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Sommario del 10/08/2008
L’appello forte per l’Ossezia meridionale e la riflessione sulla differenza tra gioia autentica e false evasioni: nelle parole del Papa all’Angelus a Bressanone
◊ L’appello forte per la situazione in Ossezia meridionale, con l’invito alla preghiera insieme con gli ortodossi, e una riflessione sui rischi del vuoto che comportano certi aspetti della “società del benessere”: al centro delle parole del Papa che all’Angelus ha anche espresso la sua gratitudine per il periodo di riposo e meditazione. Il servizio di Fausta Speranza
Il Papa, parlando nella prima parte del suo discorso in tedesco, sottolinea il beneficio dei giorni di riposo per poi ricordare che il Vangelo di oggi “ci riporta dal luogo di riposo alla vita quotidiana”. “Racconta – spiega il Papa - come dopo la moltiplicazione dei pani il Signore va sulla montagna per rimanere da solo con il Padre. Intanto i discepoli sono sul lago e con la loro misera barchetta faticano invano a tener testa al veto contrario.” Anche oggi – dice il Papa – “in molte parti della terra la Chiesa si trova a penare per avanzare nonostante il vento contrario e sembra che il Signore sia molto lontano, ma il Vangelo ci dà risposta, consolazione e incoraggiamento e al tempo stesso ci indica la via”. Cristo ci porge la mano come ai discepoli e “soltanto se noi prendiamo la mano del Signore, se ci lasciamo guidare da lui – aggiunge Benedetto XVI – la nostra sarà una strada retta e buona”. “Per questo vogliamo pregarlo – afferma il Papa – di riuscire sempre a trovare la sua mano e al tempo stesso in questa preghiera c’è anche l’invito affinchè nel suo nome noi porgiamo la nostra mano agli altri, a coloro che ne abbiano bisogno per condurli sulle acque della nostra storia”. E poi il Papa, in italiano, prosegue la sua riflessione, con un invito forte e affettuoso ai giovani, a non perdere di vista la gioia vera dietro a falsi miraggi di piacere. Benedetto XVI ricorda i “volti gioiosi di tanti ragazzi e ragazze di ogni parte del mondo” incontrati a Sydney, che hanno provato “la gioia autentica di incontrarsi e di scoprire insieme un mondo nuovo”, “senza avere avuto bisogno di ricorrere a modi sguaiati e violenti, all’alcool e a sostanze stupefacenti”. Il Papa lo sottolinea pensando con dolore ai loro coetanei che cadono vittima di “false evasioni, consumano esperienze degradanti che sfociano non di rado in sconvolgenti tragedie”. Il Papa analizza i motivi:
“E’ questo un tipico prodotto dell’attuale cosiddetta ‘società del benessere’ che, per colmare un vuoto interiore e la noia che lo accompagna, induce a tentare esperienze nuove, più emozionanti, più ‘estreme’”.
“Anche le vacanze – ricorda il Papa – rischiano così di dissiparsi in un vano inseguire miraggi di piacere”. “Ma così – fa notare il Papa – “lo spirito non si riposa, il cuore non prova gioia e non trova pace, anzi, finisce per essere ancora più stanco e triste di prima”. E il Papa spiega di non parlare solo ai giovani:
“Mi sono riferito ai giovani, perché sono i più assetati di vita e di esperienze nuove, e perciò anche i più a rischio. Ma la riflessione vale per tutti: la persona umana si rigenera veramente solo nel rapporto con Dio, e Dio lo si incontra imparando ad ascoltare la sua voce nella quiete interiore e nel silenzio”.
Il Papa esprime la preghiera che “in una società in cui si va sempre di corsa, le vacanze siano giorni di vera distensione”. E dopo la preghiera mariana il Papa dà voce alla sua “profonda angustia per i tragici avvenimenti che si stanno verificando in Georgia e che, a partire dalla regione dell’Ossezia meridionale, già hanno causato molte vittime innocenti e costretto un gran numero di civili a lasciare le proprie case”. Ed esprime il suo auspicio:
“E’ mio vivo auspicio che cessino immediatamente le azioni militari e che ci si astenga, anche in nome della comune eredità cristiana, da ulteriori confronti e ritorsioni violente, che possono degenerare in un conflitto di ancor più vasta portata; si riprenda, invece, risolutamente il cammino del negoziato e del dialogo rispettoso e costruttivo, evitando così ulteriori, laceranti sofferenze a quelle care popolazioni”.
E il Papa aggiunge un chiaro appello alla Comunità internazionale:
“Invito altresì la Comunità internazionale e i Paesi più influenti nell’attuale situazione a compiere ogni sforzo per sostenere e promuovere iniziative volte a raggiungere una soluzione pacifica e duratura, in favore di una convivenza aperta e rispettosa.”
Il Papa invita alla preghiera insieme con i fratelli ortodossi, raccomandando la sua intenzione a Maria. Nelle parole di saluto finali, il Papa richiama in tedesco e in ladino il vangelo del giorno, per poi ricordare in italiano i pellegrini delle diverse comunità parrocchiali della diocesi di Bolzano-Bressanone, come pure i giovani e le famiglie provenienti da altre Diocesi italiane. Ringrazia tutti per il loro affetto e in particolare i giornalisti e gli operatori dei mass-media, che lo hanno seguito durante il soggiorno.
Al Papa la cittadinanza onoraria di Bressanone: per il suo legame personale e l’impegno al dialogo tra religioni
◊ "Per gli stretti legami che Benedetto XVI intrattiene con Bressanone e "per l'impegno dello stesso Papa nella promozione del dialogo tra le religioni" la città altoatesina ha conferito ieri pomeriggio al Papa la cittadinanza onoraria. A Bressanone il cardinale Ratzinger aveva più volte trascorso dei periodi di vacanze e quest’anno è tornato da Pontefice. Il servizio di Fausta Speranza:
Intensa e partecipata la cerimonia che si è svolta nel cortile del Seminario Maggiore, dove il Papa sta trascorrendo le sue vacanze estive. Benedetto XVI ha parlato a braccio di “incontro tra radici cristiane e modernità” e dell’amata città di Bressanone.
"Bressanone è per me un luogo di incontri: incontri delle culture; incontro anche tra una sana laicità ed una gioiosa fede cattolica; incontro tra una grande storia e il presente e il futuro e vediamo che questa storia che qui realmente è presente e toccabile non impedisce la formazione, il dinamismo, la vitalità del presente e del futuro, ma al contrario ispira e dinamizza. E’ poi anche un incontro tra le radici cristiane e lo spirito della modernità, che solo insieme possono costruire una società veramente degna di questo nome: una società realmente umana".
Una lode il Papa l’ha rivolta anche alla ''convivenza delle diverse culture'' della zona, tedesca, italiana e ladina, “che puo' presentare difficolta', ma che si rivela sempre arricchente”. Nel conferire la cittadinanza onoraria, il sindaco Purgstaller ha espresso la speranza che Bressanone diventi ''la citta' del Papa'' e che Benedetto XVI la senta veramente come ''sua''.
Ma ascoltiamo, al microfono di Francesca Sabatinelli, cosa ci ha raccontato padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa della Santa Sede, presente alla cerimonia.
R. – Era veramente un incontro splendido, perché il cortile del Seminario sacerdotale, dove il Papa è alloggiato è una scenografia meravigliosa, fatta anche un po’ ad imitazioni del Cortile del Belvedere, con una bella nicchia in fondo, dove era collocato il Santo e davanti a lui tutto il Consiglio comunale di Bressanone e un coro che ha fatto dei canti bellissimi. Una cosa semplice, breve, ma molto intensa. Hanno saluto il Papa il vescovo di Bressasone e il sindaco, con un discorso che ha illustrato le motivazioni di questa cittadinanza onoraria: una prima motivazione è certamente quella relativa all’impegno del Papa per i grandi valori della fede, della speranza, del dialogo fra le religioni, del dialogo fra le culture come valori che sono molto legati alla storia della città di Bressanone. E poi l’altra motivazione fondamentale è l’amicizia che il Papa ha dimostrato da più di trent’anni verso questa città scegliendola come luogo preferito per i suoi tempi di riposo. Ora la città è contenta di considerarlo uno dei tre cittadini onorari: ce ne sono solo altri due, anziane persone di grandi meriti verso la città che hanno ricevuto questo onore. Il Papa ha fatto un discorso a braccio di risposta e di ringraziamento. Ha cominciato dicendo che quando veniva dal nord verso l’Italia, scendendo dal Brennero, quando si apriva la conca di Bressanone e vedeva questa città, con i suoi vigneti, con l’ambiente dolce e bello che la circonda, diceva: “Ecco, questo è il posto dove posso stare bene” e dove desiderava, quindi, ritirarsi per tornare poi con più slancio e con più forza al lavoro abituale. Ha detto che qui ha scritto diverse opere, diversi articoli, che qui ha trovato amici ed ha raccolto tanti bei ricordi; ma ha goduto anche del panorama molto bello e fatto delle belle passeggiate, dove ha insomma respirato sia spiritualmente, sia fisicamente. Ha notato come questa città sia un luogo importante di incontro fra le culture, con le tre lingue che vi sono parlate - l’italiano, il tedesco e il ladino – e il luogo di incontro fra la sana laicità ed una gioiosa fede cattolica ed è quindi un luogo in cui si vede che la storia cristiana non impedisce un futuro, ma lo dinamizza. In un certo senso un luogo dove si vede che le radici cristiane si possono sposare bene con la modernità. Il Papa ha poi concluso dicendo che è una città che potrebbe essere un po’ un modello per l’Europa di oggi e di domani.
La Georgia ritira le truppe dall’Ossezia del sud, mentre la Casa Bianca lancia un monito alla Russia e l’Abkhazia dichiara lo stato di guerra
◊ C’è ancora preoccupazione per quanto sta accadendo tra la Georgia e la Russia impegnate in un duro faccia a faccia sulla provincia georgiana filorussa dell’Ossezia del Sud che, secondo Mosca, avrebbe provocato duemila vittime. Uno spiraglio di distensione è giunto da Tbilisi che ha ritirato le sue truppe dalla zona “in segno di buona volontà”. La Casa Bianca intanto ha messo in guardia la Russia dal rischio di “un forte impatto” sulle loro relazioni mentre è giunta la conferma ufficiale che anche l’altra repubblica secessionista filorussa dell’Abkhazia ha dichiarato lo stato di guerra alla Georgia. Il servizio di Giuseppe D’Amato:
Le truppe russe controllano completamente il capoluogo Tskhinvali e lo ammettono, dopo ore, anche fonti georgiane. Nella città si continua, però, a sparare contro i cecchini e nonostante i georgiani si siano ritirati ed abbiano rioccupato le posizioni da cui avevano lanciato l’attacco venerdì all’alba.
In mattinata numerosi gruppi di civili sono stati radunati alla stazione degli autobus ed hanno iniziato su mezzi di fortuna il lungo e pericoloso viaggio verso la salvezza in Russia. I feriti, molti dei quali non trasportabili, rimangono nei rifugi e nei sottoscala. I dottori operano in condizioni difficilissime e senza elettricità. L’ospedale è stato distrutto e per le strade e nelle case semidiroccate vi sono morti ovunque.
Un accordo per creare due corridoi per l’evacuazione dei feriti sarebbe stato trovato. Mosca ha imposto il blocco navale della Georgia – dice Tbilisi – mentre i russi negano. Il Cremlino teme, comunque, che possano essere trasportate armi. Ieri alcuni Paesi occidentali e l’Ucraina erano stati accusati di aver fornito ai georgiani equipaggiamento militare. Alcuni aeroporti militari georgiani sono stati bombardati nella notte e Tbilisi denuncia morti fra i civili. L’Abkhazia, l’atra regione separatista delle Georgia, ha dichiarato lo stato di guerra per dieci giorni. All’ora di pranzo il presidente Medvedev ha incontrato il premier Putin appena rientrato dall’Ossezia settentrionale. “Abbiamo la responsabilità dei profughi - ha detto il capo del Cremlino - e i colpevoli di questa tragedia dovranno rispondere penalmente.
Abbraccio di pace alle Olimpiadi di Pechino tra un'atleta russa e un'atleta giorgiana
◊ L’attualità internazionale continua a segnare le Olimpiadi di Pechino. Tra record, sorprese e polemiche arriva il bel gesto di due atlete – una russa, l’altra giorgiana – che sul podio dopo la gara di tiro a segno si sono abbracciate. Quali le reazioni di fronte a questo comportamento? Benedetta Capelli lo ha chiesto a Flaminia Rosati che si trova a Pechino:
R. – E’ il massimo dello spirito olimpico che ci si possa aspettare e forse anche l’idea che ci possano essere due Paesi in guerra senza che le singole persone lo siano fra di loro. Cosa, questa, che probabilmente succede sempre. Ci si dimentica che nello sport, come altrove e come anche nella vita, si porta quello che si è e non necessariamente e non sempre e non solo una ragion di Stato.
D. – Di contro a questo gesto c’è il forfait del nuotatore iraniano che, secondo fonti di stampa, non ha gareggiato in vasca con il nuotatore israeliano per motivi politici, anche se ufficialmente si parla di febbre…
R. – Sì, ufficialmente si parla di un malessere. E’ una agenzia iraniana che ha dato questa altra versione più politica. Sappiamo che questo è capitato altre volte. Ma non è mai successo dal ’79 che due atleti – iraniano e israeliano - si siano scontrati insieme in gara. Qui forse è successo esattamente il contrario di quello che si è verificato sul podio del tiro a segno. Se ha prevalso la ragion di Stato non si sa esattamente per decisione di chi, se sono i singoli o se più probabilmente obbediscono a qualcosa che viene dall’alto. Anche, in questo caso, significa portare nello sport quello che si è; lo sport è una metafora, al quale ci si rapporta con quel che si è nel bene e nel male.
D. – In Cina è uno dei giorni più attesi, per la gara di basket tra la nazionale di casa e gli Stati Uniti, largamente favoriti. Sarà presente pure il presidente Bush: che clima si respira?
R. – Io ho avuto modo di cogliere soltanto la chiacchierata con un ragazzo cinese che fa servizio di volontariato sul nostro autobus e mi ha detto che il suo desiderio principale era di vedere del grande sport, contava di arrivare il più rapidamente possibile ad un televisore per potersela guardare. Credo che la gente comune pensi un po’ meno alla componente politica che c’è nello sport, il pubblico ha solo desiderio di vedere del grande sport. In fondo le Olimpiadi, prima di tutto, vengono fatte per questo anche se poi certamente il ritorno economico, di immagine e di vetrina significano inevitabilmente tantissime altre interpretazioni possibili, tante componenti simboliche di natura politica, di sensibilità e di altro tipo. Alla fine, credo che il primo senso debba restare sempre quello dell’onestà, tutto il resto è un qualcosa che viene applicato a questo mondo, ma potrebbe essere applicato anche a qualche altro mondo. Lo sport è una competizione e a volte anche molto ruvida, ma si spera sempre onesta. Certo è che non è una guerra e non deve esserlo mai!
In Bolivia il particolare referendum sul mandato del presidente, vicepresidente e 8 prefetti
◊ Poco più di quattro milioni di boliviani sono chiamati oggi alle urne per esprimersi attraverso un inedito referendum sulla continuita' o meno del mandato del presidente Evo Morales, del suo vice Alvaro Garcia Linera, e di otto dei nove prefetti dipartimentali. Il clima della vigilia in Bolivia e' teso, ma calmo, con i dipartimenti della cosiddetta Mezza Luna (Santa Cruz, Beni, Pando e Tarija) sul piede di guerra ed impegnati in uno sciopero della fame contro la decisione del governo di trattenere parte delle royalties dovute per l'estrazione degli idrocarburi per il finanziamento di una pensione per anziani indigenti. Per capire di più di questo importante referendum e del come ci si è arrivati, Fausta Speranza ha intervistato Luis Badilla, esperto di America Latina:
R. – Il popolo boliviano dovrà decidere se queste persone continueranno a svolgere le loro funzioni o se invece dovranno andare via. In concreto, però, i “no” alla conferma del presidente, del suo vice e degli otto prefetti dovranno superare il numero dei voti e in percentuale quanto ha ottenuto il candidato nel 2005. In base a questa logica - per cercare di essere più chiaro - la revoca di un prefetto potrà essere possibile con il 50 per cento dei voti più uno; mentre quella del presidente Evo Morales scatterà se i “no” supereranno il 53, 7 per cento dei voti. Come si può vedere, quindi, si tratta un meccanismo un po’ farraginoso. Ciò che sta dietro è meno farraginoso, anche se più delicato.
D. – Ecco, a proposito di quello che sta dietro questo referendum: crisi politica e istituzionale boliviana che si trascina da quasi due anni. E’ questo il background?
R. – Sì. La drastica polarizzazione fra il presidente Morales, i settori sociali che lo appoggiano - contadini, minatori, operai e qualche settore dei ceti medi – e i settori più benestanti, in particolare delle regioni più ricche, che sono quelle che controllano la più grande ricchezza boliviana di questo momento, vale a dire gli idrocarburi. A questo scontro che riguarda piuttosto un antagonismo di interessi economici, si affianca anche un altro tipo di scontro, quello culturale, il progetto nazionale. Mi riferisco alla polarizzazione nata in Bolivia intorno alla nuova Carta Costituzionale. E’ questione di grande importanza perché riguarda la democrazia, lo stato di diritto, le libertà civili, la libertà di educazione. Insomma direi che la Bolivia è un Paese attraversato da grandi contrasti e dove le parti non dialogano, anzi spesso si combattono senza risparmiare nulla.
D. – La Chiesa boliviana da tempo cerca il dialogo e l’arcivescovo di Santa Cruz de la Sierra, il cardinale Julio Terrazas Sandoval, tenta in ogni modo di facilitare il dialogo. Lo ricordiamo…
R. – Proprio così. Hai detto bene. La Chiesa in Bolivia da oltre un anno è impegnata –purtroppo con poco successo, ma non per volere suo – nella promozione di questo dialogo. E’ anche impegnata nella ricerca di meccanismi che mettano fine agli scontri violenti che si vivono nel Paese e che in questi ultimi due anni hanno causato numerose vittime, lutti e sofferenza. Due giorni fa ci sono stati gli ultimi morti. Tra l’altro, proprio tre giorni fa, la Conferenza episcopale è tornata per l’ennesima volta sulla questione del dialogo, chiamando tutti i cittadini “a mantenere – dicono testualmente i vescovi – un comportamento adeguato alla delicata situazione politico sociale che stiamo vivendo”. E’ fondamentale che tutti e in modo particolare le forze dell’ordine – sottolineano ancora i vescovi boliviani – facciano in modo che questa consultazione si svolga in un clima di rispetto, serenità e pace.
D. – Torniamo un momento agli idrocarburi… gli idrocarburi ci aiutano a fare un discorso geopolitico, di area circostante e di interessi internazionali?
R. – Sì ed è proprio per questo che i governi di Argentina, Brasile, Cile e Colombia, così come il segretario delle Nazioni Unite, hanno rivolto, in queste ore, degli appelli alla calma, alla tranquillità. E questo perché è vero che la Bolivia è un Paese piccolissimo e che dal punto di vista geopolitico tradizionale è senza importanza, tanto più che non ha uno sbocco sul mare, ma è anche vero che negli ultimi anni si è scoperto che questo Paese ha un tesoro immenso di idrocarburi. Allora non è esclusivamente in gioco il destino del popolo boliviano e di ciò che potrà fare di questa sua ricchezza, ma è anche in gioco l’equilibrio politico regionale e gli interessi degli altri Paesi. Non si tratta di andare ad impadronirsi di questa ricchezza, ma di cercare di sapere come e quanto possono usufruirne e con prezzi vantaggiosi.
Il Gran Muftì di Siria, Ahmed Badr Al Deem Hassun, parla della straordinaria esperienza dell’Anno Paolino in corso e invita il Papa in Siria
◊ L’anno Paolino, inaugurato da Papa nel giugno scorso nella Basilica di San Paolo Fuori Le Mura a Roma, rappresenta per Damasco un’occasione di dialogo ecumenico tra le religioni. La Siria, Paese per il 90% musulmano, si contraddistingue infatti per una forte tradizione multireligiosa, frutto di una convivenza sociale che trova le sue origini nelle radici delle prime comunità cristiane nate nella regione duemila anni fa. Un dialogo tra musulmani e cristiani è “sempre esistito in Siria” - sottolinea il direttore della Grande Moschea degli Omayyadi, Jamal Mustafa Arab ad un gruppo di giornalisti europei in Siria su invito del Ministero del Turismo locale in collaborazione con l’Opera Romana Pellegrinaggi - e si fa più forte – continua ricordando Giovanni Paolo II in visita alla Grande Moschea nel 2001 - quando “nasce dall’esperienza del vivere gli uni con gli altri, ogni giorno, in seno alla stessa comunità e cultura”. Ma è il Gran Muftì di Siria, Ahmed Badr Al Deem Hassun a rilanciare il dialogo invitando Benedetto XVI a Damasco per l’Anno Paolino. Ascoltiamolo al microfono di Luca Collodi:
R. - (Parole in arabo)
Damasco in questo periodo rappresenta la capitale della cultura araba, ma allo stesso tempo è la capitale dell’Anno Paolino. San Paolo è colui che è stato folgorato proprio sulla via di Damasco, è colui che è stato trasformato da Saulo a San Paolo. Quest’anno si celebra il bimillennario della nascita di San Paolo. Sarei molto lieto se il Santo Padre accettasse il nostro invito a visitare la Siria, proprio nel corso di quest’anno, o se si potesse svolgere l’incontro tra il Gran Muftì e il Santo Padre in Vaticano, anche per preparare questa visita. Sperando di avere in questo modo un ruolo che ci permetta di piantare il fiore della pace nel Medio Oriente.
Per l’arcivescovo Giovanni Battista Morandini, Nunzio in Siria, “l’Anno Paolino è stato una grande intuizione”. “E in Siria, proprio sul fronte del dialogo, afferma, ci sono già frutti impossibili da immaginare solo pochi mesi fa”. Camminare sulle orme di San Paolo, tra l’altro,- ricorda il Nunzio - “ci dà l’opportunità di vivere l’esperienza della fede cristiana, di scoprire nuovamente la Chiesa e di ritrovare le culture alla base della conversione di Paolo. Sull’Anno Paolino in Siria, ascoltiamo mons. Morandini intervistato da Luca Collodi:
R. – Damasco è essenziale per la storia stessa della nostra Chiesa: Paolo e Pietro sono le due colonne della Chiesa. Paolo riceve direttamente da Cristo, senza aver vissuto con Cristo, quando va in estasi, diventando uno fra i più importanti apostoli delle genti. Ma l’importanza è poi anche sul piano culturale e mi piace molto vedere questo segno dei tempi e vedere che quest’anno Damasco è la capitale della cultura araba. In “questo uomo delle genti” – come ha detto il Santo Padre – si trova la ricchezza grandiosa ed unica di Paolo combinata con l’ecumenismo, perché Paolo è l’Apostolo delle genti. Io vorrei far sentire questo anche molto alla nostra gente: Damasco è la città, dove si è realizzato il Mistero di Cristo, che è diventato poi la Chiesa: una, santa, cattolica ed apostolica.
D. – Che impatto ha l’Anno Paolino sul dialogo tra le religioni in Siria?
R. – Lo vedo – se si può dire così – in termini tecnici. In termini veri la cosa è diversa: c’è una ricerca di fondo, ma c’è questa comunione tra le chiese, perché qui siamo cattolici (sei chiese), ortodossi, greco-cattolici, siro-cattolici. E’ quindi si tratta di un dialogo non a distanza, ma direi che bisognerebbe forse spingerlo un po’ di più. Noi stiamo ora cominciando l’Anno Paolino e, quindi, anche sul piano ecumenico c’è una ricerca comune e speriamo che man mano che si vada avanti diventi sempre più profonda. La cultura siriana è una cultura millenaria sulla quale si innesta poi la cultura cristiana di Paolo e che diventa sempre più anche risposta sul piano della vita quotidiana. Vedere come oggi la Siria - così come l’ha definita il Santo Padre e così come soltanto lui fa fare - sia la culla delle religioni e delle culture. Mi pare che proprio lì si incentri l’Anno Paolino così come ha voluto il Papa, per conoscere sempre di più il Paolo vero, profondo, con accanto poi lo sforzo ecumenico di trovare le strade di Damasco. Qui si può veramente vivere – e parlo di religione e non di fede – in armonia e in serenità. Credo che questa sia una delle cose più belle che riesco a trovare nell’Anno Paolino: un conglomerato di culture che convivono in maniera perfetta o quasi perfetta, anche dal punto di vista religioso.
Portare la speranza nelle carceri, con sentimenti di amore e condivisione: l’esperienza di don Sandro Spriano, responsabile dell’Area Carceri della Caritas di Roma
◊ Accompagnare il detenuto in un percorso di riscoperta della bellezza della vita e della dignità della persona: è l’impegno portato avanti con passione dai volontari della Caritas diocesana di Roma nel carcere di Rebibbia. A guidare questo gruppo, formato da circa cento persone, è don Sandro Spriano, responsabile dell’Area Carceri della Caritas di Roma, che al microfono di Alessandro Gisotti racconta la sua esperienza:
(musica)
R. – Il carcere è un luogo dove sicuramente parlare di speranza non può essere un gioco diplomatico, nemmeno un gioco di parole. Noi riteniamo che sia da mettere in atto - e cerchiamo di farlo nel nostro piccolo - un accompagnamento delle persone. Allora, quando ci si accompagna in questa storia di vita dura del carcere, la vita delle due persone - del detenuto e del volontario – si mescola… nel racconto, nella riconoscenza delle esperienze. Questo è uno degli interrogativi che si pone nell’animo di ambedue i soggetti: la voglia di provare a mettere in comune, così che l’esperienza dell’altro possa diventare la mia e io possa capire che forse posso trovare delle modalità diverse di vita. Posso trovare quella felicità che non ho trovato nelle scelte devianti che ho fatto.
D. – Cosa invece dà questa esperienza ai ragazzi volontari che lei coordina? Quale insegnamento, quale ricchezza?
R. – Io credo che dia moltissimo, perché la risposta di queste persone è davvero sempre meravigliata: scopro che c’è un modo di vivere diverso; scopro che la mia vita ha più senso. Si scopre che la vita è la relazione con l’altro, che per me è la sostanza del Vangelo. Ma anche tra i miei volontari, quelli che non hanno una fede così provata, trovano che la relazione con la persona diventa la sostanza della vita.
D. – C’è tra le tante storie di vita di donne e di uomini, che lei ha incontrato e che incontra, una che può rappresentare un po’ al meglio, sintetizzare il significato di questa esperienza?
R. – Io per esempio sto ospitando, come faccio ormai da molti anni, in questo momento, un ragazzo giovane di 30 anni, che ha fatto tanti anni di carcere, che sta pagando per un omicidio, e che non aveva mai assaporato, per mille motivi e mille condizioni negative della sua vita, l’esperienza dell’affettività di una famiglia. L’esperienza di qualcuno che si interessasse dei suoi problemi in maniera seria. Vedo che questa è l’unica strada percorribile per poter far sì che lui non scelga più un modo di vivere sbagliato contro l’umanità. Forse dovremmo tutti, soprattutto noi cristiani, immaginare che queste persone in carcere hanno bisogno della nostra compagnia, altrimenti si perdono.
Bressanone: durante la Messa mons. Egger spiega la "lezione sul silenzio" della liturgia odierna
◊ “Abbiamo bisogno di silenzio e di preghiera, soprattutto quando dobbiamo affrontare impegni grandi. Nel silenzio, nella preghiera e nella lettura orante della Sacra Scrittura ci verrà quella luce e quella forza di cui abbiamo bisogno”. Questo, ha spiegato stamani il vescovo di Bolzano-Bressanone, mons. Wilhelm Egger, durante la Santa messa che ha preceduto l’Angelus, il messaggio della liturgia odierna. L’esperienza del profeta Elia che, volendo convertire il popolo infedele, sale sul monte dove Dio ha consegnato i suoi comandamenti al popolo eletto e sente la voce del Padre non nel vento, non nel terremoto, ma nel silenzio, ci indica la strada. E, ha continuato il presule, “ci fa capire anche il ritiro di vacanza e silenzio del Santo Padre in queste due settimane. Tante persone gli avrebbero voluto stringere la mano, ma il Santo Padre ha proprio bisogno di questo breve tempo di riposo e di silenzio. Così tutti noi possiamo imparare dal silenzio del Papa: anche noi abbiamo bisogno di tempi di riposo (soprattutto quello domenicale), di approfondimenti di tematiche che sono per noi importanti, di silenzio e di preghiera”. Nella stessa prospettiva va letto il Vangelo di oggi sulla rivelazione e la professione di fede. “Non abbiate paura. Sono io”, dice Gesù ai discepoli sulla barca scossa dal vento mentre avanza verso di loro camminando sulle acque. La fede di Pietro, tuttavia, non è abbastanza forte e il discepolo nel tentativo di raggiungere il Signore va a fondo. Ciò “ci dà lo spunto per dare uno sguardo alla nostra storia di fede” ha continuato mons. Egger, poiché “anche nel nostro tempo possiamo sperare che Gesù domi la tempesta e soccorra la cosiddetta ‘barchetta di Pietro’, cioè la Chiesa. Anche a noi dice ‘Vieni’ e ci vuole salvare”. E, ha concluso il vescovo, a sostenerci nella nostra fede in Gesù, l’esempio del Santo Padre. (S.G.)
I vescovi filippini si oppongono al progetto di legge sulla pianificazione familiare
◊ “I nostri legislatori non dovrebbero spendere miliardi di pesos in contraccettivi, ma investire in progetti concreti come l’educazione, lo sviluppo agricolo e l’assistenza ai poveri”. È dura la critica di padre Melvin Castro, segretario della Commissione episcopale filippina per la famiglia e la vita, riguardo al progetto di legge sulla pianificazione familiare appena approvato da due Commissioni parlamentari (Finanza pubblica e Sanità). Secondo l’opposizione, che sta osteggiando il provvedimento noto come Reproductive Health Bill (RH), si tratta in sostanza di un via libera all’aborto, ad oggi ancora vietato per legge nelle Filippine. “La normativa – sostiene il deputato Eduardo Zialcita – pianifica e favorisce la diffusione di contraccettivi (dal preservativo alla pillola e la spirale intrauterina) per il controllo delle nascite e una visione distorta dell’educazione sessuale”. Elementi, spiega, che sembrano incentivare pratiche volte alla “promiscuità” e al “sesso libero” tra i giovani, illusi che l’uso del preservativo li metta al riparo dai rischi. Il progetto di legge - informa AsiaNews - deve ancora essere approvato in sede congressuale dove si preannuncia una dura battaglia parlamentare. (S.G.)
ONU: "Provocano ancora danni i rifiuti tossici scaricati nel 2006 da un'industria europea in Costa d'Avorio"
◊ “Alcune delle persone che ho incontrato sono in uno stato di prostrazione assoluta, senza soldi per mangiare e, tantomeno, per pagare costose cure mediche”: la denuncia, riportata da MISNA, è dell’inviato dell’Onu Okechukwu Ibeanu, appena rientrato da una missione in Costa d’Avorio per indagare sullo scarico di rifiuti tossici da parte di una multinazionale europea nel 2006. “Dopo due anni il diritto degli abitanti di Abidjan a un ambiente salubre e sicuro continua a essere violato”, ha detto il responsabile al termine della visita, durata sei giorni. Secondo Ibeanu, i sette siti alla periferia di Abidjan, dove furono depositate le scorie chimiche, sono ancora contaminati e rappresentano una grave minaccia per la salute dei residenti. “In molti – ha raccontato l’inviato dell’ONU – mi hanno detto di soffrire a causa di forti mal di testa, malattie della pelle, problemi digestivi, infiammazioni alla gola e ai polmoni”. Circa 500 le tonnellate di rifiuti depositate a cielo aperto tra il 19 e il 20 agosto 2006 e le esalazioni, secondo le ultime stime, hanno causato almeno 16 morti e l’intossicazione di migliaia di persone. L’anno scorso la multinazionale, la svizzero-olandese Trafigura, acconsentì a versare al governo ivoriano l’equivalente di circa 150 milioni di euro, negando però di aver commesso alcun illecito. La denuncia dell’ONU segue di qualche giorno l’allarme lanciato da Greenpeace che ha documentato come, dopo l’Asia, anche l’Africa sia divenuta ormai la discarica dei rifiuti elettronici dei Paesi ricchi. (S.G.)
L’agenzia Forum 18 denuncia difficoltà in Turkmenistan per la libertà religiosa
◊ Timore per la libertà religiosa in Turkmenistan è stata espressa dall’agenzia Forum 18 che ha denunciato una scarsa apertura delle autorità a riguardo. Sebbene la Costituzione riconosca la libertà di scegliere e professare qualsiasi religione – afferma l’agenzia Asia News – serve l’autorizzazione statale anche solo per incontrarsi e pregare ed è rilasciata con grandi difficoltà. Si segnalano frequenti incursioni da parte della polizia nei luoghi dove si svolgono gli incontri, con sequestri e multe per “attività religiosa illegale”. Per la Chiesa cattolica è riconosciuta solo la nunziatura della Santa Sede ad Ashgabat, unico luogo dove è ammesso celebrare la messa. Il discorso non cambia sul fronte dell’Islam, religione professata dalla maggioranza dei 5 milioni di abitanti. C’è infatti un controllo capillare sugli imam. Il capo-mufti Nasrullah ibn Ibadullah, fautore di una maggiore autonomia per il clero islamico dallo Stato, è stato incarcerato dal 2004 al 2007 per accuse mai chiarite e sostituito da persona nominata dallo Stato, che è anche vicepresidente del comitato affari religiosi. Serve inoltre il riconoscimento statale necessario per tutti i clerici musulmani e per quelli ortodossi russi. L’istruzione religiosa è proibita, anche all’interno della propria comunità. Nel 2008 la polizia segreta ha più volte fatto incursione in classi di catechismo protestanti, sequestrando testi religiosi e minacciando i docenti. Divieto applicato anche agli islamici, con l’eccezione della sezione teologica della facoltà di Storia dell’università di Ashgabat, che ammette un numero chiuso di studenti. La letteratura religiosa deve essere tutta approvata dallo Stato mentre numerosi siti internet religiosi non sono accessibili. (E. B.)
Allarme dell’UNICEF: la malnutrizione in Asia colpisce un bambino su tre. India, Pakistan e Bangladesh sono i Paesi più colpiti
◊ In Asia quasi un bambino su tre con età inferiore ai cinque anni è sotto peso, rischia di veder compromesso il proprio sviluppo fisico e di contrarre patologie spesso mortali. E’ quanto rivelano le stime di un rapporto regionale dell’UNICEF sulla salute infantile e materna. In India, Pakistan e Bangladesh – riporta l’agenzia MISNA - vivono complessivamente la metà dei bambini malnutriti nel mondo. Gli stenti iniziano dalla nascita e sono spesso dovuti all’insufficiente alimentazione delle madri. Solo in India nel 2006 sono morti due milioni e 100 mila bambini e, nonostante il Paese abbia registrato una riduzione dei tassi di mortalità infantile, gli strati più poveri della popolazione continuano ad aver enormi difficoltà nell’accesso alla cure sanitarie. A differenza di altre regioni del mondo duramente colpite dal problema come l’Africa sub-sahariana, in Asia la malnutrizione non sembra essere legata all’indisponibilità di cibo ma piuttosto al divario di reddito tra le diverse classi sociali. “La malnutrizione non riguarda solo i luoghi dove c’è una vera e propria insicurezza alimentare – ha affermato l’esperta Karen Codling, durante la presentazione del rapporto “The State of Asia-Pacific’s Children 2008” - ma è legata alla cura della salute in generale, alla condizione della donna e ai comportamenti familiari: tutti fattori che si tende a sottovalutare”. Pur superando il periodo più critico dell’infanzia - si legge nel rapporto - le conseguenze di un’alimentazione cattiva e insufficiente restano tutta la vita. La metà dei bambini nati nell’Asia meridionale e a Timor Est - si legge ancora nel documento - mostrano chiari segni di rachitismo. Lo stesso accade al 25% dei bambini in Vietnam, un Paese che attraversa una fase di forte crescita economica. (E. B.)
In Argentina, ad Ushuaia, monumento al beato Ceferino Namuncurá
◊ Ad Ushuaia, città più australe del mondo, il salesiano don José Ellero ha realizzato una scultura dedicata a Ceferino Namuncurá, beatificato lo scorso anno a Chimpay durante una cerimonia presieduta dal segretario di Stato Vaticano, cardinale Tarcisio Bertone. La scultura – rende noto l’Agenzia Info Salesiana - raffigura il giovane aspirante salesiano con una croce nella mano destra mentre cammina, in chiaro atteggiamento evangelizzatore. Sogno missionario che Ceferino non riuscì a realizzare a motivo della prematura morte. Caratterizzano la sua figura gli abiti tipici dei mapuche, popolo al quale egli apparteneva: il “poncho”, i sandali in cuoio di cavallo, una fascia tra i capelli lunghi e una “boleadoras”, arma indigena composta da tre sfere di pietra tenute insieme da strisce di cuoio. La base del monumento raffigura una roccia a forma di piede sulla quale Ceferino si arrampica e simboleggia il significato del cognome Namuncurá che, in lingua mapuche, vuol dire “piede di pietra”. Don Ellero spera che questo suo ultimo lavoro, realizzato in cemento armato, possa essere collocato nella piazza antistante la chiesa costruita dai missionari salesiani e all’Istituto di Ushuaia, accanto al monumento dedicato a Don Bosco. Ceferino Namuncurá Ceferino, nacque a Chimpay il 26 agosto 1886. Ceferino Namuncurá, giovane indios originario di Chimpay, Valle Medio del Rio Negro, fu educato dai missionari salesiani nel Collegio Pio IX di Buenos Aires. Proseguì i suoi studi a Viedma, dove divenne sacerdote. Nel 1904, all’età di 17 anni, contrasse la tubercolosi e morì l’anno successivo in Italia. (A.L.)
Guatemala: musica per speranze e sogni dei giovani Maya
◊ Si chiama 'Sinfonica Rural Infantil San Juan' ed è a tutti gli effetti la sola orchestra sinfonica delle zone rurali del Guatemala: la compongono oltre 200 bambini e ragazzi provenienti da famiglie povere, tutti indigeni Maya che, sotto la paziente direzione del maestro Martin Corleto, hanno acquistato da quest’anno una fama nazionale. La Segreteria per la Pace - informa MISNA - ha infatti conferito loro un riconoscimento per il contributo che, attraverso la musica, hanno dato “alle speranze e ai sogni dei giovani del Guatemala”, a 12 anni dalla fine della guerra civile (1960-’96). “Crediamo in questo progetto sociale che li aiuta a crescere nel corpo e nello spirito e li tiene lontani dalla strada, dove rischiano di finire assorbiti dalle ‘maras’ (bande criminali giovanili)”, ha spiegato Corleto, già direttore dell’Orchestra sinfonica nazionale del Guatemala, impegnato in questi giorni con i suoi giovani artisti nello studio dei diversi movimenti della Quinta Sinfonia di Beethoven: ogni sabato l’orchestra si riunisce nel ‘centro di formazione’ di San Juan, a nord di Città del Guatemala, per provare la nuova partitura all’ombra di maestosi pini. Non hanno un ‘auditorium’ ma solo un recinto in cemento di pochi metri quadrati dove raccogliersi. “L’estrazione sociale non conta, la musica è universale, anche loro possono studiare ed eseguire Beethoven o Mozart”, afferma Corleto e non è il solo a pensarlo: in occasione delle celebrazioni per il 60.mo anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani anche nel Palazzo della Cultura di Città del Guatemala sono risuonate, tra gli applausi, le note della piccola ‘Sinfonica Rural’. (S.G.)
Firenze: dopo un anno di "scuola", al via le missioni dei giovani evangelizzatori
◊ Formare giovani evangelizzatori perché siano loro stessi a portare il messaggio cristiano là dove i giovani vivono e si incontrano: nelle strade, nelle scuole, nelle discoteche, sulle spiagge. Era l’intuizione di Giovanni Paolo II, poi ripresa e rilanciata da Benedetto XVI e adesso – informa Avvenire – è l’obiettivo della “Scuola di evangelizzazione” aperta nel Mugello, in una casa messa a disposizione dall’arcidiocesi di Firenze, all’associazione “Sentinelle del Mattino di Pasqua”. La scuola ha concluso, da poche settimane, il suo primo anno di attività: adesso l’estate per gli “studenti” diventa un tempo di missione, in cui mettere in pratica quello che hanno imparato. La prima meta, in Puglia, insieme ai giovani di Rinnovamento nello Spirito, è terminata lo scorso giovedì; la seconda comincerà a Riccione domani con la collaborazione dei giovani delle parrocchie locali e di altri movimenti e associazioni. Positivo il bilancio del primo anno tracciato da Gianni Castorani, il fondatore di questa realtà che ha portato in Italia lo stile della scuola francese Jeunesse Lumière, con il sostegno del cardinale Ennio Antonelli, presidente del Pontificio Consiglio per la famiglia. Teologia, liturgia, musica sacra, le materie insegnate ai ragazzi e molta la pratica, con missioni in tutta Italia. La scuola riaprirà i battenti a settembre, e in questi giorni sono aperte le iscrizioni. I corsi sono residenziali, durano nove mesi e vengono finanziati da “padrini” trovati e scelti dagli stessi studenti, circa una quindicina. Per iscriversi, o per chiedere informazioni, si può telefonare al numero 338.9506329 o visitare il sito internet www.scuoladievangelizzazione.it.
Algeria: ennesimo attentato nel Paese. Si teme la mano di Al Qaeda
◊ È di almeno otto morti e diciannove feriti il bilancio di un attentato suicida - il terzo in poche settimane - avvenuto nella tarda serata di ieri in Algeria. Secondo fonti di stampa locali, un kamikaze a bordo di un furgone imbottito di esplosivo si è lanciato contro un commissariato di polizia a Zemmouri el-Bahri, cittadina balneare a 45 chilometri da Algeri. Domenica scorsa 25 persone erano rimaste ferite in un attacco simile rivendicato da Al Qaeda per il Maghreb islamico.
Pakistan-violenza
Proseguono da quattro giorni gli aspri combattimenti nella regione tribale di Bajaur, in Pakistan, dove si concentrano militanti di Al Qaeda. Sono oltre cento i miliziani islamici e nove i soldati pachistani morti negli scontri. Intanto nel Paese c’è attesa per l’avvio domani della procedura di impeachment nei confronti del presidente pachistano Musharraf, al potere dal 1999. Il via libera sarà dato dall’Assemblea nazionale dopo l’intesa sulla procedura siglata dai maggiori partiti: la Lega Musulmana e il Partito popolare del Pakistan. E’ la prima volta che, nel Paese, un presidente è messo in stato d'accusa per violazione della Costituzione e per aver indebolito il Paese con scelte economiche sbagliate.
Birmania
Venerdì scorso la leader dell'opposizione birmana e premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi ha potuto incontrare il suo avvocato per esaminare il provvedimento che la costringe agli arresti domiciliari. “Si tratta del primo colloquio di questo tipo dal 2004”, ha specificato il portavoce del suo partito, la Lega nazionale per la democrazia, che ha reso nota la notizia. L'incontro avviene poco dopo la partenza del nuovo inviato speciale delle Nazioni Unite per i diritti dell'uomo in Myanmar, Tomas Ojea Quintana. Ieri sera intanto il governo ha liberato 43 dei 48 attivisti arrestati venerdì, durante la marcia silenziosa in ricordo della violenta repressione l’8 agosto 1988.
Medio Oriente
In aiuto della popolazione palestinese, l’esercito israeliano ha aperto il valico di Ganot che rappresenta un importante transito per la Giudea e la Samaria. Proteste invece sono segnalate al valico di confine di Rafah; un migliaio di palestinesi si sono radunati per manifestare il loro dissenso per la sua chiusura. Sono tre i giorni di lutto decretati dall’Autorità Nazionale Palestinese per la morte di Mahmud Darwish, considerato il poeta nazionale dei palestinesi. Lo scrittore è morto ieri in un ospedale di Houston all’età di 67 anni.
Iraq- violenza
Violenza in Iraq. L’esplosione di un ordigno davanti ad una banca di Baghdad ha provocato la morte di due funzionari e il ferimento di 10 persone. Sempre nella capitale irachena, altri due attacchi hanno provocato altri 7 feriti.
Iran-nucleare
Le nuove sanzioni contro l’Iran formalizzate dall'Unione europea non produrranno effetti. Ad annunciarlo, secondo quanto riferisce l’agenzia ufficiale iraniana, il portavoce del ministero degli esteri, Gholam Hossein Elham, che ha spiegato: "Alcuni Paesi scelgono di ricorrere a nuove misure restrittive ma questi sforzi politici e di propaganda psicologica non avranno risultati. L'Iran dispone ora dell'infrastruttura e della strategia per confrontarsi con le sanzioni e la sua posizione è forte e trasparente”.
Zimbabwe-politica
Si respira un clima di ottimismo in Zimbabwe per l’incontro di oggi ad Harare tra il presidente del Paese Mugabe e il leader dell’opposizione Tsvangirai. Sul tavolo di discussione c’è la formazione di un governo di larghe intese che metterebbe fine ad una lunga empasse politica scaturita dal ballottaggio presidenziale al quale ha partecipato il solo Mugabe. Secondo indiscrezioni, Tsvangirai dovrebbe ottenere l’incarico di primo ministro.
Spagna-Paesi Baschi
Migliaia di persone sono scese ieri in piazza a San Sebastian, nel Paese Basco spagnolo, per chiedere l'indipendenza della regione, erano circa 5 mila secondo i media locali ma nessun dato ufficiale è stato fornito dalla polizia. A promuovere l’iniziativa, i nazionalisti di sinistra.
Vietnam-maltempo
Più di 100 persone sono morte o risultano disperse nel nord del Vietnam a causa delle inondazioni, delle trombe d'aria e degli smottamenti provocati dalla tempesta tropicale 'Kammuri' che si è abbattuta ieri sulle regioni montagnose nel nord del Paese. La provincia più colpita è stata quella di Lao Cai, non lontano dalla frontiera cinese, dove 36 persone hanno perso la vita e 32 sono irreperibili. Centinaia di case sono andate distrutte e altre 25 persone sono disperse nella provincia di Yen Bai.(Panoramica internazionale a cura di Benedetta Capelli e Silvia Gusmano)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LII no. 223
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