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SOMMARIO del 24/09/2007

Il Papa e la Santa Sede

  • "Una fraterna cooperazione tra i pastori sarà per tutti i fedeli incoraggiamento e stimolo a crescere nell'unità": così Benedetto XVI ai vescovi ucraini di rito latino, ricevuti per la visita "ad Limina"
  • Il sostegno della Chiesa in Nicaragua per favorire la pace e la giustizia sociale: lo ha assicurato Benedetto XVI al nuovo ambasciatore del Paese centroamericano
  • Concluso a Budapest il Congresso internazionale sulla Nuova evangelizzazione. Il bilancio dell'inviato del Papa, il cardinale vicario Camillo Ruini
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • In centomila, fra cui 20 mila monaci buddisti, proseguono la protesta fra le strade di Yangon, contro il regime di Myanmar. L'analisi del prof. Francesco Montessoro
  • Mons. Vieira, vescovo di Djougou in Benin: ringraziamo il Papa, continuiamo a batterci per la difesa della vita e della famiglia
  • Chiesa e Società

  • Nella prima Messa come nuovo vescovo di Pechino, mons. Li Shan ha ringraziato Benedetto XVI
  • Il governo tedesco accoglie l’appello lanciato dai vescovi del Ghana a favore delle popolazioni colpite dalle alluvioni
  • Il presidente del Sudafrica, Mbeki: “I Paesi ricchi non mantengono la promessa di alleviare la povertà”
  • Accordo di collaborazione tra il governo del Congo e i vescovi locali in ambito sanitario
  • Tra luglio e agosto, raddoppiato il numero degli iracheni sfollati: ora sono circa due milioni
  • Sydney 2008: la Croce della GMG benedice la barriera corallina
  • Indagine per i 50 anni dei Fidei Donum: sono il 5,5 per cento dei missionari italiani nel mondo
  • “Dio nei media?”: tema della Domenica dei media e della cultura, in programma il 30 settembre, in Belgio
  • Contro il racket delle estorsioni, Unioncamere Sicilia presenta la "Rete della legalità"
  • 24 Ore nel Mondo

  • Liberi i due soldati italiani in Afghanistan: tutti morti i rapitori, mentre in un attentato perdono la vita due soldati spagnoli - Scontri nella capitale pakistana Islamabad - Nei pressi di Baquba, in Iraq, scoperte tre fosse comuni
  • Il Papa e la Santa Sede



    "Una fraterna cooperazione tra i pastori sarà per tutti i fedeli incoraggiamento e stimolo a crescere nell'unità": così Benedetto XVI ai vescovi ucraini di rito latino, ricevuti per la visita "ad Limina"

    ◊   Benedetto XVI ha ricevuto stamani in udienza i vescovi di rito latino dell’Ucraina, in visita ad Limina in Vaticano da oggi fino a domenica. Il Papa ha anche salutato i presuli greco-cattolici che hanno presenziato all’incontro, proponendo una riunione annuale tra i vescovi dei due riti per rendere sempre più efficace l’azione pastorale. “So con quanto impegno - ha affermato il Santo Padre - vi sforzate di proclamare e testimoniare il vangelo nella cara terra d’Ucraina, incontrando talora non poche difficoltà, ma sorretti sempre dalla consapevolezza che Cristo guida con mano salda il suo gregge”. Il servizio di Amedeo Lomonaco:


    Tutti i pastori della Chiesa che vive in Ucraina si sono idealmente raccolti intorno al Successore di Pietro. L’odierno incontro - ha affermato Benedetto XVI - pone in luce la bellezza e la ricchezza del mistero della Chiesa. La partecipazione dei vescovi greco-cattolici a questo mio incontro con i presuli di rito latino - ha detto il Papa - è “un gesto di comunione ecclesiale, eloquente testimonianza di quell’amore fraterno che Gesù ha lasciato ai suoi discepoli come segno distintivo”. E poi ha aggiunto:

     
    “Nella varietà dei suoi riti e delle sue storiche tradizioni, l’unica Chiesa cattolica annuncia e testimonia in ogni angolo della terra lo stesso Gesù Cristo, Parola di salvezza per ogni uomo e per tutto l’uomo”.
     
    La fedeltà a Cristo diventa quindi il segreto dell’efficacia di ogni progetto pastorale ed apostolico:

     
    “A noi pastori, come a tutti i fedeli, è chiesto di vivere un’intima e costante familiarità con Lui nella preghiera e nel docile ascolto della sua parola: è questa la sola strada da percorrere per diventare in ogni ambiente segni del suo amore e strumenti della sua pace e della sua concordia”.

     
    Animati da questo spirito - ha osservato Benedetto XVI - non è difficile “intensificare una cordiale collaborazione tra vescovi latini e greco-cattolici per il bene dell’intero popolo cristiano”. Potrete così coordinare le vostre attività apostoliche e pastorali, ha aggiunto il Santo Padre, “offrendo la testimonianza di quella comunione ecclesiale, che è anche condizione indispensabile per il dialogo ecumenico con i fratelli ortodossi e delle altre Chiese”. Il Papa ha poi lanciato la proposta di almeno un incontro annuale, che veda riuniti i vescovi di rito latino e quelli di rito greco-cattolico per rendere “sempre più armonica l’azione pastorale”:

     
    “Sono persuaso che la fraterna cooperazione tra i pastori sarà per tutti i fedeli incoraggiamento e stimolo a crescere nell’unità e nell’entusiasmo apostolico e favorirà anche un proficuo dialogo ecumenico”.
     
    In Ucraina, oltre il 97 per cento delle comunità religiose sono cristiane e circa la metà ortodosse. L’indipendenza dell’Ucraina dall’Unione Sovietica nel 1991 ha avviato una fase di divisioni che ha portato oggi alla presenza di tre diverse Chiese ortodosse. Nel Paese, ci sono anche comunità di cristiani protestanti, ebrei e musulmani. La Chiesa cattolica si esprime nella sua duplice tradizione: la Chiesa greco-cattolica di rito bizantino, con circa 3300 comunità sparse soprattutto nella parte occidentale del Paese, è stata soppressa durante il regime di Stalin e forzatamente “unita” alla Chiesa ortodossa russa. La Chiesa di rito latino, sottoposta ad un severo controllo statale durante gli anni della ex Unione Sovietica, è stata segnata da un profondo rinnovamento, iniziato nel 1991. Fin da quell’anno - ha dichiarato in una recente intervista il segretario della Conferenza episcopale ucraina di rito latino, mons. Marian Buczek - la priorità pastorale è stata quella della diffusione della coscienza religiosa cercando anche di promuovere un dialogo fruttuoso tra cristiani ortodossi e cattolici. Entrambe le Chiese, quella di rito bizantino e quella di rito latino, hanno riacquistato la libertà dopo gli eventi del 1989 e l’indipendenza dell’Ucraina.

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    Il sostegno della Chiesa in Nicaragua per favorire la pace e la giustizia sociale: lo ha assicurato Benedetto XVI al nuovo ambasciatore del Paese centroamericano

    ◊   Solidarietà al Nicaragua, colpito all’inizio di settembre dal passaggio dell’uragano Felix, ha espresso stamane il Papa ricevendo il nuovo ambasciatore del Paese centroamericano presso la Santa Sede, Jose Quadra Chamorro, che ha presentato le sue Lettere credenziali. Benedetto XVI ha inoltre assicurato il sostegno della Chiesa al governo di Managua per accrescere la giustizia sociale. Il servizio di Roberta Gisotti:


    Preghiere a Dio per le vittime e vicinanza spirituale ai familiari, ha assicurato Benedetto XVI, auspicando che quanti hanno perso casa e lavoro “possano ricevere insieme agli aiuti interni generosi contributi dalla comunità internazionale”. Hanno quindi parlato il Papa e il nuovo ambasciatore dei problemi economici, sociali e politici che affliggono il Nicaragua. Se “trovare i modi per risolverli non è compito facile” - ha osservato il Santo Padre - si deve contare sempre non solo sulla buona disposizione e collaborazione dei cittadini, ma soprattutto dei responsabili delle diverse istanze politiche e imprenditoriali”, perché il governo con “azione decisa” sappia affrontare “le sfide di un mondo globalizzato”, che vanno raccolte con “spirito di autentica solidarietà”.

     
    Riguardo le priorità fissate dal presidente nicaraguense Ortega - combattere la droga, incrementare l’alfabetizzazione, eliminare la povertà - Benedetto XVI ha raccomandato “trasparenza e onestà nella gestione pubblica”, per favorire “la credibilità delle autorità davanti ai cittadini”, a fronte di qualsiasi forma di corruzione, e promuovere “un giusto sviluppo” nel Paese.

     
    Il Papa ha quindi confermato il sostegno della Chiesa per accrescere la giustizia sociale. “I vescovi del Nicaragua, nelle strutture nazionali e diocesane - ha detto - e i fedeli nella loro missione rigorosamente pastorale offrono la loro disponibilità a mantenere un dialogo ed una comunicazione costante e sincera con il governo, contribuendo a che si attuino le condizioni essenziali che favoriscano una vera riconciliazione, instaurando un clima di pace e di autentica giustizia sociale”. Ha quindi lodato in particolare, Benedetto XVI, le posizioni assunte dal Nicaragua in ambito internazionale in difesa della vita e cosi anche l’abolizione dell’aborto terapeutico da parte del parlamento, lo scorso anno. ''In merito a questo - ha aggiunto - è imprescindibile incrementare l'aiuto dello Stato e della stessa società alle donne che hanno gravi problemi con la propria gravidanza''.

     
    Da parte sua, il nuovo ambasciatore, Cuadra Chamorro, 52 anni, che ha già ricoperto questo ruolo presso la Santa Sede negli anni ’97/’98, ha sottolineato il ruolo positivo svolto dalla Chiesa nel processo di pacificazione avviato a partire dal 1984 nel suo Paese ed ha ribadito l’invito da parte del suo governo al Papa perché visiti il Nicaragua.

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    Concluso a Budapest il Congresso internazionale sulla Nuova evangelizzazione. Il bilancio dell'inviato del Papa, il cardinale vicario Camillo Ruini

    ◊   Budapest, capitale della Nuova evangelizzazione: lo è stata dal 16 al 22 settembre scorsi, per aver ospitato il Congresso internazionale sul tema “Vi darò un futuro e una speranza”. Il convegno è stato promosso dalle diocesi di cinque capitali europee, tra il 2003 e il 2007. La prima missione si è svolta a Vienna nel 2003, la seconda a Parigi nel 2004, successivamente a Lisbona nel 2005 e poi a Bruxelles nel 2006. Quest’anno, l’incontro ungherese ha concluso il progetto di evangelizzazione cittadina. Per questa occasione, Benedetto XVI ha nominato come suo inviato speciale il cardinale vicario, Camillo Ruini, che ha presenziato alla chiusura delle “Missioni Cittadine Europee”. Giovanni Peduto ha intervistato il porporato, appena rientrato dall’Ungheria, chiedendogli un bilancio dell'esperienza vissuta:


    R. - Un bilancio molto positivo e direi incoraggiante: ha mostrato che la Chiesa di Budapest è una Chiesa viva e che l’istanza missionaria è penetrata profondamente nel clero e anche nel popolo di Dio.

     
    D. - Cosa l’ha colpita di più?

     
    R. - Il fatto di svolgere questa missione nella capitale di uno Stato appartenente all’Europa ex comunista, area nella quale la Chiesa per tanto tempo è stata in condizioni di forte sofferenza. Questo atto pubblico - incoronato dalla presenza di 15 mila persone, la notte di giovedì, alla Messa all’aperto - certamente è un segno di grande speranza.

     
    D. - Qual è stato il messaggio che ha lasciato agli ungheresi come inviato speciale del Papa?

     
    R. - Ho soprattutto lasciato il messaggio della continuità. Questo evento si è svolto molto bene, ma adesso occorre che lo slancio missionario sia sempre più una dimensione permanente della pastorale della diocesi di Budapest, come delle altre città.

     
    D. - Come rilanciare l’evangelizzazione dell’Europa?

     
    R. - Occorre lavorare, anzitutto, a livello della preghiera, della testimonianza personale, ma anche a livello della cultura, affinché la cultura europea riscopra le proprie radici cristiane.

     
    D. - I cristiani rischiano di essere sempre più emarginati nel Vecchio continente?

     
    R. - Ci sono senza dubbio delle forze che tendono ad emarginarli, delle spinte che vanno in questo senso. Ma, per grazia del Signore, ci sono anche spinte contrastanti, che invece riaffermano l’importanza della presenza cristiana. Credo che i popoli d’Europa si rendano sempre più conto di come il cristianesimo sia importante, non solo per il passato, ma per il presente e per il futuro.

     
    D. - L’Europa forse non ama più se stessa: come riallacciare un dialogo fecondo tra le nuove correnti di pensiero e la fede cristiana?

     
    R. - Questo dialogo si può rilanciare - e di fatto si sta rilanciando - proprio attorno ai problemi fondamentali che l’Europa ha davanti a sé: i problemi della sua identità, ma anche il problema dell’uomo: di cosa è l’uomo, di chi è l’uomo, se l’uomo è soltanto un pezzetto della natura o invece è creato ad immagine di Dio, se ha o non ha una dignità inviolabile. Su questi grandi temi, credo che il dialogo sia già in corso.

     
    D. - Quali sono le sue speranze?

     
    R. - Le mie speranze sono che questo slancio missionario, che è partito da Roma - ricordiamo la missione cittadina di Roma degli anni ’96 e ’99, in preparazione del grande Giubileo - e poi si è esteso a tante altre diocesi italiane e adesso alle cinque capitali europee, sia uno slancio che attraversi tutta la Chiesa d’Europa, in modo che la Nuova evangelizzazione non sia soltanto un principio che affermiamo, ma una realtà che viviamo.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Servizio vaticano - Crescere nell'unità e nell'entusiasmo apostolico per favorire anche un proficuo dialogo ecumenico: Benedetto XVI consegna a tutti i Pastori dell'amata Chiesa che vive in Ucraina i progetti pastorali delle varie comunità che operano nel Paese. "E' necessaria la scelta tra la logica del profitto e la logica della condivisione e della solidarietà": l'esortazione del Papa durante la visita pastorale a Velletri e l'Angelus a Castel Gandolfo.

    Servizio estero - In rilievo l'Afghanistan: liberati i due militari italiani rapiti sabato. Uccisi, in un attentato dinamitardo, due militari spagnoli.

    Servizio culturale - Un articolo di Susanna Paparatti dal titolo "Un artista di 'macchia' capace di tracciare una nuova visione onirica della realtà": a Firenze una esaustiva monografica su Vincenzo Cabianca, la prima dal 1927.

    Servizio italiano - In evidenza sempre la vicenda dei due soldati sequestrati e poi liberati in Afghanistan.

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    Oggi in Primo Piano



    In centomila, fra cui 20 mila monaci buddisti, proseguono la protesta fra le strade di Yangon, contro il regime di Myanmar. L'analisi del prof. Francesco Montessoro

    ◊   Hanno cominciato in 30 mila, poi sono arrivati a 50 mila. Infine, si sono attestati ad oltre 100 mila, fra i quali 20 mila monaci buddisti. Parliamo dei manifestanti birmani tornati in piazza oggi a Yangon per l'ennesimo corteo di protesta pacifica contro la giunta militare al potere in Myanmar. Le dimostrazioni, iniziate a metà agosto per denunciare l’aumento del prezzo dei carburanti, hanno chiamato in piazza in questi giorni oltre ai religiosi, anche monache ed esponenti della società civile, che dalla Pagoda d'Oro di Shwedagon, il principale tempio del Paese asiatico, hanno raggiunto la sede della Lega Nazionale per la Democrazia, la maggiore forza di opposizione guidata da Aung San Suu Kyi, da anni agli arresti domiciliari. Per un commento sull’attuale situazione nell’ex Birmania, ascoltiamo il prof. Francesco Montessoro, docente di Storia dell’Asia all’Università statale di Milano, intervistato da Giada Aquilino:


    R. - E’ inevitabile il richiamo alle manifestazioni del 1988-89, che hanno rappresentato il primo segnale di un’opposizione e di una vera rivolta destinata di lì a poco - nel 1990 - ad avere anche un risvolto politico evidente, con la nascita di un partito, la Lega Nazionale per la Democrazia, guidata da Aung San Suu Kyi, che nel 1991 ricevette proprio per il suo impegno politico in Birmania il Premio Nobel per la Pace. Anche in quegli anni, i monaci buddisti ebbero un ruolo di primo piano nel delegittimare moralmente la giunta militare al potere nel Paese.

     
    D. - Perché oggi, come allora, sono proprio i monaci buddisti a scendere in piazza e manifestare, ad esempio, contro l’aumento dei carburanti?

     
    R. - Come negli altri Paesi buddisti, si tratta di una componente essenziale della società. I monaci buddisti sono numericamente più degli esponenti di altre confessioni o religioni, perché quella del monaco è un’esperienza che gran parte della popolazione prova a fare, nel corso della propria vita.

     
    D. - A quali rischi si va incontro?

     
    R. - I rischi sono gli stessi dei primi anni Novanta: si teme, quindi, che la reazione dei militari - tuttora al potere in Birmania - sia sanguinosa. Così è stato alla fine degli anni Ottanta e all’inizio degli anni Novanta, poiché il rinnovamento che ci si attendeva in Birmania è stato semplicemente soffocato da questa elite.

     
    D. - La storia recente del Myanmar cosa indica? Che Paese è oggi?

     
    R. - Il Myanmar è un Paese estremamente arretrato, dominato da un gruppo militare che ha un ruolo soffocante nei confronti della società civile, dell’economia e dell’intero Paese.

     
    D. - Quale potrebbe essere il ruolo di Aung San Suu Kyi?

     
    R. - Se si incrinasse il “monolitismo” del regime militare, Aung San Suu Kyi sarebbe naturalmente destinata ad avere un ruolo di primo piano. Ma questo è decisamente troppo ottimistico, secondo me. La prospettiva è una drammatica repressione con un inasprimento delle condizioni di vita e di espressione politica, come nel caso, ad esempio, di Aung San Suu Kyi, che è comunque già agli arresti domiciliari.

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    Mons. Vieira, vescovo di Djougou in Benin: ringraziamo il Papa, continuiamo a batterci per la difesa della vita e della famiglia

    ◊   I vescovi del piccolo Stato africano del Benin - situato sul versante occidentale del continente, fra la Nigeria e il Togo - hanno concluso la scorsa settimana la visita ad Limina in Vaticano. Le questioni ecclesiali e sociali del Paese sono state presentate a Benedetto XVI, che ha fra l'altro rinnovato l'invito ai presuli africani a schierarsi "coraggiosamente" in difesa dei valori "della famiglia e del rispetto della vita", nel corso dell'udienza concessa loro giovedì scorso. Fabio Colagrande ha chiesto al vescovo della diocesi di Djougou, mons. Paul Kouassivi Vieira, un'impressione sul significato del pellegrinaggio compiuto dalla Chiesa beninese dal Papa e sulle tombe degli Apostoli:


    R. - E' un particolare per rafforzare, direi, anche concretamente la nostra comunione con il Santo Padre, che rappresenta il simbolo della carità di Gesù per tutta la Chiesa universale e con Pietro: noi, quindi, ci sentiamo ancora più forti. E non soltanto noi vescovi ma, attraverso di noi, sono più forti anche tutte le nostre chiese particolari. Io penso che per ogni vescovo, che viene ad incontrare il Santo Padre, sia come vivere un rinnovamento del proprio impegno episcopale e del proprio ministero apostolico, sempre in comunione con Pietro e mai senza di Pietro.

     
    D. - Mons. Veira, il Papa ha sottolineato il vostro coraggio nel difendere il valore della famiglia e del rispetto della vita. Quale difficoltà incontrate come vescovi nel vostro Paese riguardo a questi temi?

     
    R. - Le difficoltà interne provengono anzitutto dalla cultura locale, che è davvero l’humus sul quale cresce l’uomo. Parlo ad esempio della poligamia o dello stato della donna. Noi vescovi del Benin dobbiamo oggi affrontare le sfide che ci arrivano dall’esterno, poiché quelli che non credono più alla specificità della vita umana hanno delle ideologie e delle teorie che combattono la persona umana: quindi l’aborto, la contraccezione. E siccome noi siamo poveri, ci propongono come beni sociali quelle cose che sono però legate a quelle ideologie che combattono la vita e la dignità della persona umana. Fin da quando la Repubblica del Benin si oppose alla scelta dell’aborto - perché il Benin si è opposto - siamo diventati un Paese da colpire ad ogni costo, un Paese che non si aiuterà più fin quando non accetterà questa ideologia. Noi siamo quindi molto, molto attenti nel cercare di risvegliare le coscienze della nostra popolazione riguardo al pericolo di queste cose.

     
    D. - Mons. Veira, dopo il rinnovamento politico degli anni Novanta, il popolo del Benin aspetto però ancora un miglioramento della situazione economica. In questo senso la Chiesa come può aiutare questo processo?

     
    R. - La Chiesa è molto presente nello sviluppo del Paese e non solo con le sue opere sociale, ma anche con quei suggerimenti chiari che rivolge al governo e a tutta la popolazione, anche attraverso le lettere pastorali che di tanto in tanto prepariamo. Queste lettere sono molto ben volute, tanto che il presidente Kérékou diceva: quando incontro i vescovi del Benin sono sicuro che loro vogliono il bene del Paese e, quindi, li ascolto molto volentieri.

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    Chiesa e Società



    Nella prima Messa come nuovo vescovo di Pechino, mons. Li Shan ha ringraziato Benedetto XVI

    ◊   “Desidero ringraziare il Papa”: sono queste le prime parole che mons. Giuseppe Li Shan ha pronunciato ieri prima di iniziare la messa come nuovo arcivescovo di Pechino nell’antica chiesa di san Salvatore (Bei Tang). Mons. Li ha cominciato così il suo ministero, scrive l'Agenzia AsiaNews, promettendo di visitare via via tutte le parrocchie ed i fedeli della diocesi, che conta circa 50 mila cattolici. Il vescovo, ordinato lo scorso 21 settembre con una cerimonia a cui hanno preso parte personalità del governo e dell’Associazione Patriottica, aveva ricevuto l’approvazione vaticana tempo prima, confermata poche ore dopo l’ordinazione con un articolo sull’Osservatore Romano. Le poche parole di ringraziamento al Pontefice da parte del nuovo prelato hanno diradato i dubbi che ancora molti fedeli di Pechino avevano sulla liceità della sua ordinazione. Nell’omelia, mons. Li ha commentato il vangelo sottolineando che “non si può servire Dio e mammona, Dio e il denaro, la vita di fede e la vita mondana”. Egli ha poi sottolineato l’urgenza che tutti i cattolici di Pechino vivano la missione nei confronti dei loro ambienti, dato che la società cinese è alla ricerca di valori spirituali. Il vescovo ha anche chiesto che tutti insieme, sacerdoti e  laici, siano uniti in questo compito. (R.P.)

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    Il governo tedesco accoglie l’appello lanciato dai vescovi del Ghana a favore delle popolazioni colpite dalle alluvioni

    ◊   Di fronte alla grave situazione umanitaria creata dalle violente inondazioni nel nord del Ghana, la Chiesa cattolica locale ha lanciato un appello alla solidarietà internazionale. Uno dei primi Paesi a rispondere – riferisce l’agenzia Fides – è stato la Germania che, attraverso il suo ambasciatore ad Accra, ha consegnato un assegno di 50 mila euro a mons. Charles Palmer-Buckle, arcivescovo di Accra e vicepresidente della Conferenza episcopale del Ghana. Da circa due settimane – lo ricordiamo – pesanti alluvioni stanno flagellando la fascia centrale del continente africano, coinvolgendo 18 Paesi e, in particolare, il Togo, il Ghana, la Mauritania, il Burkina Faso, il Niger, il Mali e alcune aree della Nigeria. Il bilancio e lo scenario sono catastrofici: almeno 300 i morti e circa 1,5 milioni i senzatetto, con danni molto gravi all’agricoltura, alla sicurezza alimentare, alla rete stradale, al sistema idrico e al sistema sanitario. Voci insistenti, ma non ancora confermate, denunciano la diffusione di epidemie di vario tipo: certamente dissenteria grave, ma si parla anche di qualche caso di colera. La Caritas e varie agenzie umanitarie internazionali, ONU e Croce Rossa in primo luogo, hanno lanciato l’allarme, facendo appello alla solidarietà internazionale. Da parte sua, la Commissione Europea ha programmato un pacchetto di aiuti pari a 11 milioni di euro. (R.M.)

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    Il presidente del Sudafrica, Mbeki: “I Paesi ricchi non mantengono la promessa di alleviare la povertà”

    ◊   I Paesi industrializzati non mantengono la promessa di alleviare la povertà, la fame e combattere il sottosviluppo nel resto del mondo. L’accusa è stata formulata dal presidente del Sudafrica, Thabo Mbeki, nel suo messaggio settimanale alla nazione. Ricordando che al Vertice del Millennio, nel 2000, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite aveva identificato diversi Obiettivi del Millennio da raggiungere entro il 2015, Mbeki ha accusato la comunità internazionale di aver “tradito le speranze di milioni di persone”. Prendendo atto degli enormi ritardi con cui si è proceduto nella realizzazione degli Obiettivi del Millennio – riferisce l’agenzia MISNA – il presidente sudafricano ha detto che “l’Assemblea dell’ONU dovrà ammettere con onestà che le nazioni del mondo non sono state all’altezza delle solenni promesse fatte ai poveri in Africa e nel resto del mondo”. La Commissione economica delle Nazioni Unite ha calcolato che, entro il 2015, solo 13 Paesi riusciranno a dimezzare l’attuale percentuale di abitanti che vivono in condizioni di estrema povertà e 14 a guadagnare l’istruzione primaria universale. Sette paesi raggiungeranno la parità di genere nelle scuole secondarie, otto ridurranno la mortalità infantile, mentre otto arriveranno a ridurre la mortalità causata dalla sindrome di immunodeficienza acquisita (AIDS). “La risposta dei Paesi industrializzati al perseguimento degli Obiettivi del Millennio – ha detto Mbeki - suggerisce che questi Paesi non considerano l’eventuale fallimento della campagna una minaccia per loro stessi”. (R.M.)

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    Accordo di collaborazione tra il governo del Congo e i vescovi locali in ambito sanitario

    ◊   Il governo della Repubblica Democratica del Congo e il Comitato permanente dei vescovi congolesi hanno siglato, giovedì a Kinshasa, un’importante Convenzione-quadro di partenariato per il settore sanitario. “Questa firma è un simbolo – ha dichiarato il presidente della Conferenza episcopale del Congo, l’arcivescovo Laurent Monsengwo Pasinya – poiché permette alla Chiesa di porsi, da un lato, nelle condizioni ideali al servizio della popolazione e, dall’altro, di rispondere in maniera più adeguata alla propria missione di evangelizzazione, che implica lo sviluppo integrale della persona umana”. Secondo il presule, per la Chiesa Cattolica la dispensazione di cure sanitarie “è prima di tutto un ministero e un accompagnamento morale e spirituale di una persona bisognosa di vedere, attraverso il personale infermieristico, il volto compassionevole di Cristo sofferente, morto e risorto”. L’arcivescovo Monsengwo Pasinya ha quindi espresso il desiderio che l’accordo di collaborazione sia a vantaggio del popolo congolese e a favore del suo sviluppo integrale nella giustizia e la pace. Il ministro della Sanità del Congo, firmatario dell’accordo, ha dichiarato che la convenzione permetterà agli esperti che lavorano per la Chiesa cattolica di aiutare il governo a migliorare la sua gestione del settore, dimostrando la sinergia tra la rete religiosa e quella pubblica. (A cura di Valentina Fizzotti)

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    Tra luglio e agosto, raddoppiato il numero degli iracheni sfollati: ora sono circa due milioni

    ◊   Sono quasi due milioni gli iracheni sfollati, con un incremento di quasi il doppio tra luglio e fine agosto: è quanto emerge da un rapporto della Mezzaluna Rossa, secondo cui nei 31 giorni di agosto, 969.827 persone (ovvero, 169.666 famiglie) hanno cambiato luogo di residenza e, di queste, la maggioranza (823.201) proviene dalle regioni e dai quartieri della capitale, Baghdad, a maggioranza sunnita. Secondo la stessa fonte, ripresa dall’agenzia MISNA, il criterio confessionale ha comunque inciso poco sulla nuova destinazione scelta: sunniti e sciiti fuggono dalle stesse violenze, vivono nelle stesse zone dopo aver cambiato, a volte, più di una volta il loro domicilio. Dal 2003 a oggi, circa 300 mila famiglie hanno lasciato le loro regioni di origine a causa dei combattimenti che sono seguiti al conflitto nel Paese contro le truppe degli Stati Uniti e dei loro alleati. L’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (ACNUR) valuta in 1,4 milioni gli iracheni che hanno trovato riparo in Siria e in 750 mila quelli che si trovano adesso in Giordania. “L’esodo iracheno – dicono fonti dell’ACNUR – è il maggiore spostamento di popolazione nella regione dopo quello palestinese, avvenuto con la creazione dello Stato di Israele nel 1948”. (R.M.)

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    Sydney 2008: la Croce della GMG benedice la barriera corallina

    ◊   La barriera corallina, uno dei più importanti siti turistici australiani, è stata benedetta con la Croce della Giornata mondiale della gioventù (GMG), che in queste settimane sta attraversando le diocesi dell’Australia, in vista dell’appuntamento di Sidney, nel luglio 2008. Scortata dalla nave Wollongong della Marina Reale australiana – riferisce l’agenzia SIR – il 22 settembre scorso la Croce della GMG, con l’icona mariana, è giunta presso l’isola di Fitroy, in piena barriera corallina, dove durante una breve liturgia è stata calata nelle acque dell’oceano. Le 30 persone presenti, tra equipaggio, istituzioni locali e giovani del team della GMG, hanno pregato insieme per la salvaguardia dell’ambiente. “È un privilegio per noi portare la Croce e l’icona che tante vite hanno cambiato tra queste bellezze naturali”, è stato il commento di padre Neil Muir, della diocesi di Cairns, dove la Croce e l’icona rimarranno fino a domani, per poi proseguire il loro viaggio verso il nord del Paese. E mentre continua il pellegrinaggio dei simboli della GMG, si mettono a punto i dettagli organizzativi: prossimo appuntamento sarà il 21.mo Incontro internazionale preparatorio della GMG, che si terrà a Sydney dal 15 al 17 ottobre, con il coordinamento di una delegazione vaticana guidata dal presidente del Pontificio Consiglio per i Laici, mons. Stanislaw Rylko. (R.M.)

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    Indagine per i 50 anni dei Fidei Donum: sono il 5,5 per cento dei missionari italiani nel mondo

    ◊   Oggi sono 788, 566 preti e 222 laici, di cui la metà sposati. Sono i missionari del movimento Fidei Donum, nato 50 anni fa accogliendo l’invito dell’omonima Enciclica di Pio XII all’impegno missionario. In occasione dei 50 anni dei Fidei Donum in Italia, EMI ha pubblicato uno studio sul movimento, curato dal sociologo Dario Nicoli, docente dell’Università Cattolica di Brescia. Dall’indagine – riferisce l’agenzia Fides – emerge che le motivazioni che spingono alla scelta di adesione sono il desiderio di vivere il sacerdozio nella scelta preferenziale dei poveri e la possibilità di fare chiarezza sulla propria vocazione attraverso una scelta radicale. “Dopo 50 anni – sottolinea nell’introduzione al volume mons. Giuseppe Pellegrini, direttore dell’Ufficio Nazionale per la cooperazione missionaria tra le Chiese e direttore nazionale delle Pontificie opere missionarie – l’esperienza dei Fidei Donum ha ancora molto da dire alla nostra comunità”. I Fidei Donum costituiscono il 5,5 per cento dei missionari italiani nel mondo e oltre due terzi di loro sono inviati in America Latina. Anche se negli ultimi anni il numero complessivo dei missionari Fidei Donum è rimasto stabile, si registra un incremento dei laici, spesso famiglie intere, che scelgono di dedicare la loro vita alla missione. (V.F.)

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    “Dio nei media?”: tema della Domenica dei media e della cultura, in programma il 30 settembre, in Belgio

    ◊   “Dio parla anche attraverso i media, prendendo la forma di un’inchiesta coraggiosa, di un’intervista, di un dibattito sincero, di un film istruttivo, di un webmaster creativo”. Lo scrive il cardinale Godfried Danneels, presidente dei vescovi del Belgio, nella presentazione della Domenica dei media e della cultura, che viene celebrata il 30 settembre, sul tema: “Dio nei media?”. “E questo – spiega il porporato, ripreso dall’agenzia SIR - vale per i media generalisti, ma soprattutto per quelli della Chiesa, che offrono un punto di vista cristiano sull’informazione generale”. Ma è opportuno conoscerli – rimarca il cardinale Danneels – che pone allora il quesito: “Conoscete i media ecclesiali?”. “La giornata dei media e della cultura di domenica - aggiunge il porporato – serve e a sostenere i media della Chiesa e le loro attività culturali. La colletta del prossimo fine settimana sarà, dunque, devoluta per dare loro modo di proseguire la missione”. Nella brochure di presentazione, vengono illustrati i media ecclesiali del Belgio e, per ciascuno, viene fornito anche un contatto al quale inviare un’offerta che, se superiore ai 30 euro, è deducibile dalle tasse. (R.M.)

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    Contro il racket delle estorsioni, Unioncamere Sicilia presenta la "Rete della legalità"

    ◊   Una “Rete della legalità” contro il racket delle estorsioni: è l’iniziativa presentata oggi a Caltanissetta da Unioncamere Sicilia, che conta 500 mila iscritti e si rivolge a tutta la rete dei produttori siciliani che non ce la fanno più a pagare il pizzo, che non hanno mai ricevuto aiuto e sono rimasti in silenzio perché si sentivano soli. “Se la mafia alza la testa e affila le armi – ha affermato il presidente regionale di Unioncamere, Giuseppe Pace - il nostro esercito alzerà gli scudi”. L’imprenditore che malauguratamente dovesse subire intimidazioni, danni, estorsioni denuncerà alle forze di polizia l’accaduto e informerà Unioncamere Sicilia che, con i suoi 300 consiglieri camerali, chiederà al governo nazionale una giustizia più celere e una certezza della pena, sostenendo e accompagnando ogni singolo imprenditore dal momento della denuncia. L’iniziativa vuole creare solidarietà concreta, senso di comunione e appartenenza, e mirare al ripristino di un’immagine più solare e produttiva della Sicilia, cancellando o arginando il più possibile la percezione di negatività che promana dalla cultura mafiosa. L’auspicio del presidente Pace è incoraggiare gli imprenditori a uscire dal tunnel della paura e del silenzio e, soprattutto, a non sentirsi emarginati. A esporsi nei confronti della criminalità non sarà più il singolo, ma un’intera rete di imprenditori solidali, di “imprenditori soldati della legalità”. La pressione, la minaccia, l’estorsione non sarà un fatto singolo, ma riguarderà l’intera comunità imprenditoriale con un suo coinvolgimento diretto, dalla base. Al presidente di Unioncamere Sicilia sono giunte le prime adesioni. (A cura di Alessandra Zaffiro)

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    24 Ore nel Mondo



    Liberi i due soldati italiani in Afghanistan: tutti morti i rapitori, mentre in un attentato perdono la vita due soldati spagnoli - Scontri nella capitale pakistana Islamabad - Nei pressi di Baquba, in Iraq, scoperte tre fosse comuni

    ◊   Feriti ma salvi i due militari liberati dal blitz delle forze NATO in Afghanistan. Mentre in un attentato in una provincia non distante sono morti due soldati spagnoli. Ma ascoltiamo il servizio di Fausta Speranza:


    Liberati all'alba, con un blitz dei commandos di ISAF, la Forza della NATO in Afghanistan, i due militari italiani rapiti sabato sera nella provincia di Herat. Entrambi feriti, uno gravemente, anche se non in pericolo di vita. I rapitori erano otto o nove e sono stati tutti uccisi dalle forze dell'Alleanza, mentre sembra che i militari italiani siano stati raggiunti solo dai colpi dei rapitori. Illesi gli altri soldati ISAF. E’ certo che al blitz non abbiano partecipato anche soldati afghani. Sull’identità del gruppo di sequestratori, invece, le notizie sono confuse: c'è chi sostiene che si sia trattato di un gruppo di criminali comuni - o ''autonomo'', come ha detto lo stesso ministro per la Difesa italiano, Arturo Parisi - che si sarebbe apprestato a cedere gli ostaggi ad una formazione talebana. Secondo altre fonti, sarebbe stato catturato il comandante dei talebani Mullah Khuda-i-Dad, ritenuto responsabile del sequestro. Soddisfazione, dunque, del ministro della Difesa italiano per la liberazione dei due militari italiani, definiti degli ''italiani speciali'', ''mandati là dalla Repubblica''. Ma nella cronaca dall’Afghanistan nelle ultime ore c’è anche l’attentato in cui hanno perso la vita due soldati spagnoli e due sono rimasti feriti: l'esplosione di un ordigno telecomandato o di una mina nei pressi di Shewan, nel nordest della provincia di Farah. E sempre nella provincia di Farah, non lontano dalla zona del blitz che ha visto la liberazione dei militari italiani, tre vigilantes afghani, dipendenti di una società privata americana per la sicurezza, sono stati uccisi ed altri dieci risultano dispersi dopo un agguato compiuto da talebani, che avrebbero anche subito una ventina di perdite.

    Il sequestro dei due militari italiani è uno dei segnali di come stiano cambiando i rapporti di forza in Afghanistan, con il governo di Kabul sempre più debole e i talebani che stanno riacquistando notevole forza d’urto. Giancarlo La Vella ne ha parlato con Alberto Negri, inviato speciale del Sole-24 ore:


    R. - Questa è una situazione di cui si erano avuti molti segnali di allarme, soprattutto nella provincia di Farah. Dall’inizio dell’anno, gli attentati terroristici islamici si erano moltiplicati in quest’area. La situazione naturalmente cambia molto quella che è la nostra visione della provincia di Herat, dove la capitale è forse una delle città meno turbolente e più tranquille dell’Afghanistan. Ma intorno troviamo la zona molto permeabile all’infiltrazione dei talebani, che potrebbero in questo modo cominciare ad attaccare in un’area finora relativamente fuori dalla loro portata.

     
    D. - Fino a qualche tempo fa immaginavamo i talebani allo sbando. Che c’è invece dietro la loro riorganizzazione armata?

     
    R. - Due anni fa, nel 2005, alla vigilia delle prime elezioni afghane veramente importanti, si poteva pensare che i talebani avessero in qualche modo perso posizioni e, infatti, anche alcuni gruppi di ex talebani erano ritornati in qualche modo nella legalità o stavano negoziando con il governo Karzai. In realtà, poi, nell’ultimo anno, è successo che i talebani non hanno montato quella offensiva di primavera di cui parlavano, ma sono riusciti notevolmente ad aumentare la portata delle loro azioni, grazie soprattutto al fatto di avere sotto controllo una parte di territorio che è la provincia di Helmand, ai confini con il Pakistan, grazie anche al supporto logistico che arriva da oltre frontiera. I percorsi che fanno i gruppi talebani sconfinano e vanno fino ai "santuari" dei gruppi islamici in Pakistan.

     
    D. - A questo punto, quali sono le possibilità per la comunità internazionale di riprendere in mano la situazione in Afghanistan: forse cercando di dare un appoggio consistente al governo, che appare molto debole, di Karzai?

     
    R. - Certo non si sa se si riuscirà a rafforzare il governo di Karzai, la cui capacità di controllo va poco oltre la capitale Kabul, e la possibilità di parlare di uno Stato afghano risiede negli accordi che intercorrono tra Karzai e i vari "Signori della guerra" che sono ancora quelli che hanno in mano gran parte delle province del Paese. In realtà, ci troviamo di fronte a una situazione in cui le forze multinazionali sono impegnate in conflitto a bassa intensità, che a volte ha dei picchi, e che promette di durare ancora per anni e anni.

    - Scontri sono scoppiati nella capitale pakistana Islamabad fra polizia e un centinaio di militanti dell'alleanza di partiti islamici, all'opposizione, che protestano contro l'intenzione del presidente, Pervez Musharraf, di candidarsi per un nuovo mandato nelle presidenziali del 6 ottobre prossimo. Gli scontri sono scoppiati quando i militanti di Muttahida- Majlis-e-Amal (MMA) hanno tentato di avvicinarsi all'edificio della Corte suprema. La polizia ha allora compiuto diversi arresti.

    - Ennesima giornata di sangue in Iraq: almeno sei persone sono morte, tra cui due poliziotti e un soldato, e altre 17 sono rimaste ferite in seguito all'esplosione di un camion-bomba nei pressi della città di Tal Afar, nei pressi del confine con la Siria. Inoltre, sono state scoperte tre fosse comuni con i corpi di 21 persone, in un villaggio nei pressi della città a maggioranza sunnita di Baquba. Sembra si tratti di studenti universitari, poiché alcuni avevano ancora indosso gli indumenti che compongono la divisa universitaria.

    - L'Iran ha chiuso il valico di frontiera di Bashmakh con la regione curda nel Nord dell'Iraq e due giorni fa quello di Barwizkhan, nella stessa zona, poco più a sud, riferisce oggi l'agenzia irachena Nina. Le autorità iraniane avevano minacciato di sospendere tutte le relazioni economiche e commerciali con la regione autonoma del Kurdistan dopo l'arresto eseguito dalle forze USA, la settimana scorsa a Suleimaniya, di un membro della delegazione commerciale iraniana , con l'accusa di attività terroristiche e contrabbando di armi iraniane per le milizie irachene.

    - Sempre in Iran, Hadi Qabel, un religioso sciita iraniano attivo nelle file del maggiore raggruppamento riformista, è stato incarcerato con l'accusa di ''disturbo della sicurezza e dell'ordine nazionali''. Lo ha reso noto il figlio, Ruhollah, citato dal quotidiano 'Etemad'. Qabel fa parte del Comitato centrale del Mosharekat, la più importante organizzazione politica riformista, che non ha risparmiato dure critiche a Mahmud Ahmadinejad nei suoi due anni di presidenza. Qabel è stato arrestato il 12 settembre scorso e messo a disposizione della Corte speciale per il clero nella città santa sciita di Qom.

    - Il presidente francese, Nicolas Sarkozy, ha detto che “non ci sono le condizioni” per un viaggio del suo ministro degli Esteri, Bernard Kouchner, in Iran. La dichiarazione è stata fatta dal capo di stato francese al 'New York Times' all'indomani dell'invito rivolto da Teheran a Kouchner, il quale alcuni giorni prima aveva evocato la possibilità di una guerra contro la Repubblica islamica. ''Penso - ha detto Sarkozy, che si trova a New York in vista dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite - che le condizioni per un viaggio a Teheran non ci siano. Nei corridoi dell'ONU si può discutere. Un viaggio a Teheran è però un'altra cosa”, ha aggiunto il presidente francese al 'Nyt', che ha però escluso anche l'opzione di un'azione di forza contro l'Iran, aggiungendo che per fermare la presunta corsa di Teheran all'arma nucleare "occorre rafforzare le sanzioni'' dell'ONU.

    - Sarà rinviata a metà ottobre l'apertura della sessione parlamentare per l'elezione del nuovo presidente della Repubblica in Libano, dopo che i deputati dell'opposizione filosiriana hanno confermato che finché non sarà raggiunto un compromesso sulla scelta del candidato boicotteranno la prima seduta, prevista per domani. Il presidente del parlamento e leader sciita dell’opposizione, Nabih Berri, citato dal quotidiano as-Safir, ha detto che se domani non si raggiungerà il quorum di due terzi, convocherà un'altra seduta al termine del mese sacro islamico di Ramadan, il 16 o il 17 ottobre prossimi. Il servizio di Barbara Schiavulli:

     
    Niente presidente domani. Ormai, a Beirut ne sono tutti convinti. La sessione del parlamento che si riunirà martedì, durante la quale si dovrebbe votare il capo di Stato libanese, non ha ancora raggiunto un accordo sul candidato. Quindi, è probabile che le elezioni slitteranno ad ottobre. La partita si gioca tra la maggioranza antisiriana, che anche grazie all’ultimo deputato ucciso mercoledì scorso non ha abbastanza seggi per raggiungere i due terzi che servono per eleggere il presidente, e l’opposizione filosiriana, che vuole un candidato di unità nazionale, per dimostrare un certo potere alle prime elezioni presidenziali dal ritiro dei militari siriani nel 2005. Domani, l’assenza degli anti siriani. Già 14 membri hezbollah hanno annunciato che il boicottaggio della sessione parlamentare potrà far saltare la votazione, che non raggiungerà il quorum. Intanto, il centro di Beirut, l’area attorno al Parlamento, sarà dichiarata zona militare, per permettere ai deputati antisiriani che rischiano la vita - già sette sono stati uccisi negli ultimi tre anni - di raggiungere l’assemblea legislativa. (Barbara Schiavulli, da Beirut, per Radio Vaticana)

    - Almeno due persone sono morte e altre 11 sono rimaste ferite, una delle quali in modo grave, nell'esplosione - le cui cause non sono ancora conosciute - che ha devastato una serie di negozi durante la scorsa notte a Pristina, capitale della provincia serba a maggioranza albanese del Kosovo. L'esplosione è avvenuta in Viale Bill Clinton e ha distrutto un edificio.

    - Desta alcune prime polemiche l'appello lanciato ieri da alcuni noti scrittori israeliani (fra cui Amos Oz, David Grossman e Abraham Bet Yehoshua) affinché il governo israeliano punti ad un cessate-il-fuoco generale e senza precondizioni con Hamas mediante un dialogo diretto. Il governo di Ehud Olmert, fa sapere il ministro Meir Shitrit, è disposto a incontrare ''anche domani” esponenti di Hamas, a condizione che quel movimento rinunci alla sua ideologia che nega il diritto alla esistenza di Israele. Inoltre, Olmert è intervenuto oggi sulla questione di Gaza, affermando che anche dopo aver definito ''territorio ostile'' la Striscia di Gaza, Israele ''non ha intenzione alcuna di arrecare danni di carattere umanitario alla popolazione locale”. Olmert si è poi pronunciato a proposito dell’iniziativa degli Stati Uniti per il Medio Oriente: sarà “un incontro internazionale” e non una “conferenza di pace” l'evento organizzato in autunno dagli Stati Uniti, ha detto il premier israeliano. Obiettivo di Israele, ha aggiunto, ''è che al termine venga pubblicata una dichiarazione congiunta che faccia riferimento alle questioni base (del conflitto con i palestinesi, ndr) e che rappresenti un punto fermo per negoziati sulla costituzione di uno Stato palestinese in futuro''.

    - Torna la paura-rapimenti in Nigeria: il MEND, il Movimento per l'emancipazione del Delta del Niger, gruppo armato che afferma di battersi per una più equa ripartizione dei proventi del petrolio, ha annunciato che riprenderà gli attacchi alle installazioni petrolifere delle compagnie operanti nella zona e i rapimenti di cittadini stranieri. Il servizio di Giulio Albanese:

    Non ci saranno preavvisi di questi attacchi ma un comunicato seguirà subito dopo, si legge in una e-mail inviata dal portavoce del Mend, Jomo Gbomo, ad organi di stampa internazionali. L’annuncio, che segna la fine dopo quattro mesi del cessate-il-fuoco che il gruppo aveva dichiarato per consentire l’avvio di negoziati con il nuovo governo del presidente nigeriano Umaru Yar’Adua, segue l’arresto avvenuto il 3 settembre scorso in Angola di uno dei leader del Mend, Henry Okah, in base ad accuse che il gruppo ribelle considera infondate. (Per la Radio Vaticana, Giulio Albanese)

    - La Francia non può essere accusata di bloccare le trattative di adesione della Turchia all'Unione Europea. Parigi è infatti disposta ad aprire nuovi capitoli di negoziato, purché tengano conto di entrambe le strade percorribili: l'adesione da un lato, ma anche - ed é l'orientamento privilegiato da Parigi - un partenariato privilegiato con Ankara, senza arrivare all'adesione. Lo ha assicurato stamani il sottosegretario francese agli Affari europei, Jean-Pierre Jouyet, incontrando i giornalisti a Palazzo Farnese. Lo stesso presidente Sarkozy, ha ricordato, ''ha detto chiaramente che la Francia non è favorevole all'ingresso della Turchia nell'UE, ma è favorevole a continuare le discussioni se restano aperte due strade: quella dell'adesione e quella di una partnership privilegiata”. “Non si può dunque dire che è la Francia a bloccare i negoziati”, ha sottolineato Jouyet, che in giornata incontrerà il ministro italiano per il Commercio internazionale e per le politiche europee, Emma Bonino. In tema di Europa, Sarkozy ha di recente lanciato l'idea di un “consiglio di saggi” chiamato ad elaborare proposte sul futuro dell'Europa, analizzando anche la questione Turchia. Si dovrebbe trattare di un comitato di una decina di esperti ''di altissimo livello'', come ha spiegato lo stesso Sarkozy, che i 27 dovrebbero creare entro dicembre. E se nel futuro dell'Europa i saggi vedranno anche la Turchia, ''la Francia - ha assicurato Sarkozy - non si opporrà a che nuovi capitoli del negoziato tra l'Unione e la Turchia siano aperti nei prossimi mesi ed anni”.

    - Luci puntate sul tema dei cambiamenti climatici oggi all'ONU. Al centro della giornata sarà infatti il vertice con la più ampia partecipazione di leader mondiali mai realizzato prima d’ora sull’emergenza clima. Oltre 150 Paesi e più di 70 fra capi di Stato e di governo hanno risposto all’appello del segretario generale dell'ONU, Ban Ki-moon, con l’obiettivo di preparare il terreno in vista dei prossimi negoziati della Convenzione quadro sui cambiamenti climatici che si terranno a Bali dal 3 al 14 dicembre. Bali costituirà l’appuntamento chiave del 2007: da qui dovrebbe partire il nuovo accordo internazionale salva-clima. Non a caso il vertice si tiene il giorno prima del via al dibattito dell’Assemblea generale dell’ONU, dove l'emergenza clima e diventata una delle priorità del segretario generale, per il quale ''è arrivato il momento di un’azione decisiva su scala globale”.

    - Il premier giapponese uscente, Shinzo Abe, ha tentato di limitare i danni delle repentine dimissioni presentate una dozzina di giorni fa e subissate dalle critiche anche all'interno del partito conservatore di governo. “Mi scuso per avere scelto il momento peggiore possibile”, ha dichiarato l'esponente ultraconservatore, parlando per la prima volta della sua crisi all'indomani di una votazione con cui il Partito liberaldemocratico ha scelto come suo successore il moderato Yasuo Fukuda. In un incontro con un gruppo di giornalisti nell'ospedale dove si è ricoverato all'indomani delle dimissioni, per una degenza protrattasi ampiamente oltre le prognosi dei medici, Abe ha attribuito il suo gesto principalmente a disturbi gastrointestinali da stress.

    - Una delegazione siriana ha visitato ultimamente la Corea del Nord ed ha avuto colloquio di alto livello. Ne dà oggi notizia la stampa sudcoreana citando informazioni diffuse alla fine della settimana scorsa da organi di informazione a Pyongyang, in concomitanza con le nuove indicazioni su possibili intese nucleari fra Corea del Nord e Siria. Che tra i due Paesi esistano "legami amichevoli" lo hanno confermato tutte le notizie sulla visita della delegazione, diretta dal Capo del dipartimento organizzativo del Partito Baath, Saaeed Eleia Dawood. Gli ospiti, in particolare, sono stati ricevuti a Pyongyang dal 'numero due' del regime, il presidente dell'Assemblea suprema del popolo Kim Yongnam. Nonostante le ripetute smentite diffuse da Damasco e da Pyongyang, il settimanale britannico Sunday Times aveva ultimamente riaffermato che materiale atomico nordcoreano sarebbe stato sequestrato in Siria durante una recente incursione israeliana. La notizia, nel caso di ulteriori riscontri, potrebbe suscitare non poche apprensioni sullo svolgimento dei colloqui internazionali a sei per il disarmo nucleare di Pyongyang. Al centro della trattativa, che dovrebbe riprendere a Pechino giovedì, figura lo smantellamento entro la fine dell'anno degli impianti atomici nordcoreani disattivati a metà luglio in cambio di aiuti energetici e assistenziali. Inoltre la settimana prossima il presidente sudcoreano Roh Moohyun dovrebbe recarsi a Pyongyang per un vertice con il leader nordcoreano Kim Jongil, a conferma di un progressivo disgelo diplomatico che potrebbe avere successivamente per protagonisti anche gli Stati Uniti. (Panoramica internazionale a cura di Fausta Speranza)

     

     
    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LI No. 267

     
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