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Sommario del 26/08/2010

Il Papa e la Santa Sede

  • Benedetto XVI per i 100 anni dalla nascita di Madre Teresa: è stata un "dono inestimabile", il suo esempio illumini di carità i cuori di tutti
  • Madre Teresa, una vita plasmata dall’amore di Cristo. Le parole della Beata sulla gioia della carità
  • Oggi su " L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Cile. Minatori intrappolati a 700 metri di profondità: le speranze di mons. Quintana
  • Iraq. Il vescovo di Kirkuk: rischio di guerra civile
  • Attentato a Reggio Calabria. Mons. Mondello: più formazione per combattere la mafia
  • Desiderio di Dio e persecuzioni anticristiane al Meeting di Rimini con il cardinale Scola e l'on. Mauro
  • Chiesa e Società

  • Pakistan: la Chiesa cattolica nel mondo mobilitata per la popolazione alluvionata
  • La dolorosa sorte in Pakistan di profughi cristiani e indù, discriminati negli aiuti
  • Iraq: rapito un cristiano originario di Mosul
  • New York: la mediazione di mons. Dolan sul progetto di una moschea a Ground Zero
  • La Chiesa cilena ricorda i 25 anni dell'Accordo nazionale per il ritorno alla democrazia
  • Paraguay: nuovo documento dei vescovi in difesa della famiglia e del matrimonio
  • Francia: sulla questione immigrati il cardinale Vingt-Trois parla di "clima malsano"
  • Usa: per il Labor Day i vescovi chiedono lavoro degno e salario per tutti
  • Si aggrava il bilancio dell’epidemia di colera in Nigeria: oltre 350 i morti
  • Uganda: i vescovi lanciano una guida per le prossime elezioni presidenziali nel 2011
  • Delegazione di vescovi africani in Europa per gli Obiettivi del millennio
  • Filippine: i vescovi contrari a regole più morbide sulla donazione degli organi
  • L'impegno del Consiglio Mondiale delle Chiese contro il razzismo
  • Australia: in settembre visita agli aborigeni del Consiglio Ecumenico delle Chiese
  • Da oggi a Budapest Conferenza internazionale sulla dignità della donna
  • Settimana di formazione a Nîmes per i giovani cattolici, ortodossi, protestanti e anglicani
  • Senegal: compie 50 anni l'orchestra Ucas, tra le più antiche dell’Africa occidentale
  • 24 Ore nel Mondo

  • Nuovi scontri in Somalia: in cinque giorni oltre 90 morti
  • Il Papa e la Santa Sede



    Benedetto XVI per i 100 anni dalla nascita di Madre Teresa: è stata un "dono inestimabile", il suo esempio illumini di carità i cuori di tutti

    ◊   Cento anni fa, da una famiglia albanese veniva al mondo a Skopje – allora città dell’ex Jugoslavia, oggi in Macedonia – l’Angelo dei poveri, Madre Teresa di Calcutta. E oggi il mondo ricorda con numerose celebrazioni questo importante anniversario. Lo ha fatto Benedetto XVI, con un messaggio inviato a suor Prema, superiora generale delle Missionarie della Carità, che la Beata fondò nel 1950. Madre Teresa, scrive il Papa, è stata in vita un “dono inestimabile” e continua a esserlo “attraverso l'amoroso e instancabile lavoro di voi, sue figlie spirituali”. Possa il suo esempio, è l’invito del Pontefice, spingervi “a donare voi stesse generosamente a Gesù, che voi vedete e servite nei poveri, nei malati, nelle persone sole e abbandonate”, e “ad accogliere l'invito di Gesù ‘Vieni, sii la mia luce’”. A Madre Teresa, Benedetto XVI si è più volte riferito in tanti discorsi. Alessandro De Carolis ricorda alcuni dei passaggi più significativi:

    (musica)

    Essere sorriso e fuoco per il mondo, quando hai ombre e ghiaccio dentro. E’ la “commedia” divina dei Santi, è stata per lunghissimi anni la vita di Madre Teresa. Una piccola donna grande come il Vangelo, che ha insegnato in che modo, se si ama Cristo, è possibile dare i contorni del Paradiso agli inferni delle più abbiette miserie umane. “Madre Teresa – si legge nel Messaggio inviato dal Papa alle Missionarie della Carità – ha esemplificato davanti al mondo le parole di San Giovanni: ‘Carissimi, se Dio ci ha amato, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri. Se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l'amore di Lui è perfetto in noi.’ Questa perfezione, propria di una natura divina, è stata conosciuta dal mondo del Novecento attraverso i mille gesti di carità e le poche, sapienti parole di una creatura umana:

    “La Beata Madre Teresa di Calcutta non è stata forse, nei nostri tempi, una testimone indimenticabile della vera gioia evangelica? Viveva quotidianamente a contatto con la miseria, il degrado umano, la morte. La sua anima ha conosciuto la prova della notte oscura della fede, eppure ha donato a tutti il sorriso di Dio”. (Angelus, 16 dicembre 2007)

    La “notte oscura” della fede: nel 2007, a dieci anni dalla scomparsa, arrivò nelle librerie un volume che raccoglieva le lettere in cui Madre Teresa confidava di questa particolare percezione di aridità avvertita nell’anima, vissuta e spiegata nei secoli passati anche da grandi mistici. In un’epoca, come la nostra, in cui il privato ha senso solo se è offerto in pasto al pubblico, riesce davvero difficile comprendere il senso di ciò che visse Madre Teresa. Il predicatore pontificio, padre Raniero Cantalamessa, la spiegò così in un articolo: “La interminabile notte di alcuni santi moderni è il mezzo di protezione inventato da Dio per i santi di oggi che vivono e operano costantemente sotto i riflettori dei "media". È la tuta d'amianto per chi deve andare tra le fiamme; è l'isolante che impedisce alla corrente elettrica di disperdersi, provocando corti circuiti…”:

    “Con tutta la sua carità, la sua forza di fede, Madre Teresa soffriva del silenzio di Dio. Da una parte, dobbiamo sopportare questo silenzio di Dio anche per potere capire i nostri fratelli che non conoscono Dio. Dall’altra, con il Salmo possiamo sempre di nuovo gridare a Dio: ‘Parla, mostrati!’. E senza dubbio nella nostra vita, se il cuore è aperto, possiamo trovare i grandi momenti nei quali realmente la presenza di Dio diventa sensibile anche per noi. (Agorà dei giovani di Loreto, 1 settembre 2007)

    Ma “sarebbe grave errore – proseguiva padre Cantalamessa in quell’articolo – pensare che la vita di queste persone sia tutta tetra sofferenza. Nel fondo dell'anima, queste persone godono di una pace e gioia sconosciute al resto degli uomini, derivanti dalla certezza, più forte in esse del dubbio, di essere nella volontà di Dio”. E questo fu sempre il volto pubblico di Madre Teresa, sia nel fango di uno slum, sia sul podio del Premio Nobel: un volto di pace per i non voluti, i non amati, i non curati. Madre Teresa è stata la dimostrazione vivente – ha affermato Benedetto XVI – del fatto che la gioia “entra nel cuore di chi si pone al servizio dei piccoli e dei poveri”, fino all’ultimo giorno della loro vita:

    “Nessun credente dovrebbe morire nella solitudine e nell’abbandono. Madre Teresa di Calcutta aveva una particolare premura di raccogliere i poveri e i derelitti, perché almeno nel momento della morte potessero sperimentare, nell’abbraccio delle sorelle e dei fratelli, il calore del Padre”. (Discorso alla Pontificia Accademia per la Vita, 25 febbraio 2008)

    “Noi aspettiamo con impazienza il Paradiso, dove c'è Dio, ma è in nostro potere stare in Paradiso fin da quaggiù e fin da questo momento. Essere felici con Dio significa: amare come Lui, aiutare come Lui, dare come Lui, servire come Lui”, scrisse Madre Teresa nel libro intitolato “La gioia di darsi agli altri”. Dunque – augurò Benedetto XVI due anni fa alle Missionarie della Carità – che questo “stile di amore evangelico”...

    “…suggelli e contraddistingua sempre la vostra vocazione perché, oltre all’aiuto materiale, possiate comunicare a quanti quotidianamente incontrate quella stessa passione per Cristo e quel luminoso ‘sorriso di Dio’ che hanno animato l’esistenza di Madre Teresa. (Visita Casa dono di Maria, 4 gennaio 2008).
    (musica)

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    Madre Teresa, una vita plasmata dall’amore di Cristo. Le parole della Beata sulla gioia della carità

    ◊   Diventare “messaggeri dell’amore di Dio per chi ci sta attorno”: è quanto scrive Suor Mary Prema, superiora delle Missionarie della Carità, in un messaggio per il centenario della nascita di Madre Teresa. Una gioiosa ricorrenza che è stata vissuta con particolare intensità a Calcutta, dove il cardinale indiano Telesphore Placidus Toppo ha celebrato una Messa nella Casa delle religiose dove riposa la Beata. All’inizio della celebrazione, Suor Prema e Suor Nirmala, la prima superiora a succedere a Madre Teresa, hanno lanciato delle colombe in segno di pace. Dal canto suo, l'arcivescovo di Calcutta, mons. Lukas Sirkar, ha definito Madre Teresa "un raggio di gioia e di speranza" per gli emarginati dell'India. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    “Dio ci ha creati per cose più grandi, per amare ed essere amati”: Suor Mary Prema ricorda il messaggio fondamentale dell’apostolato della carità di Madre Teresa di Calcutta. In una lettera ai collaboratori per il centenario della nascita della Beata, la religiosa di origine tedesca sottolinea che la vita e l’opera di Madre Teresa continuano ad essere ispirazione per grandi e piccoli, ricchi e poveri senza distinzioni di fede religiosa. E, in un’intervista all’agenzia Fides, afferma che Madre Teresa “era convinta che ogni anima desidera la salvezza in Gesù, indipendentemente se ne sia conscia o no”. Il premio Nobel per la pace, prosegue Suor Mary, intese la propria vita “come compito di amare Gesù e di trasmettere questo amore alle persone intorno a lei”. Ecco, come ai nostri microfoni, Madre Teresa parla dell’amore di Gesù, la sorgente della sua vita:

    “Jesus came to give us…
    Gesù è venuto per portare la Buona Novella che Dio ci ama e che dobbiamo amarci l’un l’altro come Lui ama noi. E’ per far sì che ci amassimo che Egli ha detto: ‘Qualsiasi cosa voi avete fatto per i bisognosi, l’avete fatto per me. Se avete dato un bicchiere di acqua in mio nome, l’avete dato a me. Se avete ricevuto un bambino nel mio nome, avete ricevuto me’. E quando moriremo e torneremo nella casa di Dio, di nuovo sentiremo Gesù dire: ‘Venite voi benedetti dal Padre mio, perché quando ho avuto fame mi avete dato da mangiare. Ero nudo e mi avete vestito. Non avevo una casa e mi avete accolto. Ero malato in prigione e siete venuti a trovarmi. Venite e prendete il Regno che è stato preparato per voi’. Dove ha inizio l’amore? Nella nostra famiglia. Come inizia? Pregando insieme. La famiglia che prega insieme, resta insieme. E se voi resterete insieme vi amerete l’un l’altro come Gesù vi ama. Portate allora la preghiera, la gioia, l’amore e la pace nelle vostre famiglie e così crescerete nella santità. La santità non è un lusso per pochi, è una bellezza semplice, perché Gesù ha detto: ‘Siate santi come il Padre mio che è nei cieli’. Che Dio vi benedica tutti”.

    Instancabile fino agli ultimi giorni della sua vita nel portare amore agli ultimi, Madre Teresa arriva direttamente al cuore grazie alla sua spiritualità, semplice e profonda. Così, riassumeva il legame tra la preghiera e le opere di carità:

    “The fruit of silence is prayer...
    Il frutto del silenzio è la preghiera. Il frutto della preghiera è la fede. Il frutto della fede è l’amore. Il frutto dell’amore è la pace. Le opere di amore non sono altro che opere di pace”.

    Seguire Gesù senza risparmio di energie: è questo il “segreto” della vita di Madre Teresa di Calcutta, l’energia che le consente di realizzare l’irrealizzabile al fianco dei diseredati abbandonati da tutti. Una vita, quella di Madre Teresa, plasmata dall’amore di Cristo:

    “By allowing to...
    Lasciandoci plasmare da Cristo, ma anche attraverso un profondo e tenero amore verso Gesù, specialmente nell’Eucaristia, nella Messa e nell’Adorazione”.

    Madre Teresa, osserva Suor Mary Prema, è riuscita a trasformare il mondo con un sorriso. “Un sorriso – soleva affermare la Beata di Calcutta – genera sorrisi e l’amore genera amore”. E aggiungeva: “Sorridete a vicenda, trovate il tempo l’uno per l’altro nella vostra famiglia, non sappiamo mai quanto bene un semplice sorriso può fare”.

    “Un’icona della Carità” così viene definita Madre Teresa dallo scrittore francese Dominique Lapierre (autore del recente Libro "Un arcobaleno nella notte", edito da Il Saggiatore, il cui incasso sarà interamente devoluto alle missioni presenti a Calcutta) che incontrò più volte Madre Teresa. Ecco la sua testimonianza nell’intervista di Massimiliano Menichetti:

    R. – Il mio incontro con Madre Teresa è stato il momento più straordinario della mia vita. Ho capito che tutti noi possiamo fare qualcosa per cambiare le ingiustizie. Non è necessario andare a Calcutta, anche qui abbiamo tante ingiustizie che possiamo aiutare a cambiare.

    D. – Quindi, tutti possono essere strumenti di compassione e di amore...

    R. – Assolutamente sì, tutti noi possiamo fare qualcosa per portare un po’ d’amore, un po’ di compassione ai più poveri, a coloro che sono soli e abbandonati.

    D. – Giovanni Paolo II l’ha definita “icona della missione”, Benedetto XVI “autentica discepola di Cristo”…

    R. – Per me era un gigante della carità, una persona che poteva capire immediatamente i bisogni dei più poveri, dei malati. Madre Teresa era veramente un esempio. Il “sari” bianco bordato di blu era realmente il segno, per molti, della possibilità di sopravvivere e l’emblema dell’amore per i più poveri.

    D. – Ecco, Madre Teresa portava la carità, una carità in Gesù Cristo. Ripeteva: “Non siete soli, siete amati da noi che siamo qui, siete amati da Gesù”. Era uno dei suoi motti …

    R. – Sì, esattamente. Madre Teresa aveva la forza di vedere in ogni povero, in ogni malato, la persona di Gesù Cristo.

    D. – Per capire anche un po’ la personalità di Madre Teresa di Calcutta, una donna piccola, minuta, ma con una grande forza: quale era il carattere, il carisma di questa donna?

    R. – Una forza tale che le faceva dire: tutti i poveri sono nostri fratelli. Un carisma di carità, di compassione e la capacità di vivere con i più poveri di tutto il mondo. Io ho passato molto tempo con Madre Teresa a New York, nel Bronx, a Roma e in altri Paesi: quando Madre Teresa veniva in questi centri era come un’onda di amore che propagava la sua compassione verso tutti.

    D. - Qual è l’eredità che Madre Teresa ha lasciato al mondo?

    R. – E’ una eredità enorme. La sua Congregazione, la Congregazione dei missionari della carità, è molto attiva; sono migliaia di sorelle e di fratelli che in più di 150 paesi del mondo lavorano per i più poveri, per gli anziani, per i bambini abbandonati. E’ realmente una “multinazionale” della carità che funziona molto bene più di dieci anni dopo la morte di Madre Teresa.

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    Oggi su " L'Osservatore Romano"

    ◊   Il messaggio del Papa alla superiora generale delle Missionarie della Carità, in cui si ricorda l’esempio di Madre Teresa, in occasione delle celebrazioni per il centenario della nascita.

    La vita in Cristo: in prima pagina, Manuel Nin sui sacramenti dell'iniziazione cristiana in Oriente.

    In rilievo, nell'informazione internazionale, i negoziati fra israeliani e palestinesi.

    I beati commedianti: Giuseppe Ledda sul teatro nel "Paradiso" di Dante.

    Un articolo di Antonio Paolucci dal titolo "Lo splendore che intimidì Carlo VIII": restaurata la "Sala dei santi" del Pintoricchio nell'Appartamento Borgia.

    Tutto il teatro in un vaso: Maurizio Sannibale sulla mostra "The Art of Ancient Greek Theater" a Los Angeles.

    Una pallina da ping-pong tra due locomotive: Maria Maggi sui cinquant'anni dell'anello di accumulazione, il progenitore dell'Lhc.

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    Oggi in Primo Piano



    Cile. Minatori intrappolati a 700 metri di profondità: le speranze di mons. Quintana

    ◊   In Cile, prosegue la drammatica vicenda dei 33 minatori intrappolati dal 5 agosto scorso nella miniera di San Josè a Copiapò, nel nord del Paese, a oltre 700 metri di profondità. I minatori, tutti in vita, sono stati informati ieri di dover aspettare più di due mesi prima di poter essere liberati. Intanto, due sonde permettono l’invio nel sottosuolo di liquidi e medicinali. Attorno a loro e alle loro famiglie, la solidarietà e il conforto della Chiesa cilena e di tutto il Cile, che ha accolto con gioia la notizia dei primi contatti stabiliti con loro la scorsa domenica, dopo 17 giorni di attesa, come racconta il vescovo di Copiapò, mons. Gaspar Francisco Quintana Jorquera, raggiunto telefonicamente da Linda Giannattasio:

    R. – La noticia de saber que estaban vivos...
    La notizia che erano vivi – che ci hanno comunicato attraverso uno scritto – è stata una gioia immensa per il cuore delle famiglie, per il resto del Paese e anche per la Chiesa diocesana di Copiapò. Questo dolore per noi è stata un’esperienza molto profonda di solidarietà umana.

    D. – Come avete vissuto questi 17 giorni di attesa?

    R. – Como un signo junto a la mina...
    Come segno, vicino alla miniera di San Josè, in una cappella, avevamo posto l’immagine di Nuestra Señora de la Candelaria, che è la patrona dei minatori e anche quella di San Lorenzo, patrono dei minatori, affinché le famiglie, i colleghi di lavoro dei minatori potessero pregare lì accanto alla miniera. Io come vescovo, i sacerdoti e i religiosi, abbiamo celebrato una Messa e abbiamo avuto momenti di preghiera per rincuorare molte delle persone che stavano aspettando il ritorno dei loro cari. Questo periodo doloroso di 17 giorni di attesa è stata un'occasione di incontro per tutto il Paese, per le autorità di governo, per i partiti politici. E’ stato un motivo per incontrarci e per dimenticare un po’ le nostre differenze, per preoccuparci di portare in salvo i minatori. Tutti sappiamo che il mondo minerario è molto pericoloso. Quindi, questo deve servire affinché i governanti, gli imprenditori, i lavoratori diano più attenzione e prendano maggiori precauzioni per la sicurezza della vita dei minatori. Il minatore entra nella miniera e a volte non sa se ne uscirà vivo. Quindi, è stata un’occasione per annunciare in qualche modo la Dottrina sociale della Chiesa, in cui appare chiara la preoccupazione per la persona umana, per il lavoratore che ha diritto alla sicurezza e alla protezione, perché mai più si ripetano queste situazioni e perché si dia al lavoro umano la dignità che merita.

    D. – A che punto sono le operazioni di soccorso in questo momento?

    R. - Se han concentrado...
    Si sono concentrate qui tutte le attrezzature più moderne del settore minerario: macchine molto sofisticate che hanno permesso il contatto con i minatori, a più di 700 metri di profondità; già si stanno inviando medicinali, cibo, trattamenti medici; son potute entrare anche le telecamere. Quindi, c’è comunicazione. E’ presente un’equipe multidisciplinare di medici e psicologi che stanno seguendo questa situazione e c’è già una comunicazione quasi diretta e fluida tra i minatori e le loro famiglie, attraverso scritti e per telefono.

    D. – Quali sono ora le vostre maggiori preoccupazioni?

    R. – La grande preocupacion...
    La grande preoccupazione adesso è vedere lo stato di salute dei minatori che si stanno comunque alimentando, che sono seguiti da un gruppo di medici che si preoccupa per loro, e che sono accompagnati e protetti dalla scienza e anche dalla carità fraterna e dalla preghiera di tutta la Chiesa cilena. Il 18 settembre avremo l’immagine di Nuestra Señora del Carmen, la patrona del Paese, che poco più di due mesi fa è stata benedetta dal Santo Padre Benedetto XVI. Rimarrà con noi alcuni giorni e la porteremo nella miniera per presentare l’amore di Maria come madre che si preoccupa dei suoi figli.

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    Iraq. Il vescovo di Kirkuk: rischio di guerra civile

    ◊   L'aumento, dopo il ritiro delle truppe combattenti Usa dal Paese, del numero degli attentati contro le milizie irachene, che mostrano tutta la loro inadeguatezza a mantenere la sicurezza, preoccupa l'episcopato iracheno che continua a denunciare il rischio caos. ''Il ritiro Usa aumenta la paura degli iracheni per una guerra civile - spiega all'Agenzia Sir l'arcivescovo di Kirkuk, mons. Louis Sako – che potrebbe portare la divisione etnica e religiosa del Paese". Per mons. Sako, se da una parte ''ora c'è tanta libertà”, dall'altra è lento il movimento verso la democrazia''. Intanto, questa mattina sei miliziani anti al Qaida sono stati uccisi e altri due feriti in un attacco condotto da uomini armati a nord est di Baghdad. Sulla difficile situazione irachena Stefano Leszczynski ha intervistato Antonio Papisca della cattedra Unesco per i diritti umani, la democrazia e la pace dell'Università di Padova.

    R. - La guerra non è servita a nulla. A tanti anni di distanza, ora abbiamo una realtà che non sappiamo come gestire. In questo momento di recrudescenza della violenza e degli attentati, vedo qualche cosa di molto ambiguo, che fa dire, da un lato, “ve ne andate, allora non avete combinato nulla!” e, dall’altra parte, - negli ambienti del terrorismo - “vedete cosa siamo capaci di fare noi! La situazione del Paese in fondo ce l’abbiamo in mano noi, in assenza di un’autorità politica, di un governo che sia ampiamente legittimato e allo stesso tempo capace”.

    D. - Si potrebbe obbiettare, che la guerra ha abbattuto, comunque, una dittatura sanguinaria, come quella di Saddam Hussein..

    R. - Diciamo che ci sono tante altre dittature nel mondo, alcune esplicite, altre un po’ più ambigue. Da qui, appunto, l’accusa fatta alla Comunità internazionale di usare due pesi e due misure. In presenza di situazioni come quella irachena andando indietro all’epoca di Saddam, c’è da interrogarsi se la guerra in quanto tale e l’occupazione del territorio siano la via più appropriata per farvi fronte.

    D. - L’Iraq era già prima un Paese fortemente frazionato da un punto di vista etnico, da un punto di vista religioso…Quelli che erano le vittime di un tempo, si sono trasformate in un certo senso nei carnefici di oggi?

    R. - Sono situazioni che esasperano certe discriminazioni latenti, esasperano appunto le faide, esasperano la violenza e chi è violento approfitta poi delle situazioni per conseguire risultati di instabilità. Quindi assistiamo addirittura a immigrazioni forzate, come ad esempio quelle che stanno avvenendo negli ambienti dei cristiani e, ancora una volta, qui gli iracheni dimostrano di non essere in grado di far fronte a questa situazione. Il problema è essenzialmente politico, quindi occorre che la comunità internazionale, trovi maniera di sostenere un processo di riconciliazione all’interno del Paese, è questo che deve avvenire, e quindi sicuramente bisognerà pensare a formare sempre più efficacemente forze di pubblica sicurezza locali e indigene, ma allo stesso tempo occorre un gran progetto, che veda la Comunità internazionale, con l’Onu al centro, con la Lega degli Stati Arabi, l’Organizzazione della Conferenza islamica eccetera, attive insieme per aiutare il processo di recupero della politica in Iraq.

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    Attentato a Reggio Calabria. Mons. Mondello: più formazione per combattere la mafia

    ◊   Una nuova sfida delle cosche allo Stato: va in questa direzione, secondo il procuratore nazionale Antimafia, Pietro Grasso, l’attentato della notte scorsa contro il procuratore generale di Reggio Calabria, Salvatore Di Landro. Una bomba è stata fatta esplodere davanti al portone del palazzo in cui il magistrato vive. Una deflagrazione che ha prodotto danni materiali ma nessun ferito. Non è la prima volta che Di Landro e altri suoi colleghi reggini vengono intimiditi. Una strategia della ‘ndrangheta, intensificatasi a partire dal gennaio scorso con un attentato alla procura generale. Solidarietà al procuratore Di Landro è arrivata dal mondo politico e dai vertici istituzionali italiani, a partire dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Per questa sera, l’associazione Libera di Don Luigi Ciotti ha organizzato un sit-in davanti alla casa del magistrato. “E’ un attacco alla sua azione contro la ‘ndrangheta”, dice mons. Vittorio Mondello, arcivescovo di Reggio Calabria-Bova e presidente della Conferenza episcopale calabra. Francesca Sabatinelli lo ha intervistato:

    R. – Sono diverse azioni che mostrano un accanimento contro di lui perché lui sta facendo il suo dovere e, quindi, pesta i piedi a tante persone che non sopportano questo.

    D. – Quindi, secondo lei, sono da interpretare così questi segnali che ci sono stati ultimamente contro la magistratura, perché anche altri esponenti sono stati intimiditi...

    R. – Sì. Una mentalità mafiosa è una mentalità che non sopporta di non ottenere ciò che vuole e quando non lo può ottenere va in escandescenza perché si sente umiliata, offesa e, quindi, arriva anche a queste minacce e potrebbe arrivare anche alla minaccia di morte proprio per questa onta che ritiene di subire nel non ottenere quanto chiede. Noi non siamo riusciti ancora, con tutti gli sforzi, a far cambiare questa mentalità mafiosa, che non può essere assolutamente cambiata solo con la forza della polizia, la forza pubblica, o con i magistrati ecc., ma può essere cambiata soltanto se inizia un’opera di formazione culturale, a cominciare dai bambini.

    D. – Lei, diverso tempo fa, criticò fortemente la politica in Calabria per mancanza di capacità progettuale, per mancanza di interventi seri. Quello che sta dicendo adesso conferma che dunque non è cambiato nulla?

    R. - Non è cambiato molto da quando ho detto quelle cose. Noi abbiamo avuto qui, parlo solo di Reggio, un buon governo per tanti anni, però ancora certe forme non sono accettabili. Intendo - guardando a una politica per una guida della città che sia veramente guida per il bene della città - che questo disturba qualche volta alcuni che si dicono politici ma non lo sono in realtà: fanno la politica per mantenere se stessi, la propria famiglia, i propri tornaconti, per guadagnare soldi. Non gli interessa proprio il bene comune e il bene della città.

    D. - Eccellenza, vi state interrogando anche voi come Chiesa? Nel passato vi siete confrontati su come annunciare il Vangelo in contesti di ’ndrangheta…

    R. – Certamente, abbiamo fatto tanti documenti come Conferenza episcopale calabrese su questo tema. Ora, ci stiamo organizzando per fare in modo che il documento della Chiesa italiana sul Meridione possa essere divulgato di più e possa calare nella mentalità della nostra gente. Addirittura, ci stiamo organizzando anche a livello di tutte le diocesi del Meridione e con i presidenti delle varie regioni ecclesiastiche già abbiamo in programma di riunirci a Napoli nel novembre prossimo.

    D. – Spesso capita di sentire persone che sono fuggite dalla Calabria come, ad esempio, alcuni imprenditori che parlano di una regione di una terra ormai perduta. Sono parole dure. Immagino che per lei invece la battaglia non sia persa?

    R. – Non solo, ma non è così nera. Certo, la situazione non è florida ma certamente dobbiamo dare il tempo al nuovo presidente della Regione di lavorare. Sta tentando in tutti i modi di riportare la Regione a quei livelli che sono livelli civili paragonabili con quelli delle altre Regioni. Ancora non ha avuto il tempo di fare un lavoro completo, ma già le premesse ci sono sulla sanità, sul problema della sicurezza si sta interessando. Speriamo che dia buoni frutti.


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    Desiderio di Dio e persecuzioni anticristiane al Meeting di Rimini con il cardinale Scola e l'on. Mauro

    ◊   Protagonista oggi al Meeting di Rimini il tema della persecuzione contro i cristiani e della libertà religiosa. In mattinata, le riflessioni di Joaquin Alliende-Luco, presidente internazionale dell’associazione “Aiuto alla Chiesa che soffre”, e di Mario Mauro, rappresentante personale della presidenza dell’Osce contro razzismo, xenofobia e discriminazione nei confronti dei cristiani. Titolo dell’incontro “Guerra ai cristiani”. Sentiamo lo stesso Mario Mauro nell’intervista di Debora Donnini:

    R. - Oggi, all’inizio del Terzo Millennio possiamo dire che su 100 persone che perdono la vita per episodi d’odio legati alla religione, 75 sono cristiani. Allora è un’affermazione fondata: “guerra ai cristiani”. Ci sono oltre 50 Paesi nel mondo dove non è possibile la libertà religiosa.

    D. – I più rappresentativi di questi Paesi?

    R. – In cima alla speciale classifica stilata da World Wide Watch che ha maturato l’analisi di queste statistiche - statistiche a cui contribuiscono anche 'Aiuto alla Chiesa che Soffre', ma anche agenzie come AsiaNews, la stessa Radio Vaticana, Avvenire, molti giornali, molti blog, molti punti di vista che ci forniscono informazioni indipendenti - c’è sicuramente la Corea del Nord, quindi uno Stato ateo che vieta tutte le religioni. Ma nei 50 Paesi ce ne sono 35 islamici e questo inevitabilmente pone degli interrogativi seri rispetto alla condizione del dialogo tra noi e i Paesi musulmani.

    D. – Di quali, Paesi si tratta?

    R. – I più grandi e i più importanti sono sicuramente il Pakistan, l’Arabia Saudita, l’Afghanistan e l’Iraq dove è in corso una vera e propria strage che spinge alla fuga dei cristiani dal Paese, destabilizzando ulteriormente questo Paese già così martoriato.

    D. – Quando lei dava la percentuale dei cristiani perseguitati parlava di persone che perdono la vita per motivi religiosi o a volte ci sono anche altri motivi?

    R. – La politica c’entra sempre, evidentemente. Dirò di più, oggi se consideriamo i conflitti che sono in giro per il mondo non ce n’è uno che non sia in qualche modo legato alla religione. Questo vuol dire che quando spira un vento fondamentalista, cioè prendere Dio come pretesto per un progetto di potere, di religione si parla per giustificare anche il più turpe degli eccidi. Nello stesso tempo queste povere persone sono quegli umili della storia che Manzoni ci ricorda e che muoiono per la loro fede: muoiono per la semplice colpa di credere in Cristo.

    D. – Come Osce, di cui lei è rappresentante proprio contro il razzismo e la xenofobia e la discriminazione nei confronti dei cristiani, e come Unione europea cosa state facendo per aiutare i cristiani perseguitati nel mondo?

    R. – L’Osce dal 2004 è stata la prima istituzione che ha preso coscienza del problema e, appunto, ha dato vita a questa struttura che si occupa della persecuzione e della discriminazione dei cristiani.

    D. – Ci può fare un esempio di qualche decisione che avete preso o di qualche obiettivo che avete raggiunto?

    R. – Molto importanti gli interventi che ci sono stati, recentissimi, dopo la strage del capodanno ortodosso copto in Egitto, tesi a mettere in sicurezza la comunità copta in quel Paese. Questo evidentemente non risolve i problemi di mentalità che sono dietro perché le istituzioni non hanno questa capacità. Dietro ci vuole un lavoro di educazione che è il frutto di un dialogo vero che si incentra sul rispetto e sulla verità. (Montaggio a cura di Maria Brigini)

    E ieri, al Meeting di Rimini è stata molto seguita la testimonianza di Margherita Coletta, vedova del brigadiere Giuseppe ucciso nel 2003, nell’attentato di Nassiriya, in Iraq, nel quale morirono 19 persone. Un incontro seguito con commozione e un silenzio attento. Il servizio della nostra inviata Debora Donnini:

    Margherita racconta la sua storia fatta di dolore, non solo per la morte del marito. Anni prima avevano perso un figlio di soli 6 anni per leucemia. Una storia di sofferenza segnata però dalla presenza di Gesù: “Mi sento aggrappata a questa croce - dice - so che è la mia salvezza”. Una storia di perdono: “Umanamente è impossibile perdonare, se non scatta la fede in Cristo”, afferma in riferimento all’uccisione del marito. Ma soprattutto una storia che dà vita a frutti di amore, come i tanti progetti dell’associazione da lei fondata, “Giuseppe e Margherita Coletta-Bussate e vi sarà aperto”, fra cui un orfanotrofio nel Burkina-Faso. E qui al Meeting che il cuore quando desidera cose grandi è davvero capace di compierle, lo si vede anche dai temi delle mostre. Con circa 60 foto quella dedicata a Solidarnosc ripercorre gli anni dell’ondata di scioperi nei quartieri di Danzica, in Polonia: le immagini di persone, negli stessi cantieri, inginocchiate durante la Messa, quelle delle croci di fiori disposte dalla gente nelle piazze, le visite di Giovanni Paolo II. Una protesta pacifica che ha coinvolto un intero popolo segnando in modo indelebile la storia, rivissuta dai visitatori grazie alle spiegazioni appassionate dei tanti volontari del Meeting.

    Altro momento particolarmente significativo al Meeting di Rimini è stato l'intervento, sempre ieri, del Patriarca di Venezia, il cardinale Angelo Scola. Il porporato ha incentrato la sua relazione sul tema del "desiderio di Dio". Luca Collodi lo ha intervistato:

    R. – Il desiderio di Dio ce l’hanno tutti gli uomini – questo è molto importante – anche quelli che dicono che Dio non c’è e lo si vede nell’esperienza di tutti i giorni. Ogni uomo ogni giorno incontra la realtà e la realtà si fa ospitare nel cuore, nell’intelligenza dell’uomo. Questa è un’esperienza universale. Da dove viene? Questa viene da Dio, viene da come Dio ci ha fatto, quindi è un modo con cui il desiderio di Dio si esprime. Secondariamente ogni uomo non può non vivere in rapporto con l’altro e anche questa è la modalità con cui il desiderio vive, ma soprattutto ogni uomo ha nel cuore il desiderio di salvezza, perché sente i proprio limiti, sente il proprio peccato. Quindi il desiderio di Dio è indistruttibile, magari uno lo riduce ad un frammento. Compito dei cristiani è viverlo interamente seguendo Gesù.

    D. – Il desiderio di Dio passa anche da una dimensione pubblica della fede?

    R. – Certamente. Perché noi siamo figli di un Dio incarnato. Quindi un Dio che non c'entra con il quotidiano è come se non fosse rintracciabile. Diventa, come diceva il grande San Bernardo, il frutto della nostra fantasia, diventa un’idea, un sentimento. Pensiamo, invece, all’Eucaristia che è il Corpo e il Sangue di Cristo e che noi mangiamo e beviamo, così che noi possiamo prendere parte a Lui e dare a Lui quel culto spirituale, cioè quell’offerta totale della nostra esistenza che passa attraverso la dimensione degli affetti, del lavoro, del riposo, della fragilità umana, della giustizia, ecc. Allora la politica su cosa si costruisce? O si costruisce su questi bisogni elementari dell’uomo o non è più politica, è fantapolitica.

    D. – La politica di oggi quale Dio deve desiderare?

    R. – Il cuore dell’uomo è fatto per l’unico, grande Dio che è Dio di tutta la famiglia umana. La politica di oggi deve guardarsi, come tutti noi, dal rischio di porre degli idoli al posto di Dio. Eliot diceva che questo rischio è quello del denaro, del potere, della lussuria ma, soprattutto diceva un’altra cosa molto importante da cui la politica deve guardarsi bene: che gli uomini si illudono spesso di poter costruire sistemi così perfetti che evitino a loro di essere buoni. Questo è impossibile.

    D. – Molti guardano all’unità del mondo cattolico, anche laico. Secondo lei questa unità è comunque, certamente un valore importante, ma si può testimoniare Dio anche senza unità tra i laici cattolici?

    R. – L’unità è un bene che non può mai essere sacrificato, soprattutto nel livello della sua prima espressione ecclesiale. Per quanto riguarda poi il declinarsi a livello socio-politico di questo impegno, anche a questo livello secondo me un’attenzione all’unità, soprattutto sulle implicazioni antropologiche, etiche, morali di fondo, non può mai venire meno. All’interno di questo quadro, la pluriformità di indirizzi sui problemi poilitici pratici, se tiene questa attenzione all’unità, è sicuramente positiva.

    D. – Guardando al sociale: sussidiarietà e federalismo, secondo lei, possono integrarsi?

    R. – Devono integrarsi. Se il federalismo resta quello che deve essere: un metodo. Un metodo per la realizzazione dell’unità. Un metodo che la realizzi in modo più efficace. Da questo punto di vista, un metodo non può mai dimenticare questioni di giustizia e questioni di giustizia implicano per loro natura sempre un bilanciamento. Vale a dire: ci sono degli elementi di giustizia nella nostra realtà italiana che vanno dati a talune regioni del nord e ci sono elementi di giustizia che vanno dati alle nostre regioni del sud e bisogna riuscire a bilanciare bene gli uni e gli altri con un metodo federalista veramente efficace che non annulla il contenuto dell’unità del nostro Paese. (Montaggio a cura di Maria Brigini)

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    Chiesa e Società



    Pakistan: la Chiesa cattolica nel mondo mobilitata per la popolazione alluvionata

    ◊   La Chiesa cattolica nel mondo mobilitata – dopo l’appello del Papa il 18 agosto scorso - in aiuto alla popolazione pakistana travolta dalle disastrose alluvioni. Si parla di 2000 morti e di 20 milioni di persone coinvolte, tra cui 3 milioni e mezzo di bambini. “La necessità non conosce calendari”, hanno sollecitato ieri i vescovi tedeschi annunciando una raccolta speciale, la seconda quest’anno in Germania, a favore di vittime di una catastrofe naturale. “Se siamo solidali seguiamo l’esempio di Gesù”, hanno sottolineato i presuli. Il denaro – riferisce l’agenzia Sir - verrà raccolto in tutte le chiese durante le Messe di sabato e domenica prossimi 4 e 5 settembre. In Italia la Cei ha già stanziato un milione di euro. "Il disastro in Pakistan è immenso, come non si era mai visto nella storia di questo Paese”. A parlare è Stephen Sadiq, responsabile della Comunità di Sant'Egidio a Islamabad, che in questi giorni si è mobilitata per portare i primi soccorsi alle vittime delle alluvioni. “I profughi che stanno arrivando nelle città sono milioni e hanno bisogno davvero di tutto”. Una prima raccolta di aiuti di emergenza, fatta ad Islamabad, ha permesso di procedere alla distribuzione di acqua e generi alimentari, come il pane o i datteri per celebrare il Ramadan, lungo l'autostrada che porta alla capitale, dove c'è un'immensa fila di persone che non hanno più niente, solo i vestiti che indossano. Un'altra distribuzione di aiuti è stata effettuata in una tendopoli realizzata da una organizzazione non governativa musulmana. La Comunità di Sant’Egidio ha organizzato preghiere a Lahore e Islamabad per ricordare le vittime e continuerà a portare aiuto e solidarietà a chi ha perso tutto. “E’ stata una catastrofe assolutamente epocale”, dichiara all’agenzia Sir Massimo Pallottino, responsabile dell’ufficio Asia della Caritas italiana, paventando insufficiente la cifra di 4,2 milioni di euro - indicata nell’appello lanciato dalla Caritas internationalis - per fare fronte ad una situazione che sembra peggiorare di ora in ora. “In questa grande confusione – osserva Pallottino – la struttura statale pakistana, che già di per sé è fragile, rischia di trovarsi in difficoltà e di portare ad una ripresa delle frange oltranziste, come visto negli attentati dei giorni scorsi”. Passata l’emergenza, spiega Pallottino, “bisognerà verificare i danni reali sull’agricoltura: girano cifre che vanno da 1,7 milioni a 5 milioni di ettari di coltivazioni distrutte, soprattutto risaie. Questo potrebbe mettere a dura prova la sicurezza alimentare del Paese”. Inoltre la rete Caritas e le agenzie umanitarie segnalano oggi, in una nota ufficiale, gli “effetti preoccupanti” delle alluvioni in Pakistan. “Il disastro – si legge nella nota - ha infatti causato anche una fiammata dei prezzi di tutti i beni di prima necessità". Insieme alla Caritas Pakistan stanno portando aiuti umanitari – perché già presenti in Pakistan con progetti precedenti - anche Catholic relief service (Caritas Usa), Cordaid (Caritas Olanda), la Caritas svizzera e quella irlandese. Intanto il vescovo di Faisalabad, mons. Joseph Coutts, ha chiesto di celebrare una Giornata di preghiera anche per favorire il dialogo tra cattolici musulmani e indù per aiutarsi reciprocamente. (R.G.)

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    La dolorosa sorte in Pakistan di profughi cristiani e indù, discriminati negli aiuti

    ◊   Oltre 200mila sfollati cristiani e 150mila indù nel Sud della provincia del Punjab sono tagliati fuori dagli aiuti umanitari e sono ancora in attesa di ricevere una minima assistenza per sopravvivere. E’ l’allarme lanciato tramite l’agenzia Fides, da operatori umanitari della Caritas e da altre Ong presenti sul luogo, che confermano la discriminazione degli aiuti a danno dei profughi appartenenti alle minoranze religiose. La stessa sorte di abbandono ed esclusione tocca ad altri 600mila sfollati, fra cristiani e indù, nella provincia meridionale del Sindh. Gli aiuti, che in questa fase di emergenza sono ancora largamente insufficienti, sono gestiti da funzionari governativi vicini all’estremismo islamico o da organizzazioni umanitarie musulmane che fanno sistematica discriminazione nella distribuzione. “Questi sfollati cristiani e indù mancano di tutto, attendono impotenti senza alcun rifugio. La loro sopravvivenza è a forte rischio”, dice a Fides un volontario impegnato a livello locale. “Gli sfollati cristiani spesso sono ignorati: non vengono, di proposito, nemmeno identificati e registrati. In tal modo sono automaticamente esclusi da ogni assistenza medica o alimentare, in quanto non esistono”, spiega la fonte di Fides. In particolare nel Sud del Punjab sono attive diverse organizzazioni estremiste islamiche che stanno approfittando di questa tragedia per colpire ulteriormente le minoranze religiose. Molti di questi gruppi, nota la fonte di Fides, si sono improvvisati “organizzazioni caritative” e si sono registrate come Ong locali, ma il loro operato mira a eliminare i cristiani e il disastro offre loro una favorevole opportunità. Nazir S. Bhatti, presidente del “Pakistan Christian Congress” ha detto oggi in un comunicato che “l’odio anticristiano impedisce di far giungere gli aiuti in molte aree”, chiedendo al governo “fondi specifici da destinare alle minoranze religiose”, e invitando tutti i donatori “a tenere come punto di riferimento la Caritas del Pakistan”. Intanto la Caritas della diocesi di Multan, in coordinamento con la Caritas Pakistan e con le autorità locali, ha messo in atto un piano di azione per assistere i profughi nel Sud Punjab, cercando di raggiungere i cristiani e gli indù abbandonati, suddivisi in 7 distretti, consegnando tende, cibo, acqua potabile, e fornendo assistenza medica grazie a piccole unità di soccorso, composte da animatori, volontari, medici e paramedici che girano per il territorio. (R.P.)

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    Iraq: rapito un cristiano originario di Mosul

    ◊   Un cristiano siro-cattolico è stato sequestrato ieri a Karakosh-Baghdeeda, da un gruppo di uomini armati, che subito dopo il rapimento ha chiesto un riscatto di 15mila dollari Usa. Fonti locali dell'agenzia AsiaNews affermano che la famiglia ha già pagato la somma, ma i rapitori non hanno ancora rilasciato l’uomo. Louyaé Behnam, 35 anni, è originario di Mosul, dove fino a pochi anni fa gestiva un negozio di vetraio. Per ragioni di sicurezza si era trasferito insieme ai familiari a Karakosh-Baghdeeda a 30 km da Mosul. La città a maggioranza cristiana è situata, nel distretto di Karakosh (piana di Ninive), e ospita molti profughi cristiani provenienti da Mosul e Baghdad. Il nord dell’Iraq è da tempo teatro di attacchi mirati contro la comunità cristiana, al centro di una lotta di potere fra arabi, curdi e turcomanni. Secondo i cristiani gli attacchi sono collegati alla creazione di un’enclave cristiana nella piana di Ninive, che il governo non fa nulla per contrastare. Ieri, oltre 50 persone sono morte in una serie di attacchi che hanno colpito le città di Kirkuk, Falluja, Tikrit, Mosul, Basra, Ramadi e Karbala. Secondo fonti ufficiali gli attentati sono opera degli estremisti di al-Qaida, ma fonti locali dicono che “gli attacchi sono politicizzati e al-Qaida non c’entra niente. Il loro scopo è intimidire la popolazione”. (R.P.)

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    New York: la mediazione di mons. Dolan sul progetto di una moschea a Ground Zero

    ◊   L'arcivescovo di New York, Timothy Michael Dolan – riferisce L’Osservatore Romano - ha espresso il suo disappunto sulle proteste dello scorso fine settimana in merito alla costruzione di un centro di cultura islamica con annessa moschea nei pressi di Ground zero. Dopo un incontro avuto con il Governatore di New York, David Paterson, per discutere della polemica, l'arcivescovo Dolan ha ribadito la sua preoccupazione per il modo in cui si sta affrontando la questione, una polemica che a suo dire “mette in pericolo i valori di tolleranza che caratterizzano i newyorkesi. Credo che abbiamo bisogno - ha spiegato - di non scontrarci, ma di prendere le distanze e vedere le cose da un altro punto di vista. Non abbiamo bisogno di proteste, ma di iniziative di dialogo”. Il presule ha auspicato inoltre che «i newyorkesi condividano i valori di tolleranza e unità che sono in pericolo», per questo ha chiesto sia ai detrattori sia ai difensori del progetto di riflettere e dialogare per trovare una soluzione. Nei giorni scorsi, mons. Dolan si è anche proposto come mediatore. Il presule ha affermato che fra le sue “maggiori preghiere” vi è la speranza che si raggiunga un compromesso sebbene siano molti gli americani a ritenere che, pur non avendo sentimenti contrari al progetto, forse sarebbe auspicabile trovare un altro sito. Nel corso di una conferenza stampa presso il Centro di accoglienza per i giovani senza tetto gestito dalla Chiesa, il Covenant House, l'arcivescovo ha espresso l'auspicio che possa essere trovata una soluzione di compromesso che soddisfi entrambe le parti. Anche il Governatore Paterson ha criticato i toni della polemica e ha sottolineato che “odia vedere i newyorkesi scontrarsi”. Allo stesso tempo ha insistito sulla sua volontà di incontrarsi con i promotori del centro per individuare una nuova area dove poter realizzare la struttura. “Non voglio dire a nessuno cosa fare dei loro diritti perché non si fa in questo Paese — ha detto mons. Dolan — però voglio incontrare i promotori del progetto per discutere la questione”. Anche il Governatore si è detto d'accordo sull'opportunità di realizzare il centro culturale in un luogo lontano da Ground zero. L'arcivescovo di New York ha sottolineato di non provare sentimenti di contrarietà nei confronti del progetto, aggiungendo che potrebbe offrire il suo contributo anche per trovare un nuovo sito per il luogo di culto. In favore del progetto si è espresso il presidente americano Barak Obama, appellandosi al principio costituzionale della libertà di culto, mentre secondo un recente sondaggio della Cnn si oppone il 70% degli americani. Molti parenti delle vittime dell'11 settembre si sono detti contrari alla realizzazione di una moschea in tutta la zona di Manhattan in quanto offenderebbe la memoria di migliaia di persone che hanno perso la vita in quell'orribile attentato. Un sondaggio realizzato dal “Siena College Research Institute”, sottolinea che il 63% degli elettori dello Stato di New York sono contrari alla costruzione di una moschea vicino a Ground zero, anche se il 64% riconosce che i musulmani hanno il diritto costituzionale di farlo. Secondo, invece, i promotori del progetto, il centro islamico, chiamato Park 51, vuole essere un punto di riferimento per i sei-settecentomila musulmani della città che al momento non dispongono di strutture di questo genere. Il progetto prevede la costruzione di una moschea da 2 mila posti, un memoriale delle vittime dell'11 settembre, sale da riunione, piscina e un centro fitness. (R.G.)

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    La Chiesa cilena ricorda i 25 anni dell'Accordo nazionale per il ritorno alla democrazia

    ◊   Ieri, in Cile, la Conferenza episcopale con una dichiarazione del suo presidente, mons. Alejandro Goic, vescovo di Rancagua, ha ricordato i 25 anni dello storico documento "Accordo nazionale per la transizione alla democrazia", elaborato con il contributo della Chiesa locale e firmato dai massimi rappresentanti dei partiti politici; documento che ha aperto le porte al ritorno del Paese al sistema democratico. I vescovi cileni invitano a riflettere sul significato di un gesto così coraggioso e profetico e al tempo stesso così fondamentale per il futuro del Cile e, quindi, esortano a meditare sulle sfide che deve affrontare la nazione. "Si tratta, scrivono i presuli, di un'occasione molto propizia per riflettere sul valore che ha oggi nella nostra società il dialogo e l'intesa pacifica alla ricerca dei grandi obiettivi nazionali". Dopo aver descritto le vicende che attraversava il Paese, in quel momento governato dal regime militare del generale Augusto Pinochet, salito al potere nel settembre 1973, i vescovi cileni rendono omaggio alle persone che ebbero il coraggio - nonostante le molte critiche e incomprensioni - di proporre quest'Accordo, prima di tutti l'allora arcivescovo di Santiago del Cile, il cardinale Juan Francisco Fresno. I presuli ricordano quindi Giovanni Paolo II quando, nel corso del suo viaggio nel Paese (1987), a più riprese sottolineò che "il Cile ha vocazione d'intesa e non di scontro" e, incontrando tutti i settori sociali e politici della nazione, incoraggiò con fermezza l'applicazione dell'Accordo ispirato e voluto dalla Chiesa cilena. "Vogliamo fare memoria di quest'Accordo nazionale di 25 anni fa e celebrare i suoi grandi meriti", osservano i presuli che esortano i cileni "a cercare sempre, nei propri atteggiamenti, linguaggio e stili di vita, l'unità e l'intesa tra fratelli; in particolare nei rapporti interpersonali, nella vita quotidiana e nelle proprie responsabilità sociali". Infine, invocando la protezione del Signore e della Vergine Santa, i vescovi rinnovano ancora una volta la loro solidarietà ai 33 minatori intrappolati in una miniera, e ai loro parenti, e pregano perché possano essere salvati presto ed essere restituiti ai loro cari e al Paese stesso toccato da questa "tragedia nella sua anima". (A cura di Luis Badilla)

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    Paraguay: nuovo documento dei vescovi in difesa della famiglia e del matrimonio

    ◊   "Di fronte al progredire di modelli, prospettive e ideologie che insidiano direttamente la famiglia, fondamento della società, si rende necessario rinnovare la difesa dell'istituzione familiare e del matrimonio". Così si esprimono i vescovi del Paraguay in una dichiarazione resa pubblica ieri dal Comitato di presidenza, nella quale affermano che questa difesa "è responsabilità di tutti, in particolare di coloro che esercitano il potere politico (...) così come da parte delle organizzazioni della società civile, cosa che ovviamente include la Chiesa cattolica, tutte le confessioni cristiane, i mezzi di comunicazione, ogni persona di buona volontà". Ricordando che la vita umana ha origine solo nell’unione di un maschio e una femmina, soggetti di sessualità differente per volere di Dio, datore della vita, i presuli ribadiscono che la vita sessuale degli esseri umani ha come fondamento l'amore e, quindi, "qualsiasi tentativo di svincolare quest'amore dalla vita sessuale conduce poi ad abusi e malintesi che snatura il senso vero della sessualità umana". Citando documenti del Pontificio Consiglio per la famiglia, i vescovi del Paraguay rilevano che "la sessualità non è solo una questione puramente biologica" poiché punta "al nucleo più intimo della persona". "Il Signore creò l'uomo e la donna affinché, uniti, si esprimessero nella stabilità del matrimonio" e solo a partire da "questo solido fondamento è possibile costruire una società" e solo in questa unione "esiste fecondità. "Perciò, ricorda il comunicato, per la fede il matrimonio è un dono di Dio per tutta l'umanità e solo attraverso il matrimonio si garantisce la trasmissione ininterrotta della vita che poi dà continuità alle generazioni". I vescovi del Paraguay ricordano alcuni insegnamenti contenuti nel documento di Aparecida, in particolare quando afferma che "la famiglia è un'istituzione fondamentale con un valore umano e cristiano" di enorme valore per la convivenza sociale e in quest'ambito "il matrimonio è chiamato a compiere una missione specifica" e unica "ragione sufficiente per promuoverlo e difenderlo". Prima di concludere le loro riflessioni i presuli paraguayani parlano anche dell'importanza dei figli, frutto dell'amore tra una donna e un uomo, tramite i quali Dio dona ogni vita umana all'umanità. "La famiglia, per i figli - concludono - è il supporto fondamentale, la prima scuola, per imparare il valore della propria identità e del senso della vita". (L.B.)

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    Francia: sulla questione immigrati il cardinale Vingt-Trois parla di "clima malsano"

    ◊   E’ in atto in Francia un “clima malsano”, una sorta di “escalation verbale” riguardo alla politica del governo sulla sicurezza che occorre fermare. E’ quanto ha denunciato questa mattina il cardinale André Vingt-Trois in un’intervista rilasciata all’emittente francese “Europe1”. “Trovo – ha detto l’arcivescovo di Parigi nonché presidente dei vescovi francesi – che si sia sviluppato un clima malsano, una sorta di escalation verbale tra differenti posizioni, una sorta di opposizione tra colui che appare più schierato verso la sicurezza e colui che invece su questo tema ha un approccio più morale”. Ed ha aggiunto: “ritengo che in una società civile e pacificata, questa opposizione debba svilupparsi in maniera serena e senza colpi di mano”. L’arcivescovo - riferisce l'agenzia Sir - ha quindi assicurato che non c’è alcuna rottura tra il mondo cattolico francese e il governo. La Chiesa ha semplicemente indicato “i grandi orientamenti della morale cristiana che è poi morale profondamente umana” e che richiama l’Europa ad “una più grande solidarietà” verso popoli che “se arrivano da noi, è perché hanno bisogno di qualcosa”. Dicendo queste cose non vuol dire – spiega il cardinale - che “si ha la vocazione ad accogliere tutti i Rom in Francia” ma che “le misure che si prendono per regolare una situazione devono rispettare la persona umana e la responsabilità individuale”. Si tratta di una “una esortazione – ha proseguito l’arcivescovo – che si rivolge a tutti” e che “è segno distintivo della speranza che l’uomo è capace di superare il suo egoismo”. Il problema è nella legge o nella sua applicazione? La Chiesa – risponde l’arcivescovo - invoca una legalità che “si accompagni ad una riflessione sul senso dell’uomo”. Riguardo all’Angelus di domenica scorsa, l’arcivescovo ha precisato che le parole del Papa non si rivolgevano al presidente Sarkozy. (R.P.)

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    Usa: per il Labor Day i vescovi chiedono lavoro degno e salario per tutti

    ◊   L’economia attuale ha bisogno di un nuovo contratto sociale: lo afferma la Conferenza episcopale statunitense (Usccb) nella nota diffusa per la Giornata del lavoro, il Labor Day, che gli Usa celebreranno il prossimo 6 settembre. Il lungo documento, a firma di mons. William Murphy, presidente del Comitato per la giustizia interna e lo sviluppo umano della Usccb, è intitolato: “Un nuovo contratto sociale per le novità attuali”, con un esplicito riferimento all’Enciclica “Rerum Novarum”, siglata nel 1891 da Papa Leone XIII. Nella nota, infatti, i vescovi Usa paragonano le sfide lavorative attuali a quelle vissute nell’800, durante la Rivoluzione industriale e trattate da Papa Pecci nella sua Enciclica. “Di fronte a milioni di disoccupati e di lavoratori che vivono tragedie come la morte nelle miniere della West Virginia e l’esplosione di impianti petroliferi nel Golfo del Messico – si legge nella dichiarazione - gli americani devono cercare di proteggere la vita e la dignità di ogni lavoratore, in un’economia rinnovata e resistente”. “L’America – continua il documento – sta vivendo una rara trasformazione economica, che vede la perdita di posti di lavoro e la sperimentazione di reti di sicurezza, come la ricerca, a livello nazionale, di nuovi modi per regolamentare ed accrescere il settore economico”. Per questo, mons. Murphy ribadisce: “I lavoratori hanno bisogno di un nuovo contratto sociale”, poiché “la creazione di nuovi posti di lavoro richiede nuovi investimenti, iniziative e creatività in ambito economico”. Immediato, poi, il riferimento alla terza Enciclica di Benedetto XVI, "Caritas in veritate", in cui si ricorda l’importanza di porre la persona umana al centro dei processi economici: “Una delle novità trattate dal Santo Padre – scrivono i vescovi americani – è la globalizzazione. Benedetto XVI indica la centralità dello sviluppo integrale della persona come uno dei criteri basilari per affrontare le sfide in un mondo interdipendente come quello attuale”. Quindi, la nota della Usccb sottolinea che “la Chiesa ha una lunga tradizione nel portare la luce del Vangelo sulle questioni sociali, economiche, politiche e culturali del momento” e che “ora più che mai, la dignità dei lavoratori diventa una pietra di paragone per comprendere gli aspetti positivi e negativi dell’industria, della finanza, e del settore dei servizi nella nostra economia e nel nostro mondo”. “I lavoratori – continua la dichiarazione – devono avere voce e ricevere un’adeguata protezione nella vita economica. Il mercato, lo Stato, la società civile, le associazioni e gli impiegati hanno tutti un ruolo da giocare in modo fruttuoso”. E ancora, i vescovi Usa stilano un elenco di priorità: attuare politiche ed iniziative che rafforzino la famiglia, ridurre la povertà e creare nuovi posti di lavoro retribuiti in modo equo, in modo tale che tutti gli impiegati possano esprimere la propria dignità e riescano a rispondere all’esortazione di Dio che ci vuole tutti co-creatori della società. Per questo, concludono i vescovi, “bisogna stipulare un nuovo contratto sociale, che innanzitutto rispetti il lavoro e i lavoratori e che si concentri sul bene comune dell’intera famiglia umana”. (I.P.)

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    Si aggrava il bilancio dell’epidemia di colera in Nigeria: oltre 350 i morti

    ◊   E’ salito, in Nigeria, ad oltre 350 morti - su un totale di quasi 6500 casi registrati - il bilancio di un’epidemia di colera che sta imperversando nel nord-est e nord-ovest del Paese africano. Lo ha riferito il governo di Abuja con una nota diffusa ieri, paventando che l’epidemia possa diffondersi al resto del Paese con i primi casi registrati anche nel sud-est. I dati fanno riferimento al periodo giugno-luglio e mostrano che l’epidemia ha toccato 11 Stati della Federazione. Il numero più alto di contagiati, è stato contato nello Stato di Bauchi (1188 casi e 59 vittime) mentre il dato più alto in termini di vite umane perse è invece quello relativo allo Stato di Borno (1090 casi e 80 morti). Nella nota governativa viene confermata la presenza di diversi ceppi di colera. (R.G.)

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    Uganda: i vescovi lanciano una guida per le prossime elezioni presidenziali nel 2011

    ◊   In vista delle elezioni presidenziali in Uganda, nel 2011, i vescovi del Paese hanno lanciato una guida in cui invitano tutti i partiti in lizza a rispettare i principi della democrazia e le regole del fair-play prima, durante e dopo il voto. La guida – riferisce il quotidiano locale “New Vision” ripreso dall’agenzia Apic – invita in particolare i leader politici a rinunciare agli insulti, alle provocazioni e alle agitazioni di piazza quale strumento di lotta, sottolineando che in una democrazia gli avversari hanno il dovere di rispettarsi reciprocamente. Anche il governo viene sollecitato a fare la sua parte per garantire un processo elettorale trasparente e democratico, mentre all’esercito e alle forze di polizia l’episcopato chiede “disciplina e professionalità” e di astenersi da qualsiasi interferenza indebita nel processo elettorale. L’iniziativa è stata presentata nei giorni scorsi a Kampala dal presidente della Conferenza episcopale ugandese mons. John Baptist Odama, il quale ha richiamato il dovere dello Stato “di vegliare affinché le elezioni siano libere, senza violenze, né odio”e di “operare per una pace durevole, la riconciliazione, elezioni libere e eque”. Alla conferenza stampa, l’arcivescovo di Gulu ha quindi confermato l’impegno della Chiesa locale per una democrazia “durevole” in Uganda, anticipando che i membri del governo, del parlamento e della commissione elettorale e i funzionari pubblici riceveranno a breve una lettera pastorale dei vescovi sulle presidenziali. L’appuntamento elettorale del 2011 è stato tra i punti affrontati nel documento licenziato al termine dell’ultima plenaria dei vescovi ugandesi a giugno. Il testo, oltre ad auspicare elezioni “guidate dai valori e dai principi della democrazia” e a ribadire l’impegno della Chiesa ugandese “a rimanere sempre la voce dei senza voce,” si soffermava, tra l’altro, sull’importanza di un sistema dell’informazione libero, sottolineando che la libertà di informazione e di espressione “in una società veramente moderna e democratica, è di tutti i cittadini, sia singoli che organizzati”. (L.Z.)

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    Delegazione di vescovi africani in Europa per gli Obiettivi del millennio

    ◊   In vita del summit sugli Obiettivi per lo sviluppo del millennio, che si terrà a New York tra il 20 ed il 22 settembre, una delegazione del Secam – il Simposio delle Conferenze episcopali dell’Africa e del Magascar – incontrerà i leader di diverse nazioni europee. Obiettivo dell’iniziativa: discutere su come migliorare il benessere delle comunità africane, su quali siano i principali ostacoli da rimuovere e quali le priorità a cui dare spazio per cambiare la realtà attuale. La delegazione del Secam sarà supportata dalla Cisde, l’associazione internazionale delle agenzie cattoliche per lo sviluppo. “La Chiesa in Africa - informa una nota della Cisde – è spesso l’unico attore sociale capace di raggiungere comunità lontane, fornendo i propri servizi là dove il governo è effettivamente assente. Trasformare queste esperienze in valori, nell’agire politico, è cruciale per superare quelle difficoltà che attualmente impediscono lo sviluppo del continente africano”. Per questo, la delegazione del Secam “esorterà i leader europei a portare al summit di New York storie concrete dell’Africa, in modo da ribadire che un cambiamento in positivo è possibile”. La visita dei vescovi si articolerà nell’arco di 12 giorni (dal 7 al 18 settembre) e seguirà il seguente itinerario: Svizzera, Austria, Francia, Germania, Italia e Belgio. E proprio a Bruxelles, il 15 settembre, si terrà un dibattito in seno al Parlamento europeo, intitolato “Minare il futuro dell’Africa?”. All’evento parteciperà il presidente della Conferenza episcopale del Congo-Brazzaville, mons. Louis Portella-Mbuyu, esperto di diritti umani: in particolare, il presule richiamerà l’importanza della trasparenza da parte delle industrie minerarie che operano in Africa. È noto, infatti, come il consistente ricavato delle estrazioni finisca nelle tasche delle multinazionali straniere e in quelle di una piccola élite africana, lasciando la maggioranza della popolazione, che pure vive in zone ricche di risorse, nella povertà estrema. Oltre a mons. Portella-Mbuyu, la delegazione del Secam sarà composta da: mons. Francisco Joâo Silota, vicepresidente del Secam, mons. Laurent Monsengwo Pasinya, presidente dei vescovi della Repubblica Democratica del Congo, padre John Patrick Ngoy, direttore della Commissione episcopale Giustizia e Pace in Nigeria, e padre Martino Maulano, esperto di Aids e segretario generale per lo Sviluppo, la giustizia e la pace in Mozambico. Accompagneranno la delegazione, infine, la direttrice di Caritas Ghana, Philomena Johnson, e il responsabile del gruppo di lavoro sulla good-governarce del Secam, Firmin Adjahossou. (I.P.)

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    Filippine: i vescovi contrari a regole più morbide sulla donazione degli organi

    ◊   I vescovi delle Filippine sono contrari a un ammorbidimento delle attuali regole sulla donazione degli organi nel Paese. Un progetto in questo senso è allo studio del Dipartimento della Salute filippino (Doh). Il timore dell’episcopato – riferisce l’agenzia Ucan - è che una modifica della normativa vigente (che consente solo donazioni gratuite tra membri di una stessa famiglia) possa aprire le porte al commercio di organi a danno soprattutto delle fasce più povere della popolazione. Di queste preoccupazioni si è fatto portavoce il presidente della Conferenza episcopale (Cbcp) mons. Nereo Odchimar, che ha indirizzato una lettera al nuovo presidente filippino Benigno Aquino III. Alle sue obiezioni hanno fatto eco anche quelle del presidente dell’Ufficio per la Bioetica della Cbcp, mons. José Oliveros, il quale ha sottolineato che la Chiesa filippina continuerà la sua battaglia per proteggere le fasce più emarginate della società dal traffico di organi. Il nuovo Segretario per la Salute Enrique Ona, da parte sua, ha negato che vi sia un progetto per aprire alla donazione di organi a stranieri: “Non ho parlato di aperture. Il divieto resta, ma vogliamo studiare gli attuali regolamenti e verificarne gli effetti”, ha dichiarato il ministro, già presidente dell’Istituto nazionale per i trapianti di reni. Affermazioni peraltro messe in dubbio negli stessi ambienti medici del Paese. I vescovi filippini hanno già chiesto in passato regole più severe in materia di donazione di organi. In un documento diffuso nel 2008 essi avevano sottolineato che “il trapianto di organi umani non può essere separato dall’atto umano della donazione” e che la “vendita e il commercio di organi, per sua stessa natura, sono moralmente inaccettabili, e contrari all’autodeterminazione della persona e all’eguaglianza di tutti gli uomini”. (L.Z.)

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    L'impegno del Consiglio Mondiale delle Chiese contro il razzismo

    ◊   Quale impegno, quali risposte operative delle Chiese, nella dimensione ecumenica, al razzismo ancora radicato nel mondo anche in forme e manifestazioni sottili? Il fenomeno, oggi, è globale e interferisce sulla vita di molte comunità. Queste sono, purtroppo «vulnerabili di fronte alle molte sfide: un intreccio di povertà, ingiustizia, di violazioni dei diritti umani, di violenza diretta e strutturale». Una «verifica», sotto il profilo teologico e sociale, dell'impegno delle Chiese contro i molti volti del razzismo è al centro di un convegno organizzato dal World Council of Churches (Wcc) — in collaborazione con la United Church of Christ (Ucc) e l'agenzia missionaria olandese Kerk in Actie — a Cleveland (Ohio) negli Stati Uniti. All'incontro, che terminerà domenica 29 agosto, partecipano rappresentanti del Wcc provenienti da Stati Uniti, Canada, Brasile, Perú, Nicaragua, Europa, Africa e India. La conferenza di Cleveland - riferisce L'Osservatore Romano - intende anche commemorare i 40 anni di lavoro del Wcc nell'ambito del programma per la lotta contro il razzismo. La lotta contro il razzismo — è stato ricordato — è una priorità formativa e operativa del Wcc ed è stata una scelta «altamente visibile» per il movimento ecumenico, che è iniziato con il movimento americano per i diritti civili e poi l'apartheid sudafricano. Oggi le tensioni crescenti nel mondo, le disuguaglianze sociali causate dagli interessi economici e dalla perdita della dimensione etica nell'economia, la frammentazione dovuta anche alla migrazione su larga scala, la perdita di potere economico da parte di numerose comunità, sono concause di emarginazione e contribuiscono ad alimentare «la pratica costante di discriminazione». Si tratta allora di moltiplicare l'impegno delle Chiese nel mondo, chiamate «a lottare contro i mille volti del razzismo e della discriminazione per promuovere la civiltà dell'accoglienza e dell'inclusione». (R.P.)

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    Australia: in settembre visita agli aborigeni del Consiglio Ecumenico delle Chiese

    ◊   Le popolazioni autoctone del Territorio del Nord, in Australia, riceveranno, dal 12 al 17 settembre, la visita di una delegazione internazionale del Consiglio Ecumenico delle Chiese (Coe). L’equipe ecumenica, come riferisce il sito dello stesso Coe www.oikoumene.org, è stata invitata ufficialmente dal Consiglio nazionale delle Chiese d’Australia (Ncca) perché possa conoscere più da vicino la realtà degli aborigeni e degli autoctoni del distretto di Torrès. La delegazione del Coe si informerà dei diritti loro riconosciuti e delle loro problematiche, facendosi ambasciatrice della solidarietà delle diverse Chiese rappresentate. L’equipe ecumenica fa parte del gruppo delle “lettere viventi”, delegazioni che si recano in vari Paesi per conoscere i problemi delle popolazioni locali, condividerli ed offrire aiuti, e ciò anche al fine di vincere la violenza, promuovere la pace e pregare per essa nell’ambito delle iniziative del Decennio “vincere la violenza” del Coe. (T.C.)

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    Da oggi a Budapest Conferenza internazionale sulla dignità della donna

    ◊   Si apre oggi a Budapest, in Ungheria, la Conferenza internazionale sul tema “La dignità della donna come dignità della persona umana, promossa dall’Associazione europea delle donne per la ricerca teologica (Eewtr) . L’implicazione della teologia e dell’antropologia da una prospettiva centro-europea ed est-europea”. Prendono parte al convegno teologhe cattoliche, evangeliche, ortodosse ed ebraiche provenienti da Albania, Croazia, Repubblica Ceca, Romania, Slovenia ed Ungheria. La sfida posta all’investigazione scientifica e, nello specifico, alla ricerca teologica dai risvolti politici ed economici della globalizzazione, fa da sfondo al dibattito del convegno, teso ad individuare nuove modalità di espressione per la riflessione teologica e antropologica femminile, ad arricchire i contenuti del pensiero teologico regionale e ad incrementare il dialogo con le comunità ecclesiali non cristiane. Nelle relazioni in programma, il tema della dignità della donna sarà analizzato alla luce di fonti veterotestamentarie, quali il libro della Genesi e quello di Ezechiele e neotestamentarie, con particolare riferimento ai “codici domestici”, serie di raccomandazioni riguardanti i rapporti tra i diversi membri della casa antica: marito-moglie, genitori-figli, padrone-servitori. L’argomento verrà anche ampliato sulla base degli scritti di San Cirillo di Alessandria e del magistero di Giovanni Paolo II. (M.V.)

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    Settimana di formazione a Nîmes per i giovani cattolici, ortodossi, protestanti e anglicani

    ◊   “Giovani cristiani insieme” è un'iniziativa ecumenica che dal 2002, in Francia, consente a cattolici, ortodossi, protestanti e anglicani di approfondire la storia, le pratiche e le esperienze spirituali di ciascuna delle grandi famiglie cristiane. Quest'anno – riferisce L’Osservatore Romano - la sessione estiva si svolge dal 22 al 29 agosto alla Casa diocesana di Nîmes. Alla settimana di formazione, vita comune e preghiera, partecipano giovani tra i 18 e i 35 anni di età. L'incontro, come riportato dal sito internet della Conferenza dei vescovi di Francia, è cominciato con un'introduzione alle questioni ecumeniche: rilettura storica delle divisioni, presentazione delle differenti famiglie ecclesiali, riflessione sull'importanza e sui modi per giungere alla riconciliazione dei cristiani. Ogni giornata comprende sessioni di approfondimento delle differenti Chiese - cattolica, ortodosse (greca, russa, romena), protestanti (riformata, luterana, evangelica), anglicana - oltre a visite in significativi siti storici e a momenti di preghiera secondo le singole tradizioni o preparati in comune. Il comitato organizzatore è composto da padre Franck Lemaître, direttore del Servizio per l'unità dei cristiani della Conferenza episcopale, dall'archimandrita Arsenios Kardamakis, co-segretario ortodosso del Consiglio delle Chiese cristiane in Francia, dal pastore Étienne Vion, incaricato delle relazioni ecumeniche della Federazione protestante di Francia, e dal reverendo Stephen Coffin, prete della Chiesa anglicana a Grenoble. «Nel corso delle mie visite nelle regioni francesi - sottolinea Lemaître - constato che gli OecuméNîmois (come si definiscono coloro che hanno già frequentato la sessione) sono spesso protagonisti, nelle loro città, di iniziative ecumeniche. Impegnati nei movimenti in seno alla propria Chiesa, alcuni di essi come ministri ordinati, si fanno portavoce della sfida dell'unità di tutti i cristiani”. Particolarmente attiva, in questo senso, è la città di Grenoble, dove il gruppo dei “Giovani cristiani insieme” partecipa regolarmente a incontri e a momenti di raccoglimento e condivisione, come avviene nel mese di gennaio, a esempio, in occasione della Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani. (R.G.)

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    Senegal: compie 50 anni l'orchestra Ucas, tra le più antiche dell’Africa occidentale

    ◊   Festeggia in questi giorni i cinquant'anni di attività una delle più antiche orchestre dell'Africa occidentale, la senegalese Ucas Jazz Band, conosciuta per le sue originali sonorità, mix di motivi della provincia meridionale di Casamance e di ritmi cubani. Il gruppo musicale - composto da artisti la cui età varia dai 30 ai 72 anni- fu fondato il 4 ottobre 1959, un anno prima dell'indipendenza del Paese, a Sedhiou, nel Senegal meridionale e fu chiamata Ucas, sigla di Union culturelle et artistique de Sedhiou. Numerosi i riconoscimenti raccolti dal gruppo. Tre volte medaglia d'oro nella Settimana nazionale delle Gioventù di Dakar, l'Ucas è stata anche la prima orchestra a rappresentare il Senegal al Festival panafricano di Algeri nel 1969 e la prima a introdurre strumenti tradizionali nella musica moderna. (R.G.)

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    24 Ore nel Mondo



    Nuovi scontri in Somalia: in cinque giorni oltre 90 morti

    ◊   Quinto giorno consecutivo di scontri in Somalia, tra soldati del governo transitorio e ribelli islamici. L’emittente televisiva satellitare “al-Arabiya” ha reso noto che il bilancio odierno è di almeno 10 morti. Negli scontri sono rimaste uccise, finora, oltre 90 persone. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

    Senza l’intervento della comunità internazionale, la situazione in Somalia rischia di diventare un nodo inestricabile. Il vescovo di Gibuti e amministratore apostolico di Mogadiscio, mons. Giorgio Bertin, ha detto che soldati e ribelli potrebbero continuare a combattere per anni. Gli insorti – ha affermato il presule – non riusciranno ad assicurarsi il controllo della capitale fin quando seimila caschi verdi della missione Africana resteranno a Mogadiscio. Il governo transitorio – ha poi aggiunto mons. Bertin – difficilmente potrà riprendere il controllo di ampie zone nel centro e nel sud del Paese, occupate da ribelli islamici. In questo scenario, spiega il vescovo di Gibuti, due sembrano le alternative possibili. La prima è quella di un intervento militare da parte di contingenti inviati dalla comunità internazionale. Ma si tratta di una strada che rischia di provocare un altissimo numero di vittime. La seconda ipotesi, indicata dal presule, è quella di rendere più stabili le regioni del Somailand e del Puntland. In questo modo, si potrebbe favorire la creazione, nel Paese, di un corridoio umanitario impedendo anche l’arrivo di estremisti provenienti da Paesi limitrofi. Ieri, durante l’udienza generale a Castel Gandolfo, Benedetto XVI ha lanciato un accorato appello per la fine delle violenze nel Paese africano. Il Papa ha auspicato che, con l’aiuto della comunità internazionale, “non si risparmino sforzi per ristabilire il rispetto della vita e dei diritti umani”. Il Santo Padre – ha detto mons. Bertin – ha lanciato un appello “strettamente umanitario senza alcun recondito interesse politico”. Ma il timore è che i ribelli, “accecati dalla loro ideologia estremista”, lo interpretino “come un’interferenza cristiana in terra islamica”.

    Viaggio di Kim Jong-il in Cina
    Il leader della Corea del Nord, Kim Jong-il, è in visita in Cina accompagnato dal figlio, Kim Jong-un. Lo rendono noto fonti di stampa sudcoreane, aggiungendo che durante la visita si parlerà della possibile ripresa dei colloqui sulla denuclearizzazione nordcoreana, bloccati dal 2008. Il viaggio del leader nordcoreano, non ancora confermato ufficialmente da Cina e Corea del Nord, potrebbe essere anche l’occasione per informare il governo di Pechino della futura leadership nordcoreana. Secondo diversi analisti, Kim Jong-un è destinato a succedere a Kim Jong-il.

    Afghanistan, dodici militari americani incriminati per la morte di tre civili
    Dodici soldati americani sono stati incriminati. Sono accusati aver ucciso, durante operazioni di pattugliamento, almeno tre civili in Afghanistan. Alcuni dei militari dovranno rispondere anche dei reati di cospirazione e omicidio premeditato. Cinque soldati, in particolare, sono in attesa del verdetto della corte marziale. Se riconosciuti colpevoli, potrebbero essere condannati all’ergastolo o alla pena di morte.

    Nuovi appelli in favore della donna iraniana condannata a morte
    Prosegue la mobilitazione internazionale per salvare la vita a Sakineh Mohammadi Ashtiani, condannata alla lapidazione per adulterio da un tribunale iraniano. Il ministero degli Esteri italiano è al lavoro per ottenere un atto di clemenza da parte del governo di Teheran. In Francia, oltre 40 mila persone, tra cui l’ex presidente francese, Jacques Chirac, hanno firmato la petizione per chiedere alle autorità iraniane di non far eseguire la condanna a morte.

    Lotta al narcotraffico in Messico, trovata una nuova fossa comune
    Macabra scoperta in Messico: squadre speciali hanno fatto irruzione in una fattoria nella quale si trovava un gruppo di narcotrafficanti. Nella sparatoria, sono morti un soldato e tre malviventi. Dopo lo scontro a fuoco, i militari sono entrati nel ranch e hanno scoperto 72 cadaveri, 58 uomini e 14 donne. Probabilmente erano migranti diretti negli Stati Uniti. L’unico sopravvissuto alla strage, un ecuadoriano, ha dichiarato che i migranti si erano rifiutati di compiere lavori di manovalanza per la banda di narcotrafficanti. Per questo sono stati uccisi.

    Italia, stabilimento Fiat di Melfi
    “Abbiamo agito secondo la legge. Interrompere le linee di produzione è illecito. Tre persone non possono prevaricare il diritto degli altri”. Così si è espresso l’amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, intervenendo al Meeting di Comunione e Liberazione in corso a Rimini sulla vicenda dei lavoratori dello stabilimento di Melfi. I tre operai erano stati licenziati dall'azienda, reintegrati dal Tribunale del lavoro, e in attesa dell'appello presentato dal Lingotto non possono lavorare seppur presenti in Fiat. Marchionne riferendosi alle parole del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha sottolineato: “Accetto l’invito a trovare una soluzione, serve un patto sociale”. Simona De Santis ha raccolto il commento di mons. Gianfranco Todisco, vescovo della diocesi di Melfi-Rapolla Venosa:

    R. - Noi vescovi della Basilicata, abbiamo chiesto un incontro non soltanto con la dirigenza della Fiat di Melfi, ma anche con le rappresentanze sindacali. Nei prossimi giorni, riprenderemo il dialogo proprio perché la Chiesa possa dare una parola di speranza e di conforto agli operai, ma anche la dirigenza della Fiat, io credo voglia sentire da noi qualcosa che serva a riconoscere il bene che la Fiat sta facendo, non soltanto a Melfi, ma in diverse parti d’Italia. In ogni modo, credo che la legalità debba essere sempre rispettata e dunque la decisione del giudice di ammettere gli operai a lavoro va rispettata, anche se la Fiat ha le sue buone ragioni, non mi sembra sia giusto riammetterli senza farli lavorare.

    D. - C’è qualcosa che lei vuole dire agli operai e in genere a tutti i lavoratori e anche alle famiglie che sono in pena in questo momento...

    R. - Vorrei dire innanzitutto ai dirigenti della Fiat di avere fiducia nella giustizia. Agli operai vorrei dire di tener conto del particolare momento in cui ci troviamo. Ci deve essere sempre questa intesa tra datore di lavoro e chi svolge il lavoro. Se questa conflittualità viene accentuata, abbiamo tutti da perdere. Senza dubbio, è una situazione molto, molto incresciosa. C’è da cambiare qualcosa nei rapporti tra lavori e azienda: non mi sembra sia giusto pensare che soltanto perché qualcosa non va allora la colpa è tutta dei datori di lavoro, oppure tutta degli operai.

    D. - Secondo lei, qual è la via migliore per creare un clima di distensione?

    R. - La prima cosa, quella di abbassare i toni, da parte di tutti, altrimenti non si riesce mai a dialogare. Si dialoga quando si è sereni: il benessere di un Paese dipende dal concorso di tutti.

    Italia: protesta violenta degli ultras contro la tessera del tifoso
    Quattro auto incendiate, un poliziotto ferito da una bomba carta e almeno cinque supporter dell'Atalanta fermati: è il bilancio della violenta protesta contro la tessera del tifoso da parte di 500 ultras che hanno fatto irruzione ieri sera al Berghem fest della Lega Nord ad Alzano Lombardo durante l'intervento del ministro dell'Interno Maroni lanciando petardi e fumogeni. ''Saranno puniti duramente”, fa sapere il ministro. Solidarietà dalla Figc, mentre il questore di Varese annuncia il divieto alla trasferta per i tifosi nerazzurri. Domenica, intanto, l'esordio della tessera del tifoso. Su quest’episodio, ascoltiamo al microfono di Linda Giannattasio il commento di don Mario Lusek, direttore dell'Ufficio della Cei per la Pastorale del tempo libero, turismo e sport:

    R. – Qualsiasi atto di violenza rovina una prospettiva di dialogo tra il mondo delle tifoserie e coloro che stanno prevenendo i possibili disagi all’interno del mondo calcistico. La violenza non paga mai nessuno e soprattutto non risolve i problemi. Crea maggiori distanze e poi recuperare un clima di fiducia reciproca diventa quasi impossibile.

    D. – Don Lusek, questa è davvero, secondo lei, l’immagine dello sport di oggi?

    R. – Il tifo vero, il tifo autentico è un elemento molto festoso nella vita dello sport ed è necessario perché fa incontrare le persone. Purtroppo degenera quando si perde di vista l’obiettivo che si vuole raggiungere. Noi abbiamo dei sogni: che lo stadio torni ad essere il luogo della festa, il luogo dei giovani, anche delle famiglie, nella logica del festoso incontro anche tra gruppi diversi. Se recuperiamo, soprattutto per noi Chiesa, l’aspetto educativo e l’aspetto festoso della domenica supereremo quel dissidio che c’è tra il mondo dello sport e il mondo della Chiesa perché li vediamo sempre in alternativa. Recuperando il festoso, il festivo, la domenica, possiamo integrare, vicendevolmente, i diversi aspetti anche del vivere quel giorno.

    Wikileaks pubblica nuovi documenti della Cia
    Il sito internet Wikileaks, fondato nel 2006 con lo scopo di diffondere documenti riservati, ha pubblicato un rapporto della Cia nel quale si esamina cosa potrebbe succedere se gli Stati Uniti venissero percepiti a livello internazionale come “esportatori di terrorismo”. “La possibilità che vengano reclutati terroristi con passaporto americano – si legge nel documento – potrebbe indebolire la disponibilità di altri Paesi a collaborare nella guerra contro il terrorismo”. Wikileaks, che ha recentemente diffuso informazioni dell’intelligence statunitense sul conflitto in Afghanistan, ha anche pubblicato atti giudiziari ancora protetti da segreto istruttorio. Tra questi, documenti relativi al caso del pedofilo belga Mark Doutroux, condannato all’ergastolo per aver rapito e sequestrato sei ragazzine.

    Stati Uniti, forte flessione del mercato immobiliare
    Il mercato immobiliare americano continua a soffrire nonostante i tassi sui mutui ai minimi storici. Le vendite di case nuove negli Stati Uniti a luglio sono crollate ai minimi storici: le vendite sono scese del 12,4%. Si tratta del livello più basso dal 1963. Secondo gli esperti, è soprattutto l’alto tasso di disoccupazione, arrivato al 9,5%, ad alimentare questa flessione del mercato immobiliare. I dati sulle vendite delle case si aggiungono a quelli del settore manifatturiero, considerato il punto di forza della ripresa. Nel mese di luglio, gli ordini in questo comparto sono scesi del 3,8%. Domani, intanto, saranno rese note le previsioni del pil riferite al secondo trimestre. Diversi analisti prevedono una revisione decisamente al ribasso, con il pil in progresso dell’1,3% rispetto al 2,4% indicato inizialmente. (Panoramica internazionale a cura di Amedeo Lomonaco)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIV no. 238

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