggiunto nel nostro cammino storico, come la libertà e le istituzioni democratiche, dobbiamo dire ad alta voce che l’autentica società messicana” rifiuta questi sentieri” Dunque la Chiesa, conclude il documento, chiama questi gruppi “alla conversione affinché possano ritrovare il bene e la giustizia”. Ringraziando Dio per i doni che ha dato al Messico e ai messicani, i presuli si congedano rilevando che il Paese “è una grande nazione, benedetta da Dio” chiamata oggi “a continuare il suo cammino verso lo sviluppo, mai completato, in collaborazione fraterna con altre nazioni del continente americano e del mondo”. (A cura di Luis Badilla)

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    Brasile: le indicazioni dei vescovi per le presidenziali del 3 ottobre

    ◊   Dopo la vittoria ottenuta lo scorso giugno con l’approvazione della cosiddetta Legge “Fedina penale pulita” (“Ficha Limpa”) che rende ineleggibili i candidati condannati per reati gravi, continua in Brasile la campagna dei vescovi contro la corruzione e per un voto pulito alle prossime elezioni presidenziali del 3 ottobre. In vista delle urne, in cui i brasiliani saranno chiamati a scegliere anche i Governatori degli Stati e i membri degli organi elettivi federali e statali, la Commissione Giustizia e Pace della Conferenza episcopale (Cnbb) ha pubblicato una brochure con “Dieci consigli per votare bene”. L’obiettivo, - ha spiegato il segretario esecutivo della Commissione Giustizia e Pace Daniel Seidel, è di sensibilizzare gli elettori su alcuni punti ritenuti importanti dai vescovi al momento del voto. Il testo, distribuito questa settimana in tutte le parrocchie del Paese, ricorda, tra l’altro, che “il potere politico viene dal popolo e che il voto è un esercizio importante della cittadinanza” e che il voto “non può essere dato in cambio di favori”. La brochure invita altresì i cittadini ad informarsi sui candidati, sulla loro storia personale e sulle loro idee, verificando che esse siano improntate al rispetto della libertà di coscienza e delle convinzioni religiose degli elettori. I vescovi sottolineano anche che i “buoni candidati devono presentare proposte per risolvere i grandi problemi del Paese, come la lotta alla povertà, la promozione di un modello economico che favorisca l’inclusione sociale e una migliore distribuzione della ricchezza e un’educazione di qualità”. Oltre alle parrocchie, la brochure verrà distribuita per le strade e nei luoghi pubblici, perché, come ha precisato il segretario esecutivo di Giustizia e Pace, l’obiettivo dell’iniziativa è “di sensibilizzare tutti gli elettori e non soltanto quelli cattolici”. La Commissione sta anche preparando un’edizione elettronica che sarà pronta di qui a pochi giorni. In queste settimane si sono intensificati gli interventi dei vescovi brasiliani sulle prossime presidenziali per esortare i fedeli a votare con coscienza, a combattere la corruzione e il clientelismo e a non cedere alla tentazione del voto di scambio. In questo senso l’approvazione della legge che esclude la candidatura di persone con gravi precedenti penali è stata una grande vittoria per la Chiesa brasiliana in prima linea in questa battaglia. (A cura di Lisa Zengarini)

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    Repubblica Democratica del Congo: rapito un altro esponente della società civile

    ◊   Nuovo rapimento, il secondo in una settimana, nella Repubblica Democratica del Congo. E’ stato sequestrato, venerdì sera - riferisce l'agenzia Misna - da un gruppo di uomini armati, Balisi Kapumba, presidente di un’organizzazione non governativa locale. L’agguato è avvenuto nel pieno centro di Goma, capoluogo della provincia del Nord Kivu, nell’est del Paese. Il rapimento del responsabile di “Solidarity Action for Peace and Development” (Aspd) segue di appena tre giorni quello di Sylvestre Bwira, esponente di spicco della società civile del Masisi, anch’egli sequestrato da uomini armati non identificati. Prima del sequestro, Bwira aveva ricevuto minacce di morte, dopo la pubblicazione di un rapporto che denuncia l’insicurezza nell’area del Masisi e l’esistenza di un’amministrazione parallela sul territorio gestita dagli ex ribelli del Congresso nazionale per la difesa del popolo (Cndp), oggi alleati del governo di Kinshasa. “Tutti i firmatari del rapporto che ha portato al rapimento dell’onorevole Sylvestre Bwira - ha osservato Thomas Muiti, altro esponente della società civile - sono minacciati di rapimento e vivono in clandestinità” La vicenda si inserisce in un contesto di polemiche e attesa per la prossima pubblicazione di un rapporto dell'Onu che - secondo alcuni stralci anticipati dalla stampa internazionale - denuncia crimini di guerra e di genocidio commessi nel corso degli anni '90 dagli Eserciti ruandese e congolese proprio nella provincia del Kivu. (R.G.)

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    Camerun: in forte aumento il tasso di malnutrizione infantile nel nord del Paese

    ◊   Nella zona settentrionale del Camerun, come in gran parte della regione del Sahel nell'Africa occidentale, si registra un alto tasso di malnutrizione infantile. Sei bambini sono morti per questo motivo nell'ospedale di Kousseri, nella zona nord del Camerun, nel mese di luglio, cifra insolitamente elevata rispetto alla norma. "Presso i 10 centri sanitari di Kousseri, i casi di malnutrizione moderata e acuta, sono aumentati da 75 del mese di maggio a 166 a luglio," si legge in una nota di un ufficiale locale del Ministero della Sanità. La scarsa alimentazione - riferisce l'agenzia Fides - è molto comune in questa regione, dove la maggior parte dei 5 milioni di persone non hanno accesso all'acqua potabile e ai servizi igienici. Secondo l'Unicef, 55 mila bambini con meno di cinque anni di età soffrono di malnutrizione acuta nelle regioni del Camerun del nord, il 70%. I bambini morti di recente, o che sono in condizioni precarie presso l'ospedale di Kousseri, arrivano in stato di malnutrizione avanzata e con complicazioni mediche, e in alcuni casi è impossibile salvarli. Anche l'accesso alle cure costituisce un problema; 20 dei 43 distretti sanitari di queste regioni hanno personale qualificato, attrezzature e mezzi di soccorso, ma i rimanenti sono ancora privi di ogni assistenza. Come in molti altri paesi dell'Africa centrale ed occidentale, le cause in Camerun sono principalmente dovute ai mancati raccolti, che portano ad una conseguente povertà cronica, alla mancanza dei servizi di base e alle scarse pratiche alimentari infantili. Inoltre le inondazioni e una epidemia di colera hanno recentemente aggravato la situazione nel paese dove i raccolti sono andati distrutti. (R.P.)

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    Etiopia: rischio alluvioni per la stagione delle piogge

    ◊   Sono più di 250.000 le persone a rischio alluvioni nel paese dove il prossimo mese sono previste forti piogge. A lanciare l’allarme - riferisce l'agenzia Misna - è l’ufficio per il coordinamento umanitario dell’Onu (Ocha) secondo cui 19 persone sono già morte a causa di smottamenti e alluvioni e oltre 12.000 hanno dovuto essere sfollate. “La regione più a rischio è quella di Amhara, ma anche in Ogaden mancano le strutture necessarie per affrontare piogge a livelli superiori del normale” precisa una nota di Ocha. Un documento diffuso la scorsa settimana dall’ufficio di coordinamento per i disastri naturali, tuttavia, limita a 153.000 il numero di persone che potrebbero essere in un qualche modo interessate dalle alluvioni, il 25% delle quali potrebbe perdere la casa. Secondo le previsioni dei meteorologi, la stagione delle piogge iniziata a giugno nella zona dell’altopiano centrale durerà fino alla fine di settembre. Due anni fa almeno 600 persone morirono e decine di migliaia furono costrette ad abbandonare i propri villaggi a causa di inondazioni in diverse regioni del Corno d’Africa. (R.P.)

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    India: il commiato dell’Andhra Pradesh dal suo “vescovo del popolo”

    ◊   Instancabile nell’impegno per la promozione dei diseredati e nel servizio per la Chiesa dell’Andhra Pradesh alla quale ha donato la sua capacità organizzativa e la sua lealtà. Mons. Joji Marampudi, arcivescovo di Hyderabad, morto il 27 agosto, all'età di 68 anni, è stato ricordato così, ieri, alla celebrazione dei suoi funerali dal presidente dei vescovi dello Stato, mons. Gali Bali. Alla sua Chiesa e al suo successore, il vescovo scomparso ha lasciato anche tutto ciò che aveva. “Non ho portato nulla in questo mondo – ha scritto nel suo testamento – e vado via senza portare nulla con me. Ogni bene materiale, denaro, libri, insegne episcopali e quanto altro è stato a mia disposizione durante la mia vita e che può essermi riferito dopo la mia morte, lo lascio alla diocesi e al mio successore”. Decine di migliaia di persone, tra le quali vescovi, sacerdoti, leader delle organizzazioni cristiane, politici ed esponenti del mondo sociale hanno voluto rendere omaggio, nella cattedrale di Vijayawada, al “Vescovo del popolo”, come veniva chiamato colui che è stato il primo arcivescovo fuori casta nella storia dell’India. Battezzato dai padri del Pime e ordinato sacerdote nel 1971, nel 2000 era stato nominato arcivescovo di Hyderabad, primo dalit a guidare un’arcidiocesi. In precedenza era stato vescovo di Vijayawada. Per oltre 30 anni si è battuto per l’emancipazione dei fuori casta all’interno della società indiana, dialogando con le più alte cariche politiche e religiose. (R.P.)

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    Oltre seimila cristiani dell'India impegnati nella rieducazione dei carcerati

    ◊   Più di 6mila cristiani di ogni parte dell’India si occupano della rieducazione di oltre 300mila carcerati. I volontari fanno parte di Prison Ministry India (Pmi), organizzazione nata 25 anni fa a Bangalore, nel Karnataka, da due seminaristi, Francis Kodiyan e Varghese Karippery. “Aiutiamo i fratelli che si trovano in prigione - afferma mons. Peter Remigius, capo del Pmi -, non tutti sono davvero criminali. Molti sono accusati in modo ingiusto. Il 70% dei prigionieri in India è sotto processo e la maggior parte di questi è rimasta in cella a lungo senza essere giudicata da una corte. Una delle cose più tristi, poi, è che il 65% dei detenuti è composto da ragazzi”. I volontari, divisi in 30 centri di riabilitazione in diversi Stati dell’India, - riferisce l'agenzia AsiaNews - non solo visitano i prigionieri e organizzazione un programma di rieducazione, ma si prendono cura delle famiglie e dei figli dei carcerati. “Siamo felici di vedere i nostri volontari - afferma padre Josekutty Kalayil, coordinatore nazionale del Pmi - che si prendono cura degli ultimi della società”. Le prigioni in India sono spesso scenario di violenze e brutalità. Nella maggior parte dei casi non avviene alcuna rieducazione. La recidiva è molto elevata, soprattutto a causa della crescita della circolazione di droga in carcere. Secondo Joshy Eapan, volontario del Pmi, “la detenzione dovrebbe essere un periodo di trasformazione nella vita di un prigioniero. Noi volontari cerchiamo di aiutare i carcerati a fare esperienza dell’amore e della misericordia di Dio. In questo modo, possono riscoprire la dignità dell’uomo e migliorare se stessi”. (R.P.)

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    Sri Lanka. Dengue: 26.824 contagi, l'intera popolazione del Paese è in grave pericolo

    ◊   Nei primi sette mesi e mezzo di quest'anno sono morte 192 persone a causa della febbre emorragica dengue. E' quanto riporta l'Asian Human Rights Commission (Ahcr). Il numero totale delle persone contagiate è di 26.824 e l'intera popolazione dello Sri Lanka è in grave pericolo. Tuttavia non sono state ancora prese misure di sicurezza per combattere la diffusione di questa malattia mortale che ha colpito quasi tutti i distretti del paese, e in particolare sta minacciando l'intera popolazione, ricchi e poveri, da Jaffna nord a Matara sud e da Batticaloa est a Colombo ovest e Kandy Central. Secondo le cifre, importanti epidemie di dengue si verificano in media ogni cinque o sei mesi a causa dei cicli stagionali. Nella seconda metà del 2009 nello Sri Lanka si è registrata la situazione più allarmante mai avuta prima, con 349 decessi e circa 22 mila contagi. Le attuali condizioni climatiche, l'inquinamento ambientale, la rapida urbanizzazione, l'affollamento delle città costituiscono un buon habitat per i mosquitos e favoriscono la diffusione della malattia. La dengue - riferisce l'agenzia Fides - è endemica in oltre 100 paesi ed è particolarmente diffusa in molte aree tropicali come l'Argentina e l'Australia settentrionale, il Bangladesh, le Barbados, la Bolivia, il Belize, il Brasile, la Cambogia, la Colombia, il Costa Rica, Cuba, la Repubblica Dominicana, la Polinesia Francese, Guadalupe, El Salvador, Guatemala, Guyana, Haiti, Honduras, India, Indonesia, Giamaica, Laos, Malesia, Melanesia, Messico, Micronesia, Nicaragua, Pakistan, Panama, Paraguay, Filippine, Porto Rico, Samoa, Arabia Saudita Occidentale, Singapore, Sri Lanka, Suriname, Taiwan, Tailandia, Trinidad, Venezuela e Vietnam, e continua ad aumentare nella Cina meridionale. Le zone più gravemente colpite sono l'Asia sud orientale e il Pacifico occidentale. Secondo l'Organizzazione Mondiale della sanità circa 2.5 miliardi di persone, due quinti dell'intera popolazione mondiale, sono a rischio dengue e si stimano 50 milioni di casi in tutto il mondo ogni anno. Attualmente la malattia è endemica in oltre 100 paesi. (R.P.)

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    Filippine: dopo il sequestro del bus a Manila, la Chiesa chiede la riforma delle Forze dell’Ordine

    ◊   Dopo il sanguinoso epilogo a Manila del sequestro di un autobus, che ha provocato la morte di otto turisti di Hong Kong oltre al sequestratore, i presuli delle Filippine rivolgono un appello al Governo di Manila affinché proceda nella riforma delle Forze dell’Ordine. In un articolo pubblicato ieri sul sito della Conferenza dei vescovi cattolici filippini (Cbcp) - di cui riferisce L’Osservatore Romano - si riportano dichiarazioni di alcuni esponenti ecclesiali. Il cardinale Ricardo Vidal, arcivescovo di Cebu si dice convinto che si debba procedere celermente ad una revisione delle procedure di addestramento dei reparti di Polizia, anche per capire quanto non ha funzionato nel corso del sequestro dell'autobus, conclusosi in modo così cruento nonostante il grande impegno per avviare una pacifica trattativa con il sequestratore, il quale chiedeva di ricevere giustizia per l'iniquo trattamento subìto quando egli stesso era un membro della Polizia. Il cardinale Vidal esprime sentimenti di profondo cordoglio per le vittime e sottolinea che bisogna comprendere e perdonare il risentimento espresso dai familiari cinesi in alcune interviste rilasciate ai media nazionali. Mons. Nereo Odchimar, vescovo di Tandag e presidente delle Conferenza episcopale delle Filippine, auspica l’impegno dei cattolici perché sia sconfitta una mentalità di prepotenza che genera ingiustizie, che possono essere motivo - in soggetti psicologicamente fragili - per una spropositata reazione. Il presule esprime la speranza che quanto è successo a Manila non provochi sentimenti di forte ostilità da parte degli abitanti cinesi di Hong Kong nei confronti dei tanti lavoratori filippini che lavorano in quel territorio. Mons. Reynaldo Evangelista, vescovo di Boac, esorta le autorità di Manila a fare tutto il possibile per migliorare il funzionamento dello Stato sia per quanto riguarda le Forze di polizia sia procedendo alla riforma dell'apparato burocratico che, attualmente, è fortemente condizionato dalla vasta corruzione dei dipendenti. (R.G.)

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    Usa: petizione in difesa della libertà delle organizzazioni religiose

    ◊   Oltre cento organizzazioni religiose hanno esortato i membri del Congresso degli Stati Uniti a respingere un disegno di legge che vieta anche alle associazioni confessionali di considerare l'appartenenza religiosa nell'assunzione di propri dipendenti. Una lettera è stata congiuntamente approvata da gruppi quali World Vision, Association of Gospel Rescue Missions, la Conferenza episcopale degli Stati Uniti e l'unione delle Congregazioni ebraiche ortodosse d'America. Secondo Anthony R. Picarello Jr., consigliere generale della Conferenza episcopale degli Stati Uniti, "Impedire di assumere una persona in un luogo di lavoro in base alla sua appartenenza religiosa, viola il principio stesso della libertà religiosa, e costituisce una consuetudine negativa nella fornitura di servizi sociali". Il disegno di legge - riferisce L'Osservatore Romano - prevede anche il divieto di finanziamento federale per le associazioni, qualora si ponga quale discriminante per l'assunzione in un luogo di lavoro l'appartenenza religiosa. I gruppi religiosi sostengono che se il congresso varasse tale disegno di legge si sarebbe di fronte ad "una manomissione della libertà di religione". "La nostra Nazione ha bisogno di beneficenza religiosa", ha detto Richard Stearns, presidente di World Vision. "Per decenni, abbiamo invocato e beneficiato sovvenzioni federali. Non vi è nessuna buona ragione, né una convincente giustificazione giuridica, mettere a repentaglio le organizzazioni e, soprattutto, le persone che offrono un qualificato servizio sociale". Nella lettera i gruppi chiedono "che sia consentito ai datori di lavoro religiosi di assumere e preferire personale che condivida le loro convinzioni religiose e la loro stessa missione". Tale diritto di assumere persone appartenenti alla stessa fede religiosa non "è un'eredità politica dell'amministrazione di George W. Bush. Tale diritto è stato codificato anche da due amministrazioni democratiche precedenti". (R.P.)

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    Bolivia: Scuola di animazione missionaria per adolescenti

    ◊   Inizia il 2 e durerà fino al 5 settembre la "Scuola missionaria per adolescenti", rivolta ai giovani missionari che vogliono diventare “guide” per l'animazione missionaria. La scuola infatti ha l'obiettivo di preparare i giovani nel campo della formazione, dell’organizzazione e della cooperazione missionaria perchè siano in grado di guidare i gruppi di bambini e adolescenti, partendo sempre dai principi cristiani fondamentali. In questa occasione le attività si svolgeranno nella Scuola Virgen del Mar della diocesi di Oruro e vi potranno partecipare i giovani della zona dell'Altopiano della Bolivia: La Paz, Coroico, Coro Coro, Oruro e El Alto. Secondo le informazioni pervenute all’agenzia Fides, il programma della scuola intende realizzare alcuni obbiettivi specifici: l'incontro personale con Cristo; la promozione dell'impegno missionario partendo dall’esperienza della scuola di Gesù; aiutare ed indirizzare gli adolescenti nel lavoro; condividere l'esperienza missionaria; offrire nuovi metodi per l'animazione missionaria, per l'organizzazione delle attività missionaria e per la formazione e la cooperazione. Si cercherà, in modo particolare, di motivare nuovi operatori per dare vita a nuove “scuole” per adolescenti (Elma, “Escuela de Liderazgo Misionero para Adolescentes”) e di promuovere il lavoro di comunicazione, coordinamento e cooperazione fra le diverse comunità della zona. Tra le diverse attività annunciate nel programma, da sottolineare i momenti di preghiera, di condivisione e di formazione. Si tratteranno temi come la Spiritualità Missionaria, le Pontificie Opere Missionarie, a Scuola con Gesù, i fondamenti della Missione, Essere adolescente oggi... L’incontro terminerà con una marcia missionaria e una Eucaristia Missionaria, domenica 5 settembre. (R.P.)

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    Caritas Singapore: “Costruire un clima di giustizia”

    ◊   Donare con generosità “non è abbastanza. Dobbiamo impegnarci per cambiare i sistemi della nostra società, aiutando gli svantaggiati a migliorare la propria situazione”. E’ il tema con cui la Caritas Singapore ha aperto la propria Conferenza annuale sulla missione sociale, iniziata lo scorso 21 agosto. All’incontro hanno partecipato oltre 600 persone, provenienti dai vari ambienti di lavoro sociale nel Paese. La Conferenza - riferisce l'agenzia AsiaNews - ha sottolineato come, secondo la Chiesa cattolica, esiste una chiara distinzione fra carità e giustizia. La prima significa un lavoro a sostegno di chi ha bisogno, mentre la seconda tende a risolvere le ingiustizie e le ineguaglianze della società affrontandone le cause. La giustizia non è un bonus: essa, infatti, riporta i diritti di base alla popolazione. Questa distinzione, hanno detto i partecipanti, diventa importante quando analizziamo il nostro lavoro. Secondo il decreto sull’apostolato dei laici del Concilio Vaticano II, infatti, “ciò che è già dovuto nella giustizia non deve essere presentato come un dono della carità”. Lesley-Anne Knight, una delle relatrici, ha spiegato che “la Caritas cerca di creare un clima di giustizia. Oltre a chiedere il taglio delle emissioni nocive, ad esempio, vogliamo soluzioni che mettano in primo piano i bisogni delle nazioni povere”. Fra gli altri, sono intervenuti all’incontro anche l’arcivescovo Nicholas Chia, il vicario generale David Cappo e il presidente di Caritas Singapore, Willie Cheng. (R.P.)

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    Francia: secondo i primi dati ufficiali evacuati 128 campi ed espulsi 977 rom

    ◊   Dal 28 luglio ad oggi, in Francia, sono stati evacuati 128 campi nomadi e 977 Rom sono stati espulsi dal territorio francese e riaccompagnati nei loro Paesi di origine, soprattutto in Romania. Ecco i “dati” ufficiali delle “misure di evacuazione” decisi dal governo del presidente Nicolas Sarkozy. A fare il punto è stato questa mattina in conferenza stampa il ministro dell’interno Brice Hortefeux, a poche ore dall’incontro che nel pomeriggio avrà con l’arcivescovo André Vingt-Trois. Nel dare ragione delle misure intraprese, il ministro Hortefuex ha detto che è “dovere morale” della Francia, “proteggere i francesi dall’insicurezza”. Nel pomeriggio - riferisce l'agenzia Sir - il ministro incontrerà il cardinale Vingt-Trois invitato in seguito alle critiche che la Chiesa cattolica francese aveva manifestato. A prendere per primi la parola, in un comunicato del 28 luglio, erano stati i vescovi mons. Raymond Centène e mons. Claude Schockert, responsabili degli uffici per la pastorale dei migranti. “Non possiamo rassegnarci a vedere i rom e i nomadi vittime di pregiudizi e confusioni, capri espiatori designati dalle difficoltà della nostra società. Siamo convinti che il rimedio alla paura e all’insicurezza - avevano affermato - non si trova in una recrudescenza della sicurezza ma passa attraverso un’azione di lunga durata nutrita di rispetto e conoscenza reciproca”. (R.P.)

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    Forum dei cattolici tedeschi a Fulda: solidarietà ai cristiani perseguitati

    ◊   “Avere coraggio per la missione”: con questo appello, pronunciato dal vescovo di Limburgo, mons. Franz-Peter Tebartz-van-Elst si è concluso domenica a Fulda, in Germania, il X Congresso del Forum dei cattolici tedeschi. Tema di questa edizione 2010 è stato “La Chiesa a servizio della verità e segno di contraddizione”. La Messa finale, celebrata presso il duomo cittadino, è stata presieduta dal prefetto della Congregazione per l'educazione cattolica, cardinale Zenon Grocholewski. Nella risoluzione finale approvata dai circa 1.600 partecipanti, al termine di tre giorni di incontri, si esortano i cattolici a difendere la Chiesa. "In considerazione di un deterioramento drammatico della fede cattolica e della cultura cristiana in Germania occorre rinnovare la capacità di testimonianza cristiana", si legge nel documento dell’organizzazione fondata nel 2000. La dichiarazione – riferisce l’agenzia Sir - sollecita ad opporsi “contro tutti i tentativi di rimuovere la Chiesa dalla vita pubblica e di screditare" la fede cristiana. Il 28 agosto è stato inoltre diffuso un appello ad una maggiore solidarietà nei confronti dei cristiani perseguitati in tutto il mondo. (R.G.)

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    Giornata della cultura ebraica: il 5 settembre in 28 Paesi europei e 62 città italiane

    ◊   Una giornata alla scoperta e alla conoscenza della cultura ebraica per “favorire il dialogo e l’incontro, sfatare qualche pregiudizio e abbattere qualche ‘barriera’”. Si presenta così l’XI edizione della Giornata europea della cultura ebraica che si celebra domenica 5 settembre, il 26 Elul 5770 del calendario ebraico. Coordinata in Italia dall’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, la manifestazione - riferisce l'agenzia Sir - si svolgerà in 28 Paesi europei e vedrà coinvolte in Italia 62 località. Lo scorso anno, solo in Italia, oltre 60mila persone hanno preso parte alle manifestazioni. “Arte ed ebraismo” è il tema scelto quest’anno: un binomio che darà vita a percorsi d’arte, mostre e itinerari tematici in tutta la penisola. Con la possibilità di scoprire le opere di artisti ebrei, l’architettura e le decorazioni delle Sinagoghe, i resti archeologici, i ghetti e le giudecche storiche, i musei, le catacombe ebraiche; e poi ancora le esposizioni di libri antichi, le ketubboth (particolarissimi contratti matrimoniali ebraici miniati), l’artigianato e molto altro. Livorno – città natale del rabbino capo emerito di Roma Elio Toaff - è quest’anno città ‘capofila’ delle manifestazioni. A Livorno la Giornata si aprirà con la fanfara dell’Accademia Navale, il saluto delle autorità e l’avvio ufficiale delle iniziative in tutta Italia. Patria di rabbini, scrittori e artisti ebrei, Livorno è anche la città natale di Amedeo Modigliani (tra i massimi esponenti dell’arte del ‘900, nato proprio in una famiglia ebraica livornese) al quale sarà dedicata insieme a Marc Chagall una esposizione d’arte. Sempre per gli appassionati d’arte, a Firenze è stato organizzato un bellissimo itinerario ebraico nei luoghi d’arte della città, tra gli Uffizi, il Gabinetto Viesseux, la Galleria d’Arte Moderna Pitti, antichi palazzi e musei. A Torino, è invece previsto un percorso ebraico con passeggiata storica dal Ghetto vecchio alla Mole Antonelliana, la “sinagoga mancata” di Torino. Anche a Venezia ci sarà la possibilità di visitare il ghetto e gli altri suggestivi luoghi ebraici con visite guidate, negozi di artigianato, degustazioni e concerti. Ma per il programma completo delle manifestazioni si può visitare il sito www.ucei.it/giornatadellacultura, che permette di costruire e sperimentare gli itinerari più diversi, a seconda dei propri gusti e della propria sensibilità. (R.P.)

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    24 Ore nel Mondo



    Da oggi l’Iraq è sovrano e indipendente: così il premier iracheno saluta le ultime truppe combattenti Usa

    ◊   Il presidente statunitense, Barack Obama, sancirà questa sera con un discorso alla nazione la data simbolica della fine delle operazioni di combattimento in Iraq, dopo sette anni di presenza nel Paese. Da oggi, le truppe Usa in Iraq sono meno di 50 mila unità e la loro missione è quella di consigliare e sostenere l’esercito iracheno. Il premier iracheno al Maliki ha detto che l’Iraq ora è sovrano e indipendente”. Ma qual è la situazione in questo momento nel Paese? Linda Giannattasio lo ha chiesto a mons. Louis Sako, arcivescovo di Kirkuk dei Caldei:

    R. – E’ una situazione di attesa con tanta attenzione. Tutti aspettano che cosa accadrà dopo la partenza degli americani. C’è paura dappertutto, perché finora il nuovo governo non è stato formato. Dunque, tutti adesso hanno paura che i terroristi estremisti rientrino e controllino le città. C’è una grande tensione, un vuoto politico e insicurezza. Gli americani hanno cambiato il regime, ma poi che cosa è successo...

    D. – Di cosa avete bisogno, quanto è necessaria la presenza della comunità internazionale?

    R. – Abbiamo bisogno di una sicurezza, stabilità interna Ma anche l’impatto dei Paesi vicini è molto grande e dunque va rispettata l’unità nazionale irachena e anche l’identità di un Paese.

    D. – Questa sera, ci sarà il discorso di Obama e con questo discorso si segnerà la fine delle operazioni di combattimento in Iraq, lei cosa pensa di questo?

    R. – Non si sa realmente quanti andranno via e quanti rimarranno. E’ una decisione irresponsabile, secondo me. Sono venuti per la democrazia e così ci lasciano dopo sette anni, senza realizzare tutto ciò che hanno detto.

    D. – Lei ha ribadito che il ritiro statunitense aumenta la paura degli iracheni per una guerra civile…

    R. – Perché sia l’esercito che la polizia sono stati formati in maniera settaria, sono gruppi etnici. Dunque, la fedeltà non è alla nazione, alla patria, ma è una fedeltà politica, e questo crea problemi. Poi, soprattutto, c’è purtroppo una tendenza anche psicologica che spinge per la divisione, sia al nord sia al sud. Non si sa, quindi, se saremo una federazione o altro. Ci sono poi tanti fattori anche all’estero e la frontiera dell’Iraq non è protetta, non ha la possibilità di proteggere le frontiere e quando gli americani andranno via chi potrà proteggere le frontiere? Allora gli altri potranno rientrare di nuovo e fare tutto ciò che vogliono.

    In Pakistan, nuove aree inondate anche se la situazione generale migliora
    Nonostante la piena dell'Indo stia lentamente regredendo, oggi nuove aree della provincia del Sindh sono state inondate. Secondo quanto riferiscono i media locali, una nuova breccia in uno sbarramento ha causato l'allagamento di un centinaio di villaggi nel distretto di Badin. La Marina militare pakistana è al lavoro per portare in salvo la popolazione. L'area si trova a est di Thatta, la storica città evacuata quattro giorni fa e scampata alle inondazioni. Dopo aver flagellato negli ultimi dieci giorni il bacino dell'Indo e minacciato la metropoli di Hyderabad, la piena sta confluendo lentamente nel mare Arabico. Rimane però l'emergenza per otto milioni di alluvionati, che secondo l'Onu hanno disperato bisogno di cibo, acqua pulita e medicine. Stamattina, il direttore dell'Unicef, Anthony Lake e quello del Pam, Josette Sheeran, hanno visitato un campo di accoglienza degli alluvionati nella provincia del Punjab. Insieme al responsabile dell'Unesco, Irina Bokova, e all'inviato speciale dell'Onu, Jean-Maurice Ripert, terranno una conferenza stampa a Islamabad nel pomeriggio per fare il punto sulla crisi.

    Netanyahu partito per Washington: giovedì riprendono i negoziati mediorientali
    Tutto pronto a Washington per i colloqui diretti israelo-palestinesi, interrotti dopo l'offensiva israeliana nella Striscia di Gaza a fine 2008 e fortemente voluti dall’Amministrazione americana. Il presidente Obama incontrerà in un primo momento separatamente il premier israeliano, Nethanyahu, il leader palestinese, Abu Mazen, il presidente egiziano, Mubarak, ed il re di Giordania, Abdullah II. Giovedì prossimo, invece, sono previsti i colloqui diretti tra le delegazioni israeliana e palestinese, sotto l'egida del segretario di Stato americano, Hillary Clinton. Ma cosa si può attendere da questa fase di ripresa dei negoziati? Salvatore Sabatino lo ha chiesto a Giorgio Bernardelli, esperto di questioni mediorientali:

    R. - Quello che si aprirà fra poche ore è l’inizio di un percorso che sarà molto lungo. La stessa Hillary Clinton ha poco fa che l’attesa è di una serie di incontri che dovrebbero fare chiarezza. E' evidente, le incertezze sono tante.

    D. - Netanyahu insiste sulla sicurezza e sul riconoscimento di Israele come Stato ebraico e Abu Mazen, da parte sua, non intende trovare un punto di incontro sulla colonizzazione in Cisgiordania e a Gerusalemme Est. Come concilierà gli Stati Uniti queste posizioni?

    R. - Il test sugli insediamenti è il test più importante: su questo punto l’autonomia palestinese non è disposta a cedere, perché rappresenta una questione sostanziale rispetto al futuro del Medio Oriente. Dall’altra parte, però, neanche Netanyahu può cedere, perché nel momento in cui dovesse prolungare questo blocco - che è stato dichiarato per 10 mesi - il suo governo il giorno dopo andrebbe in frantumi. Come si esce da questo vicolo cieco? Probabilmente, il tentativo che Netanyahu farà sarà quello di dire che riprenderà la costruzione degli insediamenti, ma solo all’interno dei cosiddetti “blocchi”, che sono le colonie Cisgiordania più grandi, quelle che già in tutte le ipotesi precedenti di negoziato erano previste che finissero, nello status finale, dentro lo Stato di Israele, con delle compensazioni territoriali in altre zone.

    D. - Il ministro degli Esteri israeliano, Liberman, ha deciso di restare in Israele, essendo scettico circa l’esito delle trattative. Questo vuol dire che ci sono anche divisioni interne importanti?

    R. - Ci sono fortissime divisioni interne. Il pallino di questo negoziato lo ha in mano Barak e già questo rappresenta un fatto inconsueto. Questo è il risultato del governo assolutamente anomalo che c’è oggi in Israele e che è molto meno compatto di quanto sembri. Se questo negoziato dovesse andare avanti, difficilmente andrà avanti con questo governo, proprio perché le posizioni al suo interno sono inconciliabili.

    Il regista iraniano Panahi condanna ogni uccisione parlando del caso Sakineh
    “Non posso condividere condanne di questo genere. Sono contrario a ogni uccisione anche di fronte alla peggiore colpa”. A parlare è Jafar Panahi, il regista iraniano arrestato lo scorso anno e rilasciato dopo 83 giorni di detenzione, su cauzione, con l'accusa di girare un film sulle manifestazioni dell'Onda Verde, contro il regime di Teheran. Il regista, in due interviste ai quotidiani italiani Corriere della Sera e Repubblica, racconta di essere contrario alla condanna di Sakineh, la donna iraniana che rischia la lapidazione per adulterio, per la quale è partita una mobilitazione internazionale.

    Venti anni fa la firma per la riunificazione della Germania
    Nel 1990, la Germania firmava il Trattato per la riunificazione tedesca, uno dei momenti più importanti della storia recente del Paese, primo passo della fine della Guerra fredda. Oggi, anche all'interno del governo tedesco, c'è chi è disposto a riconoscere le lacune di un processo di integrazione non del tutto completato. Il servizio di Elisa Castellucci:

    La Germania celebra la firma del Trattato che è stato preliminare alla caduta del Muro di Berlino. L’unità tedesca non è stata ancora completamente raggiunta, la disoccupazione ad Est è ancora preoccupante. A venti anni dalla firma del Trattato per la riunificazione, il cancelliere, Angela Merkel, dichiara che il processo di unità non si è ancora concluso e che la nazione presenta ancora molte differenze. La popolazione dell’ex Ddr continua ad emigrare verso le regioni dell’Ovest, in cerca di maggiore fortuna e lavoro. Il ministro dell’Interno, Thomas de Maizeire, riconosce le lacune della politica tedesca pos-Guerra fredda. “Con il senno di poi - dichiara - sarebbe stato meglio non trasferire l’intero sistema della politica della Germania occidentale alla Germania orientale tutto in una volta”. Ma le maggiori differenze si concretano oggi nel mondo del lavoro. Negli ultimi venti anni, la popolazione delle regioni orientali è scesa da 16 a 13 milioni circa. Quasi 4 (3,8) milioni di persone hanno scelto regioni come la Baviera, l’Assia e il Nord del Reno-Westfalia. Secondo le previsioni dell’Ufficio di statistica, nel 2030 gli abitanti dell’ex Ddr saranno circa 11 milioni. Oggi, si ricorda la firma del Trattato ma le celebrazioni per i vent’anni della riunificazione si terranno il 3 ottobre, il giorno in cui i territori dell’ex Ddr si trasformavano in Land, e si univano alla Repubblica Federale Tedesca.

    Otto morti e un arresto eccellente per il narcotraffico in Messico
    È salito a otto morti – un soldato, un civile e sei presunti narcotrafficanti – il bilancio del susseguirsi di scontri a fuoco ieri a Panuco, nello Stato messicano di Veracruz, tra forze dell'esercito e un gruppo di malavitosi provenienti dal vicino Stato di Tamaulipas, dove pochi giorni fa è stata trovata una fossa comune con 72 corpi di migranti uccisi dai narcos. Intanto, il capo di uno dei principali cartelli del narcotraffico messicano, Edgar Valdez, detto “la Barbie”, è stato arrestato. Valdez era uno dei luogotenenti più vicini ad Arturo Beltran Leyva, capo dell'omonimo cartello e terzo uomo più ricercato del Paese, ucciso il 16 dicembre 2009 durante un'operazione militare.

    In Arizona i soldati della Guardia nazionale per controllare il confine col Messico
    Sono giunti in Arizona i primi 30 soldati della Guardia nazionale destinati ad essere schierati al confine col Messico per bloccare i trafficanti e gli immigrati illegali. Sono oltre 500 i membri della Guardia nazionale attesi in Arizona. Dopo tre settimane di addestramento, i militari saranno dislocati di vedetta nelle zone preferite dai trafficanti per attraversare illegalmente il confine. I membri della Guardia nazionale saranno armati (“per autodifesa”), ma non avranno il potere di fare arresti. (Panoramica internazionale a cura di Fausta Speranza e Elisa Castellucci)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIV no. 243

    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sulla home page del sito www.radiovaticana.va/italiano.

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