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Sommario del 31/08/2008

Il Papa e la Santa Sede

  • All’Angelus, appello del Papa sull’immigrazione: i Paesi di accoglienza e quelli di origine lavorino con spirito umanitario e impegno nello stroncare le cause dell’immigrazione irregolare
  • Prima dell'Angelus, la Messa celebrata da Benedetto XVI con i suoi ex allievi del "Ratzinger Schülerkreis"
  • L'integrazione delle popolazioni nomadi attraverso la formazione dei giovani zingari al centro del sesto Congresso mondiale che si apre domani a Frisinga. Intervista con mons. Marchetto
  • Oggi in Primo Piano

  • Le violenze anticristiane in India. Il vescovo Felix Machado: "Facciamo sentire la nostra voce, questo silenzio è inaccettabile"
  • Il bilancio dell'edizione del Meeting di Rimini 2008 nelle parole della presidente, Emilia Guarnieri. La testimonianza di Rodolfo Casadei, autore di un libro sui cristiani in Medio Oriente
  • Stresa: si è chiusa oggi la nona edizione dei Simposi rosminiani. Al centro dei lavori il rapporto tra laicità, religione e democrazia. La riflessione di padre Umberto Muratore
  • Chiesa e Società

  • I vescovi americani chiedono ai candidati alla Casa Bianca la revisione delle norme sull’immigrazione
  • Documento dei vescovi cubani in vista delle celebrazioni per i 400 anni del ritrovamento della statua della Madonna della Caridad del Cobre
  • L’uragano Gustav perde intensità e si dirige verso gli Stati Uniti. Evacuata la città di New Orleans e le piattaforme petrolifere nel Golfo del Messico
  • Individuare forme di autofinanziamento delle realtà ecclesiastiche: è il tema del seminario delle Chiese latinoamericane al via da domani in Honduras
  • Gli aggressori dei 4 frati del convento di Belmonte "non sono degni di stare in società". Lo ha detto il cardinale Poletto durante una Messa, offrendo il perdono cristiano ai colpevoli
  • Alla Festa del cinema di Venezia è il giorno di Pupi Avati con il suo film “Il papà di Giovanna”
  • 24 Ore nel Mondo

  • Germania e Gran Bretagna invitano a rivedere i rapporti con Mosca alla vigilia del vertice UE sulla crisi del Caucaso
  • Il Papa e la Santa Sede



    All’Angelus, appello del Papa sull’immigrazione: i Paesi di accoglienza e quelli di origine lavorino con spirito umanitario e impegno nello stroncare le cause dell’immigrazione irregolare

    ◊   E’ stato un Angelus dominato da parole di grande intensità quello pronunciaro questa mattina da Benedetto XVI nel Palazzo apostolico di Castel Gandolfo. Di fronte alla consueta folla radunata del cortile, che lo ha più volte acclamato e applaudito, il Papa - colpito dalle ultime, drammatiche pagine di cronaca riguardanti gli immigrati - ha chiesto con forza ai Paesi di approdo di aprire le proprie porte con spirito umanitario e a quelli Paesi di partenza di “stroncare alle radici” quanto di criminale c’è dietro tali viaggi, che mettono a repentaglio la vita di migliaia di persone. In precedenza, riflettendo sulle forze disgregatrici che sembrano dominare nel mondo attuale, Benedetto XVI aveva invitato i cristiani a rispondere alla malvagità con la forza dell’amore che viene dalla Croce di Gesù. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    I viaggi della speranza strasformati in incubi senza approdo. Uomini, ma più spesso donne, con i figli stretti in braccio o ancora in grembo, annidati su piccoli scafi, che sfidano forze più grandi di loro per fuggire da povertà o da guerre e che troppo spesso da quelle forze finiscono schiacciati. Da anni, purtroppo, le acque del Mediterraneo sono diventate un’immensa tomba a cielo aperto, nella quale migliaia di immigrati hanno trovato e trovano la morte. E l’ultima di queste tragedie - le 70 persone naufragate a 40 miglia dall’Isola di Malta, mercoledì scorso - hanno indotto Benedetto XVI a dedicare un lunga, accorata riflessione al termine dell’Angelus. Dopo aver stigmatizzato “l’alto numero di vittime” di queste traversate e aver ribadito come la migrazione sia un fenomeno antichissimo che ha caratterizzato da sempre “le relazioni tra popoli e nazioni”, tuttavia ha osservato il Pontefice:

     
    “L’emergenza in cui si è trasformata nei nostri tempi (...) ci interpella e, mentre sollecita la nostra solidarietà, impone, nello stesso tempo, efficaci risposte politiche. So che molte istanze regionali, nazionali e internazionali si stanno occupando della questione della migrazione irregolare: ad esse va il mio plauso e il mio incoraggiamento, affinché continuino la loro meritevole azione con senso di responsabilità e spirito umanitario. Senso di responsabilità devono mostrare anche i Paesi di origine, non solo perché si tratta di loro concittadini, ma anche per rimuovere le cause di migrazione irregolare, come pure per stroncare, alle radici, tutte le forme di criminalità ad essa collegate”.

     
    Inoltre, ha proseguito nella sua disamina Benedetto XVI, “i Paesi europei e comunque quelli meta di immigrazione sono, tra l’altro, chiamati a sviluppare di comune accordo iniziative e strutture sempre più adeguate alle necessità dei migranti irregolari:

     
    “Questi ultimi, poi, vanno pure sensibilizzati sul valore della propria vita, che rappresenta un bene unico, sempre prezioso, da tutelare di fronte ai gravissimi rischi a cui si espongono nella ricerca di un miglioramento delle loro condizioni e sul dovere della legalità che si impone a tutti. Come Padre comune, sento il profondo dovere di richiamare l’attenzione di tutti sul problema e di chiedere la generosa collaborazione di singoli e di istituzioni per affrontarlo e trovare vie di soluzione”.

     
    Prima di questo appello, il pensiero domenicale del Papa si era soffermato sulla natura del male che in molte forme si coglie nel mondo e sulla salvezza portata dall’amore “disarmato” di Gesù. Lo spunto offerto dal Vangelo di oggi - con Pietro che augura al suo Maestro di scampare dalla morte che lo attende a Gerusalemme - ha permesso a Benedetto XVI di presentare il mistero della salvezza divina, che passa attraverso una morte infame, sulla croce, del Figlio di Dio. Non si è certo trattato, ha detto il Papa tra gli applausi, di un “disegno crudele” del Padre celeste, quanto di una scelta causata dalla “gravità della malattia da cui doveva guarirci”, pagata attraverso il sangue e sublimata dalla Risurrezione. Eppure, ha continuato Benedetto XVI, “la lotta non è finita”:

     
    “Il male esiste e resiste in ogni generazione, anche ai nostri giorni. Che cosa sono gli orrori della guerra, le violenze sugli innocenti, la miseria e l’ingiustizia che infieriscono sui deboli, se non l’opposizione del male al Regno di Dio? E come rispondere a tanta malvagità se non con la forza disarmata e disarmante dell’amore che vince l’odio, della vita che non teme la morte? E’ la stessa misteriosa forza che usò Gesù, a costo di essere incompreso e abbandonato da molti dei suoi”.

     
    E ora quella scelta di Gesù, ha soggiunto il Papa, è responsabilità di ogni suo seguace:

     
    “Come per Cristo, così pure per i cristiani portare la croce non è dunque facoltativo, ma è una missione da abbracciare per amore. Nel nostro mondo attuale, dove sembrano dominare le forze che dividono e distruggono, il Cristo non cessa di proporre a tutti il suo chiaro invito: chi vuol essere mio discepolo, rinneghi il proprio egoismo e porti con me la croce”.

     
    Nei saluti in cinque lingue al termine dell’Angelus, durante i quali Benedetto XVI si è rivolto fra gli altri ai sacerdoti salesiani e alle Suore Domenicane Missionarie di San Sisto, il Papa ha avuto parole di particolare attenzione per i vescovi e i fedeli cubani che si apprestano, l’8 settembre, ad inaugurare il triennio di preparazione al 400.mo anniversario del ritrovamento, ad opera di tre indios, dell’immagine mariana di Nostra Signora della Carità del Cobre, risalente al 1612. Augurando ai fedeli cubani di essere sempre più, per intercessione della Vergine, “missionari del Vangelo in ogni circostanza della vita”, Benedetto XVI ha concluso:

     
    “Que Dios bendiga a Cuba y a todos los cubanos!”

     
    (applausi)

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    Prima dell'Angelus, la Messa celebrata da Benedetto XVI con i suoi ex allievi del "Ratzinger Schülerkreis"

    ◊   Prima della recita dell’Angelus, Benedetto XVI aveva celebrato la Messa nel Palazzo apostolico di Castel Gandolfo in compagnia dei suoi ex allievi del cosiddetto “Ratzinger Schülerkreis”: tradizionale incontro privato, svoltosi ieri, che raduna annualmente una trentina di persone fra le quali il cardinale Christoph Schönborn. Proprio l’arcivescovo di Vienna ha tenuto l’omelia della Messa, introdotta brevemente da alcune parole di Benedetto XVI.

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    L'integrazione delle popolazioni nomadi attraverso la formazione dei giovani zingari al centro del sesto Congresso mondiale che si apre domani a Frisinga. Intervista con mons. Marchetto

    ◊   “I giovani zingari nella Chiesa e nella società”. Si intitola così il VI Congresso mondiale della Pastorale per gli zingari, che inizierà domani a Freising, in Germania, e si concluderà il prossimo 4 settembre. Promosso dal Pontificio Consiglio della Pastorale per i migranti e gli itineranti, in collaborazione con la Conferenza episcopale tedesca, il Congresso centra quest’anno il dibattito sulla formazione delle giovani generazioni nomadi da parte dei Paesi d’accoglienza: formazione che potrebbe facilitare l’integrazione del resto delle comunità zingare, che in tutto il mondo arrivano a un totale di 36 milioni di persone. Ad introdurre i lavori sarà il segretario del dicastero pontificio, l’arcivescovo Agostino Marchetto. Fabio Colagrande lo ha intervistato:

    R. - Purtroppo, i giovani zingari sono di solito maggiormente soggetti alle situazioni di svantaggio e di discriminazione rispetto ai loro coetanei gağé (non-Zingari). Quindi, con questo Congresso desideriamo considerare le loro le necessità spirituali e materiali, denunciare e sanare le situazioni di svantaggio che oggettivamente gravano su di loro, e, inoltre, individuare modi più adeguati con i quali sostenere la loro formazione umana, professionale e religiosa. In più, offriremo loro occasione per esprimere le proprie attese e necessità per favorire un’autentica integrazione - che non è assimilazione - e una maggiore partecipazione nei progetti e nelle decisioni e attività che li riguardano.

     
    D. - Dal primo Congresso, celebratosi nel ’64, con il sostegno e l’incoraggiamento di Papa Paolo VI, quanto e come è cresciuta la preparazione degli operatori pastorali in questo settore?

     
    R. - In quell’incontro, il Papa esortò i Vescovi e i Congressisti a un maggior impegno per raggiungere più efficacemente il mondo tanto diverso degli Zingari. Posso dire, con soddisfazione, che il numero degli operatori pastorali a loro favore è cresciuto notevolmente nel mondo. Oggi, in quasi tutti i Paesi europei esiste una struttura pastorale specifica (al congresso di Freising saranno rappresentate 25 Conferenze Episcopali). Per quanto riguarda la loro formazione, il Pontificio Consiglio organizza regolarmente i Congressi Mondiali, le giornate di studio e di riflessione, mentre le Chiese locali promuovono incontri nazionali, ritiri spirituali, pellegrinaggi. L’anno scorso, poi, il nostro Dicastero ha convocato il primo Incontro mondiale di sacerdoti, diaconi, religiosi e religiose di origine zingara, al quale hanno risposto in una quarantina. Per favorire una migliore pastorale specifica, il Pontificio Consiglio ha pubblicato, l’8 dicembre 2005, gli Orientamenti per una Pastorale degli Zingari, il primo documento della Chiesa, nella sua dimensione universale, dedicato alla popolazione zingara e ai nomadi in generale.

     
    D. - Negli “Orientamenti” affermavate che per la Chiesa l’accoglienza degli zingari rappresentava una sfida. E’ una sfida che oggi vi sentite di poter vincere?

     
    R. - Personalmente, credo che la Chiesa sia in grado di vincere tale sfida. E questo grazie, in gran parte, alle persone che sono impegnate nella pastorale degli Zingari, ma soprattutto grazie agli Zingari consacrati. Forse non è a tutti noto che sono ormai un centinaio i sacerdoti, dfiaconi, religiosi e suore di origine zingara. Un ragguardevole numero ne conta l’India - una ventina di presbiteri - cui segue l’Ungheria, con una decina di sacerdoti e consacrati, la Slovacchia, la Spagna e la Romania. La Francia è, finora, l’unico Paese in cui il direttore nazionale della Pastorale per gli Zingari è un loro presbitero, coadiuvato da un altro sacerdote, 3 diaconi permanenti, 2 Suore e una laica consacrata, tutti Zingari. D’altro canto, certamente non tutto dipende dalla Chiesa. Negli stessi “Orientamenti” dicevamo pure che, per poter parlare di un’autentica accoglienza, intesa anche in termini di integrazione e di incontro di culture, è necessario un grande cambiamento di mentalità, anche in ambito civile. Accoglienza richiede appunto la considerazione dell’identità e dignità dell’altro, e conseguente impegno per garantirgli una vita dignitosa e il rispetto dei diritti fondamentali. Purtroppo, molto spesso ancora nei nostri rapporti con gli Zingari ci lasciamo guidare da pregiudizi e preconcetti nei loro confronti.

     
    D. - Lei ritiene che oggi gli zingari siano vittime di provvedimenti discriminatori in alcuni Paesi?

     
    R. - Sì, purtroppo. Basta pensare alle polemiche suscitate negli ultimi mesi da alcuni provvedimenti legislativi sfavorevoli alle popolazioni zingare. Dai rapporti che ci pervengono dalle Chiese locali, costatiamo che un po’ dappertutto gli Zingari sono vittime di discriminazione, disuguaglianza, e altresì razzismo e xenofobia. Consideriamo, per esempio la situazione in Europa: i Rom e Sinti, pur se cittadini di Stati membri e muniti di documenti validi, non possono godere degli stessi diritti dei comuni cittadini. In alcuni Paesi, i bambini zingari sono costretti a frequentare scuole speciali per disabili fisici o mentali, mentre non poche donne vengono sottoposte a sterilizzazione forzata. La generale mancanza di fiducia fa sì che ai giovani, pur se ben preparati professionalmente, non sia concesso l’ingresso al mondo del lavoro come per gli altri.

     
    D. - Qual è la strada che la Chiesa indica per favorire una maggior apertura delle comunità ospitanti nei loro confronti?

     
    R. - Prima di tutto, direi, uno sforzo comune per una migliore conoscenza della situazione delle comunità zingare dall’interno, della loro cultura e storia. Il ruolo fondamentale possono svolgere in questo processo le scuole e i mass-media, nonché i mediatori culturali. Occorre, infatti, offrire alla società circostante un’immagine anche positiva degli Zingari per sradicare preconcetti persistenti. È necessario anche lavorare in comune accordo con gli Zingari, non ignorando la loro identità, il loro modo di vita, le tradizioni, la specificità del lavoro e soprattutto, come ho già detto, la cultura. Se non c’è rispetto per la cultura delle popolazioni zingare, sarà difficile giungere a una reale integrazione e dunque, in prospettiva, anche a un accettabile grado di scurezza sociale.

     
    D. - Perché, a volte, l’impegno della Chiesa per l’accoglienza degli Zingari viene scambiato per ingerenza nelle politiche migratorie dei diversi stati nazionali?

     
    R. - È l’indole propria della Chiesa essere profondamente impegnata in ciò che riguarda la vita dei suoi figli e della società in cui vivono, e quindi non rimanere estranea alle questioni sociali, esercitando anche l’advocacy nella difesa dei diritti umani di tutti. La Chiesa si propone di assistere l'uomo sul cammino della salvezza, ma essa ha pure una propria Dottrina sociale, con la quale incidere sulla società e sulle sue strutture. È un suo diritto-dovere evangelizzare il sociale, ossia far risuonare la parola del Vangelo nel complesso mondo contemporaneo. Da qui, deriva anche il dovere di prendere una posizione ferma e decisa - pur rispettosa delle competenze proprie a ciascuno - nelle situazioni in cui la dignità della persona umana e i suoi diritti siano calpestati, quando gli esseri umani soffrano per ingiustizie, discriminazioni o emarginazioni. Quindi, essa fa il proprio dovere anche quando condanna l’operato o deplora le decisioni degli Stati che offendono od opprimono la dignità umana. Questa sua posizione, purtroppo, è intesa spesso come, appunto, un’ingerenza politica. La Chiesa, invece, al di sopra dei partiti, si mette dalla parte dei più deboli, difende coloro che soffrono e dà voce a quelli che non l’hanno, come diceva Giovanni Paolo II, nel rispetto comunque della legalità e della sicurezza. Accoglienza e sicurezza vanno insieme come abbiamo detto molte volte.

     
    D. - C’è nei giovani zingari la consapevolezza di dover collaborare a un migliore inserimento dei loro gruppi etnici nella società?

     
    R. - Decisamente sì. La maggioranza dei giovani zingari ha maturato la consapevolezza di dover e voler svolgere un ruolo da protagonista nei processi decisionali e politici che riguardano la promozione umana e sociale delle loro etnie. Essi sono convinti che non possono esserci strategie internazionali e nazionali efficaci in questo senso, senza la loro partecipazione nella preparazione e attuazione di queste strategie. Tale consapevolezza - come sostiene una giovane Sinta italiana nella sua relazione al Congresso - si esprime in forme diverse dal passato, più pronte al confronto culturale e politico con la società maggioritaria. Ella ci avverte inoltre che sarà difficile poter parlare di un futuro costruttivo degli zingari se questi non saranno coinvolti pienamente nelle politiche che riguardano la loro esistenza. Si nota anche maggior impegno per la formazione di giovani attivisti/mediatori zingari, i quali possano servire da canali di comunicazione tra le proprie comunità, le istituzioni e la popolazione maggioritaria, oppure da sostegno ai propri coetanei nel proseguire una buona preparazione professionale e per sradicare la diffidenza presente nelle loro comunità, come anche pregiudizi negativi persistenti nella gran parte delle nostre società.

     
    D. - Quale messaggio vorrebbe che arrivasse dall’incontro di Freising a tutte le comunità zingare e a quei Paesi ospitanti che sono impegnati, talora con difficoltà, nella loro accoglienza?

     
    R. - Prima di tutto, un messaggio di solidarietà e di comunione, in un contesto di speranza. È il nostro desiderio rassicurare gli Zingari che sono al centro della preoccupazione della Chiesa, in quanto figli dello stesso Padre. Pur se spesso relegati ai margini delle società e discriminati, essi continuano ad occupare il posto che spetta loro, come disse Paolo VI, “nel cuore della Chiesa”. Vogliamo incoraggiare i giovani Zingari ad un impegno concreto e duraturo per migliorare le condizioni di vita delle loro comunità, e per difendere la propria dignità e i propri diritti. Allo stesso tempo, non si mancherà di ricordare loro anche il dovere di assumere tutti gli obblighi che una partecipazione responsabile alla vita sociale, politica ed ecclesiale comporta. Un invito, poi, agli uomini di buona volontà e alle comunità ospitanti, ad aprire cammini di fiducia e rispetto, di comprensione e perdono reciproco. Occorre ricordare che il rispetto della dignità trascendente della persona umana è il principio supremo che deve governare la convivenza umana, culturale e religiosa. Una raccomandazione, quindi, anche a lasciarsi coinvolgere in una maggiore apertura con gesti concreti di aiuto e sostegno. E agli Stati, un appello per adottare una normativa che davvero tuteli i diritti delle popolazioni zingare e le protegga da discriminazione, razzismo ed emarginazione. Infine, un invito ad un dialogo aperto e costruttivo con le rappresentanze zingare.

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    Oggi in Primo Piano



    Le violenze anticristiane in India. Il vescovo Felix Machado: "Facciamo sentire la nostra voce, questo silenzio è inaccettabile"

    ◊   A una settimana dall’inizio delle violenze anticristane, nello stato indiano dell’Orissa si fronteggia l’emergenza delle migliaia di sfollati fuggiti dalla persecuzioni dei fondamentalisti indù. Secondo le ultime stime fornite da AsiaNews, almeno 10 mila persone chiedono assistenza nei centri di accoglienza e altrettante cercano rifugio nelle foreste. Intanto, la Chiesa indiana leva sua voce attraverso diverse manifestazioni di protesta come la chiusura delle scuole cattoliche in tutto il Paese di venerdì scorso. Per domenica 7 settembre, è stata poi indetta una giornata di preghiera e digiuno che sta raccogliendo molte adesioni in tutto il mondo cattolico. Sul significato di queste iniziative ascoltiamo, al microfono di Fabio Colagrande, mons. Felix Machado vescovo della diocesi indiana di Nashik:

    R. - Questa violenza è senza fondamento e quanto sta accadendo in un Paese grande e democratico - dove anche la Costituzione garantisce la libertà religiosa, il rispetto, il dialogo - è inaccettabile per la Chiesa, perchè davvero è un attacco preparato sistematicamente, senza nessun motivo e senza nessuna prova. E alla Chiesa il governo ha chiesto di proteggersi. Ma dobbiamo far sentire la nostra voce, il nostro grido, perchè questa ingiustizia è veramente insopportabile. Se non diciamo niente, essendo noi minoranza loro andranno avanti. Serve la solidarietà della Chiesa: che i cristiani, ma non solo loro, anche il popolo di buona volontà, si uniscano ed esprimano questa nostra preoccupazione. Ecco perchè la Chiesa ha indetto questa giornata di preghiera.

     
    D. - La comunità cristiana ha ricevuto in India, in queste giornate, solidarietà anche dai non cristiani, dopo queste violenze?

     
    R. - Sì. Nella mia diocesi, tutte le scuole cattoliche sono state chiuse. C’è stata anche una scuola protestante che in solidarietà ha chiuso. Nella zona dov’è la sede del vescovo, ho organizzato io stesso la preghiera durata due ore. Non lo abbiamo imposto né forzato nessuno. In questa mia zona ho avuto più di 500 insegnanti, molti dei quali non cristiani ma indù, e abbiamo fatto una preghiera. Anche alcuni musulmani e buddisti hanno partecipato e hanno espresso la loro solidarietà alla Chiesa.

     
    D. - Lei, eccellenza, conosce bene anche attraverso la sua esperienza presso il Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso, i presupposti del dialogo tra cattolici e induisti. Pensa che si possa creare un percorso di riconciliazione per combattere il fondamentalismo?

     
    R. - Sì, c’è buona volontà. C’è un desiderio per la pace e per l’armonia. Solo che il nostro mondo è diventato troppo politicizzato e tutto questo complica il dialogo. Ma noi abbiamo il dovere di prendere le iniziative. Dobbiamo, come San Paolo, grande missionario, andare verso gli altri per costruire i ponti dell’amicizia, come dice il Santo Padre.

     
    D. - Nonostante queste drammatiche violenze contro i cristiani, l’India resta il Paese culla del dialogo tra le religioni...

     
    R. - Sì, ci sono sforzi e si vede. Purtroppo, oggi le brutte notizie ricevono più attenzione. Questo è un dispiacere, perchè la maggioranza degli indiani ha buon senso ed è in sintonia con la tradizione del dialogo interreligioso, dell’armonia interreligiosa. Sono questi piccoli gruppi a seminare odio e pregiudizio contro gli altri. Credo quindi che non dobbiamo scoraggiarci noi cristiani, ma in solidarietà con il popolo di buona volontà, dobbiamo contare sul valore del dialogo interreligioso e promuoverlo sempre.

     
    In India, non sono solo le violenze a colpire i cristiani. Ad essere ostacolato è, in diversi casi, anche il quotidiano impegno dei missionari verso i più poveri, i più deboli. Luca Collodi ha raccolto la testimonianza di fratel Luca Perletti, religioso Camilliano, infermiere in India per otto anni:

    R. - Io stesso sono un po’ il frutto di questa avversione alla Chiesa cattolica, perché sono stato espulso dall’India dopo avervi lavorato per otto anni. Sono stato espulso dopo aver contribuito ad aprire quelli che sono i primi centri per malati di AIDS nel Paese, a livello anche statale. Adesso, questi centri sono riconosciuti come centro di eccellenza nel Paese. La gente ci apprezza molto. Io credo alla testimonianza di Madre Teresa, una testimonianza ancora molto viva. Quello che noi facciamo nell’aiutare la popolazione - i nostri malati erano indù per la maggioranza - viene riconosciuto dalla gente. E noi, come cristiani, promuoviamo anche lo sviluppo della società. Siamo impegnati nel promuovere la condizione delle donne e nel superare il sistema delle caste. E dunque, per certi partiti siamo un ostacolo.

     
    D. - Il fondamentalismo è un pericolo per l’India oggi?

     
    R. - Lo è per tutto il mondo. Lo è per l’India, perché, comunque, questo Paese non ha ancora risolto alcune ferite antiche, come la divisione nel 1948. La popolazione vive relativamente in pace, ma ogni tanto si riaccende la violenza. Una violenza qualcuno ha interesse a sostenere ed alimentare.

     
    D. - Lei, personalmente, ha avuto modo di dialogare con il mondo indù?

     
    R. - Sì, l’ho conosciuto attraverso i nostri malati. Posso portare un esempio. Noi avevamo tra i nostri ricoverati un brahmino, che appartiene alla casta più alta, la casta sacerdotale. Ricordo che lui un giorno mi disse: “Io credo in Dio, ma non l’ho mai visto. Però attraverso di voi l’ho visto”. Io credo che questo è ciò che noi cristiani possiamo dare a quel mondo.

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    Il bilancio dell'edizione del Meeting di Rimini 2008 nelle parole della presidente, Emilia Guarnieri. La testimonianza di Rodolfo Casadei, autore di un libro sui cristiani in Medio Oriente

    ◊   “Uomini senza patria”. E’ il titolo del libro di don Giussani presentato ieri per l’incontro conclusivo del Meeting di Rimini. Un titolo che riprende tutto il percorso della kermesse riminese, organizzata da Comunione e liberazione. E la presidente del Meeting ha annunciato il titolo del prossimo anno: "La conoscenza è sempre un avvenimento". Ma torniamo agli interventi finali del Meeting con il servizio della nostra inviata, Debora Donnini:

    "Uomini senza patria", uomini veramente protagonisti perché coscienti di esistere in rapporto a Dio. “O protagonisti o nessuno”, il titolo del Meeting di quest’anno, partito dal messaggio del Papa, si è dipanato nei volti di coloro che sono stati proposti come i veri protagonisti: la donna ugandese malata di AIDS che ritrova la speranza; l’angelo del Burundi che salva migliaia di bambini orfani delle etnie hutu e tutsi; Cleuza e Marcos, del Movimento dei lavoratori senza terra del Brasile, che ritrovano la forza di aiutare gli altri; i carcerati che accompagnano i visitatori nella mostra dedicata, appunto, alle carceri. Gente la cui vita è cambiata radicalmente con l’incontro con Cristo. Il Meeting è un popolo, ha ricordato la presidente, Emilia Guarnieri, è fatto di volontari: 400 mila quest’anno, di famiglie, di bambini, di giovani, 700 mila le presenze.

     
    Anche Eugenia Roccella, sottosegretario al Lavoro, salute e politiche sociali, ritiene che l’uomo che pretende di autodeterminarsi sia molto più facilmente vittima del potere. La Roccella ha anche raccontato la riscoperta della fede nella sua vita.

     
    “Siamo senza patria perché riconosciamo che Cristo è la consistenza della nostra persona”, afferma il presidente della Compagnia delle Opere, Bernhard Scholz. Don Giussani, ha ricordato, metteva al centro il soggetto e non il progetto. Ci vuole un soggetto diverso, diceva. Da lì poi nascono le opere, le scuole, perché essere senza patria ci ha dato la possibilità di creare case dappertutto, di essere dappertutto. Allora, prosegue Scholz, uno è pieno di gratitudine, per la moglie, per i figli, per avere amici che ogni giorno ricordano questo: che noi, che di per sé saremo niente, siamo in qualche modo tutto, con il nostro volto unico e irripetibile.

    Le testimonianze dei profughi cristiani iracheni rifugiati in Libano, Giordania, Siria, ma anche nello stesso Iraq settentrionale, nella parte curda. Sono le toccanti esperienze raccolte nel libro “Il sangue dell’agnello” presentato al Meeting di Rimini. Un libro che racconta tra l’altro anche la situazione in Turchia. Autore di questo reportage fra i cristiani perseguitati in Medio Oriente Rodolfo Casadei, inviato speciale del settimanale Tempi. Debora Donnini l’ha intervistato.

    R. - Sono persone in fuga e sono vittime diverse dalle altre vittime della guerra irachena. In Iraq stanno soffrendo tutti: musulmani, cristiani e altre religioni. Ma mentre la maggior parte della popolazione soffre a causa della guerra, nei confronti dei cristiani è all’opera una vera e propria persecuzione religiosa. Sono aggrediti e colpiti a motivo della loro fede. E questo lo spiega tutto un semplice fatto statistico: secondo le Nazioni Unite, ci sono 4 milioni e 400 mila profughi e sfollati interni iracheni; di questi, 400 mila sono cristiani. Questo cosa vuol dire? Che in Iraq, un iracheno su 7 è profugo, mentre un cristiano su 2 è profugo o sfollato.

     
    D. - Ci puoi raccontare una storia che ti sembra particolarmente toccate e che può spiegare in modo esemplare la situazione dei cristiani profughi in queste terre?

     
    R. - Comincerei semplicemente ricordando la storia del vescovo di Mossul (mons. Rahho, ndr) che è stato rapito ed è morto in prigionia, il quale aveva ricevuto 11 lettere di minacce di morte, era già stato tentato un suo rapimento l’anno scorso, il suo episcopio era stato fatto esplodere ed è stato distrutto completamente dalle bombe e lui, nell’ultima intervista, mi disse: “Io non me ne vado, io resterò sempre a Mossul per stare con il mio gregge e perché so che c’è qualcuno in alto che mi protegge e io mi affido completamente a lui”. Ecco, questa è la testimonianza della grandezza della fede dei cristiani iracheni, sia dei vescovi sia, tante volte, della gente semplice.

     
    D. - A proposito della gente semplice: ci racconti qualche caso? Una delle storie si intitola “Rapito per una foto”...

     
    R. - Sì: in Iraq, i rapimenti sono all’ordine del giorno. Si rapisce per avere il riscatto da parte di bande di criminali. I cristiani sono maggiormente bersaglio del resto della popolazione per ragioni legate alla loro religione. Racconto, per esempio, la storia di una bambina cristiana, rapita per la sola ragione di essere apparsa in una fotografia su un giornale di Baghdad mentre dei soldati americani regalavano caramelle e giocattoli. Questo è bastato ai terroristi per rapire la bambina, tenerla per varie settimane in condizioni deplorevoli: la bambina è stata liberata dietro pagamento di un riscatto ma ha molto sofferto e ancora oggi mantiene tutto il trauma psicologico dell’esperienza che ha vissuto.

     
    D. - Una parte di questi cristiani iracheni si sono rifugiati nell’Iraq settentrionale, dove la popolazione è in maggioranza curda. I curdi, seppur musulmani, stanno però aiutando i cristiani iracheni, quindi ci sono anche testimonianze di musulmani e zone dove i musulmani, in realtà, aiutano i cristiani...

     
    R. - Direi che è una delle buone notizie che ci sono nel libro, dove si parla principalmente di persecuzione ma anche di casi di musulmani che hanno solidarizzato e solidarizzano con i cristiani. Forse l’esempio più importante, più eclatante, è quello del governo regionale curdo, che è un governo musulmano, il quale conduce una politica deliberata di sostegno, difesa delle minoranze religiose. E quindi, i cristiani che vivono in Kurdistan e quelli che si sono rifugiati in Kurdistan o nella Piana di Ninive che è controllata dai curdi, oggi sono sotto la protezione del governo curdo, che vuol dire garanzia di sicurezza ma vuol dire anche costruzione finanziata dal governo di case per i cristiani, alcune sovvenzioni finanziarie ed alimentari, la possibilità di vivere. Persone fuggite da Baghdad, da Bassora e da Mossul vivono nel Kurdistan iracheno grazie a questa politica deliberata del governo curdo di sostegno, di protezione delle minoranze religiose.

     
    E per un bilancio conclusivo e generale dell'evento riminese 2008, ascoltiamo Emilia Guarnieri, presidente della Fondazione Meeting per l'amicizia fra i popoli, intervistata da Luca Collodi:

    R. - L’edizione del Meeting è andata molto bene. Siamo molto contenti, perchè è stata un’occasione, ancora una volta, per mostrare una realtà di un popolo che ha voglia di vivere, di affrontare le questioni importanti, che ha voglia di parlare di cultura, che si interessa a quello che succede nel mondo. E’ un popolo che è mosso da un ideale e che lo documenta e lo testimonia. Direi sia proprio una realtà forte, grande e intera. Quindi, questa è sempre una cosa bella e credo che anche quello che i visitatori, gli ospiti che sono venuti, hanno documentato, è proprio questa forza ideale che muove e che coinvolge.

     
    D. - Un tema portante di questo Meeting 2008?

     
    R. - Il tema è sicuramente il tema del protagonista. Credo che in questi giorni sia difficile non accorgersi che tutti quelli che hanno in maniera forte e intensa documentato questo, sono persone che non hanno trovato nella loro personale energia interiore la forza per affrontare la vita, ma che hanno trovato nell’incontro con Qualcuno o con Qualcosa la possibilità di riscoprire questo famoso volto unico e irripetibile di cui in questi giorni tanto abbiamo detto. E questo credo che sia proprio un’esperienza grande che in tanti si è fatta. Non è la forza della volontà che manda avanti nella vita, è la forza dell’incontro con Qualcuno che ti guarda e che ti dice: “Possiamo andare”.

     
    D. - Professoressa Guarnieri, voi avete cercato al Meeting di Rimini il protagonista positivo, ma ancora una volta la storia di queste ore, di questi giorni ci dice che nel mondo ci sono tanti protagonisti, ma in negativo...

     
    R. - Ci sono tanti uomini potenti. Anche in queste situazioni dure, di guerra e di violenza, in fondo quello che può fare la differenza è che qualcuno con un gesto di libertà abbia il coraggio di guardare la realtà e di provare ad essere buono, non inseguendo i sistemi perfetti. Provare ad essere buono vuol dire guardare al desiderio che lui ha - perchè anche gli uomini potenti hanno il desiderio di bene, hanno il desiderio di pace, hanno il desiderio di verità - guardare al desiderio che lui ha e che gli altri uomini hanno. Questo può, non dico potrebbe, cambiare le cose, perchè tante volte succede che una libertà così possa cambiare le cose.

     
    D. - Il senso religioso delle persone, secondo l'esperienza del Meeting di quest’anno, è ancora vivo?

     
    R. - Sì, tutti gli uomini hanno il senso religioso. Sicuramente, tantissime delle persone che hanno portato la loro esperienza al Meeting lo hanno documentato. E anche qui accade che la testimonianza forte di qualcuno sia sempre capace di stimolare, perchè uno si accorge che la stessa domanda e la stessa tensione ce l’ha anche lui.

     
    D. - Come potrebbe raccontare il Meeting di quest’anno?

     
    R. - Credo sia un Meeting nel quale anche io ho visto con i miei occhi molte cose importanti. L’ultima che potrei raccontare è questa festa improvvisata alla Mostra sul carcere, dove c’erano una decina, una quindicina di carcerati, accompagnati da altrettante guardie carcerarie, che sono stati al Meeting tutta questa settimana, hanno condiviso l’esperienza del Meeting, hanno incontrato la gente, sono stati alla mostra, hanno spiegato la mostra. Ad una certa ora della sera - non so esattamente quale - tornavano con il loro commissario, con le loro guardie, nel carcere dei Casetti di Rimini, poi ritornavano giù. Hanno fatto insieme alle migliaia di persone che c’erano intorno un momento di festa. Di fronte ad una cosa di questo genere, in cui era difficile dire chi era più commosso, e chi aveva più vissuto intensamente, non si può dire che "non abbiamo visto".

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    Stresa: si è chiusa oggi la nona edizione dei Simposi rosminiani. Al centro dei lavori il rapporto tra laicità, religione e democrazia. La riflessione di padre Umberto Muratore

    ◊   E’ l’amore per la verità il primo fondamento di uno Stato laico. Questa la grande eredità del Beato Antonio Rosmini, sacerdote e filosofo vissuto nella prima metà dell’Ottocento, ispiratore in questi giorni della nona edizione dei Simposi rosminiani. Terminata ieri a Stresa, nei pressi del Lago Maggiore, l’iniziativa dal titolo “La coscienza laica: fede, valori e democrazia” ha visto la partecipazione di oltre 200 studiosi. Ne traccia un bilancio, al microfono di Silvia Gusmano, l’organizzatore padre Umberto Muratore:
     
    R. - Noi ci eravamo proposti di esaminare i fondamenti di una sana laicità che eliminasse gli estremi che possono essere da una parte il bigottismo dei credenti e dall’altra, invece, l’autosufficienza dei laicisti e mi pare che li abbiamo trovati.

     
    D. - E quali sono, padre, i fondamenti di una sana laicità?

     
    R. - Noi ci ispiriamo sempre ai due maestri che hanno abitato qui, a Stresa: Antonio Rosmini e Alessandro Manzoni, i quali ci hanno insegnato innanzitutto che una sana laicità ha per fondamento un grande e disinteressato amore per la verità. Questa verità, poi, noi abbiamo il dovere di testimoniarla: non abbiamo il dovere di imporla, però ci deve fornire anche la franchezza, ovunque siamo, di poterla manifestare. L’aspetto religioso dell’uomo è una componente che c’è dentro l’uomo, non è fatto solo per il privato, non è fatto per rimanere nascosto. E’ fatto per vivere insieme all’uomo là dove l’uomo opera.

     
    D. - E secondo lei, i cristiani di oggi hanno questo coraggio, questo amore per la verità?

     
    R. - Se parliamo a livello di magistero, certamente. Se poi parliamo a livello di comprensione di ciò che c’è nel deposito cattolico, allora siamo sempre impari rispetto alla situazione. Però, il cristianesimo è fatto così: chi sa aiuti chi non sa.

     
    D. - Qual è il cuore del pensiero del Beato Rosmini? Quale il suo insegnamento alla società odierna?

     
    R. - Di fronte ad una situazione di cultura nichilista, relativistica - nella quale si è svuotato l’interno dell’uomo per cui non gli si da più la coscienza di che cosa è vero e di che cosa è falso - Rosmini interviene e può aiutare moltissimo la Chiesa e gli uomini di oggi e riconciliarli proprio nei valori etici e spirituali acquistati insieme e dunque con l’uomo intero: con l’Uomo inteso, quindi, come intelligenza, come volontà e come sentimento.

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    Chiesa e Società



    I vescovi americani chiedono ai candidati alla Casa Bianca la revisione delle norme sull’immigrazione

    ◊   Il tema dell’immigrazione, sollecitato oggi dal Papa, è al centro delle preoccupazioni dei vescovi statunitensi, che, guardando al dibattito politico sviluppatosi in seno alla campagna presidenziale, chiedono regole nuove per riformare il sistema migratorio. In un articolo apparso ieri sulla stampa americana, ha parlato il dottor Kevin Appleby, direttore dell'Ufficio per la politica migratoria della Conferenza episcopale degli Stati Uniti. Il sistema legislativo americano è inadatto per affrontare il fenomeno, ha affermato. I vescovi ricordando che l’immigrazione è prima di tutto una questione umanitaria e in ultima analisi una questione di carattere morale. Negli ultimi 15 anni - riferisce l’articolo - il governo federale ha speso miliardi di dollari per rinforzare la vigilanza alle frontiere, nello stesso periodo però il numero di immigrati senza documenti è più che raddoppiato. Circa l’80% di chi giunge nel territorio statunitense trova lavoro: una dato che agisce da calamita per altri arrivi. La risposta delle istituzioni è stata scarsa fino ad ora. Anzi è come se la politica avesse creato le condizioni per la violazione delle regole. I meccanismi attuali - si legge - non prevedono vie legali per gli immigrati. I visti d’ingresso per lavoratori non specializzati sono molto pochi ripetto alla domanda. Insignificanti quelli per il ricongiungimento familiare, con tempi d’attesa anche di 10 anni. Famiglie separate, sfruttamento, gente che continua a morire nel deserto statunitense. La nazione però - sottolinea ancora l’articolo - trae enorme beneficio dal duro lavoro di queste persone, che offrono la loro manodopera in settori chiave come l’edilizia o l’assistenza agli anziani e agli ammalati. I presuli parlano di situazione immorale e rivolgendosi i candidati alla Casa Bianca avvertono che non sarà un muro di 700 miglia a risolvere questo problema. Serve invece un sistema di leggi capace di valorizzare il lavoro, le opportunità per tutti e la compassione. (E. B.)

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    Documento dei vescovi cubani in vista delle celebrazioni per i 400 anni del ritrovamento della statua della Madonna della Caridad del Cobre

    ◊   La statua della Madonna della Caridad del Cobre, scoperta e raccolta con amore, è divenuta il simbolo della religiosità del popolo cubano. Così in un messaggio i vescovi cubani hanno convocato per il prossimo 8 settembre, festa della Patrona dell’isola, “Nuestra Señora Caridad del Cobre”, le molteplici celebrazioni che danno inizio al triennio preparatorio del Giubileo (2011-2012) che ricorderà i 400 anni della scoperta nel mare caraibico dell’immagine della Madonna semidistrutta, rinvenuta da uno schiavo nero e due indios nel 1612; avvenimento ricordato questa mattina all'Angelus anche da Benedetto XVI. I presuli ricordano la costruzione della chiesa e la successiva creazione del Santuario nazionale, meta di continui pellegrinaggi, sottolineando che la Madonna è venerata non solo dai cattolici. Fu Benedetto XV nel 1916 a proclamarla Patrona di Cuba, titolo confermato poi da Papa Giovanni Paolo II il 24 febbraio 1998 durante la sua visita, quando incoronò la statua con il titolo di “Madre della Riconciliazione di Cuba”. “E’ la madre di tutti i cubani e dunque ci rende tutti fratelli - si legge nel documento - Alla sua presenza le differenze sociali, culturali, politiche, economiche, ideologiche ed etniche, fra chi vive fuori o dentro Cuba, scompaiono”. I vescovi ribadiscono quindi il valore del Santuario come “simbolo dell’unità nazionale” e, al tempo stesso, “scrigno delle radici cristiane della nazione”. Lo scrittore Ernest Hemingway - scrivono - oltre 50 anni fa volle “donare al popolo di Cuba”, dove abitava da molto tempo, la medaglia del Premio Nobel per la letteratura (1954) chiedendo di custodirla proprio presso il Santuario, considerato “cuore e simbolo del meglio della nazione cubana”. Il documento esorta ad “unire attorno alla Madre di tutti le proprie attese, preoccupazioni, sforzi e progetti, ricordando in ogni istante, come dice il motto giubilare, ‘a Gesù, attraverso Maria, la carità si unisce’”. Durante le celebrazioni - concludono i vescovi - anche noi a Cuba diamo inizio alla missione evangelizzatrice e con ciò ci uniamo alla Grande missione continentale come deciso dalla quinta Conferenza generale di Aparecida. (L. B.)

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    L’uragano Gustav perde intensità e si dirige verso gli Stati Uniti. Evacuata la città di New Orleans e le piattaforme petrolifere nel Golfo del Messico

    ◊   L’uragano Gustav si è indebolito in queste ore, passando alla categoria 3, e dopo aver colpito Cuba si sta avvicinando alla costa degli Stati Uniti. Gli esperti del Centro nazionale per gli uragani, con sede a Miami, avvertono però che Gustav potrebbe riacquistare forza al suo arrivo domani a New Orleans. Per questo il sindaco della città, Ray Nagin, ha ordinato l’evacuazione della città, devastata tre anni fa dalla furia di Katrina, anche se i residenti avevano cominciato a lasciare le loro casa già ieri intasando le strade verso l’entroterra. Evacuate anche le circa 4 mila piattaforme petrolifere a largo del Golfo del Messico, che estraggono un quarto del greggio e il 15% di gas naturale agli Stati Uniti. A distanza, l'uragano minaccia anche la Convention repubblicana che dovrebbe aprirsi lunedì in Minnesota. Il candidato repubblicano, John McCain - oggi con la vice Sarah Palin in Mississippi - ha ribadito che i lavori della Convention potrebbero essere abbreviati o sospesi alla luce dell'andamento dell’uragano. A Cuba, Gustav è stato accompagnato da piogge torrenziali fino a 30 centimetri. La popolazione ha lasciato le coste spostandosi verso l’interno, con l’esercito mobilitato per fornire assistenza e medicinali ai feriti. Nella Repubblica Dominicana, Haiti e Giamaica, nei giorni scorsi Gustav ha provocato 85 vittime mentre non sono stati riportati morti nelle Isole Cayman. (E. B.)

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    Individuare forme di autofinanziamento delle realtà ecclesiastiche: è il tema del seminario delle Chiese latinoamericane al via da domani in Honduras

    ◊   Oltre 125 persone, tra cui nove vescovi, si incontrano da domani fino al 3 settembre, a Morazán, in Honduras, per uno scambio di idee, proposte ed esperienze teso ad individuare forme di autofinanziamento delle Chiese locali. Alla riunione, organizzata sotto il patrocinio del Consiglio episcopale latinoamericano (CELAM), prendono parte rappresentanti del Messico, dell’America Centrale e dei cosiddetti "Paesi bolivariani", tra cui Venezuela e Colombia. L’incontro, presieduto da mons. José Francisco Ulloa (Costa Rica), in qualità di responsabile del dipartimento del CELAM “Comunione ecclesiale e dialogo”, vuole approfondire il principio del sostegno materiale ed economico tra Chiese particolari, chiamate a sentirsi sempre corresponsabili delle comunità di altri Paesi e regioni. L’obiettivo è quello di rinforzare i vincoli fra le diocesi per crescere insieme. Una delle garanzie del successo della missione è l’autofinanziamento, ma questo non deve essere concepito come una questione che riguarda solo la comunità ecclesiale o la Chiesa locale in questione. Tale sostenibilità materiale va intesa come un dovere di tutte le comunità, che devono agire sempre nello spirito della solidarietà e condivisione. L’incontro mira dunque alla scoperta di iniziative e meccanismi adatti a favorire l’autofinanziamento dell’opera evangelizzatrice. Così i partecipanti faranno tesoro di molte esperienze già in atto da diversi anni, nel tentativo di individuare nuove soluzioni in sintonia con il contesto socioeconomico attuale. Per gli organizzatori, resta fermo il principio che la fonte migliore, più autentica e libera di autofinanziamento sono i fedeli stessi chiamati, come ai tempi delle prime comunità cristiane, a sostenere la missione e i diversi e sempre più articolati servizi pastorali. (L. B.)

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    Gli aggressori dei 4 frati del convento di Belmonte "non sono degni di stare in società". Lo ha detto il cardinale Poletto durante una Messa, offrendo il perdono cristiano ai colpevoli

    ◊   Questa mattina al Santuario di Belmonte, nel torinese, celebrata una Messa in segno di solidarietà ai quattro frati aggrediti selvaggiamente martedì scorso da tre banditi nel loro convento. Durante l’omelia, il cardinale arcivescovo di Torino, Severino Poletto, si è rivolto direttamente ai responsabili del brutale gesto. “Persone di questo genere - ha affermato - non sono degne di stare nella nostra società. Vanno recuperate, non dobbiamo condannarli a morte, ma non sono degne di stare nella società, come i lebbrosi di un tempo venivano allontanati perché contagiavano la comunità”. Il porporato ha tuttavia offerto loro il perdono cristiano. “Rientrando in se stessi - ha affermato - prendano coscienza di ciò che hanno fatto e si ravvedano”. Il perdono, ha aggiunto, “non esime chi ha responsabilità istituzionali come la magistratura e gli organi inquirenti a fare il proprio dovere”, che è quello di assicurare alla giustizia queste persone. Alla cerimonia hanno partecipato centinaia di persone, molte delle quali affollavano il sagrato dove erano stati sistemati degli altoparlanti. Presenti anche numerose autorità locali. (E. B.)

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    Alla Festa del cinema di Venezia è il giorno di Pupi Avati con il suo film “Il papà di Giovanna”

    ◊   Famiglia ancora sotto accusa alla Mostra del Cinema di Venezia: dopo il messicano Arriaga con il doloroso “The Burning Plan”, e il durissimo “Un giorno perfetto” di Ferzan Ozpetek è oggi la volta di Pupi Avati. Secondo italiano in concorso al Lido, il regista de “Il cuore altrove” e “I cavalieri che fecero l’impresa”, torna alla Bologna fascista delle sue origini per una soffertissima e molto autobiografica riflessione sulla figura paterna. “Il papà di Giovanni”, sembra dire il Maestro, sono insomma io: “ In questo film - racconta in conferenza stampa - ci ho messo tutto quello che, nel bene e nel male, ho imparato e vissuto sulla paternità”. Luci ed ombre esasperate nel contrasto dal deflagrante scontro di poli opposti: una chiusura, un estraneamento ed un’esclusione dal mondo, quelli della Giovanna del titolo, a cui il padre risponde con disperazione senza senso della misura: per proteggerla dalle brutture e dalle cattiverie del mondo esterno la scherma e travolge, però, con le proprie cure, finendo per esasperare il suo disagio e portarlo a drammatiche conseguenze. Lei è Alba Rohrwacher, sul cui volto emergente la discesa agli inferi scava solchi ed espressioni da certezza ormai affermata del nostro cinema. Lui, uno straordinario Silvio Orlando, vera e propria incarnazione del dolore che lo acceca e trascina nella follia. La malattia psichiatrica della giovane figlia, che si macchia di un inconfessabile, disperato gesto, sembra montare di pari passo con quella del mondo che la circonda: prima le leggi razziali, poi lo scellerato Patto d’acciaio con la Germania ed i primi bombardamenti. Con la fine della guerra si rischiara anche l’orizzonte emotivo dei protagonisti. Insieme ad Orlando ed alla Rohrwacher, anche un positivo ritorno di Francesca Neri e l’esordio drammatico di Ezio Greggio in un bel film che ci riporta a luoghi ed atmosfere cari ad Avati ed a tutti coloro che nel suo cinema hanno sempre creduto. (A cura di Diego Giuliani)

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    24 Ore nel Mondo



    Germania e Gran Bretagna invitano a rivedere i rapporti con Mosca alla vigilia del vertice UE sulla crisi del Caucaso

    ◊   Alla vigilia del vertice straordinario dell’Unione Europea sulla crisi in Caucaso, convocato per domani a Bruxelles dalla presidenza di turno francese, Germania e Gran Bretagna hanno inviato a rivedere i rapporti tra L’UE e Mosca. Scartata l’ipotesi di sanzioni contro la Russia, le diplomazie europee sono intanto già al lavoro sul documento finale del summit. Il punto della situazione nel servizio di Marco Guerra:

     
    Il premier britannico, Gordon Brown, si è rivolto ai partners comunitari in un articolo sul domenicale "Observer", dove si auspica che l’Europa possa smarcasi dalle forniture energetiche della Russia. Se Mosca imponesse il proprio controllo sull'oleodotto che passa per la Georgia, collegando il Mar Caspio alla Turchia - ha spiegato Brown - “potremmo dipendere da controparti poco affidabili". Il responsabile della politica estera per i Cristiano-democratici del cancelliere tedesco Merkel ha perfino ipotizzato la sospensione della Russia dal G8. Ieri, Putin aveva detto che all’Europa non servirà a niente fare gli interessi degli americani, ma a quanto pare il monito del Cremlino non ha sortito alcun effetto sulle posizioni di 27 membri dell’UE, le cui diplomazie sono ora al lavoro per elaborare la bozza conclusiva del vertice di domani. Fermo restando che non saranno imposte sanzioni alla Russia, il testo è chiamato a definire ''una linea convergente ed unitaria che impegni l’Europa nel suo insieme'' e secondo alcune indiscrezioni sarà basato su tre punti principali: il rafforzamento delle relazioni con Tbilisi, l’applicazione del piano di pace presentato alle parti in conflitto dal presidente francese Sarkozy e la condanna del riconoscimento di Mosca delle regioni separatiste dell'Ossezia e dell'Abkhazia.

     
    Cina terremoto
    Nelle province cinesi del Sichuan la terra è tornata a tremare. Ieri, una forte scossa di magnitudo 6,1 ha causato almeno 22 morti e ha danneggiato o distrutto più di 100 mila case. 440 mila le persone rimaste senza un alloggio. Secondo l’agenzia Nuova Cina, sono rimaste danneggiate anche 656 scuole e gli sforzi dei soccorritori sono ostacolati da forti piogge e dal terreno impervio. Intanto, stamani ci sono stati nuovi attimi di terrore per una scossa di assestamento, di magnitudo 5,6. Lo scorso maggio, il Sichuan è stato devastato da un sisma che ha ucciso circa 70 mila persone e provocato dieci milioni di sfollati.

    Thailandia - crisi politica
    In Thailandia, continua montare la protesta contro il primo ministro, Samak Sundaravej, accusato di essere un fantoccio nelle mani dell'ex premier, Thaksin Shinawatra, deposto nel 2006. Questa mattina, sono stati riaperti gli scali aeroportuali di Phuket e Krabi, bloccati ieri dai manifestanti. Tuttavia, al sesto giorno di proteste, migliaia di manifestanti stanno ancora tenendo sotto assedio la sede del governo. Il parlamento si è intanto riunito in emergenza per affrontare la crisi. Ieri, il premier Samak, dopo aver riferito al re sulla situazione, ha ribadito la volontà di non dimettersi.

    Medio Oriente
    Nuovi ruond di colloqui di pace oggi a Gerusalemme tra il premier israeliano, Olmert, e il presidente dell’ANP, Abu Mazen. Secondo la stampa israeliana, Olmert spera di convincere Abu Mazen a sottoscrivere entro due settimane un documento di intesa, anche parziale, sulla soluzione del conflitto israelo-palestinese. Abu Mazen, secondo fonti palestinesi, si accinge da parte sua a chiedere la liberazione di detenuti palestinesi fra cui quella del dirigente di Al Fatah Marwan Barghuti.

    Afghanistan
    Non si ferma la violenza in Afghanistan, dove stamani un militare romeno è rimasto ucciso e altri quattro gravemente feriti a seguito di un’esplosione che ha investo l’autoblindo sul quale viaggiavano. In Afghanistan, attualmente operano 783 militari romeni fra le missioni ISAF e Enduring Freedom.

    Turchia
    Nuova impennata di scontri tra l’esercito turco e i ribelli curdi del PKK. Quattro soldati di Ankara hanno perso la vita nei combattimenti nel sudest del Paese con i guerriglieri curdi. Lo scontro è seguito a un attacco dei miliziani a un posto della gendarmeria nella prefettura di Yedisu. Oltre ai quattro militari uccisi, altri tre sono rimasti feriti. Nella successiva operazione di inseguimento, i militari hanno ucciso due militanti PKK.

    Immigrazione
    Ennesima tragedia dell’immigrazione clandestina a largo delle coste del nord Africa. La Marina reale marocchina ha intercettato, tra mercoledì e venerdì scorsi, 119 migranti clandestini subsahariani a largo della costa sud del Sahara Occidentale, stipati a bordo di due imbarcazioni su una delle quali vi erano i corpi di sei persone morte in mare. Lo riferisce solo oggi l'agenzia marocchina MAP. Al largo di Lampedusa, è stata poi avvistata l’ennesima "carretta del mare" carica di migranti, che sta cercando di raggiungere l’isola. Nell'area, si sta dirigendo una motovedetta italiana della Guardia di finanza. (Panoramica internazionale a cura di Marco Guerra)

     Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LII no. 244

     
    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sulla home page del sito www.radiovaticana.va

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