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Sommario del 31/12/2008
Il Papa presiederà domani la Messa nella Solennità di Maria Madre di Dio nella Giornata Mondiale della Pace. Oggi il Te Deum
◊ Oggi, 31 dicembre, memoria di San Silvestro Papa e ultimo giorno dell’anno civile, Benedetto XVI presiederà alle 18.00 nella Basilica Vaticana la celebrazione dei Primi Vespri della Solennità di Maria Santissima Madre di Dio e il Te Deum in ringraziamento per l’anno trascorso. Al termine della liturgia Benedetto XVI uscirà sul sagrato per compiere una breve visita al Presepe allestito in Piazza San Pietro. Domani alle 10.00, sempre in San Pietro, il Papa presiederà la celebrazione della Solennità mariana nella 42.ma Giornata Mondiale della Pace per la quale il Pontefice ha scritto un messaggio che si intitola “Combattere la povertà, costruire la pace”. Sui contenuti del messaggio il servizio di Sergio Centofanti.
Il dramma della miseria che calpesta i diritti di centinaia di milioni di persone, favorendo o aggravando i conflitti, “s’impone alla coscienza dell’umanità”. E il Papa invita a combattere la povertà nel mondo per costruire la pace. Ma bisogna percorrere una strada: cambiare “gli stili di vita, i modelli di produzione e di consumo, le strutture consolidate di potere che oggi reggono la società”. Non si tratta di un’operazione puramente esteriore: è necessario infatti “abbandonare la mentalità che considera i poveri (…) come un fardello e come fastidiosi importuni che pretendono di consumare quanto altri hanno prodotto”: occorre “guardare ai poveri nella consapevole prospettiva di essere tutti partecipi di un unico progetto divino, quello della vocazione a costituire un’unica famiglia”. Del resto,“l’avidità e la ristrettezza di orizzonti” creano quei “sistemi ingiusti” che “prima o poi prestano il conto a tutti. Solo la stoltezza - afferma il Papa - può (…) indurre a costruire una casa dorata, ma con attorno il deserto o il degrado”.
Benedetto XVI denuncia “un aumento del divario tra ricchi e poveri”, l’attuale crisi alimentare “caratterizzata non tanto da insufficienza di cibo, quanto da difficoltà di accesso ad esso e da fenomeni speculativi”, “lo scandalo della sproporzione esistente tra i problemi della povertà e le misure” predisposte “per affrontarli” e di fronte a questo “l’accrescimento della spesa militare” che “rischia di accelerare una corsa agli armamenti” provocando “sacche di sottosviluppo e di disperazione”. Inoltre, il divario tecnologico, l’esclusione dai flussi commerciali mondiali e le dinamiche dei prezzi, aumentano ancora di più le distanze tra nord e sud: i Paesi poveri, in particolare quelli africani, soffrono di “una doppia marginalizzazione”: hanno i redditi più bassi e i prezzi dei loro prodotti agricoli e delle loro materie prime crescono meno velocemente dei prodotti industriali dei Paesi ricchi. Il Papa rileva poi “i contraccolpi negativi di un sistema di scambi finanziari (…) basati su una logica di brevissimo termine” che non considera il bene comune ed è pericoloso “per tutti, anche per chi riesce a beneficiarne durante le fasi di euforia finanziaria”.
C’è poi la preoccupazione per le malattie pandemiche come la malaria, la tubercolosi e l’Aids: la comunità internazionale fa ancora troppo poco per combatterle e talora i Paesi colpiti sono obbligati dai “ricatti di chi condiziona gli aiuti economici all’attuazione di politiche contrarie alla vita”. Per quanto riguarda l’Aids, il Papa invita a “farsi carico di campagne che educhino specialmente i giovani a una sessualità rispondente alla dignità della persona; iniziative poste in atto in tal senso - spiega - hanno già dato frutti significativi” facendone diminuire la diffusione. Necessario poi l’accesso alle medicine da parte dei più poveri con “un’applicazione flessibile delle regole internazionali della proprietà intellettuale”.
Il Messaggio, riferendosi a quanti mettono in relazione povertà e sviluppo demografico, lancia una forte critica alle “campagne di riduzione delle nascite, condotte a livello internazionale, anche con metodi non rispettosi né della dignità della donna né del diritto dei coniugi a scegliere responsabilmente il numero dei figli e spesso, cosa anche più grave, non rispettosi neppure del diritto alla vita. Lo sterminio di milioni di bambini non nati, in nome della lotta alla povertà - scrive il Pontefice - costituisce in realtà l’eliminazione dei più poveri tra gli esseri umani”. Benedetto XVI offre quindi un dato oggettivo: il fatto che negli ultimi anni sono usciti dalla povertà Paesi caratterizzati “da un notevole incremento demografico” affacciandosi “sulla scena internazionale come nuove potenze economiche” realizzando “un rapido sviluppo proprio grazie all’elevato numero dei loro abitanti”. “In altri termini - nota il Papa - la popolazione sta confermandosi come una ricchezza e non come un fattore di povertà”.
Il documento sottolinea poi un dato agghiacciante: quasi la metà dei poveri di tutto il mondo è costituita da bambini. E invita a difendere l’istituto familiare perché “quando la famiglia si indebolisce i danni ricadono inevitabilmente sui bambini”. Così come dove “non è tutelata la dignità della donna e della mamma, a risentirne sono ancora principalmente i figli”.
Cosa fare? La globalizzazione - afferma il Papa - deve essere guidata dalla solidarietà, perché “da sola è incapace di costruire la pace e in molti casi, anzi, crea divisioni e conflitti”. Occorre “lottare contro la criminalità” e “investire nella formazione delle persone” sviluppando “in modo integrato una specifica cultura dell’iniziativa”. Infatti “le politiche marcatamente assistenzialiste” - si precisa - sono “all’origine di molti fallimenti nell’aiuto ai Paesi poveri”. Bisogna dare anche più spazio alla società civile. Ma, in ultima istanza - conclude Benedetto XVI - “la lotta alla povertà ha (…) bisogno di uomini e donne che vivano in profondità la fraternità” scorgendo nei poveri il volto di Cristo.
Sul messaggio del Papa ecco la riflessione del direttore della Caritas italiana don Vittorio Nozza, al microfono di Fabio Colagrande:
R. – E’ un richiamo forte ad una situazione attuale che vede sempre più coinvolti milioni e milioni di persone, in situazioni di povertà. Ed è un assioma che in pratica sottolinea quanto la lotta alla povertà, a tutti i livelli, possa veramente permettere anche di contenere la violenza o per lo meno, a far stare le persone dentro i loro contesti ed i loro territori, in una situazione di relazioni più pacificate e più capaci anche di rispetto verso la propria dignità e verso il proprio futuro.
D. – Oggi, si assiste ad un mondo capace di produrre ricchezza ma anche capace di produrre povertà. Il Papa ci ricorda, proprio dal punto di vista della dottrina sociale cristiana, che i cristiani devono avere un amore preferenziale per i poveri…
R. – Non manca la ricchezza, non mancano le risorse che potrebbero, se opportunamente considerate, rispondere ai bisogni delle persone. Ciò che manca è l’equilibrio nella distribuzione di queste risorse: la bontà dello sviluppo della produzione della ricchezza non va di pari passo con l’altrettanta bontà della presa in considerazione della situazione di tanti milioni di persone al punto tale che, la distanza tra i pochi ricchi sempre più ricchi e i tanti poveri sempre più poveri, è una distanza che si va sempre più accentuando, quasi consegnando ad uno stato di vita povero, milioni se non miliardi di persone.
D. – Guardando la situazione italiana, possiamo dire che c’è, purtroppo, uno zoccolo duro di povertà che resiste ormai, da parecchio tempo; in più, la Caritas, da qualche tempo, ci sta avvertendo che esiste la realtà dei nuovi poveri…
R. – Stiamo dentro un territorio, quello nazionale, che dice, in modo particolare, due grandi situazioni alle quali si sta avvicinando una terza. La prima è quella dei sette milioni e mezzo di poveri che dentro i nostri contesti territoriali, hanno quasi la propria vita segnata, strutturata, consegnata, alla povertà. C’è poi una fascia ampia, soprattutto di nuclei familiari, che in questi ultimi anni, hanno colto la difficoltà a dare dignità e garanzia alla propria esistenza, al punto tale che questi stessi rischiano - pur non avendo disagi in atto, se non si trovano le formule da un punto di vista di azioni sociali, di azioni politiche - di incorrere dentro una situazione ben più pesante. La crisi ultima ci dice anche come dovremo ripensare, tutti quanti, proprio i nostri stili, i nostri modi di essere, se vogliamo affrontarla in maniera seria.
D. – C’è una corrente culturale che in qualche modo nega l’esistenza di questi poveri?
R. – Si fatica a vederli; nel momento in cui si vedono si tende, diremmo così, a cacciarli lontano, per lo meno a tentare di non farli essere disturbo al proprio cammino di vita. E’ una presenza che, per poter essere vista, ha bisogno di molta prossimità, di molta capacità di ripensamento anche del proprio modo di essere, e soprattutto di una presa di coscienza che soltanto attraverso territori sempre più coesi e solidali, è possibile anche dare un volto migliore, diverso, più vivibile, anche alla nostra stessa vita. Quindi negarli o cacciarli addirittura sotto il tappeto, come si fa con la polvere qualche volta, significa, in pratica, volere il nostro stesso male.
Mons. Migliore traccia un bilancio dell'attività dell'Onu nel 2008
◊ Calamità naturali, crisi economica mondiale ed emergenze alimentari hanno caratterizzato gli sforzi dell’ONU nel 2008. Le sfide per il futuro sono adesso orientate agli obiettivi del millennio per la lotta contro la povertà e la fame. Per un bilancio sulle attività delle Nazioni Unite nel 2008, ascoltiamo il commento, al microfono di Amedeo Lomonaco, dell’osservatore permanente della Santa Sede all’ONU, mons. Celestino Migliore:
R. – Abbiamo molto parlato di responsabilità di proteggere in Myanmar, nel Caucaso, nel Congo e nel Darfur, ma anche della responsabilità del buon governo, di mantenere le promesse e far seguire fatti alle parole: pensiamo alle questioni ambiente, crisi alimentare, economica e finanziaria. Tuttavia, le ombre sembrano prevalere sulle luci e c’è da sperare che si faccia strada il monito del Papa all’Onu, dell’aprile scorso, e cioè che la responsabilità di proteggere e promuovere le popolazioni non è un rimedio alle crisi ma una modalità di governo, di esercizio dell’autorità e del potere che previene le crisi, le disinnesca perché si occupa del bene delle persone e non degli equilibri di potere.
D. – E quali sono stati gli interventi più significativi?
R. – Indubbiamente, lo sforzo continuo di coinvolgere tutta la comunità internazionale e non solo un ristretto gruppo di Paesi e di esperti, nel trovare una via d’uscita alla crisi finanziaria e alla recessione economica. Poi, nonostante fatiche, disaccordi e a volte riottosità, l’Onu ha mantenuto in cima alle priorità la risposta al cambiamento climatico, ha affrontato al meglio le devastazioni delle calamità naturali in Myanmar e Haiti e la crisi alimentare; nonostante le lentezze nella questione del Darfur, l’Onu ha mantenuto vivo l’accordo di pace tra Nord e Sud Sudan e sta traghettando la questione del Kosovo con la diplomazia.
D. – Cosa, invece, è mancato?
R. – E’ mancata la solita buona volontà politica di operare in primo luogo per il bene delle popolazioni e di accettare la cooperazione internazionale, laddove le situazioni sono ancora drammatiche, come in questi giorni in Terra Santa, in Zimbabwe, in Somalia e nel Darfur …
D. – Cosa fare allora perché la macchina dell’Onu funzioni meglio e con maggiore imparzialità?
R. – Superare quella situazione di stallo che Papa Benedetto XVI ha recentemente lamentato nell’assemblea generale dell’Onu, e cioè l’ovvio paradosso di un consenso multilaterale che continua ad essere in crisi a causa della sua subordinazione alle decisioni di pochi, mentre i problemi del mondo esigono interventi nella forma di azione collettiva da parte della comunità internazionale.
D. – Recentemente, c’è stata la proposta francese sulla depenalizzazione dell’omosessualità. La Santa Sede ha ribadito il suo sostegno alla depenalizzazione, ma ha sottolineato come la proposta vada ben oltre questa intenzione, puntando ad omologare ogni orientamento sessuale generando quindi incertezza giuridica. La proposta è stata sostenuta da una sessantina di Stati sui 192 Paesi rappresentati all’Onu. Come commentare questo dato?
R. – E’ con soddisfazione che ho raccolto da molti rappresentanti permanenti una eco positiva alla posizione della Santa Sede: è giudicata ragionevole e ispirata al buon senso. La stessa configurazione delle posizioni espresse o non espresse nell’ambito dell’Assemblea generale, e cioè 66 in favore della dichiarazione dell’Unione Europea, 58 a favore della controdichiarazione presentata dalla Siria e 68 astenuti, beh, questa configurazione ci dice che l’argomento va ancora discusso con calma, trasparenza, rispetto reciproco e molto buon senso.
D. – Anche sulla pena di morte c’è divisione …
R. – Sì, ed è un vero peccato, perché l’abolizione della pena di morte costituisce una tappa importante della umanizzazione della società globale. Tuttavia, la cosa non sorprende perché le ragioni che generalmente si portano per mettere fine alla pena capitale, non sono quelle adeguate per giungere ad una decisione rapida e piena. Si insiste quasi unilateralmente sulla intoccabilità della vita, nel caso specifico della sentenza di morte, e si esita – o addirittura, si è contrari – ad estendere lo stesso principio a tutte le fasi della vita, che per alcuni riguardano il diritto di nascere, per altri il diritto alla sopravvivenza.
D. – Quali le sue speranze per il 2009?
R. – Che prevalgano ragione e buon senso in chi deve prendere decisioni, in chi ha la responsabilità di governare, proteggere e promuovere, così come in tutti coloro che informano e formano le menti e le coscienze dei nostri contemporanei.
Nuova legge sulle fonti del diritto in Vaticano. Intervista col prof. Dalla Torre
◊ Da domani, primo gennaio 2009, entra in vigore nello Stato della Città del Vaticano la nuova legge sulle fonti del diritto. Il prof. Giuseppe Dalla Torre, presidente del Tribunale del Vaticano, ci spiega di cosa si tratta in questa intervista di Sergio Centofanti:
R. – E’ innanzitutto una semplificazione rispetto alla legge del 1929; e poi, l’aspetto più importante è il fatto che viene sostituito il richiamo al Codice civile del 1865 con il Codice civile italiano del 1942. Questa è la novità di maggior rilievo. Fino adesso, in Vaticano, abbiamo applicato le norme del Codice civile italiano del 1865 con crescente difficoltà in relazione al fatto che la società oggi presenta profili nuovi, aspetti nuovi, e il Codice del 1942, ovviamente, pur essendo ormai un Codice anzianotto, però è un codice più moderno.
D. – Che cosa cambia, in concreto?
R. – Mah … non è che cambi molto, perché in realtà il richiamo alla legislazione italiana è sempre stato in via suppletiva. L’ordinamento vaticano ha sue leggi, ha sue norme, non solo il Diritto canonico, anche se il Diritto canonico è sempre stato la fonte principale: non è che oggi viene introdotto come fonte principale nell’ordinamento!
D. – Alcuni giornali italiani ne hanno dato un’interpretazione “politica”, con sintesi sbrigative del tipo: “Il Vaticano divorzia dalle leggi italiane: troppe, amorali e illogiche”. Che dire?
R. – Guardi, direi che è una bolla di sapone o è una notizia enfatizzata in fine d’anno, quando forse non ci sono altre notizie da mettere in prima pagina. In realtà, si tratta di un’innovazione importante per quanto riguarda l’aggiornamento, ma non così rilevante per quanto riguarda i contenuti giuridici, perché il filtro alle leggi italiane c’è sempre stato, anche nella precedente legge sulle fonti del 1929; e la legislazione italiana è sempre stata richiamata in via suppletiva. I giornali dicono che da domani in poi non verrà più recepita la legislazione italiana: ma questo non è mai stato! Il Vaticano – ripeto – ha sempre avuto un suo ordinamento. Solo in casi particolari, a cominciare dai Codici, ha fatto riferimento alla legge italiana. Cioè, si vuole vedere in un’innovazione che ha un carattere meramente tecnico, giuridico, non politico, e comunque interno ad uno Stato sovrano, che ha le sue leggi, un’interpretazione che va al di là – appunto – di questa operazione strettamente legislativa.
D. – C’è qualcuno che ha detto: “Si allarga il fossato tra le due sponde del Tevere” …
R. – Ma non c’entra niente! Perché innanzitutto bisogna dire che essendo la Città del Vaticano uno Stato indipendente e sovrano, può modificare tutte le sue leggi come vuole; in secondo luogo, non vedo questo atteggiamento polemico nei confronti dell’ordinamento italiano. Nel senso che, ripeto, anche nella precedente legge del 1929, il richiamo alle norme italiane era in via suppletiva e sempre con un filtro del non contrasto con l’ordinamento interno dello Stato vaticano con i principi e le norme del Diritto canonico e con le disposizioni di diritto divino, naturale e positivo. Del resto, questa è una cautela che hanno tutti gli ordinamenti degli Stati! Anche l’ordinamento italiano, come quello di qualsiasi altro Stato, prevede dei filtri alla recezione di norme di ordinamenti stranieri, perché evidentemente ogni Stato vuole cautelare il proprio ordinamento giuridico dalla intromissione di valori che siano incompatibili con i principi dell’ordinamento giuridico stesso.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ Diagnosi e cura della crisi: in prima pagina, un’analisi di Ettore Gotti Tedeschi della situazione dell’economia mondiale
Israele valuta la richiesta di un cessate-il-fuoco avanzata dall’Unione Europea: in evidenza, nell’informazione internazionale, la situazione nel Vicino Oriente
Un articolo di Francesco Citterich dal titolo “Dal primo gennaio la Repubblica Ceca alla presidenza dell’Ue”
In cultura, anticipazione dell’editoriale scritto dal cardinale Tomas Spidlik per il numero di gennaio di “Luoghi dell’Infinito”, dedicato al tema del pellegrinaggio
Un articolo dell’arcivescovo Gianfranco Ravasi dal titolo “Il mistero di una madre che allatta il suo Creatore”: solennità di Maria Santissima Madre di Dio
Il conquistatore con la penna in mano: Giovanni Gentile sulla mostra - al Chiostro del Bramante a Roma - che ripercorre il mito di Giulio Cesare
In un’intervista di Mario Ponzi, nell’informazione religiosa, il cardinale Renato Raffaele Martino traccia un bilancio dei principali avvenimenti internazionali che nel 2008 hanno interessato più da vicino la Santa Sede
Nessuna tregua a Gaza. Twal: violenza genera solo violenza
◊ Il gabinetto di sicurezza israeliano ha respinto oggi le proposte di cessate il fuoco a Gaza avanzate dalla diplomazia internazionale: le operazioni militari dunque continuano. Proseguono anche i lanci di razzi da parte di Hamas che tuttavia nelle ultime ore si è detto disposto a prendere in considerazione proposte di tregua. Intanto fonti israeliane confermano l’apertura del valico di Kerem Shalom, nel sud della striscia di Gaza, per far passare oltre cento camion con aiuti umanitari, e del valico di Erez. Stamane è entrato anche un convoglio di Medici Senza Frontiere. Il servizio di Fausta Speranza.
Al quinto giorno dell’operazione 'Piombo fuso’, proseguono ripetuti raid aerei israeliani a Gaza, in particolare contro i tunnel di contrabbando a Rafah, e gli attacchi di Hamas contro città israeliane sulle quali sono esplosi una quarantina di razzi. Tra queste Beer Sheva, Ashdod e Ashqelon. L’Unione Europea ha chiesto un “cessate il fuoco immediato e permanente” per consentire l'accesso umanitario alle popolazioni civili, impegnandosi a vigilare sulla tregua inviando una propria missione di osservatori. La posizione è stata messa a punto dai ministri degli Esteri dei 27 in una riunione di emergenza ieri sera a Parigi. L’iniziativa è l’ultimo atto della presidenza di turno francese dell’UE che dal primo gennaio viene assunta dalla Repubblica Ceca. Si parla però di una visita di Sarkozy in Israele il 5 gennaio. Ai confini di Gaza rimangono schierati migliaia di soldati israeliani, pronti ad un eventuale attacco di terra. Da parte sua il presidente dell’Autorità Nazionale palestinese Abu Mazen fa sapere di voler chiedere all’Onu di intervenire con una risoluzione. Delle drammatiche condizioni nella Striscia di Gaza, dopo l’ultimo bilancio di 385 morti e oltre 1700 feriti, oggi diversi rapporti mettono in luce le ripercussioni negative dal punto di vista psicologico sui bambini. Per avere modo di documentare la situazione l’Associazione della stampa estera in Israele (Fpa) ha chiesto libero accesso a Gaza facendo ricorso alla Corte Suprema israeliana.
Sulla situazione a Gaza ascoltiamo il commento del patriarca latino di Gerusalemme Fouad Twal, intervistato da Gabi Fröhlich:
D. – Per noi la soluzione militare non è mai una buona soluzione. La violenza genera soltanto altra violenza. I cristiani, da parte loro, fanno parte della popolazione, non sono un’entità a parte e non possiamo parlare solo del destino dei cristiani perché fanno parte di tutta la popolazione e credo che quando arrivano le bombe dal cielo non sanno distinguere tra il cristiano o il musulmano. Tanti sono vittime innocenti e non hanno niente a che fare con Hamas. Per noi è da condannare ogni tipo di violenza.
D. – Mons. Twal come giudica questo attacco israeliano su Gaza?
R. – Sono donne, bambini, sono famiglie che hanno diritto ad una vita normale, senza violenza. Un assedio che viene dal cielo, dal mare, e che ha fatto di tutta la città una prigione a cielo aperto, non credo che sia il contesto giusto per favorire la pace, la riconciliazione. Comunque non è un contesto che dà speranza che la violenza terminerà. Tutto questo non fa che aumentare l’odio, l’ingiustizia, la violenza, la sofferenza in tanti animi delle persone innocenti.
D. – Lei crede che la diplomazia internazionale abbia la forza per riportare la pace nella regione?
R. – Fino adesso le trattative non hanno portato a niente, eppure possiamo dire che a livello internazionale c’è più coscienza sulla necessità di risolvere il problema. Ci sono tre o quattro iniziative molto buone, il mondo si muove di più per risolvere il problema. Le parole non sono servite fino adesso, però anche la violenza non è servita. E’ meglio il dialogo, la discussione che la violenza, il problema è trovare una buona volontà politica per risolvere il problema. Se non c’è la buona volontà di risolvere il problema saranno solo chiacchiere e promesse e incontri che non porteranno ad alcun risultato. Dobbiamo pagare per avere la pace, dobbiamo cedere, dobbiamo convertire il cuore, dobbiamo cambiare i discorsi, dobbiamo cambiare mentalità. Se continuiamo come prima con questa sfiducia, con questa violenza, di ignoranza, di odio, non finiremo mai.
D. – Secondo lei in questo clima è possibile una visita del Papa nella regione?
R. – Speriamo che questa situazione finisca il più presto possibile. Anzi forse avrebbe bisogno del Santo Padre per dire a tutte le parti una parola per avere più riconciliazione, più pace, più perdono. Questo è il linguaggio di noi cristiani, anzi nel momento più difficile abbiamo bisogno di una voce serena, calma al di sopra di tutte le parti. Una parola del Santo Padre, una benedizione del Santo Padre, una visita del Santo Padre credo che sia una benedizione per noi tutti, perché ne abbiamo bisogno. Credo che il Papa, la Santa Sede, la Chiesa hanno la forza morale per poter parlare a tutte le parti per il bene di tutti quanti.
D. – Secondo lei esiste il pericolo dell’espansione delle violenze nella Cisgiordania e a Gerusalemme?
R. – La violenza non fa che male a tutti quanti, l’Intifada fa più male ai palestinesi prima ancora che agli israeliani. Non abbiamo bisogno di aggravare la situazione, abbiamo bisogno di fermare quello che sta succedendo, di dare fiducia ai pellegrini che vengono per il bene di tutti. I pellegrini sono stati sempre benvenuti e accolti da tutti: dalle autorità palestinesi, israeliane e anche dalla Chiesa.
D. – Che cosa si aspetta, mons. Twal, dalla comunità internazionale?
R. – Dalla comunità internazionale ci aspettiamo un'azione più decisa, coraggiosa, per fare pressioni perché ci sia più giustizia per tutti, pace per tutti. Non bastano le parole di pietà, abbiamo bisogno di atti coragiosi, discorsi coraggiosi, per mettere fine a questa situazione in modo che tutto speriamo torni alla normalità.
"Uomo della fiducia e del perdono": il ricordo di don Mario Torregrossa, il prete romano spentosi ieri, vittima nel '96 dell'aggressione di uno squilibrato
◊ Dodici anni fa era cambiata la sua vita, quando uno squilibrato gli diede fuoco mentre pregava nella chiesa romana di San Carlo da Sezze, ad Acilia, della quale era parroco. Non è mai cambiata però la sua anima: quella di un uomo e di un sacerdote dominato dall’unico pensiero di servire i “suoi” poveri, fin sul letto di morte. All’età di 64 anni si è spento ieri don Mario Torregrossa, che il 24 novembre 1996 fu ridotto in fin di vita con ustioni su metà del corpo. Tuttavia, pur condizionato nei movimenti, don Mario non ha smesso di essere “l’anima” di una parrocchia che ora lo ricorda per la sua innata fiducia nell’uomo, come dimostra il perdono che egli diede senza riserve al suo aggressore. I funerali si svolgeranno il 2 gennaio alle 9.00. Don Fabrizio Centofanti - per molti anni collaboratore di don Mario e poi parroco nella stessa chiesa - lo ricorda così, al microfono di Alessandro De Carolis:
R. - Don Mario ha avuto tre "colonne" nella sua, potremmo dire, spiritualità, ma forse, di più, azione perché è stato un uomo di fatti. Queste colonne erano i giovani, i poveri e la Provvidenza. Lui ha costruito un centro per i giovani, per la loro formazione e si è dedicato ai poveri fino all’ultimo. Io sono stato con lui sino alla fine e lui, fino agli ultimi respiri, mi ha chiesto delle persone che avevano delle scadenze di tipo economico e che lui doveva aiutare. Poi la Provvidenza, perché lui ha sempre avuto questa fiducia nell’intervento del Padre e quindi si è mosso sempre con questo criterio e con questo criterio sono venuti su la chiesa di San Carlo da Sezze, il Centro di formazione giovanile "Madonna di Loreto" e, poi, l’ultimo suo sogno: quello di un dormitorio per i poveri, perché noi conosciamo tanta gente che dorme per strada. Questo è il sogno che non ha realizzato, ma che prendiamo noi in eredità. Inoltre, c’erano le colonne della sua catechesi: don Mario ha fatto tenuto una serie di catechesi sulla fede, sulla speranza, sulla carità, sulla famiglia, sulla Chiesa e sul mondo: fede speranza e carità hanno dato vita a tre preghiere che sono state riconosciute dalla Chiesa, hanno avuto l’imprimatur. Don Mario è stato un uomo di cuore ma è stato anche un uomo di cultura. Personalmente, mi ha avviato anche all'interno di un discorso culturale al quale lui teneva molto e a questo bisogna aggiungere anche la sua esemplare obbedienza alla Chiesa, perché don Mario è stato un uomo di grande originalità ma anche di grande obbedienza e di grande amore per la Chiesa. Lui amava la Chiesa anche in senso fisico: stava sempre in chiesa - ultimamente sulla sedia a rotelle - e non potendo più celebrare con facilità stava sempre lì a confessare.
D. - Un’aggressione così sconvolgente, come quella subita da don Mario, che rovina un’esistenza, potrebbe indurre chi ne è rimasto vittima a covare odio verso l’aggressore. Ma non don Mario: lui è stato un uomo del perdono...
R. - Io ho visto don Mario quando ha incontrato la persona che gli ha dato fuoco. Appena l’ha visto, gli è andato incontro e gli ha stretto la mano. Questo perdono, quello di don Mario, penso sia una delle più profonde caratteristiche della sua persona. Perché a don Mario, bisogna dirlo, gliene hanno fatte di tutti i colori. Ha avuto a che fare con poveri, ma anche con poveri difficili. Ha tirato fuori persone che erano inseguite dagli strozzini. E, sempre, lui ha avuto questo atteggiamento di perdono verso tutti quelli che hanno tentato, in molti modi, di fargli del male.
D. - Un atteggiamento, quello mantenuto da don Mario in questi ultimi anni, che è indice di una fiducia nell’uomo sostanzialmente illimitata. E’ un insegnamento molto importante in un tempo come il nostro, invece segnato da grandi egoismi...
R. - Don Mario ha avuto una "carriera" di malato molto intensa. Gli diedero due mesi di vita già prima dell’ordinazione sacerdotale, poi ha avuto un ictus nel ‘89, ha avuto due infarti, è stato bruciato... e poi l’ultimo infarto con l’edema polmonare e l’ischemia che l’ha purtroppo stroncato. Io avevo fatto il voto di essere il suo braccio destro per sempre. Adesso che lui è morto, raccolgo questa sua eredità di fiducia nella vita, di fiducia nell’uomo. Questa fiducia è il dono di don Mario, è la sua eredità, nonostante tutto, nonostante lui ne abbia passate di tutti i colori.
D. - Dunque, don Mario continuerà a vivere tra di voi, anche attraverso di lei e i vostri amici, i vostri parrocchiani...
R. - Don Mario sappiamo che non muore perché noi crediamo nella resurrezione della carne. Ma io dirò che don Mario non muore anche per un altro motivo. Sì, per quello che ha detto lei: perché ha lasciato un seme che non morirà, rimarrà per sempre.
La Chiesa celebra la Solennità di Maria Madre di Dio: il commento di padre De Fiores
◊ La Chiesa, dunque, celebra domani la Solennità di Maria Santissima Madre di Dio: si tratta di un titolo antichissimo, proclamato ufficilamente nel quinto secolo durante il Concilio di Efeso. Ascoltiamo in proposito il padre monfortano Stefano De Fiores, al microfono di Sergio Centofanti:
R. – Il titolo di “theotokos”, che letteralmente vuol dire “colei che ha partorito Dio”, è anteriore di molto al Concilio di Efeso del 431, quando è stato definito dai Padri ivi presenti per contrastare le teorie di Nestorio che era molto ambiguo perché voleva escludere che Maria fosse Madre della divinità: di fatti, Maria non è Madre della divinità, ma Madre della Persona, unica Persona del Figlio di Dio, che prende carne proprio nel seno della Vergine Maria. Quindi, Maria ha una relazione di maternità nei rapporti della Persona divina del Figlio di Dio, avendolo generato secondo la natura umana. In altre parole, è Madre del Verbo Incarnato.
D. – Che cosa significa per noi che Maria è Madre di Dio?
R. – Significa che noi dobbiamo avere un debito inestinguibile con Lei perché ha esercitato il carisma più fondamentale, più necessario alla Chiesa, cioè ci ha dato Cristo. E quindi questo compito è talmente grande che per Agostino, se la maternità divina fosse fittizia sarebbero fittizie anche le cicatrici della Passione del Cristo. Noi non saremmo salvati: proprio Maria sta al fondamento della storia della salvezza, avendo dato a Cristo un Corpo che egli offrirà sulla Croce per la nostra salvezza. Quindi, è veramente fondamentale questo mistero. Se noi ci allontaniamo da questo mistero, allora Gesù viene ad essere quasi una meteora che viene dal cielo sulla terra senza avere una madre, senza avere colei che lo rende nostro fratello e lo inserisce nella stirpe umana, nella stirpe ebraica e nella stirpe di tutta l’umanità.
D. – La Solennità di Maria Madre di Dio cade nella Giornata mondiale della pace. Che rapporto c’è tra Maria e la pace?
R. – Ci sono dei nessi intimi tra Maria e la pace. Innanzitutto, Maria essendo Madre di Gesù è madre anche della pace, perché come ci dice la Lettera agli Efesini: “Egli è la nostra pace”. Quindi, Gesù si identifica con la pace e allora Maria, dando alla luce Gesù, dà alla luce il Principe della pace. Inoltre, Maria è la donna dell’Alleanza: ora, sappiamo che l’Alleanza di Dio è un’Alleanza di pace, per cui, Maria essendo la donna dell’Alleanza è la donna che ci aiuta a vivere quella dimensione di pace che oggi è tanto necessaria. Quindi, Maria ci libera il cuore dall’odio, dal risentimento, dal ripagare gli altri con la stessa moneta, perché Ella è colei che ci indica Gesù e Gesù ci dice: “Siate operatori di pace”, cioè costruite la pace per essere chiamati veramente “Figli di Dio”.
Veglia di preghiera questa notte in Piazza San Pietro promossa dal Movimento dell'Amore Familiare
◊ Capodanno di preghiera questa notte in Piazza San Pietro di fronte al presepe, nelle fioca luce di tanti piccoli lumi. E’ la proposta del Movimento dell’Amore Familiare che per il sesto anno consecutivo, al 31 dicembre, promuove una Veglia, quest’anno con l’intento di suscitare “la pace nei cuori, nelle famiglie e tra le nazioni” come recita il titolo dell’iniziativa. Ad aprire la Veglia, alle 23.30, interverrà il cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone. “L’armonia della famiglia umana muove innanzitutto dalla conquista di una pace interiore” sottolinea don Stefano Tardani, fondatore del Movimento dell’Amore Familiare. Lo ascoltiamo al microfono di Claudia Di Lorenzi:
R. – La pace, oltre che essere un fatto di diritto e di giustizia, è prima di tutto un fatto del cuore e per questo si impara in famiglia, il luogo dell’amore e dell’educazione alla vita e ad uno stile di pace, di rispettosa collaborazione ed attenta valorizzazione di ciascuno dei suoi membri, per poi sfociare nell’accoglienza e nel rispetto della giustizia e dei valori di ciascuno e di ciascun popolo.
D. - In questo mondo lacerato da guerre e divisioni, alla famiglia anche il compito di formare nuovi costruttori di pace…
R. – La famiglia ha un grandissimo ruolo: questo tempo di Natale richiama le famiglie al loro più grande impegno, quello dell’educazione, della formazione; è un momento di svago, di riposo, un momento di distrazione ma anche un momento di solidarietà all’interno e all’esterno della famiglia stessa. I genitori, gli educatori, sono chiamati alla loro grande e bella responsabilità: quella di educare le nuove generazioni al sentimento e al valore più grande della pace.
D. - Quale il programma di questa Veglia per la pace?
R. – L’appuntamento è per le ore 23.15 in Piazza San Pietro, davanti al presepe. Alle ore 23.30, dopo un canto di inizio, il cardinale Tarcisio Bertone, aprirà la veglia per introdurci al nuovo anno. Si accenderanno i flambeaux anche con la presenza dei bambini e dei ragazzi e con gioia e speranza si darà inizio al nuovo anno tra canti e preghiere. A chi verrà anche solo per qualche minuto, anche dopo il cenone, fino alle sette del mattino, verrà consegnato un lumino che potrà essere deposto davanti al presepe, presentando al Signore e alla Santa Famiglia, le attese e le gioie di ogni famiglia.
Sri Lanka: liberati i 16 orfani rapiti dalle Tigri Tamil
◊ Sono stati liberati nella notte i 16 orfani rapiti dalle Tigri Tamil nella notte di Santo Stefano nell’orfanotrofio cattolico Boys Home D-8 Killinochci situato a Dharmapuram, nello Sri Lanka. Si è chiusa dunque nel migliore di modi una vicenda che per alcuni giorni è stata avvolta dal mistero: uniche fonti erano quelle governative e diverse personalità pensavano che la notizia fosse una mossa pubblicitaria del governo per screditare ancora di più le Tigri. Inoltre, i contatti con l'orfanotrofio erano impossibili a causa di mancanze di linea telefonica. Ieri sera finalmente è giunta ad AsiaNews la conferma del rapimento e quella della liberazione dei bambini. Padre Soosai racconta all’agenzia cattolica che nella notte del rapimento un gruppo di ribelli del Ltte ha fatto irruzione nell’istituto, trovando i ragazzi che non erano andati a trascorrere le feste da amici e conoscenti. Padre Arush Eric Roshan, responsabile della struttura, si è opposto ai ribelli insieme al suo assistente. Dopo aver picchiato i due sacerdoti il gruppo ha legato mani e piedi dei ragazzi, per lo più dodicenni, portandoli via. Erano destinati a diventare soldati tra le file delle Tigri tamil. Dopo il sequestro una gruppo di una trentina di sacerdoti della zona ha inviato un appello ai membri del Ltte chiedendo la liberazione dei 16. Gli stessi preti avevano iniziato ieri uno sciopero della fame per riottenere il rilascio dei ragazzi. Nei giorni seguiti all'annuncio del rapimento anche la Chiesa locale faticava a ottenere notizie più precise sui fatti. Mentre si attendevano notizie più chiare sui fatti di Dharmapuram, anche Chamila Livera, buddista e project manager della ong Amurt International, spiegava ad AsiaNews: “Se è vero, il rapimento dei 16 bambini dall’orfanotrofio cattolico è l’ennesimo fatto che prova l’uso che l’Ltte fa dei bambini nella guerra”. Da tempo infatti i ribelli Tamil sono accusati di far ricorso a bambini soldato nelle loro azioni contro il governo di Colombo. Cifre non ufficiali documentavano che dal 2002 al 2007 l’Ltte aveva reclutato almeno 2mila bambini tra le sue fila. Le proteste della comunità internazionale avevano portato i ribelli a lasciare liberi i ragazzi affermando che si trattava per lo più di volontari e che molti di essi avevano mentito sulla loro reale età al momento del reclutamento. Ma lo sfruttamento dei minori nella guerra tra le forze governative (Sla) e ribelli Tamil rimane una piaga tutt’ora diffusa. Nei giorni successivi alla notizia del rapimento dei 16 ragazzi dell’orfanotrofio di Dharmapuram, i ribelli del Ltte avevano mostrato le foto dei documenti di un soldato dello Sla ucciso il 28 dicembre. Il militare aveva solo 17 anni. (M.G.)
La drammatica testimonianza del parroco di Gaza: "Mancano medicinali, la gente vive nel terrore"
◊ C’è un posto a Gaza dove la speranza di pace non sta cedendo all’escalation di terrore e violenza. Questo posto è la parrocchia della Santa Famiglia, l’unica chiesa cattolica su tutto il territorio controllato da Hamas. Il parroco, padre Manuel Musallam, è il punto di riferimento della comunità cristiana di Gaza e in queste ore sta impegnando il suo tempo telefonando alle famiglie della comunità, prestando aiuti e visitando gli ospedali. La sua accorata testimonianza, rilasciata alla Misna, delinea le drammatiche proporzioni dell’emergenza umanitaria che sta scuotendo la popolazione civile. “Non ci sono sufficienti medicinali – racconta padre Musallam all’agenzia - i medici operano come possono nei corridoi anche senza anestesia; centinaia di feriti affollano le corsie, mentre fuori si vive nella paura di essere colpiti da qualche ‘bomba intelligente’ o di essere troppo vicini a un edificio che gli israeliani considerano ‘obiettivo sensibile’. No, non è questa la strada che porterà alla pace”. Pace è la parola che più ricorre nelle parole di padre Musallam; ‘barbarie’ segue subito dopo: “Tanto sono sofisticate le armi che stanno usando, tanto sono barbare e violente le conseguenze". C’è calma in queste ore a Gaza, il cielo è grigio, piove, i bombardamenti sono concentrati sulla costa, la gente ha ripreso a uscire per procurarsi un po’ di pane. “Tutti sanno però che durerà poco - conclude il sacerdote - ed io, sentendo i pianti delle donne per i figli e i mariti caduti, vedendo ciò che succede e che sono sicuro non porterà alla pace ma a nuovi lutti, ho il cuore gonfio di tristezza e penso che, forse, questo è il nostro destino”. Dopo quattro giorni di attacchi aerei la martoriata popolazione civile ha comunque potuto tirare un sospiro di sollievo per l’arrivo del primo camion carico di materiale sanitario e di medicine. Il mezzo è entrato nella Striscia insieme due team di Medici Senza Frontiere (Msf), che si sono messi subito all’opera negli ospedali sovraffollati. Lo ha reso noto la stessa organizzazione internazionale, da decenni presente nell'area. (M.G.)
Il Consiglio ecumenico delle Chiese e la Caritas: sia tregua a Gaza
◊ Fra il coro di appelli per il cessate il fuoco nella Striscia di Gaza si stagliano quelli del Consiglio ecumenico delle Chiese (Wcc) e della Caritas Gerusalemme. Chi è impegnato ogni giorno a costruire la pace in Terra Santa vede in questi giorni cadere ogni speranza. Le violenze perpetrate da entrambe le parti stanno, infatti, cancellando tutti i passi faticosamente percorsi sul difficile sentiero della pace, tracciato anche dalle organizzazioni religiose. E chi è tutt’ora all’opera fra le macerie di Gaza, per portare soccorso alla popolazione civile, auspica l’immediato intervento di tutti i soggetti internazionali. “I governi della regione, la Lega araba, gli Stati Uniti, l’Unione Europea e le Nazioni Unite – si legge in un messaggio del Wcc raccolto dall’Osservatore Romano - devono utilizzare i loro buoni uffici per fare in modo che tutti coloro che sono a rischio vengano protetti da entrambi i lati del confine e devono assicurare l’accesso agli aiuti di emergenza e medici”. “La morte la sofferenza degli ultimi giorni – prosegue il comunicato – sono spaventosi e vergognosi e non otterranno altro che nuove morti e nuova sofferenza”. Nella nota il Consiglio ecumenico delle Chiese sottolinea poi che l’eventuale utilizzo delle forze di terra non farebbe altro che aggravare l’attuale disastro. “Nei paesi coinvolti nel conflitto – si afferma infine nel messaggio – le Chiese e i loro membri chiedono ai governi di iniziare l’urgente lavoro di assicurare un futuro più certo a israeliani e palestinesi. I governi devono ora essere responsabili della pace”. Anche la Caritas Gerusalemme è intervenuta rivolgendo le sue preoccupazioni alle popolazioni colpite dalle violenze: “Sono già troppe le vittime innocenti. Noi condanniamo ogni violenza: i razzi lanciati dalla Striscia e i bombardamenti israeliani”. “Così vi saranno solo ulteriori spirali di violenza”. Una testimonianza diretta della drammatica situazione di Gaza arriva invece da padre Firas, parroco di Aboud, vicino a Ramallah, che parla di popolazione accerchiata per via della chiusura dei valichi con l’Egitto. La mancanza di carburante ha portato al taglio dell’elettricità e di conseguenza è impossibile far funzionare le apparecchiature degli ospedali. Non va meglio per approvvigionamento di beni di prima necessità come medicinali e viveri. Caritas Gerusalemme lancia quindi un appello per rispondere ai bisogni più urgenti della popolazione. (M.G.)
Onu e Caritas in aiuto degli sfollati del Kivu
◊ Non c’è pace per le martoriate province orientali della Repubblica Democratica del Congo. All’offensiva dei ribelli di Kunda, nelle ultime settimane si sono aggiunte le incursioni dei ribelli ugandesi dell’Lra. A fronteggiare questa nuova emergenza si trova di nuovo in prima linea l’Ufficio dell’Onu per il coordinamento degli affari umanitari (Ocha) in collaborazione con la Caritas. Ieri a Dungu, uno dei principali centri della Provincia orientale, si è conclusa la prima fase della distribuzione degli aiuti umanitari organizzata dal dipartimento dall’ Ocha e dall’organizzazione umanitaria cattolica. Sul terreno però resta grave l’emergenza umanitaria. Secondo fonti dell’Ocha sentite dalla Misna, fino al 19 dicembre gli sfollati della regione erano circa 54 mila; le stesse fonti hanno detto che, in seguito agli attacchi degli ultimi giorni contro diversi villaggi, altre migliaia di persone sono state costrette ad abbandonare le loro case. La possibilità di avere un quadro completo della situazione è resa difficile dalla mancanza di collegamenti, anche telefonici, in una tra le regioni più remote della Repubblica Democratica del Congo. Secondo fonti locali della Misna i ribelli dell’Lra, dopo essere riusciti a sfuggire a un’offensiva aerea congiunta di militari ugandesi, congolesi e del Sud-Sudan, si sono divisi in piccoli gruppi e sfruttando la conoscenza del territorio hanno a loro volta attaccato diversi villaggi. “In base alle ultime informazioni che siamo riusciti a raccogliere grazie a collegamenti radio o per telefono, il bilancio supera le 500 vittime - ha detto il direttore della Caritas della diocesi di Dungu-Doruma, Come Mbolingaba - un numero più pesante e ancora parziale rispetto a quello di 400 da noi diffuso ieri”. Per la Caritas almeno 150 persone sono state uccise a Faradje, 48 a Bangadi, 244 a Doruma e almeno 78 a Duru; la stessa fonte riferisce che altre persone sono sicuramente state uccise in luoghi più remoti e che attacchi e violenze stanno continuando anche in queste ore. Secondo fonti missionarie la stima della Caritas dovrebbe essere attendibile; le stesse hanno però aggiunto che bisognerebbe fare uso di cautela per evitare allarmismi come la notizia di un falso attacco che ieri ha messo in fuga gli abitanti di un intero quartiere di Dungu. Nella confusione determinata sia dall’insicurezza generale che dalla difficoltà di comunicazioni, l’Ocha ha sottolineato che nulla è veramente verificabile in questo momento fino in fondo. Sulla vicenda è intervenuto da Kampala, in Uganda, un portavoce dell’Lra sentito dall’agenzia ‘France Press’ che ha accusato degli attacchi i soldati delle forza congiunta che da alcune settimane ha cominciato un’operazione in grande scala contro i ribelli. Nella ridda di dichiarazioni, smentite e contro, resta la certezza, confermata da fonti locali, della presenza di migliaia di sfollati che hanno abbandonato case e campi coltivati e che dipendono adesso dagli aiuti umanitari. (M.G.)
India: segnali contrastanti sulle violenze anticristiane
◊ India: continua il clima di tensione nei confronti dei cristiani, ma non mancano alcuni segnali di speranza per un futuro di pacificazione. Situazioni diverse in due Stati del Paese: il Jharkhand e il Jammu e Kashmir. In Jharkhand i cattolici hanno espresso preoccupazione per le rapine avvenute in due parrocchie del capoluogo, la città di Ranchi. L’arcivescovo, il cardinale Telesphore Placidus Toppo, ha sottolineato che “le rapine sono avvenute in due parrocchie vicine prima di Natale e non sappiamo se l’intenzione era soltanto quella di rubare o causare disordini”. Le azione nelle chiese sono state compiute da due bande armate che hanno portato via denaro, che, tra l’altro era stato raccolto grazie alle donazioni dei parrocchiani per aiutare le vittime della persecuzione anticristiana in Orissa. Il cardinale ha concluso: “Siamo preoccupati perché questi fatti stanno disturbando le nostre attività nelle parrocchie e nei villaggi remoti, ma noi non possiamo fermare la nostra missione”. Dal Jammu e Kashmir, arrivano invece commenti postivi della Chiesa locale sui risultati delle ultime elezioni per il rinnovo dell’assemblea legislativa. Il vescovo di Jammu-Srinagar, mons. Peter Celestine Elampassery, ha affermato: “è ciò che speravamo”. Le rappresentanze del National Conference e del People’s Democratic Party hanno, tra gli altri, ottenuto rispettivamente ventotto e ventuno seggi. Dalla Chiesa locale si leva l’auspicio che il nuovo governo agisca per aiutare la popolazione in difficoltà dando incoraggiamento ai volontari che operano per portare aiuti nei villaggi. (V.V.)
Colera in Zimbabwe: 1600 i morti
◊ Oltre 1600 vittime e più di 30.000 casi di contagio. È il quadro dell’epidemia di colera nello Zimbabwe descritto da un rapporto dell’Organizzazione mondiale per la sanità (OMS). Secondo il documento, il numero delle vittime, dall’inizio dell’epidemia in agosto, è arrivato a 1608, mentre i casi di contagio sarebbero 30.365 (registrati in 53 dei 62 distretti del Paese). In linea con le valutazioni delle ultime settimane, gli esperti dell’OMS sottolineano la diffusione nazionale della malattia, che non risparmia nessuna delle 10 province dello Zimbabwe. Il colera - si afferma nel rapporto, ripreso dall’agenzia Misna - ha provocato 331 decessi nel distretto di Harare, ma colpisce duramente anche i distretti di Mudzi (104 vittime) e Makonde (74), nelle province di Mashonaland orientale e occidentale; molto grave è anche la situazione nei distretti di Chegutu, sempre nel Mashonaland occidentale, e di Beitbridge, nel Matabeleland meridionale, quasi al confine con il Sudafrica. Il quotidiano filo-governativo “The Herald” ha pubblicato sull'emergenza colera un ampio articolo: oltre ai dati diffusi dalle organizzazioni internazionali, si riferisce degli aiuti annunciati ieri dalla Corea del Sud, per l’equivalente di circa un milione di euro, e dal Botswana, che fornirà tre tonnellate e 700 chilogrammi di prodotti chimici per depurare l’acqua. (V.V.)
Nota dei vescovi del Paraguay su presunte divisioni interne
◊ “Riuniti in assemblea straordinaria, in un clima di preghiera ed invocazione dello Spirito Santo, i vescovi della Conferenza episcopale paraguaina nel pomeriggio di ieri hanno dialogato in maniera franca, fraterna ed ecclesiale con frutti buoni ed evangelici”. Così si apre un comunicato reso pubblico ieri al termine della plenaria episcopale. “Abbiamo analizzato gli ultimi avvenimenti che tutti hanno potuto conoscere tramite la stampa sui problemi sorti nella diocesi di Ciudad del Este”, si legge nel documento che prosegue: “Riconosciamo le difficoltà che esistono nella nostra Chiesa, e alla luce del Vangelo, degli insegnamenti del Vaticano II e del magistero del Santo Padre, siamo disposti ad assumerle. Come afferma Sant'Ireneo nel sec. II: 'Non si redime se non ciò che si assume'. Quindi, per la tranquillità di tutti i fedeli, preoccupati di fronte a questi fatti, vogliamo ribadire la scelta che abbiamo fatta con il piano per l’Azione pastorale della Chiesa in Paraguay e che concerne la comunione ecclesiale e la coerenza di vita, cominciando in primo luogo da noi stessi, pastori”. Rivolgendosi direttamente al popolo del Paraguay e in particolare ai cristiani, i presuli, chiedono alle loro comunità “che li accompagnino in questo cammino di ricerca della convergenza e della convivenza che i vescovi hanno deciso”. “Vogliamo seguire gli orientamenti della Chiesa per rinforzare la collegialità episcopale, in comunione con la Santa Sede e con tutto il Popolo di Dio, che pellegrina sotto la nostra guida pastorale. Vogliamo essere discepoli e missionari di Gesù Cristo affinché il nostro Popolo in Lui abbia la vita in abbondanza”. “Invochiamo - concludono i vescovi paraguaini - la protezione della nostra Madre Santissima di Caacupé così come l’intercessione del primo santo paraguaiano, Roque González de Santa Cruz”. (A cura di Luis Badilla)
Cuba: ordinati due nuovi sacerdoti
◊ Il 2008 per la Chiesa di Cuba si chiude - dopo le celebrazioni del decimo anniversario della storica visita di Giovanni Paolo II alla presenza dell’Inviato del Santo Padre, il cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone, latore di un messaggio del pontefice - con un’altra buona notizia: l’ordinazione, tre giorni fa, di due nuovi sacerdoti dell’Ordine dei Predicatori. “L’ordinazione di Adreano Fuentes e Lester Zayas”, secondo mons. Wilfredo Pino Estevez, vescovo di Guantánamo-Baracoa, che ha presieduto la cerimonia “è un dono inestimabile che il Signore regala ai cubani e alla loro Chiesa anche perché la prima cosa di cui abbiamo bisogno è di nuovi e giovani pastori”. “Questo dono - ha aggiunto - è frutto delle preghiere e dunque non ci dobbiamo stancare mai di chiedere al Signore più pastori per annunciare la sua Parola”. Nella sua omelia mons. Wilfredo Pino a più riprese ha ricordato “le gravi difficoltà che affronta la chiesa cubana per via della scarsità drammatica di personale pastorale, soprattutto sacerdoti”. Negli ultimi anni i permessi rilasciati dalle autorità per consentire l’ingresso dei missionari sono cresciuti e le procedure amministrative sono meno farraginose, con tempi di attesa contenuti, ma c’è ancora molto da fare per raggiungere la normalità desiderata. Tra l’altro la chiesa a Cuba continua a crescere, non solo in quanto comunità ecclesiale, ma anche per quanto riguarda i suoi impegni concreti nell’ambito della promozione umana, che in molti casi si svolge in coordinamento con numerose istituzioni statali. E proprio su questa materia, in una ricorrenza così rilevante come i 50 anni della rivoluzione cubana, che saranno celebrati solennemente domani 1° gennaio, si sta sviluppando un ampio dibattito del quale fa eco la rivista dell’arcidiocesi dell’Avana “Palabra Nueva”. Orlando Márquez, capo redattore firma un articolo che auspica un ampliamento e migliori definizioni delle aree in cui Chiesa e stato possono e devono collaborare: dall’assistenza sociale, al campo della salute pubblica, passando per la cura degli anziani e nell’ambito dell’educazione, in particolare dei bambini e adolescenti. Si tratta, si legge nell’articolo “di sviluppare i progetti che già esistono e di aprire anche nuove vie per una collaborazione a beneficio dell’intera società”. Attualmente in diverse città dell’isola caraibica le diocesi e le congregazioni religiose gestiscono, con una sovvenzione dello Stato oltre ai mezzi propri, case per anziani e centri di cura medico-clinica per malati con patologie severe. Le prospettive, nonché le proiezioni, rivelano un futuro ancora più impegnativo per il popolo cubano di fronte all’allungarsi della vita, e, di fatto, a Cuba la popolazione anziana aumenta velocemente; dall’altra parte, nel settore giovanile, soprattutto tra gli adolescenti, sono sorti problemi gravi con delle conseguenze sociali rischiose. Sono campi in cui secondo “Palabra Nueva” “la collaborazione può essere ampliata” e le “previsioni della domanda lo dimostrano”. L’editorialista riflette anche sulla questione di una possibile collaborazione “nel campo educativo”, materia delicata non solo perché dal 1961 – data della nazionalizzazione del sistema educativo con esproprio dei beni che appartenevano al settore privato, compresa la Chiesa cattolica - ogni tipo di educazione è riservata solo allo Stato, ma anche perché sulla questione la rivoluzione cubana è stata sempre molto gelosa. Secondo Orlando Márquez, il “problema che si pone oggi non è tanto quello di restituire le proprietà bensì di permettere che possano essere invitati educatori cattolici, consacrati e non, a collaborare negli attuali centri educativi”. (L. B.)
L'aiuto della Chiesa filippina agli immigrati
◊ Il fenomeno dell’emigrazione all’estero di una parte consistente di lavoratori filippini è destinato a permanere nonostante gli effetti negativi delle crisi economica mondiale. È quanto sostiene mons. Precioso D. Cantillas, vescovo di Maasin, parlando a nome della Commissione episcopale per i migranti e gli itineranti della Conferenza dei vescovi cattolici delle Filippine. Il presule, in una intervista ha dichiarato che, come evidenziato durante il Global forum sulle migrazioni e lo sviluppo tenutosi a Manila lo scorso autunno, nel contesto economico attuale “le migrazioni rappresentano anche un fattore di sviluppo”. Il vescovo ha anche sottolineato che è necessario che siano protetti i valori dell’individuo e quelli che riguardano più in generale la dignità umana. Tra i tanti compiti della Chiesa cattolica delle Filippine, c’è anche quello della cura spirituale dei lavoratori migranti sia presso le sedi estere, sia nel momento del loro ritorno in patria. In questa Nazione è molto diffuso il fenomeno delle famiglie divise e dell’abbandono dei minori a causa delle prolungata assenza dei genitori, impegnati a lavorare oltreoceano. La Chiese filippina offre ai migranti strutture per assistenza spirituale e protezione dagli abusi. (V. V.)
Capodanno di solidarietà delle comunità cattoliche piemontesi per le due suore rapite in Kenya
◊ Pregare e tenere alta l’attenzione dell’opinione pubblica e delle istituzioni. È questo l’obiettivo che animerà le iniziative, in programma la notte di oggi e domani, primo dell’anno, dedicate a Maria Teresa Olivero e Caterina Giraudo, le due suore del Movimento Contemplativo "Padre de Foucauld" di Cuneo, rapite in Kenya a inizio novembre. A mobilitarsi saranno le comunità e i fedeli della terra delle due religiose, il Piemonte. Tra gli appuntamenti di questa sera la veglia (con inizio alle 22 e celebrazione eucaristica a mezzanotte) alla Città dei Ragazzi, a Cuneo, sede del movimento contemplativo missionario Padre de Foucault; il Cenone del Digiuno , presso l'Auditorium dell'Arsenale della Pace di Torino, animato da oltre trecento giovani provenienti da tutta Italia e, infine, la Marcia della Pace sempre nel capoluogo piemontese, che si snoderà lungo le vie del centro della città fino al Duomo, dove alle 24 è prevista la celebrazione eucaristica presieduta dal cardinale Severino Poletto. Domani, invece, fra gli eventi dedicati alle due consorelle troviamo la tradizionale fiaccolata della pace che si svolge al tramonto del primo giorno dell'anno a Boves (paese d'origine di Suor Caterina e nella cui chiesa è sempre accesa una lampada, a simboleggiare la preghiera continua), lungo le vie della cittadina, che sarà intitolata quest'anno: "Diamo luce ai diritti negati”. Saranno momenti forti di preghiera e di riflessione, sia per la comunità religiosa di cui le due suore fanno parte, sia per il mondo cattolico piemontese, in un momento di sofferenza per la mancanza di informazioni sull'evolversi della vicenda. I familiari delle due religiose e i membri della comunità religiosa cuneese hanno intanto espresso la loro gratitudine al Santo Padre che all'Angelus di Santo Stefano ha invitato tutta la Chiesa a pregare per le due sorelle. Infine, sul fronte politico, il ministero degli Esteri ha confermato per i primi di gennaio la missione di Margherita Boniver in Kenya e in Somalia, nella zona dove sono state sequestrate le due donne. (M.G.)
Bologna: Capodanno vicino a chi è in difficoltà
◊ L'ultima notte dell'anno è un momento delicato per chi è in difficoltà, ma la solidarietà non si ferma. E per questo le mense della Caritas di Bologna rimarranno aperte come sempre, soprattutto per i senza dimora della città, ma non solo: "In questa periodo dell'anno c'e qualche ospite in più - spiega il direttore della Caritas bolognese Paolo Mengoli - si tratta soprattutto di persone sole, che durante le feste si sentono ancora più in difficoltà". E le festività sono un momento critico anche per la violenza domestica. "Nel 2008 abbiamo assistito per la prima volta 500 donne - spiega Angela Romanin, della 'Casa delle donne per non subire violenza' - e durante le feste di solito le richieste d'aiuto aumentano". L'anno nuovo tuttavia si festeggerà nelle due case rifugio dell'associazione, anche perchè fra gli ospiti non mancano i bambini. Per l'occasione la 'Casa delle donne' lancia un appello ai cittadini: i "rifugi" infatti necessitano di alcuni oggetti di uso quotidiano come lenzuola, pentole, lampadine a risparmio energetico, ma anche giochi e film per bambini. Anche il mondo dello spettacolo si mobilita con un'iniziativa all'insegna della solidarietà. AI teatro Manzoni alle 21.30 va in scena "Afrika! Afrika!", show di musiche e danze africane dell'omonima compagnia teatrale che riunisce artisti provenienti da 17 Paesi del continente. La serata proseguirà poi con un ballo, una cena a buffet e una lotteria di Capodanno a favore del CEFA, onlus impegnata in Africa con progetti di sviluppo rurale integrato e sostenibile, per sconfiggere la fame e la poverà. (V.V.)
Verona: torna il tradizionale "Ultimo con gli Ultimi"
◊ La Caritas diocesana veronese e il Centro di Pastorale Giovanile, organizzano anche quest’anno il tradizionale "Ultimo con gli Ultimi", "un'esperienza di condivisione, servizio, riflessione, preghiera e festa - precisa la Caritas - con quanti vivono le festività in solitudine e malattia". Il programma è partito, come sempre, con la tre giorni “in attesa”, dal 28 ad oggi a Casa Serena, con un piccolo campo invernale per ragazzi e ragazze dai 19 ai 30 anni. Ci sono stati incontri con testimoni e luoghi della carità, momenti di silenzio personale e di confronto di gruppo. Nel pomeriggio i ragazzi che hanno aderito al campo (circa 50) si uniranno agli altri 250 che si sono aggiunti per la giornata di fine anno. I giovani si ritroveranno al Seminario di S. Massimo con un momento di riflessione sui tema: "Dalla schiavitu alla liberta". Dalle ore 19.30 alle 21.00 il Seminario riaccoglierà i giovani per affrontare un percorso di condivisione delle esperienze fatte. Dalle 21.15 ci sarà la veglia di preghiera aperta a tutti e alle 22.30 la S. Messa con mons. Giuseppe Zenti, Vescovo di Verona. Dopo la celebrazione ci sarà un po' di festa insieme ma sempre con uno stile di sobrietà: un rinfresco frugale, a cui i ragazzi contribuiscono con 10 euro, farà da contorno allo scambio di auguri e il ricavato sarà devoluto per sostenere un progetto di solidarietà. (V.V.)
Corso intensivo di pastorale vocazionale dal 2 gennaio a Roma
◊ “Dalla paura alla speranza”. È questo il titolo del corso intensivo di pastorale vocazionale che si terrà dal 2 al 5 gennaio 2009, a Roma, organizzato dall’Istituto Superiore di Scienze Religiose dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum. La Chiesa cattolica guarda al futuro con grande speranza. Il Concilio Vaticano II ha sottolineato la necessità di un impegno universale di tutti gli uomini e le donne di buona volontà, laici e consacrati, per una nuova evangelizzazione. In questo contesto di rinnovato entusiasmo la vita consacrata rappresenta un elemento indispensabile per lo sviluppo della Chiesa, proponendosi come una presenza viva ed attiva anche nel terzo millennio. Tra i temi del corso: la pastorale vocazionale come segno di speranza della comunità, la fantasia della pastorale vocazionale e la missione dell’animatrice vocazionale come portatrice di speranza. Le lezioni saranno tenute dai docenti dell’istituto: German Sánchez, Padre Sergio Barbosa, Lourdes Santos e Daniela Muñoz. L’obiettivo dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, nato nel 1999, è quello di formare i diversi membri del popolo di Dio nelle aree accademiche di loro competenza, con un grande senso pastorale che permetta di svolgere efficacemente l’apostolato nella Chiesa, tramite la Chiesa e per la Chiesa. L’Istituto, collegato alla Facoltà di Teologia, offre: corsi estivi, annuali, a domicilio, a distanza e tramite Internet. I corsi hanno lo scopo di offrire alle persone costituite in autorità all’interno di ciascun Ordine, un aiuto teologico, pastorale e spirituale per la formazione di comunità religiose sane, equilibrate, amanti del proprio carisma istituzionale e al servizio delle necessità della Chiesa. (V.V.)
Scontri e attentati in Afghanistan e Iraq
◊ Nelle ultime ore, diciassette insorti islamici sono stati uccisi in Afghanistan nel corso di due operazioni condotte dalle Forze internazionali in collaborazione con l'esercito afghano. Le aree interessate dalle operazioni sono la provincia di Kabul e il territorio ad est del Paese. Nella provincia di Kabul, a circa 35 km dalla capitale, le truppe americane e afghane hanno ucciso 11 ribelli nel corso di un’operazione contro Hezb-e-Islami, il gruppo armato radicale del capo militare, Gulbuddin Hekmatyar. Sei combattenti islamici sono stati uccisi in bombardamenti aerei durante un'altra operazione condotta ieri unitamente alle forze afghane nell'est del Paese. Secondo altre fonti, negli scontri vi sarebbero state anche vittime civili.
Iraq
Due civili iracheni sono stati uccisi e altri nove sono rimasti feriti stamani dall'esplosione di due ordigni a Mossul, a nord di Baghdad. Sempre dall'esplosione di un ordigno, anche due soldati iracheni, dei quali un ufficiale, sono stati uccisi e altri due feriti nella provincia nord-orientale di Diyala. Intanto, oggi, il governo iracheno ha stipulato due accordi con i rappresentanti di Australia e Gran Bretagna per regolare lo status delle truppe dei due Paesi che rimarranno in Iraq fino al prossimo 31 luglio. Sono state fissate anche le modalità di coordinamento tra l'esercito iracheno e le truppe britanniche e australiane. La stipula dell'accordo è stata resa possibile dopo che il 23 dicembre scorso il parlamento iracheno ha approvato la legge che regola la presenza di truppe straniere non americane entro il 31 luglio 2009. Inoltre, sempre oggi il Ministero del petrolio iracheno ha concesso l'autorizzazione a compagnie straniere per l'esplorazione e l'estrazione in 11 pozzi nel nord-est, sud e sud-est del Paese. Le prime autorizzazioni a compagnie straniere per otto pozzi iracheni erano state concesse a giugno scorso. L'Iraq è il terzo Paese al mondo per riserva di petrolio, ma la sua produzione è ancora limitata a causa dell'insufficienza di infrastrutture determinata da anni di embargo e guerre.
Questione energetica tra Russia e Ucraina
Il colosso energetico russo Gazprom ha annunciato che chiuderà domani i flussi di metano destinati all'Ucraina, dato che non è stato raggiunto nessun accordo sul rinnovo dei vecchi contratti, né saldato totalmente il debito di Kiev verso Mosca. Il numero due di Gazprom, Aleksandr Medvedev, ha precisato che la chiusura potrà avvenire, in caso di mancato accordo dell'ultimo minuto, alle 10 del mattino, ora di Mosca, le 8 italiane. Kiev ha minacciato di sequestrare il metano in transito nei suoi tubi verso l'Europa se Mosca chiuderà il rubinetto ucraino. La fine dell'anno ripete dunque un copione ben noto nei tesi rapporti energetici fra Russia e Ucraina: a poche ore dalla scadenza dell'ultimatum di Mosca, la mezzanotte di oggi, per un nuovo accordo a prezzi "europei", le parti continuano ad essere distanti. I media parlano della possibile visita in extremis della premier, Iulia Timoshenko, magari con un pacchetto di offerte politiche. Ma i suoi portavoce al momento non escludono nè confermano l'eventualità.
Belgio
La crisi di governo più drammatica e lunga della storia del Belgio, che da un anno si regge con un esecutivo a singhiozzo, si è risolta con una incredibile velocità 48 ore dopo l'incarico assegnato dal re Alberto II al cristiano-democratico fiammingo, Herman Van Rompuy. Il nuovo staff ha giurato oggi e venerdì prossimo è previsto il voto di fiducia del parlamento. Quasi sostanzialmente invariato rispetto al Leterme I, il nuovo governo sarà guidato da Van Rompuy, proprio colui che più volte nei giorni scorsi aveva dichiarato di non voler diventare il nuovo premier. “Premier suo malgrado”, lo ha definito la stampa belga. Invariati gli equilibri nell'ambito della coalizione dei cinque partiti di maggioranza, due fiamminghi e tre francofoni (cristiano-democratici fiamminghi o Cvd di cui fa parte Van Rompuy, cristiano-democratici francofoni, liberali fiamminghi e quelli francofoni e i socialisti francofoni): tutti i nuovi incarichi rispettano infatti la precedente distribuzione politica. Van Rompuy succede a Yves Leterme, uscito di scena lo scorso 19 dicembre dopo essere stato accusato di aver fatto pressioni sulla giustizia nell'ambito del salvataggio della Banca Fortis. Primo incarico del nuovo esecutivo sarà proprio stabilire i confini della commissione d'inchiesta che farà luce sul "Fortisgate". Bisogna ricordare che a giugno 2009 il Paese andrà alle urne per delicate elezioni amministrative.
Malawi
Nella capitale del Malawi, Lilongwe, è esplosa la scorsa settimana un'epidemia di colera, che avrebbe causato finora 11 morti, mentre i contagiati risultano essere 248. Una parte del Malawi è vicina allo Zimbabwe, dove dalla metà dello scorso agosto il colera ha già ucciso almeno 1.608 persone, stando ai dati forniti ieri dall'Organizzazione mondiale per la sanità. Da tempo, si denuncia il rischio di contagio ai Paesi vicini.
Da domani per un anno la Grecia è presidente dell’OSCE
La Grecia assumerà domani e per la durata di un anno la presidenza dell'Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa), in un periodo segnato dalla pesante crisi economica e finanziaria mondiale e dalle conseguenze del conflitto armato dello scorso agosto tra Russia e Georgia. Il ministro degli Esteri ellenico, Dora Bakoyannis - che illustrerà le priorità della presidenza greca il 15 gennaio prossimo nella sede dell'Osce a Vienna - ha tuttavia già posto l'accento sui punti fermi del suo programma. Atene “dedicherà un'attenzione tutta particolare alla regione del Caucaso e dell'Asia centrale, in particolare dopo la crisi in Georgia”, ha detto il ministro il mese scorso, parlando a una riunione di ambasciatori e annunciando una serie di visite nella regione del Caucaso sin dall'inizio del mandato di presidenza dell'Osce. Per il ministro degli Esteri greco, la crisi caucasica “può essere l'occasione per costruire un nuovo sistema di sicurezza sulla carta geopolitica dell'Europa che tenga conto dell'allargamento dell'Unione europea, della Nato e del ruolo strategico della Russia”, Paese quest'ultimo con il quale la Grecia mantiene relazioni strette.
Bangladesh
Gli osservatori dell'Unione europea hanno convalidato le elezioni legislative in Bangladesh, vinte dalla ex premier Sheikh Hasina, affermando che il voto è stato credibile e che esso è stato riflesso della "volontà del popolo del Bangladesh”. Proprio l'ex primo ministro del Bangladesh ha ribadito che le elezioni sono state libere e trasparenti e ha invitato l'opposizione ad accettare la sconfitta. Hasina ha pure chiesto cooperazione, invitando la sua storica rivale, egualmente ex primo ministro, Khaleda Zia, ad accettare il verdetto elettorale, e dichiarandosi nel contempo disponibile a dividere il potere con la coalizione sconfitta, attribuendole posizioni in parlamento e anche a livello ministeriale. Alla sua prima conferenza stampa dopo la vittoria, Hasina ha detto che essa vale per tutta la nazione e che il suo governo lavorerà con tutti nell'intento di stabilire una nuova cultura politica.
Filippine
Una persona è morta ed altre quattro sono rimaste ferite ieri sera in due diversi episodi terroristici sull'isola di Mindanao, nel sud delle Filippine. Vicino alla città di Esperanza un kamikaze è morto ed un poliziotto è rimasto ferito per l'esplosione accidentale della bomba artigianale che l'attentatore portava addosso: l'ordigno è esploso durante un controllo della polizia ad un posto di blocco. In un sobborgo di General Santos, tre persone - tra le quali un poliziotto - sono rimaste ferite nella deflagrazione di un ordigno lanciato contro un posto di polizia. Nella città di Isulan, invece, la polizia ha disinnescato alcuni ordigni esplosivi piazzati in un bus. Nel sud delle Filippine sono attivi i ribelli separatisi del Fronte Moro islamico di liberazione (Milf).
Coree
Quattro cittadini nordcoreani sono fuggiti nella Corea del sud, che hanno raggiunto via mare a bordo di una barca, secondo quanto riferito da una fonte dei servizi segreti di Seul che non ha fornito dettagli sull'episodio. L'agenzia di stampa sudcoreana Yonhap ha precisato da parte sua che i quattro fuggitivi erano componenti di una stessa famiglia fuggiti a bordo di una piccola barca di legno. Sono stati tratti in salvo da un nave sudcoreana, che li ha intercettati al largo delle coste occidentali del Paese. (Panoramica internazionale a cura di Fausta Speranza)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LII no. 366
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