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Sommario del 09/08/2010

Il Papa e la Santa Sede

  • La Chiesa celebra la Festa di Santa Teresa Benedetta della Croce. Il Papa: brilla come una luce in una notte buia
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Alluvioni e incendi in Asia ed Europa: allarme per i cambiamenti climatici
  • Violenze anticristiane nel mondo: intervista con Mario Mauro
  • Elezioni presidenziali in Rwanda
  • Giornata dei popoli indigeni. Ban: superare sfruttamento e razzismo
  • Giovani in missione in Zambia ad agosto: un'iniziativa della Cei
  • Al via a Pesaro il Rossini Opera Festival
  • Chiesa e Società

  • I cristiani lasciano il Pakistan: la denuncia di mons. Saldanha
  • Indonesia: estremisti islamici attaccano una comunità cristiana di Bekasi
  • La Bulgaria riabilita la memoria dei religiosi vittime delle purghe comuniste
  • Australia. Appello dei vescovi per le elezioni: rispetto della dignità umana, giustizia e libertà religiosa
  • Cile: 34 minatori intrappolati in una miniera. Appello di mons. Quintana
  • Il cardinale López Rodríguez apre l’anno giubilare per i 500 anni dell’arcidiocesi di Santo Domingo
  • Messaggio dei vescovi costaricensi: rilanciare la missione tra la gente
  • San Giovanni Rotondo: tentato furto di alcune reliquie di Padre Pio
  • 24 Ore nel Mondo

  • L'arcivescovo di Nagasaki: le potenze nucleari non vogliono rinunciare all'atomica
  • Il Papa e la Santa Sede



    La Chiesa celebra la Festa di Santa Teresa Benedetta della Croce. Il Papa: brilla come una luce in una notte buia

    ◊   La Chiesa celebra oggi la Festa di Santa Teresa Benedetta della Croce, al secolo Edith Stein, ebrea tedesca, filosofa e carmelitana. Patrona d’Europa insieme a Santa Brigida e Santa Caterina da Siena, Benedetto XVI l’ha citata più volte nel corso del suo Pontificato, e in particolare durante la sua storica visita nel Campo di concentramento di Auschwitz, dove il 9 agosto 1942 la santa fu uccisa con la sorella nelle camere a gas: aveva 50 anni. Ce ne parla Sergio Centofanti.

    Ha “attraversato l’oscuro tempo della Seconda Guerra Mondiale, senza perdere mai di vista la speranza, il Dio della vita e dell’amore”: così il Papa ha ricordato Santa Teresa Benedetta della Croce ieri all’Angelus. Edith Stein, allieva del filosofo Husserl, era ebrea di nascita, ma dopo un lungo cammino di ricerca si è lasciata conquistare da Cristo in età adulta, senza mai rinnegare il suo popolo, come ha sottolineato il Papa ad Auschwitz il 28 maggio 2006:

    “Come cristiana ed ebrea, ella accettò di morire insieme con il suo popolo e per esso. I tedeschi, che allora vennero portati ad Auschwitz-Birkenau e qui sono morti, erano visti come Abschaum der Nation – come il rifiuto della nazione. Ora però noi li riconosciamo con gratitudine come i testimoni della verità e del bene, che anche nel nostro popolo non era tramontato. Ringraziamo queste persone, perché non si sono sottomesse al potere del male e ora ci stanno davanti come luci in una notte buia”.

    Edith Stein era una donna in cerca della verità: l’ha trovata nella Croce di Cristo. “Prendere la croce – ha ricordato il Papa nell’Angelus del 20 giugno scorso - significa impegnarsi per sconfiggere il peccato che intralcia il cammino verso Dio, accogliere quotidianamente la volontà del Signore, accrescere la fede soprattutto dinanzi ai problemi, alle difficoltà, alla sofferenza”:

    “La santa carmelitana Edith Stein ce lo ha testimoniato in un tempo di persecuzione. Scriveva così dal Carmelo di Colonia nel 1938: «Oggi capisco … che cosa voglia dire essere sposa del Signore nel segno della croce, benché per intero non lo si comprenderà mai, giacché è un mistero… Più si fa buio intorno a noi e più dobbiamo aprire il cuore alla luce che viene dall’alto». (La scelta di Dio. Lettere (1917-1942), Roma 1973, 132-133)”.

    “Il mondo è in fiamme – scriveva Edith Stein nel tempo buio del nazismo - la lotta tra Cristo e anticristo si è accanita apertamente, perciò se ti decidi per Cristo può esserti chiesto anche il sacrificio della vita. Contempla il Signore che pende davanti a te sul legno, perché è stato obbediente fino alla morte di Croce …”. Per lei, infatti, è la Croce “l’unica speranza”:

    “I cristiani, però, non esaltano una qualsiasi croce, ma quella Croce che Gesù ha santificato con il suo sacrificio, frutto e testimonianza di immenso amore. Cristo sulla Croce ha versato tutto il suo sangue per liberare l’umanità dalla schiavitù del peccato e della morte. Perciò, da segno di maledizione, la Croce è stata trasformata in segno di benedizione, da simbolo di morte in simbolo per eccellenza dell’Amore che vince l’odio e la violenza e genera la vita immortale.’ O Crux, ave spes unica! O croce, unica speranza!’”.

    Sulla figura di Edith Stein, e in particolare sulla sua conversione, ascoltiamo il servizio di Tiziana Campisi:

    (musica)

    Era una notte d’estate e correva l’anno 1921, Edith Stein, nella casa di campagna di alcuni amici, non riusciva a dormire; lei stessa racconta quello che successe: “Presi casualmente un libro dalla biblioteca; portava il titolo ‘Vita di Santa Teresa narrata da lei stessa’. Cominciai a leggere e non potei più lasciarlo, finché non ebbi finito. Quando lo richiusi mi dissi: questa è la verità”. Quella verità tanto a lungo cercata la promettente studiosa di Breslavia, la trova nel mistero della Croce, nella persona di Gesù Cristo. E’ un’esperienza che le cambia la vita, si fa battezzare l’anno dopo, poi decide di entrare fra le carmelitane, ed è il 16 luglio del 1933, solennità della Madonna del Carmelo, che viene accettata a Lindenthal. Ma come spiegare questa scelta di Edith Stein? Lo abbiamo chiesto a padre Saverio Cannistrà, preposito generale dell’Ordine dei Carmelitani scalzi:

    R. – Credo che la scelta del Carmelo sia legata alla sua ricerca della verità. Il discorso è un po’ complesso, ma credo che in Edith Stein ci sia una reinterpretazione del Carmelo come risposta ad una ricerca della verità nel nostro tempo. Questo è legato un po’ a tutta la storia precedente, filosofica ed anche spirituale, di Edith Stein.

    D. – La figura di Edith Stein è molto complessa. Come arriva ai semplici?

    R. – Credo che quello che Giovanni Paolo II ha detto nella Lettera apostolica con cui la proclama compatrona d’Europa, sia un messaggio che tutti possono cogliere e cioè che Edith Stein sia per ogni persona - e specialmente in Europa - una segno di rispetto della persona, di accoglienza dell’altro, di ricerca di convivenza pacifica tra culture e religioni diverse.

    D. – Quale messaggio particolare recepire oggi da Santa Teresa Benedetta della Croce?

    R. – Edith Stein ha attraversato le esperienze più drammatiche e complesse della storia europea della prima metà del XX secolo: la guerra, la persecuzione, i campi di sterminio, ma anche l’ateismo, la ricerca filosofica di nuove categorie di pensiero. In tutto questo e attraverso questo cammino, ha trovato dentro di sé una fonte di pace e di serenità. Io credo che questo sia il messaggio ed anche l’esempio che Edith Stein ci lascia: come si possa, attraverso le vicissitudini storiche, anche le più drammatiche del nostro tempo, non perdere la propria identità e la propria libertà. Questo ritornando all’interno di se stessi e qui trovando il fondamento in una verità che ci è stata donata.

    D. – C’è un pensiero, una frase di Edith Stein che può ricordarci?

    R. – Una che a me piace particolarmente ha a che fare proprio con la dignità della persona. Teresa Benedetta dice, grossomodo, così: segno della dignità, della sacralità della persona e della sua libertà, è il fatto che Dio stesso si ferma di fronte ad essa.

    (musica)

    “Più si fa buio attorno a noi e più dobbiamo aprire il cuore alla luce che viene dall’alto” diceva Edith Stein. Di lei oggi non restano che gli scritti e quel pugno di polvere raccolto dai forni crematori di Auschwitz portato nella chiesa di San Michele, a Wroclaw, dove ha vissuto da giovane. Quella luce che viene dall’alto ce la addita anche lei da quel buio che sembra averla inghiottita, ma che ce la fa ricordare come una grande testimone di fede.

    (musica)

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   L'uso dei beni nella logica dell'amore: all'Angelus Benedetto XVI invita a dedicare attenzione agli altri senza egoismi.

    Nell'informazione vaticana, intervista di Mario Ponzi al Patriarca Antonios Naguib sul cammino verso il Sinodo speciale per la Chiesa in Medio Oriente.

    In rilievo, nell'informazione internazionale, il dramma senza fine dei civili afghani.

    In cultura, un articolo di Cristiana Dobner dal titolo "Il canto d'amore del servo muto": ebrei e cristiani a confronto su Franz Rosenzweig.

    Arcidiacono con libro e graticola: Fabrizio Bisconti su san Lorenzo martire nella Roma di Valeriano.

    Cinquant'anni fa "Psyco": un articolo di Emilio Ranzato dal titolo "E Hitchcock infranse il patto con il pubblico".

    Splendidi e fastidiosi tutti quei miracoli: Andrea Monda su Clive S. Lewis e la presenza quotidiana del soprannaturale.

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    Oggi in Primo Piano



    Alluvioni e incendi in Asia ed Europa: allarme per i cambiamenti climatici

    ◊   Centinaia di morti, milioni di sfollati, danni incalcolabili: sono le drammatiche conseguenze di alluvioni e incendi che in questi giorni stanno colpendo varie regioni dell'Asia e dell'Europa, mentre nell'America del Sud un'ondata di gelo ha causato al morte di decine di bambini. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

    Alluvioni alimentate da piogge monsoniche flagellano il Pakistan, dove le inondazioni hanno provocato la morte di oltre 1.500 persone. Gli sfollati sono oltre due milioni e frane e smottamenti rendono ancora più difficili le operazioni di soccorso. La marea di acqua e fango ha devastato anche la regione indiana del Ladakh, al confine con il Pakistan. Il bilancio, ancora provvisorio, è di 150 morti. Sono poi almeno 127 le vittime di frane e inondazioni nella provincia nord occidentale del Guansu, in Cina. Forti piogge e alluvioni hanno causato almeno 15 morti e migliaia di sfollati anche in Europa centrale. I Paesi più colpiti sono Germania, Polonia e Repubblica Ceca. Un altro dramma, quello degli incendi, continua a devastare diverse regioni della Russia. Le temperature superano i 40 gradi e il tasso di mortalità giornaliero di Mosca è quasi raddoppiato da quando la città è avvolta dalla coltre di fumo provocata dai roghi. E’ invece la morsa del freddo ad aver provocato nei giorni scorsi decine di morti in Sud America. Almeno 42 bambini sono deceduti in Perù e temperature estremamente basse sono state registrate in diversi Paesi, tra cui Brasile, Bolivia, Cile e Paraguay. Secondo diversi esperti il surriscaldamento climatico può essere infine una delle cause di un altro straordinario fenomeno: un’enorme isola di ghiaccio, grande quattro volte Manhattan, si è staccata da uno dei principali ghiacciai della Groenlandia e si sta spostando verso gli Stretti di Nares, a circa mille chilometri a sud del Polo Nord.

    La frequenza e l’intensità di alluvioni, incendi ed emergenze climatiche sollevano numerosi interrogativi. E’ possibile, in particolare, stabilire un nesso comune tra questi fenomeni? Luca Collodi lo ha chiesto a Giampiero Maracchi, direttore dell'Istituto di Biometeorologia del Cnr di Firenze:

    R. - Il cambiamento del clima, che si esplicita con maggior temperature di superficie dei mari e quindi con una maggior quantità di energia in circolazione, è responsabile di tutti gli eventi estremi. In particolare, è responsabile di questi due: sia le temperature molto elevate, dovute al fatto che l’aria calda che sale dall’Equatore si estende molto più a nord che nel passato e sia per l’altro aspetto, relativo all’intensità delle piogge. Molta energia significa anche intensità dei fenomeni, in particolar modo quando ci sono appunto delle precipitazioni. Quindi i due fenomeni, e le alte temperature a Mosca che hanno poi, come conseguenza, quella di facilitare gli incendi, e le inondazioni nel centro-Europa, purtroppo sono ormai un film già visto spesso negli ultimi 15 anni - o anche addirittura 20 - su tutto il pianeta.

    D. - Quindi lei ci dice che l’effetto serra è una realtà…

    R. - L’effetto serra si misura, perché si misura l’aumento della temperatura della superficie degli oceani, si misurano gli eventi che sono accaduti in questi 20 anni. Dal 1990 in poi, rispetto alla media 1960-1990, questi eventi di carattere meteorologico sono da sette a dieci volte più frequenti di quanto non fossero nel passato e gli esborsi dovuti agli indennizzi che le grandi compagnie dovranno pagare sono esattamente dieci volte maggiori rispetto a quelli del passato.

    D. - Quindi potremmo dire che sono cambiate le caratteristiche delle masse d’aria, delle correnti…

    R. - Sostanzialmente sì. C’è, tendenzialmente, una maggiore quantità di energia e gli eventi meteorologici sono tutti basati sull’energia. Inoltre perché, com’é successo in questi giorni anche in Europa, si è creato un cuneo di aria fredda proveniente dall’Atlantico che ha poi incontrato la stessa aria calda che arriva ancora fino a Mosca, incontro che ha determinato poi queste piogge così intense. (Montaggio a cura di Maria Brigini)

    A destare grande preoccupazione è in particolare l’avanzata, in Russia, di roghi e incendi che ormai lambiscono anche siti nucleari e centrali elettriche. La situazione resta molto difficile soprattutto nella capitale come sottolinea al microfono di Luca Collodi il vicario generale dell'arcidiocesi della “Madre di Dio” a Mosca, mons. Sergej Stanislavovic Timashov:

    R. - La situazione è abbastanza difficile, ancora c’è il fumo, la visibilità è molto scarsa e in più c’è la presenza, molto forte, di monossido di carbonio. Tutto il fumo va verso Mosca, se cambia il vento avremo un miglioramento.

    D. – Questi incendi sono frutto dei cambiamenti climatici o c’è anche la mano della criminalità organizzata?

    R. – In questo momento non sembra ci sia la mano della criminalità organizzata; piuttosto pare ci siano stati dei gruppi che hanno acceso dei fuochi nei boschi. Sembra però non si sia trattato di atti criminali quanto piuttosto di negligenza. Innanzi tutto è la grande siccità perché è da due mesi che non piove nella parte europea della Russia.

    D. – I contadini nelle campagne russe hanno la consapevolezza di non poter lavorare più in modo tradizionale, ma di dover stare attenti anche per il rischio poi di appiccare fuochi?

    R. – La preoccupazione principale in questi giorni è quella di conservare le proprie case, non quella di lavorare nei campi.

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    Violenze anticristiane nel mondo: intervista con Mario Mauro

    ◊   Definendolo ''un atto spregevole di violenza sfrenata'' il segretario di Stato Usa Hillary Clinton ha duramente condannato la strage di medici occidentali compiuta dai Talebani in Afghanistan sabato scorso. Le salme degli otto medici, sei americani, un britannico e un tedesco, appartenenti ad una ong cristiana senza scopo di lucro, la International Assistance Mission, sono state trasferite ieri nella capitale afghana. L’Afghanistan è un Paese, come peraltro il vicino Pakistan, dove i fatti di violenza sono giornalieri ma purtroppo in questo come in altri casi si tratta proprio di odio contro i cristiani. Fausta Speranza ne ha parlato con l’europarlamentare Mario Mauro, rappresentante personale dell’Ocse contro razzismo, xenofobia e discriminazioni, in particolare contro i cristiani:

    R. – Questo massacro si inscrive nella logica dei gruppi legati ai Talebani ed anche ad Al Qaeda. Sono uccisioni finalizzate a scopi assolutamente di natura politica, quasi a creare una perfetta identità tra il Cristianesimo e l’Occidente, che è in fondo il teorema di Al Qaeda. La pretesa di rifondare il ‘Grande Califfato’ sulla scorta di quelle che erano le visioni dell’islam dell’ottavo e del nono secolo si regge esattamente su questo.

    D. – Questa la strategia, con un obiettivo preciso…

    R. – L’obiettivo è ribaltare il potere - proprio in termini di lotta per il potere - in quei Paesi in cui i gruppi estremisti, in questo momento, sono stati esclusi dalla gestione della cosa pubblica. E l’Afghanistan è uno di questi. In secondo luogo credo che l’ultimo drammatico episodio sia un messaggio rilevante mandato al governo del Pakistan, che in queste giornate così convulse sta cercando di trovare un proprio equilibrio. Sta cercando di ritrovare un assetto che renda più chiara la posizione del governo pakistano riguardo al problema della lotta al terrorismo. Com’è noto, all’interno della società e soprattutto degli strati più rilevanti della leadership pakistana – parlo in special modo di chi, tra i militari, ha collegamenti con i gruppi talebani – é in corso una dura lotta per il potere. Qualcuno vuole evitare che il Pakistan, in qualche modo, rientri a pieno titolo all’interno della comunità internazionale, esercitando il proprio imperio di Stato sovrano nei confronti di gruppi che – non dimentichiamolo – gestiscono per intero pezzi rilevanti del territorio di questo Paese. Dietro c’è, ancora una volta, lo spettro dello scontro con l’India e questo, forse, è il luogo-chiave dove la comunità internazionale deve impegnarsi non solo dal punto di vista militare, ma dal punto di vista della capacità di intavolare dei negoziati sensati per poter superare quello che storicamente può diventare, per il mondo intero, il problema-chiave dei prossimi anni. In terzo luogo, c’è il fatto che questa “campagna di odio” lascia comunque crescere quelli che io definirei dei “fiori del male”, perché effettivamente questo tipo d’impostazione può aver presa su parte della popolazione ed anche su persone che sono lontane da un’impostazione politica. Può lasciare a molte delle persone che vengono conquistate da queste visioni l’idea che effettivamente ci sia da combattere una guerra contro il Cristianesimo, una “crociata contro i crociati”. Questo è, forse, l’aspetto più sensibile e più perverso di questa propaganda e su questo specialmente si devono adoperare le Chiese - e la Chiesa cattolica lo sta facendo benissimo – per far capire che un conto è il dialogo tra le religioni, tra le persone e tra le culture, un conto è invece il dibattito di natura politica in cui, sempre più spesso, il fondamentalismo mostra la verità della propria faccia: un progetto di potere che usa il nome di Dio per i propri fini.

    D. – Lei ha svolto e svolge un ruolo di impegno su questi temi all’interno del Parlamento europeo e, da tempo, anche a nome dell’Ocse, in quanto rappresentante personale dell’Ocse su questi temi. Adesso è appena uscito il suo libro "Guerra ai cristiani. Le persecuzioni e le discriminazioni dei Cristiani nel mondo". Ci dice qualcosa del libro?

    R. – In realtà, il libro fotografa uno spazio di tempo esiguo rispetto a quello che è l’intero dramma della persecuzione dei cristiani così come si è manifestata, sarebbe a dire non tanto fin dall’inizio del Cristianesimo – perché questo corso storico è appena riassunto nel libro per far capire i termini del problema -, quanto piuttosto gli ultimi anni. Dunque parla della recrudescenza di un odio sistematico nei confronti dei cristiani e cerca di far capire come questo, oggi, risponda ad un tipo di progettualità ideologico-politica ben precisa. Infatti, da un lato, se è vero che nella lunga lista che viene citata all’interno del libro - proposta da una delle più importanti Ong americane che fotografa la situazione di persecuzioni religiose in Paesi di tutto il mondo – il Paese più problematico per la condizione dei cristiani è la Corea del Nord – un Paese, quindi, ateo e comunista -, è anche vero che, nell’elenco dei primi 50 Paesi, 35 sono Paesi islamici. Questo è un dato di cui dobbiamo prendere atto e rispetto al quale dobbiamo avere una forza ed una capacità di analisi che vadano oltre i luoghi comuni. E’ così perché la libertà religiosa rappresenta un’opportunità per la ridiscussione dei termini del potere politico in Paesi che, per l’appunto, da quando hanno conquistato l’indipendenza nella stragrande maggioranza dei casi hanno avuto al governo magari sempre la stessa famiglia. E’ chiaro perciò che in questi Paesi – dove c’è piena l’identificazione tra religione e politica -, chi può parlare “a nome di Dio” - per usare un’espressione cara a molti di questi Stati - ha un vantaggio dal punto di vista del rapporto tra potere e popolo. E’ per questo che è così delicato il tema della religione e della libertà religiosa. Ed è per questo che dobbiamo ricordare bene quanto sosteneva Giovanni Paolo II, cioè che garantire la libertà religiosa è un qualcosa di più che garantire una libertà qualsiasi, perché la libertà religiosa è la cartina di tornasole di tutte le altre libertà.

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    Elezioni presidenziali in Rwanda

    ◊   Oltre cinque milioni di rwandesi si sono recati oggi alle urne per le elezioni presidenziali, le seconde dai tempi del genocidio del 1994. Nettamente favorito nei sondaggi il presidente uscente Paul Kagame, apprezzato in ambito internazionale per i progressi del Paese, ma fortemente criticato dall’opposizione interna che lo accusa di non essere sufficientemente democratico. Ad Angelo Inzòli, giornalista esperto di questioni africane, Stefano Leszczynski ha chiesto quali siano le ragioni del successo raggiunto dal presidente Kagame:

    R. - Kagame ha posto come una delle priorità, favorire una riconciliazione del Paese, cercando di trovare un sistema, sistema anche locale, per cercare di portare un minimo di giustizia in un Paese che è stato chiaramente trasformato tragicamente dagli eventi. Il secondo aspetto è quello del rilancio economico, che è forse l’aspetto che più colpisce chi visita il Rwanda, che è un Paese che non solo ha una crescita del sei percento annuo dal 2001, ma è un Paese che ha fatto dei passi avanti incredibili su alcuni aspetti, come può essere quello delle nuove tecnologie, come può essere quello del rilancio del sistema bancario, come il rilancio delle imprese locali, l’arrivo di nuovi investimenti...

    D. - Ecco di fronte a questi aspetti positivi, poi spesso ci sono dubbi per quanto riguarda il completo sviluppo democratico…

    R. - Ed é il tallone d’Achille. Si respira un clima di grosso controllo da parte della politica. Recentemente ci sono stati anche degli assassinii - come purtroppo ci sono in tutti i Paesi come il Rwanda, il Burundi, il Congo - di giornalisti ed anche candidati alle elezioni. E’ certamente un Paese che sta seguendo una specie di cammino a marce forzate verso la democrazia. Kagame è un uomo che ha un polso di ferro, è un uomo che è convinto che un rinnovamento del Paese è possibile solo avendo un controllo molto forte e poi, probabilmente, c’è tutto un sistema attorno a Kagame che rende questo inquadramento a volte al limite con un regime.

    D. - Tra l’altro, molti Paesi africani, in questi giorni, festeggiano il 50.mo anniversario dell’indipendenza. Quanto possono essere forti, ancora, le influenze straniere in un Paese instabile come il Rwanda?

    R. - Sono determinanti, solo che il Rwanda ha una storia straordinaria: Kagame ha spostato il baricentro, a livello di politica internazionale rwandese, dal mondo francofono - quindi da un rapporto privilegiato con la Francia - al mondo anglofono, con un rapporto perciò privilegiato con gli Stati Uniti.

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    Giornata dei popoli indigeni. Ban: superare sfruttamento e razzismo

    ◊   “I popoli indigeni sono portatori della storia culturale dell’umanità, i governi devono impegnarsi a sostenerli e rimuovere ostacoli come razzismo, emarginazione e povertà”. Così in sintesi il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon nel messaggio per l'odierna giornata internazionale a loro dedicata. Si stima che i popoli indigeni rappresentino il 5% degli abitanti del Pianeta, circa 370 milioni di persone sparse in 70 Paesi. Massimiliano Menichetti ne ha parlato con Alessandro Michelucci presidente del Centro di documentazione sui popoli minacciati.

    R. - Secondo la definizione approntata dall’Onu, i popoli indigeni sono popoli pre-coloniali, comunità che vivono sufficientemente separate in termini geografici, che hanno una riconoscibilità per il loro modo di vivere, per la cultura, per l’insieme di valori ai quali si riferiscono. Parliamo ad esempio dei nativi americani, degli aborigeni australiani, di alcuni gruppi dell’Amazzonia, dei sami, meglio noti come lapponi, dell’Europa del nord, i maori della Nuova Zelanda... Sono comunità più o meno numerose, che nell’insieme, secondo un calcolo che viene generalmente accettato, cumulano un totale di quasi il 5% della popolazione mondiale.

    D. - Il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon ha ribadito che i popoli indigeni oggi sono ancora vittime di razzismo e i loro diritti sono violati. Eppure la dichiarazione delle Nazioni Unite adottata nel 2007, delinea un quadro normativo per consolidare i rapporti tra i popoli indigeni e i Governi.

    R. - La dichiarazione è il solito catalogo di buone intenzioni, perché in pratica quel documento è una sorta di consiglio, mancano infatti delle strutture cogenti, per chi non lo rispetta. Fermo restando che poi ci sono diversi Paesi, come gli Stati Uniti, il Canada, la Nuova Zelanda e l’Australia, che non l’hanno neanche sottoscritta.

    D. - Ma quali sono le difficoltà dei popoli indigeni?

    R. - Per esempio lo sfruttamento del territorio, che viene fatto senza tenere conto che alcuni spazi rappresentano uno strumento di sussistenza essenziale ed unico per i popoli indigeni. Se per esempio, in Paesi come l’Ecuador, vado a cercare il petrolio, questi popoli sono costretti ad andare altrove, se continuo a costruire grandi dighe in India, lo stesso questi popoli sono costretti ad andare via. Questo è un modello di sviluppo indefinito che, di fatto, condanna i popoli indigeni.

    D. - La situazione ha avuto un’evoluzione nel corso degli anni?

    R. - Sostanzialmente non è migliorata, in vari Paesi ci sono stati degli accordi, però il più delle volte non vengono rispettati.

    D. - Una delle obiezioni che viene sollevata è che anche in sede Onu sono presenti solo i Governi che magari hanno dei contenziosi aperti con i popoli indigeni. Come si risolve questo stallo?

    R. - La stessa struttura dell’Onu è la radice di questo dilemma e sarà insolubile finchè l’Onu sarà rappresentato dagli Stati anziché dai popoli.

    D. - Qual è dunque il suo auspicio?

    R. - Che i popoli indigeni stessi riescano ad avere maggiori tutele consolidandosi in posizioni di maggiore peso politico.

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    Giovani in missione in Zambia ad agosto: un'iniziativa della Cei

    ◊   Formazione, incontro, scambio, conoscenza, crescita cristiana. Tutto questo è l’esperienza missionaria in Zambia proposta a 25 giovani, dai 18 ai 32 anni, da Missio, l’organismo pastorale della Cei. L’iniziativa è in corso e andrà avanti fino al prossimo 24 agosto. Il servizio è di Paolo Ondarza.

    Due settimane e mezza in uno dei Paesi più poveri del mondo. E’ la scelta di 25 giovani italiani che hanno deciso di trascorrere un’estate diversa dal solito accanto ai missionari comboniani in Zambia. Lo Stato è uno dei più poveri del mondo, con il 70% della popolazione sotto la soglia della povertà e un reddito annuo procapite inferiore a 400 dollari. Alessandro Zappalà, segretario di Missio Giovani:

    “Questa esperienza missionaria vuole essere per questi giovani anzitutto una tappa del proprio discernimento personale. Un’esperienza che possa spogliarci da tutti i nostri punti di vista, da tutti i nostri pregiudizi e quindi farci avere un’idea più chiara di noi stessi. Noi non facciamo né un campo lavoro né un campo di volontariato internazionale, la nostra è solo una visita, una visita per stare, per sedersi dove si siede la gente e, quindi, guardare la vita dal loro stesso punto di vista. La povertà d’Africa è sempre caratteristica e chi viene per la prima volta non può fare altro che notarla. Però come la maggior parte dei Paesi africani è caratterizzata dall’accoglienza che la gente del luogo fa a noi che siamo ospiti”.

    Ed ecco alcuni fotogrammi dell’esperienza in Zambia dalla voce di alcuni protagonisti.

    R. - Sono Simone e ho scelto di venire qui in Africa, perché queste esperienze mi aiutano ad uscire dai canoni noiosi della vita quotidiana.

    D. – Jacopo, tu vieni dalla Toscana. Sei abituato alla tua realtà parrocchiale, ma sei rimasto anche colpito da come lì in Zambia si celebra l’Eucarestia...

    R. – Partecipavano tutti e tutti per bene ed ordinati. Si erano sistemati tutti e avevano messo gli abiti migliori, cosa che da noi raramente succede.

    D. – Giulio, c’è un’immagine che ti ha colpito dal tuo arrivo in Zambia?

    R. – Vedere tanti bambini che giocano con questi palloni fatti di carta o di sacchi di plastica a ritmo di tamburi, che fanno sempre da sottofondo. E’ davvero un’immagine di semplicità.

    D. – Non si torna gli stessi da un’esperienza del genere...

    R. – No, assolutamente. Tornando a casa non si può essere gli stessi. Anzi, il vero viaggio comincia quando uno torna a casa, se sa fare tesoro dell’esperienza, se sa raccontarla e contagiare gli altri.

    L’esperienza missionaria si concluderà il 24 agosto, ma anche dopo proseguirà l’impegno dei partecipanti in favore del Paese africano. Ancora Zappalà.

    “I giovani, rientrati in Italia, si impegnano in un progetto di solidarietà per le missioni che hanno visitato, quindi, un progetto scolastico, didattico qui in Zambia, che avremo modo di vedere e conoscere, e lo faranno attraverso l’animazione missionaria nelle proprie diocesi. Questi giovani sono tutti giovani animatori, educatori in parrocchia, in diocesi. Quindi l’idea è che poi tramite queste esperienze possano attraverso i loro gruppi sensibilizzare al respiro missionario, all’universalità della Chiesa e quindi poi creare anche dei ponti di solidarietà”.

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    Al via a Pesaro il Rossini Opera Festival

    ◊   Forte impronta musicologia, molta curiosità storica e attesa da parte degli appassionati per la 31.ma Edizione del Rossini Opera Festival che si inaugura questa sera a Pesaro, città natale del compositore: tornano in vita sul palcoscenico due titoli sconosciuti, “Sigismondo” con la regia di Damiano Michieletto e “Demetrio e Polibio” con quella di David Livermore, affiancati da “Cenerentola” nell’immaginario allestimento di Ronconi. Una sfida nelle scelte, sempre culturalmente elevate, che fa del Rossini Opera Festival uno degli avvenimenti più attesi dell’anno, nato per indagare l’opera e il mistero di un genio della musica. Il servizio di Luca Pellegrini:

    E’ stato il primo, trentuno anni fa, ad essersi inventato una formula inedita dedicandosi interamente a un solo musicista e all’esplorazione delle sue opere: un festival nato soltanto per Gioachino Rossini nella sua città natale, Pesaro. Allora fu una novità travolgente, ci si chiedeva perché tanta attenzione internazionale, tanto interesse da parte dei critici, tante vere ovazioni annuali dal pubblico proveniente da tutto il mondo. Condotti con sapiente cura, si è andati scoprendo, grazie a allestimenti ed esecuzioni memorabili, il catalogo di uno dei compositori più conosciuti e a suo modo enigmatici della storia, non legato solamente a titoli come “Il Barbiere di Siviglia” e “Cenerentola”, “Stabat Mater” o “Mosè in Egitto”. Universi di incredibile bellezza musicale si sono aperti nello scorrere di opere che senza questo festival non sarebbero mai più approdate in teatro, svelando l’anima di un genio dedito alla musica e all’uomo, per raccontare il suo animo eroico e le sue miserrime cadute. Insomma, Rossini aveva necessità di un festival per essere conosciuto. E questa necessità dura nel tempo, tanto che sono due quest’anno i titoli in programma ritenuti tra i più problematici e meno noti della sua produzione: “Sigismondo”, del 1814, e “Demetrio e Polibio” del 1812, entrambi di carattere serio, ambientati il primo nel profondo Medioevo ed il secondo nella Siria del 200 avanti Cristo. Questa scelta ribadisce un fatto: di Rossini c’é ancora qualche cosa di cui meravigliarsi. Una conferma che arriva da Gianfranco Mariotti, sovrintendente del Festival fin dal suo nascere:

    R. - Di questa figura affascinantissima continua a sfuggire una comprensione totale, che dà molto senso, molto fascino al nostro lavoro.

    D. - Insomma, dopo trentuno anni di allestimenti e scoperte, Rossini riesce a sorprenderla ancora…

    R. - Una cosa che ogni anno diventa più evidente è che la parabola di Rossini non è lineare per esempio, è un autore che si rivela ogni giorno più misterioso. Ci sono delle incomprensibili discontinuità per esempio e c’è anche questa sua - da noi tanto decantata - capacità profetica di anticipare gli sviluppi della musica. In realtà si svolge in tutte le direzioni, in avanti all’indietro. Scrive un’opera come “Ermione” che oggi definiamo espressionista, addirittura, che precede di 10 anni la svolta romantica del “Guglielmo Tell”, ma non ha niente a che vedere con il romanticismo, non lo anticipa nemmeno, parla direttamente al XX° secolo. E’ incredibile, quattro anni dopo fa “Semiramide” che invece è il monumento del passato.

    Alberto Zedda, direttore artistico del Rof, tra i più fini e noti studiosi ed esecutori di Rossini, non ha dubbi: Rossini e le sorprese che la sua musica riserva sono quasi infinite:

    R. - Rossini dopo 30 anni per noi rappresenta ancora, per certi lati, l’uomo che non ha ancora dato tutte le risposte possibili. Non dico un mistero, sappiamo quanto è grande, sappiamo quanto è moderno, ma è così sfuggente, così complesso e così diverso dagli altri, nel modo di concepire il rapporto parola - teatro - musica. Dovrebbe essere un argomento per lo meno esaurito o vicino all’esaurimento, invece, devo dire che ogni notte e ogni giorno mi risveglio con una sensazione nuova e sto scrivendo un libro che non terminerò mai. (Montaggio a cura di Maria Brigini)

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    Chiesa e Società



    I cristiani lasciano il Pakistan: la denuncia di mons. Saldanha

    ◊   ''I cristiani stanno cominciando a lasciare il Pakistan, anzi molti lo hanno già fatto'': è la denuncia lanciata, in una intervista all’Asca, dall'arcivescovo di Lahore e presidente della Conferenza episcopale pakistana, mons. Lawrence Saldanha, che denuncia le crescenti violenze anticristiane nel Paese. L’ultimo fatto eclatante risale al 19 luglio scorso, quando due fratelli cristiani sono stati uccisi nella città pakistana di Faisalabad mentre uscivano dal tribunale che era in procinto di assolverli dall'accusa di blasfemia. A partire – afferma il presule - sono ''soprattutto i più istruiti. Non appena hanno un'occasione vanno all'estero. Molti vivono in Francia, Germania, Usa e Inghilterra''. Il fenomeno – aggiunge - è ''particolarmente grave perché perdiamo le persone migliori'' e rende problematico ''mandare avanti la vita stessa della Chiesa''. ''E' difficile - spiega mons. Saldanha - trovare una persona preparata, laica, che accetti di assumere un ruolo di responsabilità in diocesi. Tutti se ne vanno, anche gli insegnanti. Lo stesso i giovani, che vogliono lasciare il Pakistan perché non si sentono sicuri, e sentono che qui non possono essere felici''. I cristiani in Pakistan sono poco più di due milioni in un Paese che conta una popolazione di 175 milioni, in stragrande maggioranza musulmani. E' una Chiesa ''molto povera e oppressa'', racconta mons. Saldanha: ''La nostra gente non è molto ricca, deve fare sacrifici e lavorare duro. Sono venditori ambulanti, addetti alla pulizia delle strade, collaboratori domestici o braccianti nelle fattorie''. La vera spina nel fianco per i cattolici del Pakistan – e per le minoranze religiose in genere - è la legge sulla blasfemia. Approvata 25 anni fa, punisce, finanche con la morte, chiunque ''sia colpevole di offendere Maometto o il Corano''. Le accuse, denuncia l'arcivescovo di Lahore, sono spesso inventate o contraffatte: ''Dobbiamo subire attacchi per presunti atti di blasfemia che la gente crede che abbiamo commesso contro l'islam. Anche se non lo facciamo, veniamo lo stesso accusati, perché la legge viene usata per opprimere i cristiani e anche ucciderli, oppure per esercitare pressioni e costringerli alla conversione''. La legge, di cui la Chiesa ha chiesto più volte l'abolizione, ''è come una spada di Damocle che pende sulla nostra comunità''. La situazione è peggiorata negli ultimi anni, dopo gli attacchi dell'11 settembre e l'inizio della campagna occidentale in Afghanistan. ''Adesso - racconta mons. Saldanha - c'è molto odio in Pakistan contro le altre religioni, soprattutto contro i cristiani. Ci sono provocazioni e violenze nelle scuole, sul lavoro, negli ospedali''. L'arcivescovo cita l'esempio di un negoziante cristiano, un sarto, oggetto di persecuzioni nella sua città perché aveva troppo successo negli affari: l'unica via d'uscita è stata quella di convertirsi all’islam. Per mons. Saldanha, ''in Pakistan è in atto oggi una grande lotta in corso tra gli estremisti e i sostenitori di una forma moderata di islam. I moderati sono in effetti la maggioranza ma non sono molto ben organizzati, mentre i fondamentalisti lo sono e ricorrono anche agli attentati suicidi, alle autobomba, agli omicidi mirati''. Stretti in mezzi a questo conflitto, i cristiani vengono spesso dimenticati: ''Il governo - denuncia mons. Saldanha - non ha fatto molto per contrastare le violenze contro i cristiani perché ha paura dei fondamentalisti. Quando ci sono degli attacchi contro le nostre comunità non condanna nemmeno gli attacchi, se non in uno o due casi''. I politici – secondo il presule - sono troppo deboli per fare qualcosa. Non possono cambiare la legge sulla blasfemia perché temono la reazione dei fondamentalisti''. Le prospettive per il futuro non sono positive: ''I fondamentalisti diventano ogni giorno più forti'' e si può solo sperare che, tra i pakistani, prevalga ''il buon senso''. All'orizzonte, poi, c'e' il ritiro delle truppe occidentali dall'Afghanistan nei prossimi anni: ''Credo che non sarà un bene per noi - osserva mons. Sadalnha -, saremo ancora meno sicuri di quanto siamo ora. Ci sarà ancora più pressione su di noi''.


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    Indonesia: estremisti islamici attaccano una comunità cristiana di Bekasi

    ◊   Ennesimo episodio di violenza anticristiana in Indonesia. Una folla di estremisti musulmani ha attaccato, durante il servizio liturgico di ieri, decine fedeli di una chiesa protestante di Bekasi, a 25 km a est di Jakarta. Secondo alcune testimonianze raccolte da AsiaNews molte persone sono state inseguite e picchiate. I fedeli erano riuniti in un campo di calcio all’aperto dopo che cinque settimane fa l’amministrazione locale ha ritirato il permesso per l’uso della chiesa della comunità Hkbp (Huria Batak Kristen Protestant, Chiesa protestante dei Batak), i cui appartenenti sono dell’etnia batak e usano il loro linguaggio e i loro costumi nelle cerimonie. Fra gli assalitori vi sono membri dei gruppi radicali dell’Islamic Defender Front (Fpi) e dell’Islamic Community Forum (Fui). Sahara Pangaribuan, un avvocato che rappresenta la comunità cristiana, ha denunciato l’inerzia della polizia e dello Stato che “ha fallito nel garantire protezione e sicurezza al gruppo religioso minoritario”. É la terza volta che i cristiani di Bekasi sono presi di mira dai fondamentalisti da quando sono costretti a svolgere le loro cerimonie all’aperto. Questa soluzione è stata infatti criticata con forza dai musulmani estremisti, dicendo che la Hkbp non ha le carte legali in regola per radunarsi. I responsabili della chiesa affermano invece che essi avevano il permesso, ma è stato loro ritirato dal governo per le pressioni degli islamici radicali. La Hkbp ha cercato di riavere il permesso rivolgendosi alla Commissione indonesiana per i diritti umani (Komnas HAM) e a membri del parlamento. Ma non si è giunti a nessun risultato perché la polizia non garantisce l’ordine e i diritti della comunità. Giorni fa il pastore della comunità, la signora Luspida Simanjutak, ha dichiarato ad AsiaNews che i fedeli non smetteranno mai di radunarsi per il servizio domenicale nel campo di calcio, nonostante l’ostilità e le violenze dei musulmani. Dal canto suo, Imam Sugianto, capo della polizia di Bekasi, nega che la polizia sia stata inerte: “Abbiamo avvertito e suggerito molte volte ai cristiani a non tenere l’incontro, ma essi hanno forzato la situazione ed è successo l’incidente”. Secondo Sugianto, 500 membri della polizia non sono stati sufficienti a tenere sotto controllo la folla inferocita. (M.G.)

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    La Bulgaria riabilita la memoria dei religiosi vittime delle purghe comuniste

    ◊   In Bulgaria prosegue il percorso di riabilitazione della memoria delle vittime delle purghe perpetrate dal regime comunista ai danni della Chiesa Cattolica. Nel corso della sua seduta del 28 luglio, su proposta del deputato Latchezar Tochev (Coalizione blu, destra), la Camera dei deputati ha adottato tre emendamenti alla legge sulla riabilitazione politica e civica delle persone vittime di repressione, votata il 25 giugno 1991. Il primo emendamento cita espressamente i 40 membri della Chiesa cattolica condannati nel 1952, fra i quali mons. Evgueni Bossilkov, vescovo di Nicopoli beatificato da Giovanni Paolo II nel 1998, e i padri Kamen Vitchev, Pavel Djidjov e Josaphat Chichkov, condannati a morte con la falsa accusa di aver collaborato con le potenze occidentali per rovesciare governo bulgaro. I quattro sono stati giustiziati l'11 novembre 1952 nel cortile del carcere di Sofia e i loro corpi non sono mai stati ritrovati. Il secondo emendamento riguarda i pastori protestanti condannati duranti i due processi del 1949 contro l'Unione delle Chiese evangeliche. Infine, il terzo emendamento riguarda i sei accusati di un processo tenutosi nel 1945 relativo ai massacri di Katyn e Vinitsa: due archimandriti (superiori di una parrocchia o di un convento) ortodossi ed un giornalista condannati per aver sostenuto che quei massacri erano stati operati dai sovietici e non dai nazisti. Agli eventuali superstiti, la legge del 1991 dà la possibilità di chiedere il risarcimento dei danni “a partire dal 2011”. Il Parlamento bulgaro concede il diritto alla riabilitazione ad ogni vittima della repressione comunista a partire dal 9 settembre 1944, data in cui, all'indomani dell'invasione del Paese da parte dell'Armata Rossa, il Fronte della Patria (comunista) salì al potere. “Le cose sono ormai relativamente tranquille. Quasi tutti i protagonisti sono deceduti”, spiega al giornale francese “La Croix” padre Daniel Gillier, superiore della piccola comunità assunzionista di Plovdiv, che nota anche come l'attuale governo di destra, contrariamente a quelli che lo hanno preceduto, possiede la maggioranza dei seggi nel parlamento e ha quindi la possibilità di emendare con più facilità la legge sulla riabilitazione della memoria. Grande soddisfazione viene espressa dall’esarca apostolico mons. Christo Proïkov: “La Chiesa cattolica in Bulgaria accoglie con piacere e riconoscenza le modifiche votate dal Parlamento”. Alla distensione e al recupero della verità hanno contribuito anche i passi fatti dalla Chiesa cattolica dopo la beatificazione dei tre religiosi martiri nel 2002, durante la visita a Sofia di Giovanni Paolo II. (M.G.)

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    Australia. Appello dei vescovi per le elezioni: rispetto della dignità umana, giustizia e libertà religiosa

    ◊   “Date valore al vostro voto”: si intitola così la dichiarazione che la Conferenza episcopale australiana (Acbc) ha diffuso oggi, in vista delle elezioni parlamentari nel Paese, fissate per il 21 agosto. Nella nota, a firma di mons. Philip Wilson, presidente della Acbc, i presuli sottolineano di non voler dare indicazioni precise di voto, ma di sapere che, “in periodo elettorale, molti guardano alla Chiesa per avere un consiglio sui temi più rilevanti”. “Abbiamo il privilegio – scrivono i vescovi – di vivere in un Paese democratico come l’Australia, in cui votare è importante. Per questo, chiediamo alla popolazione di prendere in seria considerazione il proprio voto, di pensare attentamente ai temi rilevanti sia a livello locale che nazionale, e di valutare ciò che è importante non solo per i singoli, ma anche per tutta l’Australia”. Poi, la Acbc sottolinea: “Molti cattolici sono giustamente coinvolti nei partiti politici”, ma “la Chiesa australiana non rientra in alcun schieramento”. Tuttavia, essa suggerisce “sei criteri essenziali” sulla base dei quali valutare “i politici, i partiti e la campagna elettorale”. I sei criteri non sono altro che sei diritti fondamentali che la Chiesa chiede vengano riconosciuti, ovvero: “il diritto, per ogni persona, alla dignità umana; ad avere cibo, alloggio e protezione; il diritto di avere un accesso paritario all’educazione, alla sanità, al lavoro e ai servizi di base; il diritto, sia per la generazione attuale che per quelle future, di vivere in un ambiente sicuro, salutare e sano; il diritto-dovere di ciascuno di contribuire alla società secondo le proprie possibilità e, infine, il diritto, per ogni persona, di vivere secondo il proprio credo, finché esso non vada contro i diritti degli altri”. E ancora, i vescovi australiani ricordano altre priorità ritenute fondamentali dalle associazioni cattoliche: innanzitutto, la libertà religiosa, perché “in una società con una varietà di credenti e non credenti, ci deve essere il rispetto dell’altro”. Così come centrale è la dignità umana, poiché “il valore della vita dell’uomo deve essere rispettato a tutti i livelli”. Poi, i presuli auspicano un servizio sanitario efficiente, che “sovvenzioni i servizi per la salute mentale e migliori le cure per gli anziani” e una maggiore attenzione per la giustizia sociale, in modo che “in un Paese ricco come l’Australia”, chi ha difficoltà a sopravvivere sia aiutato da chi ha più possibilità. Inoltre, per i migranti e i rifugiati, i vescovi chiedono “un trattamento dignitoso e in accordo con la legge internazionale”; per le donne auspicano “protezione da tutte le forme di violenza”, ottenibile incrementando le pari opportunità e sostenendo il congedo parentale retribuito. Il pensiero della ACBC va poi ai nativi: “Finché i più svantaggiati fra loro non avranno superato le attuali condizioni di vita da Terzo Mondo – si legge nella nota – tutti gli australiani devono vergognarsi e lavorare insieme per cambiare la situazione”. Un altro appello riguarda i disabili: per loro, la Chiesa australiana chiede “il diritto ad una qualità di vita pari a quella degli altri cittadini” ed un miglioramento nei servizi di assistenza. Gli ultimi due temi affrontati nella dichiarazioni riguardano l’ambiente e l’educazione: il primo da tutelare, non solo per il presente, ma anche per il futuro; la seconda da sostenere attraverso finanziamenti scolastici equi e rispettando le scelte dei genitori. Infine, la Chiesa australiana ricorda il proprio contributo nella costruzione della società, contributo portato avanti attraverso “scuole, università, ospedali, servizi di assistenza, cure per gli anziani, relazioni internazionali e lotta alla povertà locale e nel resto del mondo”. Le elezioni del 21 agosto, lo ricordiamo, sono state indette da Julia Gillard, esponente laburista e prima donna premier della storia australiana. Secondo gli ultimi sondaggi, il partito Labour sarebbe favorito per la conquista di un secondo mandato triennale; il partito conservatore sembra comunque risalire nei consensi. (A cura di Isabella Piro)

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    Cile: 34 minatori intrappolati in una miniera. Appello di mons. Quintana

    ◊   Il vescovo della città cilena di Copiapò, a 800 chilometri a nord della capitale Santiago, mons. Gaspar Francisco Quintana Jorquera, ha celebrato ieri la Santa Messa all’ingresso di una miniera, dove da giovedì pomeriggio sono intrappolati 34 minatori. Il presule, circondato dai parenti dei minatori della miniera “San José”, ha sottolineato che si tratta di un gravissimo incidente. Un incidente “che deve servire come richiamo a tutti nell’ambito della sicurezza dei lavoratori”. Mons. Quintana ha poi invitato tutto il Paese “a pregare perché queste persone possano essere salvate”. “Possano avere successo” – ha aggiunto - i diversi gruppi di soccorso che lavorano ininterrottamente da giorni. Le operazioni dei soccorritori sono però ostacolate da diversi crolli all’interno della galleria che potrebbe consentire di raggiungere i minatori. Si stanno quindi scavando altre vie di accesso con lo scopo di portare loro ossigeno, acqua e cibo. Il presule, le cui parole sono state trasmesse dalla televisione nazionale, ha chiesto inoltre ai cileni di “pregare il Signore della Vita perché questi lavoratori siano riportati sani e salvi ai loro cari”. Il vescovo ha anche chiesto preghiere per i familiari di queste persone “in quest’ora di sofferenza, dolore e angoscia”. “Deve essere una preghiera corale, una grande catena di amore e solidarietà”, ha affermato mons. Quintana. Affidando queste 34 persone e i loro cari alla “Virgen de la Candelaria”, così amata e venerata dai minatori del nord del Cile, mons. Quintana ha ribadito poi che si deve compiere “ogni sforzo per salvare queste vite preziose agli occhi di Dio”. In un’intervista rilasciata al quotidiano “La Tercera” il vescovo di Copiapò ha posto infine diverse domande sulla sicurezza delle miniere cilene e sulle regole che i responsabili devono applicare. Mons. Quintana ha detto di temere che non siano state prese molte delle precauzioni necessarie. Precauzioni imprescindibili “quando si manda un gruppo di uomini nel ventre della terra”. “La gente alla ricerca di un lavoro per mantenere la famiglia – ha concluso - accetta di lavorare in condizioni precarie. Se così fosse vuol dire che siamo di fronte a casi di sfruttamento umano vergognoso”. (A cura di Luis Badilla)

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    Il cardinale López Rodríguez apre l’anno giubilare per i 500 anni dell’arcidiocesi di Santo Domingo

    ◊   Il cardinale primate dell’America, arcivescovo di Santo Domingo, Repubblica Dominicana, Nicolás de Jesús López Rodríguez, con una solenne celebrazione eucaristica ha aperto l’anno delle celebrazioni per il Quinto centenario della diocesi, fra le prime del Nuovo Mondo, che si concluderanno il 18 agosto 2011. La diocesi di Santo Domingo è stata creata per volere di Papa Giulio II, Giuliano della Rovere, con la bolla “Romanus Pontifex” del 18 agosto 1511, insieme con altre due: Concepción de La Vega (Repubblica Dominicana) e San Juan, nell’isola di Porto Rico. La diocesi di Santo Domingo, che Giovanni Paolo II ha chiamato “la primogenita del Nuovo Mondo”, ha il titolo di Primate dell’America e lungo questi cinque secoli ha avuto 43 pastori di cui 32 arcivescovi e due cardinali. Il cardinale López Rodríguez in una lettera al clero dell’arcidiocesi ricorda che in realtà lo stesso Giulio II aveva già creato nel 1504 le prime tre diocesi delle Americhe, fra cui quella di Santo Domingo, nominando vescovo mons. Pedro de Deza. Ma la decisione del Pontefice non fu accettata da parte della corona spagnola che in pratica impedì l’esecuzione del volere di Giulio II. Ieri, prima della Santa Messa, migliaia di fedeli hanno preso parte alla processione che si è snodata dal convento dei domenicani fino alla cattedrale in segno di azione di grazia. Saranno proprio le processioni una delle caratteristiche principali delle celebrazioni di quest’anno giubilare. Nel corso della sua omelia lil porporato ha annunciato che oltre alla cattedrale della capitale altri santuari sono stati inclusi nell’elenco di quelli “giubilari” come: il “Santuario Nacional del Santo Cristo de Bayaguana” e diverse chiese parrocchiali legate alla storia dell’arcidiocesi dai primissimi tempi. Il cardinale López Rodríguez, inoltre, ieri ha consegnato ai parroci la “croce evangelizzatrice” che sarà il centro di numerosi pellegrinaggi che nel corso dell’anno si faranno in tutto il Paese. Altre iniziative annunciate sono una Campagna nazionale biblica, un Congresso eucaristico (nel mese di giugno 2011), numerosi e diversi eventi culturali e artistici legati alla cultura religiosa e alle forti radici cristiane dei dominicani. Un momento importante dell’anno giubilare sono le numerose conferenze che terranno tutti i vescovi del Paese, ospiti internazionali, ed esperti laici, con lo scopo di ripercorrere una lunga e ricca storia umana, religiosa ed ecclesiale che è entrata a far parte del carattere e dell’anima del popolo dominicano. (L.B.)

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    Messaggio dei vescovi costaricensi: rilanciare la missione tra la gente

    ◊   Nell’ambito dell’Anno Giubilare e in occasione del 375.mo anniversario della scoperta dell’immagine di Nostra Signora degli Angeli, la Conferenza episcopale della Costa Rica, a conclusione della sua 100.ma assemblea plenaria, ha pubblicato un messaggio per condividere con il popolo le riflessioni al centro dei lavori che si sono tenuti dal 3 al 6 agosto presso il seminario nazionale. Conversione pastorale, famiglia e violenza nel mondo giovanile sono le questioni affrontate nel documento diffuso dai presuli. Per quanto riguarda la prima tematica i vescovi attingono al documento della Missione Continentale lanciata nel 2007 ad Aparecida da Papa Benedetto XVI in cui si esorta a passare “da una pastorale di conservazione ad una pastorale decisamente missionaria” per avere “un impatto significativo sulla realtà sociale”. I presuli invitano quindi ad assumere la sfida di formulare un'adeguata azione pastorale “per inculturare e rendere comprensibile il Vangelo agli uomini di oggi”. “Vogliamo una Chiesa che sia capace di andare incontro all’essere umano – si legge nella nota pubblicata a margine dell’assemblea plenaria –. Una Chiesa che sia capace di esprimersi come comunità viva sotto l’azione dello Spirito Santo”. Nel documento viene poi introdotto il tema della famiglia lanciando lo slogan per il mese di agosto: “Famiglia dono di Dio per la società”. I presuli riportano dunque l’attenzione sulla necessità di rendere consapevoli le famiglie del loro ruolo nella formazione della società. Per questo motivo viene fatto inoltre appello alle autorità politiche per la promozione di una vera politica “per la salvaguardia della famiglia nella sua unità e integrità” e nel rispetto assoluto del matrimonio fra un uomo e una donna. Infine i vescovi esprimono grande preoccupazione per il crescente fenomeno della violenza giovanile. “In particolare ci angoscia – si legge ancora nel documento – il fatto che molti giovani si rendano protagonisti di comportamenti dannosi per se stessi e la società”. “La Chiesa ama e ha bisogno dei giovani – proseguono i presuli – e anche loro hanno bisogno della Chiesa quando cercano di costruire il loro futuro”. I presuli prendono atto della necessità di “rafforzare l'azione pastorale, con obiettivi chiari, capaci di promuovere la partecipazione e la responsabilità dei giovani stessi”. Lo sviluppo dell'individuo, oltre che la conoscenza, dovrebbe suscitare principi, valori e atteggiamenti. Per fare questo la conferenza episcopale ricorda l’insegnamento di san Giovanni Bosco, le cui reliquie hanno visitato di recente il Paese: “L'istruzione dipende dalla formazione del cuore”. La conferenza episcopale propone, in conclusione, un approfondimento dei temi affrontati attraverso una serie di occasioni di confronto che favoriscano la riflessione e la coltivazione dei valori umani, etici e spirituali del popolo costaricense. (M.G.)

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    San Giovanni Rotondo: tentato furto di alcune reliquie di Padre Pio

    ◊   Tentato furto di alcune reliquie di San Pio da Pietrelcina, custodite nella cappella cimiteriale di San Giovanni Rotondo dei Frati Minori Cappuccini. Secondo quanto accertato dai carabinieri, ieri notte i ladri sono entrati nella cappella protetta da una cancellata, dopo aver sfondato una finestra, tentando invano di rompere la teca contenente alcune reliquie del santo con un oggetto appuntito riuscendo solo a scalfirne il vetro. Sull'episodio sono in corso indagini da parte dei carabinieri del comando provinciale che hanno già effettuato "accertamenti tecnici" per cercare eventuali tracce lasciate dagli autori del tentato furto. Le reliquie custodite nella cappella, a quanto si è appreso, sono costituite da alcuni capelli, una garza che avvolgeva il costato insanguinato e un paio di guanti. Dallo scorso 19 aprile, il corpo del frate con le stimmate è nella cripta della chiesa inferiore del Santuario a lui dedicato, ideato dall'architetto Renzo Piano, dopo il trasferimento dalla chiesa di Santa Maria delle Grazie. (M.G.)

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    24 Ore nel Mondo



    L'arcivescovo di Nagasaki: le potenze nucleari non vogliono rinunciare all'atomica

    ◊   La città di Nagasaki, nel Giappone meridionale, ha celebrato oggi il 65.mo anniversario dallo scoppio della seconda bomba atomica della storia, tre giorni dopo quella di Hiroshima, con il sindaco della città che ha rilanciato il forte impegno per il disarmo nucleare e criticato duramente il governo nipponico per la sua "ambiguità" sul tema. Nel Parco della Pace di Nagasaki, epicentro dell'esplosione atomica che incenerì la città, si sono raccolte oltre 6.000 persone con inviati da 32 Paesi, tra cui Israele, Pakistan e Russia, con la prima presenza assoluta di Francia e Gran Bretagna e l'assenza degli Stati Uniti, che erano stati rappresentati dall'ambasciatore in Sol Levante, John Roos, nella cerimonia di Hiroshima. Il servizio di Giuseppe D’Amato:

    Le celebrazioni per i 65 anni dei due bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki sono ormai conclusi. Le autorità giapponesi danno un giudizio positivo sul loro esito. Finalmente gli Stati Uniti hanno inviato un loro rappresentante ufficiale a Hiroshima. È venuto il momento di tentare di cicatrizzare una ferita che da troppo tempo sanguina. I sindaci di Hiroshima e Nagasaki, da sempre voci autorevoli contro la proliferazione nucleare a livello mondiale, invitano la comunità internazionale a fare di più per il disarmo. Siamo però sulla via giusta: si tenta la difficile strada dell’abolizione delle armi nucleari. I cattolici di Nagasaki hanno un posto di rilievo in questa battaglia. Ne abbiamo parlato con l’arcivescovo della città, mons. Mitsuaki Takami, che in aprile e maggio portò in pellegrinaggio la statua della Madonna bombardata, in udienza da Papa Benedetto XVI, in Spagna e, negli Stati Uniti, al Palazzo di Vetro:

    R. – Noi preghiamo per le vittime della bomba e insistiamo perché non si faccia più la guerra, non ci sia più la violenza e si faccia di tutto per avere la pace.

    D. – Recentemente lei ha dichiarato che l’abrogazione delle armi atomiche non sta procedendo come previsto...

    R. – Tutti i grandi Paesi che hanno queste armi nucleari non vogliono più abbandonarle. Dicono che ne hanno bisogno per avere la pace. Io non capisco questa logica. Dobbiamo fare qualcosa.

    Corea
    L'artiglieria nordcoreana è entrata in azione oggi nel Mar Giallo, in acque confinanti con quelle della Corea del Sud, in una fase di alta tensione fra i due Paesi. Lo hanno reso noto media sudcoreani e la notizia è stata confermata da fonti militari di Seul. L'artiglieria di Pyongyang è entrata in azione in coincidenza con la fine di esercitazioni navali sudcoreane vicino alle acque frontaliere. La tensione è salita negli ultimi mesi fra le due Coree dopo l'affondamento di una nave da guerra sudcoreana da parte delle forze del Nord. Un ulteriore motivo di conflitto è il sequestro, sabato scorso, di un peschereccio sudcoreano e del suo equipaggio in navigazione nel Mar del Giappone, vicino alla Zona economica esclusiva nord-coreana. Seul è tornata oggi ad esigerne la liberazione.

    Medio Oriente
    Israele non ha violato il diritto internazionale nel caso della flottiglia pro-Gaza di fine maggio scorso: è quanto ha affermato il premier Netanyahu davanti alla Commissione di inchiesta presieduta dall'ex giudice della Corte Suprema Yaacov Tirkel. Il servizio di Fausta Speranza:

    Israele ha operato nel pieno rispetto del diritto internazionale quando ha fatto scattare il blitz della marina militare, il 31 maggio scorso, sulla Mavi Marmara, la nave turca di attivisti filopalestinesi, nel corso del quale nove attivisti furono uccisi. È quanto afferma il premier israeliano. La nave era parte di una flottiglia che intendeva rompere il blocco navale imposto da Israele su Gaza. Nella Striscia di Gaza il potere è nelle mani di Hamas, movimento islamico che Israele considera terroristico. Netanyahu ha affermato che nella sua veste di premier non poteva ignorare la minaccia che Hamas rappresenta all'esistenza di Israele. Ma poi aggiunge di aver dato, nelle discussioni che hanno preceduto l'arrembaggio della flottiglia, rigide istruzioni perché si facesse uno sforzo supremo per evitare di causare vittime. E aggiunge che le stesse raccomandazioni giunsero dal ministro della Difesa, Barak. Quest'ultimo, a quanto risulta, deporrà domani davanti alla Commissione. Intanto oggi si parla di un presunto accordo tra Libia e Israele: un israeliano di origini libiche arrestato in Libia con l'accusa di spionaggio sarebbe stato liberato in cambio dell'assenso di Israele all'arrivo a Gaza del carico di una nave di aiuti per i palestinesi.

    In Afghanistan attacchi di talebani nella provincia sud-orientale di Paktika
    Commando di talebani hanno attaccato oggi all'alba una base congiunta di militari della Nato e afghani nella provincia sud-orientale di Paktika. Il maggiore Muhammad Harun, scrive al riguardo l'agenzia, ha precisato che un gruppo di sette insorti, fra cui alcuni kamikaze, hanno attaccato verso le 4,30. Un kamikaze, ha precisato l'ufficiale afghano, è stato ucciso dai soldati mentre si avvicinava alla base mentre il secondo si è fatto saltare in aria dopo una sparatoria, senza provocare feriti. Gli altri cinque talebani, si dice infine, si sono ritirati nascondendosi nelle case di un villaggio vicino.

    Iran
    Il capo dell'apparato giudiziario iraniano, ayatollah Sadeq Amoli Larijani, ha risposto duramente ad alcune critiche mosse alla magistratura dal presidente Mahmud Ahmadinejad, definendole “ingiustificabili” nel merito e nella forma. “Da un presidente ci aspettiamo che usi un linguaggio corretto e decoroso”, ha affermato Larijani, citato oggi dal quotidiano Shargh. Il capo della magistratura si riferiva ad un discorso fatto da Ahmadinejad due giorni fa ad un pubblico di rappresentanti della stampa in occasione della Giornata del giornalista, in cui ha attaccato i giudici per una condanna pronunciata nei confronti di un suo stretto collaboratore, l'ex direttore dell'agenzia ufficiale Irna, Mohammad Javad Behdad. Il giornalista, accusato di avere scritto un articolo offensivo nei confronti del presidente del Parlamento Ali Larijani – fratello dell'ayatollah Larijani - e dell'ex presidente della Repubblica Akbar Hashemi Rafsanjani, è stato condannato a 7 mesi di reclusione con la sospensione condizionale. Secondo il capo dell'apparato giudiziario, le critiche di Ahmadinejad alla sentenza mostrano che il presidente “non conosce la legge”.

    Un diamante enorme a Naomi Campbell: la deposizione di Mia Farrow
    Non erano “pietruzze dall’aspetto sporco”, ma un diamante “enorme”. Mia Farrow smentisce le dichiarazioni rilasciate la scorsa settimana da Naomi Campbell al Tribunale speciale per la Sierra Leone nel processo a carico dell’ex presidente della Liberia, Charles Taylor, per crimini di guerra contro l’umanità. “Mi disse di aver ricevuto un diamante enorme da parte di Taylor”, ha dichiarato l’attrice statunitense al Tribunale dell’Aja. “Mi disse di essere stata svegliata nella notte da alcuni uomini che bussavano alla sua porta; erano stati mandati da Taylor per darle un diamante enorme”, ha testimoniato Mia Farrow, sotto giuramento. Secondo l’attrice, la modella la mattina a colazione parlò di un fatto che le era capitato durante la notte. “Naomi mi disse che voleva donare il diamante a Nelson Mandela”.

    Marea nera: la Bp ha già speso 6,1 miliardi di dollari
    La compagnia britannica Bp ha reso noto che le spese relative alla lotta contro la marea nera, dove il pozzo all’origine della catastrofe ambientale è stato finalmente sigillato, hanno raggiunto quota 6,1 miliardi di dollari, 4,6 miliardi di euro. La cifra comprende le spese sostenute dal gruppo per far fronte all’emergenza, le operazioni per cementare il pozzo, i pagamenti agli Stati costieri e alle autorità federali e le domande di indennizzo già corrisposte. La Bp ha precisato di aver ricevuto 145mila richieste di risarcimento e di aver effettuato 103.900 pagamenti, per un totale di 319 milioni di dollari. Si tratta di un bilancio provvisorio. Il colosso petrolifero ha deciso a giugno di creare un fondo da 20 miliardi di dollari da spendere per risarcire vittime. L’azienda ha inoltre reso noto che le prove di pressione hanno confermato il successo dell’operazione per cementare i pozzi della piattaforma Deepwater Horizon all’origine del peggior disastro ecologico nella storia degli Stati Uniti

    Arrestato in Indonesia influente leader islamico
    La polizia indonesiana ha arrestato un influente leader religioso islamico, Abu Bakar Bashir, nell'ambito di un'inchiesta su minacce d'attentati che ha portato all'arresto di cinque sospetti tra sabato e domenica. Lo si apprende da fonti di polizia che precisano che Bashir, sospettato di legami con il terrorismo, è stato arrestato nell'ovest dell'isola di Giava ed è stato condotto nella sede della polizia a Giakarta. La Jemaah Islamiyah (Ji) è un'organizzazione integralista islamica clandestina considerata collegata ad Al Qaeda ed è diffusa in diversi Paesi del Sud-est asiatico. Fondata nel 1993 da Abu Bakar Bashir, religioso indonesiano direttore di una madrassa (scuola coranica) a Giava e da Abdullah Sungkar, anch'egli indonesiano, Jemaah Islamiyah (Comunità islamica) ha come fine ultimo la creazione di uno Stato islamico, o califfato, che comprenda Indonesia, Malaysia, Singapore, il sultanato del Brunei, il sud della Thailandia e il sud delle Filippine, tutti territori a maggioranza islamica. La Ji è considerata responsabile di numerosi attentati e omicidi, fra cui le stragi terroristiche di Bali nell'ottobre 2002 (202 morti, 88 dei quali turisti australiani), all'hotel Marriott di Giakarta il 5 agosto 2003 (12 morti) e di nuovo a Bali nell'ottobre 2005 (20 morti). (Panoramica internazionale a cura di Fausta Speranza)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIV no. 221

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