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Sommario del 11/08/2010
◊ Il martirio, “forma di amore totale a Dio”, è stato il tema centrale della catechesi di Benedetto XVI, all’udienza generale di stamani al Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo. Il Papa ha ricordato che in questi giorni facciamo memoria di alcuni Santi martiri, come San Lorenzo, Edith Stein e Massimiliano Kolbe, che hanno seguito il Signore fino in fondo. Quindi, ha esortato i fedeli a seguire il loro esempio per vincere l’egoismo e l’individualismo con l’amore di Dio che trasforma il mondo. Salutando i pellegrini polacchi, il Papa ha rivolto un pensiero particolare a quanti sono stati colpiti dalle alluvioni. Il servizio di Alessandro Gisotti:
Dove si fonda il martirio? Benedetto XVI ha iniziato la sua catechesi da questo interrogativo. La risposta, ha detto, è in realtà semplice: “Sulla morte di Gesù, sul suo sacrificio supremo d’amore, consumato sulla Croce affinché noi potessimo avere la vita”:
“E’ la logica del chicco di grano che muore per germogliare e portare vita (cfr Gv 12,24). Gesù è il chicco di grano venuto da Dio, il chicco di grano divino, che si lascia cadere sulla terra, che si lascia spezzare, rompere nella morte e, proprio attraverso questo, si apre e può così portare frutto nella vastità del mondo” .
Il martire segue il Signore fino in fondo, ha proseguito, “accettando liberamente di morire per la salvezza del mondo, in una prova suprema di amore”. Da dove nasce dunque la forza per affrontare il martirio?
“Dalla profonda e intima unione con Cristo, perché il martirio e la vocazione al martirio non sono il risultato di uno sforzo umano, ma sono la risposta ad un’iniziativa e ad una chiamata di Dio, sono un dono della Sua grazia, che rende capaci di offrire la propria vita per amore a Cristo e alla Chiesa e così al mondo”.
“Se leggiamo le vite dei martiri – ha rilevato il Papa – rimaniamo stupiti per la serenità e il coraggio nell’affrontare la sofferenza e la morte: la potenza di Dio si manifesta pienamente nella debolezza, nella povertà di chi si affida a Lui e ripone solo in Lui la propria speranza (cfr 2Cor 12,9). Ma è importante sottolineare che la grazia di Dio non sopprime o soffoca la libertà di chi affronta il martirio, ma al contrario la arricchisce e la esalta:
“Il martire è una persona sommamente libera, libera nei confronti del potere del mondo. Una persona libera che in un unico atto definitivo dona a Dio tutta la sua vita, e in un supremo atto di fede, di speranza e di carità, si abbandona nelle mani del suo Creatore e Redentore; sacrifica la propria vita per essere associato in modo totale al Sacrificio di Cristo sulla Croce. Con una parola: il martirio è un grande atto di amore in risposta all’immenso amore di Dio”.
Certo, ha detto il Pontefice, “probabilmente noi non siamo chiamati al martirio”. Tuttavia, è stata la sua esortazione, “nessuno di noi è escluso dalla chiamata divina alla santità, a vivere in misura alta l’esistenza cristiana”:
“Tutti, soprattutto nel nostro tempo in cui sembrano prevalere egoismo e individualismo, dobbiamo assumerci come primo e fondamentale impegno quello di crescere ogni giorno in un amore sempre più grande a Dio e ai fratelli per trasformare questo nostro mondo”.
Salutando i pellegrini di lingua tedesca, il Papa ha quindi rivolto un pensiero speciale a San Massimiliano Kolbe che, nell’inferno di Auschwitz, ha salvato un padre di famiglia dalla morte ed ha spezzato la follia della violenza. “Questa commovente testimonianza della fede, della speranza e dell’amore – ha detto il Papa – sollecita anche noi a seguire Cristo e a crescere, giorno dopo giorno, nell’amore nei riguardi di Dio e dei nostri fratelli”. Al momento dei saluti in polacco, il Pontefice ha quindi rivolto un pensiero speciale a quanti sono stati colpiti dalle alluvioni. “Chiedo a Dio – ha detto il Papa – che dia loro le forze per sopportare le avversità e stimoli i cuori degli uomini di buona volontà al generoso ed efficace aiuto”.
Colletta nazionale in Argentina. Messaggio del Papa per una società senza esclusi
◊ Benedetto XVI incoraggia i cattolici dell’Argentina a collaborare in occasione della colletta nazionale “Más por Menos”, in programma a settembre in tutte le parrocchie, “per aiutare le persone più svantaggiate e promuovere la solidarietà”. Nel messaggio del cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone a nome del Santo Padre, il Papa esorta gli argentini a rispondere con “sincera generosità” a questa iniziativa della Chiesa. Nel Paese, “non senza difficoltà”, si distingue “l’encomiabile opera” svolta dalla Commissione episcopale per l’assistenza alle popolazioni delle regioni più povere. Benedetto XVI saluta poi tutti i cattolici argentini, “così presenti nel suo cuore”. Il Santo Padre esorta “i discepoli di Cristo” del Paese latinoamericano “ad amare tutti con lo stesso amore con cui Dio ci ama”, mostrando così che la “carità è il carattere distintivo delle loro vite”. Benedetto XVI esorta inoltre “a coltivare ogni giorno la Parola divina, la preghiera perseverante, la partecipazione assidua ai Sacramenti”. Nel messaggio inviato al nunzio apostolico in Argentina, mons. Adriano Bernardini, il Santo Padre affida poi la colletta nazionale a Nostra Signora di Luján, patrona del popolo argentino, chiedendo che sostenga con la sua protezione quanti partecipano all’iniziativa di solidarietà. L’edizione di quest’anno di “Más por Menos”, incentrata sul tema “Costruiremo una storia senza esclusi”, si terrà l’11 e il 12 settembre prossimi in tutte le parrocchie del Paese. Nel 2009 sono stati raccolti oltre un milione e 700 mila euro. I fondi provenienti da questa iniziativa, giunta alla 41.ma edizione, sono distribuiti tra 25 diocesi che hanno maggiori necessità, suddivise in cinque livelli di priorità. Grazie alla colletta, sono state costruite case, create piccole imprese e realizzati progetti in favore delle regioni più povere. (A cura di Amedeo Lomonaco)
◊ Il 16 agosto del 2005 Frère Roger veniva ucciso per mano di una squilibrata durante la preghiera serale. A cinque anni da quell’assassinio e a 70 dalla fondazione della comunità di Taizé, il cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone, a nome del Papa, ha indirizzato un messaggio a frère Alois, priore della comunità. “Possa la sua testimonianza di un ecumenismo della santità – auspica il Papa - ispirarci nel nostro cammino verso l'unità e possa la vostra Comunità continuare a vivere e a irradiare il suo carisma, in special modo tra le giovani generazioni”. Il servizio di Amedeo Lomonaco:
“Instancabile testimone del Vangelo di pace e di riconciliazione, Frère Roger è stato un pioniere sul difficile cammino verso l'unità tra i discepoli di Cristo”. “Settant'anni fa – ricorda il Papa - diede inizio a una comunità che continua a veder venire a sé migliaia di giovani provenienti dal mondo intero, alla ricerca di dare un senso alla propria vita, accogliendoli nella preghiera e permettendo loro di fare esperienza di una relazione personale con Dio”. Anche il Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo ricorda in un messaggio Frère Roger, “una delle grandi figure cristiane del ventesimo secolo”. Con lui e i fratelli che condividono la sua visione – sottolinea il Patriarca – Taizé è diventato “un punto di convergenza”, un luogo “di approfondimento nella preghiera” e di “rispetto della tradizione dell’altro”. Da parte sua, il Patriarca di Mosca e di tutte le Russie Kirill ricorda che sono migliaia i giovani che visitano Taizé. “Testimoniano in maniera convincente che, ancora oggi, il messaggio evangelico dell’amore di Dio può trovare un'eco vivente nei cuori se non è soltanto predicato con parole, ma vissuto personalmente”. L’arcivescovo anglicano di Canterbury, Rowan Williams, scrive infine che “Frère Roger è una prova della resurrezione”. La morte – conclude – è reale e apparentemente potente nel nostro mondo. Ma la vita e la morte di un uomo come Frère Roger ci dice che la morte è sconfitta”. Oggi il nome di Taizé evoca la pace e la riconciliazione. “Quando la Chiesa ascolta – scriveva Frère Roger – guarisce, riconcilia, allora si trasforma in ciò che è nel suo aspetto più luminoso: riflesso limpido di un amore”.
Il padre gesuita slovacco Ján Ďačok nominato Teologo della Penitenzieria Apostolica
◊ Benedetto XVI ha nominato Teologo della Penitenzieria Apostolica il padre gesuita slovacco Ján Ďačok, docente di Teologia Morale presso la Pontificia Università Gregoriana a Roma. Nato il 6 agosto del 1955, padre Ďačok ha esercitato per alcuni anni la professione medica. Entrato nella Compagnia di Gesù nel 1981, è stato ordinato sacerdote nel 1990. Specializzato in Teologia Morale, ha insegnato questa disciplina presso la Facoltà Teologica dell’Università di Trnava, in Slovacchia. Dal 2003 al 2009, è stato padre provinciale della Compagnia di Gesù in Slovacchia.
Il Papa ha quindi nominato prelati uditori del Tribunale della Rota Romana mons. Giovanni Vaccarotto, finora difensore del Vincolo del suddetto Tribunale, e padre Settimio Maroncelli, dell’Ordine dei Frati Minori, finora officiale della Congregazione per il Clero.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ Il martirio prova di amore totale: Benedetto XVI durante la catechesi settimanale propone l'esperienza del sacrificio di numerosi santi.
In prima pagina, un fondo di Franco Prodi dal titolo “Per uno sviluppo che rispetti l’ambiente”: un centro mondiale di allerta di fronte alle catastrofi naturali.
In rilievo, nell’informazione internazionale, le nuove misure della Fed per rianimare l’economia statunitense.
Carlo dai mille volti: in cultura, Giorgio Picasso sulla santità e la devozione per il Borromeo nei teleri milanesi del Seicento, con un articolo di Enrico Reggiani dal titolo “Imprevedibile Dickens affascinato dal vescovo milanese”.
Dal lager non si esce mai del tutto: Gaetano Vallini recensisce “L’altalena del respiro” del premio Nobel Herta Müller.
In bici sulle orme dei deportati: Maria Maggi sulla sosta del Giro di Polonia al campo di sterminio di Auschwitz.
Calcio italiano, lavori in corso: Gianni Rivera sullo sport più amato che cerca di voltare pagina.
Pakistan: le alluvioni mettono in ginocchio l'economia del Paese
◊ Oltre 1600 morti, 650.000 abitazioni distrutte o danneggiate, circa 10.000 capi di bestiame morti e 500.000 ettari di terreno agricolo inondati. Sono alcuni dei dati, diffusi dall’agenzia pachistana per la gestione delle catastrofi, che si riferiscono al dramma delle alluvioni in Pakistan. Si stima che i danni provocati dalle inondazioni ammontino ad oltre due miliardi di dollari. Gli Stati Uniti hanno annunciato lo stanziamento di circa 55 milioni di dollari per rispondere a necessità immediate. Ma servono finanziamenti anche per progetti a lungo termine, come sottolinea al microfono di Antonella Palermo, l’economista Riccardo Moro, direttore della Fondazione “Giustizia e Solidarietà”:
R. – Certamente c’è un problema di ricostruzione in questo momento, ma la ricostruzione non può guardare al breve periodo, deve cercare di suscitare dei processi che disegnino una comunità a misura d’uomo domani, non solo che mettano delle toppe. E il “domani” o il “questa sera” bisogna pensarlo già adesso. Allora, la leva finanziaria è fondamentale, perché per fare qualunque cosa ... pare che ci sia bisogno dei soldi. Il microcredito è uno strumento prezioso, che però non va mitizzato, nel senso che il microcredito non fa tutto. Il microcredito consente alle singole persone, a piccole comunità, o anche famiglie, di accedere ad una disponibilità finanziaria per realizzare un’idea, quando non hanno quelle condizioni che il sistema bancario tradizionale richiede per poter presentare garanzie, dunque per accedere ai prestiti normali. Il microcredito dunque è utile soprattutto in condizioni di povertà oppure in condizioni di emergenza come questa, in cui le persone hanno perso tutto, hanno perso la casa e non possono offrire garanzia. Diventa, quindi, uno strumento molto prezioso. Ma con il microcredito non si fanno le strade...
D. - Servono quindi ingenti aiuti economici…
R. – Occorre che questi soldi però siano resi disponibili attraverso più canali. Bisogna far affluire capitali che vengano erogati attraverso modalità, come quelle del microcredito per singole famiglie e gruppi. Occorrono certamente dei capitali che vengano veicolati con il sistema bancario tradizionale, sia pure con dei tassi agevolati e non con dei tassi da usura per essere chiari, perché c’è anche il mondo delle imprese che va ricostruito, imprese di dimensioni maggiori che, dunque, hanno necessità di capitali più consistenti per realizzare i loro investimenti. E poi c’è il terzo braccio, che è quello dei capitali pubblici. Noi abbiamo bisogno assolutamente di mettere a disposizione, sia attraverso i canali pubblici, locali, nazionali, sia attraverso la rete di solidarietà internazionale, dei denari, per fare quelle cose che non generano profitto immediatamente o che sono a beneficio generale della comunità, ma senza guadagni per il singolo che gestisca l’intervento e che sono le cose che normalmente fa lo Stato. Certamente non basta solo il denaro pubblico, certamente non basta solo il sistema bancario tradizionale, certamente non basta solo il microcredito: abbiamo bisogno di tutte e tre le risorse contemporaneamente. (Montaggio a cura di Maria Brigini)
Diminuiscono i roghi in Russia: colpite anche le zone contaminate dal disastro di Chernobyl
◊ A Mosca oggi l’aria è più pulita. I temporali notturni hanno spazzato via i fumi tossici generati dagli incendi che negli ultimi giorni hanno devastato la regione centrale della Russia. Il livello di monossido di carbonio è tornato a livelli quasi normali, nonostante la temperatura sia già risalita oltre i 30 gradi. All’allarme nella capitale, che resta alto, se ne aggiunge un altro. Le fiamme hanno raggiunto Bryansk, regione contaminata nel 1986 dal disastro nucleare di Chernobyl. La denuncia è della guardia forestale russa che data gli incendi sin dal 6 agosto: il fuoco avrebbe già devastato quattromila ettari contaminati. Le autorità russe hanno minimizzato qualsiasi rischio, per gli esperti non è una catastrofe perché la maggior parte delle particelle inquinate è in profondità, ciò che brucia si trova in superficie. Allarme arriva invece da organizzazioni come Greenpeace e da alcuni ecologisti russi. Francesca Sabatinelli ha intervistato Nicola Pirrone, direttore dell’Istituto dell’Inquinamento Atmosferico del Cnr e docente all’università del Michigan.
R. – Noi non abbiamo dati ufficiali per poter capire a che livello è stato bonificata, a suo tempo, tutta l’area. Il rischio potenziale esiste perché gli incendi mettono in gioco tutta una serie di radionuclidi a suo tempo depositati e fissati nella parte superiore del suolo dell’ecosistema terrestre in generale. Gli incendi, il rischio potenziale lo pongono. L’unico modo che abbiamo per vedere, l’effettivo livello di rischio sono i dati di monitoraggio atmosferico dei radionuclidi, per vedere se il livello radioattivo aumenta o meno. Al momento non ci sono allarmi né dall’Agenzia europea per l’ambiente né dall’Organizzazione mondiale della sanità .
D. – Professore, per quanto riguarda il resto dell'Europa?
R. – C’è una rete europea e al momento non ha segnalato incrementi significativi della radioattività, oltre i valori della radioattività naturale.
D. – Andando a vedere quello che sta succedendo a Mosca: si sono viste immagini di una città completamente avvolta da una nebbia fortissima. Questo quanto è pericoloso?
R. – Questo è molto pericoloso: c’è un’allerta relativa alla salute pubblica indotta dall’esposizione a questi fumi, a particelle sottili sospese nell’atmosfera e questo fa sì che soprattutto i gruppi di popolazione particolarmente critici, come gli anziani e i bambini e tutti coloro che hanno patologie di tipo respiratorio, possono incorrere in problemi sanitari molto molto seri. E questo lo stiamo vedendo ogni giorno: in quelle condizioni ambientali, le condizioni per la salute pubblica sono critiche.
D. – Ma un inquinamento atmosferico di questo tipo per quanto tempo può restare in atto?
R. – Oltre all’impatto sulla salute, quindi a livello locale, c’è anche un impatto sul clima; c’è un trasporto di questa nube tossica – così è il caso di definirla – nella parte alta della troposfera fino alla stratosfera, e questa avrà una ripercussione sulle condizioni climatiche nel medio e lungo termine. Questo fumo e queste particelle, infatti, resteranno in circolo su scala globale per un po’ di tempo, fin quando verranno rimosse dai processi di deposizione e trasporto a lunga distanza.
D. – E questo non è un problema che interesserà solo la Russia…
R. – Ma, no: questo avrà impatto su tutta la scala globale. Vedremo sicuramente un impatto sugli ecosistemi polari, soprattutto al Polo Nord, ma anche un impatto sulla composizione chimica dell’atmosfera in altri continenti.
Afghanistan: donne e bambini, principali vittime del conflitto. Intervista con de Mistura
◊ In Afghanistan il Ramadan è iniziato con un attentato fallito. Oggi due kamikaze sono rimasti vittime delle loro stesse cinture esplosive, deflagrate prima di compiere una strage nei pressi di una moschea a Farah, nella parte occidentale del Paese. Ieri un duplice attentato suicida aveva fatto registrare 5 morti nella capitale Kabul, mentre un razzo caduto su un’abitazione nella provincia di Logar aveva ucciso due bambini. Donne e bimbi sono le principali vittime di questo conflitto, lo hanno sottolineato ieri le Nazioni Unite che hanno presentato un rapporto sulle vittime civili. Oltre 1.200 cittadini sono stati uccisi nei primi sei mesi del 2010, il 25% in più rispetto allo stesso periodo del 2009. Il 31% se si calcolano anche i feriti. Francesca Sabatinelli ne ha parlato con Staffan de Mistura rappresentante speciale dell’Onu per l’Afghanistan, raggiunto telefonicamente a Kabul.
R. – Il costo umano dei civili in questo conflitto sta aumentando vertiginosamente. Parliamo di 3268 civili, che sono stati uccisi o feriti negli ultimi sei mesi. Il 71 per cento di queste persone sono state uccise o ferite dai talebani.
D. – Voi avete soprattutto sottolineato come tra le vittime vi sia un altissimo numero di donne e di bambini …
R. – Sono dati che non ci aspettavamo. Negli ultimi sei mesi c’è stato un aumento del 55 per cento dei bambini uccisi o feriti in buona parte, di nuovo, da parte dei talebani, ma alcuni anche a causa degli attacchi aerei da parte della Nato. Va detto che la Nato ha fatto, francamente, uno sforzo notevole per ridurre quelli che loro chiamano gli effetti collaterali: c’è stata una riduzione di circa il 64 per cento delle vittime causate da attacchi aerei. Questo indica che la nostra pressione, e le pressioni dell’opinione pubblica, hanno avuto un effetto, nel senso che il generale David Petraeus ha fatto uscire delle linee di condotta che mi pare siano sempre più efficaci. Detto questo, una sola vittima è già troppo e quindi continuiamo a spingere affinché non ce ne siano.
D. – Perché gli insorti hanno colpito in modo così massiccio? E’ cambiato qualcosa nella strategia di attacco dei talebani?
R. – Ci sono varie analisi, la più probabile è che gli insorti, i talebani in particolare, stiano tentando di lanciare dei messaggi, chiamati trasversali, nei confronti della popolazione afghana e dell’opinione pubblica internazionale. In poche parole: quando ci si aspetta un aumento della pressione sui talebani da parte delle forze Nato e di quelle regolari afghane, sulla base dell’aumento fino a 100 mila uomini nuovi che stanno arrivando nel Paese da parte internazionale, il tentativo di risposta degli insorti è di cercare di dimostrare con atti spettacolari, magari isolati ma terrificanti, che il Paese è alla loro mercé in termini di azioni di terrore. Un atto recente che ha prodotto enorme sgomento è stata l’uccisione a sangue freddo di otto medici, che facevano un lavoro esemplare. Uno di loro era il padre di una delle mie colleghe. Lui era qui da 30 anni, facendo operazioni chirurgiche agli occhi per chi rischiava la cecità. Si muoveva molto spesso a dorso di mulo per raggiungere i villaggi. Questo non è bastato affinché loro non li uccidessero. In questo periodo, sembra proprio essere una tendenza dei talebani quella di cercare di scioccare tutti con atti di terrore.
Italia: ennesimo suicidio in carcere
◊ Il carcere continua a fare da sfondo al dramma del suicidio: un detenuto cinquantenne si è tolto la vita questa notte impiccandosi nella sua cella nel carcere romano di Rebibbia. Si tratta del 41.mo suicidio in Italia nel 2010. Complessivamente, negli ultimi dieci anni, nelle carceri italiane sono morte oltre 1700 persone. Quasi seicento di questi decessi sono avvenuti per suicidio. Ognuna di queste morti è una notizia terribile che si inserisce in un contesto, quello dei penitenziari italiani, che molte volte presenta carenze gravissime. E’ quanto sottolinea al microfono di Massimiliano Menichetti il garante dei detenuti Angiolo Marroni:
R. – E’ un quadro desolante, drammatico, tragico. Il carcere è affollato: c’è il doppio della capienza regolamentare. Si affolla sempre di più ed è sempre più invivibile. Il personale, durante questo periodo estivo, è ridotto ai minimi termini. Poi si aggiunge la malasanità. I detenuti soffrono le stesse condizioni dei cittadini che aspettano di essere curati, ma è chiaro che non hanno alternative. Quindi sono più deboli. E’ un quadro tragico, per cui non so immaginare una soluzione, se non quella di riformare totalmente il codice penale.
D. – Comunque è stato varato il “piano carceri”, che dovrebbe alleggerire questa situazione...
R. – In alcuni casi le strutture penitenziarie sono pessime, andrebbero proprio abbandonate per costruirne altre. Nel “piano carceri” si prevede questo, ma la soluzione che io immagino non è quella di avere più carceri o carceri più accoglienti, che pure non sarebbe male. Penso invece ad una riforma del codice penale, in cui la pena non sia sempre e soltanto il carcere.
D. – Quindi misure alternative?
R. – Diciamo diverse. Ipotizzo lavori socialmente utili, ipotizzo gli arresti domiciliari, ipotizzo alcune pene dissuasive - penso a pene che tendano pure a togliere alcuni diritti, che sono quelli dell’espatrio, della libertà di movimento, penso all’obbligo di risiedere in un posto piuttosto che in un altro. C’è una gamma di ipotesi, di pene, che si ritrova anche nei codici penali europei, che si potrebbero benissimo attuare, ma questo vuol dire che si deve uscire dalla logica del carcere. Nell’immaginario collettivo il carcere è quello che punisce davvero, in realtà poi non dissuade e contemporaneamente fa anche morire.
D. – Quindi, operare una distinzione forte tra i vari reati, gravi e meno gravi...
R. – Certo, per i reati molto gravi il carcere è inevitabile, ma vi sono una serie di reati... Per esempio c’è un detenuto che starà lì adesso per un anno, perché rubava strutture in legno da un negozio di ortofrutta...
D. – Lei ha ribadito che servono anche supporti psicologici e materiali?
R. – Gli psicologi sono una minoranza, sono un numero esiguo. Uno psicologo deve seguire 200, 350 detenuti, quindi non riesce a fare delle relazioni in sintesi. Gli educatori sono anch’essi un numero esiguo. La polizia penitenziaria è sotto organico. Quindi, in pratica, abbiamo una situazione in cui tutto il sistema soffre profondamente, non vede vie d’uscita.
D. – Lei ha detto che non vede un sistema politico che sia capace di risolvere questa situazione...
R. – Certo, non faccio adesso un discorso di centro-destra o centro-sinistra. Sto facendo un discorso complessivo di sensibilità, che non vedo da nessuna parte.
◊ Ricorre oggi il centenario della nascita di Augusto Del Noce, tra i più grandi filosofi cattolici del Novecento. Del Noce analizzò e denunciò con acume i mali e le contraddizioni del nostro tempo. In particolare, mise l’accento sulle tragiche conseguenze a cui avrebbero portato la diffusione dell’ateismo e dell’indifferenza religiosa. Filosofo della tradizione, Del Noce profetizzò la caduta del comunismo in anni in cui il sistema sovietico era ritenuto incrollabile. Sull’attualità del pensiero delnociano, Alessandro Gisotti ha raccolto la riflessione del prof. Gian Franco Lami, docente di Filosofia della Politica all’Università “La Sapienza" di Roma:
R. – L’attualità di Del Noce è dovuta certamente al suo metodo di pensare, un metodo critico che erode la falsa sicurezza della modernità e torna a dare concretezza e ragione al pensiero della tradizione.
D. – Del Noce fu – per estrema sintesi – controcorrente e profetico al tempo stesso, e ciò gli costò anche, all’epoca …
R. – Controcorrente perché certamente nella sua ricerca di tradizionalità del pensiero ha finito con il cozzare con la massima parte delle parole d’ordine che oggi costituiscono il sostrato, il senso comune dell’esistenza quotidiana; profetico … c’è soltanto da pensare al caso della caduta del Muro di Berlino, di cui egli era non solo convinto ma fu – per l’appunto – convinto assertore, per lunghi anni, quando nessuno avrebbe mai sospettato che quell’evento sarebbe potuto accadere. E accadde – disgraziatamente – quel 1989, che fu pure l’anno della sua scomparsa, ed egli non poté bearsi sufficientemente della vittoria teorica e pratica che gliene risultò.
D. – Parlando di Del Noce, il pensiero va anche al magistero di Benedetto XVI …
R. – Certamente si sarebbe incontrato sia sul piano teorico che sul piano pratico – c’è da aspettarselo! – con Benedetto XVI. Penso soltanto all’Enciclica ultima, che parla di carità e di verità. Ecco, si può dire che nel senso caritatevole della verità, nel senso di una ricerca della verità in crescenza nell’ambito di un processo del pensiero che fa crescere, si trova, si situa precisamente il modello filosofico di Del Noce.
La Chiesa celebra la memoria di Santa Chiara, fondatrice delle Clarisse
◊ “Una sequela di Cristo che può scuotere ancora oggi la nostra società e provocarla, innanzitutto in ciò che l'affascina maggiormente, cioè la ricchezza materiale, il denaro, il lusso, il dominio e la superiorità sugli altri”: è quanto ha detto oggi il cardinale Cláudio Hummes, prefetto della Congregazione per il Clero, a proposito della scelta radicale di Chiara d’Assisi, che la Chiesa ricorda oggi. Il porporato ha presieduto alle 11, nella cittadina umbra, nel protomonastero delle Clarisse dedicato alla Santa, una Messa solenne; nella sua omelia ha sottolineato che se “agli occhi della nostra attuale società, che dà la priorità al denaro e al potere”, in Chiara e Francesco la povertà “potrebbe apparire come un limite e una disgrazia”, “invece … si è mostrata una via di libertà interiore, di adorazione a Dio e di servizio amorevole agli altri”. “Il non avere nessuna proprietà, ma solo l'uso delle cose, ci rende veramente liberi dalla ricerca sfrenata delle ricchezze materiali, spesso a danno degli altri, che non hanno neanche il necessario per vivere degnamente” ha aggiunto il cardinale Hummes che ha definito la povertà radicale di Santa Chiara “un segno profetico di un mondo più libero, giusto e fraterno”. Ma quali i tratti della personalità di Chiara che alla storia l’hanno fatta conoscere come una donna forte? Tiziana Campisi lo ha chiesto a padre Giuseppe Piemontese, custode del Sacro Convento di Assisi:
R. - Santa Chiara è stata una giovane donna del suo tempo che ha vissuto in pieno le vicende della sua famiglia della sua città, dell’ambiente culturale in cui viveva. Una donna che partendo dalla situazione concreta della vita di ogni giorno poi si è dedicata totalmente al Signore e nel Signore ha abbracciato e ha riletto tutte le vicende del suo tempo, le situazioni difficili della sua città e ha dato un apporto notevole alla pacificazione degli ambienti cittadini, ma anche alla santificazione di questa città. Una giovane donna entusiasta, innamorata: soltanto una persona innamorata, un po’ pazza può fare quello che ha fatto Chiara, abbandonare la famiglia per dedicarsi totalmente al Signore, nella vita di preghiera e di contemplazione. Tutto ciò non l’ha estraniata dalle vicende della sua città e dalle vicende di Francesco e dei Frati minori, ai quali è stata molto vicina e, con la sapienza che il Signore le aveva donato, ha saputo consigliare e aiutare sia nel discernimento di Francesco per la strada da percorrere, sia per il richiamo ai frati a una maggiore fedeltà al Signore.
D. - Una donna, Santa Chiara, che ha scelto una vita contemplativa, ma che ha offerto un contributo anche nella vita attiva. Quale oggi l’eredità che lascia?
R. - Il discorso è che chiunque vive nella contemplazione, nella clausura, non si estranea dai suoi fratelli, dalla società del suo tempo. Chiara, questo, lo ha vissuto in una maniera straordinaria, credo che questa testimonianza di una donna pienamente inserita nel suo contesto storico, è ciò di cui oggi necessita il nostro mondo. Non è una fuga, non è un rifugiarsi in un ambiente tranquillo, ma è un mettersi davanti al Signore portando col cuore e sulle spalle i problemi e le situazioni del mondo nel quale ci troviamo. Questo fanno ancora oggi migliaia di donne, sia discepole di Santa Chiara, sia anche discepole di altre sante dedite alla contemplazione e alla preghiera.
D. - Non si può non parlare di spiritualità francescana senza citare Santa Chiara. Oggi qual è l’apporto offerto dalle Clarisse e dalle Francescane al ramo maschile?
R. - C’è una dimensione di contemplazione, una dimensione proprio femminile di sperimentare il cristianesimo che i francescani oggi devono riscoprire e di cui devono avvalersi. Noi uomini siamo portati un po’ a vedere il nostro carisma, la nostra missione, credo più alla luce, proprio della nostra costituzione maschile; ma alla dimensione dell’affettività, la dimensione della contemplazione della preghiera, la dimensione dell’attenzione alle persone più in difficoltà, proprio di una madre quale era Santa Chiara, credo che di questo noi oggi abbiamo bisogno. Come Francesco ha avuto bisogno di Chiara, così anche noi oggi abbiamo bisogno di questo.
Rossini Opera Festival inaugurato con due rarità assolute
◊ Si è inaugurato con due rarità assolute, riesumate dalla dimenticanza della storia, la 31ma edizione del Rossini Opera Festival: “Sigismondo” e “Demetrio e Polibio” sono state eseguite al Teatro Rossini alla presenza di critici e pubblico giunti da ogni parte del mondo. Una eccellenza culturale e artistica che conferma il Festival pesarese come uno degli appuntamenti imperdibili che conserva, fin dal suo nascere, la missione di scoprire i capolavori anche sconosciuti di uno dei più grandi e imprevedibili compositori di tutti i tempi. Già annunciati i titoli del prossimo anno, tra i quali brillano “Mosè in Egitto” e “Adelaide di Borgogna”. Il servizio di Luca Pellegrini.
Matti veri nel nosocomio della storia e fantasmi scatenati col pallino del palcoscenico: non c’è che dire, il Rossini Opera Festival si pone all’avanguardia anche della rappresentazione scenica. Dimostra la vitalità di un teatro quando denso di idee, pur provocatorie. Per “Sigismondo”, opera dimenticata e qui resuscitata per un nobile dovere culturale, uno dei registi di punta del panorama italiano, Damiano Michieletto, le cui idee non sono mai convenzionali, deposita la vicenda dello sfortunato re di Polonia, impazzito per un crimine di quindici anni prima, nell’asettica corsia di un ospedale, coi suoi letti e i suoi degenti scatenati: quando un libretto, che è bislacco dall’inizio alla fine, non è credibile, interviene la regia a creare uno spettacolo che disturba e affascina: si parla di morte, orrore, terrore, tradimento, crudeltà, fatalità barbara, deliri, cori scoppiati. Un catalogo di oscuri sentimenti e di anime perse che si muovono a scatti, impauriti, assediati dalla follia dei folli. Spettacolo che nella sua “spiacevolezza”, pensato e rifinito in tutti i particolari, diretto con sicurezza e drammaticità da Michele Mariotti, non lascia indifferenti, pone questioni, fa parlare. E su tutti gli sventurati protagonisti primeggia la voce e la presenza scenica straordinaria di Daniela Barcellona, che in scena è sporca, vestita di stracci, indebolita dalla follia, terrorizzata dalla realtà, piegata e piagata dalla vita e dai rimorsi. Un personaggio difficile, estremo. Lei come ha affrontato questa nuova sfida?
R. – E’ costato molto, soprattutto per superare la fase iniziale: mi chiedevo se fosse stato efficace e credibile quello che io stavo facendo in scena in quel momento, perché la più grande paura da superare è la timidezza, la paura di fare brutta figura. Nel senso che, interpretando una parte così estrema, lo scoglio maggiore da superare è quello di non essere ridicola e di essere credibile.
D. - La sua bellissima e applaudita carriera si è fin dagli inizi legata al nome di Rossini. Che cosa rappresenta per lei?
R. – E’ importantissimo, assolutamente. E’ quello che mi ha dato tutto, è quello che tecnicamente mi ha preparato anche ad altri tipi di repertorio. Rossini è una base fondamentale sia dal punto di vista musicale che dal punto di vista tecnico.
Seconda riesumazione benemerita, quella di “Demetrio e Polibio”, scritta da un Rossini quindicenne: anche qui storia irraccontabile che dalla Grecia classica il regista David Livermore trasferisce su un palcoscenico nudo che è, invece, un retropalco in cui, finita una recita anonima, diversi fantasmi affollano per interpretare una classica vicenda di travestimenti e agnizioni. Momenti musicali bellissimi riempiono gli spazi di una storia che non c’è, trilli e vocalità abbelliscono il canto, qualche effetto speciale incuriosisce supplendo alla staticità, e l’opera riacquista il suo posto nel catalogo affascinante del compositore pesarese. Daniele Carnini ha curato la revisione critica della partitura: quale Rossini veniamo a scoprire?
“Ne viene fuori un ritratto e un compositore giovanissimo, già quasi del tutto schierato dalla parte dei moderni, come si diceva all’epoca; ne viene fuori uno stile a volte cantabile con delle pagine sensazionali, che non per niente Rossini ha riutilizzato varie volte e, quindi, un ritratto di un giovanissimo, che sapeva esattamente cosa voleva e quali fossero i mezzi migliori per raggiungere i suoi scopi”. (Montaggio a cura di Maria Brigini)
Messaggio dei vescovi cubani per il Pellegrinaggio della Madonna della Caridad del Cobre
◊ A Santiago di Cuba, domenica scorsa, i vescovi dell’isola caraibica hanno firmato un messaggio speciale al popolo cubano in occasione dell’inizio del pellegrinaggio nazionale della più antica statuetta della Madonna della Caridad del Cobre che fino al 12 dicembre 2011 farà tappa in quasi tutti luoghi più importanti del Paese. Il Pellegrinaggio nazionale è l’ultima tappa prima del solenne giubileo mariano del 2012, anno in cui si ricorderanno i 400 anni dalla scoperta della statuetta della Madre di Dio che i cubani amano con particolare devozione e chiamano Madonna di Mambisa o della Caridad del Cobre, “Madre, Patrona e Regina dell’isola”. I presuli ricordano che si desidera celebrare non solo la scoperta ma soprattutto “la presenza” della Vergine Santa lungo la travagliata storia del Paese; presenza che ha nutrito per ben quattro secoli “una devozione intensa (…) inscindibile dalla storia nazionale”. Nel documento i vescovi cubani ricordano ancora una volta la storia della Madonna della Caridad del Cobre rilevando, in particolare, i momenti della storia nazionale in cui la presenza della Madre di Dio si è fatta sentire con speciale intensità e dunque esortano “tutti i cubani (…), soprattutto i più bisognosi a prendere parte al Pellegrinaggio nazionale che farà tappa in tutte le province, nelle città e nei villaggi della campagna cubana”. L'evento coincide con il 60.mo del primo pellegrinaggio realizzato tra il 1951 e il 1952 per ricordare e solennizzare allora il cinquantesimo dell’indipendenza nazionale dalla corona spagnola, lotta alla quale i cubani, credenti e non, sentono legata la presenza e la protezione della Madonna di Mambisa. Spiegando il motto del Pellegrinaggio, “Verso Gesù, con Maria, la carità ci unisce”, i vescovi cubani si soffermano su tre riflessioni centrali. La prima riguarda l’insegnamento che Lei dona come “donna di fede, che ha creduto in Dio e nella sua Parola e ha fatto ciò che era la volontà del Padre (…) e che, quindi, ci invita a fidarci della Parola di vita eterna”. Il suo è un invito a rafforzare la nostra fede. Lei, Madre dell’Unigenito, “ci mostra Gesù nelle sue braccia, il Cammino, (…) ricordandoci che chi a Lui si affida non sarà mai deluso” (…) e così ci trasmette il supremo “messaggio della speranza”. Infine, i presuli rilevano: “Maria de la Caridad ci chiama a vivere nella carità fraterna, in particolare in un’ora come questa in cui tutti i cubani cercano ciò di cui abbiamo bisogno: la pace e la giustizia”. A conclusione del loro messaggio i vescovi cubani comunicano che “il Santo Padre Benedetto XVI ha concesso l’indulgenza plenaria a tutti i fedeli veramente penitenti” nel rispetto rigoroso dei requisiti necessari; in concreto, si legge, potrà ottenere l'indulgenza “chi che prenderà parte devotamente ad alcune delle celebrazioni previste o chi parteciperà ad alcuni esercizi di pietà davanti alla statuetta della Madonna pellegrina”. (A cura di Luis Badilla)
L’arcivescovo di Colombo: nel Paese ci siano pace, riconciliazione e unità nazionale
◊ “Attraverso il dialogo, portiamo avanti la causa della popolazione ancora sofferente nel Nord e nell’Est e conduciamo il Paese sulla strada di una pace sostenibile, una riconciliazione tra le comunità e l’unità nazionale. La predisposizione allo scontro e le dichiarazioni inattese non ci aiuteranno in questo impegno”. E’ quanto ha detto mons. Malcom Ranjith, arcivescovo di Colombo, partecipando il 3 agosto scorso a un incontro tra sacerdoti e religiosi di varie parti del Paese presso l’auditorium del Sedec (Centro per lo sviluppo economico e sociale) della Caritas Sri Lanka, nella capitale. L'incontro era a porte chiuse e notizie su di esso sono circolate solo oggi. Le riferisce AsiaNews. Tra i partecipanti c’erano mons. Harold Anthony Perera, presidente del Sedec e vescovo di Kurunegala, mons. Norbert Andrai vescovo di Anuradhapura e padre George Sigamoney, direttore del Sedec. Padre Henry Silva e Shelton Fernando sono stati i moderatori dell’incontro. Sacerdoti e religiosi del Nord e dell’Est del Paese hanno espresso preoccupazione per le difficoltà e le sofferenze della popolazione, specie per le famiglie profughe reinsediate e per chi è ancora nei campi profughi. Hanno detto che “nonostante le apparenze esterne, ci sono ancora molte gravi difficoltà, come rapimenti, estorsioni, minacce e violenze contro le donne, mancanza di un tenore di vita e di abitazioni decenti, mancanza di terreni [da coltivare], restrizioni negli spostamenti, e così via”. Mons. Ranjith, sentito questo, ha commentato che la situazione è davvero complessa e che “purtroppo ci sono nel Paese elementi al di fuori del nostro controllo. Questo deve essere chiaro. Qualsiasi cosa la Chiesa dica nel sud, non deve provocare peggioramenti della situazione delle gente che soffre”. “Noi non stiamo in silenzio. Siamo molto attivi. Tuttavia vogliamo usare il dialogo come mezzo per riuscire a restaurare una normalità a Nord e a Est. C’è una modalità di azione cristiana, basata sugli insegnamenti di Gesù. Non è utile che noi creiamo ulteriori problemi. Non sarebbe cristiano e non aiuterebbe la gente che soffre”. Il dott. Paikiasothy Saravanamuthu, direttore del Centro per politiche alternative, e Rohan Edirisinghe, esperto di diritto costituzionale, hanno tenuto il successivo discorso sulla comprensione e la riconciliazione che derivano da determinate esperienze. I partecipanti hanno discusso sui possibili interventi della Chiesa, con la preoccupazione di evitare errori passati. Il convegno ha raccomandato un ritorno a un governo civile nel Nord e nell’Est, l'applicazione di un codice di comportamento per i militari che operano nella zona, la fine della legislazione d’emergenza e della colonizzazione di queste regioni - favorita dal governo - che rende i Tamil della gente senza terra. Padre Sigamoney ha espresso la speranza che prosegua questo dialogo tra Nord e Sud e che il lavoro comune e la condivisione dei problemi porti a una maggiore comprensione e accettazione della verità.
Orissa: due sorelle, vittime dei pogrom anti-cristiani, rapite e schiavizzate
◊ Attirate a Nuova Delhi per un lavoro e poi vendute come schiave e costrette a subire violenze e stupri. È la drammatica storia di due sorelle appartenenti ad una delle famiglie vittime dei pogrom anticristiani avvenuti nello Stato indiano dell’Orissa nell’agosto del 2008. Il caso è emerso ieri in seguito della liberazione di una delle due ragazze nel quartiere di Rohini (Delhi) grazie all’intervento della polizia, del network Human Rights Law e grazie alla All India Christian Council. Secondo quanto riferisce AsiaNews, la ragazza ha raccontato che lei e sua sorella di 19 anni sono state attirate nella capitale con la promessa di ricevere un lavoro. L’invito è venuto da una donna di Kandhamal (Orissa) che loro conoscevano e che sapeva della situazione di povertà in cui vive la famiglia della ragazza. La giovane e sua sorella, insieme a altre due sorelle, sono state portare a Delhi lo scorso dicembre 2009 e vendute a un trafficante di nome Sakhi Maid Beuro, nel villaggio di Ratala. Il trafficante l’ha tenuta per sei giorni molestandola e abusando di lei. La ragazza afferma che la sorella e le altre due hanno subito lo stesso trattamento. In seguito è stata trasferita in una casa a Rohini dove ha fatto la domestica e dove alcuni membri della famiglia hanno cercato di continuo di violentarla. Il trafficante diceva che egli ritirava lo stipendio per il suo servizio e lo mandava a Kandhamal, alla mamma, una donna povera e analfabeta, che vive nella foresta, anche lei vittima delle violenze anti-cristiane. Ma è stata proprio la madre a mettere in guardia l’All India Christian Council per poi raggiungere Delhi e liberare le figlie. Al momento solo una delle ragazze è tornata in libertà, dell’altra non si ha ancora traccia. C’è inoltre molto sconforto per l’atteggiamento assunto dalla polizia che non ha accettato la denuncia della ragazza perché il referto medico non parla di stupro. Il gruppo che ha liberato la giovane ha quindi deciso di ricorrere al tribunale. (M.G.)
Africa: 700mila vittime all’anno per i farmaci contraffatti
◊ Oltre 700mila persone muoiono ogni anno a causa di farmaci contraffatti contro la malaria e la tubercolosi. Una buona parte di queste sono africane. A lanciare l’allarme è l’Oganizzazione Mondiale della Sanità, secondo cui fino al 30 per cento dei farmaci immessi sul mercato nei Paesi africani sono contraffatti e quasi la metà dei farmaci venduti in Angola, Burundi e Congo sono di qualità scadente. I dati pubblicati dall’Oms, e ripresi dall’Agenzia Fides, arrivano a due anni dalla morte accertata di oltre 80 bambini in Nigeria dopo aver assunto una medicina per combattere il dolore della dentizione, adulterata con un liquido antigelo. Inoltre già nel 2003, l'Interpol, l'Organizzazione internazionale di polizia, aveva condotto un sondaggio sulla qualità dei farmaci disponibili a Lagos, la città più popolosa dell'Africa sub-sahariana, scoprendo che l’80 per cento dei farmaci disponibili erano falsi. I medicinali contraffatti possono essere privi del principio attivo chiave, essere composti da sostanze pericolose, oppure avere una quantità insufficiente o eccessiva di principio attivo. In alcuni casi, l'uso di medicine contraffatte può aumentare la resistenza ai farmaci. Quando infatti il principio attivo non è in quantità sufficientemente adeguata, il farmaco uccide solo una parte degli agenti patogeni; quelli che non vengono uccisi sviluppano una capacità di adattarsi al principio attivo. In questo modo l’agente patogeno è in grado di resistere all'azione del farmaco e continuare a infettare l’organismo. (M.G.)
A Seoul l’incontro del laicato cattolico dell’Asia per rilanciare l'evangelizzazione nel continente
◊ A Seoul, in Corea del Sud, laici cattolici di tutta l'Asia si ritroveranno dal 31 agosto al 5 settembre "per rilanciare la missione e l'annuncio del Vangelo", facendo insieme il punto sulle questioni nevralgiche dell'evangelizzazione. A organizzare l'incontro è direttamente il Pontificio Consiglio per i Laici, in stretta collaborazione con l'episcopato e il laicato coreani. All'Asia intera, annuncia il cardinale presidente Stanislaw Rylko – riferisce L’Osservatore Romano - sarà rinnovato "l'appello" ad accogliere il Vangelo che "nulla toglie alla libertà dell'uomo, al dovuto rispetto delle culture, a quanto c'è di buono in ogni religione". E indica come obiettivo del congresso il rafforzamento dell'azione dei laici nella Chiesa in un continente in cui quasi ovunque i cristiani sono una piccola minoranza in un contesto sociale dove, per diverse ragioni, la libertà religiosa è assai limitata o addirittura inesistente. È dunque in un contesto di apertura al dialogo e di missione che il congresso ha già da tempo suscitato vivo interesse, rilevano al Pontificio Consiglio dove sono pervenuti infatti molti segnali di incoraggiamento e suggerimenti da parte di diversi settori della Chiesa asiatica. Appare chiaro che si tratta di un'occasione importante per consolidare e ridare nuovo slancio alla formazione, alla vita cristiana e alla missione dei fedeli laici. Il congresso di Seoul vuole essere innanzitutto un segno di sollecitudine missionaria nei confronti di un continente ricco di tradizioni, culture e religioni. Un continente che sta emergendo decisamente sulla scena mondiale, sia dal punto di vista politico che economico, in mezzo a enormi trasformazioni in tutti gli ordini. Protagonisti a Seoul saranno i laici "chiamati, in comunione con i loro pastori, a rendere testimonianza a Gesù Cristo e annunciare la sua presenza come un dono di salvezza per l'Asia" si legge nel progetto definito dal Pontificio Consiglio. E "Annunciare Gesù Cristo in Asia oggi" è proprio il tema scelto per un congresso che farà tesoro dell'esperienza del Sinodo continentale. "Solida ragione di speranza - si legge infatti al numero 9 nell'Esortazione apostolica post-sinodale Ecclesia in Asia - è l'incremento di laici maggiormente formati, entusiasti e pieni di Spirito, sempre più coscienti della propria specifica vocazione all'interno della comunità ecclesiale". È in modo particolare a questi laici che si rivolge il congresso coreano, tenendo conto anche dei "movimenti apostolici e carismatici" che "sono un dono dello Spirito, perché portano nuova vita e vigore alla formazione dei laici, delle famiglie e della gioventù". È un appuntamento rivolto anche a tutti i cristiani "che si dedicano alla promozione della dignità umana e della giustizia" e che rendono "accessibile e tangibile l'universalità del messaggio evangelico della nostra adozione a figli di Dio", si legge sempre nell'esortazione apostolica. Perciò a Seoul sono state invitate delegazioni di laici cattolici di tutti i Paesi membri e associati della Federazione delle Conferenze episcopali asiatiche che saranno presiedute dai rispettivi vescovi presidenti delle Conferenze episcopali o delle Commissioni episcopali per l'apostolato dei laici, insieme con i responsabili della stessa federazione. Sono state invitate anche delegazioni di associazioni, movimenti ecclesiali e nuove comunità, riconosciute dalla Santa Sede e presenti in diversi Paesi dell'Asia. Alcuni testi del magistero ecclesiale serviranno da punto di riferimento e guida per i partecipanti al congresso. Innanzitutto l'esortazione apostolica Ecclesia in Asia, ma anche l'Enciclica Redemptoris missio e l'Esortazione apostolica Christifideles laici. Inoltre serviranno come base per il confronti alcuni documenti della Congregazione per la Dottrina della Fede, come la Dichiarazione sull'unicità e l'universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa Dominus Iesus e la Nota dottrinale su alcuni aspetti dell'evangelizzazione. Quindi si riprenderanno le conclusioni del Congresso missionario asiatico, che ebbe luogo in Thailandia nell'ottobre del 2006, sul tema "Raccontare la storia di Gesù in Asia. Andate e ditelo a tutti".
Pellegrinaggio dei cattolici francesi a Lourdes
◊ I cattolici di Francia si riuniscono a Lourdes da oggi fino al 16 agosto per il loro 137.mo Pellegrinaggio nazionale, presieduto dall’arcivescovo di Lille, mons. Laurent Ulrich, vice-presidente dell’Episcopato del Paese. Connotato dal tema “Insieme a Bernadette, fa’ il segno della Croce”, il pellegrinaggio 2010 apre un ciclo triennale dedicato alla preghiera, tutto incentrato sul segno che esprime il sigillo di Cristo nella vita e nella preghiera del fedele, riconducendolo alla porta d’ingresso del cammino cristiano: il Sacramento del Battesimo. Nel cuore dell’estate, l’incontro nazionale costituisce dunque un momento di grazia per tornare alle sorgenti della fede e conformare il vissuto quotidiano alla volontà divina, con l’aiuto della preghiera, del silenzio, del raccoglimento e sotto lo sguardo della Beata Vergine Maria. Sono attesi nella cittadina mariana pirenaica oltre 10mila partecipanti, tra i quali tremila giovani per il servizio dei pellegrini malati e disabili, 250 famiglie con circa 800 bambini, oltre un migliaio di persone inferme e disabili e alcune centinaia di diseredati ai margini della vita sociale. Le giornate di Lourdes sono ritmate dall’Eucaristia, dalla Processione eucaristica e dal Santo Rosario; altri significativi momenti del programma includono la Via Crucis di venerdì 13, con una catechesi di mons. Ulrich sul “segno della Croce”, e le fiaccolate mariane del 14 e 15 agosto. Ogni 15 agosto si rinnova inoltre la “Preghiera per la Francia e per il Mondo” alla Grotta di Massabielle, una tradizione che risale alla consacrazione della Francia a Maria da parte di Luigi XIII il 10 febbraio 1638; nella circostanza i pellegrini pregheranno per le famiglie, per i giovani, per i fratelli delle nazioni più svantaggiate, per la Chiesa universale, affinché si mantenga fedele al Vangelo, unita nella fede e dinamica nella speranza. Il Pellegrinaggio nazionale è organizzato dagli Agostiniani dell’Assunzione e cade quest’anno nel bicentenario della nascita di padre Emmanuel d’Alzon (1810-1880), fondatore della Congregazione, la cui figura sarà evocata nelle omelie e catechesi del raduno. Nell’ambito del pellegrinaggio, una conferenza stampa è stata organizzata il 13 agosto, alla presenza di mons. Jacques Perrier, vescovo di Tarbes et Louredes e del sindaco cittadino, Pierre Artiganave; nel corso dell’incontro il noto regista francese Robert Hossein presenterà il suo progetto di spettacolo dal titolo “Una donna dal nome Maria”. (A cura di Marina Vitalini)
Al via il Ramadan per un miliardo e mezzo di musulmani
◊ Per un miliardo e mezzo di fedeli musulmani ha preso il via oggi il mese di Ramadan. La maggior parte degli Stati musulmani ha infatti annunciato per mercoledì 11 agosto l’inizio del periodo di purificazione sebbene, come ogni anno, la ricorrenza varia da Paese a Paese a seconda della sua posizione nel globo terrestre. Il controllo di sé attraverso il digiuno, la purificazione, la solidarietà e il perdono sono i principi cardine alla base del mese di Ramadan, uno dei cinque pilastri dell'Islam insieme alla testimonianza di fede, la preghiera, l'elemosina e il pellegrinaggio a La Mecca almeno una volta nella vita. Secondo la sharia, per tutto il Ramadan i musulmani praticanti, tranne alcune categorie di persone, devono astenersi dal bere, mangiare, fumare dall'alba al tramonto. Sono esenti dal digiuno i minori, i malati di mente, i malati cronici, i viaggiatori, le donne in stato di gravidanza o che allattano, le persone in età avanzata nel caso in cui il digiuno comporti un rischio per loro. Il digiuno in genere è preceduto da un pasto leggero, detto 'suhur', per poter affrontare la giornata. Il tramonto del sole pone fine all'astinenza che viene interrotta mangiando datteri e bevendo acqua. Per tradizione l'interruzione ('iftar') viene preceduta da una breve preghiera, seguita da una speciale preghiera notturna detta 'tarawih'. In diversi Paesi del mondo le moschee rimarranno aperte fino a tardi nel corso di questo mese, per svolgere, dopo l'ultima funzione della sera, la celebrazione straordinaria del 'tarawih', che si esegue solo nel Ramadan. (M.G.)
Bomba nella provincia settentrionale irachena di Divala: 8 soldati morti
◊ L’esplosione di una bomba nella provincia settentrionale irachena di Divala ha causato la morte di otto soldati iracheni ed il ferimento di altri quattro. L’esplosione si è verificata mentre i soldati perquisivano una casa nella città di Sadiya, a nordest della capitale della provincia Baquba. Secondo quanto riferisce la polizia locale, si sarebbe trattato di una vera e propria trappola: la casa era imbottita di esplosivo; quando i militari sono entrati è stata fatta saltare.
A Damasco vertice tra Siria e Iran: Libano e Iraq in agenda
Il Libano e l'Iraq sono in cima all'agenda dei colloqui previsti oggi a Damasco tra il presidente siriano Bashar al Assad e il ministro degli Esteri iraniano Manuchehr Mottaki. Lo riferisce il quotidiano panarabo al Hayat. Il giornale precisa che Mottaki, giunto ieri sera nella capitale siriana, ha affermato che il suo Paese “intende rafforzare il ruolo della resistenza, del sostegno reciproco e della cooperazione regionali per fronteggiare le minacce esterne, in particolare quelle sioniste”. L'incontro Assad-Mottaki di Damasco si svolge due giorni dopo la visita ufficiale a Teheran del ministro degli Esteri libanese Ali Shami, del partito sciita Amal, storico alleato della Siria. Proprio a Beirut si è svolto circa due settimane fa il vertice tripartito tra Siria, Libano e Arabia Saudita, quest'ultima rivale regionale proprio dell'Iran. Damasco e Teheran sono legati da 30 anni da una stretta alleanza strategica e sono due Paesi che tradizionalmente esercitano forti influenze sia sull'Iraq che sul Libano. Fonti iraniane in Siria hanno detto che “l’Iran e la Siria lavorano inoltre assieme per aiutare gli iracheni a formare il loro governo”, dopo cinque mesi dalle elezioni legislative.
Immigrati sulle coste siciliane, mons. Ciliberti chiede di garantire l’accoglienza
Avviate le procedure di espulsione per i 35 immigrati maggiorenni giunti domenica notte sulle coste di Linosa assieme ad altri 4 minorenni, che invece sono stati affidati a strutture agrigentine. Nella notte, inoltre, altre 12 persone sono approdate in Sardegna. Il tema intanto è tornato al centro del dibattito politico. “Bisogna garantire l’accoglienza agli immigrati”, ha detto mons. Antonio Ciliberti, arcivescovo di Catanzaro-Squillace e vicepresidente della Conferenza episcopale calabra. Oggi il presule ha concluso il meeting dei Calabresi nel Mondo, a Soverato, dal titolo “Calabria terra di migrazione e di accoglienza”. Eugenio Bonanata lo ha intervistato:
R. - E’ giusto e doveroso che nello spirito della solidarietà ci si apra all’accoglienza di questi nostri fratelli - sapendo bene - soprattutto animati dallo spirito cristiano, che la nostra patria è il mondo e che ogni uomo è nostro fratello e che nessuno ha diritto ad esser felice da solo, ma che la nostra felicità sta soprattutto nel far felici gli altri.
D. - Nelle ultime 48 ore sono ripresi gli sbarchi nel sud Italia e si è riacceso il dibattito sulla normativa...
R. - Ogni uomo ha per sé il diritto di emigrare, cioè il diritto di andare là dove potrà in pienezza realizzare la sua identità. Non si può respingere un fratello senza alcun motivo, perché certamente chi viene, viene con la sua povertà, viene con i suoi limiti, con le sue indigenze. “Quale delitto ha compiuto questo per cui si respinge? Solo il diritto di esser nato, e di esser nato in un Paese diverso da quello verso il quale orienta le sue speranze?” Penso, che questo non sia proprio giusto!
D. - La Caritas ha chiesto in queste ore alla politica di non fare un uso strumentale dell’immigrazione, ma che cosa si può fare per queste persone?
R. - E’ doveroso impegnarsi a metter su una legislazione che sia confacente, e che possa salvaguardare la dignità dell’uomo senza naturalmente intaccare altri valori.
Kagame riconfermato presidente del Rwanda con il 93% dei consensi
Il presidente uscente del Rwanda, Paul Kagame, è stato riconfermato con il 93% dei consensi. Lo rende noto la commissione elettorale nazionale. L'opposizione e i gruppi per i diritti umani hanno puntato l'indice contro il clima di violenza e intimidazione, caratterizzati dall'uccisione di un giornalista ed un responsabile dei partiti di opposizione. Gli osservatori del Commonwealth, dal canto loro, hanno detto che il voto è stato pacifico e ben organizzato, sottolineando però la necessità che il Paese avvii un confronto sulla partecipazione in politica e la libertà degli organi di informazione.
Colombia e Venezuela annunciano la ripresa delle relazioni diplomatiche
Si è chiuso positivamente il vertice di ieri tra i presidenti di Colombia e Venezuela a Santa Marta, in Colombia. Chavez aveva rotto i rapporti con la Colombia dopo che il precedente governo di Alvaro Uribe lo aveva accusato di proteggere guerriglieri colombiani in territorio venezuelano. Il servizio di Elisa Castellucci:
Santos e Chavez hanno annunciato la ripresa ufficiale delle relazioni diplomatiche. Dopo il loro incontro, i due presidenti hanno dichiarato che “rilanceranno le relazioni bilaterali e ristabiliranno i legami politici sulla base di un dialogo trasparente e diretto”. Secondo Chavez, è arrivato il momento “di voltare pagina” nelle relazioni con Bogotà. Ha ribadito che “il governo non appoggia e non permetterà la presenza della guerriglia, ne’ il terrorismo ne’ il narcotraffico in territorio venezuelano”. Il leader colombiano ha inoltre aggiunto che il Paese “ha la sovranità” di concludere un accordo militare con gli Stati Uniti per combattere il traffico di droga, che nel 2009 aveva scatenato una furiosa reazione di Caracas, portando ad un congelamento dei rapporti con Bogotà. Il summit si è chiuso con la costituzione di una commissione speciale congiunta che avrà il compito di prevenire la presenza e le azioni dei gruppi armati intensificando la presenza dei militari sulla frontiera di entrambi gli Stati.
Tentativi di comunicazione tra Corea del Sud e Corea del Nord
La Corea del Sud ha inviato questa mattina un messaggio alla Corea del Nord sollecitando l'immediato rilascio del peschereccio sudcoreano e del suo equipaggio bloccati tre giorni fa nel mar del Giappone, nel mezzo di un'altra escalation di tensione militare tra i due Paesi. Il messaggio, riferisce l'agenzia Yonhap, contiene l'invito a liberare “immediatamente” i sette componenti (quattro sudcoreani e tre cinesi) dell'equipaggio del peschereccio Daeseung, “in linea con il diritto internazionale e per motivi umanitari”. Seul è al lavoro per fare chiarezza sull'episodio che, secondo Pyongyang, ha visto il peschereccio da 41 tonnellate entrare nella zona economica esclusiva del Nord. Lunedì la Corea del Nord ha sparato più di 100 colpi di artiglieria lungo il confine del mar Giallo, proprio nell'area in cui la Corea del Sud aveva appena terminato le esercitazioni navali di cinque giorni.
Marea nera: nuovo stop per la Bp
A causa dell’arrivo di un altro uragano sulle coste del Golfo del Messico, la British Petroleum ha annunciato due o tre giorni di blocco nell’operazione finale “bottom kill” ritenuta risolutiva per la perdita di petrolio in mare. L’operazione “bottom kill” consiste nell’avvicinamento di un pozzo secondario per spingere catrame e fango dal basso e per chiudere la perdita. (Panoramica internazionale a cura di Fausta Speranza)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIV no. 223
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