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Sommario del 31/07/2008
Nel suo soggiorno a Bressanone, il Papa ci insegna a recuperare il significato autentico del riposo: la riflessione di Irene Argentiero, direttore del settimanale diocesano altoatesino “Il Segno”
◊ Prosegue il periodo di riposo di Benedetto XVI a Bressanone, mentre cresce l’attesa tra i fedeli per il suo primo appuntamento pubblico, domenica all’Angelus. Si prevede un grande afflusso di fedeli nella cittadina altotesina, definita la “sua casa” nell’editoriale pubblicato su “Il Segno”, settimanale della diocesi di Bolzano-Bressanone. Al microfono di Benedetta Capelli, il direttore della rivista, Irene Argentiero, spiega perché ha scelto di intitolare il suo articolo “L’importanza del riposare”:
R. – In questi giorni, Bressanone ha accolto Benedetto XVI con grande gioia e con grande entusiasmo. L’arrivo del Papa in città ha creato anche grande interesse e grande partecipazione da parte di chi vorrebbe sapere dove il Papa va a fare una passeggiata e cercare anche i particolari di questa sua vacanza. Una vacanza che è – come ha detto lo stesso Benedetto XVI – riposo, tempo da dedicare alla preghiera, allo studio e allo spirito. Credo che, ai giorni d’oggi, noi dovremmo recuperare il significato profondo di cosa significa riposare: per l’uomo moderno il tempo libero è tagliato sulla misura e sui ritmi di una quotidianità che è fin troppo frenetica.
D. – Silenzio e preghiera, infatti, normalità della vita quotidiana. Una semplicità che a volte, appunto, sembra spaventare…
R. – Una semplicità che sembra spaventare, ma che il Papa con l’esempio stesso della sua vita ci dà in questi giorni a Bressanone. Silenzio del Seminario, che – pur essendo nel centro della città di Bressanone – è un luogo dove il silenzio lo si può ritrovare e preghiera perchè il Seminario maggiore di Bressanone è il centro dove vengono formati i sacerdoti della nostra diocesi.
D. – Lei ha definito Benedetto XVI "un buon compagno di cammino"...
R. - Quando è stato eletto Papa, Benedetto XVI lo si è guardato con gli occhi di chi guardava al cardinale Ratzinger, prefetto della congregazione per la Dottrina della Fede. In questi anni ha invece mostrato e continua a mostrarci il suo volto paterno: il volto di un Papa che si fa compagna di strada di chi ha incontro. Quando lunedì il Papa è arrivato a Bressanone, io ero in piazza insieme ai pellegrini ed ho visto come con attenzione paterna si è fermato, ha stretto le mani, guardando in faccia le persone che aveva di fronte, ascoltando tutti e rispondendo a chi in italiano a chi in tedesco: dedicando a ciascuno attenzione. E questo come fa una persona che decide di percorrere un pezzo di strada con un amico, con un compagno di viaggio.
D. – Proprio per questo l’Angelus di domenica non è tanto da vivere come un evento, lei scrive…
R. – Esatto. Domenica prossima a Bressanone, in Piazza Duomo, ci saranno nove mila persone che arrivano per incontrare il Papa. Persone che arrivano non tanto per vivere l’evento di aver visto il Papa: molti di loro verranno a Bressanone per fare con il Papa un pezzo di strada. Il Papa, durante gli Angelus, ha sempre offerto una riflessione sul Vangelo che la Liturgia propone di settimana in settimana. I pellegrini, che saranno in Piazza Duomo, avranno la possibilità di vivere tutto questo, riuscendo a fare veramente un passo in avanti e compiere un pezzo di strada insieme al Papa sul cammino del cristiano. Il Vangelo di domenica prossima è anche molto significativo in questo senso.
D. – Infatti, la Liturgia di domenica potrebbe proprio risuonare nel modo in cui il Papa sta vivendo questa sua vacanza?
R. – Proprio così. Domenica prossima la pagina del Vangelo di Matteo ci racconta come Gesù sceglie di ritirarsi in disparte dopo aver appreso della morte di Giovanni Battista: “ma le folle – qui cito – avendolo saputo lo seguirono a piedi dalla città”. Gesù resta con la gente, non la allontana, ma al contrario provvede alle sue principali necessità. Sembra una pagina di Vangelo scritta apposta per quello che ci prepariamo a vivere domenica prossima qui in Alto Adige.
Il Papa concede la "perdita dello stato clericale" al presidente eletto del Paraguay, Fernando Lugo, già vescovo emerito di San Pedro
◊ La nunziatura apostolica in Paraguay ha annunciato, ieri, che Benedetto XVI ha concesso la “perdita dello stato clericale” a Fernando Armido Lugo Méndez, già vescovo emerito di San Pedro, eletto presidente della Repubblica nelle elezioni del 20 aprile scorso, e il cui insediamento avverrà il 15 agosto prossimo. “Il suo stato clericale e gli obblighi del ministero episcopale – si legge nel decreto a firma del cardinale Giovanni Battista Re, prefetto della Congregazione per i Vescovi - non è compatibile con la carica di presidente della Repubblica”. Il Pontefice, si legge ancora nel decreto diffuso dalla nunziatura ad Asunción, esorta il signor Fernando Lugo “ad essere fedele alla fede cattolica” e a “condurre una vita coerente con il Vangelo”. Il servizio di Luis Badilla:
Fernando Lugo “il 18 dicembre 2006 chiese la perdita dello stato clericale – si ricorda nel documento – per presentarsi candidato alle elezioni alla presidenza della Repubblica”, richiesta, affermava, “che non implica abdicare al mio amore verso la Chiesa né alla considerazione nei confronti del servizio ministeriale e della vita religiosa”. Inoltre, nel decreto, si ricorda che le autorità della Santa Sede, in ottemperanza del Codice di Diritto canonico, (can. 285 § 3, can. 287 § 2) dopo aver tentato di dissuadere il vescovo a non entrare in politica hanno deciso la sua sospensione dall’esercizio del ministero sacerdotale. “La recente situazione che si è creata con l’elezione di mons. Fernando Lugo quale presidente della Repubblica del Paraguay – prosegue il decreto – esige la riconsiderazione” della richiesta di "perdita dello stato clericale" “sia per il bene del Paese sia perché si possa distinguere chiaramente, in modo definitivo, tra la carica di presidente della Repubblica e quella dell’esercizio del ministero episcopale” (…) “poiché l’accettazione della carica” presidenziale non è compatibile con gli obblighi del ministero episcopale e dello stato clericale”.
Il documento della Congregazione per i Vescovi afferma poi che “dopo aver esaminato con attenzione tutte le circostanze”, il Santo Padre “ha concesso la perdita dello stato clericale” e conseguentemente “dei diritti inerenti al medesimo stato, dispensandolo al tempo stesso dai voti religiosi” assunti nella Società del Verbo Divino, “dall’obbligo del celibato (can. 292)”. Infine, la nunziatura presso il governo del Paraguay, nel rendere pubblico il decreto ricorda che nel caso di Fernando Lugo ogni atto e decisione ecclesiale sono state ispirate “esclusivamente a ragioni canoniche e pastorali”. La Chiesa, si legge ancora, continuerà le sue relazioni con le autorità civili del Paraguay, ispirandosi a quanto insegna la “Guadium et Spes” del Concilio Vaticano II, secondo la quale “la comunità politica e la Chiesa sono indipendenti e autonome l'una dall'altra nel proprio campo. Ma tutte e due, anche se a titolo diverso, sono a servizio della vocazione personale e sociale degli stessi uomini” (n. 76).
Con una lettera diffusa il 1° febbraio 2007 da parte della nunziatura apostolica di Asunción, capitale del Paraguay, era stato comunicato che il cardinale prefetto della Congregazione per i Vescovi, Giovanni Battista Re, aveva sospeso “a divinis” (con data 20 gennaio 2007) mons. Fernando Lugo, vescovo emerito di San Pedro, che poche settimane prima si era candidato alla presidenza del suo Paese capeggiando una coalizione di forze politiche e sociali. Mons. Lugo (60 anni), il 25 dicembre 2006 aveva annunciato pubblicamente la sua volontà di candidarsi alla presidenza del Paese. Il 18 dicembre 2006 aveva inviato una lettera al Vaticano nella quale affermava di voler rinunciare allo stato clericale; una richiesta che nasceva, fra l'altro, da una disposizione precisa della Costituzione del Paraguay in base alla quale si proibisce a un religioso appartenente a qualsiasi fede di assumere la carica di presidente o vicepresidente del Paese.
Nomina
◊ Nella Repubblica Democratica del Congo, il Papa ha nominato arcivescovo coadiutore dell'arcidiocesi di Lubumbashi mons. Jean-Pierre Tafunga, finora vescovo della diocesi di Uvira.
Alla Conferenza di Lambeth, che riunisce i vescovi anglicani di tutto il mondo, il cardinale Kasper auspica una riscoperta della tradizione apostolica per superare le divisioni nella Comunione anglicana
◊ I rapporti negli ultimi anni tra anglicani e cattolici e le questioni alla base delle attuali controversie all’interno della Comunione anglicana sono state al centro, ieri a Canterbury, dell’intervento alla Conferenza di Lambeth del cardinale Walter Kasper, presidente del Pontificio consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani. L'evento, che riunisce ogni dieci anni i vescovi anglicani di tutto il mondo, è stato anche l’occasione per una esortazione alla riscoperta della tradizione apostolica: “Le divisioni tra noi – ha affermato il porporato – hanno gravemente ostacolato la nostra testimonianza e la nostra missione”. Tuttavia, ha aggiunto il cardinale Kasper, “la piena unità non è stata un fine in sé, ma è un segno e uno strumento di ricerca dell’unità con Dio e della pace nel mondo”. Il servizio di Amedeo Lomonaco:
L’intervento del cardinale Kasper alla Conferenza di Lambeth non è stato quello di un giudice ma di un “amico”, di un “interlocutore ecumenico rattristato dai problemi emersi all’interno della Comunione anglicana”. Il porporato ha affrontato le due questioni che stanno creando tensioni e divisioni tra gli anglicani: l’ordinazione delle donne al sacerdozio e all’episcopato e la sessualità. Su quest’ultimo tema il cardinale Kasper ha ricordato alcuni passi del documento del 1994 intitolato “Vita in Cristo” della Commissione internazionale anglicana cattolica romana (ARCIC): nel testo gli anglicani concordavano con i cattolici “sul fatto che l’attività omosessuale è disordinata”. Le posizioni non erano invece concordanti sul consiglio morale e pastorale da offrire su questa tematica. Alla luce delle tensioni degli ultimi anni sull’omosessualità, una dichiarazione chiara da parte della Comunione anglicana – ha spiegato il porporato – “ci offrirebbe maggiori possibilità per una testimonianza comune della sessualità umana e del matrimonio”.
Soffermandosi sull’altra questione, quella dell’ordinazione delle donne al sacerdozio e all’episcopato, il cardinale Kasper ha fatto riferimento alla lettera apostolica “Ordinatio sacerdotalis” del 1994 di Giovanni Paolo II. Nel documento si sottolinea che “l’ordinazione sacerdotale è stata nella Chiesa cattolica fin dall’inizio sempre esclusivamente riservata agli uomini”. La Chiesa cattolica - ha aggiunto il presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani – “è vincolata alla volontà di Gesù Cristo e non si considera libera di instaurare una nuova tradizione aliena a quella della Chiesa di tutti i tempi”. Sebbene il dialogo ecumenico abbia portato ad un significativo accordo sul sacerdozio, l’ordinazione delle donne all’episcopato – ha precisato il cardinale – “blocca sostanzialmente e definitivamente un possibile riconoscimento degli ordini anglicani da parte della Chiesa cattolica”. La notevole profondità della cultura cristiana della vostra tradizione – ha concluso - “ci dona anche la fiducia nel fatto che con l’aiuto di Dio troverete una via di uscita da queste difficoltà e che in modo nuovo saremo rafforzati nel nostro comune pellegrinaggio verso l’unità che Gesù Cristo desidera per noi e per la quale prega”.
E la Santa Sede segue con “seria attenzione” anche la richiesta di “unità corporativa” con la Chiesa cattolica presentata dalla Comunione anglicana tradizionale (Traditional Anglican Communion). E’ quanto viene sottolineato in una lettera inviata dal cardinale William Levada, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, al primate di questa Comunione, l'arcivescovo John Hepworth, resa nota lo scorso 25 luglio su “The Messenger Journal”, pubblicazione on line della stessa Comunione anglicana tradizionale. La missiva, datata 5 luglio, è stata scritta prima dell'inizio della Conferenza di Lambeth. Il cardinale Levada riconosce che “in questo periodo la situazione nella Comunione anglicana in generale è diventata decisamente più complessa”. Per questo motivo, scrive, "non appena la Congregazione sarà nella posizione di rispondere in modo più definito sulle proposte", la Comunione anglicana tradizionale ne sarà informata. Ma ritorniamo al discorso del cardinale Kasper alla Conferenza di Lambeth. Al microfono di Alessandro Gisotti, l’inviato di “Avvenire” a Canterbury, Andrea Galli, si sofferma sulle reazioni da parte anglicana all’intervento del porporato:
R. – Il discorso è stato accolto come un discorso molto onesto, molto chiaro, molto diretto e con una ricostruzione – anche suggestiva – dei rapporti tra anglicani e cattolici negli ultimi 40 anni. Un discorso che ha contenuto anche diversi rilievi – diciamo – critici, ma sempre sottesi da un anelito di aiuto e di vicinanza. Questo, soprattutto, con una frase che il cardinale Kasper ha inserito nel discorso, alla fine, in cui c’era un’offerta esplicita di aiuto fraterno da parte dei cattolici verso gli anglicani. Penso che, anche con i rilievi molto netti sul tema dell’ordinazione delle donne al ministero episcopale o sul tema della sessualità, il discorso del cardinale Kasper sia stato accolto bene.
D. - Questo spirito di fraternità e di aiuto era stato, peraltro, sottolineato anche dal Papa durante la conferenza stampa in aereo in volo verso l’Australia, verso la GMG. Questa vicinanza soprattutto nella preghiera, ha detto il Papa…
R. – Assolutamente. La preghiera resta un punto chiave sia per il dialogo ecumenico – che comunque continuerà, anche se in modi diversi dal passato - sia per quest’aiuto di cui il cardinale parlava, di questo spirito di vicinanza, pragmatico ma anche di vicinanza spirituale e soprattutto nella preghiera. Una vicinanza molto apprezzata. Lo stesso primate Rowan Williams, in diverse occasioni, ha avuto modo di ringraziare i rappresentanti della Chiesa cattolica per questo spirito.
D. – Questa Conferenza si sta contraddistinguendo per un confronto molto approfondito, un dibattito acceso su alcune questioni. Quali possono essere gli sviluppi e quali le tappe della Conferenza di Lambeth?
R. – Ormai la Conferenza volge al termine, perché i lavori finiranno ufficialmente domenica. Resta ancora un grande punto interrogativo: quale sarà il risultato formale di questa Conferenza. E’ stata proposta una bozza di lavoro formulata da una commissione interna che si propone come via per uscire da quest’empasse. Una proposta, questa, che in sostanza prevede una moratoria delle ordinazioni di vescovi apertamente omosessuali e la creazione di un forum con vescovi nominati personalmente da Rowan Williams con il compito di fare un po’ da mediatori. La proposta sulla carta sembra buona. Però, da molti osservatori è vista di difficile applicazione. Quello che sembra di capire, quindi, è che forse non avremo una soluzione chiara alla fine di questa Conferenza di Lambeth.
La fede è un grande sostegno per i migranti, accogliendo lo straniero si accoglie il Signore. Così, l’arcivescovo Agostino Marchetto, a Washington per il Congresso nazionale sulle migrazioni
◊ Il Congresso nazionale sulle migrazioni 2008, che si chiude oggi a Washington, ha analizzato tra i vari aspetti anche la precaria situazione di tanti stranieri in cerca di migliori condizioni di vita. Durante l’incontro, organizzato dalla Conferenza episcopale degli Stati Uniti, si è sottolineato che spesso la realtà di chi affronta le insidie dell’emigrazione è costellata da grandi difficoltà, insidie che talvolta diventano drammi. Ma la ricchezza della fede può aiutare l’emigrante a superare la miseria, il disagio di aver abbandonato la propria terra? Risponde l’arcivescovo Agostino Marchetto, segretario del Pontificio consiglio per i Migranti e gli Itineranti, raggiunto telefonicamente a Washington da Amedeo Lomonaco
R. – Qualcuno ha detto che la fede è una marcia in più: io credo che, nelle situazioni particolarmente difficili, e delicate la fede aiuta molto ad affrontare queste difficoltà; se nei migranti c’è fede, anche passando attraverso questi tunnel oscuri, il Signore è con loro. Il Signore si identifica con lo straniero. Dobbiamo accoglierlo come accoglieremmo il Signore. Sicuramente la fede è una realtà che aiuta i migranti e fa sì che ci sia la speranza nel futuro, che ci sia un destino di carità, di amore.
D. – Perché nel messaggio del cardinale Martino che lei ha letto, a Washington, si sottolinea che il fenomeno delle migrazioni rende ancora più visibile il volto della Chiesa universale?
R. – Perché quello che era lontano adesso diventa vicino. Dunque, c’è una nuova visibilità dell’universalità della Chiesa. Ma c’è anche una visibilità della famiglia umana universale. Oggi, in una città abbiamo rappresentato il mondo intero.
D. – Secondo lei, è moralmente giustificabile che Paesi sviluppati, tra cui l’Italia ma anche gli Stati Uniti, adottino misure restrittive per contrastare l’emigrazione, fermare o rimpatriare chi per disperazione ha dovuto abbandonare la propria terra?
R. – Io credo che la Chiesa presenti dei principi. Il principio fondamentale è che le persone non debbano emigrare per sfuggire alla fame e al sottosviluppo. Il secondo principio è che c’è una libertà di migrare e questa libertà bisogna che sia tenuta in considerazione. Terzo punto: è vero anche che gli Stati hanno il diritto di regolare i flussi migratori, tenendo conto del bene comune del Paese in cui questi emigrati vanno. Però - io aggiungo sempre - questo bene comune di un Paese deve essere inserito in un contesto del bene comune universale. Oggi si pone una questione molto grave perché le situazioni in cui ci troviamo attualmente lasciano a desiderare per quanto riguarda una visione del bene comune universale.
D. – Anche perché c’è il rischio poi che la necessità di garantire la sicurezza indebolisca quelle iniziative orientate verso l’accoglienza, come se l’accoglienza fosse secondaria rispetto alla sicurezza...
R. - Credo che sia il ministero difficile della Chiesa valutare l’equilibrio tra accoglienza e sicurezza: se c’è una tendenza esagerata verso la sicurezza, la Chiesa deve ricordare l’importanza dell’accoglienza. E vice versa, se questa tendenza è esageratamente spostata verso l’accoglienza, si deve sollecitare una maggiore attenzione alla sicurezza dei cittadini.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ In prima pagina la situazione in Medio Oriente. Il premier israeliano Ehud Olmert annuncia le dimissioni. In Turchia i giudici “salvano” il partito del premier Erdogan accusato di attentare alla laicità dello Stato
“Quando gli Angli divennero angeli”. Un articolo di Paolo Garbini sulla nuova edizione critica della Historia ecclesiastica gentis Anglorum di Beda
“Niente censure, ma bollini di qualità”. Gaetano Vallini illustra le proposte del Fiuggi Family Festival per migliorare il cinema e la televisione per bambini e ragazzi
Raffaele Alessandrini ricorda il vaticanista Maurizio Di Giacomo, “un cacciatore di notizie sempre attento alle persone”
Nell’informazione religiosa, la testimonianza dei cristiani in Iraq. Dopo le recenti stragi, l’appello dell’arcivescovo di Kirkuk dei Caldei, Louis Sako, per salvare la comunità dal disastro
“L’impegno della Chiesa per la nascita di un mondo nuovo”. Un articolo di Gianluca Biccini sulle analogie tra i viaggi di Paolo VI e di Benedetto XVI a Sydney
In Israele, chieste elezioni anticipate dopo l’annuncio di dimissioni del premier Ehud Olmert
◊ L’opposizione israeliana ha chiesto elezioni anticipate dopo la dichiarazione di dimissioni del premier Ehud Olmert. Dopo un lungo periodo di polemiche legate alle accuse di corruzione, peraltro sempre respinte, Olmert ha di fatto annunciato la fine della propria carriera politica. Non si candiderà alle primarie del partito "Kadima", in programma il 17 settembre, e successivamente lascerà la carica di capo del governo. L’annuncio, ieri, in un discorso pubblico a Gerusalemme. Ce ne parla Graziano Motta:
La decisione di Olmert è stata presa alla vigilia di un nuovo interrogatorio per quella parte dell’inchiesta giudiziaria relativa ai rimborsi di spese di viaggio e di rappresentanza. Ieri sera, dagli schermi televisivi, ha voluto riaffermare la sua innocenza, ma ha anche ammesso che per la stabilità della nazione è meglio fare un passo indietro. Una decisione, questa, accolta positivamente dalla maggioranza dell’opinione pubblica, dagli alleati di governo e all’interno del suo partito, dove due candidati si contenderanno la successione alla leadership: la signora Tzipi Livni, attuale ministro degli Esteri, e l’ex capo di Stato Maggiore, Shaul Mofaz. Le preoccupazioni internazionali sono evidentemente per il processo di pace: il presidente americano Bush ha telefonato ad Olmert per ringraziarlo per i suoi sforzi e della sua cooperazione; il presidente palestinesi Abu Mazen, attraverso il suo portavoce, sostiene che le decisioni di Olmert sono un affare interno israeliano ed è quindi pronto a lavorare con un altro primo ministro; mentre la Siria teme, invece, che possano esserci ripercussioni sui negoziati indiretti in corso con Israele.
L’annuncio delle dimissioni del premier israeliano Ehud Olmert, seppur in parte prevedibili, ha scosso il mondo politico internazionale. Ad Antonio Ferrari, inviato del "Corriere della Sera", Stefano Leszczynski ha chiesto perché questo annuncio sia stato dato così in anticipo rispetto elle effettive dimissioni previste a settembre:
R. - Era praticamente scontato da settimane che Olmert dovesse dare le dimissioni. In un Paese, come Israele, che ha molto il senso dell’etica pubblica il primo ministro non sarebbe più potuto restare al suo posto. Io credo che Olmert abbia compiuto un’operazione politica: non si è dimesso, ma ha annunciato che non si ripresenterà alle primarie del suo partito, "Kadima", previste per settembre. Quindi, sono dimissioni lievemente traslate nel tempo.
D. – A questo punto il suo ruolo sembrerebbe essere quello del semplice disbrigo degli affari correnti. Però questa è una posizione pericolosa per il dialogo con i palestinesi?
R. – Io credo che Olmert volesse, in qualche modo, fare anche una scelta di campo. Se si fosse dimesso subito, sarebbe stato inevitabile nominare un nuovo leader di "Kadima", del suo partito, e poi sperare che i laburisti fossero d’accordo. Il leader del partito in quel caso avrebbe potuto essere, da subito, Tzipi Livni, ministro degli Affari Esteri. L’altro personaggio, al quale Olmert in fondo ha fatto un favore, il generale Mofaz, capo di stato maggiore è molto più duro, è un falco di "Kadima", contrario a qualsiasi tipo di dialogo con Hamas, ma contrario anche ad un intensificarsi di quei colloqui con l’Autorità nazionale palestinese e con il suo leader Abu Mazen, che dovrebbero portare alla creazione di uno Stato palestinese entro la fine dell’anno.
D. - Tutto sommato, una successione a favore della Livni, per esempio, non sarebbe uno stravolgimento della linea politica...
R. – "Kadima" guida un governo di coalizione assieme ai laburisti di Barak, se la Livni prendesse la guida del partito, per esempio, bisognerebbe vedere come si comporterà il partito religioso "Shaas". In quel caso, ma ci possono essere anche altre possibilità, può anche darsi che i numeri vengano a mancare all’attuale coalizione e si debba andare alle elezioni, che potrebbero tenersi verso febbraio-marzo dell’anno prossimo.
D. - Possiamo dire che l’unico elemento di certezza è che questa crisi politica interna ad Israele complica, se è mai possibile, ancora di più la situazione mediorientale...
R. – Purtroppo sì. Se c’era una situazione di debolezza prima, oggi è una debolezza accresciuta. Il quadro è molto più preoccupante.
La Chiesa celebra oggi la memoria liturgica di Sant’Ignazio di Loyola. Sulla spiritualità del fondatore della Compagnia di Gesù, la riflessione del rettore della Gregoriana, padre Ghirlanda
◊ “Voglio e desidero ed é la mia determinazione deliberata” imitare Gesù: scriveva così Sant’Ignazio di Loyola, fondatore della Compagnia di Gesù, di cui oggi ricorre la memoria liturgica. Nato in Spagna nel 1491, spentosi a Roma il 31 luglio 1566, Ignazio verrà ricordato oggi, alle ore 19, con una celebrazione eucaristica presieduta dal preposito generale dei Gesuiti, padre Adolfo Nicolás. Il rito si svolgerà nella Chiesa romana del Gesù dove è venerato il corpo del Santo. Ma qual è l’attualità di Sant’Ignazio ed in particolare dei suoi “Esercizi Spirituali”? Isabella Piro lo ha chiesto al padre gesuita Gianfranco Ghirlanda, rettore della Pontificia Università Gregoriana:
R. – Io mi focalizzerei anzitutto su un punto: il retto esercizio della libertà della persona. L’anelito alla libertà è forte in ogni uomo ed è ciò che costituisce l’uomo come persona a immagine di Dio, ma questa libertà è l’apprendimento dell’equilibrio e della rettitudine dell’uso della libertà nell’incontro della libertà personale con la libertà di Dio. E’ l’incontro tra le due libertà ed è, quindi, l’educazione alla vera e responsabile libertà. Qui mi sembra essere la modernità e l’attualità degli "Esercizi spirituali", che d’altra parte stanno avendo una presa sempre più grande. Sono ormai 18 anni che pratico il mese di esercizi a dei seminaristi, che stanno quindi entrando nel ciclo di formazione per il sacerdozio. Sono anche molte le religiose che fanno il mese di esercizi prima dei voti perpetui, così come sono molti i laici che sentono questa esigenza di un contatto profondo nel Signore, un metodo di preghiera così da acquisire una libertà nelle loro scelte.
D. – Ignazio fu missionario nelle zone di frontiera. Cosa insegna ai missionari di oggi, soprattutto ai giovani?
R. – Sant’Ignazio certamente ha avuto fin dall’inizio una visione ampia di tutto il mondo. All’inizio voleva andare in Terra Santa; poi le circostanze l’hanno portato a Roma e proprio a Roma si è ampliato il suo orizzonte a tutta la Chiesa e a tutto il mondo, essendo Roma il centro della cattolicità. C’è questa spinta missionaria, quindi, perchè l’esperienza profonda di Cristo non lo poteva che portare a difendere e a propagare la fede. E non solo perchè in quel periodo storico si vedeva ciò come necessario - nel tempo, appunto, della riforma protestante - ma proprio come un qualcosa di intrinseco, quindi non contingente e questo era fondato sulla esperienza profonda di Cristo. Certamente, oggi, questo anelito missionario non può essere soltanto "ad gentes", dove è necessario portare il primo annuncio, ma anche in quelle terre che hanno perso il loro anelito cristiano, hanno perso la caratteristica cristiana e sono quindi da rievangelizzare, in un dialogo tra la fede e la cultura secolarizzata post-moderna, nella quale appunto ci si trova a vivere. Questa è una vera e nuova sfida missionaria.
D. - Sant’Ignazio scriveva: “Signore, dammi il tuo amore e la tua grazia e questo mi basta”. Quale riflessione scaturisce da questa massima?
R. – Se si trova Cristo, tutto il resto perde i contorni. Non perde senso o valore, ma viene messo al giusto posto, per cui effettivamente l’unica cosa che vale è la grazia di Cristo e il suo amore, perchè è solo questo che poi dà senso a tutto quanto il resto e allora anche la propria vita può fare a meno di tante cose, ma certamente non può fare a meno della grazia e dell’amore di Cristo. Altrimenti la vita stessa perde senso. E’ questo il messaggio che Sant’Ignazio ha vissuto, che ci ha lasciato e che viene trasmesso attraverso gli Esercizi. Gli Esercizi terminano con questa preghiera, con questa richiesta, che è il messaggio che lascia ad ogni cristiano. Se il cristiano non mette Cristo al di sopra di tutto, vivrà una vita cristiana sempre scialba e mediocre.
D. – Quindi, come vivere nel modo migliore la memoria liturgica di Sant’Ignazio di Loyola?
R. – La Liturgia è il momento celebrativo della lode e del ringraziamento: la lode a Dio per aver dato questo Santo alla Chiesa e agli uomini e quindi il ringraziamento. Ma il momento liturgico è lode e ringraziamento se c’è almeno lo sforzo e il desiderio vero nella propria vita, altrimenti rimane un atto puramente formale. Chi vi partecipa deve vivere quindi nella sua vita questa lode e questo ringraziamento.
Lo scandalo del lavoro minorile nell’Africa subshariana: il commento del prof. Rosati, coordinatore di un progetto internazionale per sradicare questa piaga sociale
◊ Scade oggi in Costa d’Avorio il termine fissato per porre fine alle violazioni in materia di lavoro minorile nelle locali piantagioni di cacao. Nel caso fossero rilevate delle irregolarità, Abidjan rischierebbe sanzioni sulle esportazioni verso gli Stati Uniti. Intanto, mentre è stato sospeso lo sciopero indetto per oggi dall’Unione generale dei lavoratori ivoriani, che riunisce proprio i coltivatori di cacao, insorti nelle ultime settimane per l’aumento del prezzo di cibo e carburanti, lo sfruttamento lavorativo dei bambini rimane un fenomeno doloroso per la Costa d’Avorio e per tutta l’Africa. Ce ne parla il prof. Furio Rosati, coordinatore del progetto congiunto sul lavoro minorile di Banca Mondiale, Organizzazione internazionale del lavoro (ILO) e UNICEF, intervistato da Giada Aquilino:
R. – L’Africa, soprattutto quella subsahariana, negli ultimi anni è stata l’unica area del mondo in cui non c’è stata una sensibile riduzione, ma in cui si è verificato un aumento del numero dei bambini che lavorano. La situazione in quella zona è abbastanza critica. Recenti stime dell’ILO indicano che in Africa c’è l’incidenza più elevata del lavoro minorile rispetto alle altre aree del mondo: circa il 20 per cento dei bambini lavora.
D. – Quali sono i Paesi interessati e in quali lavori in particolare vengono impiegati i minori africani?
R. – Il fenomeno segue un po’ la diversa evoluzione dei Paesi africani. Abbiamo picchi di lavoro minorile in Paesi in cui le istituzioni sono particolarmente deboli e il reddito è molto basso - come in Mali e Burkina Faso - e situazioni che stanno migliorando, come in Namibia e Sudafrica. La gran parte dei bambini africani lavora in agricoltura e con la propria famiglia. Questo però non vuol dire che siano lavori leggeri o non pericolosi.
D. - Tante le iniziative delle organizzazioni internazionali in difesa dei minori, sfruttati in Africa e non solo. Qualche anno fa fu denunciato che metà del cioccolato prodotto negli Stati Uniti era addirittura legato ai chicchi di cacao coltivati da lavoratori minorenni in Costa d’Avorio...
R. – Per quanto riguarda la Costa d’Avorio, c’è stato un protocollo di intesa firmato fra il governo degli Stati Uniti e le industrie locali e che è stato aggiornato di recente. Stanno comunque avendo luogo molte azioni in Costa d’Avorio. Intanto, un’azione approfondita di conoscenza di ciò che succede. Sia l’industria sia il governo stanno sviluppando analisi e indagini per identificare esattamente la dimensione del fenomeno. Poi c’è un impegno delle autorità, appoggiate dall’industria e dalle organizzazioni internazionali, a sviluppare azioni che portino alla eliminazione del lavoro minorile in queste produzioni. Nei prossimi anni ci sarà una particolare attenzione dedicata all’Africa sia nell’ambito del progetto specifico dell’ILO sul lavoro minorile sia nell’ambito del nostro progetto.
D. - Bambini soldato, sfruttamento sessuale dei minori, pornografia. Cosa è cambiato con le mobilitazioni internazionali a favore dei bambini in questi ultimi anni?
R. - La mobilitazione internazionale ha avuto due effetti. Da una parte un’attenzione specifica a certe forme peggiori di lavoro minorile ha fatto sì che fenomeni “nascosti” siano venuti alla luce e che quindi una serie di azioni siano state intraprese. Fortunatamente, in un certo senso, queste forme peggiori del lavoro minorile sono quantitativamente meno rilevanti delle altre. Dall’altra parte, la mobilitazione internazionale ha prodotto anche una maggiore attenzione al fenomeno del lavoro minorile in genere, una piaga che a livello mondiale coinvolge ancora più di 200 milioni di bambini.
Giovani di tutta Italia in cammino verso Assisi dove il 2 agosto, nella Porziuncola di San Francesco, si celebrerà la Festa del Perdono
◊ Un pellegrinaggio di riflessione e condivisione: è questa l’essenza della marcia francescana verso Assisi che, partita il 25 luglio da varie regioni italiane, raggiungerà la Porziuncola il 2 agosto, giorno della Festa del Perdono. L’iniziativa, nata nel 1979, coinvolge ogni anno circa 1500 giovani provenienti da tutta Italia. Elena Mandarano ha intervistato il frate minore padre Francesco Piloni, che si occupa della pastorale giovanile ad Assisi:
R. – Il tema di quest’anno è “Il Cammino si fa incontro”. Ogni giorno, oltre alla presenza di Francesco nella vita della Chiesa, meditiamo sulla figura dell’Apostolo Pietro.
D. – Quali sono le tappe di questa marcia?
R. – Per noi marciatori dell’Umbria sono Cortona, dove c’è stato il ritrovo il 25 luglio e da dove il 27 abbiamo cominciato a marciare. Siamo arrivati in provincia di Arezzo, ci siamo poi trasferiti in Umbria: siamo arrivati ad Umbertide, poi a Mantignana e da lì a Colombella. I chilometri di ogni tappa variano tra i 25 e i 33.
D. – Quali sono le attività durante la giornata?
R. – La sveglia è alle cinque; poi si parte e marciamo per circa un’ora e mezza in silenzio. Tempo, questo, dedicato al Signore, all’ascolto: siamo in contatto diretto con il Creato e questo aiuta sicuramente alla meditazione. C’è poi una pausa – intorno alle 9.00 – nella quale ci prepariamo a celebrare le Lodi e c’è sempre un momento di ascolto degli scritti di San Francesco d’Assisi, seguito da un breve catechesi. Nel pomeriggio ci si ritrova per circa un’ora di catechesi, preceduta da spazi di silenzio; c’è poi la celebrazione dell’Eucaristia, la cena e vari momenti di festa, anche nelle piazze delle città.
D. – Chi sono i giovani che partecipano a questa marcia e quali sono i loro commenti e le loro impressioni?
R. – I giovani che partecipano a questa marcia vengono da varie parti di Italia e sono giovani che vengono contattati durante le nostre missioni popolari o nelle missioni giovani o stanno già facendo un cammino di fede. Inizialmente, i commenti sono di sorpresa, perché certamente questa è un’esperienza fuori dagli schemi. E' molto diverso dal fare un corso dove si sta seduti e si ascolta. Qui è tutto il corpo che viene sintonizzato con la nostra parte più interiore, la nostra vita spirituale, che trova nutrimento nel camminare, nel compiere la strada, nel divenire pellegrino. C’è come un crescendo di sorpresa, di stupore. All’inizio, può sembrare che la vittoria sia nell’arrivare al traguardo, ma subito molti colgono che il viaggio più impegnativo e difficile è quello di scoprire il senso e il significato della vita.
Le dichiarazioni di mons. Franjo Komarica in occasione della detenzione a L'Aja di Radovan Karadzic
◊ Il Vescovo di Banja Luka, mons. Franjo Komarica, in occasione della detenzione al Tribunale Penale Internazionale de L'Aja, dell'ex leader serbo-bosniaco Radovan Karadzic, presunto criminale di guerra, ha invitato alla preghiera per tutti gli uomini che si sono macchiati di crudeli atrocità nella guerra in Bosnia. Il presule, come riportato da Zenit, ha sottolineato che la Chiesa deve pregare per queste persone, perché “hanno bisogno di una conversione personale”. Secondo il presule, la comunità internazionale non si sta adoperando in questo senso, e ai politici nazionali manca la volontà necessaria per agire. “La passività e la calma cementano le azioni”, ha sottolineato Komarica. “Anche il Vangelo ci insegna a chiamare gli atti e i loro autori con il loro nome”. Mons. Komairca ha lamentato che si sia permesso che avvenisse una tragedia simile, osservando che, non impedendola, la disgrazia si è ampliata. “Senza verità e senza giustizia non c'è un vero futuro per la Bosnia, e il compito della Chiesa è servire la verità. Verità e giustizia restituiranno a molte persone la possibilità di tornare nel proprio Paese” ha aggiunto. Karadzic è accusato del massacro di quasi 8mila musulmani bosniaci a Srebrenica e dell'assedio di 43 mesi di Sarajevo, durante il quale morirono più di 10mila persone. Nell’ultima guerra dei Balcani (1992-1995) sono morte in Bosnia-Erzegovina oltre 243mila persone, mentre altri due milioni sono stati sfollati a causa della pulizia etnica e della ridistribuzione territoriale. (C.C.)
In Nepal la Chiesa cattolica nel mirino di un gruppo criminale coinvolto nell’assassinio di padre John Prakash
◊ A Kathmandu, in Nepal, la Chiesa è finita nel mirino di un gruppo di criminali che stanno minacciando lavoratori ed istituti cattolici di sequestri, attacchi bomba e omicidi. Il gruppo potrebbe essere coinvolto nell’assassinio di padre John Prakash, il salesiano ucciso lo scorso 1° luglio a Sirsiya, nel distretto di Morang, nella parte est del Paese. Le continue minacce registrate nell’ultima settimana hanno spinto mons. Anthony Sharma, vicario apostolico per il Nepal, a scrivere una lettera al Ministro degli interni in cui si chiede maggiore tutela verso la comunità cristiana. “Le minacce di questi giorni – sottolinea il prelato ad Asianews – sono fonte di serie preoccupazioni per i cattolici nepalesi e sono un segno evidente del crescente senso di insicurezza che si avverte, in particolare per i cristiani”. Egli conferma di aver “allertato il Governo, ma nulla è stato fatto a garanzia della nostra incolumità”. Non esclude nemmeno la possibilità di “chiudere scuole cattoliche e di bloccare gli enti assistenziali e caritativi”, pur ribadendo che “la decisione verrà presa attraverso una riunione collegiale”. Il portavoce del Ministro dell’interno, Modraj Dotel, risponde alla richiesta di aiuto assicurando la comunità cattolica che il Governo è consapevole delle minacce e ha allertato i servizi di sicurezza. “L’esecutivo – sottolinea il portavoce – ha affidato a un reparto speciale della security il compito di proteggere le istituzioni cattoliche e i luoghi di culto, mentre gli investigatori hanno aperto un’indagine per trovare i colpevoli”. (C.C.)
I vescovi asiatici annunciano nel 2009 la quinta Giornata Asiatica della Gioventù nelle Filippine
◊ Al termine della Giornata Mondiale della Gioventù (GMG) in Australia, l’Ufficio dei vescovi asiatici per i giovani ha annunciato che la quinta edizione della Giornata Asiatica della Gioventù avrà luogo nel 2009 nelle Filippine. Jessica Joy Candelario, a capo dell’Ufficio per i laici e le famiglie della Federazione delle conferenze episcopali asiatiche, ha detto di avere in programma un incontro con i vescovi filippini per organizzare l’appuntamento che avrà come obiettivo far vivere ai giovani cattolici d’Asia la propria fede “in maniera più approfondita e appassionata”. L’idea delle Giornate Asiatiche della Gioventù nacque da un gruppo di fedeli del continente che nel 1991 si preparava a partire per la GMG di Czestochowa, in Polonia. In quella occasione i ragazzi chiesero ai vescovi di mettere al centro i bisogni dei giovani proponendo l’istituzione di un ufficio dedicato, che potesse dare voce alla gioventù asiatica. Nel 1999 si svolse la prima Giornata in Thailandia e si decise che da allora in poi le Giornate asiatiche sarebbero state indette negli anni ‘liberi’ da quelle mondiali. Un modo per sentirsi di appartenere “a una comunità cattolica più grande”, spiega Candelario, che auspica la presenza di almeno duemila giovani all’appuntamento di Manila, che dovrebbe cadere tra l’ultima settimana di novembre e la prima di dicembre del 2009. Non è ancora stato deciso il tema, ma i vescovi vorrebbero che le attività fossero incentrate sulla spinta verso Gesù Eucaristia e molti giovani asiatici che hanno preso parte alla GMG appena conclusa a Sydney sono già stati invitati a partecipare per donare la propria testimonianza di scambio culturale, fratellanza, condivisione e preghiera. (R.B.)
L'America Latina è una fucina di vocazioni per la Chiesa: studio su 22 Paesi
◊ Secondo uno studio reso noto dall'Osservatorio Pastorale del Consiglio Episcopale Latinoamericano (CELAM), nel periodo 2000-2005, il Nicaragua e il Guatemala presentano i maggiori indici di crescita relativi ai sacerdoti diocesani, mentre a Cuba, in Bolivia e soprattutto in Paraguay aumentano i sacerdoti religiosi. Padre Alexis Rodríguez Vargas, dell'Équipe di Sostegno dell'Osservatorio Pastorale e segretario esecutivo del Dipartimento per le Vocazioni e i Ministeri-DEVYM del CELAM, presenta un'analisi della crescita e della diminuzione delle vocazioni nei vari Paesi del continente. Le statistiche, riportate da Zenit, riguardano 22 Paesi del continente dal 2000 al 2005 con un aumento del circa 12% per i sacerdoti diocesani e di una diminuzione dello 0,996% per quelli religiosi. Nel caso dei sacerdoti religiosi, la diminuzione è stata generalizzata. In Belize, ad esempio, sono calati di oltre il 40% e in Guatemala di oltre il 20%. C'è stata invece una crescita significativa a Cuba (11,54%), in Bolivia (10,44%) e soprattutto in Paraguay (80,14%, passando da 428 a 771 sacerdoti religiosi tra il 2000 e il 2005). In alcuni Paesi (Argentina, Ecuador e Messico) sono diminuiti sia i seminaristi religiosi che quelli diocesani. In altri (Brasile, Honduras, Perù, Porto Rico e Venezuela) sono aumentati entrambi. Il decremento più significativo per i seminaristi diocesani si è avuto a Panama, che ha perso il 32,2% di loro, nel caso di quelli religiosi a Cuba, con un calo di oltre il 50%. La crescita maggiore è avvenuta in Paraguay (53,74% in più di seminaristi diocesani) e a Panama (88,23% in più di quelli religiosi). Nei 22 Paesi hanno abbandonato il ministero 1.080 sacerdoti tra il 2000 e il 2006. Solo in Belize e a Porto Rico non ci sono stati abbandoni. In tutti i Paesi ci sono dati sia positivi che negativi. Non c'è un solo Stato in cui tutti i dati riflettano esclusivamente aumento o calo, ma ad esempio Cuba migliora in tutte le sue statistiche salvo per i seminaristi religiosi e l'Argentina ha un calo in tutti i suoi numeri tranne nel totale dei sacerdoti diocesani. Il Brasile, il Messico e la Colombia sono i Paesi che hanno avuto più ordinazioni, ma nel caso del Messico nel 2005 c'erano quasi 200 seminaristi diocesani in meno rispetto al 2000 e più di 200 seminaristi religiosi in meno. "I dati che abbiamo - affermano gli autori - significano molto poco in sé. In ogni caso si dovrà vedere quali fattori sociali, politici, economici, culturali e religiosi si collegano alle statistiche vocazionali. Altri aspetti che incidono hanno a che vedere con la vita della Chiesa locale, così ad esempio il fatto che una congregazione religiosa abbia trasferito i suoi centri di formazione da un Paese a un altro aumenta o diminuisce il numero dei seminaristi in ciascuno. Non basta l'analisi quantitativa; il numero dei sacerdoti ordinati non indica com'è stata la loro formazione, né segnala se sono distribuiti equamente in un Paese". (C.C.)
In Cile si è aperto il mese della solidarietà
◊ Si è aperto ieri in Cile, il “Mese della solidarietà”, dedicato alla figura e all’opera di Sant’Alberto Hurtado, gesuita cileno fondatore dell’Hogar de Cristo, un focolare domestico per i bambini abbandonati, per le donne, per gli uomini privi di alloggio nella capitale cilena. Momento significativo di questo mese sarà il 18 agosto, giorno della nascita di padre Hurtado, che il governo cileno ha dichiarato “Giornata nazionale della solidarietà” con lo scopo di sensibilizzare e mobilitare tutte le componenti della società sui valori della condivisione e il rispetto reciproco. Dall’altra parte si cerca di intercettare aiuti e sostegni alle molte opere ereditate dall’apostolato sociale di padre Hurtado come, per esempio, centri di riabilitazione, di avviamento professionale, di formazione spirituale. Per la chiesa cilena, l’obiettivo unificante delle diverse iniziative è l’educazione del cuore, la condivisione attiva della situazione di poveri, malati, anziani, bambini, per creare una società più fraterna, più umana, più attenta alla dignità di ogni persona. Nella giornata di sabato 23 agosto si svolgerà, presso l’Università Cattolica della capitale Santiago, il VI incontro di operatori pastorali dal titolo: “Ascoltare cambia il mondo: cultura e spiritualità della solidarietà”; l’oratore principale sarà il cardinale Oscar Rodríguez Maradiaga, arcivescovo di Tegucigalpa (Honduras), e presidente di Caritas Internationalis. Padre Hurtado, fu beatificato da Giovanni Paolo II il 16 ottobre 1994 e canonizzato da Benedetto XVI il 23 ottobre 2005. Ieri, presso il santuario dedicato al padre Hurtado, alla presenza di rappresentanti di decine di organizzazioni ecclesiali e di volontariato che aderiscono all’iniziativa, gli intervenuti, tra cui padre Rodrigo Tupper, vicario per la pastorale sociale e il cappellano dell’Hogar di Cristo, padre Agustín Moreira, oltre a ricordare l’eredità spirituale del santo, hanno ribadito quanto già espresso dai vescovi cileni che hanno chiamato a vivere questo mese come un’occasione per l’approfondimento della dimensione sociale della fede. (L.B.)
L’impegno dei vescovi del Guatemala a sostegno dei migranti
◊ “L’impegno di accompagnare gli immigrati è una delle grandi mete che come Chiesa del Guatemala ci siamo proposti”: scrivono così i vescovi dello Stato centroamericano in un documento pubblicato dalla Conferenza episcopale locale che analizza la drammatica realtà migratoria del Paese e l’attività della Chiesa in tal senso. Secondo i vescovi, l’elevato indice di povertà e l’attuale crisi globale sono alla base del fenomeno che porta via cittadini dal Guatemala verso gli Stati Uniti: “Le famiglie che emigrano costituiscono una delle principali fonti economiche del Paese, quasi il 12% del PIL”, riporta l’agenzia Fides. A soffrirne sono soprattutto la popolazione indigena, gli afro discendenti e i contadini, principali vittime della tratta di essere umani. “Inoltre – ricordano i vescovi – le migrazioni portano con sé problemi come la disintegrazione familiare, lo sfruttamento lavorativo, la perdita dei diritti sociali e civili, la discriminazione, il razzismo, la solitudine, la perdita di valori culturali, religiosi e morali, l’abbandono, l’insicurezza”. D’auspicio anche una maggiore unione tra le Chiese d’origine, di transito e di destinazione. A questo proposito, la Pastorale per la Mobilità umana della Conferenza episcopale si pone alcuni obiettivi: il riconoscimento dei migranti come individui aventi diritti, sensibilizzazione delle autorità, protezione dei migranti e dei loro diritti attraverso alleanze istituzionali a livello Chiesa, società civile e Stato, impegno affinché i migranti possano regolarizzare la propria situazione, sostegno presso le Case dell’immigrato e i Centri di attenzione umanitaria, lavoro ai fini della sospensione delle persecuzioni indiscriminate e delle deportazioni di massa. (R.B.)
Per i "sans-papiers" del Belgio, il cardinale Danneels chiede una politica di regolarizzazione giusta e generosa
◊ Il dramma dei lavoratori clandestini, dei cosiddetti “sans-papiers” (senza documenti), è esploso in tutta la sua drammaticità anche in Belgio, dove un immigrato irregolare che protestava arrampicato sulla gru di un cantiere a Bruxelles, è caduto e si è ferito gravemente dopo un volo di circa 10 metri. Nei giorni scorsi - riferisce l'agenzia Fides - grazie ad un'ordinanza del tribunale, un gruppo di 25 sans-papiers è stato convinto ad abbandonare tre gru in un cantiere nel centro di Bruxelles, che avevano occupato. In tutto il Paese i sans papiers sarebbero tra i 100mila e i 150mila. In questi mesi in Belgio il sistema politico è bloccato per via dei forti contrasti regionali, tra valloni e fiamminghi e il problema di queste persone sembra essere passato in secondo piano. I vescovi del Belgio sono intervenuti in loro difesa richiamando tutti al rispetto dei valori fondamentali delle persone. “La crisi politica che attraversa il nostro Paese non deve far dimenticare la disperazione di numerosi immigrati senza permesso di soggiorno” ha dichiarato il cardinale Godfried Danneels, arcivescovo di Mechelen-Brussel e presidente della Conferenza episcopale del Belgio. Il porporato si è rivolto al mondo politico sollecitando “una politica di regolarizzazione realista, giusta e generosa”. La Chiesa cattolica è da tempo schierata a fianco degli immigrati irregolari in Belgio ed i vescovi invitavano i responsabili delle parrocchie occupate a non “fare ricorso alle forze dell'ordine se non in casi di estrema urgenza sanitaria”. (R.P.)
Si celebra oggi la 46.ma edizione della “Giornata delle donne africane”
◊ Si celebra oggi in Africa la 46.ma edizione della “Giornata delle donne africane”, dedicata a vari argomenti, diversi a seconda dei paesi: in Mali sarà dedicata alle “sfide e responsabilità di fronte all’emergenza alimentare”; in Camerun sarà imperniata sul tema delle giovani “donne di domani”; in Angola, una marcia promossa dall’Associazione sportiva femminile richiamerà l’attenzione sui benefici delle attività fisiche ma anche sui diritti civici. La Giornata nasce dalla volontà delle donne africane di unirsi per essere rappresentate a livello internazionale e promuovere la loro emancipazione, sulla scia dei movimenti anticolonialisti degli anni ’60. E’ stata scelta come data il 31 luglio perchè è l’anniversario di fondazione dell’Organizzazione panafricana delle donne, istituita nel 1962. In questa 46.ma edizione, l’Organizzazione mondiale contro la tortura (OMCT) chiede a tutti i governi africani che non lo hanno ancora fatto, di ratificare il Protocollo di Maputo sui diritti delle donne, parte integrante della Carta africana dei diritti umani. L’OMCT chiede provvedimenti di lotta alla discriminazione, all’impunità e alla violenza contro le donne. (C.C.)
In Costa d’Avorio, capi politici e religiosi uniti per costruire insieme il futuro
◊ Il Forum delle confessioni religiose della Costa d’Avorio ha organizzato una cerimonia paraecumenica a Bouake, nel nord del Paese, per celebrare il primo anniversario della “Fiamma della pace”, evento che segnò la fine ufficiale della crisi politico-militare dopo cinque anni di divisioni. All’incontro, riferisce l’agenzia MISNA, erano presenti il presidente e il primo ministro ivoriani, rispettivamente Laurent Gbagbo e Guillaume Soro, il presidente del confinante Burkina Faso, Blaise Compaoré e un rappresentante del vicino Mali, ma anche gli oppositori politici come Alassane Dramane Ouattara e Henri Konan Bedie, oltre ai rappresentanti di tutte le confessioni religiose. E proprio ai suoi oppositori politici il presidente Gbagbo ha chiesto scusa nel suo discorso per non averli invitati un anno fa alla cerimonia della “Fiamma della pace”. Il raduno, organizzato anche in vista delle presidenziali del 30 novembre prossimo, in vista delle quali dovrà essere completato il disarmo dei combattenti, ha come obiettivo sensibilizzare l’opinione pubblica sulla necessità di elezioni pacifiche, nel rispetto e nell’accoglienza della diversità vissuta come ricchezza e nell’accettazione del risultato che uscirà dalle urne, in modo tale da porre basi solide per il futuro, già appesantito dalla crisi economico-sociale legata all’emergenza alimentare e non solo, che ha provocato già diversi scioperi nel Paese. (R.B.)
Emergenza alimentare in Africa Centrale: le decisioni della CEEAC riunita a Kinshasa
◊ Significative le decisioni prese dai ministri della Comunità economica degli stati dell’Africa centrale (CEEAC) per contrastare la crisi alimentare dovuta a gravi problemi nel settore agricolo dei Paesi membri della Comunità. Al termine dell’incontro tenutosi nei giorni scorsi a Kinshasa, capitale della Repubblica Democratica del Congo, sono state prese importanti decisioni per cercare di risolvere il problema nell’arco di un paio d’anni. Una delle decisioni più rilevanti è quella della creazione di un fondo speciale regionale per lo sviluppo agricolo. Fondo che dovrebbe essere alimentato da ciascun Paese con una quota minima di 128mila euro. Altro provvedimento urgente è lo stanziamento del 10% del bilancio nazionale di ogni Paese per l’agricoltura, decisione che in realtà era già stata presa nel 2004 e sancita nella “Dichiarazione di Maputo”, ma mai seriamente applicata. Secondo il ministro congolese dell’Agricoltura, Nzanga Mobutu, “bisogna unire gli sforzi per contrastare la crisi alimentare, armonizzare le politiche agricole nazionali e procedere alla rimozione delle barriere doganali per facilitare la circolazione di persone e merci fra i 10 stati membri della CEEAC”. Il limite entro cui applicare le decisioni adottate è previsto per l’anno 2010. (C.C.)
Pubblicato rapporto su missione ONU-UA in Darfur
◊ E’ stato pubblicato oggi un rapporto sui diritti umani sottoscritto da 36 organizzazioni ed intitolato “Il tradimento della missione ONU-UA in Darfur (UNAMID) da parte della comunità internazionale”. Il documento contiene la denuncia da parte di queste organizzazioni dell’errato utilizzo di elicotteri forniti dai membri della NATO, quando potrebbero essere utilizzati per operazioni in Darfur per salvare vite. Invece, questi elicotteri, sono inutilizzati e abbandonati in hangar oppure usati per parate militari. Nel documento si legge che “India, Ucraina, Repubblica Ceca, Italia, Romania e Spagna, da sole, potrebbero fornire circa 70 elicotteri alla missione congiunta, ovvero quattro volte il numero di velivoli da essa richiesto”, e si ricorda, che il comandante della missione congiunta, generale Martin Agwey “ha più volte rivolto appelli perché la comunità internazionale fornisse all’UNAMID 18 o 20 elicotteri, “considerati di vitale importanza per le operazioni di peacekeeping e sostegno alla popolazione del Darfur nei periodi delle piogge, quando molte strade diventano inagibili”. Il documento, la cui introduzione è firmata dal premio Nobel per la Pace, Desmond Tutu, l’ex inviato dell’ONU, Lakhdar Brahimi e l’ex presidente americano e premio Nobel per la pace, Jimmy Carter, è un invito per il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ad agire immediatamente per evitare il fallimento della missione in Darfur. (C.C.)
In Turchia, mons. Padovese chiede che la chiesa di San Paolo a Tarso torni a essere edificio di culto
◊ Mons. Luigi Padovese, vicario apostolico in Anatolia e presidente della Conferenza episcopale turca, da tempo porta avanti una battaglia per ritrasformare in edificio di culto (attualmente è un museo) la chiesa di San Paolo a Tarso, città natale dell’Apostolo delle genti. La richiesta, sostenuta anche dall’episcopato tedesco e dalla Santa Sede, si fa ancora più forte nel corso dell’Anno paolino, bimillenario della nascita del Santo, appena iniziato. “Ci sono migliaia di turisti che vengono in Turchia – ha detto mons. Padovese – e hanno il desiderio legittimo di pregare in una chiesa e non in un museo”. Il religioso ha raccontato al Sir quante promesse in merito siano state fatte, ma finora “ci è stato solo concesso di poter mettere una croce all’interno e di non far pagare il biglietto ai gruppi che annunciano la propria visita”. “Se c’è un avanzamento democratico che riguarda l’Islam in Turchia e quindi la libertà di vivere la propria fede pubblicamente – ha concluso – credo che per la stessa ragione si debbano applicare questi diritti anche alle minoranze religiose”. (R.B.)
ANNO PAOLINO: l’Istituto del Verbo Incarnato festeggia il giubileo dei 25 anni di vita
◊ L’Istituto del Verbo Incarnato ha festeggiato oggi nella Basilica Papale di San Paolo fuori le Mura, il giubileo dei 25 anni di vita con una messa solenne presieduta dal fondatore e superiore generale, padre Carlos Miguel Buela. Egli, sottolineando la felice coincidenza dell’Anno Paolino, ha invitato i rami maschile e femminile della Congregazione, ormai diffusa in tutti i continenti, a vivere in pienezza le celebrazioni dell’Apostolo con lo studio della sua opera, pellegrinaggi e altre iniziative, in particolare con esercizi spirituali. Per sottolineare questo stretto coinvolgimento con l’Anno Paolino ha fatto dono alla Basilica di San Paolo della porta intarsiata di una Iconostasi bizantina nelle cui ante è raffigurata un’artistica icona dell’Annunciazione, copia dell’originale custodita nel Monte Athos; opera che è stata esposta nel salone della Pinacoteca restaurato di recente. La celebrazione eucaristica nell’abside centrale della Basilica Ostiense è stata accompagnata dai canti del coro romano delle Suore del Verbo Incarnato, presenti in gran numero con la loro superiora generale madre Maria Anima Christi. Padre Buela, che è appena reduce da un pellegrinaggio paolino a Malta, Grecia e Gerusalemme, ha dato notizia che per ricordare il bimillenario dell’Apostolo e il giubileo della sua congregazione, quest’ultima costruirà un santuario in Giordania, sulle rive del fiume Giordano, in onore di San Giovanni Battista, su un terreno messo a disposizione dal governo di quel paese. (A cura di Graziano Motta)
In Indonesia, dialogo interreligioso a rischio
◊ Non accennano purtroppo a diminuire gli scontri fra musulmani e cristiani in Indonesia: l’ultimo la scorsa settimana nel sobborgo orientale di Jakarta, dove sono rimaste ferite 265 persone. Come ricorda l’Osservatore Romano, il tema della convivenza tra fedeli appartenenti a fedi diverse e del dialogo interreligioso, è sempre d’attualità nel Paese dell’estremo oriente in cui, accanto alla maggioranza islamica, esistono oltre 300 etnie e numerose minoranze religiose, in particolare cristiani aderenti a varie Chiese riformate, cattolici, buddisti, induisti e confuciani. Una missione che dovrà affrontare certamente il neovescovo di Bandung, mons. Johannes Pujasumarta, insediatosi il 16 luglio scorso con una solenne cerimonia officiata dall’arcivescovo di Jakarta, cardinale Julius Riyadi Darmaatmatdja cui hanno partecipato il nunzio apostolico in Indonesia, Leopoldo Girelli, circa settemila fedeli, 20 vescovi e 300 sacerdoti. La diocesi di Bandung comprende un vasto territorio di Jawa occidentale in cui il 74% della popolazione è di origine sudanese e di religione islamica, l’11 per cento jawanese, molti migranti cinesi e gruppi arrivati da altre isole dell’arcipelago indonesiano. “Proseguire lo sviluppo del dialogo interreligioso - è la priorità individuata da mons. Pujasumarta già nel giorno dell’insediamento – incoraggiare i cattolici a cooperare, associarsi e dialogare con i fedeli di altre religioni specialmente riguardo alla lotta alla povertà che è un problema comune da affrontare tutti uniti”. Nell’area i cattolici rappresentano lo 0,4% della popolazione composta da 26 milioni di musulmani, tra i quali alcuni gruppi di matrice integralista. (R.B.)
Cambogia: apprezzamento per un Centro cattolico a Phonm Penh per l'assistenza ai malati terminali
◊ La Chiesa cambogiana ha deciso di mettere in campo le sue forze e il suo impegno, aprendo un anno fa nella capitale Phnom Penh, l’ “Elizabeth Health Center”, per l’assistenza e il servizio ai malati terminali. Si tratta - scrive l'agenzia Fides - di quei pazienti affetti da cancro, Aids o altre malattie incurabili, spesso abbandonati a se stessi e che non trovano persone o strutture che li accompagnino, giunti all’ultima fase della loro malattia, quella in cui la medicina si dichiara impotente e si attende l’inesorabile fine della vita. Il servizio prestato dalla struttura cattolica è totalmente gratuito, dato che tali pazienti sono spesso del tutto emarginati e vivono in condizioni di accattonaggio o vagabondaggio. E’ un servizio che vuole testimoniare l’attenzione della comunità cristiana ai più poveri fra i poveri, agli esclusi, a coloro di cui nessuno si prende cura, nè le famiglie, né lo Stato. L’Elizabeth Health Center ha aperto i battenti da un anno presso la parrocchia del Bambin Gesù del quartiere di Beong Tompon e subito la sua fama si è sparsa in tutto il paese: vi sono giunti infatti pazienti da tutta la Cambogia per affidarsi all’assistenza dei volontari del Centro. Questi, nel dispensare le cure e l’assistenza ai malati, regalano anche accoglienza, sorrisi, amore incondizionato, accompagnando spesso con parole di speranza i malati negli ultimi istanti della loro vita. Non di rado i pazienti appartenenti a tutte le religioni, chiedono notizie della fede cristiana. Attualmente la struttura accoglie circa 100 pazienti e riceve l’apprezzamento di cittadini privati, enti pubblici, leader religiosi buddisti, dato il suo stile di conduzione, basato sull’accoglienza, la misericordia, il servizio amorevole. L’ospedale è nato dalla volontà di sacerdoti, religiosi e laici della parrocchia del Bambin Gesù e vive grazie a donazioni private e a piccoli contributi di singoli fedeli soprattutto dall’Europa, da Hong Kong e dall’Australia. (R.P.)
Amnesty International risponde alle dichiarazioni del CIO in merito alla censura cinese dei siti Internet non ritenuti collegati alle Olimpiadi
◊ Alcuni funzionari del Comitato Olimpico Internazionale (CIO) e del Comitato Organizzatore dei Giochi olimpici di Pechino (COGOP) avrebbero negoziato con il governo cinese per il blocco dei siti internet considerati non collegati alle Olimpiadi e pertanto soggetti a censura. E’ quanto afferma il responsabile della Commissione stampa del CIO, Kevin Gosper, che si dichiara dispiaciuto per l’accaduto. Mark Allison, ricercatore sull’Estremo Oriente di Amnesty International, ha dichiarato in reazione alle parole di Gosper: “Il Comitato olimpico internazionale (CIO) e il Comitato organizzatore dei Giochi olimpici di Pechino (COGOP) devono mantenere l’impegno a garantire ‘piena libertà d’informazione’ e fornire alla stampa un accesso ad Internet privo di censura. Non farlo, significherà compromettere i diritti umani fondamentali e tradire i valori olimpici”. Attualmente, nella Sala stampa olimpica, i giornalisti stranieri non possono accedere al sito di Amnesty International e ad altri siti internet bloccati. Il CIO, in molte occasioni, aveva messo in luce l’allentamento delle restrizioni nei confronti della stampa estera come un esempio del miglioramento della situazione dei diritti umani, promesso dalla Cina in occasione dell’assegnazione dei Giochi di Pechino 2008. Pochi giorni fa, il 17 luglio, il presidente del CIO, Jacques Rogge, aveva annunciato che non vi sarebbe stata alcuna censura di Internet. “Questa clamorosa censura – ha concluso Allison - è un’altra delle promesse cui la Cina è venuta meno e che pregiudica ulteriormente l’affermazione che i Giochi avrebbero migliorato la situazione dei diritti umani nel Paese”. (C.C.)
Il rapporto UNAIDS sullo stato dell’epidemia: centomila morti in meno nell’ultimo anno, ma l’allarme resta
◊ Alla vigilia della XVII Conferenza internazionale sull’AIDS che si svolgerà a Città del Messico fra il 3 e l’8 agosto, l’UNAIDS, agenzia ONU che si occupa della lotta all’epidemia, ha pubblicato il suo rapporto annuale. Il ‘2008 Report on global AIDS epidemic’ - riferisce l'agenzia Misna - fotografa una situazione in leggero miglioramento riguardo al numero di vittime della malattia, centomila in meno rispetto allo scorso anno, ma resta alto il numero assoluto dei decessi: ben due milioni nel corso dell’anno. Calano anche i contagi: da tre milioni nel 2001 a due milioni e 700mila nel 2007, a conferma del fatto che l’epidemia si sta stabilizzando, ma nel mondo restano 33 milioni di sieropositivi. Allarmante è anche il dato sul divario tra il Nord e il Sud del mondo: il 67% delle persone sieropositive vive nell’ Africa subsahariana dove si concentra anche il 72% dei decessi; seguono l’Asia meridionale, il sudest asiatico, l’America latina, l’Europa orientale, il nord America, l’Europa occidentale, l’Estremo oriente e i Caraibi, ultima l’Oceania. Tra i Paesi più colpiti dalla malattia Namibia, Rwanda e Botswana, dove, però, molti passi avanti sono stati fatti per estendere la fornitura pubblica dei farmaci antiretrovirali, che oggi raggiunge l’88% di copertura, rispetto all’1-3 di appena quattro anni fa. Ma il problema del prezzo delle medicine e dei test medici e del diffondersi della tubercolosi resistente agli antibiotici rimane molto pressante. (R.B.)
A Loyola, nei Paesi Baschi, solenni celebrazioni per la festa di Sant’Ignazio
◊ Il Santuario di Loyola , nei Paesi Baschi (Spagna) celebra in questi giorni la festività liturgica di Sant’Ignazio. Oggi è giorno festivo nelle province di Guipúzcoa e Vizcaya. Nella chiesa parrocchiale della città di Azpeitia, alla quale appartiene il Santuario di Loyola, il vescovo della diocesi, mons. Juan Maria Uriarte, ha presieduto questa mattina la commemorazione liturgica. Nella sua omelia, il presule ha messo in risalto le contraddizioni della nostra società che, nonostante abbia raggiunto i più alti livelli di benessere e di sviluppo socio-economico, prova alcune profonde insoddisfazioni a causa dell’indebolimento contemporaneo della vita di fede. “Certo, non sono tempi che invitano all’ottimismo” ha dichiarato mons. Uriarte. “Ma proprio adesso siamo chiamati a dare prova di una speranza solida ed efficiente”. Domani, 1° agosto, nel Santuario di Loyola, si terrà come vuole una lunga tradizione, la celebrazione ufficiale di Sant’Ignazio, presieduta dallo stesso vescovo di San Sebastian, mons. Uriarte, alla presenza delle massime autorità regionali, provinciali e locali. Un’importante novità di quest’anno sarà la messa in scena, questa sera all’aperto davanti al santuario, di uno straordinario spettacolo musicale ispirato alla vita e la personalità di Pedro Arrupe, deceduto nel 1991 a Roma, Superiore Generale della Compagnia di Gesù dal 1965 al 1983. Dal titolo “Arrupe. Il mio silenzio” vengono rappresentati circa venti episodi tra i più significativi della vita di Arrupe e del suo tempo. Vi partecipano circa 400 interpreti di orchestra, cori, balletto e prosa. Lo spettacolo è stato rappresentato con un notevole successo per la prima volta a Bilbao il 14 novembre dell’anno scorso, il giorno stesso in cui ricorreva il centenario della nascita di padre Arrupe. Il santuario di Loyola ha avuto una particolare importanza nella vita di Pedro Arrupe dove è giunto per iniziare il noviziato nella Compagnia di Gesù nel 1927, all’età di vent’anni. Dopo il noviziato ha fatto, sempre a Loyola per due anni, gli studi di formazione umanistica. (Dal Santuario di Loyola, per la Radio Vaticana, Ignacio Arregui)
Prima udienza davanti ai giudici del Tribunale internazionale dell'Aja per l'ex leader serbo-bosniaco, Radovan Karadizc
◊ Radovan Karadizc comparirà fra poche ore davanti ai giudici del Tribunale Internazionale dell’Aja. L’ex leader dei serbi di Bosnia dovrà rispondere alle accuse di crimini contro l’umanità e genocidio nel periodo della guerra di Bosnia-Erzegovina tra il 1992 e il 1995. Un processo che si preannuncia molto lungo e in cui verranno presentate molte testimonianze. Il punto della situazione nel servizio di Giovanni Maria Del Re:
“L’arresto di Radovan Karadzic è immensamente importante per le vittime e per la giustizia internazionale: queste le parole pronunciate dal procuratore capo del Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia, il belga Serge Brammertz, subito dopo che si è diffusa la notizia dell’arrivo di Karadzic nel carcere di Scheveningen, nei pressi dell’Aja. Il procuratore capo ha però fatto capire che il processo richiederà tempo, perchè per provare questi gravi crimini – ha proseguito Brammertz – l’accusa dovrà presentare un gran numero di elementi di prova, tra cui numerose testimonianze. Complessivamente – ha spiegato ancora il procuratore – per l’avvio del processo di vorranno circa due mesi. Oggi Karadzic sarà portato davanti al giudice, che gli leggerà gli undici capi di imputazione, tra cui il massacro di Srebrenica, nel luglio del ’95, costato la vita ad ottomila uomini. Tra i capi di imputazione ci sono anche il terribile assedio di Sarajevo e la detenzione di decine di migliaia di persone in campi di concentramento, dove molte sono state torturate. Intanto, l’Unione Europea si è felicitata per l’arrivo dell’ex presidente serbo-bosniaco nel carcere olandese. Il processo davanti al Tribunale penale internazionale – si legge in una nota della presidenza di turno francese – contribuirà ad una manifestazione di verità e risponderà ad un dovere di giustizia rispetto alle vittime e alle loro famiglie.
Immigrazione
Nel canale di Sicilia proseguono senza sosta i viaggi della speranza degli immigrati irregolari. Il centro di prima accoglienza di Lampedusa è ora di nuovo al collasso, dopo l’ondata di sbarchi della notte scorsa che ha portato sull’isola più di 800 persone. A largo di Malta si è invece consumato l’ennesimo naufragio a seguito del quale sono morte 3 donne, di cui una incinta. Sono 28 i migranti tratti in salvo da un mercantile maltese. Gli sbarchi a Lampedusa sono proseguiti anche in mattinata: 37 immigrati hanno raggiunto l’isola, mentre è atteso l’arrivo di altri 250 soccorsi in queste ore dalla guardia costiera. Intanto sono cominciate le operazioni di trasferimento di circa 200 immigrati in altri CPT italiani. Nella struttura siciliana, con i nuovi approdi si rischia di superare il record assoluto, registrato in questo mese, di 1664 presenze.
Italia: ratifica Trattato Lisbona
La Camera dei deputati del parlamento italiano ha ratificato il trattato di Lisbona all'unanimità. Lo stesso era già avvenuto al Senato. Sono state superate così le resistenze manifestate dalla Lega nelle scorse settimane. In aula, al momento del voto, era presente anche il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi.
Turchia
Il partito per la giustizia e lo sviluppo del premier Erdogan non sarà messo al bando. Lo ha deciso la Corte Costituzionale di Ankara, che ha respinto l’accusa allo schieramento di attività contrarie alla laicità dello Stato e volte a distruggere l’unità nazionale. Dopo la decisione della Corte, il premier ha dichiarato che il suo partito continuerà a rispettare i valori della laicità. Secondo parte dell’opinione pubblica, si è infatti trattato di un avvertimento affinché il primo ministro rispetti i principi laici della repubblica. La decisione è stata accolta con favore anche dalla Commissione UE, che ha invitato a riprendere la strada delle riforme. Ad ogni modo, il verdetto dovrebbe porre fine a mesi di incertezza politica che ha fatto alzare la tensione nel Paese.
Iraq
Prosegue la maxioffensiva dell’esercito di Baghdad, appoggiato dalle truppe americane, contro le roccaforti di al Qaeda nella provincia di Dyala. Ieri, al termine di un assedio nei pressi di Baquba, sono stati arrestati 45 miliziani integralisti. L’operazione sta impegnando circa 50 mila soldati iracheni. Intanto nel resto del Paese non si fermano gli attacchi della guerriglia: stamani tre poliziotti sono stati uccisi e altri quattro sono rimasti feriti in seguito all'esplosione di un'autobomba condotta da un attentatore suicida nella cittadina di Ghayyara, nel nord del Paese.
Afghanistan
In Afghanistan non si placa l’impennata di scontri tra le milizie talebane e le truppe governative e dell’ISAF, che oggi hanno ucciso più di 20 insorti nella provincia di Ghazni, a sud ovest di Kabul. Sempre nell’ovest del Paese, nella città di Herat, una bomba è esplosa nei pressi del consolato pachistano ferendo due persone. La NATO ha reso noto che gli scontri armati in Afghanistan sono aumentati del 40% negli ultimi due mesi rispetto allo scorso anno.
Pakistan
Una famiglia di sette persone, tra cui cinque bambini, è rimasta vittima dei combattimenti in corso nella valle di Swat, nel Pakistan settentrionale, fra miliziani filo taleban e soldati dell’esercito pachistano. Negli scontri iniziati ieri, hanno già perso la vita 30 persone.
Usa-Cina
Malcontento è stato espresso dal governo di Pechino per l’incontro tra il presidente statunitense, George W. Bush, e alcuni dissidenti cinesi in esilio, svoltosi a Washington. In un comunicato del ministero degli Esteri cinese, gli Stati Uniti vengono accusati di interferenza negli affari interni della Cina. In particolare si sottolinea che gli Stati Uniti hanno inviato "un messaggio sbagliato alle forze anti-Cina''. (Panoramica internazionale a cura di Marco Guerra)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LII no. 213
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