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Sommario del 25/12/2008

Il Papa e la Santa Sede

  • Messaggio Urbi et Orbi di Benedetto XVI: la luce di Betlemme si diffonda in Terra Santa, in Africa e risplenda dove prevalgono gli egoismi
  • “Su ogni bambino c’è il riverbero del Bambino di Betlemme”: così il Papa nella Santa Messa di Natale nella Basilica vaticana
  • Inaugurato ieri pomeriggio il presepio di piazza San Pietro. Subito dopo Benedetto XVI ha acceso alla sua finestra il lume della pace
  • Oggi in Primo Piano

  • Natale nel mondo: gioia e speranza nei cinque Continenti
  • Chiesa e Società

  • La crisi economica e finanziaria in America Latina: riflessioni dei vescovi in occasione del Natale
  • Messaggio augurale della Conferenza episcopale boliviana per il Natale
  • Corea del Sud: messaggio natalizio della Commissione episcopale per la Famiglia
  • La Fondazione Migrantes ricorda le stragi dei bambini in tutto il mondo
  • Migranti: per il Guatemala record di rimpatri dagli Usa nel 2008
  • Testimonianza di un missionario che vive alla periferia del Cairo
  • Thailandia: il Natale diventa occasione di dialogo interreligioso
  • In Senegal una scuola cattolica dedica un monumento al dialogo fra le religioni
  • Genova, città del presepe: nel capoluogo ligure notevoli esempi dell’arte presepiale
  • Grande successo per www.Xt3.com, social network lanciato in occasione della GMG
  • Il Papa e la Santa Sede



    Messaggio Urbi et Orbi di Benedetto XVI: la luce di Betlemme si diffonda in Terra Santa, in Africa e risplenda dove prevalgono gli egoismi

    ◊   “La grazia di Dio è apparsa a tutti gli uomini”. “Per tutti è nato Gesù”, ogni persona possa sperimentare la potenza della grazia salvatrice di Dio, che “sola può cambiare il cuore di ogni uomo e renderlo un’oasi di pace”. Il riverbero del Bambino di Betlemme risplende con la sua luce anche tra i drammi di Paesi scossi da guerre e povertà. E’ l’annuncio di gioia e speranza di Benedetto XVI risuonato nella Santa Messa della Notte di Natale e ripetuto nel messaggio Urbi et Orbi, pronunciato questa mattina dalla loggia centrale della Basilica vaticana. Il Papa ha lanciato, in particolare, un accorato appello per la pace in Terra Santa e per alcuni Paesi dell’Africa segnati da profonde sofferenze. Ripercorriamo alcuni passaggi del Messaggio del Papa nel servizio di Amedeo Lomonaco:

    In questo mondo, con le sue speranze e le sue angosce, “è apparsa la grazia di Dio Salvatore”. La festa del Natale - afferma il Papa nel messaggio alla città di Roma e al mondo - è rischiarata da “un chiarore che si accende nella notte”: è quella di Gesù Bambino, “luce che si propaga” dissipando le tenebre. Riscaldata da questo chiarore risplende la preghiera del Santo Padre perchè la grazia di Dio possa essere sperimentata anche da “numerose popolazioni che ancora vivono nelle tenebre e nell’ombra di morte”.

    “La Luce divina di Betlemme si diffonda in Terra Santa, dove l’orizzonte sembra tornare a farsi cupo per gli israeliani e i palestinesi; si diffonda in Libano, in Iraq e ovunque nel Medio Oriente. Fecondi gli sforzi di quanti non si rassegnano alla logica perversa dello scontro e della violenza e privilegiano invece la via del dialogo e del negoziato, per comporre le tensioni interne ai singoli Paesi e trovare soluzioni giuste e durature ai conflitti che travagliano la regione”.

    La grazia di Dio “si è manifestata nella carne” e “ha mostrato il suo volto” illuminando la storia dell’uomo. Questa luce di Betlemme – aggiunge il Papa – illumini anche le martoriate terre dell’Africa:

    “A questa Luce che trasforma e rinnova anelano gli abitanti dello Zimbabwe, in Africa, stretti da troppo tempo nella morsa di una crisi politica e sociale che, purtroppo, continua ad aggravarsi, come pure gli uomini e le donne della Repubblica Democratica del Congo, specialmente nella martoriata regione del Kivu, del Darfur, in Sudan, e della Somalia, le cui interminabili sofferenze sono tragica conseguenza dell’assenza di stabilità e di pace”.

    Attendono questa luce – spiega il Papa – soprattutto i bambini di tutti i Paesi in difficoltà, “affinché sia restituita speranza al loro avvenire”. La luce del Natale – aggiunge il Santo Padre – risplenda in spirito di autentica solidarietà in ogni luogo e in ogni cuore:

    “Dove la dignità e i diritti della persona umana sono conculcati; dove gli egoismi personali o di gruppo prevalgono sul bene comune; dove si rischia di assuefarsi all’odio fratricida e allo sfruttamento dell’uomo sull’uomo; dove lotte intestine dividono gruppi ed etnie e lacerano la convivenza; dove il terrorismo continua a colpire; dove manca il necessario per sopravvivere; dove si guarda con apprensione ad un futuro che sta diventando sempre più incerto, anche nelle Nazioni del benessere; là risplenda la luce del Natale”.

    Nell’umile dimora di Betlemme Lo hanno incontrato poche persone, ma Gesù è venuto per tutti gli uomini, per ogni creatura.

    “Occorre però che l’essere umano l’accolga, pronunci il suo ‘si’, come Maria, affinché il cuore sia rischiarato da un raggio di quella luce divina”.

    Occorre ascoltare Gesù ancora infante che sembra dirci:

    “Non abbiate paura, ‘Io sono Dio, non ce n’è altri’ (Is 45, 22). Venite a me, uomini e donne, popoli e nazioni, venite a me, non temete: sono venuto a portarvi l’amore del Padre, a mostrarvi la via della pace”.

    Ad accogliere Gesù in quella notte sono stati Maria e Giuseppe, che lo attendevano con amore, ed i pastori, che vegliavano accanto alle greggi. “Anche oggi – osserva il Papa - coloro che nella vita Lo attendono e Lo cercano incontrano il Dio che per amore si è fatto nostro fratello”. Quanti hanno “il cuore proteso verso il Signore” desiderano conoscere il suo volto e contribuire all’avvento del suo Regno. Come ha detto Gesù nella sua predicazione, sono i poveri in spirito, gli afflitti, i miti, gli affamati di giustizia, i misericordiosi, i puri di cuore, gli operatori di pace, i perseguitati.

    “Questi riconoscono in Gesù il volto di Dio e ripartono, come i pastori di Betlemme, rinnovati nel cuore dalla gioia del suo amore”.

    “Andiamo, dunque, fratelli! Affrettiamoci – esorta il Papa - come i pastori nella notte di Betlemme. Dio ci è venuto incontro e ci ha mostrato il suo volto, ricco di grazia e misericordia”:

    “Non sia vana per noi la sua venuta! Cerchiamo Gesù, lasciamoci attirare dalla sua luce, che dissipa dal cuore dell’uomo la tristezza e la paura; avviciniamoci con fiducia; con umiltà prostriamoci per adorarlo. Buon Natale a tutti”.

     
    Al termine del Messaggio Urbi et Orbi, come da tradizione, il Papa ha pronunciato gli auguri di Natale in varie lingue, quest’anno in 64 idiomi. “In questo nostro tempo, segnato da una considerevole crisi economica – ha detto il Pontefice in lingua italiana - possa il Natale essere occasione di più grande solidarietà tra le famiglie e tra le comunità che compongono la cara Nazione italiana”. Tante espressioni linguistiche si sono poi alternate per annunciare infine, in latino, la Buona Notizia:

    “Apparuit gratia Dei Salvatoris nostri omnibus hominibus”.

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    “Su ogni bambino c’è il riverbero del Bambino di Betlemme”: così il Papa nella Santa Messa di Natale nella Basilica vaticana

    ◊   “Su ogni bambino c’è il riverbero del Bambino di Betlemme”: così il Papa, durante l’omelia pronunciata nella Santa Messa della notte di Natale nella Basilica Vaticana. Centrale, nelle sue parole, l’appello per l’infanzia maltrattata ed indifesa e per la pace in Medio Oriente. Il servizio di Isabella Piro:

    (Salmo: Oggi è nato per noi il Salvatore)

     
    È una questione di sguardi: quello dell’uomo che guarda verso l’alto, verso Dio, ma soprattutto quello di Dio, che guarda verso il basso e si china verso le sue creature. È partita da questa premessa l’omelia di Benedetto XVI, pronunciata in una Basilica di San Pietro gremita di fedeli e dominata dallo sguardo dolce e tenero di Maria. Per la prima volta, infatti, la scultura lignea raffigurante la Vergine in trono con il Bambino è stata collocata accanto all'altare della confessione nella notte di Natale e non nella solennità della Santissima Madre di Dio. A tutti i presenti, il Papa ha ricordato “l’esperienza sorprendente” di “Colui al quale nessuno è pari, che siede nell’alto”, ma che “guarda verso il basso, si china giù”, verso l’uomo:

     
    "Questo guardare in giù di Dio è più di uno sguardo dall’alto. Il guardare di Dio è un agire. Il fatto che Egli mi vede, mi guarda, trasforma me e il mondo intorno a me. Così il Salmo continua immediatamente: Solleva l’indigente dalla polvere… Con il suo guardare in giù Egli mi solleva, benevolmente mi prende per mano e mi aiuta a salire, proprio io, dal basso verso l’alto".

     
    E nella notte di Betlemme, ha continuato il Santo Padre, il chinarsi di Dio “ha assunto un realismo inaudito”, perché Dio è sceso realmente sulla Terra, è diventato un bambino, mettendosi “nella condizione di dipendenza totale che è propria di un bambino”. 'Sì', ha aggiunto il Papa, proprio Lui, “il Creatore che tutto tiene nelle sue mani, dal quale tutti dipendiamo, si fa piccolo e bisognoso dell’amore umano”. E “niente può essere più sublime, più grande dell’amore che in questa maniera si china, discende, si rende dipendente”.

     
    Per comprendere questo amore, però, ha sottolineato Benedetto XVI, bisogna essere “veramente vigilanti”, ed avere “il senso di Dio e della sua vicinanza” nella vita di ogni giorno:

     
    "Ad un cuore vigilante può essere rivolto il messaggio della grande gioia: in questa notte è nato per voi il Salvatore. Solo il cuore vigilante è capace di credere al messaggio. Solo il cuore vigilante può infondere il coraggio di incamminarsi per trovare Dio nelle condizioni di un bambino nella stalla. Preghiamo il Signore affinché aiuti anche noi a diventare persone vigilanti".

     
    Poi, il Papa si è soffermato sul canto del “Gloria”, quel canto che ci ricorda che “la gloria di Dio è nell’alto dei cieli”, ma che “questa altezza di Dio si trova ora nella stalla” di Betlemme, che “ciò che era basso è diventato sublime”, e che la gloria di Dio è quella “dell’umiltà, dell’amore e della pace”:

     
    "Dove c’è Lui, là c’è pace. Egli è là dove gli uomini non vogliono fare in modo autonomo della terra il paradiso, servendosi a tal fine della violenza. Egli è con le persone dal cuore vigilante; con gli umili e con coloro che corrispondono alla sua elevatezza, all’elevatezza dell’umiltà e dell’amore. A questi dona la sua pace, perché per loro mezzo la pace entri in questo mondo".

     
    Quindi, il pensiero del Santo Padre è tornato ai bambini, a quei bambini che lo guardavano, attenti, dai banchi della Basilica Vaticana, o che dormivano, sereni ed innocenti, in braccio ai genitori. Quei piccoli che, “come ci dice quel Dio che si è fatto Bambino”, possono essere solo amati:

     
    "Su ogni bambino c’è il riverbero del bambino di Betlemme. Ogni bambino chiede il nostro amore. Pensiamo pertanto in questa notte in modo particolare anche a quei bambini ai quali è rifiutato l’amore dei genitori. Ai bambini di strada che non hanno il dono di un focolare domestico. Ai bambini che vengono brutalmente usati come soldati e resi strumenti della violenza, invece di poter essere portatori della riconciliazione e della pace. Ai bambini che mediante l’industria della pornografia e di tutte le altre forme abominevoli di abuso vengono feriti fin nel profondo della loro anima. Il Bambino di Betlemme è un nuovo appello rivolto a noi, di fare tutto il possibile affinché finisca la tribolazione di questi bambini; di fare tutto il possibile affinché la luce di Betlemme tocchi i cuori degli uomini".

     
    E proprio pensando al Bambino di Betlemme, il cuore della Chiesa è corso al Medio Oriente, per il quale il Papa ha levato un appello:

     
    "(…) Pensiamo a quel Paese in cui Gesù ha vissuto e che Egli ha amato profondamente. E preghiamo affinché lì si crei la pace. Che cessino l’odio e la violenza. Che si desti la comprensione reciproca, si realizzi un’apertura dei cuori che apra le frontiere. Che scenda la pace di cui hanno cantato gli angeli in quella notte".

     
    Di qui, l’invito finale del Papa alla “conversione dei cuori”, perché “solo se cambiano gli uomini, cambia il mondo”. E per cambiare, ha concluso Benedetto XVI, “gli uomini hanno bisogno della luce proveniente da Dio, di quella luce che in modo così inaspettato è entrata nella nostra notte”.

     (canto: Tu scendi dalle stelle)

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    Inaugurato ieri pomeriggio il presepio di piazza San Pietro. Subito dopo Benedetto XVI ha acceso alla sua finestra il lume della pace

    ◊   “Nella piccola e disadorna grotta di Betlemme splende la luce che illumina il volto di ogni essere umano”. Così, ieri pomeriggio, il cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone durante l’inaugurazione del presepio allestito in piazza San Pietro accanto all’albero di Natale. Al termine della veglia di preghiera, seguita alla cerimonia, Benedetto XVI ha acceso il lume della pace sul davanzale della finestra del suo studio. I particolari nel servizio di Silvia Gusmano.

    (Musica)

     
    E' ancora rosa il cielo dietro San Pietro quando viene disvelato il maestoso e semplice presepe che dal 1982 affianca l’albero di Natale nella piazza antistante la Basilica. Parte delle statue provengono dalla natività allestita nel 1842 da San Vincenzo Pallotti in Sant’Andrea della Valle a Roma: quest’anno hanno trovato sistemazione in un umile rifugio di legno davanti alla ricostruzione di uno scorcio di Betlemme. Artefici dell’opera, i tecnici del Governatorato Vaticano, il cui presidente, il cardinale Giovanni Lajolo, si è rivolto così ai fedeli in contemplazione dell’opera:

    “Un buon Natale per le famiglie dove ci sono problemi: problemi economici, che talvolta sono gravi e rasentano la povertà. La povertà del presepe ci invita ad avere fiducia. Auguri alle famiglie dove ci sono problemi affettivi che sono assai più gravi: proprio da quel senso di umanità, di comprensione, di dolcezza che si propaga dal presepe si può trovare un nuovo inizio”.

    “Il Signore – ha ricordato poi il porporato - è venuto perché tutti gli uomini si sentano fratelli fra di loro”, un obiettivo da cui in molte parti del mondo siamo ancora molto lontani:

    “Penso in questo momento, soprattutto a quei cristiani che purtroppo non vengono accolti come fratelli, penso ai cattolici di Orissa, ai cristiani del Medio Oriente, penso a tutti gli altri cristiani nel mondo: dell’Asia, dell’Africa e dei tanti Paesi dove pure si crede in Dio, ma non si accetta questa umanità di Dio”.

    Un invito forte alla pace e alla fratellanza, dunque, che ha trovato somma espressione nella luce accesa dal Papa alla propria finestra intorno alle 18, con il cielo ormai scuro. Questa la spiegazione che del gesto ha dato il cardinale Bertone durante la veglia:

    “La luce eterna è venuta a rischiarare il cammino dell’umanità smarrita nel buio della sofferenza, della morte, delle divisioni e delle guerre”.

    A ciascun fedele, ha esortato subito dopo il Segretario di Stato, spetta il compito di alimentare questa luce attraverso la fede e l’accoglienza del prossimo:

    “Accendi anche tu, dentro di te, il lume della pace! Accendi il lume dell’accoglienza e della comprensione che ti renda capace di ascoltare il grido dei poveri che si leva nella notte della solitudine”.

    È il messaggio di pace e di speranza che si rinnova ad ogni Natale anche attraverso il presepio.

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    Oggi in Primo Piano



    Natale nel mondo: gioia e speranza nei cinque Continenti

    ◊   Con la festa del Natale si riverbera nel mondo il messaggio di pace e speranza: se nei Paesi in guerra e in quelli afflitti dalla piaga della povertà la nascita di Cristo è motivo di fiducia nel domani, nell’Occidente ricco e sviluppato è un richiamo a vivere in profondità la propria fede. Sul Natale nei cinque Continenti, il servizio di Claudia Di Lorenzi:

    Il nostro viaggio comincia in Terra Santa, dove ha avuto inizio la vicenda terrena di Cristo: la culla del Salvatore, oggi teatro di scontri e violenze. Nell’odierno messaggio “Urbi et Orbi” Benedetto XVI ha chiesto che “la Luce divina di Betlemme si diffonda in Terra Santa”, dove l’orizzonte torna a farsi cupo per israeliani e palestinesi, ma dove sono “fecondi” gli sforzi di quanti non si rassegnano alla logica della violenza privilegiando il dialogo. A Betlemme la Messa di mezzanotte ha elevato al cielo un coro di lode a Dio, luce nelle tenebre del mondo. C’era per noi Sara Fornari:

     
    La notte di Betlemme è stata piena di luce, la luce delle luminarie accese – tantissime quest’anno – quelle della Basilica stracolma di fedeli, e dei lumi della Grotta, dove le Messe si sono succedute presso la mangiatoia fino al mattino. Tantissimi i pellegrini giunti da ogni parte del mondo che hanno fatto la fila per partecipare alla celebrazione vigiliare presieduta, nella chiesa di Santa Caterina, dal Patriarca Latino di Gerusalemme, mons Fouad Twual. Il chiostro della Basilica della natività è risuonato di canti fino all’alba. Il Natale è stato un canto nella notte a Betlemme, la città che Dio ha fatto sua dimora e luogo del suo incontro con gli uomini. Così nell’omelia di mezzanotte mons. Twual che h parlato anche di un’altra notte, che era oscura e fredda senza luna. Era la notte – ha detto - in cui i pastori vegliavano sui loro greggi a Bethsaur, mentre l’universo non ne poteva più di attendere. Le tenebre – ha proseguito – ricoprivano l’universo e tutti i popoli della Terra erano schiavi del male e del peccato; questo Paese era piegato sotto il giogo dell’Impero romano e il popolo attendeva un Salvatore che avrebbe ristabilito il Regno e gli avrebbe ridato la libertà. In questa notte Cristo divide la storia in due. D’ora in poi c’è un prima di Lui e un dopo di Lui. Quel che era impossibile prima di Lui diviene possibile. Il Patriarca ha così insistito sulla luce dell’Incarnazione che ha illuminato la nostra storia umana e di cui ancora oggi più che mai c’è bisogno. Questa notte il silenzio della Grotta sarà più forte della voce dei cannoni e dei mitra. Il silenzio della Grotta darà vita a coloro cui le lacrime hanno soffocato la voce e che si sono rifugiati nel silenzio e nella rassegnazione. Il pastore ha poi proseguito rivolgendosi al Dio fattosi piccolo per noi. “O Bambino di Betlemme lunga si è fatta la nostra attesa e siamo stanchi di questa situazione, stanchi anche di noi stessi: cerchiamo tutto tranne Te, ci attacchiamo a tutto salvo che a Te, ascoltiamo tutti ma non la Tua voce”. Il Patriarca ha concluso con una supplica al Bambino di Betlemme, innocente, povero e debole, il solo capace di darci quel che ci manca ed ha lanciato alle Nazioni, agli individui e alle famiglie un appello al perdono. La celebrazione vigiliare si è quindi conclusa con la tradizionale processione con il bambinello che è stato portato in Grotta e deposto nella mangiatoia mentre veniva proclamato il Vangelo della Natività. Questa mattina, malgrado la pioggia, molti fedeli della comunità latina di Betlemme hanno partecipato alla Messa, in lingua araba sempre presieduta dal Patriarca mons. Foud Twual. Tantissimi pellegrini fanno la fila per scendere a pregare nella Grotta, presso la stella che segna il luogo della nascita del Signore.

     
    E’ un Natale purtroppo segnato dalle violenze in Iraq, dove non si placano le aggressioni alle minoranze cristiane. Attentati e scontri a fuoco alimentano poi la tensione sul territorio: solo oggi a Baghdad l’esplosione di un’autobomba ha causato la morte di quattro persone ed il ferimento di altre venticinque. Altri tre i morti e 14 feriti in un attacco suicida al nord della capitale. In questo clima di violenze, quale augurio per i cristiani del Paese e per l’intera popolazione? Al microfono di Luca Collodi ascoltiamo mons. Shlemon Warduni, vescovo ausiliare di Baghdad dei caldei:

     
    “Auguro ai cristiani iracheni di avere la pace e chiederemo anche la pace a tutto il mondo. Chiediamo specialmente la forza nella fede, perché tutti sappiamo che la fede un po’ diminuisce in tante parti del mondo. Quindi, noi con la nostra sofferenza, con i nostri mali che abbiamo, chiederemo la fede per il mondo, perché se c’è la fede, certamente ci sarà la pace; quando uno pensa a Dio, re della pace, a Dio amore, che ama tutti gli uomini e chiede da noi di amarci a vicenda, ci sarà veramente la pace. Questo auguro a tutti: un Natale pieno di fede, di speranza, di grazia. Speriamo che l’anno 2009 sia l’anno della pace".

     
    Ci spostiamo ancora ad Oriente e raggiungiamo l’Asia. Dallo Stato indiano dell’Orissa, nel campo profughi di Janla, alla periferia della capitale Bhubaneswar, Stefano Vecchia, esperto di Estremo Oriente, racconta come, nonostante il clima di paura per gli attacchi alle minoranze cristiane, il Natale sia vissuto in un clima sereno:

     
    “Giornata di Natale sostanzialmente tranquilla in Orissa, nelle zone funestate dall’agosto scorso dalle violenze anticristiane. Soprattutto situazione tranquilla, seppure fortemente controllata dalle forze dell’ordine, nella zona dove la violenza è stata maggiore e dove si è contato il maggior numero di vittime, una settantina, secondo i dati della Chiesa locale. Si temono nuovi disordini nei prossimi giorni perché qui è in corso la campagna elettorale per le elezioni generali all’inizio del prossimo anno in India. L’alta tensione è dovuta anche alla questione elettorale e al tentativo dei partiti di giocare la carta della rivalità tra le religioni per guadagnare voti, consensi e soprattutto maggiore potere sul territorio. Dato ribadito anche da mons. Rafael Cheenath, arcivescovo di Cuttack-Bhubaneswar che ha oltretutto espresso la sua preoccupazione per il futuro della condizione dei cristiani in questa zona. Indubbiamente, è una realtà molto minoritaria e soprattutto molto sparsa. La locale comunità, da decenni sottoposta a forti pressioni perché lasci il territorio o perché si riconverta all’induismo è, ovviamente, assolutamente spaventata. Oggi l’arcivescovo si è recato sulla costa per incontrare le autorità del governo centrale e vedere insieme come gestire la situazione nel prossimo futuro”.

     
    Lasciamo l’Asia per l’Europa, dove cresce il rischio che il Natale sia celebrato perdendo di vista il cuore del messaggio cristiano, per scadere nel consumismo e nella partecipazione superficiale ai riti. Lo sottolinea Luigi Geninazzi, giornalista del quotidiano Avvenire:

    “Senza dubbio c’è una tendenza che si ispira ad un “politically correct”. Per rispettare teoricamente tutti i punti di vista, anche di chi non è cristiano, l’Europa taglia le sue radici ed è quindi paurosa nel dire che cos’è il Natale. Ci sono fatti inquietanti e alcuni sfiorano il ridicolo, come è successo ad Oxford dove si dice che il riferimento al Natale deve essere abolito nel suo carattere cristiano. C’è una tendenza, cioè, a identificarsi con un’idea di agnosticismo, di indifferenza di fedi e di ideali, che ovviamente penalizza la stessa identità dell’Europa, anche quella laica, perché il vero laico riconosce che le sue radici sono nell’eredità cristiana. Credo che prima di tutto debbano essere i cristiani a dare testimonianza della propria fede e, soprattutto, a mostrare che la propria fede dà un contributo prezioso anche alla convivenza civile” .

     
    Ma l’Europa è anche terra di migrazioni: a partire dal 1989, la caduta del muro di Berlino e l’allargamento delle frontiere d’Europa ai Paesi dell’Est hanno causato l’intensificarsi dei flussi migratori, interni al vecchio Continente e dai Paesi extra-comunitari. Qui il Natale sarà vissuto anche nel segno dell’accoglienza. Ancora Luigi Geninazzi:

     
    “Credo che il Natale possa essere davvero la festa dell’accoglienza, proprio perché apre ad un dialogo culturale, al posto dello scontro di civiltà.”

     

    Ci trasferiamo ora in Africa ed in particolare nel Nord Kivu, regione orientale della Repubblica Democratica del Congo da mesi terreno di scontri fra l’esercito regolare e i ribelli del generale Nkunda: qui le violenze contro i civili hanno causato migliaia di vittime e costretto alla fuga oltre 250 mila persone. Si tratta, secondo quanto denunciato dai vescovi congolesi, di un "genocidio silenzioso”. Ma le sopraffazioni della guerra non riescono a soffocare la speranza di un popolo, per il 70 per cento di religione cristiana, che, in special mondo a Natale, nel Vangelo di Cristo trova luce e speranza. Da Goma ce ne parla don Mario Perez, salesiano, direttore del Centro per i giovani intitolato a Don Bosco:

     
    “Il Congo in generale è un Paese dove più del 50 per cento sono cattolici; la gente va alla Messa, poi prepara la festa in famiglia. Per ciò che riguarda il Nord Kivu, la situazione è molto drammatica: la gente non ha molte cose, neppure i viveri. Non è facile raggiungere queste persone. I campi profughi, per esempio quelli vicini alle città, ricevono il cibo dagli organismi umanitari: farina, fagioli, olio e sale. E non è che hanno niente di particolare per festeggiare; festeggiano un po’ con i canti perché la speranza è forte in loro. Quello permette loro di sopravvivere. Anche in questi momenti sanno così trovare forza per festeggiare. Nonostante la mancanza di tutto, fanno il presepe perché – dicono - “soltanto Dio ci capisce, soltanto Dio è capace di crescere e camminare con noi”; “Dio è capace di farsi piccolo e crescere con noi e lui ci capisce”.

     
    Ci spostiamo ora in Sud America, dove la crisi economica mondiale si ripercuote con particolare intensità sui ceti più deboli. Ma la speranza che viene dalla nascita del Salvatore invita ad affrontare con coraggio le sfide odierne. Luis Badilla, esperto di America Latina per la nostra emittente:

    Il Natale in America Latina è una festa molto coinvolgente, molto sentita, partecipata e, naturalmente, mette al centro in particolare i bambini ed anche - questa è una caratteristica molto tipica - i nonni, gli anziani. Quindi, è una delle feste più amate, che si celebra sia da un punto di vista religioso molto intensamente. Si celebra, soprattutto, con una partecipazione nell’Eucaristia o in altre cerimonie, ma che ha anche un risvolto civile, per così dire, nelle famiglie all’interno del focolare. Natale, per l’America Latina del 2008 e per i Carabi, è un Natale pieno di incertezze, di paure. La crisi economica internazionale sta colpendo duramente l’economia di questi Paesi e, dunque, non credo che sarà un Natale particolarmente allegro. Certo, ci sarà, come è naturale, la speranza di cui il mondo, in questo caso l’America Latina, ha tanto bisogno.

    In questo clima di incertezza e paura, i vescovi sudamericani lanciano un appello per la democrazia e i diritti umani. Ancora Luis Badilla:

    Il problema della democrazia in America Latina, delle libertà costituzionali, dei diritti umani, è un problema sempre attuale. E, dunque, il 2009 è una prospettiva, in questo senso, molto delicata, perché occorre coniugare - come dicono i vescovi dell’America Latina - da un lato il rispetto della democrazia, dei valori democratici, dei diritti umani e, dall’altro, il consolidamento delle istituzioni, basato sulla solidarietà e la giustizia, perché il problema fondamentale di questa regione del mondo è l’iniquità sociale. Se questo problema, che si potrebbe aggravare con la crisi economica e sociale, non viene risolto, metterà a repentaglio la stabilità democratica della regione.

     Concludiamo il nostro viaggio nei cinque Continenti con uno sguardo all’Australia. Qui a Natale la Chiesa locale ribadisce la necessità di “promuovere un’integrazione autentica e una reale partecipazione delle comunità aborigene alla vita sociale, politica e culturale del Paese, attraverso nuove opportunità di occupazione e di istruzione. E’ il messaggio dei vescovi australiani che invitano ad “un genuino dialogo e una partnership durevole” con gli oltre 517 mila aborigeni presenti in Australia.

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    Chiesa e Società



    La crisi economica e finanziaria in America Latina: riflessioni dei vescovi in occasione del Natale

    ◊   Nelle omelie della Messa di Mezzanotte, una delle più frequentate del calendario liturgico, dal Messico alla Patagonia, oltre al senso autentico della festa di Natale, si è parlato dei timori e delle incertezze che nell'ambito sociale ed economico colpisono gran parte delle famiglie del Continente. Le diverse Conferenze episcopali in tutti Paesi e i vescovi nelle loro diocesi in queste settimane, in particolare in queste ore, hanno ribadito il loro desiderio di "accompagnare il popolo in un momento in cui le prospettive sembrano ipotecate da ombre oscure", come ha scritto l'arcivescovo emerito di Città di Guatemala, cardinale Adolfo Quezada Toruño. Di fronte a tali preoccupazioni e insicurezze “la speranza e la fiducia, e soprattutto la solidarietà”, ha ricordato l’arcivescovo di Città del Messico, cardinale Norberto Rivera Carrera, “sono più necessarie che mai ed al riguardo il Signore ci indica il sentiero”. È un Natale sotto tono non tanto per la prudenza dei cittadini di fronte alle abitudini del consumo, ma soprattutto per il dubbio sul domani che attanaglia tanti lavoratori e lavoratrici. Infatti, “il clamore che più spesso arriva ai pastori spirituali è la paura di perdere il posto di lavoro con tutte le terribili conseguenze che ciò comporta per le famiglie”, rileva mons. Alvaro Ramazzini, vescovo di San Marcos (Guatemala). Ci sono poi “l’avvilimento e la povertà che lacerano migliaia di disoccupati”, come ricorda mons. Carlos Aguiar, vescovo di Texcoco (Messico). Secondo studi demoscopici realizzati recentemente in America Latina, risulta che oltre il 40 per cento delle persone che lavorano “hanno la percezione ed il terrore di perdere il proprio posto di lavoro nel 2009”; questo, ovviamente, ha avuto un peso negativo nei consumi il cui calo generalizzato non ha risparmiato nessun Paese dell’area. Tutto ciò ha comportato una quasi immediata contrazione della produzione introducendo elementi di sfiducia nel rapporto tra il mondo imprenditoriale e il sistema creditizio. La sensazione più diffusa è sconsolante: la stragrande maggioranza ritiene che il prossimo 2009 sarà ancora peggio; per ora tutto ciò che si registra sono solo le avvisaglie di tempi molto cupi. Sembra certo che alla fine del 2009 e i primi del 2010, la totalità dei Paesi latinoamericani rientreranno nella definizione tecnica di “economie in recessione”. Ma ciò che più si teme è la recessione delle nazioni trainanti: Brasile, Messico, Cile, Venezuela e Argentina, titolari di un’economia con alte quote di esportazioni. Secondo quanto dicono gli esperti, la regione continuerà a segnare una media di crescita ancora positiva, ma passerà probabilmente dal 4,4 al 1,8 per cento, vigilia di “di una recessione più profonda e prolungata rispetto ad altre aree” secondo le previsioni delle banche spagnole, assai numerose in Latinoamerica. Da più parti arriva la medesima domanda: cosa fare? L’arcivescovo di San Salvador, mons. Fernando Sáenz Lacalle, parlando nei giorni scorsi con la stampa salvadoregna rispondeva: “Una parte fondamentale spetta alle autorità chiamate a prendere tempestive misure anti-crisi, un’altra riguarda ogni cittadino, chiamato a non lasciarsi prendere da timori irrazionali, tirando fuori il meglio di sé: tenacia, speranza e solidarietà”. Mons. Rymundo Damasceno Assis, arcivescovo di Aparecida, Brasile, e attuale presidente Consiglio episcopale latinoamericano (Celam), rilevando “la trascendenza e importanza della solidarietà in un’ora così incerta come oggi”, ha ricordato da un lato “la centralità dell’etica nelle scelte che toccano la vita di milioni e milioni di persone” e dall’altro “la centralità assoluta della famiglia”. Sono compiti che Benedetto XVI ha tracciato in prospettiva del VI Incontro mondiale delle famiglie che si svolgerà a Città del Messico dal 16 al 18 gennaio prossimi quando. Il primo ottobre 2007, nella lettera indirizzata al defunto card. López Trujillo, infatti, il Santo Padre, ha scritto che l’evento sarà un’occasione "per incoraggiare le famiglie cristiane nella formazione di una retta coscienza morale". (A cura di Luis Badilla)

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    Messaggio augurale della Conferenza episcopale boliviana per il Natale

    ◊   Il messaggio di "speranza, fratellanza e pace" della Conferenza episcopale della Bolivia questa notte è risuonato in tutte le chiese del Paese, come sempre stracolme di fedeli per assistere alla Santa Messa di Natale in occasione della quale, il segretario dell'Episcopato, il vescovo della diocesi di El Alto, mons. Jesús Juárez, ha pubblicato un messaggio augurale in nome di tutti i vescovi. "Che l'arrivo di Immanuel, Dio con noi - scrive il presule - ci ponga davanti alla nostra fede e che questa festa dell'Incarnazione sia l'opportunità propizia per aprire i nostri cuori alla nascita di Dio in mezzo al suo popolo, dove si manifesta per donare speranza, fratellanza e pace". La Chiesa in Bolivia, nel cui grembo vivono "fedeli di tutte le età, nazionalità e culture", "in ogni luogo, dalle grandi città agli angoli più sperduti del Paese, condivide con tutti i figli e le figlie di questa nostra patria benedetta la sua gioia e la sua speranza per la nascita del Salvatore e, dunque, rinnova i suoi aneliti di riconciliazione, di unità e di pace per il nuovo anno 2009". Con lo sguardo sulle molte vicende, delicate e laceranti, che si lascia alle spalle l'anno che sta per finire e soprattutto guardando al futuro, mons. Juárez scrive ancora: "Che la celebrazione di questo Natale ci permetta di contemplare con cuore sincero l'Incarnazione di Dio" e di ricordare che "nella persona di Gesù, assumendo la nostra natura, si fa presente tra noi Dio stesso e ci rivela la sua missione rivolta all'umanità tutta. Dio desidera condividere la nostra storia, in modo speciale la storia di coloro che ripongono in Lui la loro speranza: i poveri, gli ultimi, gli emarginati". Se il 2008 per il popolo boliviano è stato irto di ostacoli e spesso l’unità e la coesione sociale nonché la pace sono state messe a repentaglio, le prospettive per il 2009 non appaiono più facili, in particolare per via della crisi economica internazionale che già fa sentire le sue conseguenze negative sui più deboli e meno protetti. Un antidoto per affrontare meglio le probabili difficoltà, in particolare quelle politiche di fronte al referendum popolare per decidere il 25 gennaio sul testo della nuova Costituzione, secondo i vescovi boliviani è la famiglia. Perciò, oggi più che mai, "occorre contemplare la mangiatoia di Betlemme - osserva mons. Jesús Juárez - per essere capaci di recuperare i valori profondi del focolare, accogliendo e rispettando il dono della vita, dando valore all'incontro fraterno, alla solidarietà e al dialogo tra i suoi membri". Ricordando, come hanno detto in passato a più riprese i presuli della Bolivia, che l’intera "nazione è una famiglia", il Segretario dell’episcopato sottolinea che “il Signore viene incontro ad ogni persona e si fa presente in ogni avvenimento e ci riempie di amore e di pace". "Che la nascita del Salvatore, conclude il presule, che libera l'umanità dal peccato, dall'ingiustizia, dal dolore e apre le porte a un mondo più giusto, fraterno e solidale, ci liberi dalla superbia, dall'egoismo, dai sentimenti di odio e di rancore e anche delle tentazioni di divisioni fra fratelli". Dio è con noi oggi, ieri e sempre e ci invita “ad accogliere i suoi doni: la libertà e la dignità dei figli suoi". Da parte sua il presidente della Conferenza episcopale, l'arcivescovo di Santa Cruz, cardinale Julio Terrazas, salutando il popolo boliviano, per ricordare ancora una volta il senso vero e profondo delle feste natalizie, ha invitato tutti "a parlare della straordinaria bontà di Dio" e soprattutto "a parlare con Lui della nostra libertà e del destino che ci ha preparato. È il momento di ascoltare e ricevere la sua Parola come lo fece Maria sapendo che il Natale non è altro che l'ingresso della gioia di Dio nei nostri cuori e nella nostra storia". (A cura di Luis Badilla)

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    Corea del Sud: messaggio natalizio della Commissione episcopale per la Famiglia

    ◊   “L’amore coniugale è segno dell’amore divino”: questo il titolo del Messaggio della Commissione per la Famiglia della Conferenza episcopale coreana, diffuso in occasione del Natale e in preparazione alla Festa della Sacra Famiglia. Nel documento – riferisce l’agenzia Fides - il presidente della Commissione, mons. Paul Hwang Cheol-soo, denuncia le aggressioni del consumismo e della cultura edonistica alla famiglia in Corea del Sud: la conseguenza di questi fenomeni – afferma – è la svalutazione dell’amore interpersonale e dei valori spirituali “che sono le virtù importanti nell’ambito della comunità familiare”. Per questo la Chiesa intende riportare l’attenzione sul modello di famiglia che vive al suo interno una comunione di amore, che contempla un cammino spirituale e non guarda solo alle necessità materiali, che non resta un nucleo chiuso, ma si apre alla solidarietà con il prossimo. Mons. Hwang ricorda che ogni uomo trova realmente se stesso nel donarsi all’altro e questa verità si incarna nella realtà della famiglia, in cui il legame e il dono reciproco fra coniugi, sancito dal sacramento del matrimonio, portano frutti all’intera società. “Le coppie cristiane non devono dimenticare il fatto che esse sono Sacramento dell’amore di Dio e tabernacolo in cui Egli abita”, afferma il testo. Alla centralità della famiglia cristiana è dedicato anche il messaggio per l’Avvento dei vescovi sud-coreani, in cui esprimono l’auspicio che essa diventi una “palestra della fede” che prepara i cristiani alla testimonianza del Vangelo nella società. (L.Z.)

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    La Fondazione Migrantes ricorda le stragi dei bambini in tutto il mondo

    ◊   “Natale 2008: perdura la strage degli innocenti”. Non usa giri di parole il titolo dell’editoriale di Natale pubblicato oggi sull’agenzia settimanale della Fondazione Migrantes. L’obiettivo di chi scrive, infatti, è di ricordare “quello scenario di dolore e di morte, che anche quest’anno fa da contorno al presepio” colpendo milioni di bambini. “Purtroppo – si legge sul Migrantes-press – sembra una posizione retrograda denunciare e piangere la strage degli innocenti eliminati già nel seno della madre o nei laboratori di sperimentazione genetica” ed anche i tanti bambini che nascono e sono condannati alle sorti peggiori: “bambini soldato, bambini trafficati, bambine dell’est asiatico esposte al soldo dei ricercatori di sesso del nostro occidente”. Ancora più numerosi, continua l’editoriale, i bambini sradicati dalla loro terra e spesso dalla loro stessa famiglia. Coloro che viaggiano nelle carrette del mare, che approdano sulle nostre coste, “quando non si inabissano nel mare”, e solo una minoranza usufruisce di una qualche assistenza, mentre tanti altri vanno incontro a un futuro ignoto. Su di loro – conclude l’agenzia della Migrantes – “non incombe minacciosa la spada di Erode”, ma sono vittime di “tanta incuranza e insensibilità, talora anche di tanta ferocia. Renderci consapevoli di questo e creare sensibilità attorno a noi è già qualcosa, rimboccare le maniche e mobilitarci per qualche caso che conosciamo è molto di più; è certamente un grande omaggio al Bambino di Betlemme”. (S.G.)

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    Migranti: per il Guatemala record di rimpatri dagli Usa nel 2008

    ◊   Messico e Centro America chiuderanno il 2008 con un numero record di migranti rimpatriati dagli Stati Uniti, oltre 154 mila, pari al 46 per cento in più del 2007. A riferirlo è il Servizio di immigrazione e dogana americano. Il Paese più colpito - ricorda la Misna - è il Guatemala dove i cosiddetti “irregolari” deportati dagli USA sono 28 mila, più del triplo rispetto al 2005. Ciò è dovuto, secondo le autorità guatemalteche, alle politiche sempre più restrittive decise da Washington in ambito di immigrazione. Nonostante ciò, non diminuiscono le rimesse inviate nel Paese dagli espatriati in America: secondo la banca centrale, nei primi 11 mesi del 2008 hanno sfiorato i quattro miliardi di dollari, con un aumento di circa 200 milioni rispetto all’anno precedente. L’Organizzazione mondiale delle migrazioni stima in oltre un milione e 200 mila i guatemaltechi che vivono attualmente all’estero, il 95 per cento negli Stati Uniti, di cui il 60 per cento “irregolari”. (S.G.)

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    Testimonianza di un missionario che vive alla periferia del Cairo

    ◊   “All'interno della nostra modesta struttura cerchiamo di far sì che le piccole aule in cui si raccolgono i nostri ragazzi siano tenute pulite. Continuiamo a spiegare la necessità dell'igiene e dell'ordine come sistema di vita e speriamo vivamente che nel tempo incideremo un pochino nel rendere i nostri bambini, gli adulti di domani, capaci di poter meglio gestire gli spazi di vita”. E' la testimonianza resa all'Agenzia Fides da padre Luciano Verdoscia, missionario comboniano che opera da anni al Cairo a contatto con i ragazzi che vivono a Mansheya, il quartiere dei raccoglitori d’immondizia (chiamati “Zabbaleen”). Da diverse settimane, la già forte situazione di disagio di chi vive e opera nel quartiere, è aggravata dai liquami che escono dalle fogne otturate. Il missionario è aiutato da volontari locali e stranieri e afferma: “Di tribolazioni e difficoltà, per essere franchi, ne abbiamo attraversate tante, ma non saremmo grati a Dio se non vi comunicassimo che quest'esperienza ci riempie di gioia. Il nome dato al quartiere dei raccoglitori di immondizie è 'Zaraib' che significa 'stalle'… Forse, se il Signore avesse scelto di nascere in quest'epoca, non avrebbe disdegnato questo posto. Chissà come sarebbe questa baraccopoli, stracolma di rifiuti, se la notte di Natale gli angeli la adornassero di luccichii dorati ed argentati e se cantassero le melodie del cielo”. (S.G.)

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    Thailandia: il Natale diventa occasione di dialogo interreligioso

    ◊   Scuole cattoliche in prima linea per promuovere il dialogo interreligioso in Thailandia, Paese che soffre una grave crisi politica e, soprattutto nelle regioni del Sud, per frequenti scontri anche a sfondo confessionale. Per aprire a tutti i fedeli le celebrazioni per il Natale, suor Nittaya Chosannuson, direttrice della scuola Charoensri Suksa ad Amphoe Betong, distretto della provincia meridionale di Yala, ha organizzato quest’anno una cerimonia alla quale hanno partecipato genitori e amici dei 500 studenti iscritti. Un tempo - riferisce AsiaNews - gli alunni erano più di mille, ma la recente crisi politica ha dimezzato le presenze. Tre le religioni rappresentate all’interno dell’istituto: il 20 per cento sono cattolici, il 30 per cento buddisti, il restante 50 per cento musulmani. “Ho chiesto a tutti di venire alle celebrazioni natalizie – dice suor Nittaya, della Congregazione delle serve di Maria Immacolata – per renderli partecipi delle nostre attività. Attraverso canti e musiche, vorrei condividere con studenti e famiglie lo spirito del Natale, parlare di Gesù Cristo senza pretendere conversioni. Il mio è solo un invito alla condivisione di un momento di festa”. (S.G.)

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    In Senegal una scuola cattolica dedica un monumento al dialogo fra le religioni

    ◊   Un segno per ricordare che le religioni devono dialogare. È quanto rappresenta il monumento inaugurato venerdì scorso a Dakar, in Senegal, nella scuola cattolica Cours Sainte Marie de Hann. Collocata nel “Bosco degli Angeli”, il giardino dell’Istituto, l’opera è stata battezzata Abraham, “il Padre dei credenti”. La direttrice di Cours Sainte Marie de Hann, Marie Hélène Cuénot, ha spiegato che il monumento vuole rappresentare il dialogo tra le religioni degli studenti presenti nella scuola. Sormontata da una croce, simbolo dei cristiani, da una luna crescente, segno dell’Islam, e dalla stella di Davide, che rappresenta la religione ebraica, la scuola si propone, anche attraverso quest’opera, di aiutare gli studenti a vivere insieme malgrado le differenze sociali, culturali e religiose. Alla cerimonia di inaugurazione – si legge sul sito www.walf.sn – hanno preso parte l’ambasciatore d’Israele in Senegal, Gideon Béhar, l’islamologo Ahmed Iyan Thiam e l’abate Léon Diouf; tutti hanno sottolineato l’importanza e l’urgenza di promuovere il dialogo tra gli uomini e le religioni. La scuola Sainte Marie de Hann è frequentata da alunni di 68 nazionalità diverse e vi sono rappresentate una dozzina di religioni. (T.C.)

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    Genova, città del presepe: nel capoluogo ligure notevoli esempi dell’arte presepiale

    ◊   "A Genova, prima ancora che a Napoli, nel ‘600 fiorì quella che è poi diventata la tradizione del presepe artigianale. Una tradizione che nelle festività natalizie viene riproposta in tutto il suo splendore". È quanto afferma Nando Dalla Chiesa, consulente del sindaco di Genova per la Promozione della città, sottolineando che "ogni anno Napoli va in scena con le sue statuine e con l'attualità; Genova invece deve salire sul palcoscenico con la sua tradizione". Per ricordare questa tradizione, le telecamere di diverse emittenti italiane, tra cui Rai e Mediaset, hanno filmato e catturato immagini di "Genova, città del presepe". L’attenzione si è concentrata soprattutto sullo storico presepe permanente, ambientato scenograficamente nella Genova antica e allestito nella grotta della Madonnetta al Santuario di Nostra Signora Assunta di Carbonara. "È un presepe che nasce e cresce con la chiesa - ha spiegato padre Carlo Moro, rettore del santuario - conosciuto come quello di Anton Maria Maragliano, ma arricchito di tante altre mani, che rappresentano la visualizzazione del Cristo". Un altro prezioso allestimento è il presepe genovese del Settecento a Palazzo Rosso. Si tratta di un presepe scenografico animato da figure settecentesche appartenenti alle collezioni civiche. (A.L.)

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    Grande successo per www.Xt3.com, social network lanciato in occasione della GMG

    ◊   Circa 40 mila iscritti di 170 Paesi, più di 1.300 pagine web di gruppo e 6 milioni di contatti: sono solo alcune cifre del successo di www.Xt3.com, il network sociale messo in rete in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù di Sydney. Lanciato appena sei mesi fa, Xt3.com, che sta a significare Cristo (Xt) nel Terzo (3) Millennio, ha registrato in questo arco di tempo una crescita record. Il suo target, ovviamente, è l'insieme di giovani di età compresa tra i 16 e i 35 anni. Come in altri network sociali saliti di recente alla ribalta delle cronache, qui gli iscritti condividono idee, amici, fotografie, gruppi di discussione e pagine interattive. Il sito invia messaggi di testo, audio e video per segnalare informazioni ed interviste su eventi e temi di attualità religiosa, politica, sociale, culturale e anche sportiva che interessano la Chiesa. Seguono commenti e reazioni. Il tutto - spiega il cardinale George Pell, arcivescovo di Sydney - in un ambiente protetto dalle tante “insidie” della Rete. Come si ricorderà, lo scorso settembre al social network è anche giunto un breve messaggio del Santo Padre, Benedetto XVI. Tra le pagine più popolari figura “Ask a Priest” (Chiedilo a un sacerdote) che offre ai giovani utenti la possibilità di approfondire e chiedere delucidazioni sugli insegnamenti della Chiesa. Di recente nel sito è stato messo a disposizione anche del materiale video proveniente dalla Biblioteca Vaticana. “Molto lavoro è stato dedicato allo sviluppo e alla strategia di crescita di Xt3.com e guardo con grande entusiasmo alle enormi potenzialità offerte da questa tecnologia capace di mettere in contatto i giovani con la Chiesa”, ha detto il cardinale Pell, da poco rientrato da Roma dove ha ricevuto gli elogi e il sostegno vaticano all’iniziativa. Forti di questo successo i suoi promotori hanno ora in programma nuovi progetti. Tra questi il lancio di programmi per diverse diocesi in Australia e Nuova Zelanda. www.Xt3.com verrà usato, inoltre, come strumento didattico in varie scuole secondarie cattoliche. (L. Z.)


    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LII no. 360

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