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Sommario del 08/01/2008

Il Papa e la Santa Sede

  • Rinunce e nomine
  • La Speranza in Dio e la dignità dell’uomo alla base di una pace giusta per l’umanità: il discorso del Papa al Corpo Diplomatico, commentato da Marelli della FOCSIV e dal filosofo Possenti
  • Nella regione di Mosca, i fedeli "sono affidati alle mie cure pastorali e a quelle dell'arcivescovo" cattolico. Lo ha detto il Patriarca di Mosca Alessio II al termine della celebrazione per il Natale ortodosso: intervista con il nunzio
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Il presidente Bush parte per il Medio Oriente. Scopo del viaggio: accelerare il processo di pace riavviato alla Conferenza di Annapolis
  • Scontri militari al confine tra Sudan e Ciad, nella zona del Darfur. La preoccupazione della Comunità di Sant'Egidio
  • A Palazzo Barberini, a Roma, gli ultimi giorni della mostra dedicata al "Bernini pittore". Intervista con il curatore, Tomaso Montanari
  • Chiesa e Società

  • Gli ultimi del Pianeta in primo piano nella conferenza d’inizio Anno 2008 del segretario generale dell'ONU, Ban ki-Moon, ieri al Palazzo di Vetro a New York
  • Rapporto sulle vittime dell’immigrazione clandestina alle porte dell’Europa: 1861 i morti lo scorso anno sulle "carrette del mare"
  • Rilasciati i cinque cristiani rapiti in Pakistan il 4 gennaio scorso in Waziristan
  • Iraq: le bombe contro le chiese di due giorni fa non hanno fermato la fede dei fedeli
  • Documento dei vescovi della Repubblica Democratica del Congo ai partecipanti alla Conferenza per la pace e lo sviluppo nel nord e sud Kivu, aperta a Goma
  • Pubblicato sui principali giornali del Kenya il Messaggio di solidarietà del Papa per le vittime della violenza politica
  • Le crisi in Kenya e Medio Oriente e il recente incontro con il Papa nel discorso del Gran Maestro dell’Ordine di Malta al Corpo Diplomatico, per il tradizionale scambio di auguri
  • Il riconoscimento di Fidel Castro della necessità di cambiamenti a Cuba è "un passo promettente", secondo il cardinale arcivescovo dell'Avana
  • In Venezuela, le gravi sfide sociali al centro della relazione di apertura dell’Assemblea plenaria dell'episcopato locale
  • I vescovi colombiani condividono la decisione governativa di non autorizzare altre missioni internazionali per facilitare la liberazione degli ostaggi delle FARC
  • Continuano le alluvioni in Zambia, Zimbabwe e Mozambico
  • Una giornata di preghiera e di riflessione per la Campania, assediata dai rifiuti: è la proposta di padre Antonio Rungi per domenica prossima
  • 24 Ore nel Mondo

  • Nella notte, lancio di due razzi katiuscia dal Libano in Galilea. Domani l'arrivo di Bush in Medio Oriente
  • Il Papa e la Santa Sede



    Rinunce e nomine

    ◊   In Portogallo, Benedetto XVI ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell'arcidiocesi di Évora, presentata per raggiunti limiti di età da mons. Maurílio Jorge Quintal de Gouveia. Al suo posto, il Papa ha nominato mons. José Francisco Sanches Alves, finora vescovo di Portalegre-Castelo Branco. Mons. Saches Alves, 67 anni, ha compiuto gli studi nei Seminari di Évora, proseguendoli nella Pontificia Università Salesiana in Roma, dove ha ottenenuto il Dottorato in Psicologia. Ha frequentato pure l'Università statale di Évora, specializzandosi in Scienze sociali. Dopo l'ordinazione, è stato fra l'altro docente e rettore del Seminario maggiore e vicario generale della diocesi E' stato nominato ausiliare di Lisbona nel 1998 e promosso alla sede residenziale di Portalegre-Castelo Branco nel 2004. E' presidente della Commissione episcopale per l'Azione sociale e caritativa della Conferenza episcopale portoghese.

    Sempre in Portogallo, il Papa ha nominato coadiutore di Vila Real mons. Amândio José Tomás, finora ausiliare di Évora. Il presule ha 64 anni ed ha compiuto gli studi preparatori e quelli di filosofia e teologia nel Seminario di Vila Real, dove ha conseguito la Licenza in Teologia dogmatica presso la Pontificia Università Gregoriana in Roma. Ordinato sacerdote, è stato più volte docente, nonché direttore spirituale presso il Seminario di Vila Real. Ha pure frequentato il Pontificio Istituto Biblico di Roma, conseguendovi la Licenza in Scienze bibliche. Ha ricoperto anche la carica di rettore del Pontificio Collegio Portoghese in Roma. Ha ricevuto l'ordinazione episcopale il 6 gennaio 2002.

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    La Speranza in Dio e la dignità dell’uomo alla base di una pace giusta per l’umanità: il discorso del Papa al Corpo Diplomatico, commentato da Marelli della FOCSIV e dal filosofo Possenti

    ◊   Le grandi crisi internazionali, la difesa della vita, il dialogo interreligioso: il discorso a tutto campo di Benedetto XVI, al Corpo Diplomatico, ha destato ampia eco a livello internazionale. Molti media, inoltre, hanno legato le parole del Papa alla sua riflessione sulla globalizzazione sviluppata il giorno prima, nella Solennità dell’Epifania. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    Le parole di Benedetto XVI al Corpo diplomatico hanno fatto, come si suol dire in questi casi, il giro del mondo. Tutti i principali media internazionali hanno dato spazio all’intervento del Pontefice mettendo, a seconda delle aree geografiche, l’accento su un tema piuttosto che un altro. Il quotidiano cattolico francese “La Croix” ha titolato sul richiamo del Papa ad un “uso morale della scienza”, mentre “Le Monde”, riprendendo la France Presse, ha messo l’accento sull’esortazione del Papa a promuovere un dibattito globale sulla “sacralità della vita umana”. L’agenzia Reuters, come anche in gran parte la stampa statunitense e “The Canadian Press”, evidenziano l’appello del Pontefice a far sì che le armi di distruzione di massa non finiscano in mano ai terroristi. Molti quotidiani titolano riprendendo le parole di Benedetto XVI sul Medio Oriente. E’ il caso dell’agenzia di stampa kuwaitiana, KUNA, che sottolinea la contrarietà del Papa ad una soluzione parziale e unilaterale della crisi mediorientale. Dal canto suo, il giornale spagnolo “ABC” richiama l’appello del Papa ad israeliani e palestinesi affinché diano seguito agli accordi di Annapolis. Il “Times” di Johannesburg sottolinea la preoccupazione del Papa per la crisi umanitaria nel Darfur, mentre l’“International Herald Tribune” si sofferma sull’appello del Papa per la pace in Kenya dopo le violenze dei giorni scorsi. Il venezuelano “El Nacional” riprende l’auspicio del Pontefice per un futuro migliore per il popolo cubano, mentre il quotidiano messicano “El Financiero” mette l’accento sull’attenzione riservata dal Papa alle popolazioni latinoamericane colpite da catastrofi naturali. Da ultimo, il “Corriere della Sera” che, come la maggior parte dei giornali italiani, collega le parole del Papa sulla sacralità della vita al dibattito politico sull’aborto in corso in Italia.

     
    Dunque, un discorso, quello del Papa, che ha sollecitato un ampio dibattito a livello internazionale. In uno dei passaggi chiave, Benedetto XVI ha affermato che la pace “non può essere una semplice parola o un'aspirazione illusoria. La pace è un impegno e un modo di vita”. Proprio da queste parole muove la riflessione di Sergio Marelli, direttore generale della FOCSIV, la Federazione organismi cristiani di servizio internazionale volontario, intervistato da Fabio Colagrande:


    R. - Da sempre, il Santo Padre ha sottolineato come la pace sia un’azione che deve essere costruita quotidianamente con degli stili di vita, con delle scelte quotidiane, attraverso le grandi politiche, ma anche attraverso l’assunzione a livello personale di piccole, quotidiane, continue scelte che possono andare o nella direzione della pace o nella direzione della violenza e del conflitto e quindi anche della guerra. Non è un caso che proprio il Santo Padre ricordi come l’adozione di uno stile di vita sobrio - così lui lo definisce - sia la via indispensabile per costruire la pace e per dare una garanzia di futuro a questo nostro mondo. Uno stile di vita sobrio, accompagnato dal serio impegno per un’equa distribuzione delle ricchezze, sono temi a noi carissimi, sono temi che fondano il nostro stesso impegno di volontari internazionali. Quando diciamo che le ricchezze non mancano, ma che c’è solo un problema di ridistribuzione di questa ricchezza attraverso gli uomini e le donne del pianeta, ci sentiamo in piena sintonia con Benedetto XVI.

     
    R. - Il Papa è tornato a citare Paolo VI e, in particolare, la Populorum Progressio: lo sviluppo è il nuovo nome della pace. Sentirla citata dal Papa immagino abbia un significato particolare per voi?

     
    D. - E’ il documento sul quale la FOCSIV è stata creata. La FOCSIV nasce proprio sull’onda della Pacem in terris di Giovanni XXIII e della Populorum Progressio di Paolo VI. Sono i due documenti fondanti che noi sentiamo come nostro DNA e come dei messaggi, dei principi ancora oggi assolutamente validi e attuali, con i quali continuiamo ad ispirare ed orientare la nostra azione. La pace deve essere costruita attraverso lo sviluppo.

     
    D. - Il Papa ha voluto dare spazio anche all’impegno a favore della sicurezza. In questo caso, fa una richiesta specifica, uno sforzo congiunto da parte degli Stati per applicare tutti gli obblighi sottoscritti e per impedire l’accesso dei terroristi alle armi di distruzione di massa. Cosa pensa di questo passaggio?

     
    R. - Mi sembrano delle parole molto chiare che, se posso liberamente tradurre, significano che occorre porre fine al commercio delle armi, perchè queste non finiscano nelle mani dei terroristi e possano essere usate per le drammatiche stragi con le quali i terroristi ormai insanguinano i nostri Paesi. Uno stop al commercio delle armi, la denuclearizzazione, una rinuncia alle munizioni a grappolo e alle mine antiuomo, sono anche questi dei messaggi altrettanto chiari e altrettanto in continuità con i predecessori. Quello che stupisce è che ancora a distanza di così tanti anni - dopo che i Pontefici continuano a richiamare questi principi - la politica e le politiche continuino a disinteressarsi e a non seguire questo insegnamento che ha una chiarezza eloquente.

     
    Nel suo articolato intervento al Corpo Diplomatico, Benedetto XVI ha anche ribadito che “il diritto può essere una forza di pace efficace solo se i suoi fondamenti sono solidamente ancorati nel diritto naturale, dato dal Creatore”. Su questo richiamo, Alessandro Gisotti ha raccolto la riflessione del prof. Vittorio Possenti, docente di Filosofia politica all’Università di Venezia:


    R. - Certamente, sia come Pontefice, sia in precedenza come cardinale, Benedetto XVI ci ha ricordato più volte l’importanza della legge morale naturale e del diritto naturale, che è il fondamento dei diritti umani. Quindi, il diritto più fondamentale, per così dire, che nutre tutti gli altri diritti, compreso il diritto internazionale è il diritto naturale. Benedetto XVI aggiunge una considerazione importante: “Non si può mai escludere Dio dall’orizzonte dell’uomo e della storia. Il nome di Dio è un nome di giustizia”. Sembra una considerazione di grande rilievo che fa giustizia di alcune posizioni “laicistiche” che vorrebbero procedere in tutte le questioni sociali, morali e politiche “etsi Deus non daretur”, cioè prescindendo da Dio, operando come se Dio non ci fosse.

     
    D. - In un altro passaggio, il Papa ha detto: “Le nuove frontiere della bioetica non impongono la scelta fra la scienza e la morale, ma esigono piuttosto un uso morale della scienza”. Il Papa ancora una volta mostra che la fede non è nemica della scienza, ma certo non può accettare l’ideologia della scienza, lo scientismo...

     
    R. - E’ un passaggio notevole, perché chiama in causa i grandi problemi bioetici nati a seguito delle grandi scoperte biotecnologiche. L’applicazione della tecnologia, dunque, alla radice stessa della vita umana. Si delinea pian piano questa idea che scienza e morale non siano tra loro opposte e che la morale abbia pieno diritto di regolare l’azione umana. Regolare l’azione umana significa anche indirizzare, regolare quel tipo particolare, molto importante di azione che è quella delle biotecnologie, delle scoperte della scienza. Consideriamo il problema fondamentale dell’embrione: difendendo il diritto alla vita, si potrebbe anche includere il diritto alla vita del concepito.

     
    D. – La diplomazia è in un certo modo l’arte della speranza – ha detto Benedetto XVI al corpo diplomatico – un richiamo originale, se vogliamo. Il Papa della “Spe salvi”, dell’Enciclica sulla speranza, dice che la diplomazia, spesso percepita come l’arte del compromesso, è invece l’arte della speranza...

     
    R. – E’ un cenno molto felice, che mi ha colpito favorevolmente. Noi, forse, come semplici cittadini, abbiamo qualche volte una precompresione negativa della diplomazia, come arte del mero compromesso. In realtà, la diplomazia può essere intesa in un senso più sano come un’arte delicata e difficile, anche molto inventiva e molto speranzosa: trovare ogni volta all’interno di gravi problemi una via d’uscita e di speranza.

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    Nella regione di Mosca, i fedeli "sono affidati alle mie cure pastorali e a quelle dell'arcivescovo" cattolico. Lo ha detto il Patriarca di Mosca Alessio II al termine della celebrazione per il Natale ortodosso: intervista con il nunzio

    ◊   Si arricchisce di un nuovo capitolo il dialogo tra cattolici e ortodossi: al termine della solenne celebrazione, nella Cattedrale di Cristo Salvatore a Mosca, della vigilia del Natale ortodosso, festeggiato ieri dalle Chiese orientali che seguono il calendario giuliano, il Patriarca di tutte le Russie Alessio II ha incontrato il nunzio apostolico in Russia, l’arcivescovo Antonio Mennini, ed il nuovo arcivescovo dell'arcidiocesi “Madre di Dio” a Mosca, mons. Paolo Pezzi. Alessio II ha rivolto i propri auguri a Benedetto XVI, esprimendo anche vicinanza e fraternità al Papa. Su questo incontro ascoltiamo, al microfono di Amedeo Lomonaco, il nunzio apostolico, mons. Antonio Mennini:


    R. - Il Patriarca ha fatto cenno a me e al nuovo arcivescovo della diocesi della Madre di Dio a Mosca di avvicinarci. Abbiamo insieme baciato la croce che lui teneva e con la quale aveva benedetto i fedeli. Poi il Patriarca - rivolgendosi in particolare al nuovo arcivescovo che io gli ho presentato - si è detto pronto ad incontrarlo presto, non solo per conoscerlo meglio ma per poter insieme studiare dei progetti pastorali comuni per il beneficio dei fedeli della regione di Mosca. Ha sottolineato questo elemento e detto che "i fedeli che vivono nella regione di Mosca sono affidati sia alle mie che alle sue cure pastorali", e per questo dobbiamo lavorare, collaborare insieme. Poi, rivolto a me, ha pregato ancora una volta di trasmettere al Santo Padre fervidi auguri di ogni bene per il nuovo anno appena iniziato. Ha aggiunto che i sentimenti suoi e della Chiesa ortodossa russa sono ispirati a motivi di grande rispetto e di grande fraternità.

     
    D. - Formulando gli auguri al Papa, Alessio II ha anche espresso la volontà di incontrare il Santo Padre?

     
    R. - Questo non l’ha detto esplicitamente, anche se credo che lui lo voglia. Arriverà anche questo momento, arriverà.

     
    D. - Quindi, sono tempi non ancora maturi per questo evento, ma la direzione sembra quella giusta...

     
    R. - Sì. Ci sono tutti i segnali che certamente lasciano ben sperare in sviluppi positivi. Nell’incontro dopo la solenne celebrazione per il Natale, il Patriarca ha anche detto: “Preghiamo di far pervenire a nome mio e a nome vostro, i migliori auguri di ogni bene al Papa di Roma, esprimendo la nostra stima, vicinanza e fraternità”. In suo onore - ha proseguito il Patriarca - “vi invito tutti ad alzarvi e a cantare”.

     
    D. - Quale è, eccellenza, il suo giudizio su questo incontro per il proseguo del dialogo tra cattolici e ortodossi?

     
    R. - Mi sembra che questo sia in linea già con le interviste rilasciate proprio alla vigilia dell’ordinazione di mons. Pezzi dal metropolita Kirill, che rilevava come l’ordinazione dell’arcivescovo rappresentasse un dono spirituale anche per tutta la Chiesa ortodossa. Io direi - senza lasciarsi andare a voli pindarici - che questo conferma un "trend" di collaborazione che non trova spazio soltanto a livello teorico, ma anche pratico. Questo è dimostrato ad esempio dalla riunione, avvenuta il 28 dicembre, della Commissione mista cattolico-ortodossa, stabilita qualche anno fa, che affronta diversi problemi pratici fra le due Chiese. Mi sembra che ora non ci siano problemi che le due parti non possano affrontare apertamente e liberamente insieme, senza incorrere nel rischio di rompere le relazioni o i rapporti; senza incorrere nel rischio, soprattutto, che si venga a rompere un clima di fiducia, di dialogo fondato però sul rispetto reciproco.

     
    D. - E percorrere quindi quelle strade indicate da Alessio II, cioè collaborare e conoscersi meglio?

     
    R. - Sì, e poi, quest’anno, il Patriarca di Mosca e di tutte le Russie ha anche rivolto un messaggio molto bello: ha rilanciato tutti i valori della famiglia, ha parlato contro il divorzio, contro l’aborto: non a caso hanno proclamato il 2008 "Anno della famiglia".

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Intervista al cardinale Saraiva Martins su un documento della Congregazione delle cause dei santi, di prossima pubblicazione, in cui si raccomanda ai vescovi maggiore rigore nell’accogliere richieste di aprire nuovi processi diocesani per beatificazioni e canonizzazioni.

    Intervista al cardinale Grocholewski sulla pastorale nelle scuole.

    Nell’informazione internazionale un articolo di Luca Possati sull’imminente missione del presidente Bush nel Vicino Oriente.

    In cultura, la prefazione del cardinale Ruini al volume (appena riproposto) “Alle fonti del rinnovamento. Studio sull’attuazione del Concilio Vaticano II” scritto nel 1972 dal cardinale Karol Wojtyla, arcivescovo di Cracovia, per illustrare ai fedeli della sua diocesi i frutti dell’insegnamento conciliare.

    Una riflessione del cardinale Hummes sulla sintesi fra contemplazione e azione.

    Note storico-liturgiche del vescovo ausiliare di Karaganda, Athanasius Schneider, sul rito dell’Eucaristia.

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    Oggi in Primo Piano



    Il presidente Bush parte per il Medio Oriente. Scopo del viaggio: accelerare il processo di pace riavviato alla Conferenza di Annapolis

    ◊   Washington minimizza le minacce di morte lanciate da Al Qaeda contro il presidente Bush, che sta per recarsi in missione diplomatica in Medio Oriente. Da domani sino al 16 gennaio il capo della Casa Bianca sarà nella regione per colloqui separati con i vertici israeliani e palestinesi, come tappa ulteriore verso l’applicazione delle conclusioni della Conferenza internazionale di pace, tenutasi ad Annapolis nel novembre scorso. Sugli obiettivi del viaggio di Bush, Giancarlo La Vella ha sentito Marcella Emiliani, docente di Sviluppo politico del Medio Oriente all’Università di Bologna:


    R. - La missione di Bush ha sostanzialmente due fini: sulla scia di Annapolis, accelerare il processo di riavvicinamento tra il governo israeliano e quella parte dell’Autonomia palestinese che fa capo al presidente Abu Mazen e ad Al Fatah, pur rimanendo un enorme interrogativo la pace tra palestinesi, tra Al Fatah e Hamas. Dall’altra parte, il problema nuovo che si pone dopo Annapolis, è la posizione del Pakistan. Quanto è successo in Pakistan, non solo fa temere agli Stati Uniti per la lotta globale al terrorismo, ma ha reso, dopo l’assassinio della Bhutto, il Pakistan estremamente più debole, estremamente più instabile. Quindi, bisogna tirare le fila di questa lotta globale al terrorismo da parte di regimi che sono impegnati in questa lotta. E il terrorismo non è che l’ultimo dei sintomi della mancata democratizzazione del Medio Oriente.

     
    D. - E’ opportuno mettere in agenda tutte le questioni insieme, considerando che poi ci sarà da sciogliere il nodo finale sullo status di Gerusalemme?

     
    R. - Oggi, per comporre la questione israelo-palestinese sono in ballo tutti gli scogli che c’erano nel processo di pace fallito, quello di Oslo: i confini dei due Stati, la questione della colonizzazione ebraica dei territori, il contenzioso idrico. Certo, le questioni sono complicate. A proposito di Gerusalemme, abbiamo visto in passato che ragionando si possono anche raggiungere delle soluzioni che riescano a soddisfare entrambi. Gli escamotage si riescono a trovare se c’è la volontà politica, altrimenti Gerusalemme sembra la questione ideale per non poter arrivare mai alla pace.

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    Scontri militari al confine tra Sudan e Ciad, nella zona del Darfur. La preoccupazione della Comunità di Sant'Egidio

    ◊   Per il secondo giorno consecutivo, velivoli del Ciad hanno bombardato postazioni di ribelli ciadiani in territorio sudanese, nel Darfur, nei pressi del confine. Alcuni combattenti sarebbero rimasti uccisi. Lo hanno riferito fonti militari di N’Djamena e un rapporto delle Nazioni Unite. Proprio il Palazzo di Vetro di New York si è detto molto preoccupato per il deteriorarsi della situazione nell’area. Salvatore Sabatino ne ha parlato con Vittorio Scelzo, esperto di Ciad e Sudan della Comunità di Sant’Egidio:


    R. - Il proseguire della crisi politica e, purtroppo, lo stallo dei negoziati politici ha portato ad una crisi che si sta pian piano estendendo. Bisogna tener presente che quello tra Ciad e Sudan è un confine molto labile e la stessa gente abita da una parte e dall’altra: gente della stessa etnia, quella degli Zagawa, vive in realtà divisa tra i due Stati. Quello che succede in Ciad, dunque, non può non influire in Sudan, così come quello che succede in Darfur non può non influire sulla situazione politica interna del Ciad.
     
    D. - Queste tensioni non rischiano di scatenare un altro conflitto in un’area che - come sappiamo bene - ha già pagato e continua a pagare un prezzo altissimo?

     
    R. - Direi purtroppo di sì. Si tratta di notizie molto preoccupanti che noi della Comunità di Sant’Egidio guardiamo con molta apprensione, proprio perché le notizie di questi giorni segnano una sorta di escalation in quella che è stata una tensione che va avanti da molto tempo, ma che nei bombardamenti che ci sono stati sembra salire ad un nuovo livello, sicuramente molto più preoccupante.
     
    D. - Le Nazioni Unite hanno espresso preoccupazione per il deteriorarsi della situazione al confine tra Ciad e Sudan. Quali potrebbero essere, secondo lei, le mosse giuste della Comunità internazionale per evitare il peggio?

     
    R. - Io direi che noi dobbiamo attendere il dispiegamento delle due forze che sono state inviate nella regione: quella dell’Unione Europea in Ciad e quella ibrida composta da Unione Africana e Nazioni Unite, in Darfur. Credo che questo potrà essere di aiuto alla situazione. Noi di Sant’Egidio siamo convinti che la vera soluzione giungerà solo quando ci saranno dei negoziati politici, che troveranno una soluzione negoziata per la crisi in corso in Darfur e nell’Est del Ciad.

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    A Palazzo Barberini, a Roma, gli ultimi giorni della mostra dedicata al "Bernini pittore". Intervista con il curatore, Tomaso Montanari

    ◊   Ultimi giorni a Roma per la mostra “Bernini pittore”, che ha riscosso grande successo. Allestita fino al 20 gennaio nelle sale di Palazzo Barberini, l’esposizione presenta per la prima volta insieme i 16 quadri attribuiti con certezza al grande architetto e artista. I visitatori potranno anche ammirare disegni, cartoni e marmi del maestro del barocco romano. Il servizio è di Paolo Ondarza.

    (musica)

     
    Un colto del Bernini poco conosciuto, ma essenziale per comprendere a fondo il maestro del Barocco: il celebre artista non usò il solo scalpello, ma anche matita e pennello guardando a Guercino e Lanfranco - i bolognesi protagonisti della pittura della Roma di Papa Gregorio XV Ludovisi - e dialogando con Velasquez e Vouet. Il curatore della mostra, Tomaso Montanari:

     
    “E’ uno stile che ha una spiccata plasticità e che conosce una luce argentea, chiara, lunare, e che ha la capacità poi di far balzar fuori dalla superficie dipinta le persone”.
     
    Opere spesso non finite, abbozzate, libere dai canoni estetici barocchi perché realizzate per diletto, non su commissione o dietro pagamento:

     
    “Bernini in pittura è un autodidatta. E’ un’arte che potremmo definire addirittura borghese, intima, più moderna, una pittura che si concentra su ritratti di individui che non sono importanti per il ruolo sociale che ricoprono, ma sono importanti proprio per la loro dignità di singoli esseri umani, per il loro aspetto, nel momento, che viene bloccato per sempre su una tela”.
     
    Viva la penetrazione psicologica degli autoritratti e dei ritratti: proviene da collezione privata l’olio con il giovane girato di ¾ a interloquire con il visitatore. Nella sezione arte sacra spicca il Cristo deriso: silente, sofferente, il cui sguardo rivela un umile abbandono a Dio. Plastici i disegni nel tratto sicuro del carboncino e della sanguigna esaltato da lumeggiature di biacca. Solo 16 dei 200 quadri realizzati da Bernini sono stati oggi individuati con certezza:

     
    “Difficilmente riusciremo a recuperare tutti i 150-200 quadri di cui parlano le fonti, proprio perché molti devono essere stati gettati perché avvertiti come qualcosa di lontano da un’opera d’arte compiuta, secondo il metro del Seicento.”.

     
    Allestire la mostra a Palazzo Barberini vuol dire far tornare a casa Bernini:

     
    “Sì, potremmo proprio dire così. Tra l’altro, uno dei 16 quadri torna a Palazzo Barberini dopo 40 anni, quando fu venduto nel ’67 alla National Gallery di Londra, ma dopo essere stato 340 anni ininterrottamente in quelle sale”.

     
    Un ritorno che, seppure per soli tre mesi, vuole essere il simbolo della rinascita di Palazzo Barberini come sede della Galleria Nazionale di Arte Antica.

     
    (musica)

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    Chiesa e Società



    Gli ultimi del Pianeta in primo piano nella conferenza d’inizio Anno 2008 del segretario generale dell'ONU, Ban ki-Moon, ieri al Palazzo di Vetro a New York

    ◊   “Un anno di sfide immense”, da dedicare – ha detto Ban Ki-moon - anzitutto agli ‘ultimi’ della Terra: i più deboli, gli svantaggiati, gli esclusi dalla comunità internazionale e ancora i più vulnerabili ai cambiamenti climatici, tutti quanti non beneficiano dei diritti umani fondamentali. “Che il 2008 sia – ha auspicato il segretario generale dell’ONU – l’anno del ‘miliardo decisivo’”, ovvero “i più poveri del mondo” . “Dobbiamo tenere conto” delle loro voci “troppo spesso inascoltate, ha ammonito Ban, perché siamo a metà strada – ha spiegato – della grande campagna delle Nazioni Unite, che ha fissato gli obiettivi del Millennio per mettere fine alla povertà estrema. Tra le priorità per il 2008 “iniziato con i disordini in Kenya e una rinnovata violenza in Sri Lanka”, Ban ha indicato la necessità di consolidare il fragile processo di pace in Medio Oriente, aumentare gli sforzi per aiutare la popolazione dell’Iraq ad uscire dal conflitto, impedire che l’Afghanistan piombi nell’anarchia, promuovere i colloqui di pace per il Darfur. Ha ricordato ancora che quest’anno ricorrerà il 60.mo anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani e sarà questa l’occasione per chiedere la ratifica universale anche dei Patti internazionali sui diritti civili e politici e sui diritti economici, sociali e culturali. Questo perché nella ricerca del benessere globale “i diritti umani devono essere un principio fondamentale”. “La nostra missione finale” è “costruire un’ONU più forte per un mondo migliore”, ha ribadito Ban Ki-moon ad un anno dalla sua elezione. Poi ha concluso: “Come sempre, cerco risultati, non facile retorica. Il nostro motto deve essere l’efficacia”. (A cura di Roberta Gisotti)

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    Rapporto sulle vittime dell’immigrazione clandestina alle porte dell’Europa: 1861 i morti lo scorso anno sulle "carrette del mare"

    ◊   Non si ferma la ‘strage’ di migranti e rifugiati alle porte dell’Europa: 1861 i morti lo scorso anno, 243 solo a dicembre, 120 nel mar Egeo, 96 sulle rotte per le Canarie e 17 lungo le coste algerine, 10 al largo dell’isola francese di Mayotte nell’Oceno Indiano. Secondo i dati diffusi in un rapporto di “Fortress Europe”, un osservatorio che da 10 anni fa memoria delle vittime dell’immigrazione clandestina, sono in totale 11.750 i morti accertati dal 1988 nei cosiddetti viaggi della speranza sulle "carrette del mare". Nonostante il potenziamento dei controlli lungo le coste è cresciuto il numero delle vittime, 236 in più rispetto al 2006. Sono invece diminuiti gli arrivi in tutta la frontiera sud - con l'eccezione di Malta, Cipro e Grecia - a causa dei respingimenti in mare dell'agenzia comunitaria Frontex, e degli arresti dei migranti in tutto il Nord Africa. “Grazie ad accordi come quello che l'Italia ha appena firmato con la Libia per il pattugliamento congiunto - si legge nel rapporto - i migranti intercettati d'ora in avanti saranno respinti nei porti libici, contro i richiami del 2005 della Corte europea dei diritti dell'uomo. Intanto, il 21 dicembre, l'area Schengen si è spostata ad est, inglobando nove Paesi europei. E l'Unione Europea ha già provveduto a finanziare i nuovi gendarmi, costruendo un muro virtuale tra Slovacchia e Ucraina”. (R.G.)

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    Rilasciati i cinque cristiani rapiti in Pakistan il 4 gennaio scorso in Waziristan

    ◊   I cinque cristiani rapiti in Pakistan, il 4 gennaio, scorso da presunte milizie talebane nella provincia del Waziristan meridionale, sono stati liberati nella serata di ieri. Le persone sequestrate - Altaf Masih, Babar Masih, Emanuell, Sakhawat Masih e suo figlio Imran Masih - sarebbero state rilasciate dopo un’intensa “pressione politica” sui rapitori, secondo quanto affermato dal governo locale. L’agguato, secondo alcune fonti locali, sarebbe stato guidato da uno dei comandanti talebani molto vicini al terrorismo afgano, ritenuto fra l’altro anche uno dei mandanti dell’attentato del 27 dicembre scorso di Benazir Bhutto, presidente del Partito popolare del Pakistan (Ppp) e leader dell’opposizione. Secondo Peter Jacob, il segretario esecutivo della Commissione nazionale Giustizia e Pace della Chiesa cattolica pakistana (NCJP), “è prematuro dire quale sia stato il reale intento dietro al sequestro dei cinque cristiani”. “Recenti sondaggi della NCJP in zone come la provincia di Frontiera del nord-ovest e altre regioni tribali – ha riferito il segretario all’agenzia “AsiaNews” - rilevano una reale minaccia alla libertà religiosa e una serie di minacce contro i cristiani da parte di gruppi militanti. "Allo stesso tempo – ha avvertito Peter Jacob – il rapimento dei cinque cristiani potrebbe essere stato un tentativo di distogliere l’attenzione della gente ed avallare ulteriormente la versione sui responsabili dell’assassinio Bhutto”. (C.C.)

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    Iraq: le bombe contro le chiese di due giorni fa non hanno fermato la fede dei fedeli

    ◊   Nonostante sia stata una di quelle danneggiate dagli attacchi del 6 gennaio mattina, la chiesa greco-ortodossa di Saint George, a Baghdad lo stesso pomeriggio dell’attentato era di nuovo piena per la messa celebrata dal parroco, p. Yunan Yacoub. A darne notizia è il sito Ankawa.com rilanciato da Baghdadhope dove si legge: “questo, più che le parole di questi giorni, è un chiaro segno della determinazione degli iracheni cristiani a resistere alle pressioni di chi vorrebbe ripulire il paese dalla loro presenza”. Sul sito è anche possibile vedere le foto delle chiese colpite sempre il 6 gennaio a Mosul: muri di cinta distrutti, finestre volate via, arredi danneggiati, resti del presepio sparsi nel pavimento, armadi saltati. Alcuni scatti mostrano anche i resti delle autobombe usate dai terroristi. Ma se a Baghdad e Mosul la paura è tornata a colpire gli abitanti cristiani, “diversa atmosfera si respira a Kirkuk dove è stata inaugurata una nuova sala conferenze della diocesi caldea. A tagliare il nastro mons. Andreas Sana, vescovo emerito della città, alla presenza dell'attuale arcivescovo, mons. Luis Sako. La sala, moderna ed attrezzata dal punto di vista tecnologico anche con un collegamento internet, è destinata ad ospitare riunioni, seminari e conferenze”. (R.P.)

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    Documento dei vescovi della Repubblica Democratica del Congo ai partecipanti alla Conferenza per la pace e lo sviluppo nel nord e sud Kivu, aperta a Goma

    ◊   "La guerra come mezzo per risolvere i problemi tra gli abitanti è inutile e deve essere condannata con la più grande fermezza", scrivono i vescovi della Repubblica democratica del Congo, in un memorandum rivolto ai partecipanti alla Conferenza per la pace e lo sviluppo nel Nord e Sud Kivu, iniziata ieri a Goma. Nel documento, firmato da mons. Theophile Kaboy, vescovo di Kasongo, delegato della Conferenza episcopale (CENCO) a Goma, i presuli ricordano che le istituzioni democratiche sono state elette con il consenso della comunità internazionale e pertanto qualunque iniziativa deve essere finalizzata a consolidare tali istituzioni. “La Conferenza episcopale – si legge ancora nella nota - dice ‘no’ all’ideologia della ‘balcanizzazione’ con la creazione di ‘Stati nani’. L’integrità territoriale, l’intangibilità dei suoi confini e l’unità nazionale non sono negoziabili”. Il memorandum evidenzia poi le cause principali della guerra nella regione del Kivu, quali lo sfruttamento delle risorse naturali presenti nel territorio, nonché la strumentalizzazione dell’odio e della divisione etnica da parte dei politici per aumentare il loro potere. La guerra diventa così un paravento per coprire il saccheggio di risorse come oro, diamanti, petrolio. I vescovi del Congo definiscono infatti la guerra nel Kivu come ‘guerra economica’; “alcuni agenti di multinazionali – affermano - sono particolarmente attivi nella regione per vendere armi in cambio di risorse naturali”. Denunciano infine un atteggiamento ‘ambiguo’ della comunità internazionale di fronte al problema dei rifugiati, alla democrazia nella regione dei Grandi Laghi e alla missione dell’ONU (MONUC) di mantenimento della pace. (C.C.)

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    Pubblicato sui principali giornali del Kenya il Messaggio di solidarietà del Papa per le vittime della violenza politica

    ◊   Il Papa sabato scorso, tramite il segretario di Stato cardinale Tarcisio Bertone, ha inviato ai vescovi del Kenya una lettera di solidarietà per le vittime della crisi politica seguita alle elezioni presidenziali del 27 dicembre, che ha provocato almeno mille morti e 250 mila sfollati. Benedetto XVI ha esortato a cessare le violenze e le lotte fratricide, unendosi all’appello di pace del 2 gennaio dei vescovi kenyoti. “Il messaggio del Papa è stato pubblicato ieri su tutti i principali giornali”, ha riferito all’agenzia Sir padre Martin Wanyoike, portavoce della Segreteria della Conferenza episcopale del Kenya e direttore della radio cattolica Waumini. “E’ stato molto apprezzato dalla Chiesa e dalla popolazione del Kenya – ha aggiunto - ma ancora non ci sono state dichiarazioni da parte degli esponenti politici”. Padre Wanyoike ha confermato poi la diminuzione degli scontri a Nairobi, Eldoret, Nakuru e nelle diocesi più coinvolte: “Ci sono meno uccisioni, ma è cresciuto il numero degli sfollati in tutte le zone colpite. La situazione sta migliorando anche negli sobborghi di Nairobi, ma non sappiamo ancora cosa ci riserva il futuro. Ci auguriamo che i due leader politici (il presidente Mwai Kibaki e Raila Odinga, dell’opposizione) smettano di porre condizioni e dialoghino tra di loro”. “Al tempo stesso – ha concluso padre Wanyoike - le Chiese cristiane, insieme ai musulmani e agli indù, hanno diffuso il 6 gennaio tramite le radio e le tv locali un invito ad un’ora di preghiera collettiva per la pace”. (C.C.)

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    Le crisi in Kenya e Medio Oriente e il recente incontro con il Papa nel discorso del Gran Maestro dell’Ordine di Malta al Corpo Diplomatico, per il tradizionale scambio di auguri

    ◊   Nuovo anno di lavoro e nuovo, cordiale incontro all’Aventino tra l’Ordine di Malta ed i rappresentanti dei 99 Paesi attualmente accreditati presso l’antica Istituzione in virtù della sua sovranità internazionale. Il Gran Maestro Fra’ Andrew Bertie, il Gran Cancelliere Jean-Pierre Mazery ed i membri del Sovrano Consiglio hanno accolto con il consueto calore a Santa Maria del Priorato gli ambasciatori che con il loro lavoro accompagnano e sostengono la millenaria missione caritativa dell’Ordine, attivo in 120 nazioni del globo con strutture socio-sanitarie e progetti di soccorso internazionale in caso di guerre o calamità. Ai professionisti della diplomazia il discorso di benvenuto del Gran Maestro ha proposto un excursus a tutto campo sulle iniziative umanitarie dell’Ordine ed i principali temi di attualità internazionali ad esse correlati. Un esempio per tutti, il Kenya: nel Paese africano, che il perdurare delle violenze rischia di trasformare in un nuovo Ruanda, gli otto ambulatori dell’Ordine attivi sul territorio assistono una media di 600mila persone ogni anno. Ed ancora, l’ampia disamina del Gran Maestro ha evocato la campagna per la lotta alla lebbra in Brasile, gli accordi per la fornitura di insulina agli ospedali cubani, la cura dei bambini denutriti ad Haiti, i progetti assistenziali in numerosi Paesi dell’Est europeo, i programmi di ricostruzione post-tsunami nel Sud-est asiatico e molti altri progetti umanitari di matrice melitense. Inevitabile infine il richiamo, con accenti di grande soddisfazione, ai due grandi eventi ecclesiali che hanno allietato la Famiglia gerosolimitana nel 2007: la storica visita papale del 2 dicembre scorso a pazienti e personale dell’Ospedale romano “San Giovanni Battista”, definita “un incoraggiamento eccezionale a proseguire nella missione al servizio dei malati”, e lo straordinario pellegrinaggio che ad ottobre ha condotto in Terrasanta oltre 1300 Cavalieri e Dame di 21 diverse nazionalità. Un viaggio alle radici della fede cristiana e dello stesso Ordine di Malta, ma anche, per il Gran Maestro, l’occasione di una preoccupata riflessione sul difficile futuro dei cristiani d’Oriente, emarginati e sottoposti a violente discriminazioni che sempre più spesso li costringono all’esodo. (A cura di Adriano Monti Buzzetti)

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    Il riconoscimento di Fidel Castro della necessità di cambiamenti a Cuba è "un passo promettente", secondo il cardinale arcivescovo dell'Avana

    ◊   L’arcivescovo de L’Avana, il cardinale Jaime Ortega y Alamino, nell’omelia pronunciata nella Messa d’inizio anno, ha parlato della necessità di cambiamenti a Cuba, sia strutturali che nell’organizzazione e nello sviluppo della Nazione. Alla fine di dicembre scorso, sia Fidel Castro che suo fratello Raúl, attualmente alla guida del Paese, hanno riconosciuto pubblicamente la necessità di modifiche per migliorare la situazione di Cuba: un “passo promettente che ha suscitato aspettative”, lo ha definito il cardinale. “Le autorità cubane – ha proseguito – chiederanno un’ampia opinione su tutti i temi che destano preoccupazione nella società e consulteranno a tal proposito i cittadini, pur non precisando i termini della consultazione”. Il porporato ha anche ricordato che i vescovi cubani, nel loro messaggio per il Natale, hanno fatto riferimento alle decisioni da parte del Governo cubano, attese con inquietudine dal popolo. Ed ha concluso con il messaggio della Chiesa cattolica di preghiera e cooperazione a quest’opera comune. Da parte sua, la rivista “Nueva Palabra” dell’arcidiocesi de L’Avana, ha chiesto che i cambiamenti tanto auspicati dal popolo ed annunciati dal Governo come graduali, siano invece ben visibili e tempestivi. (C.C.)

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    In Venezuela, le gravi sfide sociali al centro della relazione di apertura dell’Assemblea plenaria dell'episcopato locale

    ◊   Con un appello all’unità di tutti i settori del Paese per combattere i gravi flagelli che colpiscono la società, il presidente della Conferenza episcopale del Venezuela, mons. Ubaldo Santana, arcivescovo di Maracaibo, ha aperto ieri i lavori della 89ma. Plenaria dei vescovi sottolineando diverse sfide sulla sicurezza cittadina, la corruzione e la difesa e promozione dei diritti umani. Il presidente dell’Episcopato si è riferito innanzitutto alla preoccupante situazione che si registra in alcune località di frontiera, poiché l’abbandono di queste aree consente che “operino liberamente gruppi armati irregolari, e prevalgano affari illeciti come il narcotraffico nonché il riciclaggio di denaro sporco”. Per il presule si tratta di preoccupanti fenomeni di “insicurezza e corruzione”, che obbligano a dare “delle risposte rapide ed adeguate”. “Il persistere dell’insicurezza civile e giuridica rappresenta una violazione ai diritti della persona”, ha spiegato il presule che ha sottolineato l’importanza del “dialogo costruttivo”. A suo avviso “le divisioni hanno raggiunto livelli inquietanti. “Oggi, più che mai”, noi tutti venezuelani – ha detto - “dobbiamo lavorare insieme per far fronte a questi problemi. Non è il momento del rimprovero reciproco. Dobbiamo essere consapevoli tutti che viviamo nel medesimo spazio geografico, politico e culturale e conviene a tutti che i diritti umani siano rispettati pienamente”. In questo contesto, mons. Ubaldo Santana, ha voluto ribadire la richiesta della Chiesa affinché la legge di amnistia approvata dal presidente della Repubblica Hugo Chávez, lo scorso 31 dicembre, “sia estesa a tutti i prigionieri politici” e, al tempo stesso, ha rilevato altri problemi non meno gravi come la lentezza della giustizia, la situazione precaria dei detenuti per motivi politici, la condizione piuttosto degradata che si vive in quasi tutte le carceri del Paese”. Il presidente dell’Episcopato è tornato ancora una volta sul caso di Nixon Moreno, che da oltre un anno si trova all’interno della Nunziatura apostolica a Caracas, per chiedere al governo la concessione di un permesso per l’espatrio oppure una qualsiasi altra soluzione che rispetti i suoi diritti. Moreno è stato accusato di diversi delitti (contro la polizia di Mérida), che sarebbero stati commessi agli inizi del 2007 durante una protesta studentesca contro la politica governativa. Infine, mons. Santana, in riferimento alle dure polemiche tra il Governo della Colombia e quello del Venezuela - che si sono aggravate nelle ultime settimane, dopo la triste vicenda dei 3 ostaggi nelle mani delle FARC (mai liberati nonostante le promesse) - ha chiesto la ricerca del dialogo e dell’intesa anche perché - ha ricordato - si tratta di due Nazioni che condividono 2.219 metri chilometri di frontiera. “I vuoti nella governabilità, il cattivo funzionamento dei servizi pubblici, l’assenza degli organi preposti alla sicurezza e alla difesa, hanno trasformato i nostri confini in terra di nessuno”, ha concluso l’arcivescovo di Maracaibo. (A cura di Luis Badilla)

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    I vescovi colombiani condividono la decisione governativa di non autorizzare altre missioni internazionali per facilitare la liberazione degli ostaggi delle FARC

    ◊   La Chiesa colombiana, secondo quanto ha dichiarato alla catena radiofonica “Caracul”, il vescovo emerito di Florencia e Segretario della Conferenza episcopale mons. Fabián Marulanda, condivide la decisione governativa di non autorizzare nuove missioni internazionali per facilitare la liberazione degli ostaggi nelle mani della guerriglia delle FARC. Per il presule “occorre mettere fine ad ogni tipo di protagonismo e abbassare il volume mediatico attorno ad una vicenda così dolorosa e triste”. Infatti, mons. Marulanda, nel respingere con sdegno “lo show mediatico che a volte accompagna la terribile vicenda umana delle vittime del flagello” dei sequestri, ha ribadito che la questione fondamentale “da non perdere mai di vista è la liberazione di queste persone, poiché si tratta di un’esigenza elementare del sentimento umanitario”. “I Paesi amici”, ha spiegato, cioè le sette Nazioni che si sono offerte di facilitare la mediazione, possono e devono aiutare ma “la questione del sequestro è un problema fondamentalmente colombiano e, dunque, ogni tipo di aiuto che viene offerto deve muoversi in accordo con i criteri” del Governo di Bogotà. Mons. Marulanda inoltre ha criticato il comportamento delle FARC per la mancata liberazione dei tre ostaggi, due donne e un bimbo (che poi si è scoperto non era nelle mani della guerriglia dal 2005), sottolineando che sono state sleali addirittura con il presidente del Venezuela, Hugo Chávez, che aveva diretto la mediazione. (L..B.)

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    Continuano le alluvioni in Zambia, Zimbabwe e Mozambico

    ◊   Le alluvioni che stanno interessando in questi giorni la zona compresa fra Zambia, Zimbabwe e Mozambico, stanno causando vittime e gravi danni al territorio. In Mozambico, gran parte della popolazione della zona centrale del Paese, è stata costretta ad abbandonare le proprie case; almeno 6 persone sono morte e le vie di comunicazione sono state interrotte. In Zambia il governo ha decretato lo stato di allerta per metà del Paese e un milione e mezzo di persone potrebbe essere costretto nelle prossime ore a spostarsi. In Zimbabwe si è fatto intanto più pesante il bilancio dei morti con almeno 31 vittime accertate, dieci in più rispetto ai rapporti della scorsa settimana. Intanto è salito il rischio di malaria, anche se finora non sono state registrate epidemie nella zona e l’Organizzazione Mondiale della Sanità sta monitorando la situazione in particolare nelle aree dello Zambesi, dello Okavango, di Limpopo e di Pungwe. (C.C.)

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    Una giornata di preghiera e di riflessione per la Campania, assediata dai rifiuti: è la proposta di padre Antonio Rungi per domenica prossima

    ◊   Puntare sul rispetto dell’ambiente nelle omelie e nelle catechesi: è quanto chiede padre Antonio Rungi, teologo e superiore provinciale emerito dei Passionisti di Napoli, proponendo una giornata di preghiera e di riflessione per la Campania per domenica prossima, 13 gennaio, Festa del Battesimo del Signore. “Il problema dei rifiuti solidi urbani – scrive il religioso in una nota – è una questione prima di tutto sanitaria, poi politico-amministrativa della Cosa pubblica, e in secondo ordine è un problema di etica sociale”. Sottolineando come competa alla Chiesa di educare i fedeli al rispetto del Creato e della Natura, il religioso ribadisce “l’urgenza di approfondire nelle comunità cristiane la questione dei rifiuti solidi urbani, facendo tesoro anche degli ultimi interventi al riguardo fatti dal Santo Padre, Benedetto XVI, durante le omelie ed i Messaggi del tempo natalizio”. Padre Rungi chiede quindi ai cattolici un impegno per “una minore produzione dei rifiuti solidi urbani”, il che significa “minor consumismo e spreco, raccolta differenziata in famiglia, rispetto delle norme per il deposito dei sacchetti dell’immondizia negli orari, luoghi e contenitori specifici”. Fondamentale, inoltre, educare “le vecchie e nuove generazioni al rispetto del proprio ambiente di vita, dando più peso a ciò che è il bene comune e della collettività e meno a quello che è il bene e l’interesse privato”. Infine, padre Rungi lancia un appello ai “pastori d’anime, sacerdoti e catechisti” perché durante le omelie e le catechesi, “educhino la Campania all’ecologia”, affinché ognuno possa dare “un valido contributo” alla soluzione del problema dei rifiuti. (I.P.)

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    24 Ore nel Mondo



    Nella notte, lancio di due razzi katiuscia dal Libano in Galilea. Domani l'arrivo di Bush in Medio Oriente

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    Israele - Libano
    L'UNIFIL, la forza ONU schierata nel sud del Libano, sta investigando sull'asserito lancio di razzi katiuscia dal Libano contro il nord di Israele. Il ministro della Difesa israeliano, Barak, fa sapere che Israele ritiene l’episodio “grave”. Secondo Barak, si tratta comunque di un episodio “atipico”: ragion per cui, nella fase attuale, Israele non intende modificare lo status quo nella zona. È la prima volta che si trovano resti di razzi katiuscia lanciati dal territorio libanese su Israele dalla fine della guerra dell'estate 2006. Intanto, un’altra notizia arriva oggi in relazione a Libano e Israele: i militari israeliani hanno rilasciato un giovane pastore libanese catturato nei pressi delle Fattorie di Shebaa, territorio conteso tra Siria e Libano e dal 1967 occupato da Israele. Fadi Abd al-Aal, 16 anni, è stato consegnato dalle truppe israeliane a rappresentanti dell'UNIFIL, la forza ONU schierata nel sud del Libano dal 1978 e rafforzata dopo la guerra del 2006 tra il movimento sciita Hezbollah e Israele. Abd al-Aal era stato catturato ieri nella fattoria di Bastara, all'interno del territorio occupato da Israele e più volte oggetto di attacchi da parte delle milizie di Hezbollah. Il premier libanese Siniora aveva denunciato ieri la cattura del pastore come “un'aggressione”, “una flagrante violazione della sovranità libanese” e “un'intollerabile provocazione israeliana”.

    Libano
    Secono le prime notizie, sembra appartenere al contingente spagnolo dell'UNIFIL, la forza ONU in Libano, il camion colpito nel pomeriggio in un'esplosione a sud di Beirut. Lo ha riferito la Tv libanese NBN. Citando fonti di sicurezza, l'emittente ha aggiunto che tre caschi blu spagnoli che erano a bordo del camion sono rimasti feriti.

    Viaggio Bush in Medio Oriente
    Nell'ufficio del primo ministro israeliano a Gerusalemme è iniziato l'incontro fra Ehud Olmert ed il presidente palestinese, Abu Mazen (Mahmud Abbas). Si tratta di un incontro preparatorio della visita del presidente statunitense George Bush, che inizia domani.

    Striscia di Gaza
    Un corteo di manifestanti che portano in spalla 60 bare sta sfilando questa mattina al centro della città di Gaza per protestare contro l'assedio israeliano della Striscia. Le bare simboleggiano il numero dei palestinesi deceduti fino ad oggi negli ospedali locali, senza aver ottenuto l'autorizzazione dalle autorità militari israeliane per essere trasferiti in centri medici specializzati dello Stato ebraico. La protesta è organizzata dal Comitato contro l'assedio e da altre organizzazioni non governative solo in parte collegate ad Hamas. Le strutture sanitarie palestinesi nella Striscia di Gaza non sono in grado di garantire cure adeguate per alcune tipologie di gravi malattie, in particolare per il cancro. Da quando nel giugno dello scorso anno la Striscia di Gaza è finita sotto il controllo politico e militare di Hamas, le procedure volute da Israele per trasferire i malati nei più attrezzati ospedali israeliani sono diventate molto più rigide. Molto spesso le autorità militari israeliane che presidiano il posto di confine respingono i malati palestinesi di Gaza, adducendo non meglio dettagliate “ragioni di sicurezza nazionale”. I manifestanti protestano anche contro la visita in Israele e nei Territori del presidente americano George W. Bush.

    Iran - Usa
    Il presidente del parlamento iraniano, Gholamali Haddad-Adel, ha respinto oggi come mera “guerra psicologica” contro Teheran le notizie arrivate ieri da Washington secondo le quali si è rischiato uno scontro armato tra navi dei due Paesi vicino allo Stretto di Hormuz in seguito ad una provocazione dei Pasdaran, i Guardiani della rivoluzione. Dal canto suo, il segretario di Stato americano, Condoleezza Rice, ha avvertito Teheran di evitare nuove "pericolose provocazioni". Ieri il portavoce del ministero degli Esteri iraniano, Mohammad Ali Hosseini, aveva ammesso un contatto tra unità navali americane e iraniane vicino allo Stretto di Hormuz, ma l'aveva definito un episodio “normale” come altri avvenuti in passato, risoltosi con l'identificazione reciproca.

    Iraq
    L'Alto commissariato delle Nazioni Unite (UNHCR) ha lanciato oggi un appello di 261 milioni di dollari da destinare nel 2008 ai programmi in favore di parte dei circa quattro milioni di iracheni fuggiti dalle loro case. Circa 2,2 milioni di iracheni risultano sfollati all'interno dell'Iraq e due milioni - ha ricordato a Ginevra un portavoce dell'UNHCR - sono fuggiti in altri Paesi della regione ed in particolare in Siria e Giordania, ma anche Egitto, Libano, Turchia e diversi Stati del Golfo. Intanto, i corpi di cinque componenti di una stessa famiglia sono stati ritrovati su una strada nella regione di Baquba, capitale della provincia di Diyala, ad una sessantina di km a nord di Baghdad. Lo riferisce oggi l'agenzia Aswat al Iraq citando fonti ufficiali che hanno preferito mantenere l'anonimato, secondo cui le forze di polizia del villaggio Khaniqin hanno trovato i cinque corpi gettati su una strada a Nord-Est di Baquba. “Un gruppo di uomini armati avevano rapito due giorni fa i cinque membri di una stessa famiglia, dopo aver fatto irruzione nella loro casa”, ha riferito la stessa fonte, senza aggiungere altri dettagli.

    Turchia
    Mentre è morto lo studente liceale che era stato colpito nell’attentato del 3 gennaio scorso a Diyarbakir, la polizia turca ha arrestato oggi, nel cuore della città sudorientale di Diyabarkir, varie persone legate al PKK (Partito dei lavoratori del Kurdistan). Nell’attentato, erano già morte 6 persone e 67, tra cui 30 militari, erano rimaste ferite. Secondo la polizia, in particolare una persona tra gli arrestati sarebbe stata addestrata a lungo nel nord Iraq, prima di giungere di recente in Turchia per compiere l'attentato. C’è da dire che ieri il PKK, principale sospettato, ha affermato con un comunicato che l'attentato potrebbe essere stato compiuto da una sua unità che avrebbe agito di propria iniziativa. Secondo gli osservatori turchi e stranieri ad Ankara, l'attentato è una prima rappresaglia ai tre raid aerei compiuti dall'aeronautica turca in dicembre per distruggere le basi del PKK in Nord Iraq. Trentotto persone sospettate di legami con l'organizzazione terroristica al Qaida sono state arrestate la scorsa settimana in tre diverse città turche.

    Questione gas tra Turchia e Iran
    Il premier turco, Recep Tayyip Erdogan, ha affermato che chiederà direttamente al presidente iraniano, Mahmoud Ahmadinejad, di far riprendere le forniture iraniane di gas naturale alla Turchia, interrottesi da ieri. "Noi stiamo trattando sulla questione con gli iraniani. Parlerò con il presidente iraniano e gli chiederò di fare riprendere le forniture”, ha affermato Erdogan rispondendo ad alcuni giornalisti. Ieri, le autorità energetiche turche avevano annunciato la completa interruzione delle forniture di gas iraniano alla Turchia, già drasticamente ridottesi nella scorsa settimana da 29 a 5 milioni di metri cubi giornalieri a 5 milioni. La dichiarazione di Erdogan sembra indicare che all'origine del taglio delle forniture non vi siano solo problemi tecnici legati alle basse temperature invernali, come hanno sostenuto gli iraniani, anche nell'inverno scorso, dopo un'analoga sospensione, ma che vi siano anche, se non soprattutto, problemi politici.

    Afghanistan
    Un ex comandante taleban "pentito" è stato nominato governatore di Musa Qala, il distretto del sud dell'Afghanistan riconquistato a dicembre dalle forze governative dopo essere stato controllato per mesi dagli insorti integralisti islamici. L'Helmand resta la sola provincia dove le autorità governative ammettono che tre distretti sono tuttora occupati dai taleban, scacciati dal potere in Afghanistan dall'invasione americana del 2001 per aver ospitato e aiutato Osama bin Laden e Al Qaida. Il capoluogo del distretto di Musa Qala aveva acquisito un valore simbolico sia per il governo sia per i taleban, e i combattimenti per riconquistarlo hanno fatto circa 200 morti, fra cui 17 comandanti degli insorti. Dieci mesi fa, in base a un accordo, il distretto era stato affidato dalle forze britanniche a un consiglio tribale. Ma poi i taleban erano riusciti a impossessarsene. Intanto, un soldato della coalizione a guida USA è morto a causa delle ferite subite ieri nell'est dell'Afghanistan nell'esplosione di un ordigno artigianale che già aveva ucciso sul colpo un primo militare. Un terzo militare è rimasto ferito.

    Sri Lanka
    Il ministro dei Lavori pubblici dello Sri Lanka, ferito oggi in un attentato dinamitardo, è morto nell'ospedale dove era stato ricoverato. L'attentato, compiuto con una bomba collocata sul margine della strada, è avvenuto nella cittadina di Ja-Ela, 19 km a nord di Colombo. Quello di oggi è l'ultimo di una serie di attentati contro rappresentanti del governo e delle forze armate negli ultimi mesi. Il 2 gennaio il governo srilankese aveva annunciato ufficialmente che si ritirava dalla tregua stabilita nel febbraio 2002 con i ribelli separatisti delle Tigri per la liberazione dell'Eelam Tamil (LTTE). Il Paese è ripiombato a partire dai primi mesi del 2006 in una sanguinosa guerra civile. L'LTTE si batte da 25 anni per costituire nel nord e nell'est del Paese uno Stato indipendente.

    Scampato a un attentato il presidente delle Maldive
    Il presidente delle Maldive, Maumooon Abdul Gayoon, è scampato oggi a un attentato riuscendo a sottrarsi al suo assalitore. “Il presidente stava salutando la folla quando un giovane uomo brandendo un coltello ha cercato di colpirlo allo stomaco”, ha detto il ministro dell'Informazione, Mohamed Nasheed, parlando al telefono da Malè, capitale dell'arcipelago. Il presidente Gayoon non è rimasto ferito, ha aggiunto la fonte, precisando che l'assalto è stato compiuto nell'isola di Hoarafushi, nel nord dell'arcipelago, formato da più di mille isole. A fine settembre in un attentato, il primo nella storia delle Maldive, attribuito agli islamici, erano stati feriti 12 turisti. Repubblica islamica sunnita laica, le Maldive sono state risparmiate dall'ondata di fondamentalismo religioso diffusosi in questi anni nell'Asia del sud, ma il Paese è guidato con mano di ferro dal presidente Gayoon dal 1978. L'arcipelago corallino, situato nel sud dell'India, conta 300 mila abitanti. È meta di turismo internazionale, prima fonte dell'economia, ed è uno dei Paesi più ricchi dell'Asia del sud.

    Kenya
    L'opposizione non avrà incontri con Mwai Kibaki - il presidente kenyano la cui elezione è contestata - se non nell'ambito di una mediazione internazionale. Lo rende noto un comunicato diffuso stamane, in cui si precisa che il leader, Raila Odinga, non incontrerà “il signor Kibaki” (l'opposizione si rifiuta di chiamare Kibaki “presidente”), ma potrà partecipare ad incontri con lui nel corso della mediazione che il presidente del Ghana e presidente di turno dell'Unione Africana John Kufuor, il cui arrivo è previsto per stasera a Nairobi, dovrebbero avviare. Il presidente eletto aveva invitato il leader dell'opposizione per un incontro su pace e riconciliazione da tenersi venerdì prossimo. Intanto, si viene a sapere che l'"impatto economico delle violenze esplose dopo le elezioni in Kenya su mercato, industria e commercio e sulla valuta potrebbe superare il miliardo di dollari. È quanto ha dichiarato oggi - riferiscono radio e tv - il ministro delle Finanze. In questo computo non sono calcolati i costi delle distruzioni e dei saccheggi avvenuti nel corso delle violenze.
     
    Sudafrica
    Nonostante accuse di corruzione, Jacob Zuma, neopresidente dell'African national congress (ANC), è il candidato del partito per le presidenziali sudafricane che si svolgeranno nel 2009. In una dichiarazione letta alla stampa, il partito afferma infatti che “il presidente dell'ANC condurrà la campagna elettorale del partito come candidato alla presidenza del Sudafrica per le elezioni del 2009”. Il comitato esecutivo dell'ANC, si legge ancora, “reitera il suo sostegno" al presidente dell'organismo, "in questi tempi difficili”. Il testo è stato letto dal segretario generale, Gwede Mantashe, il quale ha anche sottolineato che “l'ANC ha il dovere e l'obbligo di difendere i suoi leaders”. Il 28 dicembre scorso, Zuma è stato accusato di corruzione, frode, riciclaggio di denaro, racket ed evasione fiscale, nel quadro di un'inchiesta tentacolare che coinvolge il gruppo francese di armi Thales. In caso di condanna, Zuma ha promesso che non correrà per le presidenziali. Il processo è fissato per metà agosto.

    Georgia
    È ancora braccio di ferro in Georgia sui risultati delle presidenziali di sabato scorso, che con il 95% delle schede scrutinate confermerebbero al primo turno Mikhail Saakashvili con il 52,1% dei voti, contro il 41% attribuitogli dai conteggi delle opposizioni. Oggi, i leader del Consiglio nazionale dell'opposizione, che comprende nove partiti, ha avuto un'accesa discussione con il presidente della Commissione elettorale, Levan Tarkinishvili, chiedendone le dimissioni. “Le autorità del Paese e la leadership della commissione elettorale stanno falsificando i risultati dell'elezione”, hanno accusato i dirigenti, tra cui Levan Gaceciladze, candidato piazzatosi secondo, come riferisce l'agenzia Itar-Tass. Tarkinishvili ha respinto le accuse definendole “un tentativo di ricattare la leadership della commissione elettorale e di fare pressione sui suoi membri”, e ha invitato chiunque abbia dei reclami o delle denunce a indirizzarle alle competenti autorità. Gaceciladze ha annunciato uno sciopero della fame.

    Corte suprema USA - pena di morte
    La Corte suprema degli Stati Uniti ha avviato un dibattito sulla costituzionalità dell’iniezione letale come metodo per le esecuzioni capitali negli USA. Il pronunciamento dei giudici di Washington dovrà avvenire entro l’estate. Prosegue tuttavia la campagna di sensibilizzazione per l’abolizione della pena di morte negli Stati Uniti. Stefano Leszczynski ne ha parlato con Mario Marazziti, portavoce della Comunità di Sant’Egidio:

    R. - Noi non sappiamo come andrà la valutazione della Corte suprema. Non tocca nessuno dei problemi di fondo della pena di morte. Non dice che la pena di morte è sbagliata, non dice che è legittima, ma toccherebbe solo la modalità di applicazione attraverso l’iniezione letale, che è una modalità apparentemente più pulita, ma che ha dimostrato in molti modi di contenere una dose di tortura. In realtà, c’è una contrazione a livello nazionale del numero di esecuzioni e c’è uno spostamento di opinione pubblica segnata da due fatti: il New Jersey, che ha abolito la pena di morte, e il Maryland, che nei prossimi mesi si unirà al New Jersey nell’abolizione.

     
    D. - Il Papa, parlando al Corpo diplomatico, ha di nuovo sottolineato la preoccupazione per l’ancora alto numero di esecuzioni capitali che avvengono in molti Paesi...

     
    R. - Io credo che la preoccupazione del Papa segni un grande e importante sostegno a questa campagna, e per tutti noi diventa anche l’impegno a lottare per la vita sempre e in tutte le circostanze, dall’inizio alla fine. Quindi, io credo che potrà essere un importante punto di riflessione anche per l’Europa, che paradossalmente arriva ad un maggiore rispetto della vita, riguardo la pena di morte, e magari meno dalla difesa della vita debole al suo inizio.

    Nucleare
    La Cina non ha confermato nè smentito la notizia diffusa da un centro studi americano, secondo la quale l'esercito cinese sarebbe pronto ad intervenire per “mantenere la sicurezza” delle bombe atomiche della Corea del Nord, in caso di “instabilità” nel Paese vicino. “Non ho mai visto i piani di cui parla il centro studi e non ne ho mai sentito parlare”, ha detto la portavoce del Ministero degli esteri cinese, Jiang Yu, in una conferenza stampa a Pechino. Esperti del Centro per gli studi strategici, dell'Istituto per la pace degli USA e dell'Asia Foundation, citando fonti dell'Esercito Popolare di Liberazione cinese, hanno scritto in una rapporto che la Cina è “pronta” ad intervenire in Corea del Nord “se necessario”, preferendo però un'autorizzazione formale e uno stretto coordinamento con le Nazioni Unite”. La Corea del Nord ha condotto nel 2006 l'unico test nucleare della sua storia. Gli esperti occidentali ritengono che potrebbe avere nei suoi arsenali non più di dieci ordigni atomici. Dall'anno scorso, il Paese nordcoreano è impegnato in un programma di progressivo smantellamento di tutte le proprie installazioni nucleari, in cambio di massicci aiuti economici da parte della comunità internazionale. (Panoramica internazionale a cura di Fausta Speranza)

     Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LII no. 8

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