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Sommario del 27/08/2010

Il Papa e la Santa Sede

  • L’interpretazione del Concilio Vaticano II al centro dell’incontro del Papa con i suoi ex allievi
  • Santa Sede. Messaggio per la fine del Ramadan: cristiani e musulmani insieme contro le violenze interreligiose
  • Il cardinale Tauran al Meeting di Rimini: passare dalla paura dell'altro alla paura per l'altro
  • Commozione e gratitudine nelle tante cerimonie per i 100 anni della nascita di Madre Teresa
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Violenza e caos in Somalia: civili in fuga da Mogadiscio
  • Alluvioni in Pakistan: 3 operatori umanitari uccisi dai talebani
  • Appello dell'Onu contro lo stupro di massa nella Repubblica Democratica del Congo
  • Il Sermig all'Aquila per il terzo "Appuntamento Mondiale Giovani della Pace"
  • A Stresa l’undicesimo corso dei Simposi rosminiani sul tema dell'unità d'Italia
  • La Chiesa celebra la memoria liturgica di Santa Monica, madre di Sant'Agostino
  • Chiesa e Società

  • I vescovi messicani: nessuna impunità per la strage degli immigrati
  • India: in Orissa ucciso ex leader indù convertito al cristianesimo
  • Indonesia: incontro tra cristiani, buddisti e musulmani per esigere tolleranza dagli estremisti
  • Il nunzio ad Haiti: prioritario l'aiuto ai terremotati
  • Cile: la Chiesa chiede un dialogo urgente con i 32 mapuches in sciopero della fame
  • I vescovi latinoamericani sulla Pastorale afroamericana: è strumento di integrazione sociale
  • I cattolici russi ricordano la Beata Madre Teresa di Calcutta
  • I vescovi Usa soddisfatti per il no ai finanziamenti alle ricerche sugli embrioni
  • Messaggio del Patriarca Bartolomeo per la Giornata per la salvaguardia del creato
  • Senegal: è morto mons. Coly, uomo di pace nella regione della Casamance
  • Usa: i luterani divisi sul tema dell’omosessualità nel clero
  • Il Sinodo Valdese apre delle coppie gay ma con il consenso delle comunità locali
  • Sinodo greco-ortodosso di Antiochia: la priorità è la formazione dei giovani
  • Francia: il bisogno di Dio al centro degli “Stati generali del cristianesimo”
  • Myanmar: l’arcidiocesi di Yangon punta all’indipendenza economica entro il 2020
  • Gabon: presentato il nuovo sito Internet della Chiesa cattolica locale
  • 24 Ore nel Mondo

  • L’Onu alla Francia: no ai rimpatri collettivi dei Rom
  • Il Papa e la Santa Sede



    L’interpretazione del Concilio Vaticano II al centro dell’incontro del Papa con i suoi ex allievi

    ◊   Al via oggi, presso il Centro Mariapoli a Castel Gandolfo, il tradizionale incontro estivo degli ex studenti di Benedetto XVI, il cosiddetto Ratzinger Schülerkreis: al centro del seminario, che dura tre giorni e si tiene a porte chiuse, è il tema dell'ermeneutica, ovvero l’interpretazione, del Concilio Vaticano II. I partecipanti sono una quarantina, tutti ex allievi del professor Ratzinger, che hanno discusso le loro tesi con lui negli anni in cui era docente in Germania. Relatore principale è l'arcivescovo Kurt Koch, già vescovo di Basilea, nominato lo scorso primo luglio presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani. Il presule svolge due interventi: il primo su "Il Concilio Vaticano II tra tradizione e innovazione. L'ermeneutica della riforma tra l'ermeneutica di una continuità con rottura e di una continuità non storica"; il secondo su "Sacrosanctum concilium e la riforma postconciliare della liturgia". Oggi e domani, dopo la relazione dell'arcivescovo Koch, è prevista una libera discussione sull'argomento, alla quale prende parte anche il Pontefice. Domenica mattina il momento culminante: gli ex allievi parteciperanno alla celebrazione eucaristica presieduta da Benedetto XVI al Centro congressi Mariapoli. Il nome del relatore principale e il tema dell'incontro - come riferisce all’Osservatore Romano il salvatoriano Stephan Horn, presidente dell'associazione degli ex allievi del Papa - sono stati indicati e approvati dallo stesso Benedetto XVI tra una rosa di scelte possibili propostagli dagli organizzatori. La maggioranza dei partecipanti proviene dalla Germania e dall'Austria. Oltre a questi, vi sono anche un italiano, un irlandese, un olandese, una coreana e un indiano. Tra i presenti figurano anche il cardinale Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna, il vescovo ausiliare di Amburgo Hans-Jochen Jaschke, docenti, parroci, religiosi, religiose e laici. Il primo incontro di Ratzinger con i suoi ex allievi avvenne nel marzo 1977, quando fu nominato arcivescovo di Monaco e Frisinga. Da quel giorno l'appuntamento si ripete con cadenza annuale su un tema particolare: l’anno scorso si è parlato della missione ad gentes. Quest’anno, dunque, viene affrontato l’argomento del Concilio Vaticano II, la cui piena attuazione Benedetto XVI ha posto tra le priorità del suo Pontificato. Ce ne parla Sergio Centofanti.

    Il Papa, sin dall’inizio del suo Pontificato, afferma la sua “decisa volontà di proseguire nell’impegno di attuazione del Concilio Vaticano II”, ai cui lavori partecipò come consulente dell’arcivescovo di Colonia. Nello stesso tempo non nasconde le difficoltà di recezione dei documenti conciliari nella comunità ecclesiale. Nel celebre discorso alla Curia Romana del 22 dicembre 2005, ne spiega i motivi:

    “I problemi della recezione sono nati dal fatto che due ermeneutiche contrarie si sono trovate a confronto e hanno litigato tra loro. L'una ha causato confusione, l'altra, silenziosamente ma sempre più visibilmente, ha portato frutti. Da una parte esiste un'interpretazione che vorrei chiamare ‘ermeneutica della discontinuità e della rottura’; essa non di rado si è potuta avvalere della simpatia dei mass-media, e anche di una parte della teologia moderna. Dall'altra parte c'è l'‘ermeneutica della riforma’, del rinnovamento nella continuità dell'unico soggetto-Chiesa, che il Signore ci ha donato; è un soggetto che cresce nel tempo e si sviluppa, rimanendo però sempre lo stesso, unico soggetto del Popolo di Dio in cammino”.

    Il Papa ricorda che, nel definire in modo nuovo il rapporto tra Chiesa ed epoca moderna, il Concilio aveva manifestato di fatto “una qualche forma di discontinuità” rispetto al passato, ma in realtà senza mai abbandonare “la continuità nei principi”, in una felice “sintesi di fedeltà e dinamica”:

    “Il Concilio Vaticano II, con la nuova definizione del rapporto tra la fede della Chiesa e certi elementi essenziali del pensiero moderno, ha rivisto o anche corretto alcune decisioni storiche, ma in questa apparente discontinuità ha invece mantenuto ed approfondito la sua intima natura e la sua vera identità”.

    Benedetto XVI, nella Lettera ai vescovi cattolici per la questione lefebvriana (10 marzo 2009) richiama tutti a rispettare il Concilio: i tradizionalisti non devono “congelare” l’autorità magisteriale al 1962; e a quanti “si segnalano come grandi difensori” del Vaticano II ricorda che questo evento “porta in sé l’intera storia dottrinale della Chiesa”: perciò, “chi vuole essere obbediente al Concilio, deve accettare la fede professata nel corso dei secoli e non può tagliare le radici di cui l’albero vive”. Il Papa ribadisce che “la Chiesa è, tanto prima quanto dopo il Concilio, la stessa Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica in cammino attraverso i tempi; essa prosegue ‘il suo pellegrinaggio fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio’”, annunziando la morte e risurrezione di Cristo per la salvezza di tutti gli uomini. E nell’Angelus del 30 ottobre 2005 lancia un appello a tutti i fedeli a tenere vivo lo spirito del Concilio:

    “Cari fratelli e sorelle, mentre vi invito a riprendere tra le mani questi documenti, vi esorto a pregare insieme con me la Vergine Maria, affinché aiuti tutti i credenti in Cristo a tenere sempre vivo lo spirito del Concilio Vaticano II, per contribuire ad instaurare nel mondo quella fraternità universale che risponde alla volontà di Dio sull’uomo, creato a immagine di Dio”.

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    Santa Sede. Messaggio per la fine del Ramadan: cristiani e musulmani insieme contro le violenze interreligiose

    ◊   La festa che conclude il Ramadan costituisce un’occasione propizia per rivolgere ai fedeli musulmani “cordiali auguri di pace e di gioia”. E’ quanto si legge nel messaggio per la fine del Ramadan del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso. Nel testo, firmato dal presidente del dicastero, cardinale Jean-Louis Tauran, e dal segretario del medesimo Pontificio Consiglio, arcivescovo Pier Luigi Celata, si sottolinea che “gli incontri amichevoli” di questi giorni tra fedeli islamici e credenti di altre religioni, specialmente cristiani, offrono l’occasione per rafforzare il dialogo e la cooperazione. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

    Il tema scelto quest’anno dal Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, “Cristiani e Musulmani: insieme per vincere la violenza tra fedeli di religioni diverse”, invita a riflettere sulle cause che portano in varie parti del mondo ad una drammatica strumentalizzazione della religione. Alcune di queste cause sono “la manipolazione della religione a fini politici o di altro tipo, la discriminazione sulla base dell’etnia o dell’identità religiosa, le divisioni e le tensioni sociali”. Ma anche l’ignoranza, la povertà, il sottosviluppo, l’ingiustizia “sono fonti dirette o indirette di violenza non solo tra comunità religiose, ma anche al loro interno”. “Possano le autorità civili e religiose – si legge nel messaggio - offrire il proprio contributo per porre rimedio a simili situazioni in vista del bene comune di tutta la società”.

    Per rimuovere queste cause e arginare la violenza tra fedeli di religioni diverse si devono “aprire i cuori al perdono reciproco e alla riconciliazione per una convivenza pacifica e fruttuosa”. Si deve anche riconoscere e rispettare “la dignità e i diritti di ogni essere umano, senza nessuna distinzione basata sull’appartenenza etnica o religiosa”. Particolare rilevanza – si sottolinea poi nel messaggio – si deve dare “alla formazione al rispetto, al dialogo e alla fratellanza nei vari spazi educativi: a casa, a scuola, nelle chiese e nelle moschee”. “L’insegnamento dei capi religiosi, ma anche i testi scolastici che siano attenti a presentare le religioni in maniera oggettiva, rivestono, come l’insegnamento nel suo insieme, un’importanza decisiva nell’educazione e nella formazione dei giovani”. In tal modo – si legge infine nel messaggio - sarà possibile promuovere la pace e l’armonia tra le varie comunità religiose.

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    Il cardinale Tauran al Meeting di Rimini: passare dalla paura dell'altro alla paura per l'altro

    ◊   Il dialogo fra le religioni al centro stamani del Meeting di Rimini. “Chi crede si incontra” il titolo della conferenza nel corso della quale sono intervenuti il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, Shodo Habukawa, monaco buddista e docente alla Koyasan University, e Tareq Oubrou, imam della Moschea di Bordeaux. Sull'incontro Debora Donnini ha intervistato lo stesso cardinale Tauran:

    R. – Io ho cercato di mostrare che, prima di tutto, non sono le religioni che dialogano, ma i credenti: persone del tutto normali, dunque, con problemi comuni. E queste persone, poiché sono credenti, hanno un patrimonio di valori comuni che permette di capire che non solo siamo fratelli, ma anche figli di Dio. Quando si crede, per esempio, che ogni persona umana ha ricevuto dal Creatore una dignità unica, quando uno crede nel servire il prossimo, una persona che non abbiamo scelto, quando si crede che la Terra e le sue risorse sono affidate alla gestione degli uomini per servire il bene comune: tutto questo fa sì che si abbiano molte cose da dire in comune e da fare in comune. Le religioni non sono fonti di divisione, sono i credenti che tradiscono, talvolta, questo patrimonio. Allora chi crede e si incontra deve essere un credente coerente, in modo da portare avanti quattro compiti: una pedagogia del vivere assieme, una proposta etica - dobbiamo avere il coraggio di distinguere il bene e il male, di ricordare i diritti e i doveri - poi una passione per servire e, infine, una condotta di cittadini responsabili, perché siamo credenti e cittadini. Non siamo credenti o cittadini, ma siamo credenti e cittadini. E, ovviamente, la cosa ancora più importante è la testimonianza religiosa, perché noi non diffondiamo valori umanisti: noi cristiani diffondiamo soprattutto valori evangelici. E allora direi che noi credenti abbiamo appuntamento con la storia di oggi ed è importante far capire ai nostri fratelli dell’umanità ciò che vedo qui davanti a noi, il “Portico della gloria”: in fondo al cammino c’è Qualcuno che ti aspetta. Penso che questo sia il messaggio che noi tutti credenti abbiamo da dare a tutti.

    D. – Il dialogo fra le religioni, anzi fra i credenti delle varie religioni, è importante anche per la costruzione della pace...

    R. – Certo, perché se non siamo capaci di vivere in pace all’interno delle nostre comunità, tra noi credenti, vuol dire che la pace è impossibile e noi sappiamo che è possibile. Io dico sempre che Dio ci ha fatto due grandi doni: un’intelligenza per capire e un cuore per amare, e con la nostra intelligenza e il nostro cuore possiamo cambiare il mondo.

    D. – Infatti, il titolo del Meeting dice: “Quella natura che ci spinge a desiderare cose grandi è il cuore”. Un cuore, dunque, che si converte, un cuore che aspira a cose grandi come la pace è un cuore capace di costruirla...

    R. – ... di costruirla e di cambiare il mondo. Noi dobbiamo passare dalla paura dell’altro alla paura per l’altro: ciò vuol dire che quando mio fratello non ha assicurati i suoi diritti, quando viene maltrattato deve essere un mio affare, io soffro per lui. Bisogna passare dalla paura dell’altro alla paura per l’altro.

    E ieri al Meeting si è parlato molto di libertà religiosa. L’Italia presenterà all’assemblea generale dell’Onu una risoluzione per garantirla. Lo ha detto il ministro degli esteri italiano, Franco Frattini, in un incontro dedicato a questa tema. Vi hanno preso parte il ministro degli esteri della Nigeria, Salamatu Hussaini Suleiman, e quello della Repubblica di San Marino, Antonella Mularoni, oltre ad ambasciatori di Pakistan, Turchia e Senegal. Il servizio della nostra inviata a Rimini, Debora Donnini.

    Chi uccide in nome della religione offende profondamente la propria religione. Così il ministro Frattini nel suo intervento dedicato al tema della libertà religiosa. Compito della politica quello di garantire questa libertà non solo come un fatto privato, ma anche pubblico. Diversamente si cade nella spirale dell’estremismo. Frattini ribadisce il suo impegno su questo fronte in un incontro con i rappresentanti di Nigeria, Pakistan, Turchia, Senegal, Repubblica di San Marino. Tutti concordano sull’importanza di questa tematica. Il ministro degli Esteri della Nigeria, Salamatu Hussaini Suleiman, ricorda: “ Il nostro governo nel 2000 ha creato il Consiglio interreligioso nigeriano, una piattaforma per il dialogo fra le due principali religioni del Paese, con la convinzione che una maggior conoscenza reciproca porterà anche ad un maggiore apprezzamento”. “Il Meeting - ricorda Mario Mauro, rappresentante dell’Ocse contro razzismo, xenofobia e discriminazioni, in particolare contro i cristiani, che ha partecipato all’incontro - mette al centro il tema del cuore e questo cuore è anzitutto esigenza di Dio”. Tutto, infatti, al Meeting parla di questo anelito, di questo desiderio insopprimibile di Infinito presente in ogni uomo.

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    Commozione e gratitudine nelle tante cerimonie per i 100 anni della nascita di Madre Teresa

    ◊   In un clima di generale gratitudine, in tutti i continenti ieri si è celebrato con intensità e dovizia di iniziative, non solo religiose, il centenario della nascita della Beata Madre Teresa. In particolare, nelle due città-simbolo della religiosa – quella indiana di Calcutta, dove visse e morì nel 1997, e quella macedone di Skopje, dove nacque il 26 agosto 1910 – le cerimonie in programma sono state caratterizzate da grande solennità e partecipazione di persone, come riferisce in questo servizio Alessandro De Carolis:

    Le colombe bianche volano dopo la Messa su Calcutta e sull’India e con loro vola il messaggio di Madre Teresa su un subcontinente che ha bisogno di dissipare con un respiro di pace le frequenti folate di odio anticristiano. E’ stata l’immagine delle colombe a suggellare la cerimonia svoltasi nella cappella della Casa delle Missionarie della Carità a Calcutta. Un migliaio di persone, molte costrette all’esterno, e in mezzo a loro tanti figli prediletti della Beata, i poveri delle bidonville, che hanno voluto pregare per chi un giorno scese con loro e per loro nel fango a portare il sorriso di Dio. Dopo la Messa – concelebrata dal cardinale Telesphore Placidus Toppo e dai vertici della Chiesa del Bengala Occidentale – la processione con le candele accese, molte delle quali in mano a tanti vescovi dell’India. Riecheggiando Benedetto XVI, che ha definito la religiosa “un dono inestimabile”, uno dei presuli, l’arcivescovo di Calcutta, Lukas Sirkar, ha osservato: “Nel mezzo di catastrofi naturali, violenze, ingiustizie e sofferenze, il 100.mo anniversario della nascita di Madre Teresa è venuto a portare un raggio di gioia e di speranza a migliaia di poveri, derelitti, diseredati, emarginati dell'India”.

    Un raggio di gioia poco avvertito però dai media internazionali i quali, salvo qualche rara eccezione, sono stati piuttosto tiepidi nel ricordare l’anniversario di una santa universalmente amata e stimata. Non così nel mondo, dove centinaia di iniziative religiose, culturali, artistiche hanno fatto rivivere con commozione e gratitudine lo spirito e l’immagine dell’Angelo dei poveri. A Skopje, la capitale dell’odierna Macedonia dove Madre Teresa nacque il 26 agosto 1910, il parlamento si è riunito ieri mattina in seduta solenne per ricordare la suora beatificata da Giovanni Paolo II nell'ottobre 2003. Poi, in serata, il fulcro delle celebrazioni si è spostato nella chiesa cattolica del Sacro Cuore di Gesù, con la Messa presieduta dall’arcivescovo di Belgrado, mons. Stanislav Hocevar, che ricorda così – ai microfoni di padre Ivan Herceg, della redazione slovena della nostra emittente – l’importanza di Madre Teresa per la città che le diede i natali e per chiunque guarda oggi a lei come modello di vita:

    “Io vedo proprio, in questa sua vita spirituale e mistica, una grande santa per i nostri tempi. Tante volte noi non abbiamo più il tempo per la preghiera, per la meditazione, per la pazienza, lei invece, nonostante dovesse portare tante croci, brillava per la gioia e sempre realizzava la volontà di Dio. Per me è molto significativo che proprio alcuni giorni prima di morire potesse dire ancora con voce debole: 'Gesù mio, mai, mai ho rifiutato la tua volontà'. Quindi, ecco un bellissimo segno ed esempio per noi tutti, in questi tempi”.

    Pur vivendo a Skopje, la famiglia di Madre Teresa era di origine albanese. Un’appartenenza della quale l’Albania va fiera, come hanno dimostrato le centinaia di persone e di mazzi di rose rosse che ieri hanno circondato il monumento che domina la grande piazza di Tirana intitolata alla religiosa. Ma tutte le strade nel centro della capitale erano ornate di drappi bianchi e blu, i colori del sari di Madre Teresa, e di ritratti e cartelli con citazioni della piccola grande suora. Un modo questo spiega a don Davide Djudjaj, responsabile della sezione albanese della Radio Vaticana – il nunzio apostolico in Albania, l’arcivescovo Ramiro Moliner Inglés, di riscoprire ciò che del messaggio di Madre Teresa l’ateismo di Stato aveva a lungo impedito di conoscere:

    “Cercano di scoprire quello che non hanno avuto durante il periodo della dittatura comunista così feroce e cruenta, e cioè la dimensione spirituale: la dimensione spirituale dell’uomo, la dimensione spirituale della persona e quindi il rispetto della dignità della persona. E questo è il messaggio anche sociale di Madre Teresa: il rispetto della persona, del fatto di essere persona. C’è un rispetto, quindi, della vita: dall’inizio alla morte naturale. Mi sembra perciò che sia un desiderio sincero di approfittare dell’occasione per dimostrare che l’Albania è entrata in un periodo nuovo, diverso da quello del passato”.

    Mons. Moliner Inglés ha presieduto ieri pomeriggio, come rappresentante di Benedetto XVI, una solenne celebrazione in onore di Madre Teresa. Questo uno dei pensieri espressi all’omelia, anticipato al microfono di don Davide Djudjaj:

    “Madre Teresa è proprio una discepola di Gesù Cristo, che con la sua luce, con le sue buone opere, con la sua carità, con il suo amore, illumina questo mondo di oggi e soprattutto tutti quelli che sono affascinati dalla sua figura e che si domandano perché e come sia possibile che una donna così piccola abbia fatto cose così grandi. E lì che viene in risalto l’elemento soprannaturale, la sua fede, la sua unione con Cristo”.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Donne e cultura: in prima pagina, un fondo di Lucetta Scaraffia sulla presenza femminile nella Chiesa.

    In rilievo, nell'informazione internazionale, la Repubblica Democratica del Congo, dove incombono violenza e fame.

    L’ex nemico di Ambrogio: in cultura, Inos Biffi sull’micizia tra Agostino e il vescovo di Milano.

    Muri che parlano: Carlo Carletti su giochi di lettere scritte di strada nella Roma antica.

    Un articolo di Oddone Camerana dal titolo “Un solo libro per una donna sola”: a cinquant’anni da “Il buio oltre la siepe” di Harper Lee.

    Nell’informazione vaticana, intervista di Nicola Gori a padre Gioele Schiavella, già parroco di Sant’Anna in Vaticano.

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    Oggi in Primo Piano



    Violenza e caos in Somalia: civili in fuga da Mogadiscio

    ◊   In Somalia sono ormai centinaia i civili che hanno abbandonato le loro case nella capitale, Mogadiscio, a causa delle violenze tra i soldati del governo transitorio somalo e i ribelli islamici Shabab. Gli scontri si protraggono ormai da cinque giorni e hanno provocato decine di morti e centinaia di feriti. Per un commento sulla situazione nel Paese Linda Giannattasio ha intervistato Angelo Masetti, portavoce del Forum Italia–Somalia:

    R. - Questi scontri non sono un’assoluta novità, ma è da moltissimi mesi che gli Shabab stanno tenendo sotto forte pressione il governo transitorio e stanno mietendo moltissime vittime ed è molto tempo che le truppe dell’Amisom reagiscono contro di loro soltanto se attaccate.

    D. - Dal punto di vista umanitario sono ormai centinaia le persone in fuga dalla capitale, da Mogadiscio...

    R. - La situazione a Mogadiscio è terribile non soltanto nell’ultima settimana, oramai gli esuli da Mogadiscio e dalla Somalia si possono contare in diversi milioni, ci sono stime che parlano di due o tre milioni di esuli all’estero, cifre che vanno dal 20 al 30% della popolazione somala.

    D. - Gli Shabab rivendicano un forte legame con Al Qaida, qual è il loro ruolo nel Paese, quali sono le loro posizioni?

    R. - I vertici degli Shabab in Somalia sono quasi tutti stranieri, i somali formano i quadri intermedi e la bassa manovalanza. Questo significa che l'organizzazione è un soggetto che sta rispondendo a ordini che vengono dall’estero. Questo per dire anche che ciò che sta succedendo in Somalia, ha molto poco di somalo ed è molto significativo invece sul piano internazionale. C’è uno scontro oramai fra chi sta cercando di affermare in Somalia un Islam aggressivo e assolutamente estraneo alla cultura somala e chi cerca di resistere a questa penetrazione. In questi anni nonostante che gli Shabab continuino ad avere una forza militare estremamente esigua non gli si è contrapposto da parte della Comunità internazionale una forza sia militare che civile adeguata a metterli fuori combattimento.

    D. - Secondo molti analisti pesa l’assenza della Comunità internazionale, però le Nazioni Unite dopo 17 anni di assenza, torneranno gradualmente a Mogadiscio. Sara possibile questo rientro, che significato ha?

    R. - Se intendiamo come rientro di civili, in questa situazione non credo che sia assolutamente praticabile perché non esiste la sicurezza. Quello che bisogna fare in Somalia oggi è dare alle truppe dell’Amisom, in futuro alle truppe delle Nazioni Unite, un mandato molto più penetrante, molto più efficace nei confronti degli Shabab e stabilire a livello internazionale che la questione somala deve essere risolta dando al governo transitorio la forza e l’autorevolezza necessaria per poter conquistare anche i cuori della popolazione somala.

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    Alluvioni in Pakistan: 3 operatori umanitari uccisi dai talebani

    ◊   La situazione degli alluvionati in Pakistan si fa sempre più drammatica: le piogge hanno causato un altro milione di sfollati nelle ultime 48 ore, mentre le autorità affermano che il bilancio delle inondazioni supererà ampiamente le 1600 vittime finora accertate. Permangono inoltre grandi difficoltà per i soccorsi. In questo tragico contesto l’Agenzia Fides rende noto che tre operatori umanitari che operavano nella valle di Swat, nel nord del Paese, sono stati uccisi dai talebani pakistani, mentre lavoravano per portare gli aiuti. L’attacco degli integralisti islamici, che ha provocato anche diversi feriti in due villaggi, è avvenuto fra il 24 e il 25 agosto. A riferirlo alla Fides è stato padre Robert Mc Culloch, sacerdote della Società di San Colombano per le missioni estere, missionario in Pakistan da oltre 32 anni, e confermata da fonti delle organizzazioni umanitarie locali. La notizia dell’attacco e della morte dei tre – spiegano le fonti di Fides – “è stata protetta da funzionari civili e militari pakistani, che hanno cercato di impedirne o ritardarne la circolazione sui mass-media (data la delicatezza e la gravità dell’accaduto), nel timore che episodi di tal genere possano scoraggiare le organizzazioni umanitarie impegnate in loco”. I fondamentalisti avevano minacciato nei giorni scorsi di attaccare gli operatori umanitari occidentali. Sulla situazione Stefano Leszczynski ha intervistato Michael O’Brien, responsabile del Comitato della Croce Rossa Internazionale a Islamabad:

    R. – The situation with climate is very difficult. ...
    E’ ancora una situazione estremamente difficile. Le inondazioni che hanno colpito il nord-ovest del Paese si sono spostate verso le provincie più meridionali. Secondo le Nazioni Unite 17 milioni di persone sono state colpite e almeno 8 milioni di persone hanno bisogno di aiuti urgenti. Su un milione di abitazioni interessate dalle alluvioni almeno 3 quarti sono state completamente distrutte e al momento è ancora molto difficile portare i soccorsi a molte delle persone che sono rimaste isolate.

    D. - La difficoltà nel consegnare gli aiuti rischia di esasperare le tensioni già esistenti nel Paese tra gruppi etnici e religiosi diversi?

    R. – Well, I can say...
    Posso dire che, per quanto riguarda il Comitato Internazionale della Croce Rossa, noi lavoriamo a stretto contatto con la Protezione civile pakistana i cui volontari operano in tutto il Paese e siamo riusciti a fornire assistenza di alimenti e generi di prima necessità, comprese tende e cucine da campo. Noi non abbiamo avuto difficoltà a consegnare gli aiuti nelle aree in cui operiamo, ma molte organizzazioni stanno impiegando molto più tempo per essere operative in Pakistan ed io credo che questo sia il motivo per cui un gran numero di persone sono ancora senza gli aiuti necessari.

    D. - Una delle preoccupazioni in Pakistan è rappresentata dalla minaccia di gruppi integralisti islamici che non vogliono le organizzazioni umanitarie occidentali nel Paese. Voi come vivete questa situazione?

    R. – We take all of the situation ...
    Prendiamo la questione molto seriamente e ci preoccupiamo della sicurezza dei nostri cooperanti, ma la Croce Rossa è un po’ diversa dalle altre organizzazioni che operano in Pakistan. Noi operiamo nel Paese da 30 anni e lavoriamo a stretto contatto con la Mezzaluna Rossa pakistana. Ritengo che siamo ben visti nel Paese perché tutta la nostra attività è molto trasparente e ci concentriamo esclusivamente sul versante umanitario. Parliamo con tutte le componenti della società pakistana ed in passato abbiamo svolto il lavoro che stiamo facendo ora per le vittime delle alluvioni anche per i profughi prodotti dalla guerra. Quindi comprendiamo che queste minacce vano prese seriamente, ma speriamo di poter continuare il nostro lavoro perché per noi la priorità è sempre quella delle vittime.

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    Appello dell'Onu contro lo stupro di massa nella Repubblica Democratica del Congo

    ◊   “Fermare l’uso della violenza sessuale come arma di guerra in Repubblica Democratica del Congo”. E’ il forte appello lanciato dall’Unicef, dopo lo stupro di gruppo di almeno 179 donne avvenuto nella parte orientale del Paese alcune settimane fa. Secondo i dati dell’organizzazione, questa pratica è ormai diventata endemica. Nel 2009 sono circa 18 mila le vittime di violenze sessuali, ma sicuramente il numero reale è molto più alto. Anche il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha duramente condannato gli stupri di massa, accusando i miliziani Mai-Mai e le forze democratiche di liberazione del Ruanda. Sui motivi di quanto sta avvenendo nell’ex Zaire, Giancarlo La Vella, ha sentito Donata Lodi, responsabile delle relazioni esterne dell’Unicef:

    R. – Questa pratica si è diffusa recentemente nella regione orientale del Congo. Non era una zona in cui prima fosse particolarmente diffusa la violenza contro le donne. Si è accentuata con gli anni di guerra, perché le varie bande armate, che ormai da otto anni e più si confrontano, vivono saccheggiando i villaggi. E in questi scontri, che spesso hanno base etnica, ma più frequentemente hanno delle ragioni puramente di controllo degli interessi economici, di sfruttamento di alcune aree e così via, progressivamente è invalsa la pratica per la quale oltre a depredare, questi gruppi di banditi stuprano sistematicamente: fanno razzie, uccidono i maschi adulti, portano via i bambini, che costringono a diventare bambini soldato, e poi violentano le donne. Queste violenze sono spesso di gruppo, che lasciano conseguenze anche fisiche, oltre che psicologiche, ambedue molto difficili da guarire.

    D. – Che cosa può fare la comunità internazionale, se non per fermare totalmente la violenza bellica, almeno per fermare la pratica dello stupro di massa?

    R. – Sicuramente bisogna lavorare per fermare la guerra in Congo, non a parole, ma anche stanziando aiuti sufficienti, dando sostegno alle truppe internazionali presenti lì, lavorando anche con le multinazionali che sfruttano le ricchezze di quella zona del mondo, per imporre il rispetto di alcune norme, perché è incredibile che in aeroporti come quello di Goma si vedano partire quotidianamente voli anonimi. Ora, tutti sanno che trasportano armi, quando arrivano, e portano via minerali ed altre risorse dalla zona. Questa è una delle zone del mondo, purtroppo per loro, potenzialmente più ricche. Quindi, di sicuro occorre un maggior impegno su questo da parte dei grandi attori internazionali. Ma occorre anche sostenere i progetti per queste donne, perché il fatto che negli ultimi due anni abbiamo visto aumentare il numero di denunce è legato anche al fatto che noi, altre agenzie dell’Onu, altre organizzazioni non governative, abbiamo avuto in passato risorse superiori, che ci hanno consentito di mettere in piedi seri programmi di recupero per le vittime delle violenze, con programmi di assistenza medica, interventi di sostegno psicologico e di aiuto al reinserimento nella società. Bisogna creare gruppi di donne che si rafforzino a vicenda, aiutando le forme di microcredito, le forme di sostegno di vario tipo, per fare in modo che le donne stesse abbiano più forza nel denunciare gli stupri, in modo che si crei un reale cambiamento sociale, un cambiamento nell’atteggiamento delle comunità verso questo fenomeno. Per fare tutto ciò bisogna sostenere in modo positivo, quindi anche finanziariamente, quanto si fa per il recupero e l’aiuto alle vittime della violenza.

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    Il Sermig all'Aquila per il terzo "Appuntamento Mondiale Giovani della Pace"

    ◊   “Le giovani generazioni hanno bisogno di maestri credibili”: è la sfida lanciata dal Sermig, il Servizio missionario giovani, oggi all’Aquila per il terzo "Appuntamento Mondiale Giovani della Pace". Oltre 2 mila ragazzi provenienti da tutta Italia si sono dati appuntamento nei pressi della Basilica di Collemaggio devastata dal terremoto dello scorso anno. Questa sera la marcia notturna che raggiungerà la chiesa del Torrione dove è conservata l’urna di Celestino V. Una giornata di preghiera e di testimonianza, ma anche di riflessione sull’etica dell’economia e della politica. Massimiliano Menichetti ha raccolto il commento di Ernesto Olivero, fondatore del Sermig:

    R. - Stiamo cercando di far capire alla generazione degli adulti delle varie categorie, dall’economica alla politica, che senza la preghiera, senza l’incontro con Dio non si va da nessuna parte e che bisogna entrare in una armonia maggiore con il mondo dei giovani che non si fida più del mondo degli adulti. Come fanno, i giovani, a sperare in un mondo dove ogni giorno più di 100 mila persone muoiono di fame? Questa economia avida, corrotta, la politica che dovrebbe essere veramente servire, servire gli altri: dove la si trova, se non in casi davvero eccezionali? Però, noi abbiamo sempre pensato che non bisogna arrendersi al male, quindi la preghiera di questa sera vuol sottolineare la nostra speranza che la speranza può vincere il male.

    D. - Lei ribadisce: c’è una distanza tra coscienza e realtà, tra mondo dei giovani e mondo degli adulti. Come si colma, come si unisce questa distanza?

    R. - Noi dobbiamo risvegliare la coscienza, però pragmaticamente. Noi vorremmo testimoniare con la nostra vita che è possibile fare economia e servire. E noi, questo, da chi l’abbiamo imparato? Da Gesù Cristo che ha messo uno dei punti fondamentali: servire. Chi vuol essere il primo, sia il servo di tutti …

    D. - All’Aquila voi siete, di fatto, in prossimità della festa della Perdonanza, in chiusura dell’Anno Celestiniano …

    R. - Celestino V ha posto, come patrimonio suo e dell’umanità, la coscienza. Ci ha sempre colpito perché a fin di bene esiste solo il bene. E’ lui che ha portato nella misericordia, perché con la Misericordia di Dio possiamo affrontare qualsiasi battaglia.

    D. - Che cosa verrà da questa giornata?

    R. - La mia speranza è che cento e cento ragazzi diano la vita a Dio, che molti ragazzi si alzino e camminino. Poter dimostrare che le cose che diciamo le diciamo perché le viviamo veramente, affinché molti possano dire: voglio avere la vocazione come quello lì, perché quell’uomo, quella donna, quel ragazzo, quella ragazza sono credibili!

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    A Stresa l’undicesimo corso dei Simposi rosminiani sul tema dell'unità d'Italia

    ◊   Si conclude domani a Stresa l’undicesimo corso dei Simposi rosminiani dal titolo “Antonio Rosmini e il problema storico dell’unità d’Italia”. Il convegno intende contribuire alla riflessione sul 150.mo dell’unità, nello spirito di uno dei grandi pensatori del Risorgimento italiano. Il servizio di Davide Dionisi:

    I “Simposi rosminiani” nascono nel 2000 come continuazione della “Cattedra Rosmini”, fondata da Michele Federico Sciacca nel 1967. L’obiettivo è quello di approfondire, in piena libertà di spirito e con rispetto delle diversità, la soluzione dei problemi urgenti che si affacciano sul terzo millennio. Quest’anno al simposio, organizzato dal Centro internazionale di studi rosminiani, con la collaborazione del Progetto Culturale della Conferenza Episcopale Italiana, si parla di unità d’Italia. Ci spiega perché padre Umberto Muratore, direttore del Centro internazionale di studi rosminiani.

    R. - Ci pare che Rosmini sia stato uno dei protagonisti della costruzione di questa unità d’Italia e ci sembrava quindi giusto che i suoi progetti e i suoi pensieri venissero conosciuti, discussi e approfonditi. Pensiamo, infatti, che nel pensiero di Rosmini, che è uno dei padri del cattolicesimo liberale, ci possano essere delle indicazioni preziose per i problemi che ancora rimangono su questa unità d’Italia.

    D. - “Unità, la più stretta possibile, in una sua naturale varietà”. Questo è quanto sosteneva Rosmini. Quanto è ancora valida questa formula, secondo lei?

    R. - Rosmini faceva notare che non tutte le varietà costituiscono ricchezza. Ci sono varietà naturali, quindi varietà positive, e varietà invece negative: il municipalismo accentuato, l’egoismo e tante altre cose sono varietà negative. Ora, lui diceva: “Noi dobbiamo costruire uno Stato, innanzitutto, che sia uno, perché altrimenti, anche sul tavolo delle altre nazioni, non avrebbe la forza sufficiente per poter poi costruire il suo avvenire. Questa unità, però, deve riconoscere quelle diversità che contribuiscono a rafforzare, a rendere forte e a rendere “uno” lo Stato. Uno Stato italiano che riconosca i diritti acquisiti dei vari territori, purché siano diritti positivi, che confluiscano per una maggiore unità, diventa il segno della bellezza di uno Stato e anche il segno della forza dello Stato. (Montaggio a cura di Maria Brigini)

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    La Chiesa celebra la memoria liturgica di Santa Monica, madre di Sant'Agostino

    ◊   Una donna tenace, una sposa mite, una madre premurosa: si può sintetizzare così la figura di Santa Monica, madre di uno dei più grandi Padri della Chiesa d’Occidente, Sant’Agostino, della quale oggi ricorre la memoria liturgica. Ne è assai nota l’operosità al fianco del figlio, l’amorevole preoccupazione per i suoi sbandamenti e la forte fede con la quale ha pregato instancabilmente per la sua conversione. Per questo è ricordata come modello per le mamme. Ma quali tratti caratterizzano la spiritualità di Monica, oggi imitata soprattutto dalle monache agostiniane attraverso la regola del vescovo di Ippona? Tiziana Campisi ne ha parlato con madre Maria Rosa Guerrini, badessa del monastero di Santa Chiara di Montefalco:

    R. - Credo che Santa Monica sia stata una donna completa: è stata sposa, è stata madre e ha accompagnato il figlio Agostino anche nei primi passi della sua esperienza monastica, dopo la conversione avvenuta a Milano. Tutte queste tappe, in fondo, sono state le tappe del suo cammino di maturazione cristiana e umana. I lineamenti della figura di Monica li traccia Sant’Agostino nelle Confessioni, nel capitolo IX. Scrive: “Era donna nell’aspetto, virile nella fede, vegliarda nella pacatezza, materna nell’amore e cristiana nella pietà.” Questo, penso, è il ritratto di Santa Monica.

    D. – Voi monache agostiniane, vivete secondo la regola di Sant’Agostino, ma quali tratti portate in voi della madre di Agostino, Monica?

    R. – L’amore per la Chiesa, la costanza nella preghiera. Monica è stata soprattutto una donna di preghiera. Dio le ha affidato il figlio Agostino e l’ha posta accanto a lui come una sentinella vigile, attenta, non lo ha mollato, si potrebbe dire. Anche noi, come monache agostiniane, cerchiamo di essere appunto delle sentinelle vigili per ogni uomo che ci è stato affidato. Infatti, attraverso la preghiera e la fiducia in Dio, Santa Monica ci insegna proprio questo modo di “piegare” il cuore di Dio e ottenere misericordia attraverso la preghiera.

    D. – Cosa di Santa Monica, volete lasciare emergere, volete trasmettere a quanti entrano in contatto con voi?

    R. – Un’attenzione, una cura per l’uomo, a livello spirituale e anche con la vicinanza, l’accoglienza. Santa Monica si prendeva cura di tutti come se di tutti fosse stata la madre, quindi, ecco, anche questo nostro modo di essere vicine, attente all’uomo di oggi, è un modo per lasciare emergere ciò che Monica è stata. Nella conclusione del ricordo che fa di Monica, Agostino scrive: “Era la serva dei tuoi servi - dice questo al Signore - chiunque la conosceva trovava in lei motivo per lodarti, onorarti e amarti grandemente, avvertendo la Tua presenza nel suo cuore, dalla testimonianza dei frutti di una condotta santa”. Ha lasciato questa presenza di Dio nel cuore che tutti vedevano. È per quanto ha ricevuto da Monica che Agostino ha potuto parlare nella sua vita ai suoi fedeli attraverso il cuore di sua madre e allo stesso tempo anche il suo cuore è diventato materno.

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    Chiesa e Società



    I vescovi messicani: nessuna impunità per la strage degli immigrati

    ◊   Per i vescovi del Messico, "l'atroce assassinio di 72 persone nello stato di Tamaulipas è un fatto che non può restare impunito". In una dichiarazione dell'episcopato, il segretario generale, mons. Víctor René Rodríguez Gómez, vescovo di Texcoco, i presuli si esprimono su quest'orrenda strage e chiedono di evitare spiegazioni semplicistiche e di andare a fondo nelle indagini e chiarire la dinamica di un episodio "che ci riempie il cuore di dolore, preoccupazione e indignazione", in particolare "per la crudeltà con cui è stato organizzato il crimine". L'episcopato, così come l'opinione pubblica messicana e quella internazionale, è rimasto inorridito dal fatto che bande di delinquenti specializzati nel traffico di vite umane siano stati capaci di arrivare a giustiziare persone alle quali, in cambio di ingenti somme di denaro, avevano promesso di poter espatriare illegalmente. I vescovi ricordano che anche se il governo fa tutto ciò che può, "non sempre ci sono buoni risultati" e non sempre si riesce a contenere con efficacia "l'ondata di violenza e insicurezza che colpisce la nostra patria". Perciò, aggiungono in riferimento al complesso dramma degli immigrati latinoamericani che cercano di entrare negli Stati Uniti, "esigiamo che anche alle autorità del Paese vicino trattino con rispetto e dignità i nostri connazionali". Il fenomeno, ormai vastissimo, è molto complesso: non c'è solo la questione dell’uccisione delle persone che pagano per essere aiutate a passare la frontiera, ma anche quella di tentare di arruolarle nell'industria del narcotraffico, approfittando della loro disperazione. I presuli esprimono la propria solidarietà ai familiari delle vittime che appartenevano a diverse nazionalità latinoamericane, e che, secondo alcuni testimoni oculari, oggi sono sotto protezione speciale. I testimoni, dal canto loro, hanno manifestato la loro solidarietà a mons. Faustino Armendáriz, vescovo della diocesi dove si sono registrati questi crimini. Nel mese di aprile i vescovi del Messico, in una loro dichiarazione, avevano già segnalato la gravità della situazione del Paese, rilevando che "la violenza può trasformarsi in una forma di sociabilità”. "Il comportamento violento – scrivevano - non è innato, si acquisisce, si apprende e si sviluppa. Su questo influisce il contesto culturale in cui crescono le persone". Tra gli elementi che lo favoriscono, citano "la crisi di valori etici, il predominio dell'edonismo, dell'individualismo e della competizione, la perdita di rispetto dei simboli dell'autorità, la svalutazione delle istituzioni educative, religiose, politiche, giudiziarie e di polizia; atteggiamenti discriminatori e machisti". Allo stesso modo, ricordano "la disuguaglianza, l'esclusione sociale, la povertà, la disoccupazione, i bassi salari, la discriminazione, le migrazioni forzate e i livelli disumani di vita" che "espongono alla violenza molte persone e le rendono vulnerabili alla proposte di attività illecite". Un'altra causa della violenza è "la dissimulazione e la tolleranza nei confronti dei crimini da parte di alcune autorità", per incapacità, irresponsabilità o corruzione. (A cura di Luis Badilla)

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    India: in Orissa ucciso ex leader indù convertito al cristianesimo

    ◊   Un ex indù convertito al cristianesimo è stato ucciso questa mattina nei pressi di Tiangia, villaggio del distretto di Kandhamal, nello Stato indiano di Orissa, colpito dai pogrom anticristiani dell’agosto 2008. La polizia ha trovato il corpo dell’uomo a lato di un ruscello nella foresta e ha già avviato un’indagine. Biskesan Pradhan, 47 anni, era un ex leader dell’organizzazione estremista indù Rashtriya Swayamsevak Sangh (Rss) e si era convertito al cristianesimo circa tre anni fa, divenendo membro della Chiesa battista. Il suo omicidio - riferisce l'agenzia AsiaNews - coincide con la pubblicazione dei risultati del Tribunale Nazionale del popolo (Ntp), iniziativa che dal 22 al 24 agosto ha riunito a New Delhi vittime, attivisti e giudici, con lo scopo di denunciare i casi di violenze dei pogrom del 2008, a tutt’oggi rimasti impuniti. Sajan George, presidente del Global Christian Council of Indian Christian (Gcic), afferma: “La notizia del brutale omicidio di Biskesan Pradhan ci ha profondamente angosciato. Condanniamo questo atto compiuto contro l’ex estremista indù divenuto cristiano”. Citando i risultati del Ntp, presentati oggi, l’attivista sottolinea che la giuria popolare ha denunciato il susseguirsi di conversioni forzate compiute dagli estremisti indù in Orissa, dopo i fatti del 2008. “I fanatici – afferma – utilizzano per convertire o ri-convertire la popolazione: torture, intimidazioni, omicidi, boicottaggio economico e umiliazioni pubbliche”. Sajan George, dice che le violenze iniziate il 23 agosto 2008 hanno rotto il clima di pace e armonia presente in Orissa. Egli invita governo centrale, autorità locali e società civile a impegnarsi insieme ai cristiani per fermare questi continui atti criminali e proteggere le minoranze religiose. (R.P.)

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    Indonesia: incontro tra cristiani, buddisti e musulmani per esigere tolleranza dagli estremisti

    ◊   Leader cristiani, buddisti e musulmani si sono incontrati con estremisti islamici per restaurare tolleranza e libertà di culto in Indonesia. Attivisti per il dialogo inter-religioso hanno organizzato infatti ieri a Jakarta un incontro tra Kiai Hajj Hasyim Muzadi, ex capo di Nahdlatul Ulama (Nu), la più grande organizzazione musulmana moderata del Paese, e Habib Rizieq, leader dell’Islamic Defender Front (Fpi), gruppo estremista islamico. Negli ultimi due mesi - riferisce l'agenzia AsiaNews - è cresciuta l’intolleranza religiosa in Indonesia. Soprattutto a Bekasi e Bogor, due comunità cristiane (Hkbp e Yasmin Church) sono state più volte attaccate, i loro luoghi di culto chiusi e le funzioni interrotte da folle di radicali musulmani. A chiedere il restauro di un clima di libertà religiosa, vi sono pure i vescovi cattolici. In una lettera al presidente Susilo Bambang Yudhoyono, gli hanno chiesto di mostrare coraggio e imporre il rispetto della libertà di culto. Durante l’incontro tra leader religiosi e Fpi, Muzadi ha detto al capo degli estremisti: “Tutti noi indonesiani dobbiamo ripristinare lo spirito di tolleranza per consolidare il pluralismo di questo Paese. Lo spirito di tolleranza non dovrebbe essere distrutto da nessuno”. Il pastore Andreas Yewangoe, presidente del Sinodo delle chiese protestanti indonesiane, ha invece fatto notare la facilità con cui si ottiene un permesso per costruire centri di bellezza e la difficoltà di erigere luoghi di culto. La chiesa protestante dei Batak (Hkbp) a Bekasi, ad esempio, è costretta a recitare le funzioni in un campo, spesso interrotte da folle di estremisti dell’Fpi, perché la sua chiesa è stata chiusa, dopo che il governo locale ha ritirato il permesso legale per avere un luogo di culto. Habib Rizieq ha però respinto le accuse di intolleranza, affermando che l’Fpi non vuole impedire ai cristiani di professare la propria fede. “Ciò che è successo a Bekasi con i fedeli dell’Hkbp - ha risposto - non riguarda il diritto di professare [la fede], ma problemi legali: a loro manca il permesso legale di costruire una chiesa”. (R.P.)

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    Il nunzio ad Haiti: prioritario l'aiuto ai terremotati

    ◊   “Prima guardare ai fedeli e poi prenderci cura delle chiese”: così l’arcivescovo Bernardito Auza, Nunzio apostolico per Haiti, ha ristabilito le priorità tra la ricostruzione del Paese e il prendersi cura della popolazione, durante una sua visita al quartier generale dell’associazione caritativa Aiuto alla Chiesa che soffre (Acs) a Königstein, in Germania. Il presule ha sottolineato l’importanza del ruolo che la Chiesa ha nell’isola nel campo dell’istruzione, dal momento che provvede a oltre la metà delle scuole del Paese: “L’istruzione e un’educazione cristiana sono la chiave per il vero sviluppo del Paese – riporta la Zenit – soprattutto visto che le scuole gestite dalla Chiesa sono sempre state migliori di quelle statali”. Nel ringraziare gli aiuti raccolti da Acs, il presule ha elencato come cause di ritardo nei progressi a più di sei mesi dalla tragedia, avvenuta il 12 gennaio, la carenza di infrastrutture, il collasso dell’amministrazione governativa e la diffusa corruzione. I numeri della tragedia sono stati specificati dal primo ministro di Haiti, Jean Max Bellerive, in visita nella vicina Repubblica dominicana: 700mila sono ancora gli haitiani costretti a vivere nei campi, a fronte di 300mila morti, altrettanti feriti e un milione di senza tetto. “Il processo di recupero è lento ma sicuro – sono state le sue parole riferite dall’agenzia Misna – il governo si è prefissato l’obiettivo di ricostruire il Paese”. Intanto a livello internazionale sono stati presentati progetti per il valore complessivo di un miliardo e 600 milioni di dollari: l’impegno della comunità verso il Paese più povero dell’America Latina. Di questi, 904 milioni sono stati destinati a progetti specifici del governo di Port-au-Prince, dove il 70% degli edifici è stato distrutto dal terremoto, nei settori dell’agricoltura, dell’elettricità, delle infrastrutture, dell’istruzione della sanità. (R.B.)

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    Cile: la Chiesa chiede un dialogo urgente con i 32 mapuches in sciopero della fame

    ◊   Ieri 32 aborigeni "mapuches" del Cile, detenuti in diverse carceri della regione meridionale del Cile, con l’accusa di aver violato l'ordine pubblico e, in alcuni casi, la sicurezza nazionale, hanno compiuto 45 giorni di sciopero della fame per chiedere un processo rapido e che non vengano applicate ai loro casi le leggi antiterrorismo. La situazione, che la Chiesa cilena ha seguito fin dall'inizio con particolare attenzione, ha indotto mons. Camilo Vial, vescovo di Temuco, la regione con la più alta presenza di popolazione "mapuche" e mons. Alfonso Baeza, vicepresidente della Caritas, a rinnovare l'appello alle autorità del Paese affinché sia istituito un tavolo di dialogo con gli scioperanti, per trovare una soluzione adeguata e giusta alla questione. I presuli, seconda la stampa locale, hanno detto che “la vita dei mapuches è tanto importante come quella dei 33 minatori" intrappolati da 22 giorni in una miniera del nord del Paese e, dunque, "è urgente un gesto per avvicinare le parti”. Mons. Vial, che ieri è tornato a far visita ai “mapuches” in sciopero della fame, ha rilevato che "occorre agire presto prima che la situazione possa diventare estrema", e che è centrale "la ricerca del dialogo sull'applicazione della legge antiterrorismo in questi casi". D'altra parte, proprio ieri, sono aumentate le tensioni quando l'autorità giudiziaria ha autorizzato la polizia penitenziaria a procedere all'alimentazione forzata delle persone in situazione più precarie e al trasferimento, se necessario, presso centri sanitari adeguati. La misura è stata subito rifiutata da María Trancal, portavoce dei detenuti in sciopero, che l’ha definita una "decisione arrogante". Trancal ha dichiarato di non capire "tutta questa ostinazione da parte delle autorità, quando in sostanza l'unica cosa che si chiede è un giudizio giusto". All'origine di questo conflitto, infatti, esiste una situazione molto complessa che si trascina da secoli e riguarda le terre che i “mapuches” hanno perso prima della colonizzazione spagnola e poi in fase di consolidamento della Repubblica del Cile. Negli ultimi 20 anni, i governi hanno fatto molto, modificando, tra l'altro, radicalmente la legge sui “mapuches”, ma la rivendicazione della terra da parte di queste popolazione torna alla ribalta ciclicamente con proteste di vario genere e occupazioni. Nel corso di queste ultime, alcuni “mapuches” sono stati arrestati e accusati di violare l'ordine pubblico e, in alcuni casi, per la modalità dell'occupazione, è stata applicata anche la legge sull'antiterrorismo, che prevede due cose che i detenuti ora in sciopero rifiutano: pene molto dure rispetto a un processo normale e due gradi di giudizio, uno civile e l'altro militare. (L.B.)

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    I vescovi latinoamericani sulla Pastorale afroamericana: è strumento di integrazione sociale

    ◊   "La storia degli afroamericani si caratterizza soprattutto perché parla di esclusione sociale, economica, politica e, in particolare, razziale, poiché l'identità etnica è stata un fattore determinante di questa esclusione". Così si legge nella dichiarazione conclusiva dell'incontro della Pastorale afroamericana, che si è svolto dal 17 al 19 agosto a Salvador de Bahia, in Brasile, al quale hanno preso parte numerosi vescovi latinoamericani che hanno la responsabilità di lavorare con questa popolazione. I presuli, che nelle loro riflessioni e conclusioni, si sono ispirati soprattutto al documento di Aparecida, che alla questione dedica un capitolo specifico, si dichiarano più convinti che mai che il problema esiste oggi come in passato e quindi "è urgente un'azione ecclesiale più efficace che abbia come orizzonte il superamento di una vita di privazioni e difficoltà". Benedetto XVI, il 13 maggio 207, ad Aparecida, nel suo discorso per l'inaugurazione della V Conferenza generale degli Episcopati dell'America Latina e dei Caraibi, concluse il suo intervento con un breve preghiera: "Resta, Signore, con quelli che nelle nostre società sono più vulnerabili; resta con i poveri e gli umili, con gli indigeni e gli afroamericani, che non sempre hanno trovato spazio e appoggio per esprimere la ricchezza della loro cultura e la saggezza della loro identità". È proprio su queste parole del Papa, una vera invocazione all'azione pastorale, che i vescovi hanno meditato più a lungo nell'incontro, per concludere che "la Pastorale in favore dell'integrazione sociale e del superamento del razzismo, fa parte della azione missionaria, in particolare della Missione continentale avviata nel 2007". I presuli si dichiarano soddisfatti per le molte iniziative in favore della "rivitalizzazione della cultura di origine africana presente e viva in America Latina e nei Caraibi", e che spesso si "esprime in un forte senso della famiglia, nell'espressività corporale, e nel senso profondo e condiviso di Dio". La Pastorale afroamericana, secondo i vescovi, "non è una semplice espressione emotiva, nostalgica e folkloristica; non è neanche un cammino ecclesiale isolato o settario, bensì uno spazio di comunione all'interno della Chiesa, un processo culturale e di partecipazione". Solo così gli afroamericani del continente potranno vivere in "una società dove esistano la stima reciproca, la riconciliazione e la solidarietà". (L.B.)

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    I cattolici russi ricordano la Beata Madre Teresa di Calcutta

    ◊   Anche i cattolici in Russia hanno festeggiato il centenario della nascita di Madre Teresa, alla quale poco lontano da Mosca è stato anche dedicato un monumento pubblico. La comunità cattolica russa ha ricordato la Beata con preghiere nelle chiese e nelle cappelle di tutto il Paese per i poveri e i diseredati. A raccontarlo all’agenzia RiaNovosti, il segretario generale della Conferenza episcopale cattolica della Russia, padre Igor Kovalevskij. Nella cattedrale di Mosca - riferisce l'agenzia AsiaNews - la messa in ricordo di Madre Teresa si è tenuta ieri sera, con la partecipazione delle Missionarie della Carità che operano a Mosca. Le suore della congregazione fondata dalla Beata vivono nella capitale russa in due case: in una si occupano di bambini disabili, mentre nell’altra si prendono cura di anziani rimasti da soli. Lo scorso 25 agosto, inoltre, è stata svelata una statua dedicata a Madre Teresa di Calcutta nella regione di Kaluga, a 90 km da Mosca. Il monumento si trova nel padiglione indiano del centro culturale “Etnomir”, grande spazio dove si riproducono le caratteristiche dei vari Paesi del mondo. L’opera, in bronzo, raffigura la suora più famosa del mondo seduta e attorniata da bambini. Madre Teresa è stata in Russia ai tempi dell’Unione Sovietica. Era l’inverno del 1988, subito dopo il devastante terremoto in Armenia. Le Missionarie della Carità e la loro fondatrice furono in prima linea negli aiuti, racconta Alexey Yudin, storico delle religioni che in quell’anno incontrò poi Madre Teresa a Mosca. Il nome della suora albanese si legò presto nell’Urss non solo al sisma di Spitak, ma anche alla tragedia di Chernobyl. Anche in questo caso la beata e le sue suore furono tra le prime a portare soccorso alla popolazione, sfidando il pericolo delle radiazioni. Per questo ricevette l’Urss la insignì della medaglia d’oro per la pace. (R.P.)

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    I vescovi Usa soddisfatti per il no ai finanziamenti alle ricerche sugli embrioni

    ◊   Una “grande vittoria per il senso comune e un’etica medica solida”: così la Conferenza episcopale degli Stati Uniti plaude alla decisione della Corte federale che obbliga l’amministrazione Obama a bloccare il finanziamento della ricerca sulle cellule staminali embrionali. La soddisfazione dei vescovi è espressa in un comunicato, riportato dalla Zenit, a firma del presidente del Comitato per le attività Pro-Vita dell’episcopato e arcivescovo di Galveston-Houston, cardinale Daniel Di Nardo. “Questa sentenza – scrive il porporato – rivendica la lettura che fanno i vescovi dell’emendamento Dickey, approvato dal Congresso nel 1996, che non permette il finanziamento federale di qualsiasi ricerca che richieda un danno o la distruzione di embrioni umani”. L’obiettivo dell’emendamento in questione era assicurare che i contribuenti americani “non si vedessero costretti a finanziare progetti di ricerca scientifica che richiedessero la distruzione della vita umana al suo primo stadio”. “Questa legge è stata distorta e ridotta, iniziando da un memorandum legale commissionato dall’amministrazione Clinton nel gennaio 1999”, ricorda ancora il cardinale, il quale si augura che questa decisione della Corte esorti il governo a “rinnovare ed estendere il suo impegno ad altre vie di ricerca sulle cellule staminali adulte, che sono eticamente accettabili”. Queste linee di ricerca, inoltre, “si stanno dimostrando più promettenti per alleviare le sofferenze dei pazienti rispetto alla ricerca distruttiva di embrioni umani”. I vescovi americani hanno spesso denunciato manipolazioni legali sul tema, come quella della legge contro il finanziamento di piani di assicurazione medica che includono l’aborto. “Il compito di ogni buon governo – conclude il cardinale – è usare il suo potere di finanziamento per incanalare le risorse dove serve e dove si rispetta meglio la vita umana”. (R.B.)

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    Messaggio del Patriarca Bartolomeo per la Giornata per la salvaguardia del creato

    ◊   Sviluppare soprattutto in tempi di crisi “un modello economico e sociale che dia priorità alla considerazione dell’ambiente piuttosto che ai soli guadagni finanziari”. E’ l’appello contenuto nel messaggio che il Patriarca ecumenico di Costantinopoli dedica quest’anno alla Giornata per la salvaguardia del creato che si celebra il 1° settembre. Nel cuore del messaggio - riferisce l'agenzia Sir - quest’anno il Patriarca pone i paesi maggiormente colpiti dalla crisi economica e finanziaria e rivolge un pensiero preoccupato alla Grecia. “Consideriamo, per esempio – scrive - cosa potrebbe accadere in paesi che sono pesantemente colpiti dalla crisi economica e dalla povertà, come la Grecia. Questi Paesi possiedono una eccezionale ricchezza naturale: ecosistemi unici, una fauna e una flora rare, risorse naturali particolari, paesaggi delicati e abbondante di vento e sole. Se questi ecosistemi si deteriorano o addirittura scompaiono, se le risorse naturali si esauriscono, se i paesaggi sono danneggiati, se i cambiamenti climatici provocano effetti imprevedibili sul tempo, su quale fondamento si fonderà il futuro finanziario di questi Paesi e dell’intero pianeta?”. Da qui l’appello ad impegnarsi a favore “di sviluppi ambientali sostenibili e durevoli”. (R.P.)


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    Senegal: è morto mons. Coly, uomo di pace nella regione della Casamance

    ◊   Si è spento ieri all’ospedale di Dakar mons. Maixent Coly, vescovo di Ziguinchor e responsabile della Chiesa nella regione della Casamance, nel sud del Senegal. La causa del decesso, specifica l’agenzia Misna, è un attacco cardiocircolatorio. Il vescovo era stato nominato nel 1993 e nel corso del suo mandato ha supervisionato ben tre accordi di pace tra governo e ribelli del Movimento delle forze democratiche della Casamance. Ordinato sacerdote nel 1980, il presule dapprima fu insegnante presso il Petit College de Saint Luis, nella città di Ziguinchor di cui, in seguito, fu prima vescovo coadiutore e poi vescovo guida della diocesi. (R.B.)

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    Usa: i luterani divisi sul tema dell’omosessualità nel clero

    ◊   La comunità luterana statunitense si divide sul tema dell’omosessualità: dalla Evangelican Lutheran Church in America (Elca), si è separato un gruppo di centinaia di fedeli che andrà a formare la North American Lutheran Church (Nalc) in seguito alla decisione dell’Elca di votare l’autorizzazione agli omosessuali che hanno relazioni “pubbliche, durevoli e monogamiche” a far parte del clero. “Non è stata una nostra scelta lasciare l’Elca, è stata l’Elca a scegliere di rigettare la fede un tempo affidata ai Santi”, ha spiegato Ryan Schwarz, presidente del Lutheran Core’s Vision and Planning Working Group, secondo il quale la strada intrapresa dall’Elca sarebbe “lontana dall’autorità e dall’insegnamento della Bibbia”. L’Osservatore Romano riporta le parole di spiegazione contenute nella lettera scritta dal vescovo presidente dell’Elca, Mark S. Hanson: “Dobbiamo temere e amare Dio, perciò non mentiamo al nostro prossimo, non lo tradiamo e non lo diffamiamo o distruggiamo la sua reputazione. Invece dobbiamo prendere le sue difese, parlare bene di lui e interpretare ogni cosa che egli fa nella migliore luce possibile”. Non si escludono possibili future relazioni tra l’Elca e la Nalc: “Nel tempo che siamo stati insieme – si legge ancora – siamo stati conosciuti come una Chiesa che si rimbocca le mani e risolve i problemi, la Chiesa che è catalizzatrice, che riunisce e costruisce i ponti. Le nostre forti relazioni globali ed ecumeniche testimoniano il nostro impegno – ha concluso il vescovo – dobbiamo impegnarci a obbedire al comandamento che vieta la falsa testimonianza e ci impegna a vivere in maniera coerente, sia in pubblico che in privato”. (R.B.)

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    Il Sinodo Valdese apre delle coppie gay ma con il consenso delle comunità locali

    ◊   A conclusione di un lungo e articolato dibattito, ieri sera il Sinodo delle chiese metodiste e valdesi ha approvato con un ordine del giorno, una sostanziale apertura alla benedizione di coppie dello stesso sesso, “laddove – precisa l’ordine del giorno approvato - la chiesa locale abbia raggiunto un consenso maturo e rispettoso delle diverse posizioni”. Una clausola quest’ultima “impostasi – spiega un comunicato emesso in tarda serata dal Sinodo valdese ripreso dall'agenzia Sir – data l'impossibilità emersa nel corso delle discussione di un ‘si’ incondizionato reputato ancora prematuro. L'accento è posto infatti sul percorso di maturazione delle stesse coppie e delle rispettive comunità locali”. La decisione è stata presa con 105 voti favorevoli, 9 contrari, e 29 astenuti. (R.P.)

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    Sinodo greco-ortodosso di Antiochia: la priorità è la formazione dei giovani

    ◊   Si è svolto dal 17 al 20 agosto scorsi nel Monastero di San Cristoforo a Saydanya, in Siria, il Sinodo del Patriarcato greco-ortodosso di Antiochia e di tutto l’Oriente, sotto la presidenza del Patriarca Ignazio IV di Antiochia, al quale hanno preso parte metropoliti delle diocesi della Chiesa madre e della diaspora. Come riferisce L’Osservatore Romano, questi i principali temi trattati nella sessione: la formazione offerta nell’Istituto di teologia ortodossa San Giovanni Damasceno a Balamand, in Libano e l’impegno dei giovani all’interno della Chiesa; l’adozione di una guida pastorale per i sacerdoti e dello statuto dei vescovi ausiliari della diocesi antiochena nordamericana; la situazione nelle altre diocesi della diaspora, soprattutto in quella denominata “d’Europa”. Quanto ai giovani, il Patriarcato si è mostrato particolarmente attento alla loro realtà e nel comunicato finale ha espresso la necessità di “chiarire il ruolo dei chierici e dei laici per il ricevimento dei carismi dello Spirito Santo, per i bisogni dell’unità e della pace nella Chiesa”. Per quanto concerne la Pastorale, è stato approvato un testo destinato ai sacerdoti e curato dal metropolita Giorgio (Khodr): una guida da utilizzare nel servizio missionario e sacramentale. Delle diocesi, poi, è stato messo in risalto il lavoro compiuto, soprattutto in quella d’Europa (ex diocesi dell’Europa centrale e occidentale con l’allargamento ai Paesi scandinavi), del Messico e dell’Argentina. Infine, i membri del Sinodo hanno sottolineato la felice realtà del dialogo ortodosso-cattolico e hanno auspicato che l’azione della Chiesa ortodossa d’Antiochia possa condurre al “più grande avvicinamento possibile tra le due Chiese”, soprattutto sul piano della testimonianza quotidiana e del servizio ai poveri, decidendo di istituire una nuova commissione per proseguire il dialogo. (R.B.)

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    Francia: il bisogno di Dio al centro degli “Stati generali del cristianesimo”

    ◊   “La nostra epoca ha bisogno di Dio?”: la domanda sarà al centro della prima edizione degli “Stati generali del cristianesimo” che si terranno a Lille, in Francia, dal 23 al 25 settembre. Organizzato dal settimanale “La Vita”, il convegno si articolerà in forum, dibattiti e momenti di preghiera. In un’intervista pubblicata sul sito Internet della Conferenza episcopale francese, mons. Laurent Ulrich, arcivescovo di Lille, spiega: “È giunto il momento di far parlare cristiani di mondi diversi, persone che vivono in quei ‘circuiti’ della Chiesa che non sono automaticamente in comunicazione fra loro”. “La nostra epoca – continua il presule – ha bisogno di Dio né più né meno che le epoche precedenti o seguenti. Però, oggi abbiamo l’opportunità di parlarne”, poiché “siamo segnati da una forma di indifferenza che non soddisfa nessuno. E un certo numero di nostri contemporanei portano nel cuore il desiderio di rimettere l’interiorità al centro della vita”. Poi, l’arcivescovo di Lille fa un’ulteriore precisazione: “La nostra società liberale non impedisce di parlare della fede, ma i suoi interessi sono altrove, ossia nell’immediatezza, nella sfera materiale, nei progetti a breve termine”. Ma tutto questo, aggiunge il presule, “non riempie a sufficienza le nostre vite. Le invade, sì, fa molto rumore, ma non ci fa vivere davvero”. Per questo, ribadisce, “la gente ha bisogno di ritrovare i valori fondamentali”. Tre gli argomenti che saranno affrontati nei diversi giorni del convegno, ognuno portatore di un singolare interrogativo: “Qual è la presenza cristiana nel dibattito pubblico?”, “C’è bisogno di un nuovo Concilio?” e “Evangelizzare vuol dire provocare?”. A proposito di quest’ultimo argomento, mons. Ulrich sottolinea: “Sono molti i cristiani presenti ed impegnati nella vita sociale. Ma se è vero che la ragione del loro impegno è il legame con Cristo, è anche vero che oggi ciò è molto difficile da dire. Queste persone portano avanti il loro operato, ma hanno delle riserve a testimoniare la loro fede”. La provocazione, quindi, ribadisce il presule, sta proprio nel capire se oggi si può parlare liberamente dell’amicizia con Dio, della fede che stimola il nostro impegno. Tra i presenti agli “Stati generali del cristianesimo” anche Bernard Podvin, portavoce dei vescovi francesi, e suor Nathalie Becquart, co-direttrice del Servizio nazionale per l’evangelizzazione dei giovani. (I.P.)

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    Myanmar: l’arcidiocesi di Yangon punta all’indipendenza economica entro il 2020

    ◊   Offrire aiuto, invece di riceverlo, ed essere indipendenti dal punto di vista economico: è l’obiettivo che l’arcidiocesi di Yangon, nell’ex Birmania, vuole raggiungere entro il 2020. A ribadirlo è stato l’arcivescovo della città, mons. Charles Bo, nel corso di un seminario di due giorni, dedicato a “La spiritualità della gestione amministrativa in Myanmar” e conclusosi ieri. “Vorrei porre fine agli aiuti finanziari esterni entro nove anni”, ha detto il presule, incentrando il suo discorso sul modo in cui le persone che lavorano per la Chiesa possono arricchire la propria esperienza spirituale operando responsabilmente nel prendersi cura delle necessità temporali. Per questo, mons. Bo ha illustrato uno speciale programma che renderà la Chiesa locale non solo capace di fronteggiare le questioni finanziare, ma anche di essere più attiva e più coinvolgente sia per i fedeli che per le altre persone. “Vogliamo avviare questo programma in tutte le parrocchie contemporaneamente – ha spiegato il presule – Ogni parroco, ogni religioso ed ogni laico deve assumersi le proprie responsabilità ed essere coinvolto nel programma. Solo allora potremo portarlo a termine”. L’iniziativa sarà portata avanti da collaboratori esperti del settore, come José Clemente, direttore generale dell’Istituto socio-pastorale delle Filippine, anch’egli presente al seminario. “Condivideremo la nostra esperienza - ha detto – nel costruire un sistema di gestione amministrativa delle parrocchie in cui nessuno è escluso e dove le persone sono valorizzate, apprezzate e ciascuna mette a frutto i doni di Dio”. Al termine del seminario, un gruppo di 15 partecipanti è stato selezionato per ricevere una formazione più avanzata per la realizzazione del programma. (I.P.)

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    Gabon: presentato il nuovo sito Internet della Chiesa cattolica locale

    ◊   www.eglisecatholiquedugabon.ga: è questo l’indirizzo Internet del nuovo sito della Chiesa cattolica del Gabon, presentato ufficialmente dall’Associazione cattolica gabonese per la comunicazione (Acgc). Nata nel 2009 su iniziativa dell’arcidiocesi di Liberville, l’Acgc ha, infatti, l’obiettivo di incoraggiare i cattolici ad essere “sale della terra e luce del mondo nella società e nella Chiesa”. Il nuovo sito Internet è in linea con il messaggio del Papa per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni sociali di quest’anno, dedicato proprio ai nuovi media al servizio della Parola di Dio. “Internet è un nuovo mezzo di comunicazione – ha detto mons. Basile Mvé Engone, arcivescovo metropolita di Liberville – La Chiesa fa comunicazione perché deve annunciare, condividere, spiegare il Vangelo alla gente. Essa deve quindi utilizzare tutti quei mezzi che la gente stessa usa per comunicare”. Inoltre, ha continuato il presule, “Internet è un mezzo nuovo, una tecnologia nuova e la Chiesa non può restare a margine di tale sviluppo. Anzi: essa deve utilizzare la nuova tecnologia proprio per proclamare la Buona Novella di salvezza”. Il nuovo sito, che riporta tutte le attività della Chiesa cattolica del Gabon, sarà al momento aggiornato una volta al mese, ma progressivamente si cercherà di accelerare i tempi, con aggiornamenti ogni 15 giorni. Da ricordare che la Chiesa gabonese conta già altri due mass media: l’emittente radiofonica “Santa Maria” ed il giornale “Il cammino”. (I.P.)


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    24 Ore nel Mondo



    L’Onu alla Francia: no ai rimpatri collettivi dei Rom

    ◊   Continuano a far discutere i rimpatri dei cittadini bulgari e rumeni di etnia Rom disposti dal governo francese. Sulla questione è intervenuto oggi il Comitato Onu contro le discriminazioni razziali. L'organizzazione ha esortato Parigi ad “evitare i rimpatri collettivi” e ad adoperarsi per soluzioni durature. Oggi, intanto, partiranno altri due charter per la Romania, con a bordo circa 300 Rom. Il servizio di Marco Guerra:

    I Rom sono stati “rinviati in modo collettivo nei loro Paesi d'origine senza che sia stato ottenuto il consenso libero, pieno e informato di tutti gli individui interessati”. Così il Comitato Onu contro il razzismo è intervenuto sulla questione dei rimpatri, esprimendo inoltre la propria preoccupazione per l’esercizio dei diritti economici, sociali e culturali da parte della comunità Rom. Sui rimpatri è tornato anche l’arcivescovo Agostino Marchetto, segretario del Pontificio Consiglio per la Pastorale dei Migranti, ribadendo, in una intervista alla Misna, che le espulsioni dalla Francia “sono in contrasto con il principio della libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea e anche con quello che sancisce che la responsabilità penale è personale e non può in alcun modo costituire la base per un giudizio collettivo”. Il presule ha invitato poi a “non dimenticare che i Rom furono vittime dell’olocausto e che durante la Seconda guerra mondiale i caduti nella loro comunità furono oltre 600 mila. Di questo dramma, spesso dimenticato dalla storia – conclude – dovremmo prendere atto e muovere la nostra azione con misericordia profonda”. Intanto, il primo ministro francese, Fillon, ha concordato con il presidente della Commissione Ue, Barroso, una riunione sulla questione Rom che si terrà "nei prossimi giorni” fra “i ministri e i commissari europei” coinvolti. E sul dibattito piomba come un macigno una nuova tragedia avvenuta nella notte in un campo nomadi abusivo alla periferia di Roma, dove un bambino di tre anni è morto carbonizzato per un incendio divampato in una baracca. Grave – ma fuori pericolo - il fratellino di quattro mesi, ricoverato al Policlinico Gemelli. Feriti lievemente anche i genitori. I Carabinieri stanno accertando le cause del rogo.

    Usa-Corea del Nord
    Successo per la missione in Corea del Nord dell’ex presidente americano, Jimmy Carter, che è riuscito ad ottenere la liberazione del cittadino americano, un missionario protestante di 30 anni, detenuto a Pyongyang da gennaio con l’accusa di essere entrato illegalmente nel Paese. Il regime nordcoreano – sempre durante gli incontri con Carter – ha anche fatto sapere di essere favorevole alla ripresa delle trattative con la comunità internazionale sul disarmo nucleare.

    Kenya-Costituzione
    Il presidente del Kenya, Emilio Mwai Kibaki, ha promulgato oggi a Nairobi la nuova Costituzione approvata con referendum il 4 agosto, durante una cerimonia alla quale hanno partecipato decine di migliaia di persone. All’evento, nel centrale Uhuru Park, hanno presenziato anche capi di Stato di molti Paesi africani, diplomatici, compreso l’arcivescovo di Nairobi, il cardinale John Njue. La Carta introduce importanti modifiche istituzionali, rafforzando i poteri del primo ministro e istituendo un Senato, ma fornisce anche la cornice per la soluzione di questioni di grande rilievo economico e sociale. I vescovi del Paese hanno criticato da parte loro i cambiamenti relativi all'introduzione dell'aborto e all'istituzione dei tribunali islamici - chiedendo su questi punti immediate modifiche della Costituzione - ma hanno sostanzialmente accolto con soddisfazione il nuovo testo costituzionale. Lydia O’Kane, della nostra redazione inglese, ha raccolto il commento del vescovo di Machakos, mons. Martin Musonde Kivuva:

    R. - Despite, in fact, we had reservations - and we still do - the mood now is …
    Nonostante le riserve che avevamo e che tuttora abbiamo l’atmosfera ora è di quasi gioia per questo nuovo inizio. La gente è felice, tutti sembrano pensare: vedi, forse ora c’è di nuovo una speranza per il Kenya. Ovviamente, noi partecipiamo a questa atmosfera e abbiamo detto: accettiamo il verdetto del popolo. Riassumendo, potrei dire che il popolo del Kenya in generale è felice. In ogni capoluogo di distretto si sono svolte funzioni, è stato letto il discorso del presidente… insomma, la gente è contenta, è di buon umore. Certo, non tutto è perfetto, le nostre riserve rimangono: non smetteremo di sottolineare gli aspetti morali, continueremo a chiedere un cambiamento, a chiedere l’adozione di nuove normative, come per esempio sull’aborto, sui matrimoni omosessuali, sulla famiglia e così via. Fin dagli anni Cinquanta, dai tempi del colonialismo e del movimento Mau-Mau, e poi con la seconda presidenza ci sono state molte lotte attorno alla Costituzione nelle diverse campagne elettorali. Guardiamo quindi oggi al Paese con sguardo positivo e speriamo che sia vero quello che qualcuno ha detto: è una nuova alba per il Kenya.

    Medio Oriente
    L’impegno israeliano a proseguire con la moratoria sulle attività di costruzione negli insediamenti, deve comprendere anche Gerusalemme est. È la richiesta presentata dall’Autorità nazionale palestinese all’Amministrazione Usa, nei colloqui preparatori all’avvio dei negoziati del 2 settembre a Washington. I palestinesi, riferiscono fonti locali, si aspettano che gli Stati Uniti continuino a sostenere le loro richieste, anche al termine della moratoria decisa da Israele.

    Iraq
    In Iraq, non accenna a fermarsi l’offensiva terroristica scatenata dopo il ritiro delle truppe Usa. Due militari e un ufficiale dell’esercito regolare sono stati uccisi in uno scontro a fuoco a Baaj, nel nord del Paese. Sempre nel nord, due miliziani anti-Qaeda della Sahwa sono morti e quattro sono rimasti feriti in un agguato ad un checkpoint. Reclutati dagli Stati Uniti tra le tribù arabe sunnite, i militanti della Sahwa, conosciuta anche come ''i Figli dell'Iraq'', hanno svolto un ruolo chiave nel fermare le violenze settarie nel Paese. Intanto, il nuovo ambasciatore americano a Baghdad, James Jeffrey, punta il dito con l’Iran, affermando che Teheran è responsabile di almeno un quarto delle dei militari Usa uccisi in questi anni in Iraq.

    Afghanistan
    Ennesima giornata di violenze in Afghanistan. Tre soldati statunitensi sono morti in due distinti episodi. Due dei militari sono morti in un attacco bomba dei talebani nella parte orientale del paese. Il terzo è morto in un attentato simile nel sud. Nuove presunte vittime anche tra i civili: Un capo della polizia afghana ha accusato l'Isaf, la forza a guida Nato, di aver ucciso ieri sei bambini e di averne ferito un altro in un bombardamento nella provincia orientale di Kunar. L’Isaf sta indagando sulle accuse. Intanto, il presidente afgano, Hamid Karzai, in un incontro con il capo del Comando Centrale Usa, James Mattis, ha invitato Washington a rivolgere la sua attenzione militare sui “covi del terrore” che si trovano fuori dall'Afghanistan, sostenendo che fino ad ora non c'è stato ''alcun progresso'' nella guerra contro i talebani.

    Yemen
    Nello Yemen, un commando di terroristi di Al-Qaeda ha ucciso cinque soldati dell'esercito yemenita nella città di Zinjibar, capoluogo della provincia meridionale di Abyen. Secondo fonti locali, i militari sono stati uccisi ieri sera, mentre pattugliavano la città. Ad aprire il fuoco contro il loro mezzo sono stati due uomini a volto coperto a bordo di una moto, che hanno eseguito l'agguato all'interno di un mercato. Il luogo dell’attentato si trova a pochi chilometri dal Loder, considerata la roccaforte dei terroristi di al-Qaeda.

    Cile-minatori
    Prosegue la drammatica vicenda dei 33 minatori cileni bloccati a 700 metri di profondità. Ieri, la televisione pubblica è riuscita a trasmettere le prime immagini raccolte con una sonda, in cui i lavoratori appaiono in discrete condizioni, e ben organizzati nel loro rifugio sotterraneo, in cui è stato ricavato anche un angolo per la preghiera. Il gruppo si avvale anche dell’aiuto della Nasa, che sta fornendo al governo cileno alimenti speciali per astronauti e informazioni sulle tecniche di sopravvivenza in spazi limitati. Intanto, su richiesta di uno degli avvocati delle famiglie degli operai, la magistratura cilena ha congelato alcuni beni della società San Esteban, proprietaria della miniera San Josè. Il gruppo minerario ha dichiarato nei giorni scorsi di essere sull'orlo del fallimento a causa dell'incidente e di non poter più pagare gli stipendi ai minatori.

    Turchia
    Almeno 11 morti e due dispersi si registrano nel nordest della Turchia, flagellato dalle piogge torrenziali e dagli allagamenti. La situazione più grave a Gundogdu, nella regione del Mar Nero, dove giovedì sera si è abbattuta una frana. Gli smottamenti sono frequenti lungo questo tratto di costa, dove spesso le case sono costruite abusivamente e su terreni friabili. Si segnalano l’interruzione di diverse strade e delle linee telefoniche. (Panoramica internazionale a cura di Marco Guerra)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIV no. 239

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