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Sommario del 09/08/2008
Il Papa segue con preoccupazione la crisi tra Russia e Georgia. Intervista con padre Lombardi
◊ Il Papa, che oggi riceverà la cittadinanza onoraria di Bressanone, segue con grande preoccupazione le drammatiche notizie sulla crisi tra Russia e Georgia. Ascoltiamo il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, raggiunto telefonicamente a Bressanone da Sergio Centofanti:
R.- Purtroppo siamo tutti colpiti da queste vicende. Sono sempre i fatti di guerra, di violenza, di morte, anche se non sappiamo con precisione quali possano essere i numeri delle persone cadute, che addolorano e preoccupano moltissimo. Purtroppo il Caucaso è una di quelle regioni del mondo in cui ci sono tante tensioni che, magari rivengono alla luce dopo un certo numero di anni di relativa calma. Questo è un momento molto preoccupante. Speriamo proprio che la ragionevolezza, la volontà di pace e di trattativa possano prevalere rispetto all’uso delle armi, che non sono mai la via migliore per costruire la pace.
D. – Una vicenda che potrebbe essere ripresa domani all’Angelus dal Papa…
R. – Normalmente in occasione dell’Angelus il Papa fa dei riferimenti agli avvenimenti principali anche del mondo. E’, quindi, un’ipotesi legittima.
D. – Oggi pomeriggio, invece, il Papa riceverà la cittadinanza onoraria di Bressanone…
R. – Questo è uno degli ultimi eventi pubblici di questa permanenza, insieme all’Angelus di domani nella Piazza Duomo. Questo riconoscimento – la cittadinanza onoraria – è un riconoscimento molto importante per la città. Sono soltanto due le personalità viventi che hanno ricevuto questo riconoscimento da parte della città di Bressanone. Evidentemente il Papa, sia per le sue permanenze precedenti (siamo già a ben 10 volte che il Papa si trattiene in questa città), sia per l’apprezzamento che ha manifestato anche in questi giorni per l’accoglienza che ha ricevuto, per il clima favorevole in cui si trova, è considerato giustamente dai cittadini di Bressanone una persona di casa, una persona vicina a loro, che ha apprezzato e che sa apprezzare e condividere i valori della loro storia, della loro civiltà e della loro cultura. Mi sembra, quindi, un riconoscimento assolutamente appropriato. Interverranno, naturalmente, il sindaco con la Giunta e il Consiglio Comunale, il vescovo e un numero ristretto di altri invitati. Dovrebbe svolgersi, se tutto va bene e il tempo continua ad essere bello come in questo momento, nel cortile del Seminario, che è certamente uno scenario veramente molto bello e solenne. Se il tempo fosse brutto si andrebbe invece nella Biblioteca, che - anche se uno spazio più ristretto – è pur sempre un ambiente molto ricco di storia ed estremamente dignitoso.
D. – Lunedì prossimo il rientro a Castel Gangolfo dopo due settimane di riposo…
R. – Sì, direi che lo scopo di queste due settimane – un buon riposo del Santo Padre dal punto di vista sia fisico, sia spirituale – si può considerare perfettamente raggiunto. Così come il suo incontro con la popolazione, per quanto limitato ad alcune occasioni, è stato un incontro molto cordiale da cui tutti coloro che sono presenti nella zona si sono sentiti onorati ed incoraggiati. Oltre ai due Angelus delle due domeniche, voglio ricordare in particolare la visita ai luoghi natali di San Giuseppe Freinademetz in Val Badia, che ha veramente toccato la popolazione. E’ una figura spirituale molto bella, un grande santo dei nostri tempi, un grande missionario che proietta – diciamo – una regione di antica fede verso il mondo intero, verso orizzonti universali e in particolare verso un Paese a cui tutti stiamo guardando con molta attenzione e con molta speranza, anche come credenti, che è la Cina.
La ragione senza la bellezza è dimezzata: così il Papa nel colloquio con il clero nel Duomo di Bressanone
◊ Ieri la Sala Stampa vaticana ha pubblicato il testo integrale del lungo dialogo del Papa con il clero, svoltosi mercoledì scorso nella Cattedrale di Bressanone. Benedetto XVI ha risposto a sei domande. Di quattro risposte abbiamo già informato: oggi diamo conto delle ultime due. Ce ne parla Sergio Centofanti.
La ragione senza la bellezza sarebbe dimezzata: così il Papa risponde a un padre francescano che aveva sottolineato l’importanza dell’esperienza estetica nella fede:
“… daß für mich die Kunst und die Heiligen die größte Apologie unseres... .
Per me, l’arte ed i Santi sono la più grande apologia della nostra fede. Gli argomenti portati dalla ragione sono assolutamente importanti ed irrinunciabili, ma poi da qualche parte rimane sempre il dissenso. Invece, se guardiamo i Santi, questa grande scia luminosa con la quale Iddio ha attraversato la storia, vediamo che lì veramente c’è una forza del bene che resiste ai millenni, lì c’è veramente la luce dalla luce. E nello stesso modo, se contempliamo le bellezze create dalla fede, ecco, sono semplicemente, direi, la prova vivente della fede. Se guardo questa bella cattedrale: è un annuncio vivente! Essa stessa ci parla, e partendo dalla bellezza della cattedrale riusciamo ad annunciare visivamente Dio, Cristo e tutti i suoi misteri”.
Dove nasce la bellezza – ha aggiunto il Papa – nasce la verità:
"Wenn wir um die Vernünftigkeit des Glaubens streiten, in dieser Zeit, ...
Quando, in questa nostra epoca, discutiamo della ragionevolezza della fede, discutiamo proprio del fatto che la ragione non finisce dove finiscono le scoperte sperimentali, essa non finisce nel positivismo; la teoria dell’evoluzione vede la verità, ma ne vede soltanto metà: non vede che dietro c’è lo Spirito della creazione. Noi stiamo lottando per l’allargamento della ragione e quindi per una ragione che, appunto, sia aperta anche al bello … Questo, penso, è in qualche modo la prova della verità del cristianesimo: cuore e ragione si incontrano, bellezza e verità si toccano. E quanto più noi stessi riusciamo a vivere nella bellezza della verità, tanto più la fede potrà tornare ad essere creativa anche nel nostro tempo”.
Un parroco gli fa una domanda sulla diminuzione dei preti e sulla possibilità di affidare ai laici alcune funzioni del sacerdote. Ecco la risposta del Papa:
“Ich würde zwei wesentliche Teile in meiner Antwort gerne sehen wollen: ...
Nella mia risposta vorrei considerare due aspetti fondamentali. Da un lato, l’insostituibilità del sacerdote, il significato e il modo del ministero sacerdotale oggi; dall’altro lato – e questo oggi risalta più di prima – la molteplicità dei carismi e il fatto che tutti insieme sono Chiesa, edificano la Chiesa e per questo dobbiamo impegnarci nel risvegliare i carismi, dobbiamo curare questo vivo insieme che poi sostiene anche il sacerdote. Egli sostiene gli altri, gli altri sostengono lui, e soltanto in questo insieme complesso e variegato la Chiesa può crescere oggi e verso il futuro”.
Il Papa parla delle difficoltà dei sacerdoti oggi, oberati dalle tante cose da fare. E indica una priorità:
“Eine grundlegende Priorität der priesterlichen Existenz ist, das Sein mit...
Una priorità fondamentale dell’esistenza sacerdotale è lo stare con il Signore e quindi l’avere tempo per la preghiera. San Carlo Borromeo diceva sempre: “Non potrai curare l’anima degli altri se lasci che la tua deperisca. Alla fine, non farai più niente nemmeno per gli altri. Devi avere tempo anche per il tuo essere con Dio”… E a partire da ciò ordinare poi le priorità: devo imparare a vedere cosa sia veramente essenziale, dove sia assolutamente richiesta la mia presenza di sacerdote e non posso delegare nessuno. E allo stesso tempo devo accettare umilmente quando molte cose che avrei da fare e dove sarebbe richiesta la mia presenza non posso realizzare perché riconosco i miei limiti. Io credo che una tale umiltà sarà compresa dalla gente”.
Benedetto XVI sottolinea di nuovo il valore del celibato, segno che il sacerdote appartiene totalmente a Dio e agli altri. E termina con una preghiera di fronte alle tante fatiche dell’essere prete:
“Bitten wir den Herrn, daß er uns immer wieder tröstet, wenn wir meinen, ...
Preghiamo il Signore che ci consoli sempre quando pensiamo di non farcela più; sosteniamoci gli uni gli altri, e allora il Signore ci aiuterà a trovare insieme le strade giuste”.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ Il legame e l'affetto tra Benedetto XVI e Bressanone. Domenica l'Angelus prima del congedo
In prima pagina, un articolo di Marcello Filotei dal titolo "Quell'arte normale che coglie la verità attraverso la bellezza". A margine del colloquio di Benedetto XVI con il clero della diocesi di Bolzano-Bressanone
Nell’informazione internazionale, in primo piano il conflitto tra Georgia e Russia: il presidente Saakashvili chiede un immediato cessate il fuoco e accusa Mosca di aver bombardato diverse città georgiane
“Il conflitto tra Stato e Chiesa mentre si faceva l’Italia”: Gianpaolo Romanato sulle leggi antiecclesiastiche negli anni dell’unificazione
Articolo di Inos Biffi dal titolo “Giratemi e se è a punto mangiate”: nel suo inno sant’Ambrogio ricorda il martirio dell’arcidiacono Lorenzo che dalla graticola irride il suo carnefice
“Una sintesi di simboli ispirati alla Scrittura”. Claudio Ceresa sullo stemma e il sigillo della Città del Vaticano
Guerra tra Russia e Georgia: forse centinaia le vittime. La testimonianza di mons. Pasotto
◊ Crescono angoscia e apprensione per il conflitto tra Russia e Georgia: secondo fonti russe i morti, finora, sarebbero almeno 1500. I profughi, poi, sono più di 30 mila. La Russia ha annunciato di aver cacciato le truppe georgiane dalla capitale dell’Ossezia del Sud. L’obiettivo russo è di respingere i tentativi dell’esercito georgiano di riconquistare la provincia separatista. La Georgia lancia un appello per il cessate-il-fuoco, ma nega la sconfitta. Il servizio di Giuseppe D’Amato:
Continua senza un attimo di pausa il conflitto in Ossezia. Gli eserciti russo e georgiano proseguono le operazioni di guerra, mentre la diplomazia internazionale è in un vicolo cieco. E’ purtroppo l’ora delle armi, della resa dei conti. Le truppe federali controllano il capoluogo osseto Tskhinvali e tentano di rioccupare le zone di competenza delle forze di interposizione. Ovunque, nelle province ossete, sono segnalati duri combattimenti. Anche a Tskhinvali sono in corso sparatorie fra russi ed infiltrati georgiani, che dirigono il tiro della loro artiglieria piazzata su una montagna davanti al capoluogo. Gli osseti dichiarano di avere abbattuto oggi un secondo aereo militare georgiano: ci sono anche le immagini. “E’ una catastrofe umanitaria”, così Dimitri Medvedev, che vuole imporre la pace, nel corso della riunione del Consiglio di Sicurezza della Federazione russa. Migliaia sono i civili in marcia verso nord per mettersi in salvo. Un grande ospedale da campo per curare i feriti è già pronto. Quello di Tskhinvali è stato colpito ieri durante gli scontri. Lo Stato maggiore a Mosca ha ammesso di aver perso due velivoli negli scontri. Tblisi parla di bombardamenti russi contro proprie città, fra queste il porto di Poti e gli aeroporti militari. I russi smentiscono. Il presidente georgiano Saakashvili ha già dichiarato lo stato di guerra e la legge marziale. Il Parlamento si è riunito in una sessione di emergenza. Le truppe georgiane impegnate in Iraq stanno tornando in patria.
Sulla situazione in Georgia, Luca Collodi ha raccolto la testimonianza di mons. Giuseppe Pasotto, amministratore apostolico per i cattolici di rito latino nel Caucaso, raggiunto telefonicamente a Tbilisi:
R. – La situazione è difficile: mi hanno da poco avvisato che è stata appena bombardata la città di Gori e anche delle zone abitate. Non sembra ci siano svolte positive in questo momento. Sembra che le posizioni siano rimaste le stesse, anche se è stato annunciato dalla televisione russa che l’esercito di Mosca ha ripreso la capitale Tskhinvali. I georgiani invece negano questa notizia. Quello che è molto strano per me è che questo conflitto, iniziato da due giorni, sia stato già caratterizzato da raid, con bombardamenti in diverse aree. Alcune di queste non sempre obiettivi militari. Capisco che si possa vivere un momento di difficoltà in una zona, ma estendere il conflitto in questo modo secondo me è molto strano.
D. – Mons. Pasotto, lei come spiega il precipitare della situazione? La Georgia poco fa ha dichiarato lo stato di guerra...
R. – Sì, il presidente georgiano ha dichiarato lo stato di guerra. La situazione è precipitata e non so perché. Bisognerebbe sentire le varie parti, perché è difficile da qui capire la situazione. Da parte georgiana, si dice che c’è stato un intervento che è seguito a tante, tantissime provocazioni: “Dopo aver porto la guancia tante volte in questi giorni – ha detto proprio il presidente georgiano - ad un certo punto abbiamo mandato la polizia, non l’esercito”. Si percepiva che stava avvenendo qualcosa. Qualcuno diceva che era tutto pronto anche da parte della Russia. Ma non saprei dire... Mi è sembrato strano che nel momento in cui dovevano partire le trattative – ed infatti il ministro georgiano era andato per cominciare questi negoziati – è cominciato invece il conflitto.
D. – Come è in questo momento la vita dei civili nella capitale, a Tblisi?
R. – In questo momento c’è molta apprensione, qualcuno è anche andato via; c’è una situazione di grande tensione. In altre città, per esempio a Gori, la situazione è problematica: dopo i bombardamenti per strada ci sono case distrutte e lì è tutto molto più difficile. Per molti la sensazione è che quanto successo a Gori, potrebbe accadere anche a Tblisi.
D. – Lei è in contatto con la comunità cattolica della Georgia?
R. – Sì, ho sentito diversi sacerdoti. Ho parlato anche con il prete che era a Gori e mi ha detto che sarebbe arrivato a Tblisi. Mi ha riferito che la casa vicino alla nostra è stata bombardata. Vive l’apprensione che vivono tutte le persone in Georgia in questo momento.
D. – La comunità ortodossa che commenti fa su questa situazione?
R. – Il patriarca ha chiesto che la sera alle 19.00 ci sia un momento di preghiera per tutti, per chiedere la pace. Ieri ci siamo ritrovati tutti, i rappresentanti delle minoranze religiose ed etniche, per fare una dichiarazione comune. Abbiamo chiesto l’interruzione completa della guerra e il rispetto dei diritti di ogni persona. Abbiamo chiesto che altri Stati non entrino nell’ambito della sovranità nazionale, chiedendo in modo particolare alla Russia di svolgere un ruolo pacificatore. Questa dichiarazione comune è venuta in seguito ad un’ora di discussione, che è stata molto difficile, molto tesa, ma anche bella.
Il nunzio in Russia: "Una inutile strage!"
◊ Sulla crisi tra Russia e Georgia interviene anche il nunzio apostolico Antonio Mennini, rappresentante della Santa Sede nella Federazione Russa. Il presule definisce il conflitto "una inutile strage" e invoca il ritorno al dialogo. L'intervista è di Amedeo Lomonaco:
R. – Facendomi interprete dei sentimenti di tutti i fedeli cristiani russi e, in particolare, dei cattolici, rivolgo il mio pensiero a queste regioni del Caucaso, dove da qualche giorno è scoppiato un conflitto che potrebbe assumere veramente delle dimensioni tragiche. Un conflitto, questo, che come sappiamo ha già provocato tante vittime e non solo fra i soldati, fra i militari, ma soprattutto fra la popolazione civile, costringendo tanti profughi di varie etnie e nazionalità a lasciare le proprie case, i propri villaggi, tutto ciò che avevano di più caro. Riflettendo anche sull’appello già rivolto alle parti in causa dal Patriarca Alessio II, mi viene di rivolgere un’intensa preghiera al Signore affinché liberi tutti i coinvolti, tanto più i cristiani, dalla cecità dell’inimicizia. Inimicizia che è tanto più grave e tanto più inammissibile se alimentata da cuori di persone unite dalla stessa fede: siamo, infatti, di fronte a popolazioni nella quasi totalità unite dalla stessa fede cristiana. Sono convinto che esistono ancora delle manovre, dei larghi margini per una trattativa giusta ed onorevole tra le parti, affinché possano sedere ad un tavolo di negoziato, tanto più che questa è l’unica strada allo stato attuale delle cose per raggiungere una soluzione non solo durevole, ma anche soddisfacente per tutti.
D. – Eccellenza, secondo lei, qual è la soluzione possibile e cosa può fare la Chiesa?
R. – La Chiesa ha certamente la grande arma della preghiera, ma anche la Chiesa può insistere presso le organizzazioni internazionali affinché coadiuvino le parti – che già in parte hanno detto di essere pronte ad un negoziato – ad aprire finalmente la strada ad una trattativa che porti a soluzioni durevoli, nel rispetto e nella soddisfazione delle aspirazioni legittime di tutti i popoli coinvolti.
D. – Che tipo di atmosfera si respira adesso in Russia?
R. – Certamente i russi sono molto preoccupati, perché il 90 per cento della popolazione osseta – come hanno già detto gli organi di stampa – è in possesso di un passaporto russo. C’è già un movimento di volontari pronti per andare a combattere. Questo sarebbe veramente un disastro, perché porterebbe certamente ad un allargamento del conflitto. Si possono capire i sentimenti, le emozioni, ma dico ancor di più che dobbiamo pregare affinché la ragione prevalga, il buonsenso prevalga e soprattutto prevalga la memoria delle comuni radici cristiane.
D. – Per quanto riguarda invece l’accoglienza dei profughi? Si parla già di 30 mila profughi dall’Ossezia verso la Russia…
R. – Sì, molti sarebbero stati trasferiti nell’Ossezia del Nord che è parte integrante della Federazione Russa e certamente credo che le autorità competenti stiano facendo del loro meglio per accoglierli. Questo però lenisce soltanto parte delle sofferenze. Immaginiamo se dalla sera alla mattina dovessimo lasciare le nostre case, i nostri cari, i nostri beni, senza sapere più nulla di alcuni parenti dispersi. C’è un dolore – potrei dire – inutile, senza voler citare grandi espressioni… ma sembra veramente una inutile strage!
D. – Sappiamo che la posizione della Georgia è appoggiata dagli Stati Uniti, mentre la Russia è sull’altro versante…
R. – Io penso che Stati Uniti e Federazione Russa abbiano molti interessi comuni e sono quindi chiamati a collaborare. Non possono abdicare al loro ruolo di grandi potenze e quindi di garanti della pace in molte parti del mondo.
Bush a Mosca: fermi i bombardamenti e rispetti i confini
◊ Il presidente degli Stati Uniti, George Bush, che si trova ancora a Pechino, dove ieri ha assistito alla cerimonia di apertura delle Olimpiadi, ha tenuto una conferenza stampa sul conflitto russo-georgiano in Ossezia del sud, nel corso della quale ha chiesto la fine immediata delle ostilità. Il servizio di Giancarlo La Vella:
Russia e Georgia mettano subito da parte le armi. Così il capo della Casa Bianca, che si rivolge soprattutto a Mosca, chiedendo l’interruzione dei bombardamenti. Inoltre, il presidente americano chiede con forza che l'integrità territoriale della Georgia venga rispettata. Il conflitto in Ossezia del sud, dunque, si ripercuote sulle Olimpiadi, colpendo nel vivo il valore della “pax olimpica”, quella tregua che, sin dai tempi dell’antica Grecia, dovrebbe essere osservata durante le gare. Il Comitato Olimpico Internazionale (CIO), infatti ha definito il conflitto esploso tra Russia e Georgia, nel giorno dell'apertura delle Olimpiadi, un episodio “contrario allo spirito olimpico – afferma un portavoce del CIO. “La tregua olimpica – si dice ancora – è un ideale alla base dei valori sportivi, spetta poi alle Nazioni Unite fare qualcosa di concreto. Da parte sua il movimento agonistico internazionale – si sottolinea – fa già il massimo per promuovere la pace con programmi nel mondo intero”. Preoccupatissimi, per quanto sta succedendo in patria, i 35 atleti della squadra georgiana, alcuni dei quali osseti, che non riescono neanche a raggiungere telefonicamente le proprie famiglie. Come si sta vivendo, dunque, nel villaggio olimpico la crisi russo-georgiana? Lo abbiamo chiesto a Francesco Sisci, corrispondente in Cina per il quotidiano “La Stampa”:
R. – C’è grande dispiacere, un profondo dispiacere, perché questa guerra getta naturalmente un’ombra sulle Olimpiadi cinesi. Per la Cina questa è in qualche modo un’offesa, anche perché ruba la scena alle Olimpiadi. C’è poi anche nervosismo perché la Russia ha imposto la sua pace in Cecenia, mentre oggi sostiene l’indipendenza dell’Ossezia del sud dalla Georgia.
D. – Intanto è ancora forte l’emozione per la cerimonia di apertura dei Giochi Olimpici. Che cosa ha voluto dire la Cina al mondo con questo spettacolo fantasmagorico?
R. – Pace, armonia, non vogliamo la guerra, non siamo una minaccia per gli altri Paesi. E io non credo che la Cina voglia ergersi a leader globale. E’ stato interessante sia quello che ha scritto il Quotidiano del Popolo, sia quello che sostengono alcuni commentatori locali: il mondo ci ha dato una grande opportunità nell’ospitare le Olimpiadi e noi dobbiamo restituire al mondo una grande meraviglia. Non è importante vincere, ma imparare l’uno dall’altro. Questa è la vera eredità che lasciano le Olimpiadi.
Giornata internazionale dei popoli indigeni
◊ Oggi è la Giornata internazionale dei popoli indigeni, indetta nel 1994 dall’ONU per porre fine all’emarginazione di queste popolazioni. Una ferita aperta soprattutto in Brasile, dove gli indigeni sono circa 700 mila e continuano ad essere perseguitati. Nel codice etico dei nativi americani c’è scritto: “La sofferenza di qualcuno è la sofferenza di tutti; la gioia di qualcuno è la gioia di tutti”. Problemi che queste popolazioni devono affrontare, oggi, sono ancora molti, come racconta, al microfono di Roberta Barbi, mons. Moacyr Grechi, arcivescovo di Porto Velho, capitale dello Stato del Rondônia:
R. - Alcuni lottano per la demarcazione definitiva della propria terra. Altri lottano per la sopravvivenza, perché perdendo la terra hanno perso anche la voglia di vivere: non si sentono né bianchi, né indigeni, e i giovani allora si suicidano. Direi che il problema è garantire dal punto di vista legale per quelle aree indigene che non sono state totalmente legalizzate; una volta legalizzate, bisogna dare la forza, la protezione, perché siano rispettate nei loro beni, nella loro cultura, nelle loro necessità.
D. – Che responsabilità ha la comunità internazionale nella continua emarginazione delle popolazioni indigene?
R. – La responsabilità è morale, perché dal punto di vista legale alcuni organismi internazionali possono intervenire solo nel caso in cui ci sia una distruzione in massa di tutto un popolo.
D. – Finalmente, dopo anni di appelli nel settembre del 2007 l’Assemblea generale dell’ONU ha adottato la dichiarazione sui diritti dei popoli indigeni. Cos'è cambiato in un anno in Brasile, dove gli indigeni sono circa 700 mila?
R. – La situazione varia a seconda dei gruppi. Per alcuni, le cose sono migliorate, ma la maggioranza, nella nostra regione, viene sfruttata. Non credo che ci siano stati grandi progressi.
D. – Come mai questo ritardo nell’approvazione della dichiarazione? A chi dà fastidio che gli indigeni godano del diritto all’autodeterminazione fondamentale per ogni popolo?
R. - C’è una parte ideologica, che è molto legata ai militari, che dice che se nel nord ci fossero soltanto popoli indigeni ci sarebbe il rischio di perdere i territori confinanti con altri Paesi. Inoltre, c’è il problema di quelli che vogliono sfruttare la terra. Adesso, per esempio, nella regione di Roraima i produttori di riso hanno preso impropriamente la terra, in quanto non l’hanno comprata: producono molto riso a prezzo basso e così fanno una fortuna.
D. – Il 2008 è anche l’anno internazionale delle lingue. Di quelle parlate nel mondo la maggior parte sono indigene, ma stanno scomparendo. Cosa si può fare per salvarle?
R. – Io vedo che quelli che lavorano e che sono legati alla Chiesa cattolica cercano di fare in modo che gli indigeni parlino la loro lingua; nel contempo, se non lo sanno, fanno on modo che imparino anche il portoghese, utile per il dialogo e per non essere ingannati. Ma le scuole insegnano in lingua indigena. Un aspetto molto positivo del lavoro che sta facendo questa commissione della Chiesa è principalmente quello che gli indigeni si sentano orgogliosi di essere indigeni e che non si vergognino più di esserlo.
Memoria di Santa Teresa Benedetta della Croce, Patrona d'Europa
◊ “Illustre figlia di Israele e, allo stesso tempo, figlia del Carmelo”: così Giovanni Paolo II definì Santa Teresa Benedetta della Croce, di cui oggi la Chiesa celebra la memoria liturgica. Patrona d’Europa insieme a Santa Brigida e Santa Caterina da Siena, Edith Stein era ebrea di nascita, ma dopo un lungo cammino di ricerca scelse di convertirsi al cristianesimo. Diceva: “Chi cerca la verità cerca Dio, che lo sappia o no”. Il servizio di Isabella Piro:
(voce di Giovanni Paolo II)
“Suor Teresa Benedetta della Croce dice a noi tutti: Non accettate nulla come verità che sia privo di amore. E non accettate nulla come amore che sia privo di verità! L'uno senza l'altra diventa una menzogna distruttiva”.
Era l’11 ottobre 1998 quando Giovanni Paolo II proclamava Santa Teresa Benedetta della Croce, al secolo Edith Stein. Erano trascorsi 56 anni dalla sua morte, avvenuta il 9 agosto del 1942 in una camera a gas di Auschwitz. Suor Teresa era giunta nel campo di concentramento due giorni prima, vittima della persecuzione nazista. Nata a Breslavia nel 1891, ultima di 11 figli, Edith proveniva da una famiglia di religione ebraica. Appassionata di filosofia, era stata assistente di Edmund Husserl e si era laureata con lui. Poi, nell’estate del 1921, la svolta: Edith legge l’autobiografia di Santa Teresa d’Avila e decide di convertirsi al cristianesimo. Il 1° gennaio del 1922 riceve il Battesimo e 11 anni dopo entra nel Monastero delle Carmelitane di Colonia. Nel 1934, avviene la cerimonia della vestizione: da quel momento, Edith Stein porterà il nome di Suor Teresa Benedetta della Croce, quella Croce che lei definiva “unica speranza”. Ma oggi cosa resta del suo sacrificio? Ci risponde Suor Carla Bettinelli, presidente dell’AIES – Associazione Italiana Edith Stein:
“Tutta la sua vita, dalla conversione in poi, è stata proprio un atto di offerta al suo Signore. Del suo sacrificio rimane un dialogo migliorato fra cristiani ed ebrei. C’è poi un altro aspetto, l’aspetto della donna Edith Stein che ha influito molto sulle generazioni che sono venute dopo di lei, perché la dignità della donna è maggiormente acquisita e in alcuni ambienti vissuta molto meglio. Mi viene in mente l’udienza che mi ha concesso Giovanni Paolo II, il 24 giugno del 1997. Ero andata da lui per chiedergli la canonizzazione di Edith Stein ed abbiamo parlato della “Mulieris dignitatem” e il Papa mi ha confessato che mentre scriveva, aveva presenti gli scritti sulla donna di Edith Stein”.
Studiosa instancabile, Edith Stein scrisse diversi saggi e tradusse il “De veritate” di San Tommaso d’Aquino, facendo della ricerca della verità il punto fermo della sua vita. Ancora Suor Carla Bettinelli:
“Edith Stein è sempre stata innamorata della verità: l’ha ricercata con tanta tanta fatica, con tanto impegno e a tal punto di dire che era assetata di verità. La sua non era semplicemente una ricerca, ma quasi un bisogno di verità ed era consapevole che ciascun essere umano nella propria vita cerca la verità. Può sbagliare nella ricerca, può confondersi, ma prima o poi la verità appare alla persona umana. La verità, in quanto persona, si mostra da sé. Ma Edith Stein diceva: si mostrerà alla persona che la cerca, che è assetata di verità. E’ tipica la sua frase: “La mia sete di verità era una continua preghiera”.
(musica)
Il commento di Don Massimo Serretti al Vangelo della Domenica
◊ Il Vangelo della 19.ma Domenica del Tempo Ordinario ci presenta Gesù che cammina sulle acque verso la barca dei discepoli. Questi sono sconvolti perché credono di vedere un fantasma. Ma il Signore li rassicura: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!». Pietro, allora, chiede di seguirlo, ma impauritosi per il vento forte comincia ad affondare e grida: «Signore, salvami!». Gesù tende la mano, lo afferra e gli dice:
«Uomo di poca fede, perché hai dubitato?».
Su questo brano del Vangelo, ascoltiamo il commento di don Massimo Serretti, docente di Cristologia all'Università Lateranense:
(musica)
«Subito Gesù stese la mano, lo afferrò». L'uomo non è in grado di portare il proprio peso. E' troppo pesante per se stesso. Non solo, ma nell'acqua in tempesta, neppure un altro uomo è in grado di afferrare e salvare un uomo che affonda. Nell'acqua, nell'elemento mobile e instabile, manca il punto d'appoggio.
E' Dio che afferra prontamente l'uomo che grida a Lui e lo tira fuori di peso. E' Dio che tira fuori l'uomo dall'inconsistenza e dalla violenza delle prove in cui egli, lasciato a se stesso, con le sue sole forze, regolarmente affonda.
Per questo il Padre ha inviato Suo Figlio, per riafferrare l'uomo, caricandosi del suo peso e portarlo di peso fuori dall'infuriare dei flutti di morte. In Cristo Dio cerca l'uomo, lo solleva di peso e porta tutto il suo peso sulle Sue spalle.
Solo in Cristo l'uomo può non affondare, solo tenendo lo sguardo fisso su Cristo il credente può «camminare sulle acque», e normalmente è chiamato a fare ciò. Ma, appena si distrae, appena, come Pietro, volge lo sguardo (blepon) allo scatenarsi degli elementi, distogliendolo da Cristo, ineluttabilmente inizia ad affondare.
(musica)
Libano: appello dei vescovi maroniti per la pace e l’unità nel Paese
◊ Il nuovo governo libanese di unità nazionale si sforzi di portare pace e unità tra la popolazione. E’ l’esortazione che i vescovi maroniti, riuniti in questi giorni sotto la presidenza del patriarca Nasrallah Sfeir, hanno rivolto all’esecutivo presieduto da Fouad Siniora che all’inizio della settimana prossima dovrebbe ricevere la fiducia del Parlamento ed entrare pienamente in carica. In un comunicato i prelati esprimono la speranza che il governo “si sforzi di serrare le file dei libanesi e di operare per un ristabilimento della serenità, della pace e della prosperità, con la collaborazione di tutti i responsabili, in particolare il presidente della Repubblica”. I vescovi – riporta l’agenzia Asia News - hanno manifestato costernazione per le violenze degli ultimi tempi sottolineando la necessità di ripristinare la stabilità e la sicurezza, anche per i turisti che scelgono il Libano per le loro vacanze. Un pensiero viene infine dedicato agli incendi che da giorni stanno devastando vaste regioni del Paese. Di fronte ad “informazioni di stampa, secondo le quali essi sono di origine dolosa”, “è imperativo” – scrivono - che lo Stato e i cittadini siano vigili per evitare il ripetersi di simili catastrofi e per assicurare i responsabili alla giustizia. (E. B.)
Nagasaki ricorda il 63.mo anniversario dell'esplosione atomica
◊ Un profondo silenzio ha avvolto stamani per un minuto il Parco della Pace di Nagasaki alle 11.02 in punto, la stessa ora in cui 63 anni fa esplose Fat Boy, l’atomica che pose drammaticamente fine alla Seconda Guerra mondiale. Oltre 10 mila le persone presenti, suggestiva la cerimonia di commemorazione, forti e decise le parole del sindaco Tomihisa Taue. “Stati Uniti e Russia, ma anche le altre potenze nucleari – ha chiesto il primo cittadino di Nagasaki - promuovano la riduzione degli armamenti atomici invece di favorire reciproche incomprensioni”. Sulla stessa linea il premier nipponico Yasuo Fukuda, che ha ribadito il proposito del suo Paese di guidare la comunità internazionale “verso una pace permanente globale”, rivendicando la rinuncia totale al nucleare fatta dal Giappone. E anche quest’anno l’elenco delle vittime dell’esplosione e delle sue conseguenze si è drammaticamente allungato: altri 3.058 nomi che hanno portato a un totale di 145 mila morti. Circa altrettanti hanno perso la vita ad Hiroshima. Di “tragedia accettata e compresa alla luce del perdono cristiano” ha parlato l’arcivescovo di Nagasaki monsignor Joseph Mitsuaki Takami, in riferimento alla comunità cattolica della sua diocesi che oggi rappresenta la più numerosa del Paese e che nell’olocausto nucleare perse ottomila persone. E, aggiunge il presule, quest’anno, in vista della beatificazione di 188 martiri della persecuzione anti cristiana scatenatasi nel Paese tra XVI e il XVII secolo, in programma proprio a Nagasaki il 24 novembre, la commemorazione odierna acquista un significato ancora maggiore. (A cura di Silvia Gusmano)
Mons. Mamberti consacra vescovo il nunzio Mariano Montemayor
◊ “È Cristo il dono definitivo di Dio all’umanità per vincere il male e il peccato. Infatti, solo nel Cristo Risorto ogni uomo può trovare la realizzazione piena di quella felicità, di quella pace, di quella giustizia a cui continuamente gli interi popoli anelano”. Lo ha ricordato l’arcivescovo Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati, in occasione dell’ordinazione episcopale di mons. Luìs Mariano Montemayor, nunzio apostolico in Senegal e Capo Verde, delegato apostolico in Mauritania, avvenuta il 6 agosto nella Cattedrale di Buenos Aires, gremita di fedeli e alla presenza delle autorità religiose e civili del Paese. Mons. Mamberti nell’omelia ha sottolineato quanto il ministero e la vita di un vescovo si radichino nel mistero di Cristo, che la festa della Trasfigurazione, nel cui contesto si è svolta la consacrazione episcopale, lascia ben intravedere. “La sequela del Signore - ha proseguito il presule - è sempre esigente ed impegnativa”; essa passa attraverso la Croce: l’esito finale del viaggio di Gesù verso Gerusalemme. Come per i discepoli, così anche l’uomo contemporaneo fatica a comprendere le ragioni di tale sequela. È necessario, allora, immergersi nel mistero di Dio per comprendere la meta del nostro cammino, l’approdo sicuro cui siamo destinati. Dalla luce sfolgorante della divinità, ha aggiunto mons. Mamberti, gli apostoli sono stati confermati nella sequela e nella missione sulle strade del mondo. Un richiamo a porre la contemplazione di Cristo al centro dell’esistenza dei discepoli per rendere la vita, talvolta opaca e rassegnata, trasparente allo sguardo d’amore, che raggiunge noi stessi e le persone che si incontrano. Questa la peculiare testimonianza che il nunzio apostolico, rappresentante del Papa presso le Chiese locali e i governi, è chiamato a portare per le strade del mondo. Mons. Luìs Mariano, ha ricordato il segretario per i Rapporti con gli Stati, realizzerà la multiforme missione del Successore di Pietro, recando innanzitutto un prezioso servizio ai vescovi, ai sacerdoti, ai religiosi, ai cattolici i quali troveranno nel nunzio apostolico sostegno e tutela; il Papa anche attraverso la missione dei suoi rappresentanti, si rende partecipe della vita di tutte le Chiese particolari e viene a conoscenza in modo più concreto e sicuro delle loro necessità e delle loro aspirazioni. Per tale ragione, mons. Mamberti ha tenuto a partecipare il saluto benedicente del Santo Padre Benedetto XVI al neo arcivescovo. La celebrazione si è svolta nella serata del 6 agosto nella Cattedrale di Buenos Aires. Attorno al nuovo presule si sono raccolti familiari ed amici, numerosi sacerdoti e vescovi. Erano presenti tra gli altri i cardinali Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali e figlio della nazione argentina, Jorge Mario Bergoglio, arcivescovo di Buenos Aires, e Esteban Karlic, arcivescovo emerito di Paraná. Mons. Luis Mariano Montemayor, nuovo arcivescovo titolare di Illici, è nato a Buenos Aires il 16 marzo 1956, ha studiato presso il Seminario Maggiore dell’Immacolata Concezione dell’arcidiocesi di Buenos Aires, è stato ordinato sacerdote nel 1985 per l’arcidiocesi di Buenos Aires. Dopo aver completato la formazione presso la Pontificia Accademia Ecclesiastica e la Pontificia Università Gregoriana, nel 1991 è entrato nel servizio diplomatico della Santa Sede, prestando la sua opera nelle nunziature apostoliche in Etiopia, Brasile, Tailandia, ed infine in Segreteria di Stato nella Sezione Rapporti con gli Stati. Ora il Papa, lo ha scelto come suo rappresentante in Senegal e Capo Verde e come delegato apostolico in Mauritania, in Africa. (L.B.)
Soddisfazione di mons. Sako per l'incontro con il leader curdo Barzani
◊ Promuovere “pace e armonia” in una provincia afflitta da scontri e divisione intestine. Questo l’obiettivo della visita compiuta ieri da Massoud al Barzani, capo del governo regionale del Kurdistan, a Kirkuk. Il leader curdo si è prima intrattenuto con la municipalità e il sindaco, poi ha incontrato i leader politici e i capi religiosi musulmani insieme a tutto il clero cristiano, guidato dall’arcivescovo caldeo mons. Louis Sako. Al termine dei colloqui ha ricevuto i numerosi dignitari curdi, arabi e turkmeni, segno della volontà di tutte le etnie e le fedi religiose di dar vita a un lavoro comune che sia davvero portatore di pace. Resta il rammarico, invece, per la mancata partecipazione di alcune tribù arabe e dei partiti turkmeni, che hanno boicottato l’evento. Pur con qualche defezione, mons. Sako tiene a sottolineare “l’estrema importanza” del summit di ieri, durante il quale “al Barzani ha voluto lanciare un messaggio aperto al dialogo, promuovendo la fraternità e guardando al bene della popolazione”. Un incontro, ha spiegato il presule ad AsiaNews che “aiuta a eliminare le barriere ed è il punto di partenza per la ricerca di una soluzione condivisa”. E ancora: “Serve il lavoro di tutti. Il Paese è stato rovinato e tocca a noi tutti ricostruirlo: attraverso uno sforzo unitario possiamo farcela”. Le parole dell’arcivescovo sono state raccolte da Massoud al Barzani, che alla fine della visita in città ha promesso di “fare del proprio meglio” perché Kirkuk torni e la popolazione, a sua volta, ha accolto con favore la visita del capo del governo curdo, il cui messaggio ha contribuito a smorzare la tensione che si era venuta a creare nelle ultime settimane in seguito agli attentati terroristici e alla richiesta della maggioranza di governo di annettere Kirkuk al Kurdistan. (S.G.)
I cristiani della Papua indonesiana contro l'introduzione della sharia
◊ Oltre 3.500 cristiani in piazza a Jayapura, capitale della Papua indonesiana, contro l’introduzione nella regione della sharia, la legge islamica. La dimostrazione – riporta l’agenzia AsiaNews – risale ad alcuni giorni fa ed è stata organizzata dall’Indonesian Christian Communication Forum che sostiene la Pancasila, cioè l’ideologia dello Stato fondata su principi democratici moderni quali la libertà di espressione e di religione. Mentre a Jakarta recentemente si discute sulla possibilità di applicare la sharia, i cristiani della provincia ricordano la speciale autonomia normativa della Papua, che di fatto impedirebbe l’introduzione di una simile legge senza l’approvazione delle istituzioni locali. Dal governo provinciale sono giunte rassicurazioni, tuttavia i manifestanti, con in prima linea 45 leader cristiani, hanno sottolineato come la speciale autonomia regionale in questi anni non abbia provocato miglioramenti delle condizioni di vita della popolazione. Inoltre il governo centrale pensa di trasferire nella regione, ricca di materie prime come petrolio e oro, persone provenienti da zone molto popolate come l’isola di Java che sono a maggioranza musulmana. Un aspetto che preoccupa i cristiani della Papua, che temono un’alterazione degli attuali equilibri religiosi. (E.B.)
Migliaia di sfollati in Sud Sudan a causa delle inondazioni
◊ Oltre 40 mila sfollati in Sud Sudan per le intense piogge che hanno provocato lo straripamento di alcuni fiumi. Particolarmente colpito il nord dello Stato del Bahr el-Ghazal, e una decina di villaggi del vicino stato di Warrab che conta 1.500 senza tetto. Gli aiuti delle Nazioni Unite – riporta l’agenzia MISNA – stanno cercando di raggiungere la popolazione in coordinamento con il governo locale, che ha creato un comitato per la gestione dell’emergenza. Si teme il rapido aumento dei casi di colera, tifo e malaria per l’alto livello delle acque. Tuttavia la regione semi-autonoma del Sud Sudan sta soffrendo anche le conseguenze della crisi alimentare. Fonti istituzionali locali parlano di una decina di morti per fame nell’ultima settimana, con i prezzi dei generi alimentari che sono aumentati dell’11 per cento tra febbraio e giugno. Esponenti regionali dell’ONU ricordano anche le conseguenze delle inondazioni su circa 50 mila civili fuggiti dalla regione di Abyei, la zona petrolifera contesa tra il governo di Khartoum e le autorità sud sudanesi, già teatro a maggio di combattimenti. Si ritiene che queste persone non torneranno alle loro case fino a quando le forze dei due schieramenti non si saranno completamente ritirate dall’area e non saranno effettive una forza di polizia congiunta e un’amministrazione ad interim. (E. B.)
Questa sera ad Assisi va in scena il musical Chiara di Dio
◊ Dopo il successo conseguito nelle innumerevoli rappresentazioni proposte in tutta Italia, torna ad Assisi, a partire da questa sera, il musical “Chiara di Dio” completamente dedicato alla figura e alla vita di Santa Chiara. L’appuntamento è per le 21,30 al Teatro Metastasio di Piazzetta Verdi, ma sarà riproposto ogni sabato fino al 25 di ottobre e ogni giovedì, venerdì e sabato con riduzione dei tempi. L’opera è messa in scena dalla Compagnia Teatrale di Carlo Tedeschi che si è avvalso delle Fonti Francescane. Il musical aveva debuttato al Lyrick Theatre nel maggio 2004, ottenendo un ampio consenso di pubblico e di critica, in occasione del 750.mo anniversario della morte della Santa. La rappresentazione di questa sera avviene a 50 anni dalla proclamazione di Santa Chiara a patrona della televisione voluta da Pio XII il 14 febbraio 1958, perché la prima discepola di San Francesco, nella notte di Natale del 1252, ebbe la grazia di poter vedere dalla sua cella la celebrazione che si svolgeva in chiesa. Lo spettacolo inizia con Chiara morente che chiede una ciliegia. Lei, abituata ai digiuni, chiede, con una umanità straordinaria, qualcosa per sé. Siamo ad agosto e non è stagione per quel frutto ma la sua consorella torna dal giardino del chiostro con la ciliegia fra le dita. L’opera ripercorre poi gli avvenimenti più toccanti della sua vita: l’incontro con Francesco, la fuga da casa, il taglio dei capelli per la sua consacrazione, lo spettacolare confronto con i Saraceni. Il tutto con semplici e sobrie soluzioni tecniche, scenografiche e di regia nel rispetto dell’assoluta povertà di Chiara e del diritto alla povertà che lei stessa ha supplicato per tutta la vita. Il Teatro Metastasio diventerà una porta aperta sulla via San Francesco. Tutti i giorni, infatti, sarà possibile visitare gratuitamente nelle due sale d’ingresso, la mostra che ripercorre le tappe della vita di Chiara accanto a Francesco, corredata dalle opere di Carlo Tedeschi che è anche pittore. (E. B.)
L’ONU chiede ‘atmosfera pacifica’ per il referendum domani in Bolivia
◊ Appello del segretario generale dell'ONU per il referendum domani in Bolivia. Ban Ki-moon ha chiesto che il referendum si svolga ''in un'atmosfera pacifica, nell'interesse dei diritti umani e del rafforzamento della democrazia'' nel Paese. Il servizio di Fausta Speranza:
I referendum chiamano la popolazione boliviana a pronunciarsi sul mandato del presidente, del vice presidente e di otto autorità regionali su nove (prefectos)''. Ovviamente ci si è arrivati in una situazione di tensione sociale e politica. Morales è presidente da due anni e mezzo: in questo periodo premendo l’acceleratore delle nazionalizzazioni delle risorse naturali e dei settori giudicati strategici, ha suscitato la forte reazione dei dipartimenti più ricchi, ed in particolare di quello di Santa Cruz. Nei dipartimenti orientali si concentrano le risorse energetiche (gas e petrolio). I prefetti accusano la politica governativa di preoccuparsi solo degli indigeni''. Morales accusa i prefetti di voler far rivivere con il loro comportamento i golpe degli anni '60 e '70, definendoli ''oligarchi e venditori della patria''. In definitiva, il referendum sull'operato di governanti nazionali o locali, è un referendum sul processo di nazionalizzazioni. Resta da dire delle agitazioni di diverso stampo della piazza. Proteste e scioperi contro la decisione del governo di trattenere parte delle royalties versate ai dipartimenti (Idh) per finanziare una pensione per anziani senza contributi. Ma anche scioperi dei militanti della Centrale operaia boliviana (COB), un tempo solida al fianco del presidente, che accusano il governo di avere messo a punto una riforma del sistema pensionistico di stampo ''neoliberale''. Ci sono poi altre agitazioni, di comitati civici o sindacati di maestri per le quali Morales ha dovuto anche rinunciare a cerimonie ufficiali. In ogni caso, però, sembra fuori discussione la riconferma domani di Morales.
Iraq
Malgrado le statistiche indichino un netto calo delle vittime, in Iraq non si ferma la violenza. Ieri sera l’ennesima strage: un'autobomba è stata fatta esplodere in un mercato nel nord del Paese, nella città a maggioranza turcomanna di Tal Afar, provocando 21 morti e almeno 72 feriti.
Afghanistan
Almeno 20 talebani sono stati uccisi e 14 feriti nel corso di aspri combattimenti con le forze di sicurezza afghane e le truppe della coalizione internazionale nell’ovest dell’Afghanistan. Lo scontro a fuoco è scaturito a seguito di un agguato dei miliziani integralisti ad un convoglio militare. Autorità locali rendono poi noto che cinque poliziotti afghani sono morti nell'esplosione di una bomba nell'est del Paese. Negli ultimi due anni in Afghanistan si è assistito ad un costante incremento dell’attività della guerriglia integralista. Lo scorso luglio si è registrato il più alto numero di vittime dalla caduta del regime dei Talebani nel 2001.
Mauritania
L'Unione africana sospenderà la Mauritania fino a quando la democrazia non sarà ripristinata nel Paese. Lo ha annunciato oggi il ministro degli Esteri della Tanzania, presidente di turno dell'organizzazione, a tre giorni di distanza dal golpe dei militari che ha portato alla deposizione e all’arresto dei capo dello Stato, Sidi Ould Sheikh Abdallahi. Intanto nel Paese africano resta alta la tensione: ieri diverse centinaia di persone sono scese in piazza a Nouakchott per protestare contro il colpo di stato e chiedere il ritorno del presidente. Alla testa del raduno i leader e diversi deputati del Fronte Nazionale per la Difesa della Democrazia, creato da quattro partiti che si battono per il ripristino del governo costituzionale.
Zimbabwe
Cresce l’attesa per il vertice tra il presidente sudafricano Mbeki e quello dello Zimbabwe Mugabe che si terrà lunedì ad Harare. Il portavoce del presidente Mugabe ha intanto annunciato che sono stati fatti molti passi avanti nel negoziato per ricomporre la crisi istituzionale nello Zimbabwe, ma non è tuttavia noto se un accordo sia stato raggiunto con il leader dell’opposizione Tsvangirai sulla condivisione del potere nel Paese africano.
Birmania
In Birmania ieri si sono registrate manifestazioni in ricordo della repressione studentesca dell’8 agosto 1988, in cui furono uccise 3mila persone. Ma la protesta silenziosa contro il regime militare è stata fermata dalla polizia che ha arrestato 48 attivisti nella città di Taunggok, nel nord ovest del Paese. Per scongiurare altre manifestazioni dopo quelle represse duramente circa un anno fa, la giunta aveva piazzato nei siti strategici della città polizia e milizie paragovernative. Sempre ieri è comparso davanti ai giudici un noto comico birmano, arrestato per aver espresso alcune critiche sulle modalità dei soccorsi alle vittime del ciclone Nargis.
Nepal: numerosi arresti tra manifestanti pro Tibet
In occasione dell’apertura delle Olimpiadi di Pechino, in Nepal sono tornati a farsi sentire gli esuli tibetani. Migliaia di persone hanno manifestato davanti l’ambasciata cinese a Kathmandu in favore dell’indipendenza del Tibet. La polizia ha arrestato 1800 tibetani, il numero di fermi più alto registrato in un giorno in Nepal dalla repressione della rivolta nella provincia cinese, nel marzo scorso.
Pechino: un turista statunitense ucciso e un altro ferito nell'aggressione di un cittadino cinese
Una violenta aggressione nei confronti di due turisti americani scuote la prima giornata dei Giochi Olimpici di Pechino. Dei due statunitensi, entrambi parenti del CT della nazionale americana maschile di pallavolo, uno è stato ucciso e l’altro è rimasto gravemente ferito a seguito delle coltellate inferte da un cittadino cinese che si è poi suicidato gettandosi dalla torre del Tamburo, un monumento che si trova nel centro della capitale cinese. Ferita anche la guida cinese che li accompagnava.
Somalia
Sono stati rilasciati i due turisti tedeschi rapiti in Somalia da pirati il 23 giugno mentre navigavano sul loro yacht nel golfo di Aden. Lo hanno reso noto autorità della regione semi autonoma somala del Puntland. Secondo alcune indiscrezioni è stato pagato un riscatto che ammonterebbe a un milione di dollari. Il rilascio dei due tedeschi segue di qualche giorno quello dei due cooperanti italiani, Ilaria Occhipinti e Giuliano Paganini, presi in ostaggio in maggio. (Panoramica internazionale a cura di Marco Guerra)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LII no. 222
E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sulla home page del sito www.radiovaticana.va/italiano.