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Sommario del 04/04/2008

Il Papa e la Santa Sede

  • Siate testimoni della speranza, forti della fede in Cristo Risorto: l’esortazione di Benedetto XVI all’associazione caritativa statunitense Papal Foundation in udienza in Vaticano
  • Altre udienze
  • La Santa Sede chiarisce i malintesi sull'Oremus et pro Iudaeis auspicando ulteriori progressi nell'amicizia tra Ebrei e Cristiani
  • I nonni, figure centrali nella trasmissione di valori e di tenerezza alle nuove generazioni, colpite dal relativismo etico: se n'è parlato alla plenaria del dicastero della Famiglia
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Al Congresso Mondiale sulla Divina Misericordia la testimonianza di suor Elvira, fondatrice della Comunità Cenacolo
  • Giornata internazionale dell’ONU contro le mine. Messaggio di Ban Ki-moon
  • Missione e vicinanza della Chiesa ai poveri al centro dell'Assemblea generale dei vescovi brasiliani in corso ad Itaici
  • Il cardinale Rylko inaugura a Roma il Colloquio internazionale sui carismi
  • Chiesa e Società

  • Benedetto XVI negli USA: secondo un sondaggio il 70% degli americani vuole sentirlo parlare di Dio nella vita quotidiana
  • Rapporto ONU su bambini e AIDS: “Tanti progressi ma ancora molta strada da fare”
  • Il rialzo del prezzo del riso colpisce i Paesi asiatici e africani
  • L’IFAD indica la via dello sviluppo per l’Africa: “Investire nell’agricoltura per sconfiggere la povertà”
  • Il voto in Zimbabwe: si moltiplicano gli appelli delle Chiese africane e delle ONG cristiane
  • Bolivia: il cardinale Terrazas chiede al Paese di sforzarsi ad essere costruttore di pace
  • In corso la plenaria della Conferenza episcopale dell’Uruguay
  • Entra nel vivo il congresso pro-vita organizzato dai vescovi del Guatemala
  • I primi missionari "fidei donum" della diocesi coreana di Suwon sono partiti per il martoriarto Sudan
  • Civiltà Cattolica: “La scomparsa dei cristiani dall’Iraq sarebbe una sventura”
  • Pakistan: distribuzione di aiuti alle famiglie povere di Sargodha come segno di integrazione dei cristiani
  • Vietnam: decennale del cardinale Phan Minh Man alla guida dell’arcidiocesi di Ho Chi Minh City
  • I vescovi di Tucson, negli USA, e Mexicali, in Messico, chiedono una legislazione più adeguata per i contadini
  • Il governo della Repubblica Ceca ratifica l'accordo di dicembre sull’indennizzo alle Chiese
  • Pax Christi: cresce l’esportazione di armi italiane nel 2007
  • Primo cammino internazionale di Confraternite a Lourdes, organizzato nel 150.mo anniversario delle apparizioni della Vergine a Bernadette
  • Al via a Roma il Congresso promosso dalla Pontificia Università Lateranense sui traumi dell'aborto e del divorzio
  • Roma: cerimonia al Campidoglio per commemorare Martin Luther King
  • 24 Ore nel Mondo

  • Dopo il verice NATO, oggi l'intervento di Putin che annuncia misure in risposta all'allargamento dell'Alleanza Atlantica ad Est
  • Il Papa e la Santa Sede



    Siate testimoni della speranza, forti della fede in Cristo Risorto: l’esortazione di Benedetto XVI all’associazione caritativa statunitense Papal Foundation in udienza in Vaticano

    ◊   La carità della Chiesa trova nella Risurrezione di Cristo la sua fonte primaria: è quanto sottolineato da Benedetto XVI nell’udienza di stamani ai membri della Papal Foundation, associazione caritativa statunitense fondata nel 1990 dal cardinale John Krol. L’indirizzo d’omaggio al Papa è stato rivolto dal cardinale Anthony Bevilacqua, arcivescovo emerito di Filadelfia e chairman della Fondazione. Il servizio di Alessandro Gisotti:


    La fede nel Cristo Risorto ci aiuti ad “essere testimoni della speranza nel mondo di oggi”: è l’invito di Benedetto XVI ai membri dell’associazione caritativa statunitense Papal Foundation.

     
    The very source of the Church’s service of love…
    “La vera fonte della carità della Chiesa”, ha aggiunto, si trova “nella fede incrollabile in Dio che ha vinto definitivamente il peccato e la morte”. Il Papa ha sottolineato che, come per i discepoli, anche in noi “l’incontro con Cristo Risorto trasforma la tristezza in gioia, la delusione in speranza”. Un incontro con Gesù che ci spinge ad “alleviare le sofferenze dei poveri e dei deboli”.

     
    Dear friends, I am pleased to have this occasion…
    Il Papa ha quindi ringraziato la Papal Foundation per il generoso contributo a sostegno del suo ministero apostolico ed ha assicurato le sue preghiere affinché la Fondazione possa moltiplicare le proprie opere benefiche. Dal canto suo, il cardinale Anthony Bevilacqua ha informato il Santo Padre dell’impegno profuso dalla Papal Foundation nell’ultimo anno. Molti dei progetti approvati, per una cifra di oltre 7,5 milioni di dollari, hanno finanziato borse di studio per sacerdoti e laici, studenti in istituti e università pontificie.

     
    Nel corso dell’incontro è stata offerta a Benedetto XVI una riproduzione a dimensioni originali della Saint John’s Bible, la Bibbia realizzata nell’VIII secolo dai benedettini di un’abbazia tra l’Inghilterra e la Scozia, oggi scomparsa. Un dono particolarmente gradito dal Papa, ha confidato il cardinale Theodore Edgar McCarrick, arcivescovo emerito di Washington durante una conferenza alla Sala Stampa vaticana. Si tratta, è stato spiegato, della prima Bibbia scritta a mano negli ultimi 500 anni. La realizzazione di questa Bibbia miniata, in più volumi, ha richiesto oltre dieci anni di lavoro.

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    Altre udienze

    ◊   Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina un altro gruppo di presuli della Conferenza episcopale delle Antille, in visita "ad Limina". Questo pomeriggio riceverà il cardinale William Joseph Levada, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede.

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    La Santa Sede chiarisce i malintesi sull'Oremus et pro Iudaeis auspicando ulteriori progressi nell'amicizia tra Ebrei e Cristiani

    ◊   La Segreteria di Stato ha reso noto oggi - attraverso la Sala Stampa della Santa Sede - un comunicato per “chiarire i malintesi” con alcuni settori del mondo ebraico che avevano espresso “dispiacere” dopo la nuova formulazione dell'Oremus et pro Iudaeis, la preghiera per gli Ebrei contenuta nella liturgia del Venerdì Santo, per l'edizione del Missale Romanum del 1962. Un testo che secondo alcuni “non risulterebbe in armonia con le dichiarazioni ed i pronunciamenti ufficiali della Santa Sede, riguardanti il popolo ebreo e la sua fede, che hanno segnato il progresso nelle relazioni di amicizia tra gli Ebrei e la Chiesa Cattolica in questi quarant’anni”. Il servizio di Sergio Centofanti.


    “La Santa Sede – afferma il comunicato - assicura che la nuova formulazione dell’Oremus, con la quale sono state modificate alcune espressioni del Messale del 1962, non ha inteso, nel modo più assoluto, manifestare un cambio nell’atteggiamento che la Chiesa Cattolica ha sviluppato verso gli Ebrei, soprattutto a partire dalla dottrina del Concilio Vaticano II, in particolare nella Dichiarazione ‘Nostra aetate’, la quale, secondo le parole pronunciate dal Papa Benedetto XVI proprio nell’Udienza ai Rabbini Capo di Israele del 15 settembre 2005, ha segnato ‘una pietra miliare sulla via della riconciliazione dei cristiani verso il popolo ebraico’. Il permanere dell’atteggiamento presente nella Dichiarazione ‘Nostra aetate’ – prosegue la nota - è evidenziato, del resto, dal fatto che l’Oremus per gli Ebrei contenuto nel Messale Romano del 1970 resta in pieno vigore, ed è la forma ordinaria della Preghiera dei Cattolici. Il Documento conciliare, nel contesto di altre affermazioni - sulle Sacre Scritture (Dei Verbum 14) e sulla Chiesa (Lumen gentium 16) -, espone i principi fondamentali che hanno sostenuto e sostengono anche oggi le relazioni fraterne di stima, di dialogo, di amore, di solidarietà e di collaborazione fra Cattolici ed Ebrei. Proprio scrutando il mistero della Chiesa, la ‘Nostra aetate’ ricorda il vincolo del tutto particolare con cui il Popolo del Nuovo Testamento è spiritualmente legato alla stirpe di Abramo e respinge ogni atteggiamento di disprezzo e di discriminazione verso gli Ebrei, ripudiando con fermezza qualunque forma di antisemitismo”. La Santa Sede – conclude il comunicato - auspica che queste precisazioni “contribuiscano a chiarire i malintesi, e ribadisce il fermo desiderio che i progressi verificatisi nella reciproca comprensione e stima tra Ebrei e Cristiani durante questi anni crescano ulteriormente”.

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    I nonni, figure centrali nella trasmissione di valori e di tenerezza alle nuove generazioni, colpite dal relativismo etico: se n'è parlato alla plenaria del dicastero della Famiglia

    ◊   Seconda giornata di lavori alla 18.ma plenaria del Pontificio Consiglio per la Famiglia, in corso in Vaticano fino a domani sul tema “I nonni, la loro testimonianza e presenza in famiglia”. La sessione di stamattina è stata aperta dalla Messa presieduta dal cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, ed ha visto alternarsi sul podio dei relatori, tra gli altri, il cardinale arcivescovo di Bologna, Carlo Caffarra, e l’arcivescovo Agostino Marchetto segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale dei migranti, che ha riflettuto sulla figura dei nonni nelle famiglie degli immigrati. La sintesi degli interventi nel servizio di Alessandro De Carolis:

    “Se la famiglia è un grande dono per l’umanità, i nonni sono un grande dono per la famiglia”. Il cardinale Tarcisio Bertone ha presentato così la realtà degli anziani e del loro peso specifico all’interno di un nucleo familiare. Peso specifico per definizione ricco dell’esperienza umana e, nel caso dei “nonni cristiani”, dei valori che la fede ha maturato in loro nel corso della vita, ma spesso alquanto in ribasso nella considerazione di figli e nipoti, specie nelle società occidentali. “Con la sua stessa presenza - ha osservato durante l’omelia il segretario di Stato - la persona anziana ricorda a tutti, e specialmente ai giovani, che la vita è una ‘parabola’” e che “per provare la sua pienezza essa chiede di riferirsi a valori non effimeri e superficiali, ma solidi e profondi”. Tuttavia, ha proseguito il cardinale Bertone, prevale in “un gran numero di giovani” una concezione della vita nella quale i valori etici tendono a rarefarsi e “preoccupa soprattutto”, ha affermato, il fatto che le famiglie si disgreghino “mano a mano che gli sposi giungono all’età matura e avrebbero maggior bisogno di amore, di aiuto e di comprensione vicendevole”. Del resto, ha osservato poco dopo il cardinale Carlo Caffarra, riflettendo sui principi dell’enciclica di Paolo VI Humanae Vitae - nel suo quarantennale - l’“erosione” dei valori è ben visibile, nella nostra epoca post-moderna, anche nel campo della morale sessuale, poiché - ha asserito l’arcivescovo di Bologna - il relativismo imperante ha messo il cristianesimo sullo stesso piano di altre proposte religiose e dunque esso “non dice la verità circa il bene dell’uomo”, anzi la sua “proposta salvifica” è ritenuta “o falsa o non necessaria o opinabile in base ai gusti di ciascuno”.

     
    Se il cardinale Caffarra ha indicato come punto oggi centrale nella missione della Chiesa la “ricostruzione di una vera antropologia come base ragionevole di una dottrina matrimoniale”, l’arcivescovo Agostino Marchetto ha messo in campo la sua esperienza nel settore della Pastorale dei migranti per parlare, fra l’altro, del contributo educativo dei nonni all’interno delle famiglie immigrate. “Essi - ha detto - sono custodi della memoria collettiva” e anche in un difficile scenario di emigrazione e integrazione, in quanto persone che portano “i valori della terra nativa, li trasmettono ai nipoti quasi per osmosi, in dialogo che si rivela spesso fecondo, basato, come dev’essere, sul rispetto di tutti gli auntentici altri valori, pur diversi dai propri”.

    “I nonni rappresentano la parte più tenera dell’amore con l’altro”, coloro “che più facilmente riescono a scrivere l’amore nei cuori dei bambini”, a differenza dei genitori sui quali grava soprattutto la responsabilità educativa. La considerazione è contenuta nell’intervento della psichiatra Dina Nerozzi Frajese, ricercatrice nel Dipartimento di neuroscienze dell’Università “Tor Vergata” di Roma, che ha parlato stamattina alla plenaria sul ruolo dei nonni nello sviluppo dell’affettività - argomento trattato anche da mons. Tony Anatrella, psicanalista francese, esperto in psichiatria sociale. Ma chi è un nonno nella realtà quotidiana? Luca Collodi ha chiesto una testimonianza personale a Carlo Casini, presidente del Movimento per la Vita:


    R. - E’ un genitore particolare, come dire, perché più tollerante. C’è un’immagine molto bella dei bambini accompagnati a scuola. Se sono accompagnati a scuola dai genitori, sono costretti a trotterellare, perché non reggono il passo degli adulti; se invece sono accompagnati dai nonni, hanno lo stesso passo. E’ in qualche modo un simbolo per indicare una qualche vicinanza tra chi è piccolo e chi ha un’età più avanzata e quindi una maggiore dolcezza, una minore autorevolezza del comando se si vuole, ma un’amicizia più intensa.

     
    D. - Lei è un personaggio pubblico, europarlamentare, presidente del Movimento per la Vita italiano. Come fa il nonno?

     
    R. - Intanto, mi consolo perché non tutti i nonni hanno i nipoti nella stessa città: per me, che sono pochissimo presente a casa mia, appena posso sto insieme a loro, e lo faccio non solo attraverso il telefono, ma cercando di coinvolgere questi ragazzi nella mia vita personale. Forse un po’ troppo, a volte si lamentano: “Ma nonno, parli sempre di bioetica...”. Però, per esempio, io adesso a maggio porterò tutti insieme i miei nipoti a Strasburgo, in modo che possano assistere ad una sessione del Parlamento europeo, possano - come dire - farsi un’idea. Quando vado in giro a parlare, li invito sempre... E poi cerchiamo di passare le vacanze insieme, per esempio: è una delle mie aspirazioni, non sempre realizzabili, ma almeno quei 15 giorni di riposo, di potere stare insieme ai miei familiari, compresi questi nipotini. Quindi io credo che, accanto ad una vicinanza fisica ci possa essere anche - come la chiamo io - una vicinanza di cuore, molto intensa, che produce frutti.

     
    D. - Questa Plenaria sul tema dei nonni, secondo lei, cosa dovrebbe affrontare? Che novità, che riflessioni ci dovrebbe dare?

     
    R. - La famiglia è cambiata. Se ripenso alla famiglia contadina dalla quale io provengo, composta di molte persone - non solo i genitori ed i figli, magari soltanto uno o due, come oggi, ma molti figli, molti parenti, molti nonni - certo, il clima è molto cambiato. Oggi, c’è anche un problema di assistenza ai nonni, in generale agli anziani. C’è il servizio che gli anziani possono dare, ma c’è anche il dovere di accoglienza verso coloro che hanno speso una vita per i loro familiari e che restano ancora in casa. Questo è un altro problema molto grave, specialmente ora che la vita si è allungata e che il bisogno di cure e di assistenza aumenta con il passare degli anni. Quindi, l’esortazione non solo ai figli ma anche ai nipoti a ricordarsi dei nonni mi pare che sia doverosa. E credo che sia questo uno dei temi da trattare in questo Consiglio pontificio.

     
    D. - Si dice spesso che le nonne, o comunque i nonni, "vizino" i nipoti: è vero?

     
    R. - Sì: io direi che questo è il nostro compito. La parola “vizio” è brutta, ma insomma, c’è il dovere dell’autorità che è esercitata specialmente dal padre - e c’è un gran bisogno di autorità oggi, nelle famiglie - e c'è un dovere di accoglienza e di disponibilità al sacrificio senza limiti, che è incarnato simbolicamente in modo particolare dalla madre. Ma c’è anche un dovere di dolcezza antica e sperimentata. Io sono contrario al nonno ruvido, al nonno che grida. A volte, certo, i nonni essendo anziani si stancano facilmente, però la loro principale caratteristica dev’essere la dolcezza verso i nipoti, non l’asprezza.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Passi dell'omelia del cardinale Tarcisio Bertone nella Messa celebrata durante la seconda giornata della plenaria del Pontificio Consiglio per la famiglia.

    Nell'informazione internazionale, un articolo di Antonio Chilà dal titolo "Botswana, terra ostaggio dei diamanti".

    Il presidente della Saint John's University, Dietrich Reinhar, ripercorre l'itinerario della "Saint John's Bible", la prima Bibbia manoscritta e miniata dall'avvento della stampa.

    Tutto sui primi secoli del cristianesimo: in cultura, Manlio Simonetti sul completamento del "Nuovo dizionario patristico e di antichità cristiane".

    L'origine e la storia del Pontificio collegio croato illustrate dal rettore Jure Bogdan.

    Andrea Monda recensisce "Il guardiano dei giardini del cielo": tredici racconti di Giovanni D'Alessandro.

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    Oggi in Primo Piano



    Al Congresso Mondiale sulla Divina Misericordia la testimonianza di suor Elvira, fondatrice della Comunità Cenacolo

    ◊   Terza giornata oggi del Congresso sulla Divina Misericordia nella Basilica romana di San Giovanni in Laterano. Intervenuto il cardinale Francis Arinze, prefetto della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei Sacramenti. “Il consolante e profondo mistero della misericordia di Dio – ha detto il porporato - permea le preghiera pubblica della Chiesa”. A seguire la testimonianza del vescovo Hilarion, rappresentante della Chiesa ortodossa russa presso le istituzioni europee: “L’amore di Dio – ha detto - è al di là dell’umana comprensione e al di sopra di ogni descrizione con parole. Allo stesso tempo è riflesso nelle stesse azioni di Dio rispetto al mondo creato, e all’umanità”. Infine la testimonianza di suor Elvira Petrozzi, fondatrice della Comunità Cenacolo, che vuole essere una risposta alla disperazione di tanti giovani. Chiara Calace l’ha intervistata sul significato della Divina Misericordia:


    R. – E’ l’amore, la luce, la pace, il perdono, è Dio!

     
    D. – Che ruolo ha la Divina Misericordia nei giovani tossicodipendenti?

     
    R. – Loro iniziano con la misericordia, la miseria, perchè proponiamo che abbiano coraggio. Allora, i ragazzi devono mettersi in ginocchio. Non volevo illuderli chiamando i medici, perché loro hanno bisogno dell’amore, un amore esigente, che è l’amore di Dio.

     
    D. – Ma questi giovani poi ce la fanno?

     
    R. – Ce la fanno, ce la fanno!

     
    D. – Tutti quanti?

     
    R. – Il dieci per cento va via prima e poi ritorna. Niente sigarette, niente ragazze fin quando sono veri. Noi diciamo che quando entri in comunità non puoi più permetterti di essere falso. La prima cosa è la verità, la verità... E poi dico loro che la Verità è una Persona. E chi è? E’ Gesù di Nazareth.

    E sul significato della Misericordia, ascoltiamo le testimonianze dei giovani della Comunità Cenacolo, ex tossicodipendenti che ce l’hanno fatta grazie alla misericordia di Dio:

     
    R. – La misericordia è praticamente tutta la mia vita. E come ho incontrato il Signore, nonostante tutto il male che ho fatto, ho capito che alla fine Lui continua a perdonarmi e io a rialzarmi.

     
    D. – Qual è la tua esperienza di vita?

     
    R. – Io vengo dal Libano e mi sono rifugiata nella droga, in modo sbagliato. Il sapere che ho incontrato Gesù, che mi ha portato in questo luogo stupendo con Madre Elvira, con la Comunità Cenacolo è veramente la misericordia infinita di Dio, che non ho mai trovato da nessuna parte.

     
    D. – Che cos’è per te la misericordia?

     
    R. – Sentire nel cuore che i peccati che hai fatto non sono più un peso per te.

     
    R. – La misericordia è il dono più grande che Dio mi ha dato e anche alla mia famiglia.

     
    D. – Qual è stata la tua esperienza personale con Dio?

     
    R. – Ho iniziato da piccola perchè mio fratello era tossico. La mia famiglia soffriva...

     
    D. – Che cos’è per te la misericordia?

     
    R. – La vita che mi è stata ridonata. Ho vissuto per strada tanti anni. Partire da drogato e oggi, invece, vivere da ragazzo pulito, per me è misericordia. Ho vissuto tanti anni nella droga, nel male, a rubare e all’improvviso trovarmi così... Non ho nemmeno le parole per spiegarlo, perché se mi guardo dentro, se guardo a com’era il mio passato e a come sono oggi, mi viene solo da ringraziare.

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    Giornata internazionale dell’ONU contro le mine. Messaggio di Ban Ki-moon

    ◊   Ricorre oggi la Giornata internazionale contro le mine indetta dall’ONU. “La presenza sul terreno di questi micidiali ordigni – afferma il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, nel messaggio diffuso per l’occasione – colpisce ancora 68 Paesi già teatro di conflitti, provocando morti e mutilazioni soprattutto nella popolazione civile e, di fatto, bloccandone lo sviluppo e la ricostruzione”. Da anni, numerose organizzazioni umanitarie si sono mosse per limitare la produzione e l’uso delle mine antipersona e per promuovere la bonifica dei territori. Sul fenomeno, Giancarlo La Vella ha intervistato Simona Beltrami della Campagna Internazionale contro le mine:


    R. – L’emergenza umanitaria causata dalle mine antipersona è stata portata alla luce dalle organizzazioni umanitarie all’inizio degli anni ’90. In quel periodo le mine erano prodotte ampiamente e praticamente erano possedute da tutti gli eserciti del mondo. In quel momento ci si è resi conto che, se si continuava a lasciar proliferare il commercio e la produzione di questi ordigni, ci si sarebbe trovati davanti ad una vera e propria catastrofe umanitaria. La presenza delle mine proietta l’ombra della guerra per decenni dopo la fine dei conflitti. Si creano intere generazioni di persone mutilate e le attività economiche, la ricostruzione, vengono bloccate dalla presenza di questi ordigni nel terreno. La comunità internazionale, l’opinione pubblica, hanno raccolto l’appello delle organizzazioni umanitarie e nel 1997 è stato firmato ad Ottawa, in Canada, il Trattato per la messa al bando delle mine antipersona che ha fatto epoca, dal momento che era la prima volta che si metteva al bando un’arma convenzionale comunemente usata dagli eserciti praticamente di tutto il mondo.

     
    D. – In questa difficile lotta contro questi micidiali ordigni, c’è anche qualcosa di positivo, i risultati finora raggiunti?

     
    R. – Il bilancio di dieci anni di esistenza del Trattato di Ottawa è sicuramente positivo. La produzione e il commercio delle mine sono ridotte sostanzialmente a zero. L’utilizzo è ridotto soltanto a due Paesi - Birmania e Russia - e a qualche gruppo armato non statale che comunque non ha a disposizione arsenali paragonabili a quelli degli eserciti. Inoltre sono stati sminati in questi anni enormi territori e numerosi Paesi. Entro l’anno prossimo sono molti i Paesi, che hanno aderito al Trattato di Ottawa, che dovranno completare le operazioni di sminamento. E qui c’è una piccola preoccupazione, perchè circa tre quarti di questi Paesi probabilmente non saranno in grado di completare le operazioni nel tempo stabilito. Questo dipende a volte dall’entità del problema, a volte dalla lentezza con cui è stato affrontato e a volte anche dalla mancanza oggettiva di fondi di cooperazione internazionale. Questo chiaramente non può non avere delle ripercussioni negative sulla possibilità di raggiungere l’obiettivo che ci si è posti con il Trattato di Ottawa, ossia un mondo finalmente libero dalle mine.

     
    E tra i Paesi maggiormente colpiti dal dramma delle mine c’è l’Angola. Nel Paese africano, teatro fino al 2002 di un sanguinoso conflitto civile durato 27 anni, oggi vivono almeno 27 mila persone mutilate o ferite dall’esplosione di una mina. Un dato purtroppo in drammatico aumento vista l’esistenza di vasti territori non ancora sminati. Per mettere in evidenza questa emergenza si svolge ogni anno un singolare concorso di bellezza. Ce ne parla Giulio Albanese.


    La storia è toccante e provocatoria al contempo: Augusta Urika è ancora una bellissima donna, ha 31 anni ed ha perso una gamba a causa di una mina in Angola, un Paese dove – secondo autorevoli fonti della società civile – i micidiali residuati bellici della ventennale guerra civile superano di poco – numericamente parlando – il numero di abitanti dell’ex colonia portoghese. Ebbene, Augusta si è aggiudicata la vittoria nel concorso di “miss mina anti-uomo 2008”.

     
    La gara si è svolta a Luanda ed ha avuto come partecipanti 18 donne mutilate; in palio, una protesi per una vita diversa. Un concorso che l’ideatore ha definito, con immenso rispetto per le partecipanti, “di bellezza”, ma che non ha evitato polemiche. L’iniziativa è partita dal regista norvegese Morten Travik, che ha lavorato per ottenere il sostegno di enti governativi e organizzazioni umanitarie; partito per il continente africano cinque anni fa, Travik era rimasto colpito dai volti sorridenti ma anche dal dramma quotidiano di un Paese – l’Angola – uscito da una estenuante guerra civile con oltre 10 milioni di mine ancora nascoste nel sottosuolo. Un concorso, quello da lui ideato, che va al di là di sfilate dell’estetica ed entra nella sfera della solidarietà e dell’umanità. L’intento di Travik: “Nessun pietismo né strumentalizzazioni. Solo un progetto artistico che ha avuto lo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica”.

     
    Dulcis in fundo, alla voce “ringraziamenti”, quella solitamente degli sponsor, la lista dei produttori di mine, come Burma, Iran, Russia, Cuba, Corea del Nord e del Sud, Singapore, Cina, Nepal, Stati Uniti, India, Pakistan e Vietnam. (Per la Radio Vaticana, Giulio Albanese)

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    Missione e vicinanza della Chiesa ai poveri al centro dell'Assemblea generale dei vescovi brasiliani in corso ad Itaici

    ◊   E’ in corso a Itaici, in Brasile, la 46.ma Assemblea generale della Conferenza episcopale brasiliana: al centro dei lavori il dibattito sulle nuove “Direttrici generali dell’azione evangelizzatrice della Chiesa in Brasile” alla luce della Conferenza di Aparecida. Partecipano alla plenaria oltre 300 vescovi. Sugli obiettivi dell’Assemblea ascoltiamo mons. Demetrio Valentini, vescovo di Jales e presidente della Caritas brasiliana. L’intervista è di Bianca Fraccalvieri:


    R. - Abbiamo come scopo specifico quello di cercare di mettere in pratica i grandi orientamenti pastorali della V Conferenza generale di Aparecida, tenutasi nel maggio dello scorso anno. Cerchiamo insieme, anzitutto, di comprendere quali siano i migliori orientamenti per il Paese e, successivamente, ogni diocesi cercherà di concretizzare questi orientamenti nella propria realtà, cosicché ogni diocesi possa mettersi al lavoro per riprendere il cammino della Chiesa dell’America Latina; riprendere il rinnovamento proposto dal Concilio Vaticano II (parlo, quindi, delle grandi intuizioni pastorali di Aparecida); riprendere poi l’identificazione e la vicinanza della Chiesa alla gente e ai poveri; riprendere la valida esperienza delle comunità ecclesiali di base, con tutto quello che queste indicano per essere una Chiesa che vuole incarnarsi nella realtà concreta della gente latinoamericana e soprattutto mettersi in missione. Questa rappresenta la nostra sfida, che certamente non sarà realizzata in pochi anni, tanto più che esige tutto un cambiamento nel modo di pensare le nostre strutture ecclesiali e non soltanto per aspettare che la gente venga da noi, ma perchè la Chiesa si metta in cammino per incontrare la gente. Questa è una nuova situazione che stiamo vivendo in America Latina.

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    Il cardinale Rylko inaugura a Roma il Colloquio internazionale sui carismi

    ◊   Si è aperto ieri pomeriggio a Roma un Colloquio internazionale teologico-pastorale sul tema dei carismi promosso dal Rinnovamento Carismatico cattolico in collaborazione con il Pontificio Consiglio per i Laici. E proprio il presidente del dicastero per i Laici, il cardinale Stanislaw Rylko, ha presieduto la concelebrazione della Santa Messa di inizio dei lavori. Giovanni Peduto, lo ha intervistato al termine del rito, chiedendogli quale sia il ruolo del Rinnovamento Carismatico in seno alla Chiesa cattolica:


    R. – Bisogna dire che tra i movimenti ecclesiali e le nuove comunità, il Rinnovamento nello Spirito occupa un posto speciale, perché è il Movimento – direi – statisticamente più diffuso nel mondo. Basta dire che, ad esempio, solo in Brasile ci sono circa 8 milioni di aderenti a questo movimento: è una grande forza spirituale della Chiesa di oggi; spirituale e missionaria. Questo bisogna dirlo con forza. Il Rinnovamento nello Spirito ha grandi meriti nella vita ecclesiale: ci ha resi più sensibili alla realtà dei carismi, cioè alla presenza dello Spirito Santo nella vita della Chiesa, nella vita di ogni credente. Lo Spirito Santo si rende presente nella vita della Chiesa anche attraverso questi doni speciali che noi chiamiamo carismi, che servono alla missione della Chiesa.

     
    D. – Eminenza, a proposito di carismi: si dice che sono fioriti nei primi tempi del cristianesimo, poi si sono come assopiti e adesso stanno rivenendo fuori proprio grazie al Rinnovamento Carismatico. Cosa ha da dirci in proposito?

     
    R. – Io direi che lo Spirito Santo, da sempre nella storia della Chiesa, distribuisce molto generosamente i suoi doni, quindi non è che i carismi c’erano e poi non c’erano e di nuovo riappaiono nella vita della Chiesa. Lo Spirito Santo è presente nella Chiesa; aiuta la Chiesa nello svolgimento della sua missione, grazie a questi doni speciali che elargisce generosamente anche nei nostri giorni. Il merito del Rinnovamento Carismatico è di renderci più sensibili, di avere gli occhi più aperti alla presenza di questi doni, a usarli meglio e ad essere più grati allo Spirito per questi doni.

     
    D. – Giovanni XXIII parlò della necessità di una nuova Pentecoste nella Chiesa; Giovanni Paolo II ha parlato della necessità di una nuova evangelizzazione ...

     
    R. – E infatti, il discorso sui carismi si inserisce in questa prospettiva: nella prospettiva della missione della Chiesa e nella prospettiva dell’evangelizzazione. Il servo di Dio Giovanni Paolo II ha parlato molto della nuova primavera dello spirito alle soglie del Terzo Millennio e noi stiamo assistendo, oggi, a questa nuova primavera che si rende presente in maniera particolare non solo tramite il Rinnovamento nello Spirito, ma tramite la presenza attiva nella Chiesa di tutti i movimenti ecclesiali e di tutte le nuove comunità.

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    Chiesa e Società



    Benedetto XVI negli USA: secondo un sondaggio il 70% degli americani vuole sentirlo parlare di Dio nella vita quotidiana

    ◊   La maggior parte degli americani – anche non cattolici – afferma di avere una visione positiva o molto positiva di Benedetto XVI, in base a un sondaggio compiuto in vista dell'imminente viaggio papale negli Stati Uniti. Il Cavaliere Supremo dei Cavalieri di Colombo, Carl Anderson, ha annunciato i risultati di una ricerca compiuta dal Marist College Institute for Public Opinion, ripresa dall'Agenzia Zenit. Con una percentuale del 58% contro il 13%, gli intervistati hanno detto di considerare il Pontefice in modo positivo o molto positivo. Il sondaggio ha anche rivelato che il 65% considera favorevolmente la Chiesa cattolica, anche se il 28% ne ha una visione negativa. Il 42% degli americani ha affermato che vorrebbe partecipare a una delle apparizioni pubbliche del Papa durante il suo viaggio negli Stati Uniti dal 15 al 20 aprile, mentre il 66% dei cattolici ha detto che desidererebbe assistere a uno degli eventi. Più del 70% vorrebbe ascoltare il Santo Padre su come permettere a Dio di entrare nella vita quotidiana (73%), su come trovare la realizzazione spirituale nella condivisione del proprio tempo e talento (71%) oppure su come poter fare la differenza nel mondo, nel proprio Stato e nella propria comunità (70%). Quasi i due terzi (64%) hanno espresso, invece, l'interesse ad ascoltare i consigli di Benedetto XVI su come poter avere una società in cui i valori spirituali ricoprono un ruolo importante. “La verità – ha detto Anderson – è che nonostante anni di storie molto negative sugli scandali che riguardavano la Chiesa cattolica e la visione del Papa come una sorta di custode severo della Dottrina della fede, gli americani hanno ora una visione molto sensibile e bilanciata di Benedetto XVI e della Chiesa”. Inoltre, ha aggiunto il Cavaliere Supremo dei Cavalieri di Colombo, gli americani “sono molto aperti ad ascoltare i suoi punti di vista su come potrebbero vivere la propria fede e metterla in pratica nella vita quotidiana". (R.P.)

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    Rapporto ONU su bambini e AIDS: “Tanti progressi ma ancora molta strada da fare”

    ◊   “Il numero di bambini e donne incinte sieropositivi che ricevono terapie antiretrovirali è aumentato, ma c'è ancora molta strada da fare per mantenere la promessa di una generazione libera dall'Aids”. Questo è in sintesi il messaggio diffuso dal rapporto curato da UNaids, Oms e Unicef che esamina i progressi compiuti in merito all'impatto dell'Aids su bambini e adolescenti. “Ogni anno migliaia di bambini muoiono a causa della malattia, e altri milioni hanno perso i genitori o le persone che si prendevano cura di loro – dichiara il direttore generale dell'Unicef Ann Veneman -. I bambini devono essere al centro dell'agenda mondiale di lotta all'Aids”. Secondo il rapporto ripreso dal Sir nel 2007 sono morti a causa dell’Aids nel mondo circa 290.000 bambini sotto i 15 anni. Alla stessa data, nell'Africa Subsahariana, 12,1 milioni di bambini risultavano aver perso uno o entrambi i genitori a causa dell'Aids. Tuttavia, a fine 2006, 21 Paesi - tra cui Benin, Botswana, Brasile, Namibia, Ruanda, Sud Africa e Thailandia - risultavano sulla buona strada per raggiungere, entro il 2010, l'obiettivo di una copertura dell'80% dei servizi di prevenzione della trasmissione madre-figlio, contro solo 11 paesi nel 2005. Inoltre il numero di bambini sieropositivi che ricevono trattamenti antiretrovirali nei Paesi a basso e medio reddito è aumentato del 70% tra il 2005 e il 2006. Malgrado si siano registrati risultati importanti, il Direttore di UNaids Peter Piot sostiene che “molto resta da fare per la prevenzione tra i giovani e gli adolescenti, se si vuole produrre un cambiamento significativo nell'andamento della pandemia”. Progressi infine si segnalano anche nei tassi di iscrizione scolastica dei bambini che hanno perso entrambi i genitori a causa della malattia e nella percentuale di donne incinte sieropositive che ricevono farmaci antiretrovirali per ridurre il rischio di trasmissione del virus ai neonati. Il rapporto lancia dunque un invito all'azione per: “sostenere le comunità e le famiglie; potenziare i sistemi sanitari, scolastici e di assistenza sociale; integrare i servizi per la prevenzione della trasmissione madre-figlio dell'Aids nei programmi di salute materna, neonatale e pediatrica; uniformare dati e strumenti di misurazione per documentare i progressi e gli ostacoli, potenziando così gli impegni”.(M.G.)

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    Il rialzo del prezzo del riso colpisce i Paesi asiatici e africani

    ◊   Il forte aumento del prezzo e la minore disponibilità di un altro cereale di base, il riso, rischia di far scoppiare nuove proteste in diversi Paesi africani, dove - riferisce l'Agenzia Fides - la tensione è già alta per l'aumento del prezzo del grano e dei carburanti. Uno dei più importanti produttori africani di cereali, l'Egitto, ha annunciato la sospensione delle esportazioni di riso per far fronte alla forte domanda sul mercato interno ed evitare nuovi rialzi dei prezzi che avevano provocato proteste da parte degli strati più poveri della popolazione. Anche l'India, terzo esportatore mondiale di riso, ha bloccato l'esportazione di tutte le qualità di riso, tranne il prezioso basmati, apprezzato dai buongustai di tutto il mondo, ma il cui prezzo elevato rende impossibile l'acquisto da parte degli africani. La causa della riduzione della produzione indiana di riso deriva dalle forti inondazioni che hanno colpito diversi Stati della Federazione. L'India da esportatore è diventato importatore di riso e di altri generi alimentari, contribuendo a far salire il loro prezzo. Anche le gelate che hanno colpito la Cina lo scorso inverno hanno contributo ad aggravare il problema. La forte riduzione di derrate di riso sui mercati internazionali è accompagnata da speculazioni che contribuiscono al forte rialzo del suo prezzo. La crisi colpisce in primo luogo i Paesi asiatici, per i quali il riso è uno degli alimenti-base, ma anche diversi Paesi africani già duramente messi alla prova dall'aumento del prezzo del grano. Al Chicago Board of Trade, la massima borsa mondiale dei cereali, il frumento in un anno ha visto i prezzi salire del 123%. Di conseguenza la domanda di riso è cresciuta proprio per compensare la diminuita disponibilità di grano. Si tratta di una crisi che si autoalimenta, perché appena un Paese decide di bloccare le esportazioni di riso e cereali, la speculazione ne approfitta per far aumentare il costo oltre il dovuto. Il problema è che i prezzi del riso, del grano o del petrolio dipendono non tanto e non solo da chi produce effettivamente la merce, ma dalle borse merci soggette a forti movimenti speculativi. Le popolazioni più svantaggiate dei Paesi africani sono le prime a farne le spese. Proteste per il “caro vita” si sono verificate in Marocco, Mauritania, Guinea, Senegal e Costa d'Avorio. In Centrafrica, uno dei Paesi più poveri del mondo, i generi di prima necessità sono aumentati del 50%, in alcuni casi del 100%, mentre i funzionari statali non ricevono da mesi lo stipendio. Una situazione esplosiva in uno Stato che nel recente passato ha visto la popolazione scendere in strada per protestare contro la riduzione dei salari e l'aumento del costo della vita. (R.P.)

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    L’IFAD indica la via dello sviluppo per l’Africa: “Investire nell’agricoltura per sconfiggere la povertà”

    ◊   “E' in un rapido sviluppo agricolo e delle zone rurali che risiede la chiave di volta per eliminare la povertà in Africa”. Questa è la semplice ricetta spiegata da Kanayo Nwanze, vicepresidente del Fondo Internazionale per lo sviluppo agricolo (IFAD), che parlando dal vertice tra Unione Africana (UA) e delegati della Commissione economia delle Nazioni Unite per l'Africa in corso ad Addis Abeba, ha detto che “c'è bisogno di uno sforzo collettivo per eliminare la tripla minaccia costituita da povertà, cambiamenti climatici e aumento incondizionato dei prezzi” al fine di garantire “un futuro sostenibile per donne, gruppi marginalizzati e piccoli agricoltori”. L’agenzia Misna riferisce poi che il presidente dell’agenzia delle Nazioni Unite ha ricordato che la situazione, in modo particolare nell'Africa sub-sahariana, “rimane critica e le proteste contro il carovita cui si è assistito nelle scorse settimane in diversi paesi, sono destinate a moltiplicarsi”. Pur lodando i passi in avanti compiuti da numerosi paesi negli ultimi anni, i rappresentanti degli uffici ONU presenti al vertice hanno infine ribadito la necessità di accelerare gli sforzi per realizzare gli “Obiettivi del millennio” entro il 2015. Secondo l'Ifad la percentuale di persone che vivono sotto la soglia di povertà, nell'Africa sub-sahariana, è stabile al 40%. (M.G.)

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    Il voto in Zimbabwe: si moltiplicano gli appelli delle Chiese africane e delle ONG cristiane

    ◊   Resta alta la tensione nelle Zimbabwe in attesa dei dati definitivi delle elezioni presidenziali. Mentre al Parlamento è ormai certa la vittoria dell’opposizione, si attende ancora il conteggio ufficiale e la diffusione dei risultati delle presidenziali. Il Movimento per il Cambiamento Democratico (MDC), all'opposizione, ha già proclamato vincitore il proprio leader Morgan Tsvangirai con il 50,3 per cento dei voti, un dato contestato dal partito del presidente Mugabe, lo ZANU-PF, secondo il quale alle presidenziali la corsa è ancora aperta e sarà probabilmente necessario andare al ballottaggio. Intanto, da tutta la società civile del Paese si alza un appello unanime agli esponenti politici affinché si evitino spargimenti di sangue. Anche i leader delle Chiese dell’Africa meridionale sono intervenuti con una dichiarazione diffusa mercoledì ad Harare dalla “Regional Faith-Based Initiave”, l’iniziativa promossa dall’Associazione interregionale dei vescovi dell’Africa Australe e dai Consigli delle Chiese cristiane della regione insieme all’Associazione degli Evangelici dell’Africa per monitorare lo svolgimento delle elezioni. Nel testo i leader cristiani esprimono “frustrazione e delusione” per la decisione del governo di Mugabe di negare ai rappresentanti delle Chiese cristiane l'accredito di osservatori elettorali. “Siamo scioccati dal fatto che lo Zimbabwe, essendo uno dei Paesi firmatari del trattato della Comunità di Sviluppo dell'Africa australe (SADC), che prevede la creazione di un quadro per permettere elezioni libere e corrette, abbia violato le linee guida del trattato”. Esprimono invece preoccupazione per il ritardo nella proclamazione definitiva dei risultati, le organizzazioni non governative cristiane che lavorano nello Zimbabwe, tra cui l’agenzia cattolica irlandese Trocaire, l’agenzia internazionale Progressio, il network cristiano Tearfund, la svizzera FEPA (Fondazione per lo sviluppo e la partnership in Africa) e Christian Aid, organismo delle chiese protestanti di Gran Bretagna e Irlanda. Le cinque ONG chiedono perciò che “i risultati delle presidenziali siano pubblicati al più presto” e che “una mediazione esterna di personalità della regione assista ai colloqui tra i partiti dei due candidati”; ma soprattutto invocano “la protezione dei diritti fondamentali e le libertà dei cittadini dello Zimbabwe”. “Non vogliamo spargimenti di sangue – ha poi affermato al Sir il reverendo Albert Chatindo, della Zimbabwe Christian Alliance, organismo che lavora a stretto contatto con le cinque organizzazioni – così stiamo facendo uno sforzo, come leader delle Chiese, per chiedere ai leader dei governi dell’Africa del Sud di intervenire”. (M.G.)

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    Bolivia: il cardinale Terrazas chiede al Paese di sforzarsi ad essere costruttore di pace

    ◊   “Oggi più che mai, nella situazione di tensione che sta vivendo il nostro Paese, risuona promettente il saluto del Signore Risorto ai suoi Apostoli: ‘La pace sia con voi’. La pace è il dono più prezioso che il Signore affida agli Apostoli, una nuova relazione tra noi figli con Dio Padre, e come tali ci rende tutti fratelli in Cristo”. Con queste parole, il cardinale Julio Terrazas, Arcivescovo di Santa Cruz e Presidente della Conferenza Episcopale Boliviana, ha aperto ieri i lavori dell’Assemblea Plenaria che si celebra dal 3 all’8 aprile a Cochabamba. Nel suo discorso riportato dall'Agenzia Fides, il porporato ha ricordato il 20.mo anniversario della visita pastorale di Giovanni Paolo II in Bolivia, che verrà celebrato il prossimo mese di maggio. “Sono ancora vivi nei nostri cuori i gesti di vicinanza e le parole illuminanti di Giovanni Paolo II, ancora molto attuali per il cammino della nostra Chiesa e del nostro Paese”. In particolare è ancora vivo il ricordo del discorso di addio nel quale, quasi come un testamento, il Papa disse: “i boliviani cerchino, senza stancarsi, l’armonia nella giustizia e nella libertà. Assicureranno, così, un futuro migliore non soltanto all’attuale ma anche alle future generazioni. Mettano in gioco il loro senso di fraternità e seguano sempre il cammino del dialogo, della comprensione, della collaborazione, pensando al bene di tutti”. Tuttavia, come ha constatato il cardinale Terrazas, “siamo ancora lontani dall’aver realizzato queste esortazioni. Se le avessimo messe in pratica, non staremmo soffrendo questa situazione di crisi”. “La convulsione sociale e politica nella quali siamo immersi - ha continuato il Porporato - ha spinto le parti in conflitto a chiedere il nostro aiuto per ‘facilitare’ il dialogo. Lo stiamo facendo con semplicità, costanza e sincera vocazione di servizio alla nostra Patria, ascoltando i protagonisti coinvolti. Tuttavia sono persuaso del fatto che è quasi impossibile facilitare il dialogo mentre registriamo ancora la sfiducia reciproca, le pressioni e la violenza”. L’Arcivescovo di Santa Cruz ha poi ricordato l’incontro avuto martedì sera tra il presidente boliviano Evo Morales ed i vescovi con l’obiettivo di valutare e ratificare da parte del Governo centrale, il desiderio di dialogare e di risolvere i problemi in maniera pacifica con i settori dell’opposizione. Secondo quanto affermato dal portavoce della Presidenza, l’incontro con i Pastori della Chiesa cattolica è servito ad esprimere il desiderio di dialogo che nutre il Governo e la ferma fiducia nella Chiesa, per il suo prestigio morale e la sua credibilità, affinché possano concretizzarsi spazi di dialogo per la ricerca di soluzioni. (R.P.)

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    In corso la plenaria della Conferenza episcopale dell’Uruguay

    ◊   La Conferenza Episcopale dell’Uruguay (CEU) sta celebrando in questa settimana, dal 2 al 9 aprile, la sua prima Assemblea Generale Plenaria Ordinaria dell’anno 2008, presso la Casa di ritiri “Gesù Buon Pastore” di Florida. La discussione di lunedì sarà incentrata sui preparativi per la Giornata Nazionale della Gioventù, prevista per il 6 e il 7 settembre a Tacuarembó, e la partecipazione dei giovani uruguaiani alla Giornata Mondiale della Gioventù a Sydney, nel mese di luglio. L’incontro dei vescovi ha avuto inizio con un ritiro spirituale predicato da Mons. Francisco Barbosa, Vescovo di Minas. Ieri c’è stata la visita del Nunzio Apostolico, Mons. Janusz Bolonek. I Vescovi procederanno poi all’approvazione finale degli Orientamenti pastorali che segneranno il cammino della Chiesa nel Paese per i prossimi anni, incentrandosi su aspetti relativi alla Missione Continentale, voluta dalla V Conferenza Generale dell’Episcopato Latino-Americano e dei Caraibi, celebrata lo scorso anno ad Aparecida. Saranno definiti inoltre alcuni aspetti relativi alla "visita ad Limina Apostolorum" prevista per il mese di settembre, e preparata la partecipazione dei membri della Conferenza Episcopale dell’Uruguay al Sinodo dei vescovi che, convocato dal Santo Padre, avrà luogo a Roma dal 5 al 26 ottobre sul tema “La Parola nella vita e la missione della Chiesa”. I membri della Conferenza episcopale discuteranno anche una relazione sull’incontro organizzato dal Consiglio Episcopale Latino-Americano sui Movimenti della Chiesa e sulle attività di Caritas Uruguay. (V.V.)

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    Entra nel vivo il congresso pro-vita organizzato dai vescovi del Guatemala

    ◊   Mons. Pablo Vizcaíno Prado, vescovo di Suchitepéquez-Retalhuleu, Presidente della Conferenza episcopale del Guatemala ha presieduto ieri la celebrazione eucaristica con cui si è aperto il Primo Congresso sulla “Vita e la dignità della persona umana”, voluto e organizzato dai vescovi e sul quale, i primi giorni di marzo, durante la loro visita ad Limina in Vaticano parlarono sia con i responsabili dei dicasteri romani sia con la stampa. Il Congresso, che si svolge presso i locali del Seminario maggiore di Città di Guatemala, si concluderà domani con una Marcia Pro-vita che arriverà fino all’Obelisco eretto in omaggio e ricordo di Giovanni Paolo II che visitò questo Paese ben tre volte. Da oggi si succederanno numerosi interventi di esperiti laici e di pastori per affrontare, da un’ottica interdisciplinare, nonché etica e teologica, le svariate grandi questioni legate alla difesa e promozione della vita umana dal suo concepimento fino al suo termine naturale. Tra i relatori c’è l’arcivescovo della capitale cardinale Rodolfo Quezada Toruño, che qualche settimana fa ai microfoni della nostra emittente ricordava che nel suo Paese “ci sono leggi ambigue, che praticamente aiutano l’aborto. Speriamo di non avere altri problemi nel futuro. Ma noi vescovi siamo chiari in questo senso, per difendere la vita a qualsiasi prezzo. Quindi, io credo, - aggiungeva - che ci troviamo nella via giusta che dobbiamo percorrere”. Altri relatori, medici, ricercatori, assistenti sociali e educatori, alcuni dei quali di altre nazioni centroamericane, si alterneranno per riflettere su argomenti come la fecondazione in vitro, le cellule staminali, anticoncezionali, e infine, sessualità e dignità umana. In Guatemala, negli ultimi anni, e anche tra i politici, è cresciuta la presa di coscienza riguardo alla sacralità della vita che lunghi anni di guerra civile, nonché un’agguerrita criminalità organizzata, avevano contribuito a snaturare del suo valore intrinseco. La “cultura” della morte che per molti decenni padroneggiò in gran parte del Paese, oggi, con il faticoso e graduale ritorno alla pace e alla normalità democratica, tende a perdere terreno e perciò, per i vescovi guatemaltechi, occorre andare incontro a questa tendenza positiva per fare chiarezza e rinforzare i principi ultimi. La strada è lunga e irta di ostacoli anche perché, in alcuni settori della società guatemalteca, annida come “normale” la violenza, la vendetta e il disprezzo della vita. Ieri infatti, mons. Alvaro Ramazzini, vescovo di San Marco denunciava l’ennesima minaccia di morte contro la sua persona e contro altri operatori pastorali. Proprio dieci anni fa, fu ucciso in Guatemala mons. Juan Gerardi, vescovo ausiliare della capitale, due giorno dopo aver presentato un’accurata indagine sulle violazioni dei diritti umani nel periodo della guerra civile sia da parte dell’esercito sia da parte della guerriglia. (A cura di Luis Badilla)

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    I primi missionari "fidei donum" della diocesi coreana di Suwon sono partiti per il martoriarto Sudan

    ◊   La Chiesa coreana guarda all’Africa e ha a cuore le regioni e le popolazioni più martoriate. Per questo tre giovani sacerdoti coreani sono partiti ieri per il Sudan, dove svolgeranno servizio pastorale in qualità di preti "fidei donum". E’ la prima volta - riferisce l'Agenzia Fides - che la diocesi di Suwon invia propri sacerdoti in missione come "fidei donum" e questo testimonia la vitalità della Chiesa locale. I tre sacerdoti hanno salutato la comunità ecclesiale di Suwon e ricevuto il mandato missionario in una celebrazione tenutasi nella Cattedrale di Suwon, alla presenza di 200 sacerdoti diocesani e oltre duemila fedeli. “Sull’esempio di San Paolo, che ha vissuto ogni giorno come se fosse l’ultimo, possiate anche voi vivere per il popolo sudanese testimoniando l’amore di Dio”, ha esortato Mons. Paul Choi Deong-ki, vescovo di Suwon, nella sua omelia riportata dall’agenzia dei missionari MEP “Eglises d’Asie”. Durante la celebrazione, i tre missionari hanno promesso obbedienza a Mons. Cesare Mazzolari, vescovo di Rumbek, nella cui diocesi sudanese svolgeranno servizio pastorale per tre anni. La diocesi di Rumbek copre un area di 58mila kmq per una popolazione di 3,8 milioni di abitanti. I tre sacerdoti "fidei donum" opereranno per l’evangelizzazione in Sudan, apportando aiuto materiale e spirituale. Secondo le statistiche della Conferenza Episcopale della Corea, nella diocesi di Suwon vi sono 672mila cattolici (su 6,9 milioni di abitanti) e 386 sacerdoti, fra diocesani e religiosi. (R.P.)

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    Civiltà Cattolica: “La scomparsa dei cristiani dall’Iraq sarebbe una sventura”

    ◊   “La scomparsa dei cristiani sarebbe una sventura”. L’allarme viene lanciato sull’ultimo numero di Civiltà Cattolica, da Mons. Antoine Audo, vescovo di Alep dei Caldei. Il presule iracheno spiega dalle pagine della rivista dei Gesuiti, della presenza cristiana nel martoriato territorio iracheno: "I fedeli della Chiesa caldea, fieri della propria identità di cristiani e di iracheni, si sforzano di vivere in pace con tutte le etnie presenti nel Paese, e con la loro presenza, come è avvenuto in passato, possono essere anche oggi un segno di speranza e un ponte di dialogo tra il mondo occidentale e l’islam”. “Nonostante le disgrazie i cristiani rimangono molto legati al proprio Paese – si legge ancora nel messaggio nel presule ripreso dal Sir -, sono pienamente iracheni e profondamente cristiani, fieri della loro appartenenza religiosa, con una grande capacità di integrazione e una grande facilità a vivere con tutte le categorie dei loro concittadini, senza complesso di persecuzione né di disprezzo dell’altro. Questo ci pare un capolavoro di integrazione, la capacità cioè di rimanere se stessi, pur rispettando l’altro sino ad assimilarne i migliori elementi culturali e religiosi”. “Esperti di convivenza con tutte le confessioni musulmane e con tutte le etnie dell’Iraq” per il vescovo “i cristiani possono essere garanzia della riconciliazione e ponte di dialogo tra l’islam e il mondo moderno. I cristiani dell’Iraq, come del resto quelli del Vicino Oriente in genere, devono essere consapevoli della vocazione che oggi incombe su di essi. È nel momento della prova che si può annunciare una parola di vita e schiudere un futuro per le persone che ci stanno attorno”. In conclusione mons. Audo pone l’accento sulla necessità di continuare a coltivare il dialogo tra le culture: “Non c’è motivo di interrompere tale scambio nel tempo della prova. Bisogna inventarlo di nuovo per sopravvivere e far vivere”. (M.G.)

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    Pakistan: distribuzione di aiuti alle famiglie povere di Sargodha come segno di integrazione dei cristiani

    ◊   I cristiani “sono parte integrante della vita del Pakistan, cittadini come tutti gli altri” ed è per questo che “si dovrebbero dare dei segnali forti di vera libertà religiosa. Apriamo le sedute politiche con la lettura non solo del Corano, ma anche della Bibbia e dimostriamo così a tutti che qui la visione interreligiosa del Padre della patria Jinnah, può divenire realtà”. È la proposta avanzata dai membri del Consiglio distrettuale di Sargodha, parte orientale del Paese, durante la distribuzione di generi di prima necessità a 352 famiglie cristiane povere della zona. La distribuzione è stata organizzata dal Partito pakistano Masihi Aman, una formazione che predica l’integrazione della comunità cristiana. Hameed Amjad Warraich, presidente del distretto, commentando la distribuzione dei doni preparati dal Masihi, ha detto ad AsiaNews che " i cristiani hanno un ruolo cruciale nella società ed hanno contribuito come tutti gli altri a formarla. Ora dobbiamo dimostrare che la volontà ‘interreligiosa’ di Ali Jinnah, Padre della patria, è fattibile”. Mial Sultan Ranjha, membro del Consiglio distrettuale, ha aggiunto: “I cristiani non hanno bisogno di un certificato che attesti la loro uguale cittadinanza. Noi non crediamo nelle maggioranze o nelle minoranze, ma solo nei cittadini”. In realtà, la situazione della minoranza cristiana del Pakistan (circa lo 0,9 % della popolazione) è a rischio: leggi repressive e discriminazione sociale rendono molto difficile per i cristiani vivere la propria fede ed avanzare nella scala sociale. (R.P.)

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    Vietnam: decennale del cardinale Phan Minh Man alla guida dell’arcidiocesi di Ho Chi Minh City

    ◊   Festeggiamenti per i dieci anni del cardinale Jean Baptiste Pham Minh Man alla guida dell’arcidiocesi vietnamita di Ho Chi Minh City, ex Saigon. Più di 10 mila fedeli hanno gioito per la crescita della Chiesa locale. Dal 1988, infatti, il cardinale è a capo di una comunità nella quale oggi 316 sacerdoti svolgono il loro ministero in 209 parrocchie e 646.732 laici sono iscritti a sedici grandi associazioni cattoliche. In questi anni, riferisce AsiaNews, tutte le componenti della Chiesa (sacerdoti, religiosi e laici) hanno appreso e coltivato le capacità per accrescere le attività pastorali. Il cardinale – secondo fonti cattoliche vietnamite – è molto attento agli sviluppi della società. I suoi scritti sono semplici, pieni, profondi e molto comprensibili. Ma il suo insegnamento avviene soprattutto attraverso il suo comportamento e i buoni esempi che egli dà nelle attività sociali, nei confronti di malati di Aids, emigranti, poveri e bambini sfortunati.  (V.V.)

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    I vescovi di Tucson, negli USA, e Mexicali, in Messico, chiedono una legislazione più adeguata per i contadini

    ◊   I vescovi della diocesi statunitense di Tucson, mons. Gerald Kicanas e di quella messicana di Mexcali, mons. Isidro Guerriero Macías, hanno diffuso un documento comune chiedendo una legislazione più adeguata per i lavoratori della terra. La pubblicazione di questo documento vuole favorire, in particolare, l’approvazione di un atto parlamentare, l’ “Agricultural Job Opportunity, Benefits and Security Act”, che secondo i vescovi può far registrare “un passo in avanti verso l’abbattimento della discriminazione”. Il documento – scrivono i presuli - “è ispirato alle esperienze avvenute nel settembre dello scorso anno, quando abbiamo visitato un progetto per i lavoratori agricoli sponsorizzato dai Catholic Relief Sevices nelle due diocesi di Yuma e di San Luis Rio Colorado”. “Abbiamo fatto visita ai lavoratori nei campi - aggiungono i due vescovi - e visto le comunità messicane in cui vivono” venendo a conoscenza “delle loro necessità e dei loro sogni”. Nel testo si rivolge infine un appello ai fedeli delle due diocesi perché preghino insieme per tutti quei lavoratori e coltivatori, spesso vittime di sfruttamenti e in difficili condizioni economiche. (Va.V.)

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    Il governo della Repubblica Ceca ratifica l'accordo di dicembre sull’indennizzo alle Chiese

    ◊   Il governo ceco ha ratificato mercoledì l’accordo siglato lo scorso dicembre sull’’indennizzo alle Chiese per i beni confiscati durante il passato regime comunista. Il disegno di legge, adottato all’unanimità da tutti i membri del Consiglio dei Ministri, attende adesso il vaglio del Parlamento. L’accordo, raggiunto dopo un annoso contenzioso, prevede il ritorno alle Chiese di un terzo delle proprietà espropriate e un indennizzo che lo Stato pagherà a rate in un lasso di tempo di 60 anni. La cifra rappresenta il risarcimento per gli espropri effettuati dal governo comunista a partire dal 25 febbraio 1948 su terreni ed edifici ecclesiastici oggi adibiti ad altro uso e non restituibili. Contraria al compromesso, resta l’opposizione social-democratica, che ha già dichiarato battaglia preannunciando la presentazione, in Parlamento, di una proposta di legge alternativa. Anche nella maggioranza non mancano voci discordi sulla cifra concordata, giudicata eccessiva. Compresi gli interessi, ammonterà complessivamente ad una somma stimata in 10 miliardi di euro. Per il ministro della Cultura Vaclav Jehlicka, che ha condotto le trattative per il governo lo scorso autunno, l’accordo invece “soddisfa tutte le parti in causa”. Il presidente Vaclav Klaus si è detto in linea di principio favorevole a promulgare la legge. (L.Z.)

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    Pax Christi: cresce l’esportazione di armi italiane nel 2007

    ◊   Le esportazioni di armi dell’Italia sono aumentate del 9,4% nell’anno 2007 rispetto al 2006, con un giro d’affari che sfiora i 2,4 miliardi di euro. Il primo acquirente è il Pakistan. È quanto ha denunciato Pax Christi Italia ieri, in una nota a conclusione dei lavori del suo consiglio nazionale, riunitosi a Firenze. “La scelta del disarmo, della riduzione di produzione e vendita di armi spesso sbandierata – ha riferito Pax Christi al Sir - è tragicamente e costantemente smentita. Attendiamo una vera discontinuità dal prossimo governo e maggiore impegno e chiarezza sia nella Chiesa che nella società civile”. Pur esprimendo soddisfazione per le 70.000 firme depositate alla Camera il 27 marzo in appoggio alla legge popolare per una “Italia libera da armi atomiche”, Pax Christi si dice molto preoccupata per i primi dati emersi dal Rapporto Annuale previsto dalla legge 185 del ‘90, reso noto dalla Presidenza del Consiglio dei ministri. Durante il consiglio nazionale sono stati anche lanciati due appelli a favore del Tibet e per la liberazione di Ingrid Betancourt e degli altri ostaggi in Colombia. (V.V.)

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    Primo cammino internazionale di Confraternite a Lourdes, organizzato nel 150.mo anniversario delle apparizioni della Vergine a Bernadette

    ◊   In occasione del 150.mo anniversario delle apparizioni della Vergine a Bernadette Soubirous, confraternite provenienti da tutta Europa partecipano a Lourdes, a partire da oggi e fino a domenica prossima, al Cammino di preghiera internazionale delle Confraternite. L’itinerario di fede e preghiera si inserisce nello spirito della tradizione delle Confraternite, che da sempre si richiamano alla Madonna quale intermediaria verso Dio. Il programma prevede anche una processione notturna con le fiaccole, la Via crucis e incontri comunitari. Si stima che i partecipanti siano circa dieci mila di oltre 250 confraternite. Le delegazioni più numerose provengono dall’Italia, dalla Svizzera, dalla Francia e dalla Spagna. Il presidente della Confederazione che riunisce circa 2 mila Confraternite italiane, Francesco Antonietti, ha spiegato al quotidiano della Conferenza episcopale italiana (CEI), ‘Avvenire’, che il “pellegrinaggio rientra in un più ampio progetto internazionale”: “La finalità – ha aggiunto – è quella di realizzare una ‘mappatura’ delle Confraternite in Europa, per creare una rete di solidarietà soprannazionale e riscoprire la realtà cristiana europea, con le sue radici”. Le aggregazioni laicali risalgono, infatti, ai primi anni del cristianesimo, anche se le prime testimonianze certe si hanno solo a partire dei primi secoli del Millennio appena concluso. Il cammino di preghiera sarà anche l’occasione per un confronto sul progetto che prevede la creazione, a breve, di un “museo della pietà popolare” lungo il tratto italiano della Via Francigena, l’antica strada che collegava il Nord Europa con Roma. In agenda, anche il prossimo incontro delle Confraternite del Santissimo Rosario, a Pompei il 18 ed il 19 ottobre. (A.L.)

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    Al via a Roma il Congresso promosso dalla Pontificia Università Lateranense sui traumi dell'aborto e del divorzio

    ◊   “L’olio sulle ferite. Una risposta alle piaghe dell’aborto e del divorzio”. Questo il titolo del Congresso che si è aperto stamani a Roma, presso la Pontificia Università Lateranense, e si concluderà domani pomeriggio dopo l’incontro dei partecipanti con Benedetto XVI. Promotore dell’iniziativa, che coinvolge autorevoli esponenti del mondo accademico internazionale, il Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia, in collaborazione con i Cavalieri di Colombo. Tema della mattinata, “I figli del divorzio”. Il “divorzio buono”, teorizzato oggi in molte società occidentali, non esiste, non per i figli almeno. Tutti i relatori intervenuti stamani sull’argomento hanno contestato, infatti, la diffusa ipotesi che una bassa conflittualità tra i genitori possa risparmiare ai figli le conseguenze dolorose della loro separazione. Il divorzio è sempre un trauma e secondo alcune ricerche del Centro Studi sulla Famiglia esposte dalla dottoressa Raffaella Iafrate, i suoi effetti non si registrano solo nell’immediato attraverso comportamenti disturbati o stati d’animo quali depressione, ansia e mancanza di autostima, ma anche nel lungo periodo, quando entrati nell’età adulta i figli di divorziati possono avere difficoltà a mantenere relazioni durature e un lavoro stabile. La rottura tra i propri genitori inoltre ha delle conseguenze anche sul piano della vita spirituale. Come ha spiegato la ricercatrice Elizabeth Marquardt, questi adolescenti tendono a staccarsi più dei loro coetanei dalle comunità religiose di appartenenza, perdendo quindi un conforto, quello della fede, che potrebbe essergli di grande aiuto. Va ricordato comunque, ha affermato la studiosa americana Joan Kelly, che il trauma può essere fortemente ridotto se i genitori adottano alcuni accorgimenti, come evitare i conflitti e i trasferimenti di città. Anche secondo padre Olivier Bonnewijn, dell’Istituto teologico di Bruxelles, “il divorzio non è la fine di tutto” e i genitori possono continuare la loro missione, purchè, come insegnano le Sacre Scritture, non dimentichino il principio fondamentale della genitorialità: rispettare il figlio per quello che è senza costringerlo a crescere in fretta. (A cura di Silvia Gusmano)

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    Roma: cerimonia al Campidoglio per commemorare Martin Luther King

    ◊   Il 4 aprile del 1968 a Memphis, nel Tennessee, veniva assassinato Martin Luther King. Per commemorare il pastore leader del movimento per i diritti civili degli afroamericani, nel quarantennale della sua morte, l’Unione cristiana evangelica battista d’Italia (UCEBI) e il comune di Roma hanno organizzato una serata premio in collaborazione con il comune di Birmingham (Albana), che avrà luogo questa sera in Campidoglio. Il premio “Martin Luther King per i diritti umani” vuole dare visibilità per quanti si battono per la difesa dei diritti delle minoranze e per la diffusione della cultura e della pratica della non violenza. Secondo quanto riferisce l’Osservatore Romano, il riconoscimento, primo del suo genere in Italia, è stato assegnato a pari merito all’associazione Iroko onlus di Torino e alla Scuola di pace di Napoli. La prima è impegnata contro la tratta e lo sfruttamento sessuale delle donne, la seconda si rivolge ai più giovani per formare una coscienza critica contro ogni forma di violenza. Il presidente dell’UCEBI, Anna Maffei, ha spiegato che il premio si propone di “diffondere il messaggio di Luther King che ha saputo coniugare la lotta contro la segregazione razziale e l’impegno contro la povertà, in un ottica che ha avuto orizzonti molti più ampi degli Stati Uniti”. (M.G.)

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    24 Ore nel Mondo



    Dopo il verice NATO, oggi l'intervento di Putin che annuncia misure in risposta all'allargamento dell'Alleanza Atlantica ad Est

    ◊   Chiuso ieri il vertice dei Paesi della NATO, oggi il Consiglio dell’Alleanza atlantica ha incontrato il presidente russo, Vladimir Putin. Il suo intervento non è stato ripreso dalle telecamere ma la stessa delegazione russa ha fatto conoscere i punti salienti del discorso. Il servizio di Fausta Speranza:


    La Russia sarà costretta a prendere le misure per proteggere la propria sicurezza in risposta all'allargamento della NATO oltre i confini dell'ex URSS. E’ il primo annuncio di Putin. Il secondo riguarda il Trattato sulle armi convenzionali in Europa (CFE): la Russia è pronta a rilanciarne l'operatività, ma solo con gli altri partecipanti. Il presidente russo, poi, lancia accuse: alcuni Paesi hanno demonizzato la Russia, dimenticando il suo contributo alla fine della Guerra fredda. In particolare, afferma che ''alcuni alleati sono arrivati ad una totale demonizzazione della Russia e non possono venirne fuori". Inoltre, Putin spiega che il continuo allargamento della NATO è un impedimento serio alla cooperazione tra l'Alleanza atlantica e Mosca. E aggiunge che la presenza di un blocco militare ai confini occidentali della Russia sarebbe considerata una ''minaccia diretta''. In ogni caso, Putin sottolinea che una ripetizione della Guerra fredda ''non è possibile''. Da parte sua, il segretario generale della NATO, Jaap de Hoop Scheffer, ha parlato di una discussione ''aperta e franca'', caratterizzata da ''spirito positivo''. Di certo, sull’incontro di oggi hanno pesato le decisioni di ieri: via libera all’aumento dei militari da schierare in Afghanistan e sullo scudo spaziale, no invece all’apertura immediata ai negoziati per l’ingresso di Georgia e Ucraina nella NATO. Ma si tratta solo di un rinvio a dicembre. Inoltre, è stata presa la decisione di appoggiare l’iniziativa statunitense di costruire uno scudo spaziale antimissile. Da mesi, si negozia con Polonia e Repubblica Ceca, ma l’obiettivo diventa coinvolgere tutti i Paesi dell’Alleanza Atlantica. Putin ha commentato questo punto dicendo che ''la NATO non deve assicurare la sua sicurezza alle spese della sicurezza di altri Paesi.

    Giada Aquilino ha chiesto ad Adriana Cerretelli, inviata del Sole 24 Ore al summit della NATO in Romania se le due Repubbliche ex sovietiche hanno costituito terreno di trattativa al vertice di Bucarest:


    R. - Sicuramente. È stata una trattativa, anche dura, tra l’Europa e gli Stati Uniti, però alla fine, secondo me, si è trovato un compromesso per così dire "intelligente", che ha consentito a tutti di salvare la faccia: perché l’Ucraina e la Georgia non hanno ottenuto - come avrebbe voluto Bush - lo statuto di pre-adesione, però hanno ottenuto quello che in fondo pochi si aspettavano, cioè addirittura il via libera in linea di principio al loro ingresso. E questo è un segnale politico sicuramente importante per gli americani e per i due Paesi interessati. L’Europa, da parte sua, è riuscita a non avere il via libera immediato alla pre-adesione, in quanto Bruxelles ritiene che entrambi i Paesi non siano pronti. È, dunque, stato un compromesso che in qualche modo Putin può digerire.

     
    D. - La Russia ha accettato il passaggio di aiuti NATO per l’Afghanistan. Si superano così le tensioni sul Kosovo e sullo scudo spaziale o si mettono da parte?

    R. - Penso che l’accordo sul passaggio di materiale destinato all’Afghanistan sia strategicamente molto importante per l’ISAF, la Forza NATO che combatte in Afghanistan, perché in questo modo il passaggio dei mezzi è meno costoso, è più rapido e meno laborioso di quanto non fosse il trasporto aereo. Per quanto riguarda invece l’accordo missilistico, penso che - alla fine - ci sarà un’intesa, perché tutto sommato la Russia alcuni mesi fa aveva proposto che alcune delle proprie basi potessero essere in qualche modo coordinate con quelle dello scudo. Adesso, bisognerà vedere in che termini ci potrà essere un accordo: di questo si discuterà anche a Soci. Il Kosovo, infine, resta una spina nel fianco.

    Medio Oriente
    Un piccolo gruppo islamico palestinese, l'Esercito della nazione, ha rivendicato gli spari odierni in direzione del ministro israeliano della Sicurezza interna, Avi Dichter. Lo riferiscono fonti giornalistiche a Gaza. Gli spari hanno ferito un collaboratore del ministro, che è stato ricoverato in ospedale. Intanto, misure rafforzate di sicurezza sono state adottate a bordo degli aerei israeliani nel timore di attentati. Nelle ultime settimane minacce di attacchi anti-israeliani sono state espresse sia dagli Hezbollah libanesi sia dai dirigenti di al-Qaida. Intanto, una commissione di inchiesta del Consiglio legislativo, il parlamento palestinese, ha accertato che un militante di Hamas, Majd al-Barghuti, è stato torturato a morte il febbraio scorso mentre era in custodia dei servizi di intelligence dell'Anp. Nel rapporto di 12 pagine, la Commissione chiede dunque che il presidente Abu Mazen (Mahmud Abbas) adotti le necessarie misure legali per punire ''quanti hanno ordinato la tortura di al-Barghuti, quanti l'hanno messa in atto e quanti hanno poi cercato di nascondere i fatti''.

    Afghanistan
    Almeno tre poliziotti afghani sono morti e tre passanti sono rimasti feriti in un attentato compiuto da un kamikaze nella città di Lashkar Gah, capoluogo dell'insanguinata provincia di Helmand, nel sud dell'Afghanistan. L'attentato non è stato ancora rivendicato ma secondo la polizia lo stile è quello dei ribelli taleban.

    Iraq
    Ancora attentati in Iraq: quattro poliziotti iracheni, tra i quali un tenente, uccisi dall'esplosione di un ordigno a nord di Hilla, a nord di Baghdad: almeno 20 persone morte in un attentato suicida compiuto da un kamikaze in provincia di Diyala, a nordest di Baghdad, durante i funerali di un poliziotto. Intanto, in occasione del quinto anniversario della caduta del regime di Saddam Hussein - 9 aprile 2003 - il leader radicale sciita, Moqtada Sadr, ha chiamato ''tutti gli iracheni'' a manifestare contro ''l'occupante'' mercoledì a Najaf, la Città santa sciita nel sud del Paese. L'iniziativa alimenterà di certo la tensione con il premier, Nuri al Maliki, che ha ammonito che ci saranno ''altre operazioni'' contro le milizie sciite. Il braccio di ferro tra al Maliki e le milizie sciite ha portato la settimana scorsa ad una feroce battaglia a Bassora tra miliziani - soprattutto dell'Esercito del Mahdi comandato da Sadr - e esercito iracheno sostenuto dalle forze USA. Simili scontri sono poi rapidamente divampati anche a Baghdad nel grande quartiere sciita Sadr City, a Nassiriya, Kut, Hilla, Kerbala, che hanno provocato in tutto la morte di almeno 460 persone e il ferimento di mille altre.

    Kosovo
    L’ex premier kosovaro Ramush Haradinaj è stato completamente assolto dalle accuse di pulizia etnica per le quali era sotto processo al tribunale penale internazionale dell'Aja. La reazione è stata molto meno posata in Kosovo, dove Haradinaj è considerato un eroe nazionale. Assoluzione piena anche per un secondo imputato mentre lo zio di Haradinaj è stato invece condannato a 6 anni di reclusione per maltrattamento di prigionieri. "Siamo molto contenti ma anche sconcertati perché non tutti sono stati rilasciati - dice l'ex ministro della giustizia kosovaro Jonuz Salihaj - In ogni caso, ci sarà un processo d'appello e sono convinto che tutti e tre saranno scagionati". Mentre per le strade del Kosovo si festeggia da Belgrado il primo ministro della Serbia, Vojislav Kostunica, ha accusato la Corte internazionale dell'ONU di farsi "beffe della giustizia e delle vittime". Il Tribunale non ha negato che civili serbi siano stati torturati e uccisi ma non ha potuto stabilire che questo rispondesse a un disegno delle forze kosovare di cui Haradinaj era comandante. Il giudice che ha letto la sentenza si è tuttavia lamentato delle intimidazioni subite da alcuni testimoni.

    Alta la tensione dopo l'arretso dei due giornalisti occidentali in Zimbawbe
    Sale la tensione in Zimbabwe, dopo l’arresto di due giornalisti occidentali, accusati di avere lavorato nel Paese senza autorizzazione. Ma gli arresti e le intimidazioni da parte delle forze di polizia fedeli al presidente Mugabe si moltiplicano anche contro i rappresentanti dei partiti di opposizione, usciti vincitori dalle elezioni di sei giorni fa. Forti segnali di preoccupazione per l’evolversi della situazione nel Paese africano sono state manifestate sia dall’UE che dagli Stati Uniti. Intanto, il presidente Mugabe ha convocato una riunione dell’ufficio politico del suo partito per decidere se accettare di andare al ballottaggio per le presidenziali contro il rivale, Morgan Tzvangirai. Ma quali sono le difficoltà che ostacolano un normale avvicendamento al potere in Zimbabwe? Stefano Leszczynski lo ha chiesto ad Enrico Casale, africanista della rivista dei gesuiti Popoli:

     
    R. - Mugabe è al potere da 28 anni. Di conseguenza, anche di fronte all’evidenza di un malcontento da parte della popolazione dello Zimbabwe, è difficile lasciare il potere, non tanto a livello personale, ma proprio come sistema politico e come gruppo di potere.

     
    D. - Come mai vengono presi di mira i rappresentanti della stampa internazionale?

     
    R. - Intanto, esiste una legge che impedisce ai giornalisti stranieri, se non a condizioni rigidissime, di esercitare la loro professione sul territorio nazionale. Dal punto di vista esterno, non so come la comunità internazionale potrà rispondere.

    D. - Si parla di una possibile negoziazione da parte di Mugabe di un’immunità per poter lasciare il Paese. E’ plausibile una cosa del genere?

     
    R. - Trattative tra Mugabe e l’opposizione, secondo me, in questo momento sono plausibili. Di fronte alla sconfitta, è possibile che Mugabe tratti una sorta di immunità per sé e per i suoi fedelissimi, che altrimenti andrebbero incontro, probabilmente, alla reazione dell’opposizione, anche perchè il partito di Mugabe ha gestito con pugno di ferro in questi ultimi anni il potere. Quindi, è prevedibile una reazione violenta nei confronti dei gerarchi del partito. E quindi è probabile che lui stia cercando una via d’uscita per sé e per i suoi fedeli.

    Italia - Condanna a 21 anni per l’omicidio di Massimo D’Antona
    Condanna per Federica Saraceni anche per l'omicidio del professor Massimo D'Antona, ucciso dalle BR nel maggio del 1999. E' quanto ha deciso la seconda Corte di Assise di Appello di Roma, che ha inflitto complessivamente alla Saraceni, assolta in primo grado per l'accusa di omicidio, 21 anni e 6 mesi di reclusione. La Corte ha disposto nei suoi confronti anche la decadenza della potestà genitoriale.

    40 anni fa la scomparsa di Martin Luther King
    Già cominciate nei giorni scorsi negli Stati Uniti le cerimonie per il 40.mo anniversario della scomparsa di Martin Luther King, ucciso a Memphis il 4 aprile 1968. Ieri, le commemorazioni a Washington, dove nel ‘63 pronunciò il celebre discorso, in cui disse ''I have a dream...''. Oggi, altri appuntamenti nel resto del Paese. Il servizio da New York di Elena Molinari:


    “King ci ha insegnato che i sogni, quando diventano azioni, possono cambiare il mondo”: così il senatore democratico del Nevada, Harry Ray, ha ricordato ieri al Congresso americano la figura storica di Martin Luther King, il promotore - negli anni '60 del Novecento - di una coraggiosa campagna contro la segregazione razziale negli USA. A 40 anni dalla sua uccisione, sono però in molti convinti che il sogno di equità razziale di King non sia ancora stato realizzato in America. E proprio quest’anno, il dibattito sulla questione razziale è tornato ad attraversare il Paese, rilanciato dal discorso tenuto in campagna elettorale dal senatore nero e candidato, Barak Obama. E tra le centinaia di manifestazioni organizzate oggi per ricordare l’anniversario della morte di King, è prevista una marcia proprio a Memphis, dove il pastore fu ucciso, e alla quale ha annunciata la partecipazione anche la rivale di Obama, Hillary Clinton. Negli Stati Uniti, la figura di King è ricordata ogni anno con una giornata di festa che porta il suo nome, che si celebra il 18 gennaio.

     
    Le due Coree
    La Corea del Nord, impegnata in un duro scontro con il governo di Seul, torna a chiedere aiuti alimentari d'urgenza alla Cina per soccorrere la sua popolazione ridotta alla fame. E' quanto scrive il quotidiano sudcoreano Hankyorek che, citando fonti diplomatiche, aggiunge che Pyongyang ha deciso di non chiedere riso e fertilizzanti alla Corea del Sud fino a quando non ci sarà un miglioramento dei rapporti. Il Ministero degli esteri sudcoreano spiega di non essere a conoscenza della richiesta della controparte, ma la svolta del regime di Kim Jong-Il giungerebbe così all'indomani dello strappo con i vicini del Sud, a seguito della minaccia del blocco del dialogo e della conseguente destabilizzazione della penisola. ''La Corea del Nord ha richiesto un aiuto massiccio di riso alla Cina il che significa che il Nord non ha alcuna intenzione di fare un'analoga richiesta per il momento alla Corea del Sud'', scrive il quotidiano: aiuto per il quale Pechino non avrebbe ancora sciolto la riserva. Ieri, intanto, secondo un’organizzazione umanitaria sudcoreana, Pyongyang avrebbe deciso di sospendere per sei mesi le razioni di cibo ai residenti della capitale, confermando di fatto il peggioramento della situazione alimentare del Paese. Intanto, gli Stati Uniti fanno sapere che le recenti dichiarazioni della Corea del Nord, che ha minacciato il blocco del dialogo con la Corea del Sud, sono ''molto inopportune'' e ''di sicuro non aiutano a risolvere la crisi.

    Indonesia
    Il Ttribunale della provincia indonesiana delle Molucche ha emesso dure condanne, tra cui un ergastolo, nei confronti di una ventina di militanti indipendentisti rei di aver danzato con in mano una bandiera separatista durante una visita del presidente, Susilo Bambang Yudhoyono, avvenuta lo scorso anno nella regione. Lo hanno rivelato fonti interne al Tribunale, poi riprese dall'agenzia di stampa indonesiana Antara. Johan Teterisa, considerato leader del gruppo, è stato condannato all'ergastolo, mentre ad Abraham Saiya e ad un'altra ventina di manifestanti sono state inflitte pene detentive tra i 10 e i 15 anni: per tutti l'accusa è di cospirazione contro lo stato. I manifestanti avevano sventolato nel giugno 2007, durante una vista presidenziale, la bandiera inneggiante alla scomparsa Repubblica delle Molucche del Sud (RMS), proclamata nel 1950, ma subito stroncata dall'intervento dell'esercito indonesiano. Nello specifico, Teterisa ha, secondo i magistrati, ''fatto piombare l'intera popolazione indonesiana nell'imbarazzo'' sfidando il presidente, Susilo Bambang Yughoyono, senza manifestare alcun rimorso. Nell'occasione, furono rimossi in tronco anche i dirigenti militari e di polizia della provincia. Contro questo processo, si è recentemente espresso anche lo Human Right Watch denunciando che ''anche un atto non violento come tenere in mano una bandiera in Indonesia puo' condurre al carcere''. La regione delle Molucche, 2.300 km. a est di Giakarta, è stata teatro tra il 1999 e il 2002 di duri scontri tra musulmani e cristiani che hanno fatto oltre 500 morti. (Panoramica internazionale a cura di Fausta Speranza)

     

     
    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LII no. 95

     
    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sulla home page del sito www.radiovaticana.va/italiano.

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