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Sommario del 02/12/2009

Il Papa e la Santa Sede

  • Benedetto XVI all'udienza generale: amare Dio e il prossimo è il segreto di una vita felice. Ribadita l'importanza del Sacramento della Riconciliazione
  • Nomine
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Obama: 30 mila soldati in più per l'Afghanistan: la Nato ne assicura 5000
  • Il vescovo di Addis Abeba: la comunità internazionale aiuti l'Etiopia a sconfiggere la povertà
  • Germania: è incostituzionale l'apertura domenicale dei negozi
  • Appello dei Gesuiti: stop all'impiego dei bambini soldato in Colombia
  • Riscoprire il sapore del Natale a Verona con la pace nel cuore e gesti concreti di solidarietà: intervista a mons. Zenti
  • Conferenza a Roma sulla figura di Gesù nel cinema contemporaneo
  • Chiesa e Società

  • Giornata contro la schiavitù. L'Onu: 27 milioni di nuovi schiavi
  • 165 ragazzi aprono a Copenaghen il Vertice Unicef sul clima
  • Chiese cristiane e islam a confronto nel secondo ciclo di seminari della Comece
  • Congo: missionari saveriani in difesa dei confratelli colpiti dalla falsa accusa di aiutare i ribelli
  • I vescovi di Burundi, Rwanda e Congo riflettono su pace e giustizia
  • Tavola della pace: dare voce a Betlemme soffocata dal muro
  • Caritas Gerusalemme: peggiora la situazione dei palestinesi
  • 25 anni fa la tragedia di Bhopal
  • Mons. Menamparampil rilancia l’impegno della Chiesa per la pace nell’Assam
  • India: i cristiani accusati di “conversioni illegali” per meri motivi politici
  • Nel Tamil Nadu “la festa della vita" promossa dai Guanelliani per i bambini disabili
  • Sri Lanka: gli sfollati tornano nella regione tamil ma l'area è infestata dalle mine
  • I cattolici cinesi pellegrini sull’isola di Shang Chuan dove morì San Francesco Saverio
  • Lettera dell’arcivescovo di Pamplona per la festa di San Francesco Saverio
  • Brasile: le reliquie di Don Bosco sono arrivate a Porto Alegre
  • Incontro tra vescovi giapponesi e coreani nel nome del cardinale Kim
  • Fervono i preparativi nella comunità ebraica di Roma per la visita del Papa alla Sinagoga
  • Convegno all'Urbaniana a 100 anni dalla Conferenza mondiale di Edimburgo sulla missione
  • Presentazione a Roma del libro del Papa pubblicato dal Patriarcato di Mosca
  • 24 Ore nel Mondo

  • Fondamentalisti islamici rivendicano l’attentato al treno in Russia
  • Il Papa e la Santa Sede



    Benedetto XVI all'udienza generale: amare Dio e il prossimo è il segreto di una vita felice. Ribadita l'importanza del Sacramento della Riconciliazione

    ◊   Solo se lo si ama con il cuore e l’intelligenza, si impara a conoscere Dio e a vivere con Lui una vita realmente felice. All’udienza generale di questa mattina in Piazza San Pietro, Benedetto XVI ha fatto suo l’insegnamento di Guglielmo di Saint-Thierry, monaco francese e uno dei più importanti autori cristiani del XII secolo ai quali il Papa sta dedicando le sue catechesi da alcune settimane. Al termine, Benedetto XVI ha parlato alla folla dell’importanza del Sacramento della Riconciliazione, nel 25° dell’Esortazione Apostolica Reconciliatio et paenitentia. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    “L’energia principale che muove l’animo umano è l’amore”. Quella che per molti versi potrebbe apparire un’affermazione scontata e piuttosto banale nella nostra epoca - esposta com’è a vari intendimenti e fraintendimenti - è da sempre il cuore del messaggio cristiano. Al punto che per il monaco Guglielmo di Saint-Thierry, benedettino dapprima e poi cistercense, vissuto in Francia a cavallo tra il 1080 circa e il 1148, la comprensione dell’arte cristiana dell’amore diventa il fulcro di un’intera esistenza di contemplazione e di approfondimento. Benedetto XVI riprende una delle “idee fondamentali” di Guglielmo che, sottolinea, è “valida anche per noi”:
     
    “La natura umana, nella sua essenza più profonda, consiste nell’amare. In definitiva, un solo compito è affidato a ogni essere umano: imparare a voler bene, ad amare, sinceramente, autenticamente, gratuitamente. Ma solo alla scuola di Dio questo compito viene assolto e l’uomo può raggiungere il fine per cui è stato creato”.

     
    Quest’unico compito richiede in realtà un “lungo e articolato cammino” che si snoda, secondo il monaco francese, nelle varie fasi della vita umana, dall’infanzia alla vecchiaia:
     
    “In questo itinerario la persona deve imporsi un’ascesi efficace, un forte controllo di sé per eliminare ogni affetto disordinato, ogni cedimento all’egoismo, e unificare la propria vita in Dio, sorgente, mèta e forza dell’amore, fino a giungere al vertice della vita spirituale, che Guglielmo definisce come 'sapienza'. A conclusione di questo itinerario ascetico, si sperimenta una grande serenità e dolcezza”.

     
    “L’arte delle arti è l’arte dell’amore”, scriveva ancora Guglielmo di Saint-Thierry, specificando, ha ricordato il Papa, “che l’oggetto di questo amore è l’Amore con la 'A' maiuscola, cioè Dio”. Tuttavia, osserva Benedetto XVI, “colpisce che nel parlare dell’amore a Dio”, il monaco “attribuisca una notevole importanza alla dimensione affettiva”:

     
    “In fondo, cari amici, il nostro cuore è fatto di carne, e quando amiamo Dio, che è l’Amore stesso, come non esprimere in questa relazione con il Signore anche i nostri umanissimi sentimenti, come la tenerezza, la sensibilità, la delicatezza?”.
     
    L’ascesi verso Dio è un atto dove entrano in gioco razionalità e affettività anche se, spiega il Papa, la sola intelligenza “riduce ma non elimina la distanza tra soggetto e l’oggetto dell’amore:

     
    “L’amore invece produce attrazione e comunione, fino al punto che vi è una trasformazione e un’assimilazione tra il soggetto che ama e l’oggetto amato. Questa reciprocità di affetto e di simpatia permette allora una conoscenza molto più profonda di quella operata dalla sola ragione (...) Cari amici, ci domandiamo: non è proprio così nella nostra vita? Non è forse vero che noi conosciamo realmente solo chi e ciò che amiamo? Senza una certa simpatia non si conosce nessuno e niente! (...) Dio lo si conosce se lo si ama!”.
     
    Una volta raggiunto l’apice di quella che il monaco Guglielmo definisce “unità di spirito” con Dio, ecco che l’uomo raggiunge la vera somiglianza con il suo Creatore, la piena unità con Lui. In sostanza, dal “Cantore dell’amore e della carità” - come Benedetto XVI ha definito Guglielmo di Saint-Thierry - arriva ai cristiani di oggi la conferma di quale sia “la scelta di fondo che dà senso e valore a tutte le altre scelte:”
     
    “Amare Dio e, per amore suo, amare il nostro prossimo; solo così potremo incontrare la vera gioia, anticipo della beatitudine eterna. Mettiamoci dunque alla scuola dei Santi per imparare ad amare in modo autentico e totale”.
     
    Dopo le catechesi nelle altre lingue e i saluti particolari ai gruppi di fedeli - tra i quali quelli rivolti ai rappresentanti dell’Associazione Marinai d’Italia e a quelli della Federazione Italiana Panificatori e Pasticcieri, ringraziati “per il generoso dono dei panettoni destinati alle opere di carità del Papa” - Benedetto XVI ha ricordato il 25.mo anniversario di promulgazione dell’Esortazione Apostolica Reconciliatio et paenitentia, pubblicata da Giovanni Paolo II il 2 dicembre del 1984. Un documento, ha detto il Pontefice, che “richiamò l’attenzione sull’importanza del sacramento della penitenza nella vita della Chiesa”. Ricordando alcuni degli “apostoli del confessionale”, da San Giovanni Maria Vianney a San Pio da Pietrelcina, il Papa ha concluso:

     
    “L’esempio di questi Santi, assidui e fedeli ministri del perdono divino, sia infine per i sacerdoti - specialmente in questo Anno sacerdotale - e per tutti i cristiani un invito a confidare sempre nella bontà di Dio, accostandosi e celebrando con fiducia il Sacramento della Riconciliazione”.

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    Nomine

    ◊   Il Papa ha nominato vescovo di Barrancabermeja (Colombia) mons. Camilo Fernando Castrellón Pizano, salesiano, finora vescovo di Tibú. Mons. Camilo Fernando Castrellón Pizano è nato il 22 settembre 1942 a Bogotá. Il 2 dicembre 1972 è stato ordinato sacerdote per la Società di Don Bosco. E’ stato ispettore provinciale dei Salesiani in Colombia. Nominato vescovo di Tibú il 23 aprile 2001, ha ricevuto l’ordinazione episcopale il 6 giugno successivo.

    Il Santo Padre ha nominato nunzio apostolico in Kuwait, Bahrein e Qatar, e delegato apostolico nella Penisola Arabica mons. Petar Rajič, consigliere di nunziatura, elevandolo in pari tempo alla sede titolare di Sarsenterum, con dignità di arcivescovo. Mons. Petar Rajič è nato a Toronto (Canada) il 12 giugno 1959. È stato ordinato sacerdote il 29 giugno 1987. Entrato nel servizio diplomatico della Santa Sede nel luglio del 1993, ha prestato successivamente la propria opera nelle rappresentanze pontificie in Iran, Lituania e presso la sezione per gli Affari Generali della Segreteria di Stato. Conosce il croato, l’inglese, l’italiano e il francese.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   L'amore è energia dell'animo e compimento dell'uomo: all'udienza generale il Papa parla di Guglielmo di Saint-Thierry.

    In prima pagina, un articolo di Gabriele Nicolò dal titolo "Risiko afghano": la strategia di Obama e il gioco delle alleanze.

    In cultura, sul vescovo umanista e riformatore del Cinquecento Gian Matteo Giberti (cui Verona dedica un convegno) i contributi di Adriano Prosperi, Danilo Zardin, Marco Agostini e Antonio Filipazzi.

    La fisica "flessibile" di Aristotele confermata da relatività e quantistica: sulla modernità del pensiero del filosofo greco riguardo al rapporto fra matematica, filosofia e scienza l'intervento di Enrico Berti a un convegno, alla Pontificia Università Lateranense, a conclusione dell'anno galileiano.

    Edith Stein, un martire per due popoli: sulle ostilità verso le conversioni dall'ebraismo un articolo di Lucetta Scaraffia proposto sul numero di dicembre di "Pagine ebraiche".

    Un porto sicuro e pieno di sorprese per storici in navigazione: Concetta Argiolas sull'archivio digitale di Luigi Sturzo nel nuovo portale in rete dell'Istituto intitolato al prete di Caltagirone.

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    Oggi in Primo Piano



    Obama: 30 mila soldati in più per l'Afghanistan: la Nato ne assicura 5000

    ◊   5000 soldati in più dalla Nato: è la risposta all’annuncio di Obama di assicurare altri 30.000 uomini per la missione in Afghanistan. Il segretario generale Rasmussen definisce “cruciale” il sostegno degli alleati per mantenere il carattere multilaterale della missione. Domani la questione sarà discussa dai ministri degli Esteri della Nato, alla presenza del segretario di Stato Hillary Clinton, ma già oggi singoli Paesi hanno assicurato il contributo. Soddisfazione ovviamente da Kabul anche se tra la popolazione si respira la paura di un incrementarsi della violenza. C’è infatti anche la risposta dei talebani: "i 30 mila soldati in più non faranno che rafforzare la resistenza degli insorti". Ma sul discorso di Obama, atteso da settimane, il servizio di Fausta Speranza:

     
    Trentamila soldati in più contro il “cancro di al Qaeda”, ma con scadenze precise: il ritiro comincerà nel luglio 2011. Questo il cuore della nuova strategia Usa per l’Afghanistan e il Pakistan, che Obama definisce “epicentro dell'estremismo violento praticato da al Qaeda”, e dove gravi episodi di violenza sono all’ordine del giorno. È il rush finale di una guerra che l’attuale presidente dice di non aver chiesto ma di aver adottato come propria, “nell'interesse nazionale dell'America”. Ma il calendario è “accelerato”: mobilitazione entro agosto e rientro in patria del grosso dei soldati ben prima della fine del primo mandato di Obama nel gennaio 2013. Nella Eisenhower Hall della storica accademia militare sull'Hudson, di fronte a cadetti in uniforme grigia, che dopo la laurea a maggio partiranno per il fronte, Obama spiega che bisogna “prendere di mira l'insurrezione e render sicuri i centri della popolazione”. L'Afghanistan non è un nuovo Vietnam, afferma sottolineando che gli Stati Uniti non hanno intenzione di restare in Afghanistan in eterno. La politica non c'entra, spiega presentando una strategia che costerà alle già provate casse federali intorno ai 30 miliardi di dollari nel solo anno fiscale 2010. In tempi di recessione, l'opinione pubblica negli Usa è ostile all'escalation. E se l'opposizione repubblicana applaude, i progressisti sono in fermento anche per altri motivi. Nn è stata una decisione facile per il presidente che la prossima settimana a Oslo accetterà il premio Nobel per la pace. È stata presa dopo tre mesi di discussione con strateghi militari, generali e alleati.

     
    La proposta della Casa Bianca ridisegna, in qualche modo, i rapporti con gli altri Paesi presenti in Afghanistan? Giancarlo La Vella ne ha parlato con Paolo Mastrolilli, esperto di politica americana, del quotidiano “La Stampa”:

    R. – Per quanto riguarda la Nato, la strategia di Obama è decisiva:se la Nato fallisse questa operazione – secondo alcuni osservatori – sarebbe a rischio la sua sopravvivenza. Diciamo che ci sono due aspetti che riguardano i Paesi stranieri: il primo è quello delle potenze locali, il Pakistan, che ha necessità di aiutare questa nuova strategia americana per evitare che al Qaeda torni ad impossessarsi dell’Afghanistan e finora non è stato molto cooperativo Islamabad; dall’altra parte, ci sono i Paesi europei che attraverso la Nato stanno contribuendo a questo sforzo e che naturalmente vorrebbero anche loro vedere la luce alla fine del tunnel e quindi una strategia che porti alla stabilizzazione dell’Afghanistan e alla fine del loro intervento e senza mettere a rischio il futuro della Nato.

     
    D. – Che cosa cambia la nuova strategia di Obama?

     
    R. – Certamente ci sono delle grandi difficoltà, perché i talebani stanno conquistando posizioni, forza, e c’è il rischio che al Qaeda in qualche modo torni ad infiltrare il Paese. Obama ha cercato di dare risposte a tutti i suoi sostenitori all’interno degli Stati Uniti e cioè da una parte ha offerto più militari per portare avanti la strategia che cerca di stabilizzare il Paese e, dall’altra, ha cercato di offrire un orizzonte entro il quale questo intervento comincerà a terminare, ossia luglio del 2011. Il rischio è che questa strategia per certi versi non centri l’obiettivo, perché i suoi critici sostengono in sostanza che offre ai talebani un orizzonte entro il quale loro devono resistere per riuscire poi a battere gli americani. Se riusciranno a resistere fino a luglio del 2011, gli americani cominceranno a ritirarsi e quindi per i talebani ci sarà la prospettiva di riprendere il controllo del Paese.

     
    D. – Molti dei sostenitori di Obama sono delusi da questa strategia, perché rivedono certi meccanismi utilizzati anche da Bush…

     
    R. – Sì, da una parte, i liberal la criticano perché pensano che mandare altri 30 mila soldati in una guerra che non rispecchia più le necessità strategiche degli Stati Uniti sia una scelta sbagliata ma, dall’altra parte, lo criticano anche i repubblicani – e quindi coloro che appoggiano di più l’apparato militare – perché ritengono che la mobilitazione di Obama non sia sufficiente e contemporaneamente facilita la sopravvivenza dei talebani.

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    Il vescovo di Addis Abeba: la comunità internazionale aiuti l'Etiopia a sconfiggere la povertà

    ◊   Si è concluso lunedì scorso ad Addis Abea, in Etiopia, il terzo Congresso Internazionale di Dermatologia dedicato alle malattie tropicali, ai popoli e alle persone dimenticate, promosso dall’Inmp-Ospedale San Gallicano di Roma, l’Istituto Nazionale per la salute dei Migranti e la lotta alle malattie della povertà, diretto dal prof. Aldo Morrone in collaborazione con il Ministero degli Interni italiano. Durante il Simposio si è parlato anche della situazione della povertà in Etiopia e delle speranze rilanciate dal recente Sinodo dei Vescovi per l’Africa. Di tutto questo Luca Collodi ha parlato con mons. Berhaneyesus Demerew Souraphiel, arcivescovo cattolico di Addis Abeba e presidente della Conferenza episcopale di Etiopia e Eritrea.

    R. – Il Sinodo a Roma è finito, ma possiamo dire che è iniziato in Africa. I temi del Sinodo erano, infatti, riconciliazione, giustizia e pace. La riconciliazione, qui in Africa, è necessaria, come anche la giustizia e la pace. Ma secondo noi, quello che può portare riconciliazione, giustizia e pace è il Signore Gesù Cristo: da Lui noi possiamo ricevere la verità. Quando siamo tornati qui, abbiamo chiesto ai fedeli di chiedere al Signore di aumentare la loro fede, la loro speranza e la loro carità. Ma soprattutto la speranza: qui, in Africa, non c’è solo la povertà materiale ma anche la sofferenza, perché qui ci sono tante persone ferite dai conflitti …

     
    D. – Basta solo la speranza per vincere questa grande malattia della povertà, dell’abbandono dell’uomo?

     
    R. – Secondo me, non basta soltanto la speranza: ci vuole anche la carità. Noi, come Chiesa cattolica, in questo Paese in cui gli ortodossi sono la maggioranza, cerchiamo – come ha detto il Sinodo – di essere sale e luce, con le nostre opere sociali e caritative: la casa delle Suore di Madre Teresa, per esempio. Tutti i poveri vanno lì: lì almeno trovano cibo e medicinali. E quando muoiono, sono sepolti secondo la loro religione. Muoiono con dignità, non sulla strada. Ma, secondo me, solo con la carità non possiamo risolvere questa situazione di povertà. La gioventù vuole fuggire da questa situazione attraversando Sudan, Libia, il Mar Mediterraneo … L’altro problema è la tratta di cui molti sono vittima, specialmente le nostre donne, che vanno in Medio Oriente. In alcuni luoghi sono costrette a vestire come donne musulmane, inoltre cambiando i nomi cristiani in nomi musulmani. La povertà sta spingendo il popolo a lasciare le sue radici cristiane: l’Etiopia, infatti, è un Paese cristiano, come cultura e come tutto … C’è anche una buona convivenza con i musulmani! Ciò che chiediamo è un vero aiuto internazionale!

     
    D. – La povertà qui, in Etiopia, è anche la malattia: la lebbra e l’Aids. A che punto siamo per debellare queste malattie?

     
    R. – La povertà e le malattie sono legate. In Etiopia, al primo posto c’è la Tbc, poi c’è la malaria e poi l’Aids. Il nostro governo sta facendo molto per combattere l’Aids, insieme alla Chiesa cattolica e a quella ortodossa.

     
    D. – Perché tanti giovani hanno l’Aids qui, in Etiopia?

     
    R. – Perché anche questo è legato alla povertà. I poveri, prima di tutto, cercano in primo luogo le cose indispensabili: cibo e casa. Non pensano molto al resto. Spesso scoprono in un secondo momento di avere questa malattia. Per cambiare questa situazione, è necessario lottare contro le varie cause della povertà. (Montaggio a cura di Maria Brigini)

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    Germania: è incostituzionale l'apertura domenicale dei negozi

    ◊   L'apertura domenicale dei negozi in Germania viola la Costituzione tedesca perché la domenica va considerata «giornata del riposo dal lavoro» non solo per motivi religiosi, ma anche per permettere il recupero fisico e spirituale dei lavoratori e la loro partecipazione alla vita sociale e familiare. Lo ha stabilito la Corte Costituzionale tedesca accogliendo il ricorso presentato dalla Chiesa cattolica e da quella evangelica contro l'apertura dei negozi a Berlino nelle quattro domeniche di Avvento. Nella sentenza i giudici hanno sottolineato che la persona umana va posta al di sopra degli interessi economici. Soddisfazione è stata espressa da mons. Robert Zollitsch, presidente della Conferenza episcopale tedesca, e da Margot Käßmann, presidente del Consiglio della Chiesa evangelica in Germania. Il divieto di apertura domenicale dei negozi avrà effetto a partire dall'inizio del nuovo anno. Su questa decisione Federico Piana ha sentito il parere di don Paolo Gentili, direttore nazionale dell’Ufficio di pastorale familiare della Cei:

    R. – Come dice un antico detto “sine dominico non possumus”, cioè "senza la domenica non possiamo vivere". I primi cristiani nel 304 dicevano questa frase quando erano invece costretti a lavorare la domenica, perché ritenevano che fosse vitale per loro vivere il tempo del riposo, ma soprattutto vivere un tempo della famiglia. E credo allora che questo sia un po’ un riandare a quelle origini, perché anche oggi i ritmi frenetici, soprattutto la ricerca del profitto, sta facendo scomparire le relazioni tra le persone e soprattutto all’interno dei legami familiari.

     
    D. – La domenica siamo arrivati alla frenesia dei centri commerciali...

     
    R. – Siamo in un mondo in cui il consumismo mette tutti nella fretta di possedere nuove cose e nell’illusione che questo crei un maggior benessere. In realtà siamo davanti ad una situazione in cui sono le relazioni delle persone, in particolare all’interno della famiglia, che sono fortemente penalizzate da questo. Per cui c’è una voracità nel cercare di avere e si scopre che poi non sei più persona, non ami più, non hai più il tempo per gli altri. Questi centri commerciali, gli outlet, sono diventati un po’ i nuovi santuari laici, che certamente creano un profitto economico, ma in realtà non fanno incontrare realmente le persone, soprattutto non fanno incontrare le generazioni tra loro. Spesso quell’altare dell’outlet in realtà ha soffocato il vero altare che è l’Eucaristia e che è riservato in modo speciale alla famiglia la domenica, ma anche un altro altare che è fondamentale per la vita familiare, che è la mensa familiare, dove i figli parlano con i genitori, dove possono passare del tempo. Durante la settimana hanno l’impegno scolastico, la domenica di solito sono a casa e sono a casa spesso soli, spesso davanti ad un computer, ma hanno bisogno invece di relazioni risanate, rinnovate, di potersi guardare negli occhi, di poter liberamente condividere le loro gioie e i loro dolori.

     
    D. – Il fatto che si lavori sempre più spesso di domenica non può essere una delle cause della disgregazione della famiglia?

     
    R. – Magari c’è un giorno libero che però non coincide con il giorno libero dei figli, per cui quel giorno diventa realmente vacanza, ma nel senso di vuoto, non nel senso di riposo, perché il vero riposo è invece ritrovare le relazioni.

     
    D. – E per molti cattolici, don Paolo, significa riscoprire la Messa...

     
    R. – La vera questione è che viene a mancare il fulcro dell’amore. Il cattolico non va alla Messa per soddisfare tanto un precetto, ma per ritrovare un ristoro, per ritrovare la fonte del suo amore. In qualche modo è come togliere un’anima anche alla famiglia: togliere la domenica vuol dire togliere l’anima alla famiglia. (Montaggio a cura di Maria Brigini)

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    Appello dei Gesuiti: stop all'impiego dei bambini soldato in Colombia

    ◊   La Colombia continua ad essere dilaniata dalla guerra civile: negli ultimi giorni nuovi scontri tra esercito e guerriglieri delle Farc hanno provocato diverse vittime. Secondo dati forniti dall’Unicef, sono oltre 17 mila i combattenti nel Paese latinoamericano: molti di essi sono bambini. Il Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati ha lanciato un accorato appello per fermare l'impiego di minori nel conflitto. Sul drammatico fenomeno dei bambini-soldato in Colombia, Irene Lagan ha intervistato James Stapleton, coordinatore internazionale della comunicazione del Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati:

    R. – Una parte molto sostanziale di questi gruppi che combattono nella guerra è rappresentata da bambini: circa un combattente su quattro ha meno di 18 anni. In queste circostanze appare sempre più importante cercare di sensibilizzare la popolazione su questo problema, anche perché è vero che negli ultimi anni il numero dei bambini-soldato coinvolti nella guerra si è abbassato, ma si è anche abbassata l’età dei bambini che vengono usati come soldati, che è infatti passata dai 13 ai 12 anni. La guerra, fino a qualche tempo fa, era una guerra specificamente colombiana, mentre ora si tratta di una guerra generale: le popolazioni che sono fuggite dalla guerra in Colombia – circa mezzo milione di persone – non sono più sicure nei Paesi confinanti. La maggioranza delle persone che hanno lasciato il Paese, lo hanno fatto per cercare di salvare i loro bambini, per impedire cioè che i loro bambini venissero usati come bambini-soldato nella guerra. Adesso non soltanto i bambini rifugiati, ma anche i bambini delle comunità che li ospitano rischiano di essere sfruttati dai gruppi armati. Vorremmo chiedere, quindi, a tutte le persone di buona volontà di sostenere tutti quei gruppi che lavorano per la riabilitazione dei bambini-soldato e soprattutto che si impegnano nelle prevenzione del loro reclutamento. Noi vogliamo cercare di incoraggiare queste persone, cercando di fare pressione sui loro leader nazionali, come su quelli internazionali e mondiali per cercare di reagire in favore di tutte queste persone vulnerabili e che non hanno la possibilità di far sentire la propria voce.

     
    D. – Qual è l’impatto di questo problema sulla società in Colombia?

     
    R. – Le stime che abbiamo parlano di circa 11 mila bambini che vengono sfruttati dai gruppi armati, su una popolazione – mi pare – di oltre 40 milioni di persone. E’ un problema che riguarda soprattutto le comunità che vivono ai margini delle grandi città o le comunità che vivono nelle zone rurali, dove il governo non è presente e questo è il vero dramma. Il vero dramma è che ignorando questo fatto, queste condizioni non fanno che creare i presupposti per una violenza futura. (Montaggio a cura di Maria Brigini)

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    Riscoprire il sapore del Natale a Verona con la pace nel cuore e gesti concreti di solidarietà: intervista a mons. Zenti

    ◊   “Rialzati, per te Dio si è fatto uomo” è il tema - ripreso da Sant’Agostino - scelto dalla Chiesa italiana per l’Avvento 2009. Un tempo di condivisione e comunione perchè “nessuno è escluso dal progetto e dall’amore di Dio”. Tante le proposte e le iniziative per coinvolgere le comunità di fedeli, e non solo, in tutte le diocesi. Roberta Gisotti ha intervistato il vescovo di Verona, mons. Giuseppe Zenti.

     
    D. – Eccellenza, come trasmettere oggi l’esortazione di Sant’Agostino “Rialzati, per te Dio si è fatto uomo”? Quali parole ha trovato lei per sollecitare la sua comunità?

     
    R. – Puntando l’attenzione sul costruire una casa alla Parola e cioè al Verbo di Dio nella comunione. Quindi il rialzarsi per noi vuol dire riacquistare il senso della comunione fraterna ed ecclesiale, nel segno della corresponsabilità. Sentirci Chiesa che prepara la venuta del Signore Gesù, perché è di quel Natale che abbiamo bisogno noi come umanità di oggi.

     
    D. – Quali iniziative concrete avete messo in campo in questo Avvento? So che ci sono alcuni progetti proposti dalla Caritas?

     
    R. – Sì come, per esempio, quel “diamoci una mano”, che è finalizzato all’ambiente del carcere. Una seconda iniziativa riguarda chi - oggi come oggi - è in difficoltà di lavoro e questo sia per lavoratori, sia per medie imprese; e allora si dice: “Regaliamogli un’ora del nostro lavoro”. Sono iniziative concrete. Un’altra iniziativa riguarda anche i bambini della Bosnia e della Erzegovina; ed ancora un’altra è relativa alla preparazione spirituale orante al Natale attraverso RadioTelepace, che è “preghiera in famiglia”.

     
    D. – Eccellenza, quale atmosfera e quale clima si respira nella sua diocesi in questo Avvento 2009?

     
    R. – Il clima che si respira, purtroppo, è quello di questo paganesimo che ci lascia sempre preoccupati. E’ per questo che noi, attraverso le nostre liturgie e il richiamo alla catechesi e tutto ciò che ci è possibile, dobbiamo ridestare il senso dell’attesa del grande evento di salvezza che non ha nulla da spartire con Babbo Natale e quindi con il consumismo di una festa che è stata alterata cromosomicamente. Il nostro tentativo è proprio quello di ridare alla nostra gente il sapore del Natale cristiano, ovvero come impiantare la tenda di Dio dentro il nostro cuore e dentro le nostre comunità.

     
    D. – Recuperare la pace interiore…

     
    R. – Sì, una pace che è poi il frutto di tutto un travaglio interiore di purificazione del cuore di fronte all’inquinamento culturale che purtroppo tutti respiriamo negli ambienti della ferialità.

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    Conferenza a Roma sulla figura di Gesù nel cinema contemporaneo

    ◊   Analizzare il cambiamento della figura di Gesù nel cinema contemporaneo. È stato questo l’intento della conferenza “La presenza di Gesù nel cinema contemporaneo” svoltasi in questi giorni a Roma presso la sede della rivista dei Gesuiti La Civiltà Cattolica. L’obiettivo di questo incontro è stato quello di fornire al pubblico i giusti mezzi per compiere un’analisi adeguata delle opere cinematografiche contemporanee. Ma com’è cambiato il modo di manifestare la trascendenza nel cinema d’oggi? Chiara Pileri lo ha chiesto al padre gesuita Virgilio Fantuzzi, scrittore e critico cinematografico de La Civiltà Cattolica:

    R. – Oggi come oggi si vede una grande prevalenza data ai film-oggetto, mentre se torniamo indietro di 40-50 anni, avevamo il cinema d’autore, di grande valore estetico, di grande intensità spirituale, proprio con la figura di Cristo vista in trasparenza, e queste opere venivano recepite nelle sale proprio con l’attenzione che si dedica a un rito religioso!

     
    D. – C’è bisogno di una particolare sensibilità per cogliere la presenza di Gesù nelle opere cinematografiche...

     
    R. – Non potrò mai dimenticare un insegnamento che ho ricevuto da uno dei miei maestri, che diceva – a me e agli altri: "in qualsiasi parte del mondo voi andiate, sappiate che Gesù è arrivato lì prima di voi". Se il cinema è un’attività espressiva – e direi che non lo è sempre – ma se un film arriva ad essere o del tutto, o in parte, più riuscito o meno riuscito, è un’opera d’arte o qualcosa che assomigli ad un’opera d’arte, o comunque un’opera espressiva, allora lì dentro sento vibrare un’anima. Dio, creando l’uomo, ha detto: "facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza". Quindi se tu vuoi trovare Dio, dov’è che lo puoi trovare se non nell’interiorità dell’uomo? Ed è miracolosa, questa capacità degli artisti – lo dice anche il Papa – questa capacità di manifestare la propria interiorità rendendo visibile l’invisibile.

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    Chiesa e Società



    Giornata contro la schiavitù. L'Onu: 27 milioni di nuovi schiavi

    ◊   “Nessun Paese può dirsi immune alle nuove forme di schiavitù”. È l’allarme lanciato da Gulnara Shahinian, relatrice speciale sulle forme contemporanee di schiavitù dell’Ufficio dell’Alto commissario dell’Onu per i diritti umani. Secondo l’esponente delle Nazioni Uniti le persone colpite dal fenomeno sono almeno “27 milioni ma il fenomeno è diffuso in tutto il mondo e, per sua natura, sfugge alle statistiche”. Parole durissime raccolte oggi dalla Misna in occasione della Giornata internazionale per l’abolizione della schiavitù nel 60.mo anniversario dell’adozione da parte dell’Assemblea generale dell’Onu della Convenzione per l’eliminazione del traffico di esseri umani e dello sfruttamento della prostituzione. Gulnara Shahinian osserva poi che “i migranti sono in generale i più colpiti, con tante donne in fuga da degrado e povertà costrette a lavorare in strada o come domestiche isolate dal mondo e da una lingua che non conoscono”. Le principali responsabilità vanno imputate ad “una crescita globale che calpesta i diritti: negli Emirati Arabi Uniti i permessi di soggiorno sono vincolati a contratti con uno specifico datore di lavoro, dal quale il migrante si trova a dipendere in modo pressoché totale”. Accanto alle nuove forme di schiavitù restano le vecchie, legate spesso alla questione della terra. Da Haiti al Paraguay, dice Shahinian, milioni di indigeni sono obbligati a lavorare nelle piantagioni in cambio di una misera parte del raccolto o di un salario da fame. Il problema riguarda anche l’Africa e ad esempio la Mauritania, un paese che la relatrice dell’Onu ha visitato poche settimane fa. “La proprietà della terra – sostiene Shahinian – continua a dividere gli ‘Harratin’ di pelle scura dalle élite locali”. Proprio dalla Mauritania, 18 anni dopo l’abolizione per legge della schiavitù, arriva però la speranza di un nuovo impegno. “Il governo – dice la relatrice dell’Onu – ha avviato speciali programmi di addestramento per poliziotti e operatori sociali: la gravità del problema, insomma, viene riconosciuta”. Alle affermazioni di Gulnara Shahinian hanno fatto ecco le parole del Segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, secondo cui combattere la schiavitù non significa solo proibirla per legge ma anche “lottare contro povertà, analfabetismo, disuguaglianze economiche e sociali, discriminazioni di genere e violenza contro donne e bambini”. (M.G.)

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    165 ragazzi aprono a Copenaghen il Vertice Unicef sul clima

    ◊   A meno di una settimana dalla conferenza sul clima di Copenaghen, nella capitale danese si è aperto il Children’s Climate Forum, l’incontro ufficiale dei bambini e dei ragazzi sul clima organizzato dall’Unicef. Durante il Forum 165 ragazzi, provenienti dai 44 Paesi più industrializzati del mondo, parteciperanno a sessioni preparatorie e a sessioni negoziali per poi redigere una dichiarazione che sarà presentata al Presidente della United Nations Climate Change Conference (COP15), il prossimo 4 dicembre. In particolare i partecipanti discuteranno su come svolgere il loro ruolo di “giovani ambasciatori del clima” a livello locale e nazionale una volta rientrati nei loro rispettivi Paesi. Un gruppo ristretto di delegati parteciperà anche alla prima settimana del vertice Onu sul clima per parlare con i negoziatori presenti. L’obiettivo, precisa l’Unicef in una nota, è quello di dare voce ai bambini e ai ragazzi provenienti dai Paesi in via di sviluppo e dai paesi industrializzati sul dibattito riguardante i cambiamenti climatici e di avere l’opportunità di influenzare l’esito dell’importante accordo che verrà siglato durante la Conferenza Onu sul Clima. L’agenzia Onu per l’infanzia sottolinea che è la prima volta che i ragazzi provenienti dai Paesi industrializzati e quelli provenienti dai Paesi “a rischio” si incontreranno faccia a faccia per discutere l’impatto dei cambiamenti climatici sui bambini e i ragazzi e su come poter contribuire, sia a livello locale che globale, alla lotta ai cambiamenti climatici. Un confronto che appare ancora più significativo se si considera che gli effetti dei cambiamenti climatici rappresentano una “pesante eredità” lasciata proprio all’infanzia di oggi. Per questo motivo “i bambini e i ragazzi si trovano nella giusta posizione per poter contribuire alla lotta ai cambiamenti climatici da subito”. Infatti, afferma ancora l’Unicef, bambini e adolescenti “si possono adattare più facilmente alle strategie di lotta ai cambiamenti climatici nei paesi più a rischio e nei paesi industrializzati e possono adottare velocemente stili di vita a basso impatto”. Per cui, conclude la nota dell’Agenzia Onu, “è necessario che i bambini e i ragazzi abbiano l’occasione di partecipare attivamente alle decisioni che vengono prese a livello locale, nazionale e globale. (M.G.)

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    Chiese cristiane e islam a confronto nel secondo ciclo di seminari della Comece

    ◊   Al via a Bruxelles la seconda edizione dei seminari “Islam, cristianesimo ed Europa”, promossa dalla Commissione degli episcopati della Comunità europea (Comece), l’Ufficio di Bruxelles della Chiesa protestante di Germania (Ekd) e l’Ufficio europeo della Fondazione Konrad Adenauer (Kas). Il ciclo d’incontri della stagione 2009-2010 sarà aperto oggi pomeriggio con il tavolo sul tema “Il ruolo degli attori religiosi nella costruzione della pace”. “In questi ultimi anni – spiega una nota congiunta dei promotori citata dal Sir – l’Ue è sempre stata più coinvolta da aree di sua prossimità, sedi di conflitti”. In molte di queste regioni “gli attori religiosi giocano o hanno giocato un ruolo cruciale sia durante il conflitto, sia nella fase di post-conflitto” e “spesso devono svolgere un ruolo anche negli sforzi di riconciliazione e costruzione della pace”. In particolare i promotori dell’iniziativa si chiedono “che lezione si può trarre dalle esperienze del Medio Oriente, dei Balcani e del Caucaso? Qual è o quale potrebbe essere l’impatto di attori religiosi esterni come Sant’Egidio, Pax Christi o la Conferenza mondiale delle religioni per la pace (Wcrp)? In che modo l’Ue può impegnarsi con questi attori religiosi nelle aree di conflitto, e quali dei suoi strumenti potrebbero essere impiegati? Potrebbe essa fornire una piattaforma per il dialogo sostenibile e la cooperazione?”. Tutti interrogativi ai quali oggi tenteranno di offrire risposte Katrien Hertog (Pax Christi); Sheikh Jawdat Saïd, intellettuale musulmano (Siria); Markus Weingardt, del Forschungsstätte der Evangelischen Studiengemeinschaft (Istituto protestante di ricerca interdisciplinare - Heidelberg). A moderare il dibattito Katrin Hatzinger, direttrice Ufficio Ekd di Bruxelles. La sintesi della discussione è affidata all’eurodeputato László Surján. “Il ruolo degli attori religiosi nel rafforzamento della società civile”, “Migrazione, integrazione e lotta contro la xenofobia – il ruolo degli attori religiosi” e “Promuovere la libertà religiosa nel mondo” sono i temi degli altri incontri 2009 – 2010. (M.G.)

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    Congo: missionari saveriani in difesa dei confratelli colpiti dalla falsa accusa di aiutare i ribelli

    ◊   Non si è fatta attendere la risposta della comunità dei missionari saveriani della Repubblica Democratica del Congo in seguito ad un documento degli esperti dell’Onu, di cui si è avuto notizia la settimana scorsa, nel quale due confratelli italiani, padre Piergiorgio Lanaro e padre Franco Bordignon, vengono accusati di essere finanziatori dei guerriglieri hutu. Nel luogo comunicato a difesa dei due missionari, i severiani che operano in Congo smentiscono punto dopo punto le varie accuse ai confratelli e gli inganni di cui sono stati vittima. La nota dei missionari, ripresa dal Sir, mette subito in evidenza che il documento delle Nazioni Unite è stato messo inspiegabilmente “nelle mani di tutti i mass media internazionali” quando invece, fin dalla prima pagina, precisava la sua natura “strettamente confidenziale non destinata al pubblico”. Questo ha tolto alle legittime istanze la competenza della verifica di eventuali accuse per trasferirla alla pubblica piazza mediatica dove ogni accusato è già per se stesso colpevole”. I religiosi denunciano quindi “la sommarietà, l’imprecisione e quindi la falsità tendenziosa di questo rapporto e dell’interpretazione delle cosiddette prove apportate”. In particolare sono contestate le accuse avanzate da un “sedicente prete italo-americano” in merito ad aiuti finanziari ai ribelli: “Mettendo insieme le cose, ci riteniamo autorizzati a concludere che gli esperti dell’Onu si sono fidati di e-mail ottenute in malo modo, senza verificarne l’esattezza del contenuto”. I missionari del Congo chiedono dunque “che l’intervento di persone competenti e preoccupate della verità possa chiarire definitivamente la natura di tutte le accuse rivolte contro i nostri confratelli, in vista di ristabilirne l’onorabilità che questo rapporto pretende compromettere”. Anche perché “tali accuse fantasiose possono mettere a rischio l’incolumità stessa dei confratelli accusati e non solo, oltre che condizionare la loro opera in favore dei più deboli”. “Non basta accusare chi da anni - concludono i missionari - cerca di sollevare con i poveri mezzi a disposizione l’enorme sofferenza di intere popolazioni del Congo, per coprire il fallimento della costosa missione dell’Onu con i suoi intrallazzi e alleanze”. (M.G.)

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    I vescovi di Burundi, Rwanda e Congo riflettono su pace e giustizia

    ◊   Un’iniziativa congiunta per la pace, la giustizia e la riconciliazione nei Paesi dei Grandi Laghi e un riconoscimento ai missionari martiri per l’opera svolta da decenni in Burundi, Rwanda e Repubblica Democratica del Congo: sono questi i punti salienti evocati durante la messa di apertura della celebrazione del cinquantenario delle Conferenze episcopali nei tre Paesi africani e del ‘giubileo d’argento’ dell’Associazione delle conferenze episcopali dell’Africa centrale (Aceac), creata nel 1984. Dopo la messa di apertura, celebrata lunedì scorso nella parrocchia San Giuseppe di Kalamu a Kinshasa, si è aperto un colloquio di tre giorni sul tema “autonomia e collaborazione tra le Chiese dell’Aceac” all’Università cattolica di Kinshasa. L’obiettivo – riferisce la Misna – è di valutare il livello di maturità delle Chiese della regione e mettere a punto nuove forme di collaborazione per il futuro. Dopo una nascita difficile e dolorosa, la Chiesa del Burundi è oggi “adulta, in forte crescita e molto attiva”, ha detto mons. Venant Bacinoni, vescovo di Bururi, ricordando un percorso lungo 110 anni. I padri sinodali dei tre Paesi, rifletteranno, in particolare, sui modi di trasmettere i ‘frutti’ del Sinodo sull’Africa tenutosi ad ottobre”. L’appuntamento è centrale per tradurre in azioni le proposte formulate in Vaticano, in particolare in merito alle questioni di pace, riconciliazione e giustizia che le Chiese dell’Africa centrale devono affrontare. Domani 3 dicembre, giorno dell’anniversario della fondazione dell’Aceac, verrà posta la prima pietra dell’Istituto panafricano per l’insegnamento della dottrina sociale negli edifici dell’Università cattolica del Congo (Ucc) a Monte-Ngafula. Sabato, infine, si svolgerà l'Assemblea Generale dell'Aceac. Dopo un processione, una messa solenne nello stadio dei Martiri, il 7 dicembre, concluderà i lavori delle Chiese dei Grandi Laghi. (A.L.)

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    Tavola della pace: dare voce a Betlemme soffocata dal muro

    ◊   A pochi giorni dal Natale, Flavio Lotti, coordinatore nazionale della Tavola della pace, lancia un appello per non dimenticare Betlemme. “La tradizione – afferma il coordinatore le cui parole sono state riprese dal Sir - vuole che Gesù sia nato in una grotta non lontano da Betlemme, oggi soffocata da un muro imponente e da una dura occupazione militare che continua da oltre quattro decenni. I suoi abitanti, tutti, bambini, donne, anziani, persone con disabilità, vivono in condizioni sempre più misere, in una prigione a cielo aperto”. “La costruzione del muro e di nuovi insediamenti israeliani, la sottrazione delle terre, le molteplici restrizioni fisiche e amministrative hanno distrutto l’economia della città e provocato un grave deterioramento delle condizioni di vita”. Da qui l’appello rivolto “ai giornalisti e responsabili dell’informazione” per chiedere di “accendere i riflettori su Betlemme e mostrare cosa vuol dire nascere e vivere oggi, nella città natale di Gesù”. “Non vi chiediamo analisi politiche – aggiunge Flavio Lotti - ma di dare voce agli abitanti di quella piccola città, vittime innocenti di una grande ingiustizia che il mondo non sembra voler sanare”. “Il Natale – conclude - illumina le nostre città. Facciamo in modo che Betlemme non resti al buio. Il buio più cupo è quello provocato dal silenzio di chi sceglie di non mostrare, di nascondere, di coprire un grande cumulo di inutili sofferenze”. (A.L.)

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    Caritas Gerusalemme: peggiora la situazione dei palestinesi

    ◊   “La situazione, che si deteriora giorno dopo giorno a Gaza e in Cisgiordania, richiede azioni immediate; nulla può giustificare la costante e continua sofferenza di uomini, donne e bambini innocenti”. E’ quanto si legge nella dichiarazione di Caritas Gerusalemme per la Giornata internazionale di solidarietà con il popolo palestinese, celebrata lo scorso 29 novembre. Nel documento, ripreso dall’agenzia Zenit, si esorta anche a lavorare “per la realizzazione delle risoluzioni delle Nazioni Unite, in modo che l'anelito a uno Stato palestinese sovrano non sia solo un sogno, ma comporti una vera speranza che si possa trasformare in realtà”. “E’ l’ora – si legge nella nota - della pace tra israeliani e palestinesi”. La Caritas denuncia inoltre “lo sfollamento di migliaia di famiglie palestinesi”, che per più di 60 anni sono state private “del loro diritto inalienabile all'autodeterminazione”. “Molti sforzi politici e altre iniziative sono rimasti nel dimenticatoio, mentre la situazione nei Territori Palestinesi continua ad essere preoccupante”. Si condannano anche le gravi limitazioni imposte quotidianamente da Israele attraverso “il muro di separazione con più di 500 controlli militari e altre barriere fisiche, che continuano a frammentare la società palestinese a livello territoriale, economico, sociale e politico”. Questa situazione - si osserva nel documento - “non solo rappresenta una flagrante violazione del diritto internazionale, ma è anche un grande ostacolo al raggiungimento della pace e della riconciliazione”. “Siamo certi che la pace sia possibile, e per questo - conclude la nota - preghiamo il Dio di tutti perché porti pace, giustizia e riconciliazione a tutti i suoi figli in Terra Santa”. (A.L.)

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    25 anni fa la tragedia di Bhopal

    ◊   Sebbene le autorità indiane abbiano smentito che la fabbrica di pesticidi di Bhopal continui ancora ad inquinare le falde acquifere, come indicato da un recente rapporto, non possono negare le conseguenze ancora visibili nei superstiti della tragedia successa 25 ani fa: la notte tra il 2 e il 3 dicembre 1984 decine di migliaia di abitanti di Bhopal, una città dell’India centrale, furono contaminati da 40 tonnellate di isocianato di metile, fuoriuscite da una cisterna dell’impianto degli Union Carbide, società statunitense che ora fa parte del colosso Dawn Chemical. Nel giro di pochi giorni la nube tossica, di cui non è mai stata rivelata l’esatta composizione, uccise dalle 7 alle 10 mila persone. Altri 15 mila morirono negli anni successivi, ma oggi un numero enorme non precisato soffre ancora di malformazioni congenite, tumori ed altre malattie croniche agli occhi, sangue ai polmoni. Secondo Amnesty International, oltre 100 mila persone, che vivono nelle vicinanze del sito, hanno subito danni irreversibili alla salute. Bhopal insomma uccide ancora, e poco o nulla ha fatto il governo indiano per aiutare i sopravvissuti o per risanare il sito dai veleni. Secondo uno studio reso noto ieri per l’anniversario dell’incidente, e condotto da un centro studi di Delhi, sulla base di campioni di acqua prelevati in un raggio di 3 km dalla fabbrica, le falde acquifere contengono ancora una concentrazione di pesticidi almeno 40 volte superiore allo standard. (Da New Delhi, Maria Grazia Coggiola)

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    Mons. Menamparampil rilancia l’impegno della Chiesa per la pace nell’Assam

    ◊   Mons. Thomas Menamparampil, arcivescovo di Guwahati, ha rivolto alla popolazione del turbolento Stato dell’Assam un “Messaggio di pace in preparazione del Natale”. Egli parla ad una regione segnata da ininterrotti scontri etnici e da attentati terroristici che continuano a mietere vittime. In questo scenario drammatico mons. Menamparampil ed il suo Joint Peace Team of North-east India sono impegnati da 13 anni nei negoziati di pace tra movimenti radicali, gruppi tribali e comunità etniche o religiose. A partire dal suo lavoro e davanti agli ultimi attentati che hanno insanguinato la regione il presule è convinto più che mai che non si deve “imporre la pace” né fermarsi alla mera “condanna”, ma bisogna “diffondere la speranza” e “infondere il respiro della pace”. “Quando Gesù ha detto ‘la pace sia con voi’ - afferma mons. Menamparampil nel testo citato da AsiaNews – le truppe romane percorrevano il mondo occidentale imponendo la loro idea di pace”. Oggi come allora “la storia di ripete” ed è vivo il rischio di attuare con la forza pace e giustizia. In tal modo “il potere più forte impone le sue condizioni al più debole, le comunità più imponenti prevalgono su quelle più fragili, sulle minoranze etniche e religiose”. L’Assam è un esempio di queste dinamiche di forza che per il prelato non fanno altro che “aumentare le tensioni”. Il vescovo di Guwahati non accetta nemmeno la logica della mera condanna con cui spesso si reagisce agli episodi di violenza. “Se condanno qualcuno – dice il presule - significa che gli giro le spalle, lo rifiuto, e non posso parlare più con lui”, mentre ciò che serve è il dialogo, l’impegno a “risvegliare alla vita la sua sensibilità umana”. La Chiesa non si propone come “mediatrice”, “soggetto politico” o “propagandistico”, ma come portatrice di un messaggio di pace che supera le barriere. “Noi cerchiamo solo di creare un clima favorevole - dice il vescovo - di costruire mutuo rispetto, rimuovere i pregiudizi”. Il lavoro pacificatore della Chiesa trova dunque la sua forza nella certezza portata al mondo da Cristo. Per questo, infine, il vescovo di Guwahati pone i cristiani davanti ad una scelta. “Volete essere portatori di questa pace per il resto dell’umanità? Natale è un’occasione per fare la vostra scelta. Scegliete Cristo e diventate portatori della pace che lui dona”. (M.G.)

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    India: i cristiani accusati di “conversioni illegali” per meri motivi politici

    ◊   Accusare i cristiani in India di portare avanti una campagna di conversioni illegali o fraudolente è una falsità che movimenti integralisti indù diffondono per meri motivi politici: è quanto afferma un forum ecumenico di oltre 500 fra sacerdoti e pastori di diverse confessioni cristiane nello Stato del Karnataka, riunitisi nei giorni scorsi a Bangalore. Come comunica all’agenzia Fides la Chiesa locale, il forum, presieduto dall’arcivescovo di Bangalore, mons. Bernard Moras, ha denunciato il tentativo da parte dei governi di alcuni Stati indiani, di approvare disegni di legge “anti-conversione”, lesivi della libertà religiosa dei cittadini indiani. Le accuse di conversioni “sono state ingigantite con il preciso intento di creare insicurezza e animosità fra le comunità di diverse religioni nei riguardi dei cristiani. Queste accuse sono motivate politicamente”, ha sottolineato l’arcivescovo. Mons. Moras ha spiegato che, se vi sono alcuni casi verificati, questi vanno indagati e portati davanti alla Corte di giustizia. Ma estendere l’accusa a tutti i cristiani, in modo indiscriminato, “è solo il tentativo di creare disarmonia nella società per raggiungere un risultato politico”. Anche perchè, ha continuato, “i cristiani non hanno mai costretto nessuno”, mentre “l’opera di prossimità e di assistenza ai poveri e agli emarginati, che spesso chiedono di conoscere meglio il messaggio di Cristo, e scelgono in piena e libera coscienza la religione cristiana, è sotto gli occhi di tutti”. Il forum ha affermato che i diversi attacchi che ancora vengono perpetrati contro chiese, scuole e comunità cristiane, “sono un segno del Signore che ci spinge con forza sul cammino ecumenico”. I sacerdoti presenti hanno infatti rilevato che l’attuale clima politico ha dato un’accelerazione al cammino ecumenico e le accuse generalizzate hanno infatti portato le diverse confessioni cristiane indiane a ricercare maggiore accordo e unità per rispondere ai tentativi di delegittimazione e di diffamazione. Inoltre questo è stato il primo passo per potenziare il cammino ecumenico, per lanciare programmi comuni nel campo liturgico, pastorale, sociale e del confronto reciproco. (R.P.)

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    Nel Tamil Nadu “la festa della vita" promossa dai Guanelliani per i bambini disabili

    ◊   Un appuntamento ormai tradizionale è “la festa della vita”, promossa dai guanelliani (Servi della carità, Opera don Guanella) a Talavadi, diocesi di Ooty, zona nord occidentale del Tamil Nadu, presso il centro diurno Nazareth Illam, che si prende cura di oltre 450 disabili, direttamente nelle loro case, disseminate in oltre 100 villaggi. Una giornata di giochi, preghiera e condivisione che vede da maggio la presenza di oltre 130 bambini in situazione di disagio: “E’ una gioia grande poter vedere insieme ragazzi, giovani, anziani ballare, cantare, giocare e pregare, guardando alla vita con rinnovata speranza e fiducia” spiega all'agenzia Fides il direttore del centro, Fr. Joseph. Domenica scorsa si è svolto l'incontro previsto per il mese di novembre: una giornata iniziata con la preghiera, poi a seguire tanti giochi ed un pasto semplice: riso, sambar e un frutto. "Il piatto, quando sono tanti, è una semplice foglia di banano - spiega Fr. Luigi De Giambattista", Superiore provinciale. “Vengono tutti per stare insieme apprezzando i reciproci talenti, i doni e le attitudini che ognuno di loro possiede. I bambini poi sono accolti senza distinzione di casta, colore, credo, diversa abilità” aggiunge. I guanelliani a Talavadi sono presenti dal 28 maggio scorso. Hanno ricevuto dalla diocesi la richiesta di provvedere al piccolo centro. Portano medicine, conforto e alcune indicazioni su come prestare le prime cure riabilitative. Insieme ai due sacerdoti che risiedono nel centro, un’assistente sociale e a volte un medico, vanno di villaggio in villaggio. “Urgono fisioterapisti” spiega don Piero Lippoli, segretario generale dell'Opera e responsabile delle missioni guanelliane in Asia, rientrato in questi giorni dall’India. “E’ nostra intenzione lanciare al più presto una proposta di esperienza missionaria a tanti giovani fisioterapisti che studiano in Italia, perchè possano proprio a Thalavadi, accompagnare i sacerdoti nei villaggi ed insegnare ad esempio alle mamme come praticare un massaggio al figlio disabile, per una cura costante e non solo occasionale”. (R.P.)

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    Sri Lanka: gli sfollati tornano nella regione tamil ma l'area è infestata dalle mine

    ◊   Nello Sri Lanka il governo ha autorizzato i profughi di etnia Tamil ad “uscire dai campi nel nord del Paese dove erano stati raccolti a maggio, alla fine del conflitto con l’Esercito di liberazione delle Tigri Tamil”. Si stima che siano oltre 136 mila le persone autorizzate a rientrare nelle loro case. Ma non mancano insidie e pericoli: l’arcivescovo di Colombo, mons. Malcom Ranjith, ha sottolineato, in particolare, che i profughi rischiano di restare gravemente feriti o di morire se non si procederà allo sminamento del territorio. “La comunità internazionale – ha aggiunto il presule le cui parole sono state riprese dall’agenzia Zenit – dovrebbe aiutare lo Sri Lanka a sminare l’area prima possibile e contribuire alla ricostruzione delle infrastrutture”. Dopo il conflitto, caratterizzato da abusi e gravi violazioni dei diritti umani, il governo di Colombo ha chiarito che la ricostruzione dovrà essere finanziata dalla solidarietà internazionale, senza alcuna ingerenza sul futuro assetto del Paese e sulla partecipazione delle minoranze. L’arcivescovo di Colombo ha anche chiesto un maggiore impegno per la riabilitazione di oltre 10 mila bambini soldato reclutati dai ribelli delle Tigri Tamil. Tutti i leader religiosi – ha infine affermato mons. Malcom Ranjith – dovrebbero unirsi per condannare la violenza e lavorare per la pace: “Ciò che devono fare è incoraggiare il governo dello Sri Lanka a trovare una soluzione politica”. (A.L.)

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    I cattolici cinesi pellegrini sull’isola di Shang Chuan dove morì San Francesco Saverio

    ◊   La piccola isola di Shang Chuan, nella provincia del Guang Dong, dinanzi alla costa sud della Cina, dove San Francesco Saverio morì il 3 dicembre 1552, è la meta preferita per il pellegrinaggio di singole comunità, parrocchie e organizzazioni che portano il suo nome. Sono tantissimi i pellegrini provenuti da tutte le parti del continente, da Hong Kong, Macao e Taiwan, soprattutto in questi ultimi giorni, alla vigilia della festa del Santo Patrono delle Missioni. Oltre al pellegrinaggio a Shang Chuan, la novena, gli incontri di preghiera e di riflessione, scandiscono l’intensa preparazione delle comunità cattoliche del continente alla festa del Patrono delle Missioni, secondo le informazioni pervenute all’agenzia Fides. Per i sacerdoti cinesi, che stanno studiando e riflettendo sulla Lettera del Segretario di Stato vaticano, cardinale Tarcisio Bertone per l’Anno sacerdotale, la festa assume un ulteriore significativo missionario e vocazionale. L’ultimo ritiro spirituale dei sacerdoti della diocesi di Tai Yuan, alla fine dell’anno liturgico, in preparazione all’Avvento e alla festa di San Francesco Saverio, è stato incentrato sul tema dell’evangelizzazione sulle orme di Francesco Saverio. Nella Cattedrale di Xi Kai, della diocesi di Tian Jin, il mandato conferito ai ministri straordinari della Comunione, nella solennità di Cristo Re, ha sottolineato il senso dell’Avvento e della festa del Patrono delle Missioni. La festa di San Francesco Saverio, che ha molti devoti in Cina, viene celebrata con una solenne Eucaristia in suo onore in quasi tutte le comunità, in particolare quelle che hanno preso il suo nome. Insieme al suo confratello, padre Matteo Ricci, il grande missionario della Cina, anche San Francesco Saverio viene considerato dai cattolici cinesi “come uno di loro”: entrambi godono di grande devozione e rispetto. Anche i non cattolici li considerano precursori esemplari ed eccellenti dello scambio culturale tra oriente ed occidente. (R.P.)

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    Lettera dell’arcivescovo di Pamplona per la festa di San Francesco Saverio

    ◊   “Il missionario è colui che ha lasciato tutto per Cristo, e non per un Cristo idealizzato o lontano, ma per un Cristo-Dio che gli è venuto incontro e lo ha impressionato, lo ha vinto e lo ha convinto come Paolo, Pietro, Filippo, Giovanni e Andrea. E 'impossibile annunciare in modo autentico Cristo se non si è avuta esperienza di Lui. Così tanta è la forza e l'efficacia della parola del missionario, quanto più forte sia la sua esperienza del Signore e della Sua Parola.” Sono le prime parole della lettera di mons. Francisco Perez, arcivescovo di Pamplona-Tudela e direttore nazionale delle Pontificie Opere Missionarie in Spagna, scritta per la festa di domani di San Francesco Saverio, che ha per titolo “Missionari con la Chiesa Diocesana, anche tu lo sei!”. “San Francesco Saverio (1506-1552) – scrive nella sua lettera mons. Perez - è nato e cresciuto in una famiglia, in un gruppo dove c'era Dio in abbondanza. Il missionario non è colui che decide di essere testimone di Cristo in un momento personale di euforia. Il missionario nasce in mezzo a una comunità attraversata, riscaldata e guidata dallo Spirito Santo. Sicuramente la prima di queste comunità è stata la famiglia. In seguito potrebbe essere stata la comunità parrocchiale o il gruppo. Ciò significa che dobbiamo potenziare questi gruppi nelle nostre parrocchie, vivificati dalla presenza dello Spirito di Cristo. Così potranno nascere delle genuine vocazioni che potranno ‘sostituire’ i nostri missionari e missionarie". A Pamplona domani - riferisce l'agenzia Fides - nella ricorrenza di San Francesco Saverio, è festa grande, perché il Santo nacque a Xavier, in Navarra, e la tradizione cattolica lo celebra in tutti i paesi, anche più piccoli, della zona. La Messa principale viene celebrata a mezzogiorno dall’arcivescovo di Pamplona, che impone i Crocifissi ai missionari in partenza. E’ un atto molto sentito da tutti i missionari che vi partecipano, sia perché San Francesco Saverio è il patrono delle Missioni e anche perchè a Pamplona in questo giorno si celebra la Giornata della missione diocesana. (R.P.)

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    Brasile: le reliquie di Don Bosco sono arrivate a Porto Alegre

    ◊   Il pellegrinaggio a livello mondiale che nei prossimi sei anni dovrà attraversare i cinque continenti, è arrivato lunedì scorso a Porto Alegre. L'urna contenente le spoglie mortali di San Giovanni Bosco, il sacerdote italiano fondatore della Congregazione Salesiana, è stato accolto da centinaia di fedeli che hanno improvvisato una processione tra il ponte di Guaíba e la Parrocchia São Miguel, nel quartiere di Mont Serrat. Proveniente da Rio Grande, il pellegrinaggio - riferisce l'agenzia Fides - toccherà anche Bage, Santa Rosa e Viamão, dove i Salesiani gestiscono diversi centri dello Stato. Partito lo scorso agosto da Torino, dove Don Bosco ha iniziato la sua opera ed è sepolto, il pellegrinaggio passerà attraverso 133 Paesi in cui i Salesiani sono presenti. Il viaggio durerà fino al 2015, quando si celebreranno i 200 anni della nascita del sacerdote, che 150 anni fa fondò la Congregazione, pensando espressamente all’educazione e alla formazione della gioventù. In Brasile l'urna, che contiene una mano e un braccio di Don Bosco, è già passata per Paraná e Santa Catarina. Le reliquie sono accompagnate da un gruppo di sacerdoti italiani e rimarranno in Brasile fino al 28 febbraio 2010. (R.P.)

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    Incontro tra vescovi giapponesi e coreani nel nome del cardinale Kim

    ◊   “Ringrazio tutti, vi amo tutti”: queste parole, pronunciate prima di morire dal cardinale Stefano Kim Sou Hwan, sono anche il titolo del documentario proiettato durante l’incontro, tenutosi lo scorso 17 novembre ad Osaka, in Giappone, tra vescovi nipponici e presuli sudcoreani. L’incontro è stato un’occasione per analizzare le relazioni tra Giappone e Corea. Per molti anni diversi giornalisti hanno usato l’espressione “vicine-lontane”: vicine per la geografia, lontane per la storia e per le ferite inferte dal Giappone alla penisola coreana durante il XIX e il XX secolo. Ma per il cuore del cardinale Stefano Kim Sou Hwan, deceduto il 6 febbraio del 2009, sono sempre state “vicine-vicine”. Il porporato, già arcivescovo di Seoul, si è anche impegnato perché le ferite fossero sanate. Nato sotto la dominazione giapponese (1910-1945) il cardinale Stefano Kim ha trascorso gli anni della giovinezza in Giappone. Ritornato in Corea – ricorda l’agenzia AsiaNews - è stato ordinato sacerdote. Nel 1968, a 46 anni, è stato nominato arcivescovo di Seoul. E’ stato anche il primo cardinale coreano. In Giappone vivono attualmente oltre 600 mila coreani. Si tratta soprattutto di coreani costretti a trasferirsi in Giappone durante il periodo della colonizzazione della penisola. Altri sono arrivati nel periodo del dopoguerra. (A.L.)

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    Fervono i preparativi nella comunità ebraica di Roma per la visita del Papa alla Sinagoga

    ◊   Trapelano le prime notizie sui preparativi messi in atto dalla comunità ebraica di Roma per accogliere il 17 gennaio 2010 papa Benedetto XVI in Sinagoga. Nel numero di dicembre di “Pagine ebraiche”, mensile di attualità e cultura dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane, si definisce la visita del Papa come un “evento che dovrebbe sancire l’inizio di una nuova stagione nel dialogo tra mondo ebraico e mondo cristiano”. Per “aggiungere un’ulteriore suggestione alla visita, anche dal punto di vista simbolico”, la comunità ebraica di Roma esporrà per la prima volta nel museo ebraico della capitale, nel giorno stesso in cui il Papa visiterà il Portico d’Ottavia, alcuni preziosi pannelli scoperti nell’archivio della Comunità ebraica romana. Si tratta di documenti risalenti al 18° secolo e “il Papa sarà il primo visitatore a poterli ammirare”. Nel Settecento, quando si eleggeva il nuovo Papa, un corteo in festa lo conduceva nel luoghi più significativi della città. Le strade e le piazze venivano abbellite per l’occasione e tutti erano chiamati a partecipare alla gioia della Chiesa, anche gli ebrei. A loro spettava il compito di abbellire l’area che andava dal Colosseo fino all’Arco di Tito. Per dimostrare la loro amicizia, gli ebrei romani si impegnavano confezionando arazzi, vessilli e pannelli – quelli ritrovati negli archivi - abbelliti di preziose miniature. “E’ – commenta l’articolo di “Pagine ebraiche” – particolarmente significativo che questi documenti siano esposti nel giorno in cui Joseph Ratzinger arriverà al ghetto di Roma per alimentare il dialogo tra ebrei e cristiani”. I pannelli finora ritrovati sono 14. Dall’elezione di Pio VII, il corteo papale cambiò percorso e la zona precedentemente riservata agli ebrei non fu più attraversata. Non cessarono tuttavia gli omaggi al pontefice che proseguirono in forma privata. “E’ dunque possibile – conclude l’articolo - che decine di questi addobbi colorati si trovino in qualche archivio o sotterraneo vaticano” e che anche “grazie a questo clima di rinnovata amicizia, a breve emergeranno altre appassionanti sorprese”. (R.P.)

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    Convegno all'Urbaniana a 100 anni dalla Conferenza mondiale di Edimburgo sulla missione

    ◊   “Il cammino di un secolo. Edimburgo 1910- 2010”: è il tema di un Convegno di studi che si è aperto oggi a Roma, promosso dalla Pontificia Università Urbaniana per ricordare la Conferenza mondiale sulla missione a cento anni dal suo svolgimento in quella città scozzese. L’evento riunì milleduecento delegati di diverse denominazioni protestanti, provenienti soprattutto dalla Gran Bretagna e dagli Stati Uniti e segnò l’inizio del movimento ecumenico del XX secolo, associando inoltre l’impegno ecumenico delle Chiese e quello missionario. Sarà commemorato con una Conferenza del Centenario in programma a Edimburgo e altre località dal 2 al 6 giugno 2010, con la presenza di tutte le tradizioni e confessioni cristiane - comprese la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse, assenti alla Conferenza del 1910 – e con una significativa partecipazione di delegati dal Sud del mondo. Al convegno dell’Urbaniana interverranno tra gli altri, nella prima giornata dei lavori, il prof. Ermanno Genre, teologo valdese e il padre Augustine Mulloor. Domani mattina prenderanno la parola il cardinale Walter Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per l’Unità dei cristiani e il teologo mons. Piero Coda. Il convegno si concluderà domani pomeriggio con il conferimento della Laurea honoris causa in Missiologia al padre Giuseppe Frizzi, che terrà la Lectio magistralis. (M.V.)

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    Presentazione a Roma del libro del Papa pubblicato dal Patriarcato di Mosca

    ◊   Una tavola rotonda sul ruolo delle Chiese per l’integrazione europea e la presentazione del libro di Papa Benedetto XVI - pubblicato dal Patriarcato di Mosca in collaborazione con l'associazione Sofia - dal titolo “Europa, patria spirituale”, nelle lingue italiana e russa, con la prefazione dell’arcivescovo Hilarion, presidente del Dipartimento per le relazioni ecclesiali esterne del Patriarcato di Mosca, sono avvenuti oggi a Roma nel contesto del Foro di dialogo Italia-Russia, grande evento della loro collaborazione politica, culturale ed economica, e alla vigilia del vertice di domani a Roma fra il presidente Medvedev e il primo ministro Berlusconi. Il moderatore della tavola rotonda, il prof. Pierluca Azzaro, ha introdotto gli interventi di padre Milan Zust del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani e dell’archimandrita Sergiy Zvonarev del Patriarcato di Mosca, dopo aver dato lettura di un messaggio di compiacimento e di saluto della Segreteria di Stato e di un intervento del rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, prof. Lorenzo Ornaghi, impossibilitato a parteciparvi, che ha preannunciato un’analoga iniziativa editoriale, l’aprile prossimo a Milano, in occasione della celebrazione comune della Pasqua, la pubblicazione cioè di un libro con scritti del Patriarca russo Kyrill - a cura della Libreria Editrice Vaticana in collaborazione con l'associazione Sofia - dal titolo “Libertà e responsabilità alla ricerca dell’armonia”. Nei numerosi interventi che hanno caratterizzato il Foro di dialogo Italia-Russia, tra l’altro quelli dei ministri italiani Sandro Bondi e Maria Stella Gelmini, è stata sottolineata l’importanza dei principi morali, spirituali, religiosi della realtà attuale e soprattutto per quella futura dell’Europa. Le fondamenta spirituali cristiane - è stato affermato – sono basilari per la definizione della sua identità. (A cura di Graziano Motta)

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    24 Ore nel Mondo



    Fondamentalisti islamici rivendicano l’attentato al treno in Russia

    ◊   E' stato rivendicato l’attentato al treno russo Nevski Express, che venerdì scorso ha provocato 26 morti e un centinaio di feriti. L’azione è stata probabilmente condotta da fondamentalisti islamici del Caucaso legati al capo ribelle ceceno, Dokou Oumarov. Sul ritorno del terrorismo ceceno, Stefano Leszczynski ha intervistato Fabrizio Dragosei, corrispondente da Mosca del Corriere della Sera:

    R. - Era già molto tempo che estremisti islamici e soprattutto bande di pochi ceceni, che ancora combattono contro Mosca, minacciavano di portare il terrorismo sul territorio della Russia. Un gruppo, che prima faceva capo allo stesso Oumarov, aveva eseguito un attentato sulla stessa linea ferroviaria, la Mosca-San Pietroburgo, due anni fa. In quel caso, il drappello era guidato da un ex militare russo. A volte, alcune di queste rivendicazioni, pubblicate poi su questo sito islamico, si sono rivelate false.

     
    D. - Quali sono le altre ipotesi che si possono fare per attentati di questo tipo? Quali sono le forze eversive presenti in Russia oggi?

     
    R. - La primissima rivendicazione era stata proprio quella di un gruppo ultranazionalista, sicuramente presente in Russia e che finora ha compiuto altre azioni, ovviamente di entità molto molto minore, riguardanti soprattutto aggressioni contro quelli che loro chiamano “neri”, cioè i caucasici, che lavorano nei mercati. Sicuramente, è un Paese molto instabile ancora oggi la Russia, dove gruppi anche minoritari riescono comunque a fare danni rilevanti. Potrebbero essere stati quindi - e francamente sembra la pista più credibile - gruppi ceceni organizzati o gruppi di estremisti islamici. Anche un qualsiasi gruppetto di ultranazionalisti in vena di follie omicide potrebbe aver trovato i mezzi e gli strumenti per realizzare un attentato di questo genere.

     
    D. - Come potrebbe reagire la Russia di oggi ad una nuova minaccia eventualmente proveniente dal Caucaso?

     
    R. - Sicuramente, una minaccia seria come quella proveniente dal Caucaso - se appunto si rivelasse fondata la rivendicazione di questo attentato - sarebbe un fatto di estremo imbarazzo per Putin e per i Servizi segreti e i vari ministeri che hanno fondato gran parte del loro potere attuale proprio sul ristabilimento della pace nel Paese, della pace a qualsiasi costo. Ricordiamoci che in Cecenia sono stati usati metodi sicuramente non accettabili, ma che dal punto di vista della Russia le hanno permesso di ottenere un risultato. Ora, nel momento in cui il terrorismo dovesse ricominciare, non si giustifichirebbe più il successo che questi esponenti dell’ala dura del Cremlino continuano a vantare.

     
    Pakistan
    Almeno quattro persone sono rimaste ferite in un attentato suicida contro una base militare a Islamabad, la capitale del Pakistan. Lo ha annunciato la polizia, precisando che uno dei feriti è in gravissime condizioni. Secondo la stessa fonte, la bomba è esplosa all'entrata della base della Marina nazionale, nel pieno centro di Islamabad.

    Gaza: Hamas annuncia la morte di un miliziano
    Il braccio armato di Hamas, Brigate Ezzedin al-Qassam, ha annunciato la morte di un proprio miliziano avvenuta la scorsa notte a Rafah, nel sud della Striscia di Gaza, durante quella che è stata definita “una missione di Jihad”, ossia di “guerra santa”. La vittima sarebbe Yasser Sabri Radi, 37 anni, residente in un campo profughi. Nella notte fra lunedì e martedì scorsi, era rimasto ucciso un altro miliziano, appartenente alle Brigate dei martiri di al-Aqsa, al-Fatah. Finora non si hanno altri dettagli su quell'episodio.

    Da ieri la Corte internazionale di Giustizia si occupa di Kosovo
    La Corte internazionale di Giustizia, che per conto dell’Onu regola le controversie tra Stati, ha cominciato ieri all’Aja ad esaminare la legalità della dichiarazione unilaterale di indipendenza del Kosovo dalla Serbia. Il Kosovo ha proclamato la propria indipendenza il 17 febbraio del 2008. La Serbia si è sempre opposta alla secessione anche se 63 Paesi riconoscono il Kosovo come Stato indipendente. Stefano Leszczynski ha intervistato Benedetto Conforti, docente di Diritto internazionale all’Università di Napoli.

    R. - La Corte internazionale di Giustizia è stata investita dall’Assemblea generale, tuttavia i suoi pareri non sono vincolanti e spesso - come accaduro con l’ultimo parere sulla questione del muro in Israele - non vengono poi osservati dagli Stati.

     
    D. - Da un punto di vista politico e internazionale, le conseguenze potrebbero comunque essere importanti...

     
    R. - Certo, anche perché la questione generale del Kosovo è complicata dal fatto, che all’origine dell’amministrazione delle Nazioni Unite sull'ex provincia serba, in attesa di una futura destinazione il Consiglio di sicurezza adottò una posizione molto ambigua sul futuro del Kosovo: è chiaro, quindi, che quando c’è stata la richiesta dell’indipendenza, la Serbia abbia ritenuto, anche con un certo fondamento, di essere stata privata di una parte di un suo territorio, cosa che per il diritto internazionale non è lecita.

     
    D. - Il diritto internazionale riconosce il diritto alla secessione?

     
    R. - No, il diritto alla secessione non viene riconosciuto. Direi che l’autodeterminazione è cosa diversa: l’autodeterminazione è intesa nel diritto internazionale come diritto di un popolo a governarsi da sé, a non avere un governo straniero, quindi soprattutto il caso dei territori coloniali.

     
    D. - Professore, questo del Kosovo, secondo lei, è in qualche modo un processo reversibile o assolutamente no?

     
    R. - È difficile. Io credo comunque che, politicamente, dopo questa dichiarazione di indipendenza - suffragata anche dall’appoggio di Paesi come gli Stati Uniti - si finirà per accettare il fatto compiuto.

     
    D. - Questo potrebbe costituire un precedente per altri casi simili?

     
    R. - Indubbiamente, la giurisprudenza della Corte internazionale di giustizia - sia le sentenze, sia i pareri - ha molta autorevolezza. Sono un punto di riferimento per sviluppi ulteriori, però è sempre necessario che vengano poi confermati nella prassi successiva. E chi fa la prassi? Gli Stati, non la Corte.

     
    Somalia: tensioni e violenze nel Puntland
    Due morti e numerosi feriti, alcuni dei quali in gravi condizioni è il bilancio, ancora provvisorio, di un attentato avvenuto ieri sera all'interno di un cinema di Bosasso, importante porto e principale città del Puntland, regione semiautonoma del nordovest della Somalia. La maggioranza delle vittime sono etiopi. In ottobre, erano stati uccisi da sospetti gruppi di killer mascherati un famoso deputato ed il capo dell'Alta Corte somala, che aveva condannato a dure pene detentive alcuni membri appartenenti al gruppo integralista islamico al Shabaab.

    Al largo delle coste dell’Oman, sventato assalto a petroliera greca
    Una petroliera greca in navigazione dal Sudan e diretta verso la Cina è riuscita ieri a sfuggire ad un assalto dei pirati al largo delle coste dell'Oman, nella porzione sudorientale della penisola arabica. Lo ha reso noto la Guardia costiera di Atene, secondo cui la "Skinos", con a bordo 24 membri di equipaggio, otto greci e 16 filippini, è stata attaccata da un commando, al largo delle coste del Paese del Golfo. L'equipaggio è però riuscito a resistere all'assalto e a riprendere la sua navigazione verso il porto di Huangpu, nella provincia orientale cinese del Guangdong. L'assalto fallito avviene a tre giorni da quello riuscito contro un'altra petroliera greca, al largo delle isole Seychelles.

    Grecia: due ostaggi in una scuola tedescaUn individuo, identificato come Costas Arampatzis, di circa cinquanta anni, ha preso in ostaggio il direttore della scuola tedesca di Salonicco e la sua segretaria. Avrebbe richiesto una somma di dieci milioni di euro minacciando di suicidarsi. I bambini presenti nell’edificio erano stati fatti evacuare in precedenza dalla polizia. Nel 2006, lo stesso uomo, un ex emigrato in Germania, aveva compiuto azione identica nella medesima scuola, denunciando rivendicazioni economiche nei confronti dello stato tedesco.

    Ad Atene attacchi incendiari nel quartiere di Kessariani
    Un gruppo di una ventina di persone mascherate hanno lanciato bombe incendiarie contro banche ed esercizi commerciali nel quartiere ateniese di Kessariani, provocando danni ma nessuna vittima. L'attacco, che gli inquirenti tendono ad attribuire ad un movimento anarchico, è avvenuto nelle prime ore di stamani: quando la polizia è intervenuta i responsabili si erano già dati alla fuga.

    Honduras: Zelaya denuncia "frode elettorale"
    Manuel Zelaya, l'ex presidente dell'Honduras, ha chiesto ai presidenti americani di non riconoscere come valide le elezioni presidenziali che si sono tenute domenica scorsa nel suo Paese e che sono state vinte dal candidato della destra, Porfirio Lobo. Zelaya denuncia "uno scrutinio illegittimo e illegale, imposto dalla dittatura militare con il sostegno degli Stati Uniti", e aggiunge di essersi rivolto alla Corte penale internazionale (Cpi) per, ha detto, "ottenere giustizia per il nostro popolo e far applicare le sanzioni dovute per gli autori di alto tradimento e di crimini contro l'umanità in Honduras ". Zelaya spera di essere riportato alla presidenza dal Congresso honduregno, ma gode tuttavia del sostegno di soli 26 deputati del suo partito. (Panoramica internazionale a cura di Fausta Speranza e Chiara Pileri)

     
    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIII no. 336

     
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