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Sommario del 21/08/2010
“Pasci le mie pecorelle”: l’esortazione di Gesù a Pietro nelle riflessioni di Benedetto XVI
◊ La Chiesa celebra oggi San Pio X. Il Vangelo della memoria liturgica narra l’incontro tra Pietro e Cristo Risorto, sulla riva del Lago di Tiberiade. Il Signore chiede per tre volte al discepolo se lo ama, esortandolo a pascere le sue pecorelle. Benedetto XVI si è soffermato più volte su questo passo evangelico. Riascoltiamo alcuni pensieri del Papa sul governo pastorale affidato da Gesù a Pietro e ai suoi Successori. Il servizio di Alessandro Gisotti:
Preghiamo il Signore affinché ci doni “un pastore secondo il suo cuore, un pastore che ci guidi alla conoscenza di Cristo, al suo amore, alla vera gioia”: è il 18 aprile 2005, quando Joseph Ratzinger pronuncia queste parole. Il cardinale decano celebra la Missa pro eligendo Romano Pontifice alla vigilia del Conclave. Il giorno dopo sarà eletto Papa, sarà chiamato così a pascere le pecorelle proprio come Pietro duemila anni fa. E’ un compito che supera le forze umane e Benedetto XVI si affida perciò alle preghiere dei fedeli, delle pecorelle che il Signore gli ha affidato:
“Pregate per me, perché io impari ad amare sempre più il suo gregge – voi, la Santa Chiesa, ciascuno di voi singolarmente e voi tutti insieme. Pregate per me, perché io non fugga per paura, davanti ai lupi. Preghiamo gli uni per gli altri”. (Messa di inizio Pontificato Pontificato, 24 aprile 2005)
La missione del pastore, rammenta il Papa, deve nascere dall’amore per Cristo. Bisogna dunque seguire il Signore, lasciarsi guidare da Lui, entrare nella sua dimensione d’amore infinito:
“Ricordiamo sempre che per ogni Pastore, la condizione del suo servizio è l’amore per Cristo, a cui nulla deve essere anteposto. ‘Simone di Giovanni, mi ami?’. La domanda di Gesù a Pietro risuoni sempre nel nostro cuore, cari Fratelli, e susciti, ogni volta, nuova e commossa, la nostra risposta: ‘Signore, tu sai tutto; tu sai che ti amo’”. (Udienza ai nuovi metropoliti, 30 giugno 2008)
Il Papa ribadisce che i pastori “sono il tramite attraverso il quale Cristo stesso ama gli uomini”. E dunque alla base del ministero pastorale c’è sempre “l’incontro personale e costante con il Signore”:
“Per essere Pastore secondo il cuore di Dio (cfr Ger 3,15) occorre un profondo radicamento nella viva amicizia con Cristo, non solo dell’intelligenza, ma anche della libertà e della volontà, una chiara coscienza dell’identità ricevuta nell’Ordinazione Sacerdotale, una disponibilità incondizionata a condurre il gregge affidato là dove il Signore vuole e non nella direzione che, apparentemente, sembra più conveniente o più facile”. (Udienza generale, 26 maggio 2010)
Pietro, rammenta Benedetto XVI, “da sé non era una roccia, ma un uomo debole ed incostante”. Il Signore, però, “volle fare proprio di lui la pietra e dimostrare che, attraverso un uomo debole”, Egli sostiene la Chiesa e la mantiene unita. Il Papa torna alle parole del Signore a Pietro: “Pasci le mie pecorelle”:
“Da quel giorno Pietro ha 'seguito' il Maestro con la precisa consapevolezza della propria fragilità; ma questa consapevolezza non l’ha scoraggiato. Egli sapeva infatti di poter contare sulla presenza accanto a sé del Risorto”. (Udienza generale, 24 maggio 2006)
“Dagli ingenui entusiasmi dell’adesione iniziale – prosegue il Papa – passando attraverso l’esperienza dolorosa del rinnegamento ed il pianto della conversione, Pietro è giunto ad affidarsi a quel Gesù che si è adattato alla sua povera capacità d’amore”. L’esperienza di redenzione di Pietro diventa, dunque, anche per noi un esempio che ci incoraggia, che ci invita a sperare nel Signore:
“Mostra così anche a noi la via, nonostante tutta la nostra debolezza. Sappiamo che Gesù si adegua a questa nostra debolezza. Noi lo seguiamo, con la nostra povera capacità di amore e sappiamo che Gesù è buono e ci accetta”. (Udienza generale, 24 maggio 2006)
◊ Il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi di Cotonou (Benin), presentata da mons. Marcel Honorat Léon Agboton, in conformità al canone 401 § 2 del Codice di Diritto Canonico. Benedetto XVI ha nominato nuovo arcivescovo di Cotonou mons. Antoine Ganyé, finora vescovo della diocesi di Dassa-Zoumé.
Lettera del Papa al cardinale Re per le celebrazioni dei 1500 anni del Santuario della Mentorella
◊ E’ stata resa nota oggi la Lettera con cui il Papa ha nominato il cardinale Giovanni Battista Re suo Inviato speciale alla celebrazione dei 1500 anni del Santuario mariano della Mentorella, in programma il prossimo 29 agosto. Un “felice giubileo” lo definisce Benedetto XVI, che ricorda come abbia voluto, all’inizio del suo Pontificato, visitare questo luogo sacro, a lui molto caro: era il 29 ottobre 2005, esattamente 27 anni dopo il pellegrinaggio di Giovanni Paolo II. Il Santuario di Santa Maria delle Grazie è situato sui Monti Prenestini, in diocesi di Tivoli, ad una cinquantina di chilometri da Roma, in una zona bellissima, sottolinea il Pontefice. La celebrazione solenne del 15.mo centenario del Santuario sarà preceduto da un triduo di preparazione dal 25 al 27 agosto; il 28 agosto si svolgeranno il Rosario meditato e la Messa presieduta da padre Wieslaw Spiewak, superiore provinciale della Provincia polacca della Congregazione della Risurrezione, alla cui cura pastorale è affidato il Santuario. Domenica 28 agosto, alle 11.00, il cardinale Re, prefetto emerito della Congregazione per i Vescovi, presiederà la Santa Messa Solenne per l’anniversario. Nell’occasione sarà benedetta una immagine sacra della Madonna della Mentorella, che poi passerà per le parrocchie della diocesi di Tivoli. Nel pomeriggio alle 16.00 seguirà l’Oratorio musicale “Totus Tuus’’ del Coro della Diocesi di Roma diretto da mons. Marco Frisina. Concluderà le celebrazioni la Messa presieduta alle 18.00 nel Santuario da mons. Mauro Parmeggiani, vescovo di Tivoli.
Congresso dei laici cattolici dell'Asia per rilanciare l’evangelizzazione nel continente
◊ Il Pontificio Consiglio per i Laici ha convocato un Congresso per i laici cattolici dell’Asia, che si svolgerà presso la cattedrale di Seoul, in Corea del Sud, dal 31 agosto al 5 settembre prossimi, sul tema “Proclaiming Jesus Christ in Asia Today”. “L’iniziativa – riferisce un comunicato del dicastero - si inserisce nel solco della tradizione del dicastero, che raduna periodicamente rappresentanze di fedeli laici accompagnate dai loro Pastori secondo grandi aree geografiche e culturali, per rafforzare i legami delle Chiese particolari con la Sede di Pietro. In particolare la scelta dell’Asia vuol essere un segno di sollecitudine missionaria verso i popoli di un continente ricco di tradizioni, culture e religioni millenarie, che si affaccia al terzo millennio come protagonista emergente nei nuovi scenari mondiali, nel contesto di profonde trasformazioni. Ma è soprattutto segno di attenzione pastorale per i laici cattolici che sono chiamati, in comunione con i loro Pastori, a testimoniare Gesù Cristo e ad annunciare il suo Vangelo come dono universale di salvezza”. Il Congresso è organizzato in collaborazione con la Commissione per il laicato della Conferenza episcopale coreana e il locale Consiglio nazionale dei laici. Parteciperanno delegazioni di una ventina di Paesi membri o associati della Federazione delle Conferenze Episcopali Asiatiche (FABC), quasi tutte guidate da un vescovo, insieme con alcuni responsabili della stessa FABC. Saranno presenti anche 35 delegazioni di associazioni, movimenti ecclesiali e nuove comunità riconosciute dalla Santa Sede, presenti e operanti in Asia. In totale prenderanno parte ai lavori almeno 400 congressisti. Le due relazioni di apertura – prosegue il comunicato - avranno la funzione di delineare il quadro generale: "Duemila anni della missione della Chiesa in Asia: correnti di evangelizzazione, di santità e di martirio" e "Gesù Cristo, un dono per l'Asia: esigenze, compiti e sfide dell'evangelizzazione oggi". L’intera sessione pomeridiana del primo giorno sarà a disposizione delle delegazioni nazionali per la presentazione della situazione pastorale nei singoli Paesi e delle iniziative delle Chiese particolari. La seconda giornata si aprirà con una relazione su: "La vocazione e la missione dei fedeli laici alla luce dell'esortazione apostolica post-sinodale Christifideles laici", seguita da un libero dibattito e da una nuova relazione: "La formazione cristiana e l'impegno missionario dei laici in Asia". Successivamente sono previsti due giri d’orizzonte che toccheranno molti argomenti importanti: iniziazione e formazione cristiana dei laici; partecipazione dei laici alla vita della parrocchia e delle piccole comunità; la testimonianza dei laici nei diversi campi della società (lavoro, educazione, media, politica); l'impegno dei laici in favore dell'inculturazione del Vangelo e nel dialogo tra fede e cultura; esperienze dei laici nel dialogo ecumenico e interreligioso; testimonianza della carità cristiana e del servizio ai poveri. Il giorno seguente la relazione iniziale e il dibattito affronteranno il tema della libertà religiosa, una questione davvero cruciale in Asia. Verrà poi concesso ampio spazio per approfondire alcune aree e priorità dell'evangelizzazione: rinnovamento della parrocchia, pastorale e missione della famiglia, identità della scuola cattolica, evangelizzazione e pastorale della gioventù, ruolo della donna nella Chiesa e nella società, partecipazione dei laici nella politica e nei luoghi di lavoro. Infine, dopo una relazione introduttiva sulla nuova stagione aggregativa dei fedeli laici, movimenti ecclesiali e nuove comunità testimonieranno le loro esperienze in Asia e il loro contributo all'opera di evangelizzazione. I lavori termineranno il giorno successivo con una relazione sul ruolo dei laici come protagonisti della missione e sulla loro testimonianza di speranza "per il bene dei popoli dell'Asia". Seguiranno le conclusioni del Congresso. Il programma inoltre prevede l’allestimento di una mostra su Matteo Ricci e la proiezione di un film biografico sul grande missionario. I congressisti condivideranno momenti importanti di preghiera liturgica; in particolare si recheranno al santuario dei martiri della Corea, dove celebreranno l'Eucaristia facendo memoria dei martiri del passato e del presente, come anche delle gravi restrizioni della libertà religiosa che affliggono tanti popoli del continente. Infine, domenica 5 settembre, si raduneranno nella Cattedrale di Seoul con la comunità locale per la Santa Messa conclusiva, al termine della quale tutti i partecipanti riceveranno un mandato missionario come segno e riconoscimento del loro rinnovato impegno ad annunziare il Vangelo a tutti i popoli dell’Asia.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ Pietro e Maddalena: in prima pagina, un fondo di Lucetta Scaraffia sulla collaborazione fra donne e uomini nel Nuovo Testamento.
Tra guerra e politica la sanità difficile nei Territori palestinesi: nell’informazione internazionale, Luca M. Possati sul sistema ospedaliero in Cisgiordania e a Gaza.
Lo splendore del vero: in cultura, Adriano dell’Astam direttore dell’Istituto italiano di cultura, sulle memorie di Tommaso Sgovio sopravvissuto ai gulag sovietici.
Profezia su vetro: Giovanni Coppa su Marc Chagall nella sinagoga dell’università di Hadassah.
Su evoluzionismo e ontologia un articolo di Fiorenzo Facchini dal titolo “Le discontinuità che svelano l’uomo”.
Un articolo di Gilberto Ganzer dal titolo “Il tempo del lavoro”: quattro anni per costruire un ponte ferroviario nella Venezia ottocentesca.
Nell’informazione vaticana, Gianluca Biccini intervista Calvino Gasparini, presidente dell’Associazione Santi Pietro e Paolo, nel cinquantesimo di fondazione.
Negoziati di pace tra israeliani e palestinesi: caute speranze del Custode di Terra Santa
◊ Dopo 20 mesi di tensione, iniziata con l'offensiva di Israele a Gaza, ripartono i negoziati diretti di pace tra israeliani e palestinesi. Ieri, l’annuncio ufficiale della Casa Bianca, che ha invitato le parti a Washington per il prossimo 2 settembre con l’obiettivo di chiudere le trattative in un anno. Sul tavolo le questioni irrisolte da decenni come le frontiere dei due Stati, lo status di Gerusalemme, il ritorno dei profughi e gli insediamenti ebraici nei Territori occupati. L’incontro sarà presenziato anche dal re di Giordania Abdullah e dal premier egiziano Mubarak. Tutti gli attori della partita hanno confermato il loro “si” ai negoziati. Ma ascoltiamo com’è stata accolta la notizia in Medio Oriente dalle parole del Custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa, intervistato per noi da Marco Guerra:
R. - A dire il vero la notizia di questi colloqui già girava da un po’ di tempo, ma come sempre per queste cose in Terra Santa c’è un po’ di freddezza iniziale, perché non è la prima volta, non è il primo tentativo di colloqui diretti che viene fatto e che poi alla fine non produce nulla. C’è abbastanza freddezza per essere sinceri.
D. - Cosa dobbiamo aspettarci da questo primo incontro?
R. - Il primo incontro sarà molto importante per capire, non tanto per avere dei risultati chiari - perché è chiaro, che un incontro non basterà - , ma per capire il clima che c’è tra le parti e vedere se sarà possibile un compromesso. Un compromesso che sarà inevitabile per arrivare ad un accordo. Non ci si aspetterà molto come conclusioni, ma è un’attesa più che altro psicologica, per capire il tipo di approccio tra le parti.
D. - Quali sono i principali ostacoli da superare al tavolo delle trattative?
R. - Gli ostacoli sono sempre gli stessi, sono ormai noti: sono i profughi, gli insediamenti, i confini e Gerusalemme. Questi sono gli ostacoli, o meglio, sono gli argomenti della trattativa e dovranno poi vedere gli ambiti di compromesso e di manovra tra di loro.
D. - La prospettiva dei due Stati, rimane il principale traguardo...
R. - Sì, naturalmente la prospettiva è, ormai da tutti affermata, avere due popoli in due Stati vicini, ma bisogna preparare questo cammino e fissare per l’ennesima volta i tempi e i modi.
D. - Ad intralciare questo obbiettivo c’è la spaccatura politica e territoriale di Gaza, che è controllata da Hamas…
R. - Questo è un problema serio, perché l’autonomia palestinese oggi è divisa al suo interno in maniera profonda e lacerante e ci si chiede come sia possibile superare questa divisione. Questo credo sarà un ostacolo molto serio che creerà parecchi problemi. In questo momento è difficile prevedere una soluzione immediata e a breve termine di questo problema.
D. - Lei ha accennato al problema delle colonie ebraiche. E’ questa la vera cartina di tornasole di tutto il processo di pace?
R. - E' la chiave principale. E' un elemento importante che richiederà molto coraggio da parte di tutte e due le parti: ad Israele per interrompere la costruzione delle colonie e ai palestinesi per i compromessi che saranno inevitabili, che richiederanno carisma, coraggio, leadership e anche un supporto forte dalla Comunità internazionale.
D. - Un margine ancora più ristretto sembra esserci sulla definizione del futuro status di Gerusalemme..
R. - Gerusalemme è forse il punto più delicato e di ancora più difficile soluzione, non tanto dal punto di vista pratico, quanto dal punto di vista simbolico, poiché Gerusalemme ha un carico di simbolicità e di passione per tutti molto alto. Il ruolo della Comunità internazionale sarà ancora più determinante.
D. - Quale può essere il ruolo dei cristiani per facilitare il processo di riconciliazione in Medio Oriente?
R. - Noi cristiani siamo molto pochi in Terra Santa, siamo poco più dell’uno percento, quindi non possiamo presumere di riuscire a fare molto in questo senso. Possiamo, insieme alla Comunità internazionale, insieme ai grandi movimenti, alle Chiese che sono nel mondo, aiutare nel creare un movimento di opinione di supporto, perché le due parti possano avere un ssostegno psicologico forte, da parte di tutta la Comunità internazionale, oltre che naturalmente cercare di coinvolgere e stimolare leader locali, all’incontro e al dialogo tra di loro. Creare supporto a queste iniziative, che sono sicuramente accolte con freddezza, ma comunque importanti perché questi incontri creano opinioni, creano prospettive di soluzione, magari anche lontane, ma comunque prospettive che in questo momento sembravano arenate, e che invece, a quanto pare ancora ci sono. Questo credo sia un elemento molto importante.
Ritiro Usa dall'Iraq. Mons. Najim: la guerra ha creato distruzione e caos
◊ Le truppe statunitensi che resteranno in Iraq continueranno a contrastare la presenza di Al Qaeda nel Paese del Golfo e non si limiteranno soltanto ad addestrare le forze locali. Lo ha affermato un portavoce del Pentagono, precisando che “nessuno ha dichiarato la fine della guerra”. L’organizzazione terroristica intanto ha rivendicato il sanguinoso attacco contro il centro di reclutamento dell’esercito avvenuto martedì scorso a Baghdad e costato la vita a 59 persone. Il merito al disimpegno totale dei soldati americani, che avverrà entro la fine del 2011, Antonella Palermo ha intervistato mons. Philip Najim, visitatore apostolico per i caldei in Europa.
R. – Questo ritiro è ovvio e deve essere effettuato, ma per un Paese che non ha né una stabilità di sicurezza, né una stabilità di un esercito nazionale forte, che ama la sua patria, che ama il suo Paese, che lavora e si sacrifica per il suo Paese, credo che questo ritiro, in questo momento, non faccia bene al futuro del Paese e non contribuisca a nulla. Non abbiamo un governo forte che possa attuare la sua responsabilità verso il popolo iracheno e non abbiamo un esercito stabile nazionale che possa proteggere il Paese e la sua sovranità, perciò credo che questa decisione non sarà a favore del popolo iracheno in questo momento.
D. - Cosa potrebbe, invece, essere a favore del popolo e del Paese?
R. – I danni sono stati fatti dalle truppe straniere che sono entrate e hanno invaso il Paese: danni gravissimi, danni che hanno rallentato il futuro e hanno creato una situazione anomala, non stabile. Perciò, queste nazioni che sono entrate in Iraq hanno il grave obbligo, la grave responsabilità di creare una situazione di sicurezza, di creare un esercito forte, un esercito nazionale che possa veramente proteggere la nazione irachena e il popolo iracheno. Dopodiché noi possiamo anche lavorare insieme per poter creare un futuro migliore per il popolo iracheno e porre fine a questa sofferenza. Il popolo iracheno deve aver fiducia nel suo Stato. Tutto questo, la famiglia irachena oggi non lo trova perciò prende tutto quello che ha e se ne va, lascia il Paese. Mancano i medici, mancano gli ingegneri, mancano i professionisti.
D. – Come sta vivendo la comunità cristiana questa situazione?
R. – La comunità cristiana vive come tutte le altre comunità perché la situazione del Paese è la stessa per tutti. Vediamo questa sofferenza della comunità cristiana perché rappresenta una minoranza. Tantissimi di loro hanno dovuto emigrare per trovare una vita migliore. Qui la Chiesa deve essere sostenuta e deve essere aiutata. La comunità cristiana deve essere riconosciuta perché fa parte delle comunità irachene, fa parte dello Stato dell’Iraq e ha contribuito, sempre, durante tutta la storia dello Stato iracheno, alla costruzione del Paese. Perciò, dobbiamo dargli questa possibilità per poter ricostruire il Paese insieme ai nostri fratelli musulmani e andare avanti.
D. - A che cosa è servita questa guerra?
R. – A distruggere l’Iraq, a distruggere una nazione intera e a distruggere un popolo intero.
D. – E’, quindi, secondo lei, davvero finita la guerra?
R. – No, la guerra non è finita. La guerra ha creato immigrazione, disagio, caos; ha creato morte, sangue, sofferenza, e ha tolto dal cuore del popolo iracheno la fiducia nella comunità internazionale. (Montaggio a cura di Maria Brigini)
Inondazioni in Pakistan: conseguenze durature sull'agricoltura del Paese
◊ E’ un’emergenza in continuo sviluppo quella del Pakistan, “uno tsunami che avanza lentamente”. E’ l’odierno allarme dell’Onu, che si aspetta una seconda ondata di morte, man mano che l’acqua defluisce verso il sud del Paese per scaricarsi poi nel Mar Arabico. 150 mila le persone evacuate nelle ultime 24 ore dalle loro abitazioni per lo straripamento del fiume Indus le cui acque hanno sommerso decine di città e villaggi nel sud, nella provincia del Sindh. Finora le vittime sono state 1.500, sei milioni i senza tetto, otto milioni coloro che vivono senza acqua e cibo. Ad oggi – secondo il Palazzo di Vetro - sono stati raccolti quasi 500 milioni di dollari, una cifra modesta rispetto ai bisogni. Francesca Sabatinelli ha raggiunto telefonicamente a Islamabad Marco Rotelli, direttore di Intersos, Ong in prima linea nella distribuzione di cibo:
R. - Questa è un’emergenza che si sta sviluppando sia geograficamente che nel tempo. Geograficamente chiaramente l’acqua deve scendere e sta andando verso il mare, per cui le prossime province ad essere coinvolte saranno quelle del Sindh e del Baluchistan, che stanno riportando delle evacuazioni in queste aree per limitare i danni alle persone. Non sarà possibile limitare i danni alle abitazioni e ai campi. E’ un’emergenza che si svilupperà anche nel tempo, perché sicuramente il danno provocato al cuore produttivo - agricolo del Paese, avrà conseguenze purtroppo per diversi anni.
D. - Il governo pakistano nei giorni scorsi ha lanciato un monito sul rischio che i talebani possano approfittare di questo disastro per rinfocolare la violenza. Già cominciano degli episodi nei confronti del governo...
R. - La tensione e le dimostrazioni, purtroppo in queste situazioni sono piuttosto frequenti. E’ normale che le popolazioni disperate, di fronte a un’oggettiva difficoltà a portare l’aiuto da parte del governo, così come della Comunità internazionale, s’innervosiscano e protestino e a volte purtroppo queste proteste sfocino in fenomeni di violenza. Ieri noi stessi siamo stati bloccati, ci siamo trovati coinvolti in una di queste manifestazioni, lungo una delle strade principali del Paese. Purtroppo questo tipo di manifestazioni tendono a essere violente, ma credo purtroppo che sia quasi fisiologico di una situazione di disperazione totale. E’ importante che la Comunità internazionale supporti, e il governo supporti la società ad essere meno vulnerabile e meno interessata ad alternative violente.
D. - Come sempre ci sono polemiche sull’ammontare degli aiuti e sui destinatari degli aiuti. Voi che siete lì, vedete un buon intervento della Comunità internazionale?
R. - La Comunità internazionale sta cercando di fare quello che è possibile fare in circostanze simili. Purtroppo in questo tipo di calamità è molto difficile operare, si fa quotidianamente, ogni ora del proprio meglio per farlo, ma non è detto che si raggiungano sempre dei risultati immediati e sperati. Chiaro è che lo strumento principale per poter portare aiuto, sono i mezzi a disposizione, sono i finanziamenti di cui l’organizzazione e le persone dispongono per potersi strutturare. Questi sono arrivati con lentezza, Intersos conoscendo il Pakistan da dieci anni può testimoniare che questo è un Paese che fatica ad attirare fondi, ed è purtroppo un Paese che invece ha una frequenza, una periodicità di crisi che è incredibile.
Fondazione Migrantes sulle espulsioni dei rom: una politica discriminatoria
◊ Fanno ancora discutere i rimpatri di gruppi di rom dalla Francia. Anche ieri un aereo con 130 persone ha lasciato Parigi per la Romania. Intanto, in Italia, il ministro dell’Interno Roberto Maroni dice che bisogna arrivare alla possibilità di espellere anche i cittadini comunitari e plaude all'espulsione dei rom decisa da Sarkozy. Alessandro Guarasci ha sentito mons. Giancarlo Perego, direttore generale della Fondazione Migrantes della Cei:
R. - Occorrerebbe verificare se questi rimpatri sono legittimi e da quanto è stato detto dalla Commissione europea, sono illegittimi perché riguardano sostanzialmente persone che hanno il diritto di movimento in Europa e d’insediamento. Questi rimpatri, vanno a toccare soprattutto una popolazione, la popolazione rom indistintamente, senza invece, valutare con attenzione quali sono i problemi.
D. - Per il governo italiano, la Francia non ha fatto altro che seguire l’Italia; Maroni, ora, parla della possibilità di espellere anche i comunitari...
R. - La Francia purtroppo ha seguito la strada dell’Italia di un’espulsione indiscriminata dei rom. Un’espulsione che, di fatto, che cosa ha generato? Nuovi campi abusivi, ha generato ancora abbandono della popolazione rom, ha generato l’annullamento, sostanzialmente, di tutta una politica sociale che era stata fatta per la scolarizzazione dei bambini e, secondariamente, il governo italiano non può autonomamente decidere in riferimento a una politica europea che invece stabilisce sostanzialmente il diritto di insediamento e di movimento.
D. - Lei teme una nuova stretta della politica dell’immigrazione europea in questo momento?
R. - L’azione che avviene contro i rom oggi, non è un’azione di politica migratoria - non dimentichiamo che anche in Italia, l’80% dei rom è italiano - ma è una politica discriminatoria nei confronti di una popolazione, che sostanzialmente, non si è riuscita a gestire attraverso canali che sono soprattutto di tipo sociale, di tipo scolastico, di accompagnamento; anche la tutela di una popolazione che ha subito fortemente la modifica di una società agricola industriale.
D. - Secondo lei, in Italia, serve un nuovo percorso per ottenere la cittadinanza?
R. - Certamente, serve un nuovo percorso che va anche a difendere, ad esempio, le minoranze non riconosciute, come sono le minoranze rom. Un percorso di cittadinanza che premi soprattutto i bambini che nascono in Italia, o che sono già nati in Italia in modo che possano diventare cittadini al momento della nascita, che premi soprattutto la partecipazione al voto e in particolare amministrativo; che sia sempre più una legge che aiuti da subito l’integrazione, la partecipazione e la responsabilità comune.
Il desiderio di "cose grandi" al Meeting di Rimini: intervista col giurista ebreo Joseph Weiler
◊ C’è attesa per l’apertura domani a Rimini della trentunesima edizione del Meeting per l’amicizia fra i popoli, promosso da Comunione e Liberazione. A dare il via all’evento, in mattinata, la Santa Messa presieduta dal vescovo diocesano, mons. Francesco Lambiasi, durante la quale sarà letto il messaggio inviato da Benedetto XVI. Il titolo dell’edizione di quest’anno, che terminerà sabato 28 agosto, è “Quella natura che ci spinge a desiderare cose grandi è il cuore”. Luca Collodi ne ha parlato con Joseph Weiler, docente di diritto presso la New York University:
R. – Tutto il mondo parla di cose materiali, a causa della crisi economica. Invece quelli del Meeting, per una certa “contro-cultura”, insistono sull’aspetto spirituale della vita: il desiderio che viene dal cuore non è soltanto un desiderio di soddisfazione economica o materiale, vuol dire una concezione della vita ‘desiderata’ che comprende anche una componente spirituale. Devo dire che, per come il mondo è oggi, richiede coraggio insistere su questo aspetto: non sono discorsi che si sentono nelle aule delle università e non si sente né la parola “cuore” né il concetto dei “valori spirituali” …
D. – Professor Weiler, abbiamo identificato il cuore come strumento di crescita, di curiosità, di gioia, ma l’uomo spesso vive con l’amore per la materia, per le cose concrete …
R. – Il cuore non è soltanto il luogo della speranza: è anche il luogo della tristezza; non soltanto dell’amore, ma anche dell’amore mancato … Per la completezza dell’essere umano, non soltanto la gioia ma anche la tristezza, la tragedia fanno parte della condizione umana. Anche in questo senso è coraggioso scegliere il “cuore”, perché si dice: “Ah, mi ha spaccato il cuore!” … E’ coraggioso insistere sul fatto che la tristezza è una parte integrante della vita … E’ una tendenza generale dell’uomo moderno, quella di scappare dalle responsabilità personali, scappare dalle responsabilità collettive, di dare sempre la responsabilità a qualcun altro …
D. – Il “cuore”, come lei dice, è luogo di gioia ma anche di tristezza, comunque è anche un luogo di comunicazione. La domanda è: chi ascolta?
R. – C’è un imperativo religioso che impone di impegnarsi a lavorare per un mondo migliore; c’è l’imperativo della giustizia sociale, per esempio. E questo rimane ancora forte. Però, la religione non è soltanto la responsabilità sociale, la giustizia sociale: è anche comunicazione con Dio attraverso la preghiera. La crisi della comunicazione comincia con il fatto che la maggiore parte della gente, anche religiosa, non crede più nella preghiera, non crede che qualcuno ascolti e se questo dialogo è interrotto – perché questo è il dialogo ultimo, quello di mettersi davanti al Creatore e pregare nella convinzione che qualcuno ascolti – non c’è speranza per altri tipi di dialogo. Perché questo crea uno scetticismo ed un cinismo verso il concetto stesso del dialogo: se Dio non ascolta, allora chi ascolta? E’ strano, perché proprio nell’epoca di internet si dovrebbe poter dire: “C’è tutto il tempo per il dialogo”. Si vedono le persone che con l’iPhone, con il Blackberry controllano in continuazione: è una specie di dialogo, un dialogo mediato dalla tecnologia, ma non è un dialogo come quello che stiamo conducendo lei ed io ora: noi ci parliamo, vediamo le nostre espressioni … Un dialogo mediato attraverso internet, attraverso aggeggi materiali provoca una brutta influenza sul concetto stesso del dialogo. C’è una grande crisi del dialogo; quella “cosa” mediatica – internet, Twitter, Facebook – dà una sensazione falsa di dialogo, perché il cuore, la voce, lo sguardo degli occhi che sono immanenti al dialogo – sono tutti eliminati! (Montaggio a cura di Maria Brigini)
Sugli schermi in Italia, "Pietro", storia di emarginazione in una società distratta
◊ Presentato in concorso al recente Festival di Locarno, è uscito ieri sugli schermi italiani “Pietro” di Daniele Gaglianone: storia tragica e disperata di emarginazione in una società inaridita e distratta. Una prova coraggiosa e lucida di cinema che racconta la realtà per cercare una cura efficace ai suoi mali. Il servizio di Luca Pellegrini:
Pietro, portatore di handicap e di impietosi presagi, nel suo vagabondare per la città che lo rifiuta, lo sfrutta, lo umilia, non cerca commiserazione: l’indifferenza è, in fondo, la sua arma di sopravvivenza. Lo si capisce subito, quando un gruppo di giovinastri massacra di botte un barbone e lui si gira dall’altra parta. E’ una società corrotta e sudicia, senza più codici morali e civili, anch’essa spesso sopraffatta e dunque sulla difensiva, quella che lo accoglie a forza soltanto perché non lo può cancellare, eliminare: anzi, come fa il fratello tossicodipendente e pure lui diversamente alla deriva, ne sfrutta la mente dissestata per divertirsi e far divertire. Pietro, nelle parole di uno dei suoi coraggiosi produttori, Andrea Parena, “è la storia di relazioni basate sulla violenza, dentro una società in cui il disprezzo striscia e si insinua sempre più a fondo e l’unico criterio è quello della prova di forza, dove non esiste alcuno spazio per la condivisione”. Breve nella durata – appena ottantadue minuti – stringato nella sceneggiatura, livido nella fotografia, appuntito come il coltello che Pietro userà alla fine, credendo di aprire il varco a nuove forme di sopravvivenza e precipitando, invece, anche lui nella bolgia dei colpevoli e derelitti, il film di Daniele Gaglianone va bevuto tutto d’un fiato, come uno sciroppo amaro che, immettendo il virus in circolazione, dovrebbe assicurare la creazione di anticorpi. All’inizio può sembrare un’operazione piuttosto forzata, di nicchia, perché disperatamente elitaria, e soprattutto senza un futuro commerciale: chi oserebbe, recandosi al cinema, guardare in faccia una realtà così sgradevole, scoprendo di esserne talvolta autore? Eppure la denuncia fa bene, come l’amarezza della medicina. Gaglianone osserva e indirettamente giudica: non è una prassi difensiva, è uno stile. Se non una necessità. Gli chiediamo: perché “Pietro” proprio ora al cinema?
R. – “Pietro” è un film che nasce da una necessità, da uno stato d’animo di impotenza a cui ho cercato di reagire in qualche modo, mettendo in scena la storia di una persona fragile, e purtroppo la fragilità e la gentilezza di questi tempi sono sinonimo di debolezza e di sottomissione; la storia di questa persona che, in qualche modo, comunque sceglie di reagire. E’ una reazione che ci pone di fronte a dei dilemmi grossi, perché è una reazione che, in un certo senso, comprendiamo ma che è anche fortemente inaccettabile.
D. – La confessione finale del protagonista, le sue idee sconnesse, sono rivolte a una poltrona vuota: non c’è proprio nessuno, oggi, nella società cosiddetta civile, disposto ad ascoltare Pietro?
R. – Io credo che quel momento sia un momento di grande umanità, di grande tenerezza; credo che sia più che una confessione, credo che sia anche un appello a qualcuno che forse, in quel momento, non è di fronte a Pietro ma che forse c’è, da qualche parte. E’ comunque già di per sé un atto di speranza: qualcuno ascolterà, probabilmente!
D. – Dopo aver visto il film, il cuore di uno spettatore può cambiare?
R. – Io spero che lo spettatore che scelga di vedere “Pietro” alla fine si riconosca in parte in qualcosa di apparentemente così lontano da lui. Riconoscere in strada i tanti possibili Pietro, sempre più numerosi, che ci sono in giro … Io penso che ci sia una solitudine, nel nostro mondo, veramente incredibile! Credo di non aver mai sentito tanta solitudine intorno a me come in questo periodo...
Il commento di padre Bruno Secondin al Vangelo della Domenica
◊ In questa 21.ma Domenica del Tempo ordinario, la liturgia ci propone il passo del Vangelo in cui un tale chiede a Gesù: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?». E Gesù risponde:
“Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno”.
Su questo brano del Vangelo, ascoltiamo il commento del padre carmelitano Bruno Secondin, docente di Teologia spirituale alla Pontificia Università Gregoriana:
Parole dure risuonano oggi nel Vangelo, provocate da una domanda tragica: “Signore, sono pochi quelli che si salvano?”. Invece di incoraggiare la speranza, Gesù la restringe. E comincia a parlare di una “porta stretta”, che molti cercheranno di attraversare, ma, nonostante ogni sforzo, non ci riusciranno. E da dentro casa, secondo la metafora, anche il Padre non sembra interessato ad accogliere con misericordia. Anzi a chi bussa con forza rinfaccia l’ipocrisia e l’illusione di meritarsi un facile accesso. Ma come? Eppure altre pagine del Vangelo parlano di porte spalancate, di invito indiscriminato ad entrare, di accoglienza generosa, di braccia accoglienti. Dio ci salva certo e vuole che tutti siano salvi, ma non ci si può prendere gioco di Lui con formalismi e ipocrisie colorate di sacro. Non è per tirchieria che la porta è stretta, ma per amore. L’amore è esigente, perché Dio è stato esigente con se stesso: è giunto fino al massimo, a dare il suo Figlio per farci entrare dalla porta stretta. Largo è stato il suo cuore, sia largo anche il nostro nell’amore. È un problema di amore generoso, non di centimetri.
L’arcivescovado dell’Avana risponde alla lettera aperta firmata da 165 dissidenti
◊ "La Chiesa a Cuba non distoglierà mai la sua attenzione da ciò che sono stati motivi per i quali ha agito" nel processo di dialogo con le autorità del Paese, e cioè, "la richiesta umanitaria di famiglie che hanno sofferto per l'incarcerazione di uno o più dei suoi membri". Così si esprime l'arcivescovado dell'Avana in un comunicato a firma del suo portavoce Orlando Màrquez, a commento della notizia di una lettera da parte di 165 dissidenti politici. La lettera, letta lunedì scorso a “Radio Martì” di Miami dalla signora Martha Beatriz Roque, e recentemente pubblicata su diversi organi di stampa, è considerata da parte del portavoce "offensiva per la Chiesa a Cuba" anche perché ha "provocato indignazione tra i fedeli cattolici". Il comunicato ricorda che la Chiesa, nel momento in cui ha accettato di intercedere in favore delle 'Dame in bianco', era consapevole che ciò avrebbe potuto essere interpretato in diversi modi, positivi e negativi, ma era ugualmente consapevole che "non poteva restare inattiva" poiché un simile comportamento "non era una opzione valida per la Chiesa" se si considera la nutura “della missione pastorale". "L'azione della Chiesa in favore della dignità di tutti i cubani e dell'armonia sociale a Cuba", prosegue il comunicato dell'arcivescovado, "non ha seguito tendenze politiche - e non lo farà mai - né quelle del governo né quelle di quanti vi si oppongono, ma solo la sua missione pastorale". Sulla sollecitudine costante dei vescovi cubani riguardo alla difesa e protezione della dignità umana, il comunicato cita recenti riflessioni del portavoce della Santa Sede, padre Federico Lombardi, che lo scorso 10 luglio ha rilevato: "Il ruolo cruciale assunto nel processo di dialogo cubano dal cardinale Ortega Alamino e da mons. Dionisio García, presidente dell'Episcopato, è stato reso possibile dal fatto evidente che la Chiesa cattolica è profondamente radicata nel popolo e interprete attendibile del suo spirito e delle sue attese". D'altra parte il comunicato, sempre con le parole di padre Lombardi, osserva che la Chiesa cubana "non è una realtà estranea, non fugge nei tempi di difficoltà. Porta sofferenze e speranze, con dignità e con pazienza, senza servilismo ma anche senza cercare di accrescere le tensioni e di eccitare gli animi, al contrario, con l'impegno continuo di aprire strade alla comprensione e al dialogo". Orlando Màrquez, portavoce dell'arcidiocesi dell'Avana ricorda inoltre che le riflessioni di padre Lombardi concludevano ribadendo che "la Santa Sede accompagna e sostiene la Chiesa locale con la sua solidarietà spirituale e con la sua autorità internazionale" così come "sempre si è manifestata contraria all'embargo, e quindi solidale con le sofferenze del popolo, e pronta a sostenere ogni prospettiva di dialogo costruttivo (...) Tutti ci auguriamo che il cammino continui". Mons. Emilio Aranguren, vescovo di Holguín, presidente della Commissione Giustizia e pace di Cuba, ribadendo alcuni contenuti del comunicato dell'arcivescovado dell'Avana, ha voltuo precisare che queste conversazioni della Chiesa con le autorità "in nessun momento hanno avuto, e tantomeno meno potrebbero avere, un senso di esclusione" e ha aggiunto che i vescovi non si ritengono "gli unici che possono realizzare questo tipo di conversazioni". (A cura di Luis Badilla)
Nigeria: elezioni e lotta alla corruzione al centro del messaggio dei vescovi dell’Ibadan
◊ È uno sguardo ad ampio raggio sulla situazione complessiva della Nigeria quello lanciato dai vescovi della Provincia ecclesiastica dell’Ibadan, che comprende le diocesi di Ibadan stessa, Ondo, Ekiti, Ilorin, Osogbo e Oyo. Martedì scorso, i presuli si sono riuniti in assemblea e, al termine dei lavori, hanno diffuso una lunga nota. Tra i principali argomenti trattati dal documento, c’è il nodo cruciale delle elezioni nazionali fissate per il 2011: pur esprimendo il loro apprezzamento per la decisione del presidente Goodluck Jonathan di nominare un nuovo responsabile a capo della Commissione elettorale nazionale indipendente (Ceni), i presuli ribadiscono che resta ancora molto da fare perché le votazioni si svolgano con successo. “Le riforme elettorali promesse dall’attuale amministrazione al momento del suo insediamento – si legge nella nota – non sono state ancora messe in atto ed anche la tempistica della loro realizzazione non è stata definita”. “Mancano ormai pochi mesi al 2011 – continuano i vescovi dell’Ibadan – e quindi chiediamo alla Ceni di assumersi le proprie responsabilità, fissando una tabella di marcia ben chiara ed allestendo un registro di voto credibile in tempo utile per le elezioni. In questo modo, si offriranno a tutti i nigeriani tempi e modi sufficienti per esercitare i loro diritti come cittadini”. Di qui, l’ulteriore appello rivolto sia alla popolazione nigeriana, affinché “partecipi pienamente al processo elettorale”, e sia ai candidati e ai partiti politici, perché “si astengano da tutte le forme di violenza, dai rapimenti, gli omicidi e la frode, in modo da aprire una nuova strada per tutta la nazione”. Altro punto fondamentale per i vescovi dell’Ibadan è la “guerra alla corruzione”: in particolare, i presuli condannano la riabilitazione di personalità in passato accusate di corruzione o rimosse dall’incarico perché corrotte. “Imploriamo il presidente Jonathan – si legge nella nota – di restituire credibilità alla lotta contro la corruzione, prendendo misure decisive per ridurre il problema nel Paese”. E in questo contesto, i vescovi fanno notare come “alcuni di coloro che si vantano di servire i nigeriani, in realtà si siano spesso dimostrati nient’altro che egoisti ed avidi”. “È sicuramente un peccato ed uno scandalo – aggiungono i presuli – che in Nigeria, dove molti rovistano tra i rifiuti per mangiare, dove i lavoratori ed i pensionati non percepiscono per molti mesi quanto gli spetta di diritto, ciascun parlamentare, invece, abbia molti più soldi dei presidenti dei Paesi occidentali e, nonostante questo, ne chieda ancora di più”. Una situazione drammatica che, “se non controllata, finirà per alzare il già pericoloso livello di crimini, frode e insicurezza nel Paese”, rendendo poi difficile “lo svolgimento di elezioni libere ed imparziali”. Per questo, notano i vescovi, “è di assoluta importanza che il presidente Jonathan risani, in qualche modo, questo oltraggioso squilibrio, prima che i nigeriani perdano la pazienza”. E ancora: i presuli dell’Ibadan deplorano “la condizione delle infrastrutture, specialmente della fornitura dell’energia e della rete stradale, mentre i leader politici comprano nuovi jet con costi enormi per tutta la nazione”. “Siamo vicini ai molti nigeriani – scrivono i vescovi – che perdono la vita su strade pericolose e che sopportano gli effetti paralizzanti di un servizio energetico precario”. “In nome di Dio – è l’accorato appello dei vescovi della Provincia ecclesiastica dell’Ibadan – chiediamo ai governanti, a tutti i livelli, di compiere il loro dovere e di risparmiare ai nigeriani ulteriori sofferenze”. Altra situazione scottante su cui si sofferma la nota dei presuli è quella dello sciopero dei docenti nello Stato dell’Oyo: qui, infatti, gli insegnanti hanno incrociato le braccia a causa del mancato pagamento dello stipendio per diversi mesi. Un fatto, notano i vescovi, che “ha ulteriormente danneggiato la crisi educativa in tutto il Paese. Molti adulti si sono indebitati o sono ricorsi all’accattonaggio, mentre i ragazzi si sono dati ai furti, alle droghe, alla vita di strada”. “Ci appelliamo ad entrambe le parti in causa – ribadisce la nota – perché trovino rapidamente una soluzione per uscire da tale situazione di stallo. E ribadiamo che spetta innanzitutto al governo fare sacrifici per il benessere dei cittadini”. Ma la lunga dichiarazione di vescovi dell’Ibadan si sofferma anche su alcuni avvenimenti positivi, come l’Anno Sacerdotale, indetto nel 2009 da Benedetto XVI per commemorare i 150 anni dalla morte del Santo Curato d’Ars e conclusosi l’11 giugno scorso. “Quest’Anno – notano i presuli – ha avuto un buon risultato, poiché ha fatto sì che i preti ed i fedeli tornassero a concentrarsi sull’importanza della fedeltà al sacerdozio e a Cristo”. Ringraziando il Santo Padre per l’indizione di questa iniziativa, i vescovi dell’Ibadan chiedono ai sacerdoti, ai religiosi e a tutti i fedeli di “sostenere gli obiettivi spirituali dell’Anno Sacerdotale e di impegnarsi sempre di più nell’evangelizzazione della nazione”. Infine, i vescovi annunciano una buona notizia: la Conferenza episcopale della Nigeria ha lanciato un progetto, in collaborazione con la Televisione africana indipendente (Tai), per una tv satellitare cattolica che trasmetta 24 ore su 24. Il progetto diventerà operativo a partire da gennaio 2011. “L’obiettivo – scrivono i presuli nigeriani – è quello di fornire programmi religiosi autentici, con una prospettiva nigeriana, e destinati ai cattolici non solo del Paese, ma anche di tutto il mondo”. Nel frattempo, la Tai trasmette già, ogni giorno alle 5.45 del mattino, un programma di Meditazioni, mentre la domenica, alle 8.00, va in onda la Santa Messa. In questo contesto, i presuli chiedono ai cattolici, e non solo, di “sostenere questa iniziativa, finalizzata al risanamento spirituale della società”. Le ultime righe della dichiarazione contengono un’invocazione alla Vergine Maria affinché aiuti la popolazione ed i leader politici “a scegliere sempre la via della verità” ed illumini la Nigeria in vista delle prossime elezioni. (A cura di Isabella Piro)
Argentina: l'inviato del Papa alle celebrazioni per il centenario della diocesi di Catamarca
◊ Il centenario della diocesi di Catamarca, in Argentina, viene celebrato oggi con una solenne Liturgia eucaristica presieduta dal cardinale Francisco Javier Errázuriz Ossa, arcivescovo di Santiago del Cile, Inviato Speciale del Santo Padre. La storia della circoscrizione ecclesiastica è strettamente unita all’immagine della “Virgen del Valle”, effigie miracolosa dell’Immacolata Concezione rinvenuta in una grotta tra il 1618 e il 1620. Il simulacro - di proporzioni minute e carnagione scura e con le mani giunte - divenne ben presto oggetto di venerazione da parte degli abitanti della vallata che edificarono una cappella in suo onore. Con il passare degli anni, davanti all’ampiezza dei pellegrinaggi si avvertì la necessità di costruire alla Beata Vergine un tempio più grande: il nuovo Santuario di Nuestra Señora del Valle fu quindi commissionato all’architetto italiano Luigi Caravatti ed ultimato nel 1879. A precedere l’erezione della nuova diocesi concorsero, oltre alla costruzione della chiesa cattedrale, il rinnovamento della proclamazione della Vergine a Patrona di tutta la provincia di Catamarca, nel 1888 e l’incoronazione pontificia dell’immagine, avvenuta il 12 aprile 1891. Tre giorni più tardi veniva benedetto il Seminario Diocesano affidato ai Missionari dell’Immacolata Concezione (“Padri di Lourdes”), venuti dalla Francia. Il desiderio dei fedeli di Catamarca di costituirsi in Chiesa particolare con un proprio Pastore fu recepito dal Parlamento argentino, che rivolse un’apposita petizione al Papa San Pio X. Il Pontefice accolse la richiesta ed eresse la nuova diocesi di Catamarca il 5 febbraio 1910 mediante la Bolla “Sollicitudine”, designando come primo vescovo mons. Bernabé Piedrabuena. (M.V.)
Si è spento mons. Ablondi, vescovo emerito di Livorno
◊ Commozione in Italia per la scomparsa, stamani, di mons. Alberto Ablondi, vescovo emerito di Livorno. Era stato ricoverato, pochi giorni fa, all'ospedale di Livorno a causa di gravi problemi respiratori. Il 18 dicembre avrebbe compiuto 86 anni. Il sindaco di Livorno, Alessandro Cosimi, ha proclamato il lutto cittadino in concomitanza con i funerali previsti per lunedì alle 16.30 in Cattedrale. “Maestro di vita, di valori e di ideali, oltre che di profonda cultura e grande umanità”, così lo ricorda Giorgio Kutufà, presidente della Provincia, in un articolo sul quotidiano La Nazione. Cordoglio esprime anche la Comunità ebraica: mons. Ablondi, grande amico del rabbino capo di Roma Elio Toaff, è stato un protagonista sia dell’ecumenismo sia del dialogo con gli ebrei. Nato nel 1924 a Milano, ordinato sacerdote nel 1947, è stato parroco a Santa Maria degli Angeli a Sanremo dal 1952 al 1966, poi vescovo di Livorno dal 1970 fino al 2000, quando si dimise per raggiunti limiti di età. È stato, inoltre, vicepresidente della Conferenza Episcopale Italiana, membro del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani, presidente mondiale della Federazione Universale Cattolica per l'Apostolato Biblico e vicepresidente mondiale per l'Europa delle Società Bibliche. (C.F.)
Kashmir: lettere intimidatorie per la conversione all'islam dei sikh
◊ “Convèrtiti all’islam e unisciti alla lotta contro le uccisioni di civili o lascia la valle”: è il contenuto delle lettere anonime che molti membri della comunità sikh del Kashmir hanno ricevuto in questi giorni. Lo rende noto l’agenzia AsiaNews. La valle del Kashmir è una regione montuosa contesa tra Pakistan e India. Il Jammu-Kashmir si trova nella parte orientale della valle ed è uno degli Stati di giurisdizione indiana. Si verificano spesso scontri tra esercito indiano e separatisti musulmani, i quali chiedono l’annessione al Pakistan. Il leader dei separatisti, Syed Ali Shah Geelani, ha rassicurato i sikh, dicendo loro di ignorare le lettere e di non sentirsi spaventati. Dello stesso parere, Ali Ashgar Engineer, musulmano indiano e responsabile del centro Studi sulla società e il secolarismo di Mumbai. “Le lettere sono anonime” – ha riferito Engineer ad AsiaNews – “gli estremisti non sono dietro a queste lettere, sono stati i terroristi del Pakistan. La maggior parte della gente in Kashmir è contro la violenza, si oppone al terrorismo e alla radicalizzazione”. Di diverso avviso è Predhuman Joseph Dhar, appartenente ai pandit, una setta di bramini indù originari del Kashmir e convertito al cattolicesimo 16 anni fa: “La natura degli attuali scontri - ha detto - non è politica, ma religiosa. Vogliono islamizzare il Kashmir". “Nel dicembre del 1989 – sottolinea Dhar - ho dovuto lasciare la mia casa e il mio cuore, e rifugiarmi con la mia famiglia in Jammu, insieme ad altre 4 milioni di persone. Non ho potuto portare niente con me. Quando mi sono convertito sono stato diseredato e tutto quello che avevo accumulato nei cinque anni prima del mio Battesimo è così andato perso”. Dhar, infine, rammenta la vicenda di padre Jim Borst, unico missionario olandese del Mill Hill nella valle del Kashmir, che nel luglio scorso ha ricevuto una lettera di espulsione dall’India. Il missionario, impegnato nelle strutture educative e sanitarie dell’area dal 1963, dovrà probabilmente lasciare il Paese. (C.F.)
La Chiesa irlandese lancia una colletta nazionale per gli alluvionati del Pakistan
◊ L’Irlanda si mobilita per il Pakistan: oggi e domani, in tutte le chiese cattoliche del Paese, si terrà una speciale colletta, il cui ricavato sarà destinato al Pakistan, colpito da devastanti alluvioni. I fondi raccolti saranno gestiti dall’agenzia “Trócaire”, l’organizzazione ufficiale per lo sviluppo della Chiesa cattolica irlandese. “Queste alluvioni – spiega in una nota mons. John Kirby, presidente di Trócaire – hanno lasciato un disastro inimmaginabile e le famiglie stanno lottando disperatamente per sopravvivere. Almeno 20 milioni di persone hanno avuto la vita rovinata ed intere comunità sono state spazzate via, lasciando milioni di sfollati ed affamati”. “I sopravvissuti – spiega ancora il presule – sono costretti a bere acqua inquinata ed il timore è che, a causa dell’acqua contaminata, adulti e bambini contraggano malattie come la diarrea, tra le principali cause della mortalità infantile”. In particolare, il vescovo irlandese si sofferma sul dramma di molti bambini che, attraverso bottigliette di plastica, raccolgono dai canali l’acqua inquinata e la portano alle famiglie, che la utilizzano poi per bere, cucinare e lavare, favorendo così il diffondersi di malattie. Quindi, in vista anche di un ulteriore peggioramento delle condizioni meteorologiche in Pakistan, mons. Kirby invita tutti i fedeli a contribuire generosamente alla colletta, così da “rispondere all’appello dei nostri fratelli pakistani in questo momento cruciale”. Certo, riconosce il presule, “questa è una fase finanziariamente difficile anche per molte famiglie irlandesi. Tuttavia, vi chiedo di ricordare la situazione critica, tra la vita e la morte, di molte famiglie pakistane che vivono in modo considerevolmente peggiore del nostro”. Da ricordare che mercoledì scorso, durante l’udienza generale a Castel Gandolfo, Benedetto XVI ha lanciato un appello per il Pakistan, chiedendo a tutta la comunità internazionale di intervenire: “Il mio pensiero va alle care popolazioni del Pakistan, colpite recentemente da una grave alluvione, che ha provocato numerosissime vittime e ha lasciato molte famiglie senza casa - ha detto il Papa - mentre affido alla bontà misericordiosa di Dio quanti sono tragicamente scomparsi, esprimo la mia spirituale vicinanza ai loro familiari e a tutti coloro che soffrono a causa di questa calamità. Che non manchi a questi nostri fratelli, così duramente provati, la nostra solidarietà e il concreto sostegno della comunità internazionale!”. (I.P.)
L’amicizia con Dio al centro della Giornata nazionale della catechesi in Uruguay
◊ “Gesù ci parla lungo il cammino!”: con questo tema, tutte le diocesi dell’Uruguay celebreranno, domenica prossima, la Giornata nazionale della catechesi. Per l’occasione, mons. Orlando Romero, presidente del Dipartimento della Catechesi della Conferenza episcopale uruguayana, ha diffuso un messaggio, indirizzato a tutti i catechisti: innanzitutto, il presule invita a vivere questa speciale Giornata “in comunione di sentimenti e di amore con la Chiesa, pellegrina in ciascuna delle nostre diocesi, e con l’impegno comune al servizio di annunciare la Parola di Dio e di educare a quella Fede che il Signore ci ha donato”. “La fonte del nostro dinamismo spirituale nella missione catechistica – continua mons. Romero – sta proprio nell’incontro con il Signore che chiamò a sé quelli che Egli volle che stessero con lui per mandarli a predicare” (Mc. 3, 13-15)”. Quindi, il presule sottolinea: “Non siamo stati noi a scegliere il Signore, bensì è stato Lui a sceglierci, affinché ci legassimo strettamente alla sua Persona. Nella parabola della vite e dei tralci, che incontriamo nel Vangelo di Giovanni, Gesù ci rivela il tipo di legame che ci offre e che spera per noi”. E mons. Romero spiega: “Gesù desidera che noi ci leghiamo a Lui come amici e come fratelli. L’amico entra nella vita del Signore facendola propria; l’amico ascolta Gesù, conosce il Padre e lascia che Egli fluisca nella propria esistenza, caratterizzando il rapporto con tutti. Il fratello di Gesù, invece, partecipa della vita del Risorto che ci rivela il suo Spirito vivificatore”. Ricordando, poi, che “siamo tutti membri della Chiesa” che “continua l’opera di Gesù aprendo ai credenti le porte della salvezza”, il vescovo uruguayano cita le parole di San Paolo: “Voi siete una lettera di Cristo, scritta non con inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivente” (2 Cor. 3,3). Di qui, l’invito finale rivolto a tutti i catechisti affinché “alimentino e rafforzino quella spiritualità che ci deve caratterizzare tutti, nella vocazione di discepoli missionari della santità”. “Lungo la nostra vita – si legge nelle ultime righe del messaggio – non smettiamo mai di ascoltare Gesù che ci insegna e ci illumina con il suo Spirito”. (I.P.)
Ospedale Bambino Gesù: scoperto il gene responsabile di una rara malattia dermatologica
◊ È stato individuato il gene responsabile di una malattia rara che colpisce la cute, i capelli e l’apparato pilifero. I risultati della ricerca – condotta dall’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, in collaborazione con l’Istituto Mendel, l’Idi, l’Istituto di Genetica di Berlino, il reparto di Dermatologia dell’Università di Tlemcen (Algeria) e l’Università di Marsiglia – sono stati pubblicati dalla rivista The American Journal of Human Genetics, organo ufficiale della società americana di Genetica umana. Nello specifico, è stato scoperto il gene responsabile di una forma di displasia ectodermica, ovvero un gruppo molto eterogeneo di malattie con oltre 200 forme note. La malattia – molto rara e identificata fino ad oggi in pochissime famiglie al mondo – è nota come sindrome da displasia ectodermica-sindattilia, cioè la disfunzione dello strato più esterno dell’embrione da cui origina l’epidermide associata alla fusione cutanea delle dita. La ricerca è stata effettuata su due famiglie, di cui una di origine algerina e una italiana. Si tratta di una sindrome caratterizzata dall’associazione tra le anomalie dei capelli e dei denti con alopecia e sindattilia cutanea. (C.F.)
Iran: al via l'attività della prima centrale nucleare nella storia del Paese
◊ E’ iniziata oggi, nella centrale nucleare iraniana di Bushehr, l’attività di caricamento del combustibile. La struttura, di costruzione russa, comincerà ad essere operativa entro due o tre mesi. L’avvio delle operazioni, avvenuta sotto il controllo degli osservatori dell’Aiea, l’Agenzia dell’Onu per l’energia atomica, alimenta, tuttavia, le preoccupazioni internazionali per un possibile uso del nucleare da parte di Teheran a scopi bellici e non solo civili. Il servizio di Giancarlo La Vella:
Per l’Iran è un momento storico. La centrale di Bushehr, oltre a significare un importante affrancamento per la produzione di energia a basso costo, consente di mantenere il punto di fronte alle richieste internazionali di una sospensione dell’attività nucleare. I tecnici dell’Aiea hanno aperto e controllato stamani le 82 tonnellate di combustibile atomico in barre di uranio, che consentiranno alla struttura di entrare in funzione entro la fine dell’anno. Durante la cerimonia di inaugurazione, i responsabili iraniani hanno ribadito che la centrale consentirà di produrre elettricità sufficiente per rispondere alla crescente domanda interna di energia. Sottolineato, dunque, l’utilizzo esclusivamente civile della struttura. Ma queste dichiarazioni non placano le preoccupazioni internazionali. Il 12 luglio scorso proprio il presidente russo, Medvedev, aveva avvertito che l’Iran è ormai vicino a dotarsi del materiale per costruire una bomba atomica. Per questo si guarda, oltre che all’Aiea, soprattutto al personale russo per la messa in atto dei controlli necessari, affinché l’energia prodotta venga utilizzata esclusivamente a scopi civili. Intanto, il responsabile iraniano per l’energia nucleare, Ali Akbar Salehi, getta benzina sul fuoco, dichiarando in un’intervista che l’Iran, dopo Bushehr, continuerà anche ad arricchire in proprio l’uranio. La dichiarazione segue a quella del presidente iraniano, Ahmadinejad, che ieri si è detto pronto a colloqui diretti con le potenze mondiali, per arrivare ad un accordo di scambio di combustibile nucleare.
Afghanistan
Nuove vittime civili in un’operazione della Nato in Afghanistan. Si tratta di una donna e di due bambini finiti al centro di un combattimento tra i militari e sei guerriglieri, avvenuto venerdì scorso. L’Isaf ha espresso “profondo rammarico” assicurando che indagherà sull’accaduto e che continuerà ad impegnarsi per ridurre le vittime civili. Intanto, oggi è stata diffusa la notizia della morte di un altro soldato della coalizione internazionale, avvenuta ieri nel sud.
Yemen
Nello Yemen almeno 11 militari hanno perso la vita durante scontri con miliziani di Al Qaeda. Lo ha fatto sapere il Ministero degli interni di Sanaa, precisando che l’episodio è avvenuto ieri sera nella zona meridionale del Paese.
Australia elezioni
In Australia, il partito laburista della premier Gillard è in vantaggio nelle elezioni legislative odierne. Lo spoglio, a poche ore dalla chiusura delle operazioni di voto, è giunto al 58 per cento e la formazione ha ottenuto 68 seggi contro i 62 dell’opposizione conservatrice. Sembra confermato il testa a testa previsto dai sondaggi che hanno paventato l’ipotesi che nessuno raggiunga la soglia dei 76 seggi necessaria per governare da solo. Secondo gli esperti l’esito finale della tornata è legato ai risultati di molte circoscrizioni marginali.
Russia terrorismo
Le forze speciali russe hanno annunciato l’uccisione del presunto organizzatore del duplice attentato suicida contro la metropolitana di Mosca, che lo scorso mese di marzo provocò 40 morti. Le autorità locali hanno precisato che si è trattato di un blitz condotto nella Repubblica caucasica del Daghestan, in cui sono state uccise anche altre quattro persone.
Francia economia
La Francia ha corretto al ribasso la previsione di crescita per il 2011, che dal 2,5 passa ora al 2 per cento. Il nuovo dato è contenuto in un documento pubblicato al termine di una riunione straordinaria svoltasi ieri tra il presidente Sarkozy e i responsabili di governo per l’economia. Anche il Fondo Monetario Internazionale aveva definito troppo ottimista la precedente stima, chiedendo alla Francia ulteriori sforzi nei tagli di spesa per riportare entro il 2013 il deficit al 3 per cento del Prodotto Interno Lordo. L’Eliseo ha tuttavia confermato il raggiungimento – o il superamento – della previsione di crescita per il 2010 dell’1,4 per cento.
Italia - politica
Nuovo vertice del Pdl a Roma, indetto dal premier Berlusconi per fare il punto sull’organizzazione dei circoli del partito sul territorio. L’appuntamento all’indomani dell’incontro di ieri in cui la formazione ha ribadito l’intenzione di chiedere la fiducia sul nuovo programma di governo. L’ipotesi alternativa resta quella del voto anticipato. I finiani hanno fatto sapere che non c’è alcun “problema per la tenuta della maggioranza”. Dura, invece, la replica delle opposizioni che parlano di fallimento del governo. Il Pd, comunque, si è detto pronto al voto.
Cina - latte melamina
Nuovo scandalo del latte in polvere contaminato dalla melamina in Cina. Sequestrate più di cento tonnellate di prodotto nel nord del Paese. Le autorità – riportano media locali - hanno eseguito sei arresti e oltre 40 fermi. Nel 2008 il latte avvelenato dalla sostanza chimica, utilizzata per produrre materie plastiche, provocò la morte di 6 bambini e l’intossicazione di altri 300 mila in tutto il Paese.
Cina - inondazioni
In Cina almeno 50 mila persone sono state evacuate stamattina per lo straripamento di un fiume, a causa delle forti piogge, nella provincia nord orientale del Liaoning, dove sono crollate oltre 200 abitazioni. Nella zona manca inoltre l’elettricità e molte strade sono completamente allagate.
Libia - Lockerbie
Nessuna celebrazione ufficiale si è svolta a Tripoli per il primo anniversario del rilascio dell’ex 007 libico condannato all’ergastolo per l’attentato aereo di Lockerbie del 1988 e liberato dal governo scozzese per motivi umanitari, a causa delle sue precarie condizioni di salute. La scelta è avvenuta in seguito alle pressioni di Londra, che ha chiesto alle autorità del Paese africano di mantenere un basso profilo. In queste ore la Casa Bianca è tornata peraltro a definire “un errore” il rilascio dell’uomo. (Panoramica internazionale a cura di Eugenio Bonanata)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIV no. 233
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