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Sommario del 04/01/2008

Il Papa e la Santa Sede

  • Nella prima visita del 2008, Benedetto XVI incontra le Missionarie della Carità che gestiscono la Casa di accoglienza “Dono di Maria” in Vaticano
  • Il cordoglio del Papa per la settima vittima dell’incendio alla fabbrica torinese Thyssenkrupp
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Intervista al Preposito generale dei Gesuiti padre Peter-Hans Kolvenbach alla vigilia della 35.ma Congregazione della Compagnia di Gesù
  • In Kenya, l'opposizione chiede nuove elezioni. Allarme di Caritas Internationalis: sono almeno 100 mila gli sfollati bisognosi di aiuto
  • Le morti dei senzatetto non sono un dramma "invernale", ma un fenomeno che richiede solidarietà nel lungo periodo. Intervista con Paolo Pezzana
  • Il cardinale di Napoli, Crescenzio Sepe, sull'emergenza-rifiuti in Campania: la Chiesa pronta a collaborare per superare la crisi
  • Chiesa e Società

  • "La paralisi politica spinge all'emigrazione e diffonde la povertà": la denuncia dei vescovi maroniti sulla difficile situazione del Libano
  • Africa Australe: si intensificano le piogge, cresce l'allarme alluvioni e il numero delle vittime
  • Sri Lanka: appello per la pace di due leader cristiani nel giorno in cui il governo annuncia la fine del cessate-il-fuoco con i ribelli
  • Orissa: dopo gli attacchi degli estremisti indù contro i cristiani, i vescovi locali chiedono un'inchiesta federale e il risarcimento dei danni
  • Lettera pastorale del vescovo di Shangai, Jin Luxian, per i 400 anni della fede cattolica nella città cinese
  • A Hong Kong, il cardinale Zen incontra bimbi e giovani immigrati in occasione del Natale
  • Nepal: il Natale e altre tre ricorrenze di diverse minoranze religiose diventano feste nazionali
  • Un Natale di pace e di lontananza per i ventimila cristiani iracheni fuggiti in Siria
  • Un sacerdote caldeo vissuto in Iraq racconta le drammatiche condizioni in cui vivono i cristiani nel Paese
  • Corea del Sud: giubilo della Commissione ecclesiale Giustizia e Pace dopo l'abolizione di fatto della pena di morte
  • "Il diritto dei desideri non risolve i problemi concreti": il rettore della LUMSA commenta il rompicapo giuridico causato in America dall'esplosione dei divorzi omosessuali
  • Settecento partecipanti, provenienti da ogni parte d'Italia, al Convegno romano sulle vocazioni promosso dalla CEI
  • "Un pranzo comunitario non per loro, ma con loro". E' l'evento organizzato nel giorno dell'Epifania dalla diocesi di Vicenza a favore delle persone socialmente escluse
  • Una Messa e un numero speciale per festeggiare i cento anni del settimanale diocesano di Padova "La difesa del popolo"
  • 24 Ore nel Mondo

  • Ancora morti palestinesi nella Striscia di Gaza
  • Il Papa e la Santa Sede



    Nella prima visita del 2008, Benedetto XVI incontra le Missionarie della Carità che gestiscono la Casa di accoglienza “Dono di Maria” in Vaticano

    ◊   E’ Natale ogni volta che “permettiamo a Gesù di amare gli altri attraverso di noi”: Benedetto XVI ha usato le parole di Madre Tersa per sottolineare il valore della Casa “Dono di Maria” in Vaticano, fortemente voluta proprio dalla Beata di Calcutta e da Giovanni Paolo II, vent’anni fa. In questa struttura, dove si sperimenta quotidianamente la carità cristiana, il Papa ha voluto, stamani, compiere la sua prima visita del 2008. Benedetto XVI è stato accolto calorosamente dalle Missionarie della Carità, guidate dalla superiora regionale, suor Maria Pia, e dai poveri assistiti nella Casa “Dono di Maria”. All’entrata della struttura, anche un grande striscione di benvenuto al Papa con una grande foto raffigurante Madre Teresa e l’allora cardinale, Joseph Ratzinger. Il servizio di Alessandro Gisotti:


    Sono qui per dirvi che il Papa vi vuole bene e vi è vicino!

     
    Benedetto XVI ha racchiuso così, in questo pensiero affettuoso, il significato della sua visita alla Casa “Dono di Maria”. Il Papa è stato accolto con una danza di benvenuto indiana dalle novizie delle Missionarie della Carità. Quindi, si è recato nella sala mensa delle donne dove si è soffermato con semplicità a parlare con le persone assistite. E’ stata così la volta del discorso alla comunità del “Dono di Maria”. Una realtà, ha ricordato il Santo Padre, che ha conosciuto bene quando era prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede. La sede del dicastero vaticano, presieduto dall’allora cardinale Ratzinger, è infatti accanto alla Casa affidata alle Missionarie della Carità. Per chiunque venga a bussare alla vostra porta, ha detto il Papa, è “un dono di Maria sentirsi accolto dalle braccia amorevoli delle suore e dei volontari”. È ancora un dono di Maria, ha aggiunto, “la presenza di chi si ferma ad ascoltare le persone in difficoltà”. Parole corredate da espressioni di vivo incoraggiamento:

    “Che questo stile di amore evangelico suggelli e contraddistingua sempre la vostra vocazione perché, oltre all’aiuto materiale, possiate comunicare a quanti quotidianamente incontrate quella stessa passione per Cristo e quel luminoso “sorriso di Dio” che hanno animato l’esistenza di Madre Teresa”.

     
    Papa Benedetto si è quindi soffermato sul Natale vero “mistero di amore”, anzi “il mistero dell’Amore”. Il tempo natalizio, è stata la sua riflessione, “ci mostra l’infinita bontà di Dio che, facendosi Bambino, ha voluto venire incontro alla povertà e alla solitudine degli uomini”:

    “Ha accettato di abitare tra noi condividendo le nostre quotidiane difficoltà; non ha esitato a portare insieme a noi il peso dell’esistenza, con le sue fatiche e le sue preoccupazioni. E’ nato per noi, per restare con noi ed offrire a chiunque gli apre la porta del proprio cuore il dono della sua gioia, della sua pace, del suo amore”.

    “Nascendo in una grotta, perché non c’era posto per Lui altrove - ha detto ancora Benedetto XVI - Gesù ha conosciuto i disagi che molti tra voi sperimentano”:

    “Il Natale ci aiuta a comprendere che Iddio non ci abbandona mai e sempre ci viene incontro, ci protegge e si preoccupa di ciascuno di noi, perché ogni persona, soprattutto la più piccola e indifesa, è preziosa ai suoi occhi di Padre ricco di tenerezza e misericordia”.
     
    Il Papa ha messo l’accento sullo “stile di docile disponibilità, tipico delle figlie spirituali di Madre Teresa di Calcutta”. Dopo il discorso, è salito alla mensa degli uomini per un breve saluto e gli auguri di inizio anno. Quindi, ha visitato alcune donne ammalate ricoverate nella Casa.

     
    (Canti)

     
    Ultimo atto di questa visita, breve ma intensa, il Pontefice l’ha vissuto nella Chiesa di San Salvatore in Ossibus, adiacente la Casa di accoglienza dove è stato accolto dai canti festosi delle Missionarie della Carità e da alcuni religiosi dei due rami maschili della famiglia fondata da Madre Teresa. “Tutti insieme", ha detto il Papa, "voi formate una catena di carità cristiana senza la quale questa Casa, come ogni opera di volontariato, non potrebbe esistere e continuare a servire tante forme di disagio e di bisogno”:

     
    “Il bel nome di questa casa, 'Dono di Maria', ci invita, all’inizio del nuovo anno, a fare instancabilmente dono della nostra vita”.
     
    Di qui, l’invocazione del Papa affinché la Vergine Maria “ci insegni a fare della nostra esistenza un dono quotidiano a Dio Padre”, “testimoniando sempre con gioia l’amore di Gesù specialmente verso gli ultimi e i poveri”.

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    Il cordoglio del Papa per la settima vittima dell’incendio alla fabbrica torinese Thyssenkrupp

    ◊   Un lutto che riaccende “la pena e l’amarezza per l’intera città di Torino”: così, Benedetto XVI esprime il proprio dolore per la morte del 26.enne Giuseppe De Masi, settima vittima del tragico incendio alla fabbrica Thyssenkrupp. In un telegramma indirizzato al cardinale arcivescovo di Torino, Severino Poletto, che ne ha dato lettura ieri durante i funerali del giovane operaio, il Pontefice assicura le sue preghiere per i familiari e l’affettuosa partecipazione a quanti sono stati colpiti dalla morte del ragazzo.

    Durante l’omelia esequiale, in una chiesa del “Santo Volto” gremita di fedeli, il cardinale Poletto ha ribadito la necessità che tutti possano lavorare in sicurezza. “Abbiamo il dovere di pretendere”, ha avvertito l’arcivescovo di Torino, “che il posto di lavoro sia un posto dove chi suda e fatica non debba compromettere né la vita né la salute". (A cura di Alessandro Gisotti)

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   In prima pagina un articolo sulla situazione in Kenya di padre Giuseppe Caramazza, missionario nel Paese.

    Intervista del nostro giornale e di Radio Vaticana al Preposito generale della Compagnia di Gesù, padre Peter-Hans Kolvenbach.

    Intervista a mons. Anthony Fisher, coordinatore della XXIII edizione della Giornata mondiale della gioventù.

    Sul tema del rapporto tra scienza e religione, in cultura, l’anticipazione di ampi stralci dell’articolo del gesuita Seamus Murphy (il testo sarà pubblicato integralmente da “La Civiltà Cattolica” sul prossimo numero). 

    Ernesto D’Avanzo sulle frontiere della robotica.

    Scompariranno i cimiteri?: una riflessione di Oddone Camerana sui rischi di una cultura che ha rimosso la morte.  

    In evidenza, nell’informazione internazionale, la notizia che alla Libia per il mese di gennaio è affidata la presidenza di turno del Consiglio di sicurezza dell’ONU.


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    Oggi in Primo Piano



    Intervista al Preposito generale dei Gesuiti padre Peter-Hans Kolvenbach alla vigilia della 35.ma Congregazione della Compagnia di Gesù

    ◊   E’ tutto pronto per l’apertura, lunedì a Roma con una messa presso la Chiesa del Gesù, della Congregazione Generale della Compagnia di Gesù, la 35.ma dalla fondazione dell’Ordine da parte di Sant’Ignazio di Loyola nel 1540. La concelebrazione, alla quale parteciperà il padre Peter-Hans Kolvenbach, preposito Generale dei Gesuiti, sarà presieduta dal cardinale Franc Rodé, prefetto della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, che pronuncerà l’omelia. Al termine ci sarà la venerazione delle spoglie di Sant’Ignazio di Loyola, conservate sotto l’altare sul lato destro della chiesa e si procederà all’accensione della lampada che rimarrà accesa per tutto il periodo della Congregazione. Altre lampade verranno accese nelle chiese dei Gesuiti in tutto il mondo come testimonianza della preghiera continua per il successo della Congregazione. Il servizio di Roberto Piermarini:

    La Messa sarà aperta a tutti coloro che si vogliono unire ai membri della Congregazione che terrà la sua prima riunione già nel pomeriggio di lunedì prossimo, in forma privata, nell’aula della Casa generalizia di Borgo Santo Spirito. Dopo l’elezione del nuovo Superiore generale – che avverrà solo dopo un’attenta riflessione sulla situazione della Chiesa nel mondo e della Compagnia di Gesù - si darà inizio alla seconda fase per “discernere” le sfide apostoliche che attendono i Gesuiti negli anni a venire. Il numero dei membri della Congregazione è di 226 in quanto il Padre Generale – che l’ha convocata e la presiederà – ne è anch’egli membro e con diritto di voto. Il numero degli elettori non comprende i tre membri ex officio e i cinque membri nominati dal padre generale, perciò il numero di coloro che eleggeranno il nuovo Preposito generale è 218. Padre Peter-Hans Kolvenbach infatti, attuale Preposito generale e 28.mo successore di Sant’Ignazio, che si avvicina agli 80 anni ed è al timone della Compagnia da più di 24 anni, dopo aver sentito l’opinione dei suoi consiglieri e con il beneplacito del Santo Padre, presenterà alla Congregazione generale le sue dimissioni ma rimarrà membro della Congregazione anche dopo l’elezione del suo successore. Fino al Padre Arrupe, i Prepositi dei Gesuiti erano eletti a vita, ma quando il religioso spagnolo negli anni ’80 presentò le dimissioni per l’età avanzata e la malattia, la Compagnia di Gesù optò per un generalato senza limiti di età e di durata, ma con la possibilità di presentare le dimissioni alla Congregazione generale, la sola abilitata ad accettarle, con l’approvazione del Papa e quando le autorità designate dei Gesuiti la giudichino opportuna. Tra l’altro la Santa Sede ha comunicato al padre Kolvenbach, che il 21 febbraio prossimo Benedetto XVI riceverà in udienza tutti i membri di questa 35.ma Congregazione Generale.

    Alla vigilia della 35.ma Congregazione generale, la nostra emittente e “L’Osservatore Romano” hanno intervistato il padre Peter-Hans Kolvenbach. L’intervista è stata curata da Roberto Piermarini:


    D. – Nella precedente Congregazione generale della Compagnia di Gesù svoltasi nel 1995, lei definì una “scintilla” il legame stabilito tra fede e giustizia. Quale potrebbe essere la “scintilla” per la Congregazione che si apre il 7 gennaio?

     
    R. – La “scintilla” della prossima Congregazione sarà necessariamente la scelta del nuovo preposito generale. Scegliendo l’uno o l’altro fra le migliaia di gesuiti capaci di diventarlo, la Compagnia dice ciò che si attende per il suo avvenire: un profeta o un saggio, un innovatore o un moderatore, un contemplativo o un attivo, un uomo di punta o un uomo di unione? In effetti, la Congregazione Generale comincia con una valutazione della sua situazione presente, con un discernimento su ciò che nella Compagnia è luce o piuttosto ombra nel suo servizio alla Chiesa e al mondo. È da questa valutazione che deve scoccare la “scintilla”: ecco il gesuita di cui abbiamo bisogno per progredire sulla via di Dio.

     
    D. – I gesuiti nel mondo si trovano a operare ed evangelizzare in contesti diversi. Qual è il filo conduttore che li lega?

     
    R. – Il gesuita è essenzialmente un uomo in missione. Una missione che egli riceve dal Papa, dai suoi superiori, ma in ultima analisi dal Signore Gesù, egli stesso inviato dal Padre. I gesuiti desiderano continuare questa missione tra gli uomini e le donne del nostro tempo, soprattutto dove c’è maggiore bisogno. Ciò comporta una presenza alle frontiere, che una volta erano piuttosto frontiere geografiche della cristianità; oggi sono piuttosto le frontiere tra Vangelo e cultura, tra fede cristiana e scienza, tra Chiesa e società, tra la “buona notizia” e un mondo turbato e sconvolto. Secondo le esigenze di questa missione vi sarà sempre una incredibile varietà di scelte e di opere apostoliche, ma in tutte si troveranno riunite queste tre responsabilità: annunciare la parola di Dio, condividere la vita di Cristo, testimoniare la carità che lo Spirito sollecita e alimenta. E poi c’è una sorgente comune profonda della nostra spiritualità: questa nasce dagli Esercizi spirituali di sant’Ignazio che ci portano – sia personalmente sia nella formazione spirituale degli altri – a cercare e trovare la volontà di Dio e i segni della sua presenza nelle situazioni concrete e varie della vita e della storia.

     
    D. – Il rapporto fra fede e ragione è uno dei grandi temi di questo pontificato ed è decisivo per il ruolo delle religioni nel mondo moderno. Come affrontano i gesuiti questo nodo?

     
    R. – I gesuiti hanno un campo privilegiato per impegnarsi nella ricerca di questa relazione: le molte università di tutto il mondo, che necessariamente devono confrontarsi con il dialogo fra fede e ragione. In altri tempi la teologia e la filosofia erano considerate come scienze intimamente connesse ai valori umani. Oggi sono piuttosto le scienze positive che si arrogano la trasmissione dei fini e dei valori della vita umana. Senza porre ostacoli al rigore scientifico, un’università di ispirazione cristiana è chiamata alla ricerca della verità nella sua totalità, e quindi a considerare l’alleanza tra le scienze e la fede cristiana. Come diceva Blaise Pascal, “nell’uomo c’è qualcosa che supera infinitamente l’uomo”: per dar senso alla vita umana non si può prescindere da una fede trascendente. Dal Vangelo di Gesù riceviamo una luce e una certa comprensione del mistero che inevitabilmente circonda la nostra esistenza. Fra il mistero e l’assurdo noi optiamo per il mistero: un mistero non può essere dimostrato dalla ragione ma è eminentemente ragionevole. Anche Giovanni Paolo II non accettò mai il principio della divisione e della separazione fra la rivelazione e la ragione. Nell’impegno intellettuale che deve caratterizzare l’università cristiana, i gesuiti del secolo XXI vogliono quindi seguire il cammino tracciato da Benedetto XVI alla ricerca di una fede che illumina e corona gli sforzi della ragione.

     
    D. – Quale futuro vede per l’evangelizzazione della Cina e del mondo asiatico?

     
    R. – A parte l’urgenza missionaria dell’annuncio evangelico a un popolo così numeroso e di cultura così avanzata come la Cina, i gesuiti non possono dimenticare la tradizione della loro presenza in Cina fin dai primi tempi della Compagnia, a cominciare dal sogno di san Francesco Saverio, per continuare con la meravigliosa attività apostolica di Matteo Ricci e dei suoi compagni. Riuscirono a predicare Cristo con il linguaggio della cultura e della mentalità cinese, superando i pregiudizi e i sentimenti di superiorità europei. Questa tradizione ci spinge a non distogliere il nostro sguardo dal mondo cinese. In realtà la Compagnia non ha mai rinunciato al desiderio di servire il popolo cinese nelle sue aspirazioni spirituali, predicando il “maestro supremo” che i cinesi intravvedevano nella nobile figura dei loro filosofi. Perciò, quando nel 1949 i gesuiti furono espulsi dalla Cina, molti di loro rimasero in paesi vicini, aspettando una buona occasione per tornare al loro posto. Non mancarono neppure giovani gesuiti che si recarono in questi paesi limitrofi – Filippine, Taiwan, Hong Kong – e fecero il colossale sforzo di apprendere la lingua cinese sognando il giorno in cui si sarebbero riaperte le porte della Cina. Per la Compagnia di Gesù, a parte una presenza attuale assai modesta, è ancora il tempo dell’attesa. Attesa che gli sforzi della Santa Sede per riprendere le relazioni con la Cina ci permettano di tornare a una missione così legata alla storia della Compagnia.

     
    D. – La Compagnia di Gesù è particolarmente attenta al dialogo tra le religioni. È possibile il dialogo con l’islam?

     
    R. – Perché un dialogo sia possibile è necessario cominciare con un sincero rispetto mutuo che vada al di là della mera cortesia. Senza questo non ci sarà dialogo, ma al più confronto. Un secondo passo ci è stato indicato da Giovanni Paolo II quando parlava del “dialogo della vita”, cioè condividere i desideri e i problemi di ogni comunità umana: i desideri di vivere in pace, nella sicurezza, in un ambiente libero dall’inquinamento. In questa atmosfera di condividere i desideri e cercare i rimedi può avvenire il secondo passo: un dialogo religioso con scambio di esperienze spirituali e di pratiche religiose in cui si ritrovano sentimenti religiosi genuini nonostante le ovvie divergenze. Infine c’è il dialogo religioso fondato negli elementi teologici di ambedue le religioni. Naturalmente questo è riservato ai teologi, che dovrebbero arrestarsi rispettosamente dinanzi a un problema insolubile: la fede dei cristiani nella Santa Trinità non può ridursi alla formulazione di un monoteismo puro come quello professato dall’islam. Quest’ultima difficoltà teologica non dovrebbe però essere un ostacolo al dialogo della vita raccomandato dal Papa, perché tanto i cristiani quanto i musulmani hanno un vero senso religioso della vita e condividono la persuasione che “non di solo pane vive l’uomo”.

     
    D. – Quali ispirazioni ha preso dal suo compianto predecessore padre Pedro Arrupe – di cui a novembre è stato ricordato il centenario della nascita – nel guidare in quest’ultimo quarto di secolo la Compagnia di Gesù?

     
    R. – Da padre Arrupe abbiamo imparato un ritorno alle fonti nella luce del Concilio Vaticano II. Se una famiglia religiosa è un dono dello Spirito, che cosa ha voluto dire il Signore suscitando la Compagnia di Gesù? In un’epoca in cui la Chiesa era travagliata dalla divisione dei cristiani, e rischiava di dimenticare che era stata fondata per annunciare il Vangelo ai popoli, Sant’Ignazio e i suoi compagni sono stati chiamati a continuare la missione di Cristo soprattutto là dove egli non è conosciuto o è poco conosciuto. Dal Vaticano II padre Arrupe attingeva la forza per interrogare tutti i suoi confratelli e tutte le loro attività per sapere se il loro impressionante lavoro era veramente e chiaramente un continuare la missione di Cristo. Una missione che, geograficamente parlando, non è affatto compiuta e che, al contrario, dev’essere ricominciata nei Paesi di tradizione cristiana. Una missione, anche, che si colloca alle frontiere tra fede e cultura moderna, fede e scienza, fede e giustizia sociale, dove bisogna portare la presenza della Chiesa. Per poter compiere questo annuncio del Cristo, il compagno di Gesù deve essere e vivere in funzione di questa missione. Già ai tempi di Sant’Ignazio, ciò richiedeva una rottura con lo stile della vita monastica, e anche oggi esige un’esistenza alimentata dalla contemplazione dei misteri della vita di Cristo proprio mentre compie la sua missione, per conformarvi l’azione missionaria di ogni giorno. Ecco quello che padre Arrupe, come un vero profeta del rinnovamento conciliare, ha cercato di realizzare in una vita che rimane per noi fonte di ispirazione.

     
    D. – Dopo ventiquattro anni lei tornerà ad avere un superiore religioso: è il primo generale dei gesuiti a cui questo avviene, se si eccettua padre Arrupe. Come si prepara a questo cambiamento nella sua vita?

     
    R. – Già san Benedetto sapeva di dover essere in ascolto dei suoi confratelli, perché Dio poteva parlargli attraverso la bocca del monaco più giovane. Dopo quasi venticinque anni di ascolto di circa ventimila gesuiti, l’obbedienza a uno solo dovrebbe essere piuttosto un tempo di pace. Almeno, io spero di non essere per lui un peso da portare o sopportare …

    Della presente intervista, sono disponibili in voce le risposte: 1, 5, 6 e 7.

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    In Kenya, l'opposizione chiede nuove elezioni. Allarme di Caritas Internationalis: sono almeno 100 mila gli sfollati bisognosi di aiuto

    ◊   In Kenya, l’opposizione ha chiesto nuove elezioni presidenziali entro tre mesi. Il Premio Nobel per la pace, l’arcivescovo anglicano, Desmond Tutu, hinoltre a dichiarato - dopo un incontro con il presidente, Mwai Kibaki - che il capo di Stato è disponibile ad accogliere l'idea di un governo di coalizione per superare lo stallo politico e porre fine ai disordini che hanno fatto seguito alle elezioni presidenziali del 27 dicembre. La situazione umanitaria, intanto, continua ad aggravarsi: Caritas internationalis ha reso noto che gli sfollati sono più di 100 mila. Molti si sono barricati nelle Chiese e cominciano anche a scarseggiare i rifornimenti di cibo e acqua. All’appello dei vescovi del Kenya per la pace e la riconciliazione nel Paese si unisce poi la Caritas italiana, che da anni accompagna la Chiesa locale per aiutare la popolazione delle baraccopoli di Nairobi a far fronte alle sfide maggiori: l’epidemia di AIDS e la mancanza di lavoro. Si tratta di piaghe che colpiscono varie zone del Paese e che si aggiungono ad un complesso contesto politico e sociale. Per un profilo storico sul Kenya, che ha conquistato l’indipendenza nel 1963, ascoltiamo al microfono di Fausta Speranza il prof. Giampaolo Novati, docente di Storia moderna e contemporanea dell’Africa, all’Università di Pavia:

    R. - Dopo la morte nel 1978 - 15 anni circa dopo l’indipendenza - del primo presidente del Paese, Kenyatta, è stato eletto Daniel Arap Moi. Si tratta di un personaggio abbastanza oscuro, di poco prestigio e carisma, appartenente ad un gruppo etnico minore. Era considerato una specie di "ago della bilancia" per poter garantire la successione ad una nuova leadership, post ed anti coloniale. Ci si allontanava infatti dal periodo un po’ eroico della lotta per l’indipendenza. Ma durante la presidenza di Arap Moi si è stabilito un rapporto un po’ perverso con una mafia gestita da esponenti dall’etnia maggioritaria dei kikuyu, legata agli affari e ad una speculazione politica molto corrotta. All’interno del gruppo dirigente c’era Kibaki, che ha assunto sempre un ruolo molto importante nel governo: Kibaki è stato a lungo anche vicepresidente. In un certo senso, è considerato il garante del rapporto tra Moi e l’establishment kikuyiu. Tra Moi e Kibaki, alla lunga, c’è stata poi una crisi; Kibaki si è quindi distaccato e, progressivamente, si è proposto come capo dell’opposizione. C’è stato un grande movimento in Kenya, a differenza di altri Paesi: la liberalizzazione o la democratizzazione è avvenuta spesso dall’alto. Nel caso del Kenya, c’è stato quindi un movimento molto importante della società civile, degli intellettuali, della stampa e della Chiesa cattolica, che ha dato un grande appoggio a tutte le forme di contestazione del potere di Moi e di preparazione di una successione che fosse il più possibile partecipata dal basso.

     
    D. - E così, professore, siamo arrivati al 2002, alla prima elezione di Kibaki...

     
    R. - Quando ormai Arap Moi non era più rieleggibile ed era comunque stato totalmente abbandonato dai vecchi sostenitori anche a livello internazionale, ha avuto molto successo nelle elezioni: si è imposto, anche se come sempre nelle elezioni del Kenya, c’era stata qualche contestazione. Kibaki però è caduto negli stessi vizi: vizi di corruzione, di autoritarismo, di poca attenzione nei processi di distribuzione delle ricchezze, di promozione di una certa politica di apertura. Kibaki ha fatto soltanto delle riforme importanti nel campo della sanità e della scuola, generalizzando l’assistenza e la partecipazione scolastica.

     
    D. - Che cosa è successo a conclusione del primo mandato di Kibaki a fine 2007, al momento delle nuove elezioni?

     
    R. - Nel momento della rielezione, la contestazione è diventata più forte e si è delineato un personaggio, Raila Odinga, figlio di Jaramogi Oginga Odinga, vicepresidente del Kenya. Si era anche parlato di una candidatura di Oruru Kenyatta, il figlio del primo presidente, considerato padre della patria. Il contrasto tra Kibaki ed Odinga è degenerato quando l’esito delle elezioni è stato contestato, come sappiamo, in questi giorni. Odinga non è l’ultimo venuto: ha veleggiato nel potere, vicino o ai margini del potere, ed è stato anche ministro in passato. La sua statura politica è stata un po’ ingigantita dalla logica delle elezioni dualistiche: ha fatto propri motivi di opposizione, in parte tribali, contro i kikuyu e quindi ha mobilitato il suo gruppo, i luo, che è il secondo per importanza nel Paese. Ma ha mobilitato anche gruppi minori, un po’ stanchi del predominio del gruppo dirigente kikuyu. Ha inoltre mobilitato i poveri contro i ricchi, forse persino qualche sentimento xenofobico, visto che in Kenya c’è il settore turistico che da molta ricchezza al Paese, o almeno ad alcuni gruppi che controllano il turismo internazionale. Ma agli occhi di altri ha un effetto un po’ negativo, devastante per la tradizione, per gli equilibri. Quindi, ha costituito un’opposizione relativamente variegata.

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    Le morti dei senzatetto non sono un dramma "invernale", ma un fenomeno che richiede solidarietà nel lungo periodo. Intervista con Paolo Pezzana

    ◊   Sono due i barboni morti per il freddo nei giorni scorsi a Roma e in Italia si torna a parlare di emergenza senza tetto. Gli ultimi dati, del 2000, ritraggono una realtà di quasi 18 mila persone ma sottostimano il fenomeno. Le associazioni di volontariato riunite nella Federazione italiana degli organismi per le persone senza fissa dimora (FIOPSD) denunciano la mancanza di politiche giuste e lanciano un appello allo Stato, che nell’ultima Finanziaria ha inserito un disegno di legge per un Fondo nazionale contro le povertà estreme. Linda Giannattasio ha chiesto a Paolo Pezzana, presidente della FIOPSD, qual è lo stato del fenomeno oggi in Italia:


    R. - E’ purtroppo la situazione di sempre: un numero imprecisato di persone - perché in Italia non conosciamo neppure i numeri di questo fenomeno - sono abbandonati alla strada. Una condizione di solitudine relazionale, anzitutto ma poi anche esistenziale, di difficoltà a soddisfare i bisogni primari ogni giorno che molto spesso, non solo di inverno, porta alla morte. Una sorta di pena di morte silenziosa, strisciante, che viene a colpire le persone che dalla nostra società sono giudicate probabilmente non idonee a sopravvivere ai ritmi della competizione sempre più frenetica che questo modello sociale ci impone. Gli ultimi numeri in Italia parlavano di 17 mila persone, sicuramente un dato sottostimato, e su questo il governo sta finalmente avviando un percorso di ricerca serio.

     
    D. - Come FIOPSD, avete lanciato un appello alle istituzioni. A che punto è il disegno di legge che istituisce il fondo nazionale per le povertà estreme?

     
    R. - Questo disegno di legge non è stato approvato insieme alla Legge finanziaria e noi auspichiamo che questa approvazione avvenga al più presto perché, sebbene la somma stanziata sia assolutamente esigua - 10 milioni che non sono pochi, ma sono assolutamente insufficienti per far fronte al fenomeno di cui stiamo parlando – è un primo atto concreto che permetterebbe di attivare nuovi importanti servizi di accompagnamento per le persone senza dimora. Perché di questo le persone hanno soprattutto bisogno: servizi che siano in grado di offrire loro "relazioni" calde, prima ancora che i generi di prima necessità, e poi accompagnamento in un percorso graduale, a volte anche lungo, di reinclusione sociale.

     
    D. - Come si può fare perché le misure a favore dei senza tetto non si traducano in semplice assistenzialismo durante l’inverno, ma affrontino il problema nel lungo periodo?

     
    R. - Bisogna superare l’approccio emergenziale, cioè ragionare secondo una logica di progettualità: pensare di poter offrire, attraverso dei servizi professionali - anche volontari ma dotati comunque di competenze - a ciascuna persona, un percorso individualizzato. Non bisogna dimenticare che le persone senza dimora sono anzitutto persone, quindi noi chiediamo che la società, a tutti i suoi livelli, si assuma le proprie responsabilità nei confronti di questo fenomeno che non è un fenomeno distante da noi, ma è un riflesso di quello che ciascuno di noi, in questa società, potrebbe da un momento all’altro diventare.

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    Il cardinale di Napoli, Crescenzio Sepe, sull'emergenza-rifiuti in Campania: la Chiesa pronta a collaborare per superare la crisi

    ◊   Il governo italiano “prenderà l’iniziativa” per “sbloccare la situazione” dell’emergenza rifiuti che è tornata a infiammare gli animi in Campania. Lo ha affermato questa mattina il presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano. Da parte sua, il governo ha fatto sapere di voler “isolare gli estremisti” che in questi giorni si sono opposti - con manifestazioni a oltranza e sit-in - alle “azioni ineludibili e necessarie - si legge in un comunicato di Palazzo Chigi - che sono state intraprese sul fronte dei rifiuti". Accese proteste si sono registrate oggi nella zona di Pianura, dove le autorità intendono aprire un’area di stoccaggio. Il cardinale arcivescovo di Napoli, Crescenzio Sepe, è intervenuto sulla vicenda dai nostri microfoni, assicurando la collaborazione della Chiesa per il superamento della crisi. Ascoltiamo il porporato al microfono di Luca Collodi:


    R. - Purtroppo, è un problema non risolto ormai da tanti anni, che si è andato acutizzando sempre di più e che oggi è arrivato ad una forma di protesta che è anche molto pericolosa. Lo stesso fatto che si incendino i rifiuti, che sprigionano delle nubi tossiche, fa capire fino a che punto si sia esacerbati di fronte ad un problema di cui ancora non si vede una soluzione, non solo all’emergenza, ma anche una soluzione di fondo che possa far prevedere domani qualcosa che sia definitivo.

     
    D. - Eminenza, si può dire che la Chiesa napoletana è disposta, per così dire, con uomini e mezzi, a collaborare perché l’emergenza possa in qualche modo terminare?

     
    R. - Sì. Questo l’abbiamo sempre detto. Noi abbiamo ribadito che c’è la disponibilità di tutta una parte di volontariato, ci sono le parrocchie dove i parroci conoscono bene la situazione particolare... In altre parole, tutto quello che la Chiesa può fare, lo mette a disposizione di chi è competente, di chi ha l’incarico di risolvere il problema. Più di questo, non possiamo fare, se non cercare - appunto - di trovare una modalità per cui ci si coinvolge tutti nella soluzione del problema.

     
    D. - La Caritas napoletana ha iniziative in cantiere, al riguardo?

     
    R. - La Caritas sta cercando di allertare un po’ i propri membri, perché diano il loro contributo fattivo, pratico, concreto alla situazione nelle varie aree. Perché una cosa è la città in quanto tale, altra cosa sono le situazioni che si sono create nelle varie periferie. Allora, proprio perché c’è una presenza territoriale, allora lì è anche più facile poter risolvere il problema locale con le migliori disposizioni.

     
    D. - E' possibile che la speranza in un futuro migliore, che nella cultura napoletana è un elemento importante, sia stata veramente sommersa dai rifiuti a Napoli?

     
    R. - Non credo. E' vero che adesso siamo un po' tutti sommersi da questi rifiuti, ma è altrettanto vero che ci sono delle energie, delle capacità, delle possibilità. Noi come Chiesa vogliamo essere un punto di riferimento per dire: non arrendiamoci ma cerchiamo di risolvere il problema con le nostre capacità.

     
    D. - La gente è esasperata e questo stato d'animo sembra allontanarla ancora di più la gente dalla politica ...

     
    R. - La gente non vede risolti i problemi e quindi va contro chi non li risolve. D'altra parte, appunto, noi cerchiamo di dire a tutti di non scoraggiarsi, di tentare con tutti i mezzi possibili, di fare tutti gli sforzi a disposizione per non abdicare alla speranza.

     
    D. - Napoli ce la può e ce la deve fare ...

     
    R. - Assolutamente! Napoli ce la può fare se tutti ci rimbocchiamo le maniche e cerchiamo di dare il nostro contributo.

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    Chiesa e Società



    "La paralisi politica spinge all'emigrazione e diffonde la povertà": la denuncia dei vescovi maroniti sulla difficile situazione del Libano

    ◊   In Libano si respira “un clima politico di odio”. Questa la denuncia dell’Assemblea nazionale dei vescovi maroniti, preoccupati per il continuo rinvio delle elezioni presidenziali a causa del braccio di ferro fra il governo filo-occidentale e l’opposizione filo-siriana. In un comunicato diffuso ieri dopo l’Assemblea, tenuta a Bkerke sotto la presidenza del patriarca Nasrallah Sfeir, i vescovi fanno notare che la situazione spinge molti libanesi “a lasciare il loro Paese per andare verso luoghi dove potranno lavorare ed esercitare i loro talenti in un clima di tranquillità”. Tutto questo, affermano i vescovi e riporta l’agenzia AsiaNews, rappresenta “un impoverimento del Paese”. I prelati ricordano che un simile vuoto di potere non si è mai avuto nella storia della repubblica e riflette “l’ampiezza del disaccordo fra i membri della classe politica, in cui alcuni cercano i propri interessi personali, prima di quelli del Paese”. Nelle scorse settimane a ostacolare il raggiungimento di un accordo tra i vari schieramenti è stata l’opposizione guidata dagli Hezbollah, che ha chiesto di poter avere nel governo di unità nazionale il diritto di veto e almeno undici ministeri. La comunità internazionale accusa la Siria di fare pressioni sugli Hezbollah per distruggere l’accordo politico; gli Hezbollah, da parte loro, accusano il governo di essere alle dipendenze degli Stati Uniti. I vescovi maroniti puntano il dito verso “coloro che in modo deliberato impediscono i progetti di regolamentazione, siano essi Stati o persone, responsabili libanesi o stranieri” e fanno notare che lo stallo in cui versa la nazione sta diffondendo la povertà: “La paralisi che segna le attività dei diversi settori economici e il caro-vita che l’accompagna pesano soprattutto sulle fasce dei bisognosi e mostrano in modo visibile lo stato di degradazione di cui siamo testimoni”. (S.G.)

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    Africa Australe: si intensificano le piogge, cresce l'allarme alluvioni e il numero delle vittime

    ◊   Si aggrava il bilancio di vittime, sfollati e danni causati nell’Africa australe dalla stagione delle piogge. Le zone più colpite – informa l’agenzia Misna – sono le aree di confine tra Zimbabwe, Zambia e Mozambico. Secondo gli ultimi dati, nelle ultime 48 ore il numero dei morti è salito a 21 nello Zimbabwe e soprattutto nella centrale provincia del Mashonaland. Migliaia di baracche e abitazioni di fortuna sono state spazzate via anche dall’insediamento di Epworth, una quarantina di chilometri dalla capitale Harare. Difficile anche la situazione nella città di Chipinge, al confine col Mozambico, dove un numero elevato ma imprecisato di persone si trova bloccato su piccoli isolotti circondati dalle acque in piena. Un unico elicottero dell’aviazione nazionale sta effettuando un servizio di navetta per trarle in salvo. Condizioni critiche anche in Zambia, dove al momento si ha notizia di una sola vittima nel sud. Qui il fiume Magoye ha rotto gli argini, sommergendo centinaia di abitazioni e numerosi campi e terreni agricoli. Circa cinquemila persone al momento risultano sfollate, ma il maltempo ha distrutto almeno tre ponti nella zona oltre ad avere completamente isolato gli abitanti dei villaggi che sorgono vicino alla diga Kariba, il più grande lago artificiale del pianeta. In Mozambico il governo ha già decretato la massima allerta nelle valli delle province orientali in cui scorrono i principali fiumi del paese e attivato il Centro nazionale di prevenzione dei disastri, secondo le cui stime già 55 mila persone sarebbero state colpite, a vario titolo, dal maltempo. (S.G.)

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    Sri Lanka: appello per la pace di due leader cristiani nel giorno in cui il governo annuncia la fine del cessate-il-fuoco con i ribelli

    ◊   I leader cristiani dello Sri Lanka invitano il governo a rinnovare lo sforzo per raggiungere una pace duratura attraverso negoziati e mettere fine così alla cultura della violenza che ormai dilaga in tutto il Paese. A riportarlo l'agenzia AsiaNews. In due distinti messaggi di cordoglio e condanna per l’omicidio del parlamentare tamil, T. Maheswaran, e per le vittime della bomba del 2 gennaio nella capitale, mons. Oswald Gomis, arcivescovo di Colombo, e il vescovo della Chiesa anglicana in Sri Lanka, Duleep De Chickera, ricordano ai politici le “loro responsabilità e doveri”: raggiungere una soluzione negoziata del conflitto civile. L’appello dei due presuli arriva mentre il governo annuncia l’intenzione di interrompere formalmente l’applicazione del cessate-il-fuoco siglato nel 2002 con i ribelli delle Tigri tamil (Ltte). Di fatto entrambe le parti non rispettavano più l’accordo da oltre un anno. Dall'inizio del 2007 esercito e separatisti tamil sono impegnati in una nuova fase della ventennale guerra civile, che dal 1983 ha ucciso circa 70 mila persone.  “Mentre assistiamo a omicidi quotidiani, rapimenti e altre forme di crimini sociali – denuncia  mons. Gomis – l’intero processo della democrazia è in via di erosione. Per questo chiediamo con urgenza a tutte le parti coinvolte di trovare immediatamente una soluzione duratura alla crisi”. “Non possiamo seminare odio – avverte il vescovo De Chickera – e aspettarci un raccolto di pace; la promozione e la giustificazione della guerra con la promessa di una pace illusoria è immorale e controproducente”. (S.G.)

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    Orissa: dopo gli attacchi degli estremisti indù contro i cristiani, i vescovi locali chiedono un'inchiesta federale e il risarcimento dei danni

    ◊   I vescovi indiani hanno richiesto un’indagine federale sulle violenze contro i cristiani che sono costate la vita a cinque persone nello Stato di Orissa, e un risarcimento per i danni subiti. Danni per 28 milioni di rupie a causa dei conventi sacchieggiati, delle chiese dissacrate, dei veicoli bruciati. Durante una conferenza stampa i presuli hanno ricordato la dinamica delle aggressioni cominciate la notte della Vigilia di Natale quando un gruppo di estremisti indù ha attaccato una scena della Natività allestita dai cristiani a Bamunigam. La violenza è dilagata in un numerosi villaggi nei tre giorni successivi e “la polizia locale – questa la denuncia dei vescovi – non è stata in grado di affrontare la situazione”. L’arcivescovo di Delhi, mons. Vincent Michael Concessao, ha affermato inoltre che l’amministrazione statale ha trasmesso informazioni fuorvianti sull’accaduto facendo credere che tutto fosse “sotto controllo” e non agendo “in modo responsabile”. L’arcivescovo di Cuttack-Bhubaneswar, mons. Raphael Cheenath – informa l’Osservatore Romano – ha parlato di “attacco programmato” respingendo con forza l’ipotesi secondo la quale i cristiani avrebbero innescato gli scontri assalendo per primi un predicatore indù. I fondamentalisti hanno invece attaccato, ha ricordato, con armi in grado di provocare una distruzione di massa. Intanto l’arcivescovo di Ranchi, il cardinale Placidus Telesphore Toppo, ha indetto una settimana di preghiera nazionale per la pace a Orissa. (S.G.)

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    Lettera pastorale del vescovo di Shangai, Jin Luxian, per i 400 anni della fede cattolica nella città cinese

    ◊   Con una lettera pastorale natalizia, il vescovo di Shangai mons. Aloysius Jin Luxian ha dato inizio alle celebrazioni per i 400 anni della fede cattolica nella città cinese. La lettera inizia con alcuni dati sulla storia del cattolicesimo a Shanghai, nato dalla conversione e dal battesimo di Paolo Xu Guangqi, un mandarino di Shanghai a servizio dell’imperatore a Pechino e amico del gesuita Matteo Ricci. Mons. Jin Luxian ricorda un altro gesuita italiano, p. Francesco Brancati, che nel 1639 ha battezzato altre 2300 persone, sepolto nel cimitero cattolico di Shanghai. Il vescovo chiede ai fedeli di “non dimenticare i missionari” perché essi hanno dato un grande contributo alla cultura cinese nell’arte, la scienza, l’astronomia, la medicina. Grazie ai Gesuiti e ad altri missionari, Shanghai godette di molte scuole avanzate, università, biblioteca, galleria d’arte, osservatorio astronomico e meteorologico e ospedali. Nella seconda parte della lettera, il vescovo dà alcune linee programmatiche per rendere più viva l’evangelizzazione della diocesi. “Un'evangelizzazione, ha detto, che deve superare la riduzione sacramentalista o puramente caritativa". Infine, mons. Jin parla della Lettera del papa ai fedeli della Chiesa in Cina e della Giornata di preghiera che Benedetto XVI suggerisce di tenere in tutto il mondo il 24 maggio di ogni anno, festa di Maria ausiliatrice e festa della Madonna di Sheshan, che si trova a circa 30 km a sud-est di Shangai. Il vescovo prevede che quest’anno, a causa dell’indicazione del pontefice, vi saranno decine di migliaia di pellegrini al santuario, provenienti da tutta la Cina e anche dall’estero. Ciò implica un maggior impegno da parte dei fedeli nell’accoglienza e nell’ospitalità. Il presule ricorda che fu mons. Celso Costantini, primo delegato vaticano in Cina, a consacrare il Paese a Nostra Signora di Sheshan nel 1924, dopo il primo sinodo dei vescovi cattolici, tenuto proprio a Shanghai. (R.P.)

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    A Hong Kong, il cardinale Zen incontra bimbi e giovani immigrati in occasione del Natale

    ◊   “Christmas Party” ad Hong Kong. Lo hanno organizzato, per un centinaio di bambini immigrati dalla Cina continentale, le suore Missionarie della Carità. Ospite d’onore, il cardinale Joseph Zen Ze-Kiun, vescovo della città e amico di vecchia data delle religiose. Per il loro istituto, infatti, ha celebrato quotidianamente la Messa per cinque anni. Missione delle suore è accogliere i ragazzi immigrati e ormai residenti nell’ex colonia britannica offrendo loro l’aiuto di cui hanno bisogno, spesso un alloggio. Per molti bambini l’opera delle religiose – informa l’Osservatore Romano – rappresenta l’unico sostegno. Sono i bambini che hanno i genitori lontani, sul continente. Nel clima familiare del Christmas Party i ragazzi hanno ricevuto dei doni da alcuni benefattori e hanno incontrato, ognuno personalmente, il cardinale Zen che ha promesso loro di tornare presto in visita. (S.G.)

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    Nepal: il Natale e altre tre ricorrenze di diverse minoranze religiose diventano feste nazionali

    ◊   Per la prima volta, il governo nepalese ha approvato quattro feste delle minoranze religiose o etniche, tra cui il Natale. La nuova legge, votata pochi giorni fa, ha riconosciuto, oltre alla festività cristiana, una ricorrenza islamica, il Lhosar (“nuovo anno”) nepalese degli Janajati e di vari gruppi etnici e la festa della gente Madhesi chiamata Chhad. Le minoranze hanno sollecitato questo provvedimento sin da quando il Nepal è stato dichiarato un Paese secolare: prima era una monarchia induista che riconosceva solo le celebrazioni indù (unica eccezione la ricorrenza della nascita di Buddha). Grande soddisfazione tra le diverse comunità interessate dalla legge. Hasina Khan, segretario della Federazione nepalese donne islamiche, contattata dall’agenzia AsaNews, ha commentato così la decisione del governo: “anche se un giorno non è sufficiente per le nostre feste annuali, siamo felici almeno per questo primo riconoscimento.” Più critico il presidente della Federazione Janajati del Nepal, che si è detto “felice per la festa Lhosar, ma quasi tutte le nostre altre richieste sono rimaste inascoltate”. La monaca buddista Ananda, che siede in parlamento, ha commentato: “In ogni caso, con questa decisione il Paese sembra spostarsi da un dominio indù e prendere in considerazione l’intera Nazione”. (S.G.)

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    Un Natale di pace e di lontananza per i ventimila cristiani iracheni fuggiti in Siria

    ◊   Per decine di migliaia di cristiani iracheni profughi in Siria, questo è stato il primo Natale lontano dalla loro terra. Pur avendo perso tutto o quasi in Iraq, racconta l’agenzia AsiaNews, non c’è disperazione nei loro occhi: anche se poveri e con nessuna certezza, finalmente qui si sentono “liberi”. Questo è stato anche il primo Natale “finalmente in pace”, senza bombe o attentati. La notte del 24 dicembre almeno 1500 rifugiati iracheni affollavano le navate della piccola parrocchia caldea di Santa Teresa a Damasco. Secondo le stime dell’Alto Commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr), dal 2003 la Siria ha accolto 1,4 milioni di iracheni. Di questi l’80 per cento vive a Damasco. I cristiani sono circa 20mila e i caldei il gruppo più consistente. Stando a dati dell’arcidiocesi caldea di Aleppo, nella capitale e nei villaggi limitrofi si concentrano circa settemila famiglie. La maggior parte è partita in fretta, spesso dopo l’ultimatum di una delle tante “milizie islamiche” che ai cristiani intimano “conversione o morte” con l’intenzione di appropriarsi di ogni loro avere. Chi arriva in Siria, musulmano o cristiano che sia, riesce a portare con sé solo i documenti che provano le cause della sua partenza: certificati di morte di qualche parente stretto ucciso in un attentato; lettere minatorie che parlano di “infedeli da eliminare”; la denuncia di un’attività commerciale distrutta e saccheggiata. Ma “c’è una cosa sola che nessuno può toglierci - spiega Jan, diacono e direttore del coro di Santa Teresa, tra i pionieri dell’emigrazione irachena a Damasco – la fede: questa è la nostra forza e la nostra speranza”. (S.G.)

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    Un sacerdote caldeo vissuto in Iraq racconta le drammatiche condizioni in cui vivono i cristiani nel Paese

    ◊   “La cristianità in Iraq è emigrazione, una persecuzione all’interno del Paese che ci fa sentire stranieri a casa nostra. In quasi 40 anni più di quattromila villaggi cristiani sono stati cancellati e da tre anni a questa parte più di venti chiese nel Paese sono state distrutte o costrette a chiudere”. Lo sostiene padre Douglas Dawood in un’intervista rilasciata al sito dell’ufficio pastorale migranti della arcidiocesi di Torino. Padre Dawood, collaboratore della parrocchia di san Vincenzo Ferreri di Moncalieri, è il primo sacerdote di rito caldeo a prestare la sua opera in modo continuativo in una diocesi di rito latino, grazie ad un progetto di accoglienza della stessa arcidiocesi torinese che vanta diverse iniziative a sostegno del clero caldeo iracheno. In Iraq, nel novembre 2006 fu rapito e rilasciato dopo 9 giorni e oggi racconta: “Molti cristiani laggiù sono dovuti fuggire all’estero e molti che non hanno potuto lasciare Baghdad sono stati costretti ad abbandonare le proprie case e trasferirsi in quartieri più sicuri perdendo dimora, lavoro, ricordi. Per adesso la zona più sicura è la regione del Kurdistan dove numerosi cristiani si sono trasferiti per sfuggire alle violenze. Là, grazie all’aiuto del ministro delle Finanze, il cristiano Sarkis Aghajan, sono stati costruiti più di mille villaggi, oltre a strade, chiese, ambulatori, scuole. Certo non tutto è perfetto, ma affrontare il problema di decine di migliaia di sfollati senza casa, lavoro e soldi non è facile. D’altra parte molte di quelle persone sarebbero morte se non avessero avuto la possibilità di trasferirsi nel nord e di avere aiuto”. (S.G.)

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    Corea del Sud: giubilo della Commissione ecclesiale Giustizia e Pace dopo l'abolizione di fatto della pena di morte

    ◊   Erano duecento gli attivisti per i diritti umani scesi in piazza a Seoul per celebrare l’entrata della Corea del Sud nella schiera di Paesi che hanno abolito di fatto la pena di morte. Oltre a questo, la manifestazione è servita a chiedere al governo l’abolizione ufficiale della pena capitale. Il 10 dicembre scorso, la Corea del Sud ha tagliato il traguardo di 10 anni dall’ultima esecuzione, divenendo un Paese abolizionista ‘di fatto’, secondo la definizione di Amnesty International. “La Corea del Sud – ha detto mons. Boniface Choi Ki-san, vescovo di Incheon e presidente della Commissione Giustizia e Pace della Conferenza Episcopale Coreana - è diventata il 134.mo Paese ad abolire la pena di morte di fatto o per legge. Questo dimostra che la nostra Nazione ha avuto uno sviluppo nei diritti umani”. Il presule, tra i principali organizzatori della manifestazione, ha sottolineato come tuttavia la legge che ammette la pena di morte “sia ancora in vigore, mentre il progetto di legge sull’abolizione è rimasto in sospeso”. La proposta, che dovrebbe sostituire la pena capitale con l’ergastolo senza libertà vigilata, è in fase di stallo dal novembre 2004, data in cui 175 legislatori l’hanno presentata all’Assemblea Nazionale. Il documento è ancora al vaglio delle Commissioni Legislativa e Giudiziaria, che devono discuterlo ed approvarlo in ogni suo punto, prima di sottoporlo al voto dell’Assemblea riunita in sessione plenaria. Durante la manifestazione degli attivisti, il reverendo Kwon Oh-sung, segretario del Consiglio Nazionale delle Chiese Coreane, ha ribadito che “la vita umana, dono di Dio, deve essere protetta in ogni circostanza: nessun uomo e nessuna legge può strapparla via”. Al termine della manifestazione, sono state liberate 64 colombe, simbolo di 64 detenuti nel braccio della morte. Il giorno seguente, il presidente ancora in carica Roh Moo-hyun ha commutato la sentenza di sei condannati a morte, nel carcere a vita. (S.G - I.P.)

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    "Il diritto dei desideri non risolve i problemi concreti": il rettore della LUMSA commenta il rompicapo giuridico causato in America dall'esplosione dei divorzi omosessuali

    ◊   “Il matrimonio ha una sua unicità e tipicità che non può essere piegata dal legislatore fino al punto di cedere ad un una sorta di ‘diritto dei desideri’ che rischia di girare a vuoto, perché non risolve i problemi concreti”. Giuseppe Dalla Torre, rettore della Lumsa, commenta in questi termini all’agenzia Sir l’esplosione dei divorzi tra gay in Usa, che oltreoceano si sta rivelando un vero e proprio “rompicapo” giuridico, con avvocati alle prese con la questioni delicate come l’affidamento dei figli, gli alimenti o problemi fiscali e sanitari tipici dei casi di separazione. “Le leggi, anche in altri settori, sono calibrate sulla famiglia – spiega il giurista – e le difficoltà che nascono in caso di una unione omosessuale non possono essere ottimisticamente superate solo con riforme legislative a cascata, perché nascono dal fatto che la famiglia, il matrimonio di per sé sono un ‘unicum’, cioè una formazione sociale del tutto tipica, a cui il legislatore può arrivare ad adeguarsi solo fino ad un certo punto”. L’attribuzione dei figli, ad esempio, nel contesto di una coppia gay per Dalla Torre “è un problema irrisolvibile”. L’ “unicità” e la “tipicità” della famiglia fondata sul matrimonio in Italia hanno “radici costituzionali, ma la famiglia ha anche una struttura naturale che non è modificabile dal diritto positivo. E’ impossibile, da parte del legislatore, rincorrere i volubili desideri della gente”. (S.G.)

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    Settecento partecipanti, provenienti da ogni parte d'Italia, al Convegno romano sulle vocazioni promosso dalla CEI

    ◊   “Riflettere sulla vocazione oggi significa superare un diffuso pragmatismo che porta a dimenticare la vita teologale in noi”: lo ha sottolineato ieri mons. Italo Castellani, presidente del Centro Nazionale Vocazioni, aprendo a Roma, presso la “Domus Mariae”, il convegno “L’annuncio e la proposta vocazionale nella Chiesa missione. Come?”. I partecipanti all'evento, organizzato promosso dalla CEI e dal CNV, sono 680, provenienti da tutte le diocesi italiane e in rappresentanza di decine di istituti e congregazioni religiose maschili e femminili. In vista della 45.ma Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni, che verrà celebrata il 13 aprile 2008 – racconta l’agenzia Sir – è stato issato all’inizio dell’incontro un grande manifesto con lo slogan “Corro per la via del tuo Amore”. Il nuovo direttore del CNV, don Nico Dal Molin ha ricordato che “la sfida comune oggi per tutti gli educatori e animatori vocazionali è di ‘mettersi accanto’ ai giovani che ci sono affidati, in una compagnia capace di amicizia discreta e solidale”. “Coi giovani – ha aggiunto – occorre essere disposti ad un amore ‘in perdita’, senza attendersi un ritorno immediato e concreto”. Delle esigenze e delle aspettative dei ragazzi di oggi ha parlato anche mons. Domenico Sigalini, vescovo di Palestrina, ricordando che “per la maggioranza dei giovani la difficoltà più grossa per la partecipazione alla vita cristiana è la timidezza nel sostenere la propria visione della vita, i gesti che si fanno di fronte agli amici”. “Per questo – ha proposto – occorre offrire tirocini di coraggio, di capacità di esserci”. (S.G.)

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    "Un pranzo comunitario non per loro, ma con loro". E' l'evento organizzato nel giorno dell'Epifania dalla diocesi di Vicenza a favore delle persone socialmente escluse

    ◊   Cinquecento “persone socialmente escluse”, assistite dai servizi pubblici civili e da istituzioni come il San Faustino, il Mezzanino, l’Albergo cittadino, la Casa San Martino e altre. Saranno gli ospiti speciali del vescovo di Vicenza, Cesare Nosiglia, domenica prossima, 6 gennaio, solennità dell’Epifania. L’appuntamento – che si rinnova per la quarta volta – è per mezzogiorno nel salone dell’Episcopio. Qui verrà consumato un pranzo comunitario non “per” le persone che vivono in stato di esclusione sociale e che sono costrette a ricorrere ai servizi del Comune, dell’Assessorato agli interventi sociali e delle varie istituzioni, ma “con” loro, i privilegiati del Regno dei Cieli. L’iniziativa - informa l’agenzia Sir - in continuità con quella dell’anno scorso dedicata alle famiglie in stato di disagio, è stata voluta dal vescovo e gode del pieno appoggio della Caritas diocesana. Mons. Nosiglia invita a casa sua per la Befana non solo i poveri, ma anche i volontari che quotidianamente vivono accanto a chi soffre. Il pranzo, che permetterà al vescovo di incontrare alcune persone già conosciute nella sua recentissima visita pastorale alle parrocchie della città, sarà rallegrato da uno spettacolo offerto da alcuni funamboli; non mancherà la tradizionale tombola conclusiva. (S.G.)

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    Una Messa e un numero speciale per festeggiare i cento anni del settimanale diocesano di Padova "La difesa del popolo"

    ◊   Una messa di ringraziamento, in cattedrale, presieduta dal vescovo, Antonio Mattiazzo, e un numero speciale in edicola. È il modo in cui la diocesi di Padova festeggia i cento anni del suo settimanale, “La difesa del popolo”, diretto da don Cesare Contarini. Le offerte raccolte durante la messa – si legge in una nota diffusa dall’agenzia Sir – verranno destinate a “Radio Songo”, un’iniziativa della diocesi di M’Baiki, nella Repubblica Centraficana, retta dal vescovo comboniano Guerrino Perin. Il “numero del centenario”, avrà tutte le pagine a colori: un numero da collezione, che recupererà sprazzi e personaggi di storia ma guarderà anche al suo “secondo secolo” di vita. “Comunicare con tutti, in particolare con gli strati più deboli della società” e “rafforzare il pensiero cattolico e i valori della fede”, in un’epoca di forti tensioni sociali e del temuto avanzare del comunismo da parte della Chiesa: questi gli intenti originari del settimanale padovano, nato il 5 gennaio 1908 per volere del vescovo di Padova, Luigi Pellizzo. Tra le iniziative per il 2008, la celebrazione ufficiale cittadina del centenario (il 10 aprile all’Università di Padova) e il convegno della Fisc (Federazione italiana settimanali cattolici), dal 10 al 12 aprile. (S.G.)

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    24 Ore nel Mondo



    Ancora morti palestinesi nella Striscia di Gaza

    ◊   Due palestinesi, membri del braccio armato di Hamas, uccisi all'alba in seguito ad un raid aereo israeliano sulla Striscia di Gaza, sotto i tiri dell'aviazione israeliana nella località di Beit Hanun. Intanto, dal premier palestinese Fayyad giunge una severa condanna dei raid dell'esercito israeliano in Cisgiordania: sono partite mercoledì scorso le operazioni - tuttora in corso - dell'esercito israeliano per catturare ricercati palestinesi a Nablus. Il tutto a pochi giorni dalla visita del presidente USA, Bush, nella regione. Bush si incontrerà col premier israeliano Olmert e col presidente palestinese Abu Mazen. Lo stesso Bush ha dichiarato che, tra gli obiettivi della visita, oltre al rilancio del processo di pace israelo-palestinese, c’è quello di discutere con i leader della regione i significati strategici della presenza americana davanti all'aggressività iraniana.

    Iraq: nuovo round di colloqui USA-Iran-Iraq a Baghdad
    Gli Stati Uniti sono in contatto con il governo iracheno per fissare una data per il nuovo round di colloqui con l'Iran dedicati all'Iraq: è quanto rende noto l'ambasciatore americano a Baghdad, Ryan Crocker. Inizialmente prevista per metà dicembre, la nuova tornata di colloqui tra Stati Uniti, Iran e Iraq dedicati alla situazione irachena sono stati rinviati “per questioni tecniche”. Secondo quanto avevano allora reso noto fonti iraniane, si tratterà di un incontro tecnico, un seguito dell'ultimo incontro di esperti della sicurezza, non a livello di ambasciatori ma di vice capi missione e di esperti di sicurezza. Iran e Stati Uniti hanno già tenuto nel 2007 tre sessioni di colloqui dedicati all'Iraq: due a livello di ambasciatori a Baghdad e uno a livello di esperti.
     
    Emergenza alimentare in Afghanistan
    Il governo dell’Afghanistan ha invitato le Nazioni Unite e la comunità internazionale a mobilitarsi per garantire gli approvvigionamenti alimentari del Paese, che nelle ultime settimane sono stati carenti. Cause principali, le recenti violenze in Pakistan che hanno reso difficile il transito delle merci e l’aumento dei prezzi dei cereali. “Mancano 400 mila tonnellate di grano per affrontare l’inverno e presto potrebbe mancare anche l’olio, lo zucchero e la farina”, ha dichiarato il ministro afghano del Commercio e dell’Industria, Amin Farhang. “Responsabile – ha ammesso – anche il governo che all’inizio del 2007 non ha provveduto al rifornimento degli stock”.

    Pakistan
    L’annunciata squadra di investigatori di Scotland Yard, la polizia britannica, è arrivata oggi in Pakistan per collaborare alle indagini sull'assassinio della ex premier e leader dell'opposizione Benazir Bhutto. Ieri, in una conferenza stampa alla presenza di giornalisti stranieri, il presidente pachistano Pervez Musharraf si è detto “non del tutto soddisfatto” dell'indagine sull'assassinio della Bhutto, ma ha ribadito con forza che né il governo né i servizi segreti hanno avuto una parte nell'attentato del 27 dicembre a Rawalpindi, né hanno tentato di nascondere “segreti”. Intanto, la Comissione Europea ha deciso di allargare la missione degli osservatori in Pakistan in vista delle elezioni del 18 febbraio prossimo. Agli undici esperti presenti ad Islamabad si aggiungeranno altri 50 osservatori supplementari che avranno l'incarico di seguire anche le fasi precedenti le consultazioni per una valutazione sul processo elettorale nella sua completezza.

    Libano
    L'opposizione libanese guidata dal movimento sciita Hezbollah dichiarerà la disobbedienza civile e bloccherà le maggiori arterie stradali del Paese, se non otterrà un potere di veto nel prossimo “governo di unità nazionale”. Lo afferma un quotidiano dell'opposizione, a Diyar, secondo cui, a partire dal 12 o 15 gennaio, l'opposizione chiederà ai suoi sostenitori nella pubblica amministrazione di astenersi dal lavoro o di rifiutarsi di rispettare le direttive del governo presieduto da Fuad Siniora. Nasrallah, il leader del movimento Hezbollah che ha il sostegno della Siria e dell'Iran, ha affermato due giorni fa che l'opposizione dichiarerà una “mobilitazione pacifica” entro una decina di giorni e che non ci sarà alcuna elezione del presidente della Repubblica se l'opposizione non otterrà il potere di veto nel futuro esecutivo. Da parte sua, Siniora, che ha il sostegno di Stati Uniti, Europa e Paesi arabi del Golfo, accusa il leader di Hezbollah di voler cambiare il sistema politico libanese. Dopo 11 rinvii in tre mesi, il parlamento si riunirà il 12 gennaio per tentare di eleggere il nuovo capo dello Stato.

    4 fermati per l’esplosione di ieri in Turchia
    La polizia turca ha fermato quattro persone per l'attentato di ieri pomeriggio a Diyarbakir, quando un’esplosione ha ucciso cinque persone tra cui tre studenti liceali ed ha ferito altre 70 persone, tra cui 30 soldati. I sospetti si concentrano sul PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan), considerato un'organizzazione terrorista anche dagli USA e dall'Unione Europea. L'attentato sarebbe una risposta all'offensiva dei militari turchi che hanno bombardato, con l'aiuto americano, in dicembre a tre riprese i campi rifugio dei ribelli separatisti curdi in Nord Iraq, uccidendo circa 150 terroristi, e che anche nelle scorse settimane hanno condotto diversi raid in territorio iracheno. Al microfono di Massimiliano Menichetti, l’esperto di terrorismo del "Corriere della Sera", Guido Olimpio.


    R. - Questi attentati sono largamente previsti. Il PKK, il movimento di guerriglia curda, aveva annunciato che, in caso di offensiva militare turca nei loro confronti, avrebbero aperto il fronte con attacchi nelle città. Da tempo, il PKK compie azioni di questo tipo e quindi, chiaramente in difficoltà sotto la pressione militare, reagisce con una serie di bombe e dunque ritengo che ne vedremo delle altre: man mano che si va avanti nel tempo, intensificherà questi attacchi.

     
    D. – A Diyarbakır ha sede l’insediamento più consistente delle truppe turche che combattono i ribelli curdi del PKK. Ci si aspetta una reazione forte anche nei confronti dei ribelli che riparano il confinante Iraq settentrionale?

     
    R. – La Turchia ha annunciato di voler regolare i conti una volta per tutte con il PKK, cosa non facile perché il PKK si è disperso in questo fase. Sicuramente ha subìto dei colpi ma al tempo stesso dispone di cellule, di gruppi in grado di agire all’interno della Turchia, non solo gruppi suoi ma anche delle unità che appartengono a dei movimenti dell’estrema sinistra e che sono molto attivi da tempo e quindi in grado sicuramente di colpire e di fare degli attentati.

     
    D. – Questo potrebbe comunque provocare un intensificarsi delle violenze?

    R. – Io ritengo che a fronte di un’offensiva militare sempre più estesa, il PKK risponderà con la guerra delle città e mi attendo anche operazioni terroristiche più forti, anche con l’uso di attentatori suicidi o, se ci avviciniamo all’estate, con attacchi contro il turismo perché il turismo è uno degli obiettivi tipici dei curdi, perché sanno così di colpire anche l’economia del Paese.

    Annullata la gara Parigi-Dakar per motivi di sicurezza
    Annullato per motivi di sicurezza il rally Parigi-Dakar, che quest’anno sarebbe dovuto partire domani da Lisbona. Ufficializzato il provvedimento al termine della riunione straordinaria convocata dagli organizzatori a Lisbona. E’ la prima volta dal 1979, anno della prima edizione, che la gara viene annullata. Il rally avrebbe dovuto attraversare, dall’11 al 19 gennaio prossimi i tracciati della Mauritania, ritenuti ad alto rischio per l’incolumità dei partecipanti. Il governo francese, dopo l’uccisione in Mauritania di 4 turisti francesi il giorno della vigilia di Natale, ha invitato gli organizzatori a sospendere la gara per motivi di sicurezza.

    Obama vince il primo round delle primarie del partito democratico in USA
    La corsa per la Casa Bianca si è aperta con la vittoria in Iowa di Barack Obama. Il giovane senatore afro-americano ha battuto John Edwards e Hillary Clinton, e ha scandito il suo programma incentrato sulla riforma delle politiche socio-sanitarie e fiscali. Nella sfida tra i candidati del partito di Bush ha prevalso nettamente l'ex governatore dell'Arkansas, Mike Huckabee, che ha staccato il mormone Mitt Romney. All'ex sindaco di New York Rudy Giuliani solo il 4%. In generale l'affluenza è stata altissima, come non si vedeva da anni. In particolare, Obama ha conquistato il voto di molti giovani. Ora si guarda al New Hampshire dove si voterà martedì prossimo. Per un commento su questi primi risultati elettorali, Stefano Leszczynski ha intervistato Dennis Redmont, già direttore dell’ "Associated Press-Italia":


    R. – Ci sono due titoli che si possono estrarre da questo evento: e cioè che il messaggio è più importante dei soldi, nel senso che i candidati che avevano più soldi, come Hillary Clinton, Romney nel campo repubblicano, sono stati sconfitti. La seconda cosa è che il cambiamento è più importante dell’esperienza: infatti, in questi due candidati, Barack Obama e Mike Huckabee, il messaggio del cambiamento ha sedotto gli elettori del caucus dell’Iowa.

    D. – Ha inciso forse su questo risultato elettorale di ieri in Iowa, il fatto di essere uno Stato rurale? Sembra quasi che Hillary Clinton, la newyorkese, non sia riuscita a farsi capire sufficientemente?

     
    R. – Il fatto che la Clinton sia finita terza, vuol dire che non è invincibile e forse i votanti, per lo meno in quello Stato, vogliono un cambiamento.

     
    D. – Gli Stati Uniti sono un Paese in guerra. Come mai non si sente questo tema nella campagna elettorale presidenziale?

     
    R. – Per un desiderio di non far fronte al problema, un problema difficile e per il fatto che l’esercito oramai è in mano ai professionisti in veste di leva e perciò non riguarda tutte le famiglie trasversalmente come era nel caso del Vietnam. Questo cambia la percezione dell’Iraq.

    New Delhi – Sonia Gandhi ancora in ospedale
    Sonia Ghandi, presidente del Partito del Congresso indiano, è ancora ricoverata al Gangaram Hospital di New Delhi dal 1 gennaio per problemi polmonari. Secondo fonti indiane, Sonia Ghandi potrebbe rimanere in ospedale almeno per tutto il fine settimana. Secondo i medici le sue condizioni sono stabili, lenti i miglioramenti.

    Filippine
    A poco più di un mese dall'ammutinamento militare del 29 novembre, è ancora alto nelle Filippine il rischio di un colpo di Stato contro la presidente Gloria Arroyo. Lo ha detto il ministro degli Interni, Ronaldo Puno, denunciando l'esistenza di un complotto da parte di un gruppo di ufficiali ribelli al governo. Il 29 novembre 2007, una trentina di insorti si erano barricati all'interno di un hotel della capitale filippina domandando le dimissioni del presidente. Dopo l'intervanto delle forze armate, avvenuto qualche ora dopo, una cinquantina di ribelli del gruppo guidato dal generale Danilo Lim sono stati arrestati. Dal 1986 a oggi, sono stati almeno sette i tentativi di rovesciare il governo eletto democraticamente.

    Georgia
    L'opposizione georgiana si dice certa che le elezioni presidenziali di domani saranno condizionate da pesanti brogli e si prepara a scendere in piazza il 6 gennaio, giorno del Natale ortodosso, per manifestazioni non autorizzate che rischiano di trasformarsi in duri scontri. Levan Gaceciladze, principale sfidante del presidente uscente Saakashvili, ha detto in un incontro con parlamentari stranieri che la consultazione sarà ''falsata'', e che i suoi sostenitori "non ne riconosceranno i risultati". Il candidato ha comunque garantito che le proteste, ''inevitabili se non si vuole scivolare nella dittatura'', rimarranno ''nel quadro costituzionale'' perché non si vuole uno scenario rivoluzionario. Ma il "tam tam" delle radio indipendenti parla di due cortei non autorizzati a Tbilisi, per convergere nella piazza centrale dove i sostenitori di Saakashvili hanno ottenuto il permesso di riunirsi.

    Venezuela
    Il presidente venezuelano, Hugo Chavez, ha annunciato di voler cambiare 13 componenti del suo governo, oltre alla nomina di un nuovo vicepresidente. Si tratta, a quanto pare, del maggior rimpasto di governo dopo la sconfitta nel referendum sulla costituzione del dicembre scorso.

    Bilancio dell’incendio ieri nel centro commerciale in Cina
    È di almeno cinque vittime il bilancio dell'incendio che ieri ha distrutto un centro commerciale ad Urumqi, nel nordovest della Cina. Lo afferma l'agenzia Nuova Cina. Tre delle vittime sono vigili del fuoco (un quarto è dato per disperso); le altre due sono impiegati che lavoravano in uno dei duemila negozi che si trovavano nell'edificio, la Dehui International Plaza. L'incendio è scoppiato nella tarda serata di mercoledì, quando mancavano pochi minuti alla chiusura. I pompieri hanno impiegato più di 24 per spegnere il rogo, sulle cui cause non si hanno ancora indicazioni. (Panoramica internazionale a cura di Fausta Speranza)

     
    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LII no. 4

     
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