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Sommario del 21/12/2009

Il Papa e la Santa Sede

  • L'uomo impari di nuovo a riconoscere la colpa se vuole la pace in terra: così il Papa per gli auguri alla Curia. La Chiesa apra uno spazio di accesso a Dio per i lontani
  • Rinunce e nomine
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • La Terra Santa si appresta a celebrare il Natale: la testimonianza del parroco di Beit Jala
  • Riforma sanitaria Usa: le preoccupazioni dei vescovi per l'aborto
  • Emergenza freddo in Europa: a rischio clochard e immigrati irregolari
  • Il cardinale Saraiva Martins: necessaria un'ecologia dello sport
  • Bilancio di 45 anni del Sermig. Olivero: "il mondo si può cambiare"
  • Si rinnova la tradizione del Presepe della Stazioni Termini a Roma
  • Chiesa e Società

  • Rapporto sui Paesi arabi: in crescita le violazioni dei diritti umani
  • India: in Parlamento la parità dei diritti per dalit cristiani e musulmani
  • Vertice sul clima: Caritas e Cisde parlano di "accordo moralmente riprovevole"
  • Natale negli Usa: spot televisivi per i tanti cattolici non praticanti
  • Cina: opere di carità e concerti natalizi, occasione di evangelizzazione
  • Spagna: il Forum delle Famiglie denuncia la visione ideologica della nuova legge sull’aborto
  • Lituania: disegno di legge sull’obiezione di coscienza con il contributo dei vescovi
  • Perù: il presidente dei vescovi chiede di mettere fine alle violenze e all'odio nel Paese
  • Chiesa australiana in festa per suor Mary McKillop: sarà la prima santa del Paese
  • Australia: il vescovo Elliott sull’ammissione degli anglicani tradizionalisti nella Chiesa
  • Pakistan: Natale fra i tribali per i bambini dell’Infanzia Missionaria
  • Polonia: al via il progetto dell’Infanzia Missionaria per i bambini del Pakistan
  • Guinea Bissau: diminuiscono le morti materne per il parto
  • Festa grande per la più antica comunità cattolica della Thailandia
  • Irlanda. I movimenti pro-vita: gli embrioni non sono tutelati dalla legge
  • Prima lettera natalizia del nuovo vescovo di Hong Kong
  • Convention del Rinnovamento carismatico cattolico in India
  • Brunei: la pastorale giovanile al centro della vita della Chiesa locale
  • Deceduto il padre gesuita Antoni Mruk, ultimo confessore di Giovanni Paolo II
  • Messaggio di Natale del vescovo di Trapani: “Scalfire le coscienze per sconfiggere la mafia"
  • 24 Ore nel Mondo

  • Ritrovata la scritta “Arbeit macht frei” rubata ad Auschwitz
  • Il Papa e la Santa Sede



    L'uomo impari di nuovo a riconoscere la colpa se vuole la pace in terra: così il Papa per gli auguri alla Curia. La Chiesa apra uno spazio di accesso a Dio per i lontani

    ◊   Imparare nuovamente la capacità di riconoscere la colpa e fare il primo passo verso l’altro per costruire la pace: è questo l’auspicio del Papa nel tradizionale incontro di fine anno con la Curia Romana e i responsabili del Governatorato per gli auguri natalizi, svoltosi questa mattina nella Sala Clementina in Vaticano. Benedetto XVI ha ripercorso alcuni importanti eventi ecclesiali dell’Anno: i suoi viaggi in Africa, in Terra Santa e nella Repubblica Ceca, il Sinodo per l’Africa, l’indizione dell’Anno Sacerdotale. Il saluto al Papa lo ha rivolto il cardinale Angelo Sodano, decano del Collegio Cardinalizio. Ce ne parla Sergio Centofanti:

     
    Un anno in gran parte nel segno dell’Africa per la Chiesa. Il Papa ricorda così il 2009: dai suoi viaggi in Camerun e Angola al Sinodo per l’Africa, dove si è sperimentata l’ecclesiologia del Concilio Vaticano II:

     
    “In occasione della mia visita in Africa si è resa evidente innanzitutto la forza teologica e pastorale del Primato Pontificio come punto di convergenza per l’unità della Famiglia di Dio. Lì, nel Sinodo, è emersa ancora più fortemente l’importanza della collegialità – dell’unità dei Vescovi, che ricevono il loro ministero proprio per il fatto che entrano nella comunità dei Successori degli Apostoli: ognuno è Vescovo, Successore degli Apostoli, solo in quanto partecipe della comunità di coloro nei quali continua il Collegium Apostolorum nell’unità con Pietro e col suo Successore”.

     
    Il Sinodo ha affrontato il tema della riconciliazione, della giustizia e della pace che – ha detto il Papa – “poteva essere frainteso come un tema politico”:

     
    “Ma in questo non si doveva cedere alla tentazione di prendere personalmente in mano la politica e da pastori trasformarsi in guide politiche. In effetti, la questione molto concreta davanti alla quale i pastori si trovano continuamente è, appunto, questa: come possiamo essere realisti e pratici, senza arrogarci una competenza politica che non ci spetta? Potremmo anche dire: si trattava del problema di una laicità positiva, praticata ed interpretata in modo giusto”.

     
    I Padri Sinodali – ha notato il Papa – sono riusciti a mantenersi su una dimensione pastorale ribadendo, di fronte alle tragedie del continente africano, che la pace può realizzarsi solo attraverso una realtà pre-politica che è quella della riconciliazione con Dio. Senza la riconciliazione con Dio – ha affermato Benedetto XVI – l’uomo non è riconciliato non solo col prossimo ma neppure con se stesso. Occorre fare come Cristo, che ha fatto il primo passo: “Per primi andare incontro all’altro, offrirgli la riconciliazione, assumersi la sofferenza che comporta la rinuncia al proprio aver ragione”:
     
    “Dobbiamo oggi apprendere nuovamente la capacità di riconoscere la colpa, dobbiamo scuoterci di dosso l’illusione di essere innocenti. Dobbiamo apprendere la capacità di far penitenza, di lasciarci trasformare; di andare incontro all’altro e di farci donare da Dio il coraggio e la forza per un tale rinnovamento. In questo nostro mondo di oggi dobbiamo riscoprire il Sacramento della penitenza e della riconciliazione. Il fatto che esso in gran parte sia scomparso dalle abitudini esistenziali dei cristiani è un sintomo di una perdita di veracità nei confronti di noi stessi e di Dio; una perdita, che mette in pericolo la nostra umanità e diminuisce la nostra capacità di pace”.

     
    Ricordando il viaggio in Giordania e Terra Santa, ha parlato delle sofferenze e delle speranze del popolo palestinese. Quindi ha rievocato la visita al Memoriale dell’Olocausto:

     
    “La visita a Yad Vashem ha significato un incontro sconvolgente con la crudeltà della colpa umana, con l’odio di un’ideologia accecata che, senza alcuna giustificazione, ha consegnato milioni di persone umane alla morte e che con ciò, in ultima analisi, ha voluto cacciare dal mondo anche Dio, il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe e il Dio di Gesù Cristo. Così questo è in primo luogo un monumento commemorativo contro l’odio, un richiamo accorato alla purificazione e al perdono, all’amore”.

     
    Poi ha ricordato i suoi incontri nei luoghi dove Gesù è vissuto, morto e risorto. “E’ stato come un toccare la storia di Dio con noi” – ha affermato - ribadendo con forza che “la fede non è un mito”:

     
    “È storia reale, le cui tracce possiamo toccare con mano. Questo realismo della fede ci fa particolarmente bene nei travagli del presente. Dio si è veramente mostrato. In Gesù Cristo Egli si è veramente fatto carne. Come Risorto Egli rimane vero Uomo, apre continuamente la nostra umanità a Dio ed è sempre il garante del fatto che Dio è un Dio vicino. Sì, Dio vive e sta in relazione con noi. In tutta la sua grandezza è tuttavia il Dio vicino, il Dio-con-noi, che continuamente ci chiama: Lasciatevi riconciliare con me e tra voi! Egli sempre pone nella nostra vita personale e comunitaria il compito della riconciliazione”.

     
    Quindi ha parlato del suo viaggio nella Repubblica Ceca, terra dove sono diffusi ateismo e agnosticismo, lanciando un duplice appello: ai non credenti, perché non accantonino la questione di Dio; e ai credenti a rilanciare il dialogo con i lontani. Il Papa ricorda le parole di Gesù sul cosiddetto “cortile dei gentili”, l’atrio del Tempio in cui potevano entrare per pregare anche i pagani: uno spazio di preghiera in cui tutti possano rivolgersi al Dio ignoto, eppure vero, di cui hanno nostalgia:

     
    “Io penso che la Chiesa dovrebbe anche oggi aprire una sorta di ‘cortile dei gentili’ dove gli uomini possano in una qualche maniera agganciarsi a Dio, senza conoscerlo e prima che abbiano trovato l’accesso al suo mistero, al cui servizio sta la vita interna della Chiesa. Al dialogo con le religioni deve oggi aggiungersi soprattutto il dialogo con coloro per i quali la religione è una cosa estranea, ai quali Dio è sconosciuto e che, tuttavia, non vorrebbero rimanere semplicemente senza Dio, ma avvicinarlo almeno come Sconosciuto”.

     
    Infine, il Papa ricorda l’Anno Sacerdotale affermando che i sacerdoti devono essere “a disposizione di tutti: per coloro che conoscono Dio da vicino e per coloro per i quali Egli è lo Sconosciuto”. Quindi, ha rivolto a tutti i sacerdoti questo augurio per il Natale:

     
    “che noi diventiamo sempre più amici di Cristo e quindi amici di Dio e che in questo modo possiamo essere sale della terra e luce del mondo. Un santo Natale e un buon Anno Nuovo!”

     
    (applausi)

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    Rinunce e nomine

    ◊   Il Santo Padre ha accettato la rinuncia all’ufficio di ausiliare dell’arcidiocesi di Monterrey (Messico), presentata da mons. José Lizáres Estrada, per raggiunti limiti di età.

    Il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi di Cincinnati (U.S.A.), presentata da mons. Daniel E. Pilarczyk, per raggiunti limiti di età. Gli succede mons. Dennis M. Schnurr, finora arcivescovo coadiutore della medesima sede metropolitana.

    Benedetto XVI ha nominato vescovo di Saskatoon (Canada) mons. Donald Bolen, finora vicario generale di Regina. Mons. Donald Bolen è nato a Gravelbourg, allora sede vescovile, oggi nell’arcidiocesi di Regina, il 7 febbraio 1961. E’ stato ordinato sacerdote il 12 ottobre 1991 per l’arcidiocesi di Regina.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Al cospetto di Dio: in prima pagina, un editoriale del direttore sul discorso di Benedetto XVI alla Curia Romana.

    Betlemme città simbolo di una pace ricercata e attesa: all’Angelus il Papa ricorda che il Natale non è una favola ma la risposta di Dio alle attese dell’umanità.

    In rilievo, nell’informazione internazionale, la visita del premier libanese Saad Hariri a Damasco.

    Passione per l’avventura: in cultura, Giulia Galeotti intervista madre Maria Barbagallo, delle Missionarie del Sacro Cuore di Gesù, nel giorno della memoria liturgica di Santa Francesca Saverio Cabrini.

    Miraggio Italia: Gaetano Vallini recensisce “Francesca” di Bobby Paunescu, una spietata denuncia della società romena di oggi.

    Il fallimento delle scorciatoie: Luca Pellegrini su “Welcome” di Philippe Loiret, che racconta di un diciassettenne curdo in fuga dall’Iraq.

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    Oggi in Primo Piano



    La Terra Santa si appresta a celebrare il Natale: la testimonianza del parroco di Beit Jala

    ◊   Betlemme “città-simbolo della pace, in Terra Santa e nel mondo intero”. Queste le parole di Benedetto XVI ieri all’Angelus, nella quarta Domenica d’Avvento. Il Pontefice ha ricordato che proprio Betlemme purtroppo, “ai nostri giorni, non rappresenta una pace raggiunta e stabile, ma una pace faticosamente ricercata e attesa”. Ciò nonostante, “la piccola città della Giudea” è pronta a celebrare il Natale di Gesù. Primo appuntamento, il 24 dicembre col Patriarca latino di Gerusalemme, mons. Fouad Twal, che già ieri - alla presenza di una delegazione di Pax Christi - ha celebrato una Messa a Gaza, ad un anno dall’operazione militare israeliana contro Hamas. Ma qual è la situazione in queste ore a Betlemme? Al microfono di Giada Aquilino, ascoltiamo padre Ibrahim Shomali, parroco di Beit Jala, vicino Betlemme:

    R. – E’ veramente sempre bello celebrare il Natale, perché Natale vuol dire che Dio è venuto a visitarci. La Sua visita è molto bella per noi, specialmente in questi tempi, perché di solito si aprono le porte chiuse dal muro di Betlemme, per far entrare prima il Patriarca e poi tutti coloro che celebrano. Dopo sarà una città aperta a tutti. Questo è il sogno della gente di Betlemme: aprire la città a tutto il mondo, perché tutti vengano a celebrare il Natale con noi.

     
    D. – Quali saranno le celebrazioni quest’anno?

     
    R. – A Betlemme ci sono delle celebrazioni speciali: il Patriarca di Gerusalemme Fouad Twal entrerà solennemente in piazza, accolto da tutte le comunità scout della Palestina all’una e mezzo. Ci sono molte persone che generalmente vengono da tutta la Palestina. Anche i musulmani partecipano a questa festa, come anche l’Autorità palestinese. Dopo si celebreranno i Vespri, nella Basilica di Santa Caterina, la Basilica della Natività, e a mezzanotte inizierà la Messa di Betlemme per tutto il mondo. Il 25 dicembre, giorno di Natale, alle 10 ci sarà la Messa per la parrocchia e i parrocchiani.

     
    D. – Le celebrazioni vanno avanti: ma qual è la situazione intorno a voi?

     
    R. – Non è cambiata per niente, perché il muro è ancora là, anche se non vediamo molti militari in giro: c’è la chiusura totale per la gente. Stiamo aspettando i permessi dalle autorità, ma nessuno sa quando arriveranno. La situazione, dunque, è molto difficile. E’ vero che non c’è la guerra, ma la pace non vuol dire assenza di guerra: il fuoco sta ancora sotto la cenere.

     
    D. – Da sempre il Papa ha un pensiero speciale per la Terra Santa. Anche ieri all’Angelus ha pregato per Betlemme. E sono tante pure le iniziative di solidarietà, come quelle di Pax Christi, che affiancano la popolazione civile. Che significato hanno questi appelli e queste iniziative?

     
    R. – Il Santo Padre è una voce morale per tutto il mondo. Noi sappiamo bene che la voce di Benedetto XVI è molto ascoltata. Sappiamo anche che il Papa è sempre stato vicino a noi: la sua visita a Betlemme ha avuto un gran successo. Qualcuno proprio ieri mi ha detto: “Noi preghiamo per il Santo Padre, perché quando è venuto in Terra Santa abbiamo sentito un padre che è venuto a salutare i suoi figli, ad amarli e a dire loro una parola di verità”. Questa voce grida nel deserto dei cuori della gente. Speriamo che un giorno, come la voce del Battista, sia ascoltata da tutti.

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    Riforma sanitaria Usa: le preoccupazioni dei vescovi per l'aborto

    ◊   Il Senato degli Stati Uniti potrebbe dare via libera al testo di riforma sanitaria entro Natale. Oggi, al primo dei tre voti procedurali previsti, il testo è passato con tutti i 60 voti dei senatori democratici. Il servizio di Fausta Speranza.

     
    Al Senato restano due voti procedurali, fissati per martedì e mercoledì, poi giovedì il voto finale, alla vigilia di Natale. Ma se approvato, il testo dovrà essere armonizzato con quello adottato dalla Camera dei Rappresentanti in novembre. Al momento il voto di oggi ha rappresentato il primo test cruciale al Senato: ha dimostrato che il testo, frutto di compromessi e limature, gode ora dell'appoggio di 60 senatori (i 58 democratici e due indipendenti), che lo mettono al riparo dall'ostruzionismo dei 40 senatori repubblicani, che hanno votato compatti contro. E contrarietà e preoccupazione sono stati espressi dalla Conferenza Episcopale statunitense in diversi interventi negli ultimi giorni. I vescovi ritengono che “fare una riforma sanitaria sia un bene pubblico, un imperativo morale e un’urgente priorità nazionale”, ma non possono condividere una novità che viene introdotta dal testo ora al Senato: in sostanza la novità è che l’interruzione volontaria di gravidanza può rientrare nella copertura sanitaria assicurata dai fondi pubblici. Attualmente non è così per nessuna copertura a livello di singoli Stati o – sottolineano i vescovi - neanche per la copertura sanitaria assicurata ai senatori o ad impiegati. I vescovi chiedono, dunque, che si confermi la restrizione dei fondi federali fin qui prevista e peraltro confermata nel testo licenziato dalla Camera. Come abbiamo detto, il testo che uscirà dal Senato dovrà essere armonizzato con quello approvato dalla Camera. In definitiva, in tema di assistenza sanitaria i vescovi tornano a ribadire “tre criteri morali”: il rispetto per la vita e per la libertà di coscienza; la sicurezza di assistenza sanitaria per i poveri; giustizia per gli immigrati. E ribadiscono che il governo federale non dovrebbe in nessun modo incoraggiare l’aborto.

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    Emergenza freddo in Europa: a rischio clochard e immigrati irregolari

    ◊   Numerosi disagi alla viabilità stradale, ferroviaria e area in tutta Europa a causa dell’ondata di freddo che ha investito il Vecchio Continente nelle ultime giornate. Ma desta soprattutto preoccupazione la condizione dei senza fissa dimora: 42 i morti in Polonia dove la temperatura è scesa a -20 gradi Celsius. La polizia ha intensificato le aree di pattugliamento invitando gli homeless ad accettare di dormire negli ostelli a disposizione per loro. Ma ''molti rifiutano questo aiuto'' fanno sapere le forze dell’ordine. Un decesso anche a Milano: si tratta di un clochard di 40 anni morto assiderato ieri in uno scantinato. Immediatamente predisposto dal Comune un piano speciale anti-freddo. Sull’emergenza in Italia e in Europa Paolo Ondarza ha intervistato Paolo Pezzana, presidente della FIOPD, federazione italiana degli organismi per le persone senza fissa dimora.

    R. – Devo rilevare che quest’anno la situazione, da un punto di vista istituzionale, in Italia è leggermente migliorata, nel senso che molte città hanno attivato dispositivi specifici per tempo. Restano tuttavia dei grossi problemi, in particolare due: il primo, legato al fatto che la grossa pressione che è stata fatta in Italia in questi ultimi tempi, contro i cosiddetti clandestini, rischia seriamente di comportare il fatto che molte persone senza dimora, immigrati e irregolarmente presenti in Italia, non si rivolgano alle strutture per paura di essere denunciate. Il secondo problema è il fatto che per prevenire le morti di freddo occorre un’attenzione 365 giorni all’anno, e questo purtroppo in moltissime realtà del nostro Paese e anche dell’Europa non si verifica.

     
    D. – A quali Paesi europei fa riferimento?

     
    R. – E’ il caso, ad esempio, della Francia, dove pur in presenza di forme di contrasto molto significative – un diritto all’alloggio che è stato sancito e si sta creando – esistono ancora moltissime fasce di persone precarie, che vivono in sistemazioni di fortuna: baracche, camper e soluzioni di questo genere. E sono proprio queste, dalla cronaca, le situazioni, ad esempio, che negli ultimi giorni hanno portato a decessi anche in quel Paese. Diversa è la situazione nei Paesi del nord, dove al rigore climatico sono più abituati e quindi dove è più difficile che si verifichino episodi di questo genere. In generale, però, il discorso che facevo, rispetto alla mancanza di una cura 365 giorni all’anno, vale per tutta Europa, non è un problema soltanto italiano.

     
    D. – Premesso che, e l’abbiamo ribadito, occorre un intervento da parte delle istituzioni, il singolo cittadino può fare qualche cosa?

     
    R. – Ci sono territori dove si può fare qualcosa di molto concreto. Penso a Roma, dove c’è un numero verde per chiamare il pronto soccorso sociale: questo è sicuremante è un gesto molto concreto. Laddove queste sistemazioni non esistano ci sono molte forme per offrire prossimità alle persone senza dimora: dal chiedere loro se può essere utile una coperta, all’interessarsi con i servizi sociali territoriali della situazione di queste persone. Un servizio sociale di territorio, quando viene interpellato da dieci, venti cittadini, perché c’è una persona che sta male all’angolo della strada, difficilmente rimane inattivo. Poi io lo dico sempre, a rischio di sembrare retorico: rendere visibili queste persone almeno ai propri occhi, degnandole di uno sguardo, di un sorriso, dello scambio di quattro parole, a volte può veramente fare di più che tanti discorsi di tipo politico ed amministrativo. Quattro parole scambiate regolarmente con la persona che sta all’angolo della strada possono aiutare questa persona anche quando non fa freddo, anche quando non ci sono problemi meteorologici esterni, a sentirsi nuovamente considerato una persona, e quindi a rimettersi in discussione, a trovare nel proprio interno quelle energie, che a volte sono l’unico strumento che può fare la differenza nel decidere di intraprendere davvero un percorso di reinclusione nella società.

     
    D. – Certo, senza avere la pretesa di avere poi quella competenza psicologica che è necessaria per aiutare queste persone...

     
    R. – Esattamente. A volte si tratta proprio di aiutare le persone a risentirsi persone, a ritrovare dentro se stessi le proprie energie. Le persone senza dimora sono persone precipitate in una spirale di dolore. Invertire questa tendenza dentro di loro a volte davvero passa per un sorriso.

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    Il cardinale Saraiva Martins: necessaria un'ecologia dello sport

    ◊   “Possa il gioco del calcio essere sempre più veicolo di educazione ai valori dell’onestà, della solidarietà e della fraternità, specialmente fra le giovani generazioni”: queste parole di Benedetto XVI sono state al centro dell’incontro “Calcio, valori in gioco” promosso nei giorni scorsi a Roma. Presente, tra gli altri, il cardinale José Saraiva Martins, prefetto emerito della Congregazione delle Cause dei Santi, appassionato di calcio. Luca Collodi gli ha chiesto se l’etica sia ancora praticabile nelle attività sportive oggi:

    R. – Non soltanto è possibile ma è anche necessario perché lo richiede la stessa natura dello sport, di ogni sport. Io penso che si possa anche parlare di un’ecologia sportiva, cioè il rispetto dei vari valori etici richiesti dallo sport. Si guarda più al commercio nello sport che non all’etica dello sport. Quest’ecologia sportiva, naturalmente, avrebbe come scopo eliminare certi difetti, ad esempio il doping o anche lo scandalo delle scommesse, che pongono seri interrogativi sulla realtà sportiva. Io direi che doping e scandali non sono solo episodi collaterali; al contrario, hanno la capacità di deformare la natura e la finalità della pratica sportiva, riducendola a puro interesse economico o a episodi di violenza.

     
    D. – C’è il rischio che il giornalismo sportivo veicoli un certo individualismo?

     
    R. – C’è certamente il rischio, molto forte, di cadere in un certo individualismo, guardare più ai singoli giocatori che al gruppo come tale. Questo è concepire il calcio e lo sport in generale in un modo totalmente contrario alla sua natura, perché – parliamo adesso del calcio – è chiaro che ci sono 11 giocatori, però c’è soprattutto un gruppo. Le unità, i singoli, sono in funzione del gruppo ed una squadra vince o perde se agisce, lavora e gioca come un gruppo e non come singoli. Il calcio – e lo sport in generale – è un’ottima occasione d’incontro e di dialogo, ha un grande potere educativo: giocando come gruppo i giovani imparano a considerarsi veramente come parte di un gruppo e non soltanto come singole persone. Poi ovviamente hanno anche una grande responsabilità i mezzi d’informazione, direi in particolare la tv, che oggi si trova in tutte le case: essere fedeli ai fatti, non dare un’interpretazione soggettiva che è la negazione della vera realtà dello sport. Questa è perciò una grande, immensa responsabilità della televisione e degli altri mezzi di comunicazione. Il loro compito è quello di informare.

     
    D. – Eminenza, il calcio può essere uno strumento di unione tra i popoli?

     
    R. – Certamente. Il calcio dev’essere un’ottima occasione d’incontro e di dialogo, al di là di ogni barriera di lingua, razza e cultura. Lo sport può e deve recare un valido apporto alla pacifica intesa fra i popoli e contribuire all’affermarsi nel mondo della nuova civiltà dell’amore. Giovanni Paolo II ha espresso questo concetto molte volte durante il suo Pontificato.

     
    D. – Lei ha citato Giovanni Paolo II che era un grande amante dello sport…

     
    R. – Lui è stato un vero sportivo. Ha capito in profondità il valore dello sport e lo ha praticato. E’ un bel modello di sportivo. Chissà se un giorno, magari, diventerà il patrono degli sportivi.

     
    D. – Quindi, Giovanni Paolo II protettore del mondo dello sport…

     
    R. – Dico soltanto che lui, come amante dello sport, rappresenta il vero concetto di sport dal punto di vista umano e cristiano, e per questo potrebbe eventualmente diventare - se Dio così volesse - patrono dello sport. (Montaggio a cura di Maria Brigini)

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    Bilancio di 45 anni del Sermig. Olivero: "il mondo si può cambiare"

    ◊   "Una buona notizia: il mondo si può cambiare". È questo lo slogan lanciato dal Sermig, il Servizio Missionario Giovani, che in questi giorni traccia un bilancio dei primi 45 anni di attività. Il gruppo, che ha sede in un ex arsenale militare di Torino trasformato nel cosiddetto “Arsenale della pace”, ha come missione quella di favorire la pace e di sconfiggere la fame nel mondo. Al microfono di Claudio Cavallaro il fondatore Ernesto Olivero fa un resoconto dei traguardi raggiunti finora:

    R. – A volte, per pudore, dico che il Sermig l’ha fondato Dio e che io cerco di non rovinarlo troppo. Non avrei mai immaginato un’avventura così particolare, straordinaria. Chi avrebbe immaginato che avremmo trasformato un arsenale militare in un arsenale di pace? Chi avrebbe immaginato che avremmo portato un po’ di sviluppo in 137 nazioni del mondo? Chi avrebbe immaginato che ogni giorno avremmo dato da dormire a duemila persone, avremmo dato tre o quattromila pasti al giorno? Questi 45 anni, quindi, sono uno stupore che sentiamo di dover donare a Dio, che ci ha inculcato sin da subito di essere totalmente della Chiesa.

     
    D. – Qual è invece il primo progetto dei prossimi 45 anni?

     
    R. – Per i giovani e con i giovani stiamo preparando un incontro all’Aquila il 28 agosto per invitare i grandi della terra per venire ad ascoltare i giovani. A me piacerebbe avere tanti responsabili del mondo, perché solo se i padri si riconciliano con i figli può esserci una nuova riconciliazione.

     
    D. – Il Sermig è nato 45 anni fa dal suo sogno di sconfiggere la fame e di cercare con i giovani le vie della pace. Oggi, nonostante l’ottimo bilancio delle vostre attività, non vedete quest’obiettivo ancora troppo lontano?

     
    R. – Noi crediamo che la fame nel mondo possa essere vinta in poco tempo se cambiamo in poco tempo la nostra vita e viviamo una vita più sobria.

     
    D. – Qual è il messaggio del Sermig al mondo d’oggi?

     
    R. – Lo slogan che tra poco lanceremo – e sono felice di lanciarlo attraverso la Radio Vaticana, perché la Radio Vaticana è un pezzo di Chiesa importante – è questo: “Il mondo si può cambiare, per sconfiggere l’odio, per sconfiggere le ingiustizie e per intravedere la bellezza dei giovani”.

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    Si rinnova la tradizione del Presepe della Stazioni Termini a Roma

    ◊   E’ stato inaugurato a Roma, il 18 dicembre scorso, con un concerto della Polizia di Stato, il Presepe della Stazione Termini. Una tradizione onorata da oltre vent'anni dai ferrovieri, che questa volta hanno ricostruito minuziosamente il paese di Greccio con il Convento dove San Francesco d’Assisi, nella notte di Natale del 1223, realizzò il primo presepe. Antonella Palermo ha raccolto il commento di Oliviero Pelliccioni, cappellano delle Ferrovie dello Stato.

    R. – L’ubicazione precisa è nell’atrio della biglietteria, dove c’è una stanza adibita proprio per il presepe.

     
    D. – Quest’anno come è fatto il presepe?

     
    R. – Per la prima volta è fatto, dentro un modellino di carro merci, con le rotaie e le traversine e dentro c’è il Presepe.

     
    D. – La tradizione del presepe alla Stazione Termini risale al 1958. Come erano fatti i presepi in quel tempo?

     
    R. - La Stazione Termini era famosa perché addirittura si montavano i binari grandi del treno e Gesù Bambino veniva poi messo in alto ad illuminare la scena. Questo però non piaceva molto, perché la gente è abituata al presepio tradizionale. Infatti, poi, dal 1979 abbiamo cominciato a fare i famosi presepi copiando tutto quanto da Roesler Franz, quello di Roma Sparita. Siamo andati avanti per 22 anni. Il Presepio misurava 34 metri quadrati ed occupava la parte centrale della zona di passaggio dei viaggiatori e c’era soltanto il presepio. Con la ristrutturazione della Stazione Termini, poi, la galleria è diventata il centro commerciale più importante della zona e non c’era più posto. Ci siamo, quindi, rifugiati nella cappella, ma con piccoli presepi. E questo fin quando l’ingegner Mauro Moretti ha detto di ritornare al presepio dentro la Stazione. Il presepio, naturalmente, è piccolo: il carro merci di cui parliamo misura un metro e sessanta, ma è fatto in modo artigianale e con molta cura. Ora, però, dentro non c’è più soltanto Gesù Bambino, ma c’è proprio il presepe tradizionale, con la scena della natività, i pastori, le pecore. Credo che piacerà perché pur essendo inserito in uno spazio ferroviario, il presepe è però tradizionale.

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    Chiesa e Società



    Rapporto sui Paesi arabi: in crescita le violazioni dei diritti umani

    ◊   L’ultimo rapporto del Cairo Institute for Human Rights Studies, dal titolo “Bastion of impunity, mirage of reform”, sottolinea un peggioramento della violazione dei diritti umani nei Paesi arabi, in riferimento al quadro emerso nel precedente rapporto, pubblicato nel 2008. L’analisi prende in considerazione la situazione in Egitto, Tunisia, Algeria, Marocco, Sudan, Libano, Siria, Territori Palestinesi, Iraq, Arabia Saudita, Bahrein, Yemen e dedica uno spazio particolare alla Lega Araba e al contributo dei Governi della regione nei programmi delle agenzie delle Nazioni Unite che si occupano dei diritti umani. Un capitolo del rapporto è altresì dedicato alle violazioni della dignità delle donne – come si può leggere sull’Osservatore Romano - e agli scarsi progressi registrati nel rispetto dei rapporti tra i sessi e a come il tema dei diritti delle donne sia talvolta strumentalizzato di fronte all’opinione pubblica internazionale. Nel 2004 la Lega Araba ha promosso un summit in Tunisia, in occasione del quale il tema dei diritti umani è stato posto per la prima volta al centro dell’“agenda” dei lavori. Nonostante i buoni propositi, la marcia delle riforme nella Regione sembra arrestarsi: “I paesi arabi – si ricava infatti dall’analisi – restano legati all’ampio spettro di leggi repressive che minano le libertà fondamentali”, tra cui quelle di culto, di espressione, di riunione e di associazione. Ad essere ostacolata, in maniera diretta o indiretta, è peraltro la stessa attività delle organizzazioni di volontariato attive nei Paesi per la tutela dei diritti. Per quanto riguarda in particolare le minoranze religiose ed etniche, nel 2009 in Egitto, sono stati registrati degli attacchi ad abitazioni di cristiani copti all’interno delle quali si stavano svolgendo dei riti di preghiera. Inoltre nella capitale si è disposta l’eliminazione dei nomi cristiani dati a strade, piazze e villaggi, sostituendoli con quelli arabi. In Siria, secondo il rapporto, sono i curdi a restare bersaglio di discriminazioni, nel Barhein invece sono gli sciiti, che costituiscono la maggioranza della popolazione. (C.P.)

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    India: in Parlamento la parità dei diritti per dalit cristiani e musulmani

    ◊   In India la parità di diritti civili per le minoranze cristiane e musulmane non è ma stata così vicina dall’essere riconosciuta. Il 18 dicembre scorso la Commissione nazionale sulle minoranze religiose e linguistiche (Ncrlm) ha infatti aperto una storica discussione sulla proposta di modifica della legge che da 59 anni divide i fuori casta a partire dalla loro appartenenza religiosa. E’ la prima volta che il tema viene discusso dal parlamento di New Delhi. Il rapporto realizzato da Rangnath Mishra, ex presidente della Corte suprema, “suggerisce che il paragrafo 3 del Constitution (Scheduled Castes) Order del 1950 – in origine limitato ai fuori casta indù, più tardi esteso a sikh e buddisti, ma che ancora esclude musulmani, cristiani, giainisti e parsi – dovrebbe essere completamente cancellato con un intervento appropriato così da svincolare totalmente lo status di fuori casta dalla religione e rendere la fascia sociale degli Scheduled Castes completamente neutra sul tema religioso, come già avviene per le Scheduled Tribes”. Il rapporto della Ncrlm, citato da AsiaNews, auspica inoltre il varo di un nuova norma che preveda per tutti i fuori casta quote garantite nell’impiego pubblico e nella rappresentanza politica. Resta ancora dibattuta la posizione dei fuori casta indù convertiti a islam e cristianesimo. Per Asha Das, membro della segreteria della Commissione, ad essi deve essere riconosciuto lo status di Other Backward Class e non di Scheduled Castes. Si tratta di un avvenimento storico. Pur non essendo certa la modifica della legge del 1950, è la prima volta che la discriminazione perpetrata ai danni dei dalit cristiani e musulmani viene messa in discussione in parlamento. La Ncrlm afferma che il Constitution (Scheduled Castes) Order va contro gli articoli 14, 15 e 25 della Costituzione. Il problema sollevato dal rapporto Rangnath è già stato affrontato in passato dalla Corte suprema che ha auspicato la revisione della norma. Nel 2000 i parlamenti degli Stati del Bihar, Uttar Pradesh e Andra Pradesh hanno varato leggi per l’equiparazione di tutti i dalit. Ma mai il tema era arrivato sino all’assemblea nazionale. E questo nonostante le promesse dei diversi premier succedutisi al governo e le proteste a livello nazionale e locale dei fuori casta musulmani e cristiani. L’arrivo al Parlamento del rapporto del Ncrlm giunge dopo l’ennesima serie d’iniziative promosse dai dalit cristiani e musulmani per il riconoscimento dei loro diritti e le seguenti contro-manifestazioni lanciate dai fuori casta indù insieme ai politici del Bharatiya Janata Party. (M.G.)

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    Vertice sul clima: Caritas e Cisde parlano di "accordo moralmente riprovevole"

    ◊   "Un accordo debole e moralmente riprovevole che rappresenterà un disastro per le popolazioni più povere del mondo". È una bocciatura senza appello il giudizio sui risultati del Conferenza Onu sul clima, che si è chiusa sabato scorso a Copenaghen, espresso da Caritas Internationalis e il Gruppo Cattolico Internazionale per lo Sviluppo e la Solidarietà (Cisde). In un comunicato, ripreso da Zenit, Caritas sottolinea come gli abitanti dei Paesi in via di sviluppo stiano già lottando con gli effetti dei cambiamenti climatici. Ancora più duro Niamh Garvey, membro Cisde Trocaire/Caritas Irlanda: "L'accordo proposto a Copenhagen non prevede gli impegni che la scienza ritiene necessari. Milioni di persone stanno lottando per tenere la testa fuori dall'acqua mentre i leader politici temporeggiano". La proposta, ha aggiunto Garvey "suggerisce un accordo non ambizioso e non vincolante che vede i Paesi stabilire i propri obiettivi individuali basandosi su ciò che si considera economicamente e politicamente fattibile più che su ciò che è richiesto dalla scienza e dalla giustizia". L'accordo proposto non presenta, infatti, dei termini temporali chiari per concludere un trattato giusto e legalmente vincolate nei prossimi mesi. Nell'ultimo decennio, la mancanza di volontà politica ha ostacolato gli sforzi internazionali di far fronte ai cambiamenti climatici, il cui impatto sui Paesi in via di sviluppo è diventato sempre più preoccupante. Il Segretario Generale del Cisde, Bernd Nilles, ha dichiarato dal canto suo che è inconcepibile che più di 100 leader mondiali riuniti per accordarsi in vista della risoluzione di un problema mondiale abbiano fallito a raggiungere un impegno adeguato e vincolante. "Possono chiamarlo un accordo storico, una dichiarazione, tutto ciò che vogliono - ha commentato -. La realtà è che i leader hanno fallito nel fornire una soluzione concreta ed efficace. Hanno perso questa opportunità storica per creare una via chiara e collettiva per un futuro sostenibile". Secondo Caritas e Cisde, i Paesi sviluppati dovrebbero vergognarsi. Le prove scientifiche e le analisi economiche, sostengono, mostrano chiaramente ciò che le Nazioni ricche dovrebbero fare termini di riduzione delle emissioni e di sostegno ai Paesi poveri. Il Segretario generale di Caritas Internationalis, Lesley Anne Knight, mette invece l’accento sul “livello d’impegno mostrato dalle persone di tutto il mondo nella corsa verso Copenhagen, che dimostra che la gente sostiene fermamente un forte accordo sui cambiamenti climatici”. Per questo motivo “i leader devono ora stabilire un termine per giungere a un accordo comprensivo e vincolante il prima possibile nei mesi a venire”. Il Cisde e la Caritas credono che il mondo non debba accettare niente che sia meno di un accordo giusto, ambizioso e legalmente vincolante che impegni i Paesi sviluppati a ridurre le emissioni di gas serra di più del 40% entro il 2020 basandosi sui livelli del 1990. L'alleanza vuole anche che i Paesi ricchi contribuiscano con 195 miliardi di dollari entro il 2020, oltre agli impegni già esistenti, per aiutare i Paesi in via di sviluppo a utilizzare le tecnologie verdi e a difendersi dalle conseguenze più gravi dei cambiamenti climatici. (M.G.)

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    Natale negli Usa: spot televisivi per i tanti cattolici non praticanti

    ◊   Per l’Avvento ed il Natale, l’associazione cattolica “Catholic Come Home” (Cch), in collaborazione con numerose diocesi cattoliche degli Stati Uniti d’America, sta diffondendo dei comunicati televisivi per incoraggiare i cattolici che si sono allontanati dalla fede e dalla pratica religiosa a ritornare “a casa” nelle loro parrocchie. Secondo il Pew Forum on Religion and Public Life, - riferisce l'agenzia Fides - un americano su quattro si dichiara cattolico, ma solo il 25% dei cattolici partecipa alla Messa ogni domenica, ed 1 su 10 americani si dichiara “ex cattolico”. I comunicati trasmessi sono di tre tipi, variano dai 30 secondi ai 2 minuti di lunghezza, vengono trasmessi nel prime-time e presentano la Chiesa cattolica secondo diversi punti di vista: uno mostra tutto quello che la Chiesa ha offerto e continua ad offrire di buono alla società, un altro presenta una persona che alla fine della propria vita si interroga su come l’abbia vissuta, altri comunicati sono brevi testimonianze di persone ritormate alla pratica della fede. Diverse altre diocesi hanno già programmato la trasmissione nella prossima Quaresima. Nell’arcidiocesi di Chicago i comunicati saranno trasmessi dai maggiori network dell’area in inglese, polacco e spagnolo. L’associazione “Catholic Come Home” (Cch), con sede ad Atlanta, è stata fondata da Tom Peterson, che dopo essere lui stesso “ritornato a casa” nella Chiesa cattolica, si sentì chiamato a organizzare iniziative destinate a promuovere l’evangelizzazione e la santità della vita umana. I suoi primi messaggi televisivi furono trasmessi nei circuiti televisivi nel 1998, in preparazione al Grande Giubileo dell’anno 2000. Nel 2008 la Cch ha trasmesso i suoi comunicati e utilizzato il suo sito interattivo per tre settimane, durante la Quaresima, nella diocesi di Phoenix, in Arizona, e si calcola che circa 3.000 cattolici della diocesi siano tornati alla Chiesa. Tom Peterson ha sottolineato che “nessuna équipe di marketing avrebbe potuto raggiungere questi risultati. Si tratta veramente di un movimento di apostolato suscitato e guidato dallo Spirito Santo. Il nostro invito in fondo è semplice: siamo cattolici, benvenuti a casa!”. (R.P.)

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    Cina: opere di carità e concerti natalizi, occasione di evangelizzazione

    ◊   Come negli anni passati, i cattolici cinesi stanno vivendo intensamente i preparativi al Santo Natale: le iniziative di carità svolte durante l’Avvento e programmate anche nel tempo di Natale costituiscono anche un’ottima occasione di trasmettere la Buona Novella di Dio che si fa uomo per salvarci dal peccato e per renderci tutti fratelli. Tante suore, seminaristi e sacerdoti sono già partiti in questi giorni per raggiungere le Comunità ecclesiali più lontane e preparare così la venuta di Gesù insieme ai fedeli delle comunità, approfittando di questa occasione anche per evangelizzare coloro che incontreranno. Numerose sono le iniziative di questo periodo di cui è giunta notizia all’agenzia Fides. Tra queste ricordiamo la V edizione della serata natalizia di beneficenza organizzata da Jinde Charities, l’ente caritativo cattolico cinese, svoltasi la sera del 18 dicembre, durante la quale sono stati raccolti oltre 30 mila euro. Con questa somma, che ha superato le aspettative degli organizzatori, potranno essere assicurate le spese annuali per il mantenimento ed i medicinali necessari a 100 bambini orfani, disabili e disagiati. Ospiti della serata sono stati collaboratori ed amici di Jinde Charities provenienti dall’Irlanda, dall’Australia, dalla Polonia, dalla Germania e da tutte le parti della Cina, Hong Kong incluso. Mons. Feng Xin Mao, vescovo della diocesi di Heng Shui e presidente di Jinde Charities, ha ringraziato tutti per la generosità e la disponibilitа dimostrate durante questi anni, che ha permesso alla comunità cattolica di offrire un servizio caritativo eccellente ed apprezzato dalla società, che alla fine si è trasformato da solo in una efficace testimonianza di fede. Dal 5 dicembre le suore della Congregazione dello Spirito Santo Consolatore della diocesi di Han Dan hanno portato in tante parrocchie il loro concerto natalizio intitolato “Aspettando Natale, il Signore è nel mio cuore”. La diocesi di Xian Xian concentra la sua preparazione al Natale sul tema del Ringraziamento e dell’Annuncio della buona novella. Ad oggi oltre 600 fedeli e 300 non cristiani hanno partecipato ai diversi concerti natalizi durante i quali è stato ampiamente distribuito del materiale per l’evangelizzazione. Il 24 ed il 25 dicembre, dopo la solenne Eucaristia di Natale, ci sarà un grande concerto natalizio e una serata dedicata al Natale, aperta a tutti. (R.P.)

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    Spagna: il Forum delle Famiglie denuncia la visione ideologica della nuova legge sull’aborto

    ◊   Non si ferma la polemica in Spagna dopo l’approvazione al Congresso della legge sull’aborto. La società civile iberica si è sollevata per difendere la vita nascente. Un impegno che vede in prima fila il Forum spagnolo della famiglia. “Noi ci impegneremo a continuare a lavorare attivamente – ha spiegato al Sir il presidente del Forum, Benigno Blanco – per tornare a creare una cultura della vita in Spagna e a non lasciare che nessuna donna o ragazza incinta si trovino in situazione di abbandono”. Per Blanco, “la legge approvata dal Congresso dei deputati è una delle più radicali del mondo poiché non si limita a non proteggere il bambino non ancora nato fino a limiti insopportabili, ma si configura anche ideologicamente il diritto all'aborto come parte del diritto della donna alla salute e stabilisce meccanismi per imporre questa visione in tutto il sistema educativo e sanitario spagnolo”. “Non c'è un precedente – continua Blanco – che io conosca di una legge che, oltre a depenalizzare l'aborto, pretenda di imporre una visione dell'aborto come qualcosa di buono che fa parte del diritto alla salute e alla vita di ogni donna”. “Non si è legiferato né a favore della donna né del bambino – ha infine ammonito Blanco - ma degli “imprenditori dell'aborto” e delle minoranze radicali a favore dell'ideologia di genere”. (M.G.)

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    Lituania: disegno di legge sull’obiezione di coscienza con il contributo dei vescovi

    ◊   In Lituania i medici obiettori di coscienza potranno rifiutarsi di praticare aborti. È quanto prevede un disegno di legge presentato in questi giorni al Seimas, il parlamento lituano. Il testo, preparato da una commissione mista composta da rappresentanti del governo e dell’episcopato, dovrebbe essere varato l’anno prossimo senza particolari difficoltà. Si tratta, come ha sottolineato il rappresentante legale della Conferenza episcopale Vygantas Malinauskas, di una modifica sostanziale della legge in materia, “perché legalizza il diritto dei medici di rifiutarsi di eseguire un aborto per motivi specificamente religiosi e di coscienza". Anche se l’attuale codice di deontologia medica in Lituania consente al personale sanitario di rifiutarsi di eseguire un aborto per motivi religiosi, la libertà di coscienza non è infatti formalmente prevista dalla legge oggi in vigore. A preoccupare i vescovi è anche lo status giuridico dei tirocinanti che potrebbero trovarsi costretti ad imparare pratiche che sono contrarie alle loro convinzioni. Su questo punto il Ministero della Salute lituano rileva, in una nota pubblicata sul suo sito, che se la libertà di coscienza va tutelata, uno studente di medicina deve essere comunque in grado di praticare un aborto nel caso dovesse trovarsi in futuro in situazioni di emergenza che potrebbero rendere necessaria un’interruzione della gravidanza per salvare la vita della madre. Il voto della legge è previsto nella prossima sessione primaverile del parlamento lituano. (A cura di Lisa Zengarini)

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    Perù: il presidente dei vescovi chiede di mettere fine alle violenze e all'odio nel Paese

    ◊   Il presidente della Conferenza episcopale del Perù, l'arcivescovo di Trujillo, mons. Miguel Cabrejos, ha invitato le autorità a rendere più efficace il lavoro della polizia riguardo la sicurezza pubblica. Una marcia per la pace ha riunito migliaia di persone nella città peruviana di Trujillo, 570 chilometri a nord di Lima, per protestare contro la violenza e l'insicurezza nella quale vive questa città. Tra i partecipanti, lo stesso arcivescovo di Trujillo, il quale ha ricordato come sia essenziale che le autorità diano la precedenza al lavoro della polizia. Prendendo atto che è fondamentale dire “no alla criminalità”, l'arcivescovo Miguel Cabrejos - riferisce l'agenzia Fides - ha letto un messaggio nella piazza principale della città in cui ha chiesto di dire “Basta con la violenza fisica e l'aggressione verbale, basta con l'aggressione e l'oltraggio, basta con la vendetta e l'odio, con l'estorsione e la rapina, con il rapimento e il sequestro di persona, con la truffa e l'omicidio”. Ha inoltre dichiarato che la città di Trujillo necessita di un rafforzamento di un migliaio di agenti di polizia per combattere il crimine che, negli ultimi anni, sta terrorizzando la città attraverso bande di rapinatori e sequestratori. “Oggi vogliamo tentare un esame difficile: riuscire a fare di Trujillo una città sicura e accogliente, dove ci sia la pace, la prosperità e la sicurezza”, ha detto Mons. Cabrejos. Durante la manifestazione, il presidente della regione di Trujillo, Jose Murgia, ha detto che la marcia “è un simbolo di unione delle autorità e del popolo di Trujillo per mostrare al mondo cos’è una città tranquilla” e non consentirà di macchiare il suo “onore e la sua reputazione”. Dopo i discorsi, 5.000 palloncini bianchi sono stati liberati in aria e le autorità locali hanno partecipato ad una marcia per le vie della città portando un grande striscione con lo stemma di Trujillo. (R.P.)

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    Chiesa australiana in festa per suor Mary McKillop: sarà la prima santa del Paese

    ◊   “E’ un grande giorno per la Chiesa cattolica in Australia e per tutta la nazione: avremo presto la nostra prima santa, Suor Mary MacKillop”: è quanto dichiara in una nota inviata all’agenzia Fides mons. Philip Wilson, arcivescovo di Adelaide e presidente della Conferenza episcopale australiana. Il decreto che conferma il miracolo attribuito all’intercessione della Beata è stato firmato sabato scorso da Benedetto XVI e dunque la religiosa australiana verrà presto canonizzata. “E’ sempre con grande gioia che la Chiesa riconosce in uno dei suoi membri l’azione creativa, salvifica e santificatrice di Dio che opera in mezzo a noi. Per noi australiani è una gioia particolare che Suor Mary MacKillop venga riconosciuta fra costoro”, nota l’arcivescovo aggiungendo: “Suor Mary è stata una di noi, è sempre stata vicina alla gente. Era animata da un profondo desiderio di servire Dio e di alleviare le sofferenze dei più poveri. Mary è stata una persona normale che ha vissuto una vita santa”. Mons. Wilson ricorda anche che la sua vita non è stata facile: “Ha patito sofferenze e ingiustizie terribili, ma la sua fede in Dio non ha vacillato. Pur lottando con una salute inferma per gran parte della sua vita, ha fondato un Istituto religioso per servire i poveri, soprattutto nel campo dell’istruzione: quell’Istituto rimane una presenza vibrante e attiva nella vita australiana di oggi”. L’arcivescovo nota che la religiosa sarà santa non solo per l’Australia, ma per tutto il mondo. Il suo motto: “Non guardare mai una necessità senza fare qualcosa”, continua a rappresentare un forte appello per tutti i fedeli. Il suo eroismo – rimarca il presidente della Conferenza episcopale – è tanto più apprezzabile perché “non è costruito sulla celebrità o sulle abilità sportive, ma sull’amore per Gesù Cristo e su una vita dedicata a Dio e al prossimo”. “Aspettiamo l’annuncio ufficiale della canonizzazione con grande gioia e speranza – conclude l’arcivescovo – e invitiamo tutti gli australiani a prendere parte a questo storico evento. (R.P.)

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    Australia: il vescovo Elliott sull’ammissione degli anglicani tradizionalisti nella Chiesa

    ◊   L’ammissione degli anglicani tradizionalisti nella Chiesa prevista dalla recente Costituzione apostolica di Benedetto XVI “Anglicanorum Cœtibus”, dovrà essere un processo “lento, cauto e prudente”. Ad affermarlo è mons. Peter Elliott, vescovo ausiliare di Melbourne, incaricato recentemente dalla Conferenza episcopale di supervisionare l’integrazione nella Chiesa cattolica degli anglicani dissidenti australiani. In un’intervista al quotidiano diocesano di Perth “The Record” ripresa dall’agenzia Cns, il presule, che è egli stesso un ex anglicano, evidenzia che gli anglicani tradizionalisti hanno davanti a sé anni difficili prima che venga istituito un ordinariato per loro in Australia, come previsto dalla Costituzione apostolica. Per molti di loro – dice – l’allontanamento dalle loro comunità di origine sarà un grande sacrificio. Se i vescovi australiani hanno accolto con generale favore l’iniziativa del Santo Padre – precisa il vescovo – essi non si fanno “illusioni sul fatto che l’istituzione di un ordinariato stabile in Australia sarà un processo complesso”. Quanto al giudizio sulle sue ripercussioni sul dialogo ecumenico, anche mons. Elliott non condivide l’opinione di chi lo considera un danno per l’ecumenismo: “Direi, anzi, il contrario: alla fin fine favorirà un ecumenismo più forte e più ricco e anche rapporti onesti con tutti gli anglicani”, ha detto il presule. (L.Z.)

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    Pakistan: Natale fra i tribali per i bambini dell’Infanzia Missionaria

    ◊   Un Natale diverso, lontano dalle luci della città, per andare incontro ai ragazzi poveri dei villaggi tribali: è quello che hanno trascorso i ragazzi dell’Infanzia Missionaria di Karachi, nel Sud del Pakistan, sotto la guida di padre Mario Rodriguez, direttore delle Pontificie Opere Missionarie in Pakistan. Padre Mario racconta all’agenzia Fides che “i ragazzi hanno lasciato gli alberi di Natale colorati, le luci, i negozi della città, per vivere un Natale diverso dal solito. Hanno celebrato il Natale con i coetanei in quattro villaggi della tribù pakri koli. Gli indigeni di questa etnia sono poveri agricoltori, lavorano spesso come braccianti per i latifondisti. I ragazzi hanno portato un sorriso, un dono, l’annuncio dell’amore e della nascita di Gesù nel mondo”. I ragazzi dell’Infanzia Missionaria hanno letto la Bibbia insieme con i bambini del luogo, offrendo la loro esperienza sull’evento della nascita di Gesù, che ha scelto di venire al mondo in povertà e umiltà. Hanno poi festeggiato, condividendo un pasto con i ragazzi locali, e hanno portato loro dei doni: tutto questo si è ripetuto per quattro villaggi, che hanno accolto con gioia ed entusiasmo gli ospiti venuti dalla città. Tornati a casa, i ragazzi hanno raccontato di aver vissuto “una splendida giornata a contatto con la natura”, spiegando di aver vissuto, nell’annuncio di Gesù e nella condivisione con i poveri, l’autentico spirito del Natale. (R.P.)

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    Polonia: al via il progetto dell’Infanzia Missionaria per i bambini del Pakistan

    ◊   Aiutare materialmente e spiritualmente i bambini del Pakistan. È il principale impegno al centro delle iniziative della Pontificia Opera dell’Infanzia Missionaria della Polonia, per l’anno pastorale 2009/2010. La campagna dal titolo “Annunciamo al mondo: Dio è amore” che avrà inizio il 26 dicembre e terminerà con la solennità dell’Epifania, il 6 gennaio. L’iniziativa, di cui riferisce l'agenzia Fides, è stata presentata a Varsavia dal direttore nazionale delle Pontificie Opere Missionarie della Polonia, mons. Jan Piotrowski. “Grazie alla radio, alla televisione e a diversi periodici, l’iniziativa è stata diffusa in tutta la Polonia – sottolinea mons. Piotrowski -. Ci auguriamo che le parrocchie, a cui abbiamo spedito già da tempo il materiale per l’animazione, siano sensibili a questo apostolato missionario”. Al lavoro dell’équipe nazionale dell’Infanzia Missionaria, guidata dalla Segretaria nazionale, la signorina Anna Sobiech, hanno dato il loro contributo uno studente del Pakistan, Mehdi Syed Mohammad, una missionaria in Congo Brazzaville delle Francescane Missionarie di Maria, suor Grazyna Mech, ed i bambini di Leopoldow della diocesi di Siedlce, che hanno allestito una rappresentazione biblica. Lo scorso anno, con le offerte raccolte dall’Infanzia Missionaria polacca, sono stati sostenuti 14 progetti di aiuto ai bambini in Papua Nuova Guinea. (M.G.)

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    Guinea Bissau: diminuiscono le morti materne per il parto

    ◊   Sta diminuendo in Guinea-Bissau il numero di decessi materni durante il parto, grazie a un lento ma costante miglioramento dell'assistenza sanitara e ad una campagna di sensibilizzazione sulle visite mediche in gravidanza. “Stiamo assistendo a un cambiamento di abitudini, sempre più donne si recano negli ospedali vedendo che migliora la qualità del servizio” ha detto Antonieta Martins, consulente del Fondo Onu per la popolazione (Unfpa) presso il ministero della Sanità, citata da ‘Irin news’. Secondo l’Unfpa, tra il 2003 e il 2009 il numero di nascite in ospedale è aumentato dal 28 al 39%, con una conseguente diminuzione delle complicazioni e dei decessi. Soltanto qualche anno fa, secondo la Martins - riferisce l'agenzia Misna - “le donne restavano in casa e si recavano in ospedale solo in caso di problemi gravi e spesso troppo tardi per essere salvate”. Il governo, con il sostegno dell’Onu, ha promosso una campagna con annunci via radio e sopralluoghi nei villaggi, per incoraggiare le donne in gravidanza a farsi visitare. Negli ultimi sei anni, secondo i dati dell’Unfpa, il tasso di mortalità materna è calato da uno su 13 a uno su 20. (R.P.)

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    Festa grande per la più antica comunità cattolica della Thailandia

    ◊   La diocesi di Chanthaburi, nella regione della Thailandia dell'Est, ha festeggiato i 300 anni dalla nascita della prima comunità locale e i 100 anni dalla consacrazione della cattedrale dell'Immacolata, la più antica di tutta la Thailandia. Per l’occasione è stata ricostruita la cupola a doppia volta della cattedrale, simbolo di “fede per la popolazione ed unione fra Dio e l’uomo”. Come riportato da AsiaNews, l’avvenimento è stato celebrato con una cerimonia eucaristica, l’8 dicembre scorso in concomitanza con la festa dell’Immacolata e presieduta dal vescovo locale, mons. Silvio Siripong Charatsri. Durante l’omelia il vescovo di Chanthaburi ha sottolineato il passaggio di consegne “fra i fedeli di ieri e i giovani di oggi”, facendo un parallelo con il nuovo arco dell’edificio che simbolizza “l’unione tra Dio e l’umanità”. Egli ha ricordato che la comunità locale è la più antica della Thailandia – venne fondata nel 1700 da una colonia di esuli vietnamiti – e ha sottolineato anche la continua crescita della stessa che “da un gruppetto di 130 cattolici vietnamiti nel 1709” è arrivata oggi a raggiungere le oltre 9mila presenze nella sola parrocchia della cattedrale. Al cospetto del card. Pham Minh Man, all’arcivescovo di Ho Chi Minh city, al nunzio apostolico mons. Salvatore Pennacchio, altri sette vescovi, 50 sacerdoti, un centinaio di religiosi e più di 10mila fedeli, il nunzio apostolico ha consegnato un dono personale di papa Benedetto XVI, un calice in argento, insieme alla benedizione apostolica. “Siate uniti nel nome del vangelo – ha esortato mons. Pennacchio – e seguite da vicino l’esempio impartito dai vostri antenati”. (C.P.)

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    Irlanda. I movimenti pro-vita: gli embrioni non sono tutelati dalla legge

    ◊   In Irlanda i movimenti pro-vita hanno espresso grande disappunto per la sentenza con cui la Corte Suprema irlandese ha respinto nei giorni scorsi il ricorso di una donna che voleva rientrare in possesso di tre embrioni congelati contro la volontà del marito da cui è oggi separata. La donna aveva addotto come argomento il principio costituzionale della difesa della vita. Principio non ritenuto invece applicabile a questo caso dalla Suprema Corte che ha così confermato la sentenza emessa tre anni fa dell’Alta Corte di Dublino. Secondo i giudici, infatti, la Costituzione irlandese non prevede tutele giuridiche per gli embrioni prima del loro impianto nell’utero materno. Critiche alla sentenza – riferisce l’agenzia Cns – sono state espresse dalla “Pro-Life Campaign”: “L’embrione umano – si legge in una dichiarazione firmata dal dott. Berry Kiely, consulente medico dell’organizzazione – non è una vita potenziale, ma una vita umana con potenzialità. Tutti noi abbiamo attraversato questa prima fase della vita nel cammino verso la nascita. Il nostro più importante diritto fondamentale è il diritto alla vita”, sottolinea la nota. Essa esorta quindi il governo a colmare al più presto l’attuale vuoto legislativo rilevato dalla Corte in materia di procreazione assistita con una legge sul modello di quelle adottate ad esempio in Italia, o in Germania: “La nostra società non può perdere l’occasione di conciliare l’etica con la scienza seguendo una soluzione vincente per tutti che potrebbe trasformare l’Irlanda in un centro di eccellenza per la ricerca sulle cellule staminali adulte, la quale è nello stesso tempo eticamente accettabile e scientificamente promettente. Anche i sostenitori pro-vita – puntualizza in conclusione la nota – guardano con entusiasmo alla prospettiva di poter trovare trattamenti contro l’infertilità e cure per le malattie, ma ritengono che questo si possa ottenere senza sacrificare una vita umana”. Di fronte ai rilievi mossi dalla Corte suprema, il Ministro della Salute irlandese Mary Harney ha intanto preannunciato che il Governo presenterà un progetto di legge in materia l’anno prossimo. (L.Z.)

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    Prima lettera natalizia del nuovo vescovo di Hong Kong

    ◊   È attraverso una lettera di Natale che mons. John Tong, vescovo di Hong Kong ha voluto esprimere la sua gratitudine al direttore spirituale e a tutti i fratelli sacerdoti che lo hanno accompagnato durante il suo cammino di vita, come uomo, sacerdote e vescovo della diocesi. Ha voluto ispirarsi al versetto evangelico Mt 2,2: “Dov’è il re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella e siamo venuti per adorarlo”. Nella Lettera, pubblicata dal Kong Ko Bao (il bollettino diocesano in versione cinese ripreso dall'agenzia Fides), il presule, come un capo famiglia, racconta la sua vita, i suoi sentimenti, il suo lavoro con profonda spiritualità. E’ un riassunto della vita privata ma coincidente completamente con la vita della diocesi di Hong Kong. “In otto mesi di impegno episcopale, tante stelle hanno brillato nella mia vita pastorale. Approfittando dell’occasione, voglio mostrargli la mia gratitudine – scrive nella lettera mons. Tong - Come tutti voi sapete, ho vissuto 40 anni in seminario. Dopo avere assunto l’incarico episcopale e aver riflettuto, ho deciso di continuare a vivere qui”, perché “la comunità del seminario è diventata una stella brillante della mia vita sacerdotale”. Infine mons. Tong annuncia: “nella notte di Natale, celebrerò l’Eucaristia in comunione con il Pontefice Romano, con tutti i Vescovi e i sacerdoti del mondo, invocando il Signore di ricompensare tutti”. (C.P.)

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    Convention del Rinnovamento carismatico cattolico in India

    ◊   Sono attese 20mila persone, membri delle comunità carismatiche di tutto il Paese, alla convention nazionale del Rinnovamento carismatico cattolico dell’India, che si svolgerà dal 27 al 30 dicembre a Vasai, nello Stato di Maharashtra. La convention avrà luogo nella St. Augustine school e avrà per tema: ‘Siate Santi perché io sono Santo’ (1Pt 1,16). In programma giornate di intensa preghiera e riflessione per invocare la discesa dello Spirito Santo su ogni individuo e sull’intera nazione, affinché si rinnovi spiritualmente e al suo interno siano promosse la pace e l’armonia. “Il rinnovamento spirituale in India sta facendo passi da gigante – ha detto alla Fides mons. Valerian D’Souza, vescovo di Poona e delegato della Conferenza episcopale per il Rinnovamento Carismatico Cattolico dell’India – l’appuntamento di Vasai darà nuovo slancio al movimento per la testimonianza e l’evangelizzazione”. La convention ha trovato ampio spazio sulle pagine del mensile cattolico ‘Charisindia’, dove scrivono sia laici che membri del clero: “Si pregherà per la pace e la riconciliazione nel Paese – si legge – si invocherà la potenza dello Spirito Santo per sconfiggere ogni forma di violenza e persecuzione verso i cristiani della nazione”. (R.B.)

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    Brunei: la pastorale giovanile al centro della vita della Chiesa locale

    ◊   “Una speranza per la salvaguardia del creato”: così il vicario apostolico del Sultanato del Brunei, mons. Corneliu Sim, spiega all’agenzia Fides la priorità dell’attività pastorale della Chiesa locale, rappresentata dai giovani. “Costituiscono il bagaglio di speranza per la testimonianza dei valori evangelici del Sultanato – afferma – sono la nostra speranza perché credono nella costruzione di un futuro diverso, giusto, equo, sostenibile e fraterno”. Il vicario apostolico racconta, poi, una delle attività più importanti al centro della pastorale giovanile: “Abbiamo partecipato con una delegazione all’Asian Youth Day nelle Filippine ed è stata un’esperienza entusiasmante, capace di infondere nuova linfa nella nostra Chiesa locale”. Secondo il presule i giovani cattolici “devono essere orgogliosi di essere asiatici perché l’Asia giocherà un ruolo molto importante nella vita della Chiesa nei decenni futuri”. Il Sultanato del Brunei si trova nel territorio dell’isola del Borneo ed è una monarchia assoluta islamica, in cui la religione di Stato è l’islamismo sunnita, praticato dal 67% della popolazione. Nel Paese esiste una comunità di cristiani di diverse confessioni, tra cui i cattolici sono circa 20mila. Qui in particolare, dunque, i giovani sono chiamati a costruire ponti di pace, comprensione e amore a partire dalle loro famiglie, dalle parrocchie, dalle scuole, dal territorio e dalle società pluralistiche in cui vivono: sono il lievito evangelico per la piccola Chiesa del Brunei. (R.B.)

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    Deceduto il padre gesuita Antoni Mruk, ultimo confessore di Giovanni Paolo II

    ◊   Ieri si è spento a Roma padre Antoni Mruk, gesuita polacco, professore emerito della Pontificia Università Gregoriana e ultimo confessore di Giovanni Paolo II, con il quale vantava una lunga amicizia nata a Roma nel 1946. Nato il 21 novembre 1914 ed entrato nel 1930 nella Compagnia di Gesù, padre Antoni Mruk compì studi di filosofia, matematica e fisica a Cracovia. All’inizio della seconda guerra mondiale, il 10 novembre 1939, insieme con un gruppo di gesuiti fu arrestato dai tedeschi e detenuto nelle prigioni di Cracovia e di Wisnicz. In seguito fu trasferito nei campi di concentramento di Auschwitz e di Dachau, dove fu compagno tra gli altri del futuro cardinale Adam Kozlowiecki. Al termine del conflitto padre Mruk si trasferì a Roma, dove studiò teologia presso l’Università Gregoriana. Completò gli studi con un laurea in teologia morale. È stato ordinato sacerdote nel 1947. Fu poi professore di teologia morale alla Pontificia Università Gregoriana, dove svolse anche la funzione di superiore della comunità dei gesuiti. Fra il 1965 e il 1975 fu Assistente del Generale della Compagnia di Gesù per l’Assistenza Slava nella Curia Generalizia dell’Ordine. Esercitò anche l’incarico di superiore maggiore dei gesuiti polacchi all’estero e di consultore di vari dicasteri romani. Su richiesta di Giovanni Paolo II fu nominato postulatore nel processo di beatificazione e canonizzazione di Suor Faustina Kowalska. (M.G.)

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    Messaggio di Natale del vescovo di Trapani: “Scalfire le coscienze per sconfiggere la mafia"

    ◊   “Ci sentiamo tutti dentro un succedersi vorticoso di fatti che creano smarrimento. Come se la ragione fosse divenuta muta e non sappia più orientare il nostro cammino di uomini verso il bene: una sconfitta della pace, della giustizia, dei più deboli”. È un accorato appello rivolto a tutta la società civile siciliana, perché questo Natale segni un momento di rottura nelle coscienze e nei cuori dei fedeli, il messaggio del vescovo di Trapani, mons. Francesco Micciché, distribuito in questi giorni nelle parrocchie della diocesi siciliana. Le riflessioni del presule si soffermano prima sul “dibattito pubblico che sembra incancrenito e falsato, lontano dai veri problemi delle nostre famiglie, dei nostri giovani e del loro futuro” per poi indicare, attraverso le parole di Benedetto XVI, il vero significato di una speranza che va “al di là della professione o della posizione sociale” e che è animata “da una certezza: il Signore è presente nello scorrere della nostra vita, ci accompagna e un giorno asciugherà anche le nostre lacrime”. Cristo con la sua venuta invita quindi a “costruire ogni giorno, uscendo dal guscio dei piccoli interessi personali e familiari”. Un impegno che tutti sono chiamati ad assumersi per scalfire le coscienze, “per dare una virata a quella strisciante cultura mafiosa che si manifesta nel vivere quotidiano della gente comune e da cui prende linfa vitale la grande mafia, la mafia atea e assassina che attanaglia le potenzialità della nostra terra”. “il racket, le estorsioni ed oggi  la mafia dei colletti bianchi che mette le mani sugli appalti, sui supermercati, sulle operazioni finanziarie più importanti dello Stato” sono, secondo il presule, l’espressione di un male oscuro e penetrante che, se non si riesce a prenderne coscienza in maniera corale, rischia di diventare un anti-Stato legalizzato dall’assenso subìto dal popolo. Il presule mette in guardia anche da un certo “perbenismo che si conviene al mafioso doc, che agli occhi della gente può apparire addirittura come un benefattore, un signore rispettabile, un uomo buono a cui dover ricorrere per risolvere eventuali problemi insorgenti”. Mons. Micciché fa dunque appello alle risorse morali del popolo per creare una catena di solidarietà tra quanti hanno a cuore le sorti dell’isola. Un pensiero particolare è poi rivolto ai giovani e al lavoro delle comunità cattoliche per diffondere modelli alternativi ai tanti “spacciatori di felicità a basso prezzo che ammaliano con le loro mortali lusinghe”. Da qui l’esigenza di attivare percorsi formativi seri, sollevando le menti verso più alti e nobili ideali  difficilmente reperibili nel mercato mediatico contemporaneo. I cristiani sono così chiamati a costruire un regno della giustizia che può affermarsi solo se ci si affida a Cristo, poiché, come scrive il nostro Papa Benedetto XVI, Egli “è carne come noi ed è ‘roccia’ come Dio”. “Possiamo pertanto affermare - dice infine il presule - che Gesù Cristo non riguarda solo i cristiani, o solo i credenti, ma tutti gli uomini, perché Egli, che è il centro della fede, è anche il fondamento della speranza. E della speranza ogni essere umano ha costantemente bisogno”. (M.G.)

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    24 Ore nel Mondo



    Ritrovata la scritta “Arbeit macht frei” rubata ad Auschwitz

    ◊   La polizia polacca ha annunciato il ritrovamento della scritta “Arbeit macht frei”, (il lavoro rende liberi), rubata all'alba di venerdì scorso all’ingresso del campo di sterminio di Auschwitz. In manette cinque cittadini polacchi ma è ancora da chiarire se sia trattato di un furto su commissione. Il servizio di Roberta Rizzo:

    “La targa di Auschwitz, quella con la sinistra scritta “Arbeit macht frei” (il lavoro rende liberi), rubata nella notte tra giovedì e venerdì, è stata ritrovata e sarà restituita al museo-memoriale dell'ex lager nazista, la più grande e atroce fabbrica di morte dell'Olocausto. Con un blitz notturno, la polizia polacca, agenti speciali della Guardia di frontiera, del servizio segreto e dei reparti scelti del ministero della Difesa, hanno preso d'assalto un'abitazione privata nelle vicinanze della città di Torun, nel nord della Polonia. È qui che hanno ritrovato la placca in ferro battuto, lunga cinque metri. Era tagliata in tre parti per renderla trasportabile. A finire in manette, poco prima della mezzanotte, sono stati cinque cittadini polacchi d’età compresa tra i 20 e i 39 anni. Il portavoce della polizia di Cracovia ha dichiarato che gli autori hanno piccoli precedenti penali e si trovano adesso nel commissariato centrale della città. Ma non sembrano appartenere a gruppi neonazisti, come si era ipotizzato in un primo momento. Nelle prossime ore gli inquirenti saranno in grado di dire se il furto sia stato commissionato o se i cinque abbiano agito di propria iniziativa. Non è casuale che i ladri abbiano portato al nord la targa dall'ex lager, che si trova invece nel sud della Polonia. Forse speravano di raggiungere un porto o un confine per trafugarla all'estero. Rimane da chiarire il movente del crimine e chi siano i mandanti. Il portavoce del governo polacco, Pawel Gras, non ha escluso che il furto nasconda il tentativo di screditare l'esecutivo alla vigilia delle celebrazioni dei 65 anni dalla liberazione del campo di concentramento nazista, il prossimo 27 gennaio”.

     
    Iran – funerali Montazeri
    Mezzo milione di iraniani hanno partecipato, questa mattina, a Qom, ai funerali dell'ayatollah Hossein Ali Montazeri, figura di riferimento per i riformisti, morto ieri all'età di 87 anni. Presenti anche i due leader dell'opposizione, Moussavi e Karroubi. Dopo la celebrazione sono scoppiati alcuni incidenti tra le forze di sicurezza iraniane e i manifestanti. Figura religiosa sciita di primo piano, padre del riformismo in Iran, Montazeri guidò la Rivoluzione islamica del 1979 al fianco di Khomeini, prima di essere condannato per le sue critiche alle repressioni condotte dai rivoluzionari.

    Francia – Iran
    La Francia respinge lo scambio di detenuti offerto dall’Iran. Il ministro degli Esteri, Bernard Kouchner, ha fatto sapere che Parigi non libererà Ali Vakili Rad, il sicario condannato in Francia per l'assassinio nel 1991 dell'esule iraniano Chapour Bakhtiar che era stato primo ministro subito prima della caduta dello Scià. In cambio della sua scarcerazione, il presidente iraniano, Mahmoud Ahmadinejad, si era detto pronto a rilasciare Clotilde Reiss, la ventiquattrenne ricercatrice francese sotto processo a Teheran per spionaggio, per la quale la sentenza è attesa per mercoledì.

    Pakistan
    Le massime autorità di governo e opposizione in Pakistan si sono consultate oggi per cercare di disinnescare la crisi politica generata dalla decisione della Corte suprema, che giorni fa ha annullato un'amnistia, promulgata nel 2007, di cui si erano giovati il presidente della Repubblica, Asif Ali Zardari, e diversi ministri. Intanto non si attenua l'ondata di violenza che da ottobre ha fatto 500 morti in varie città pakistane. Oggi un ordigno è esploso nella periferia di Peshawar, alla frontiera con l'Afghanistan. Non vi sono state vittime.

    Afghanistan – attacco con esplosivi a Gardez
    Almeno ventiquattro talebani sono rimasti uccisi, nelle ultime ore, in diverse operazioni militari e scontri in province del sud e del nord del Paese. Questa mattina un commando armato, composto anche da alcuni attentatori suicidi, ha assaltato una sede della polizia afghana nel cuore della città di Gardez, nella provincia sudorientale di Paktia. Secondo l'agenzia di stampa “Dpa”, dopo l'agguato gli agenti afghani sono riusciti a uccidere tre miliziani, sospetti Talebani. L'attacco è avvenuto mentre a Kabul il ministro della Difesa Abdul Rahim Wardak illustrava in Parlamento il proprio programma di sicurezza per il Paese, in vista del voto di fiducia dei deputati sulla sua candidatura.

    Libano - Siria
    Nuove tensioni nel nord del Libano, dove c’è stato un attacco armato contro un autobus di lavoratori provenienti dalla Siria, provocando la morte di una persona. Immediata la protesta di Damasco, che ha chiesto ufficialmente alle autorità libanesi di garantire alla giustizia i responsabili dell’attentato. L’azione è giunta poche ore dopo la storica visita nella capitale siriana del neo-premier libanese Saad Hariri. Che tipo di collegamento ci può essere tra i due episodi? Salvatore Sabatino lo ha chiesto a Camille Eid, esperto di questioni mediorientali, per il quotidiano “Avvenire”:

    R. – Il collegamento viene spontaneo, perché Hariri è tornato domenica da Damasco e alle due e mezzo della notte successiva avviene questo attacco. Chiaramente c’è qualcuno che è infastidito dal riavvicinamento, da questo disgelo tra le due capitali, libanese e siriana, e quindi cerca di fomentare disordini per intralciare questo cammino di riavvicinamento tra Libano e Siria.

     
    D. – Hariri, prima di tornare a Beirut, ha detto: “Vogliamo relazioni privilegiate, sincere e fraterne nell’interesse dei due Stati e dei due popoli”. E’ possibile, a questo punto, aprire veramente una nuova stagione nei rapporti tra questi due Paesi?

     
    R. – Da parte libanese posso assicurare che c’è questa buona intenzione. Il problema nelle relazioni bilaterali è che la Siria ha sempre considerato il Libano come un Paese adolescente, o minorenne, che ha bisogno di una tutela continua per cui i siriani, nei 30 anni della loro presenza in Libano, non hanno aiutato il Libano a farsi un buon governo, a diventare uno Stato reale, proprio per poter rimanere a tempo indeterminato. Quindi, da parte siriana vorrei che ci fosse questo nuovo corso, adesso, con Beshar al-Assad. Saranno i fatti a comprovare le parole dette da Saad Hariri sabato e domenica.

     
    D. – Quanto questo episodio di violenza potrà influire concretamente su questa nuova stagione?

     
    R. – Adesso la polizia libanese sta indagando su questo fatto. Ovviamente, l’opinione pubblica libanese è scioccata da questo episodio, come anche quella siriana. Speriamo quindi che i responsabili di questo incidente siano scoperti subito per portarli davanti alla giustizia e capire chi è che non vuole che le relazioni tra Libano e Siria siano sane e fraterne come diceva il comunicato.

     
    Israele – decisione scambio prigionieri con Hamas
    I principali ministri del governo israeliano si sono riuniti questa mattina, per la quarta volta in 24 ore, per decidere se approvare lo scambio di prigionieri con Hamas per giungere alla liberazione del soldato Gilad Shalit, rapito tre anni fa. Il premier Netanyahu e i ministri del cosiddetto “forum dei sette” restano divisi sull'opportunità di liberare in cambio di Shalit un migliaio di detenuti palestinesi, fra cui ci sono condannati per gravi attentati terroristici.

    India – nove donne morte per una fuga di massa da un tempio
    Nove donne sono morte calpestate ed almeno altre sei sono rimaste ferite durante una fuga generale da un tempio hindu di Dhoraji, nello Stato indiano del Gujiarat. L'incidente, ha reso noto la polizia, è avvenuto ieri sera davanti alla Gopaldasji Haveli, tempio della setta Vaishnav, dove è accorso un numero superiore al previsto di persone per il rito religioso denominato “chhappan bhog”. Il fatto sarebbe stato provocato dal trambusto causato da una lite scoppiata nel tempio tra due donne.

    Mauritania – italiani rapiti
    Sergio Cicala, Philomene Kabouree e il loro autista ivoriano, rapiti venerdì in Mauritania, potrebbero essere stati portati nel Mali, “in basi di Al Qaeda nel Maghreb islamico”. Lo stima l'intelligence mauritana dopo che “è fallito ogni tentativo di trovare tracce dei due nel Paese”. La Farnesina ribadisce la richiesta di osservare il massimo riserbo sul caso. La coppia è stata sequestrata “in una delle zone più pericolose” dell'Ovest africano.

    India – processo a Kasab per strage Mumbai
    Il giovane pakistano Ajmal Kasab, unico membro del gruppo terroristico che il 26 novembre 2008 sbarcò a Mumbai sparando all'impazzata e causando in tre giorni oltre 170 morti, ha negato oggi in tribunale di essere mai stato presente sul luogo dell'attacco e di non avere ucciso tre ufficiali di polizia come sostiene l'accusa. A riferirlo è l'agenzia di stampa indiana Pti.

    Olanda – ritrovata nelle Antille velista 14enne scomparsa
    È stata ritrovata ieri sera, nelle Antille olandesi, Laura Dekker, la velista olandese di 14 anni di cui si erano perse le tracce venerdì scorso, dopo che le autorità dei Paesi Bassi le avevano impedito di intraprendere il giro del mondo in solitaria. L’impresa avrebbe consacrato la ragazza come la velista da record più giovane della storia. (Panoramica internazionale a cura di Roberta Rizzo)

     
    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIII no. 355

     
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