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SOMMARIO del 20/09/2007
Il Papa elogia il ruolo della Chiesa nel Benin in difesa dei valori della vita, della famiglia e della pace
◊ L’importante ruolo della Chiesa nel Benin per promuovere i valori fondamentali nella società, è stato sottolineato, stamane dal Papa, nell’udienza ai vescovi di questo Paese dell’Africa occidentale, giunti a Roma in visita ad Limina. Il servizio di Roberta Gisotti:
“Il valore della famiglia e del rispetto della vita”: non hanno esitato i vescovi del Benin a difenderli “coraggiosamente”, con interventi pubblici, in diverse circostanze, rendendo un servizio alla società intera. Li ha elogiati Benedetto XVI, questi presuli che tanti ostacoli incontrano nella formazione di autentiche famiglie cristiane, capaci di “vivere nella fedeltà agli impegni presi”, “ostacoli - ha ricordato il Santo Padre – sovente legati alla cultura e alle tradizioni” e che esigono “non solamente una seria preparazione a questo sacramento ma anche un accompagnamento permanente delle famiglie, particolarmente nei momenti di più grande difficoltà”:
“Au cours des années qui viennent de s’écouler, vous avez fait preuve d’un grand courage évangélique….”
“Prova di grande coraggio evangelico”, hanno pure dato i presuli del Benin – ha sottolineato Benedetto XVI – “per guidare il popolo di Dio nel mezzo delle numerose difficoltà” che affronta il loro Paese, “specie nel campo della giustizia e dei diritti umani”, cosi “contribuendo a mantenere l’unità e la concordia nazionali”.
“D’autre part, vos rapports quinquennaux montrent combien l’influence des traditions demeure encore très présente dans la vie sociale”.
Il Papa ha poi affrontato il tema delle tradizioni “ancora troppo presenti nella vita sociale”, lamentano i vescovi del Benin, confidando – ha detto – “che i presuli sappiano anche discernere nelle tradizioni il bene vero, che permette di crescere nella fede e nell’autentica conoscenza di Dio, e di rigettare quello che è in contraddizione con il Vangelo”. Se gli aspetti migliori devono essere incoraggiati – ha aggiunto – è necessario ricusare le loro manifestazioni che servono a nuocere, a mantenere la paura, o ad escludere l’altro”, mentre “la fede cristiana deve inculcare nei cuori la libertà interiore e la responsabilità che ci ha donato Cristo di fronte agli avvenimenti della vita”. Una lode poi agli Istituti di vita consacrata che “portano un generoso contributo alla missione” e un invito perché il servizio agli ultimi nella società, non lasci mai da parte Dio e il Cristo, “che è giusto annunciare, senza per questo voler imporre la fede della Chiesa”.
Quindi un richiamo sulla liturgia: è importante – ha ricordato il Papa - che i fedeli vi partecipino “in maniera piena, attiva e fruttuosa”, per cui è legittimo permettere “certi aggiustamenti appropriati ai diversi contesti culturali”, nel rispetto delle norme stabilite dalla Chiesa, evitando tuttavia – ha aggiunto – attraverso “una solida formazione liturgica” di seminaristi e sacerdoti, di introdurre elementi incompatibili con la fede cristiana o azioni che portino confusione.
Infine una raccomandazione per il dialogo religioso, tra cristiani e musulmani già ispirato da comprensione reciproca, perché si approfondisca la conoscenza dei valori religiosi comuni e si rispettino lealmente le differenze.
Ascoltiamo ora la testimonianza del presidente della Conferenza episcopale del Benin, mons. Antoine Ganyé, vescovo di Dassa-Zoumé, al microfono di Jean-Baptiste Sourou, della nostra redazione africana francofona:
D. - Quali sono le priorità pastorali della Chiesa in Bénin?
R. - Stiamo lavorando ad un programma pastorale incentrato sul laicato per poter formare delle famiglie cristiane veramente coscienti dei loro doveri e delle esigenze della Chiesa. Perché, come si sa, la famiglia è la cellula base di ogni società e senza di essa niente è possibile né nella Chiesa e tanto meno nella società. E’ la priorità numero uno dei vescovi del Bénin. Il nostro lavoro pastorale consiste soprattutto nell’aprire la famiglia ai valori cristiani, quali l’indissolubilità del matrimonio, l’amore, la pace, il perdono, la riconciliazione. Questo perché in Bénin, gli uomini hanno paura di impegnarsi nel matrimonio sacramentale, hanno paura che le loro mogli non rimangano fedeli per sempre; ma ciò dicendo dimenticano che la donna richiede la stessa fedeltà da parte dei mariti. L’altro valore, quello più importante, che dà compimento al matrimonio sono i figli. Noi vescovi, insistiamo molto sull’educazione morale, spirituale, intellettuale e umana dei figli. I figli ben formati oggi saranno gli adulti del futuro, lavoratori, cittadini validi e laici capaci di servire la Chiesa e la nazione. Ed in questo lavoro possiamo contare sull’Istituto Giovanni Paolo II di Cotonou creato per gli studi sul matrimonio e la famiglia. C’è anche il Forum che raggruppa tutte le associazioni cattoliche e non cattoliche, che difendono i diritti della famiglia, del matrimonio e dell’infanzia, e che organizza manifestazioni per promuovere i suoi scopi. Da queste famiglie nascono anche molte vocazioni sacerdotali e religiose missionarie. Abbiamo due Seminari maggiori che raccolgono circa 230 allievi ciascuno. Quindi molte vocazioni sono nate da questo sforzo di formazione del laicato, e della famiglia. E sono giovani a cui ricordiamo l’importanza della missione. Così come abbiamo ricevuto, così anche dobbiamo dare. Ci sono missionari e missionarie del Bénin in Marocco, Francia, Niger, Spagna, Italia, Colombia. Posso dire che il nostro lavoro porta frutto perché abbiamo una gioventù ben impegnata nella Chiesa, con una presenza nelle parrocchie in varie attività: il canto, l’animazione della liturgia per cantare la fede e cantandola poter convincersene di più.
Nomine
◊ In Italia, il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi di Gaeta presentata da mons. Pier Luigi Mazzoni, per raggiunti limiti di età. Gli succede come nuovo arcivescovo di Gaeta mons. Fabio Bernardo D’Onorio, benedettino, finora vescovo titolare di Minturno ed Abate Ordinario di Montecassino. Mons. Fabio Bernardo D’Onorio è nato a Veroli, diocesi e provincia di Frosinone, il 20 agosto 1940. All’età di 13 anni è entrato nell’Abbazia di Montecassino come alunno monastico. Ha compiuto gli studi ginnasiali, liceali e teologici presso l’Istituto Teologico della medesima Abbazia. Nel 1962 ha emesso i voti monastici il 30 settembre 1962 ed il 4 giugno 1966 è stato ordinato sacerdote. Ha frequentato i corsi presso la Pontificia Università Lateranense, conseguendo il Dottorato in Utroque Iure. Nella comunità monastica ha svolto i seguenti incarichi: segretario dei due Abati Ordinari di Montecassino, i vescovi Rea e Matronola, direttore dell’Ufficio catechistico e del Bollettino diocesano, notaio e difensore del Vincolo nel Tribunale diocesano, docente di Diritto Canonico nell’Istituto dell’Abbazia e di Storia dell’Arte nell’annesso Liceo Classico. Ha fondato il mensile "Presenza Cristiana". Il 25 aprile 1983 il Servo di Dio Giovanni Paolo II ha confermato l’elezione di Bernardo D’Onorio ad Abate e lo ha nominato ordinario dell’abbazia territoriale di Montecassino. È stato membro della Commissione episcopale della CEI per la Vita Consacrata e della Commissione episcopale mista vescovi-religiosi. Nominato vescovo titolare di Minturno il 25 aprile 2004, ha ricevuto la consacrazione episcopale il 16 maggio dello stesso anno. Attualmente è consultore della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti e membro della Commissione episcopale per la Liturgia della Conferenza episcopale Italiana. Inoltre è presidente della Commissione per l’Edilizia Sacra e i Beni Culturali della Conferenza episcopale del Lazio e membro del Consiglio Direttivo dell’AMEI (Associazione Musei Ecclesiastici Italiani). È autore di diverse pubblicazioni di carattere pastorale ed artistico.
In Argentina, il Papa ha nominato vescovo ausiliare di Paraná il rev. César Daniel Fernández, rettore del Seminario Metropolitano di Buenos Aires, assegnandogli la sede titolare di Caltadria.
Il rev. César Daniel Fernández è nato a Buenos Aires il 20 ottobre 1954. Dopo aver ottenuto il diploma di Perito Mercantile è entrato nel Seminario Maggiore di Buenos Aires. Ha conseguito la Licenza in Teologia presso l’Università Cattolica Argentina ed un Diploma in Teologia Spirituale in Madrid. Ordinato sacerdote nel 1980 con incardinazione a Buenos Aires, è stato vicario parrocchiale e poi parroco in diverse parrocchie. Nel 1999 è stato nominato rettore del Seminario Maggiore di Buenos Aires, incarico che svolge tuttora.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ Servizio vaticano - Nel discorso ai Presuli della Conferenza Episcopale del Benin, Benedetto XVI ha sottolineato che la comunione favorisce il dinamismo missionario.
Servizio estero - Libano: Beirut insanguinata da una nuova strage di matrice politica. Il deputato della maggioranza antisiriana Antoine Ghanem ed altre otto persone vittime di un attentato con un’autobomba nel quartiere di Sin El Fil. Il delitto accresce le già fortissime tensioni legate all'imminente riunione per eleggere il Presidente della Repubblica.
Servizio culturale - Un articolo di Gaetano Vallini dal titolo “Già nell'infanzia di Agnes Ghonxe s’intravedeva il fuoco dell’amore di Dio e del prossimo”: un libro e un dvd dedicati alla parte meno nota della vita di Madre Teresa di Calcutta.
Servizio italiano - In rilievo il tema della droga.
Libano. Appello di mons. Räi ai leader politici: cessate di distruggere il Paese
◊ Ferma condanna in tutto il mondo per il grave attentato avvenuto ieri alla periferia est di Beirut, in cui ha perso la vita il deputato libanese cristiano della maggioranza parlamentare antisiriana, Antoine Ghanem, ucciso insieme con altre otto persone. L’episodio getta il Libano in un clima di grave tensione a pochi giorni dalle elezioni presidenziali della prossima settimana. Il servizio di Giancarlo La Vella:
Il Libano è in lutto, sino a domani, giorno in cui verranno celebrati a Beirut i funerali di Antoine Ghanem, 64 enne deputato cristiano dell’opposizione antisiriana, e delle altre otto vittime dell’esplosione avvenuta ieri nel quartiere cristiano di Sin el Fil. Ghanem è l’ottavo esponente antisiriano assassinato in Libano in meno di tre anni dall'attentato di cui rimase vittima l’ex premier Rafiq Hariri. Della lunga scia di sangue fanno parte anche nomi eccellenti, come il ministro dell’Industria Pierre Gemayel, ucciso nel novembre scorso. Esecrazione, per quanto avvenuto in un Paese che sembra ancora lontano dall’intraprendere stabilmente la via verso la pacificazione nazionale, è stata espressa in maniera unanime in tutto il mondo. Primo fra tutti, il segretario generale dell’Onu, Ban Ki Moon, si è detto scioccato dalla brutale uccisione del deputato, condannando fermamente l’attentato, un fatto inaccettabile – ha ribadito – che minaccia gravemente la stabilità del Libano. E proprio alle Nazioni Unite ha chiesto aiuto il premier libanese, Siniora. Il capo del governo ha inviato una lettera a Ban Ki-moon, sollecitando assistenza tecnica per le indagini su quello che ha definito un orribile assassinio. Condanna dell’ignobile atto anche da parte del presidente americano Bush. “Gli Stati Uniti si oppongono a qualsiasi tentativo di intimidire i libanesi – ha detto il capo della Casa Bianca – nel momento in cui intendono esercitare democraticamente il diritto di scegliere il proprio presidente senza ingerenze esterne. Reazioni dello stesso tenore sono giunte anche da Unione Europea, Italia, Grecia, Canada ed altre Nazioni. Anche la Siria ha denunciato l’atto criminale, indirizzato contro gli sforzi di Damasco a favore dell’unità in Libano. Ma proprio la Siria viene accusata, velatamente dagli Stati Uniti, in maniera più chiara dal leader druso, Walid Jumblatt, di essere dietro l’attentato. Infine, il movimento sciita libanese Hezbollah ha definito l’omicidio di Ghanem un colpo alla stabilità e alla sicurezza del Paese.
Per un commento sulla situazione in Libano, dopo il sanguinoso attentato di ieri a Beirut, ascoltiamo il vescovo di Byblos dei Maroniti, mons. Béchara Räi, intervistato da Giada Aquilino:
R. – Ogni volta che ci sembra di andare un po’ avanti, con la speranza di uscire da questo inferno del terrorismo, si ricomincia di nuovo tutto da capo. La gente, quindi, è sempre più depressa e non vede via d’uscita.
D. – Le indagini verso quale direzione vanno?
R. – E’ ancora prematuro, anche perché il governo ha chiesto al segretario generale dell’ONU di far indagare il Tribunale Internazionale anche sull’assassinio di ieri. Sappiamo, purtroppo, che dietro ci sono tutti coloro che non vogliono la stabilità del Libano. Nel nostro Paese, paghiamo un conflitto regionale che è, però, da inquadrare in una strategia internazionale. Noi non facciamo che pagare per gli altri. Oggi si sa che le conseguenze della guerra in Iraq, che è caratterizzata anche da una guerra confessionale tra sunniti e sciiti, si ripercuote in Libano. Quando si parla di soluzioni, quindi, è necessario parlare - per quanto riguarda la parte sunnita - con l’Arabia Saudita, l’Egitto, gli Stati Uniti e i loro alleati e - per la parte sciita - con l’Iran e la Siria.
D. – L’attentato è avvenuto pochi giorni prima delle elezioni del presidente della Repubblica. Che significato assume?
R. – Stanno cercando di eliminare, quanto più possibile, coloro che formano la maggioranza, che si oppone agli Hezbollah. Gli assassinii in due anni sono stati 14-15 e hanno interessato tutti membri della maggioranza. Stanno quindi cercando di eliminare voti e suffragi in vista del giorno delle elezioni.
D. – Il fronte antisiriano - formato da cristiani maroniti, musulmani sunniti e drusi - a questo punto si sente indebolito?
R. – Tutti quanti sono sostenuti dall’esterno. Purtroppo devo accusarli tutti quanti, cristiani e musulmani. Sia quelli che cercano sostegno e supporto da parte sunnita o sciita, sia quelli che puntano all’aiuto da parte occidentale ed orientale: per me sono tutti ugualmente responsabili dei crimini che vengono commessi in Libano. E questo perché ciascuno cerca i propri interessi: il popolo e il Paese intero stanno pagando il prezzo maggiore. Perché queste persone non stanno certo facendo il bene del Libano: né del popolo né dello Stato.
D. – Di fronte a questo nuovo attentato, come ha reagito la comunità cristiana libanese?
R. – Come tutti i libanesi, siano essi cristiani o musulmani. I libanesi non vogliono più questo sistema di vita, questo modo di condurre la politica. C’è una disgregazione sociale, una disgregazione economica, una disgregazione politica. E c’è un’emorragia. Il popolo è ormai a terra a tutti i livelli e l’emigrazione continua.
D. – Qual è l’appello della Chiesa libanese al Paese?
R. – Di pacificare i cuori, di rimanere sempre saldi nella fede, di rinsaldare l’unità. Ma l’appello più grande non è rivolto al popolo: l’appello più importante lo abbiamo lanciato ieri, attraverso il comunicato dei vescovi ai responsabili, ai governanti, ai politici. Ed è quello di smetterla con la distruzione del Paese, solo per la realizzazione degli interessi personali, siano essi regionali o internazionali.
Le sanzioni di Israele contro Gaza preoccupano la comunità internazionale
◊ Israele proclama l’intera Striscia di Gaza “entità nemica” e annuncia un piano di sanzioni economiche per il milione e mezzo di persone che vi abitano. Tel Aviv parla di reazione al lancio di razzi Qassam da parte di miliziani palestinesi. Le forniture di carburante ed energia verranno ridotte, le frontiere chiuse a persone e merci. Il segretario di Stato americano Condoleezza Rice, giunta oggi in Israele per preparare la conferenza internazionale di pace che gli Stati Uniti hanno convocato per novembre a Washington, ha detto che le sanzioni non agevolano il dialogo e ha precisato che “per il governo degli Stati Uniti l’entità nemica è Hamas”. Da parte sua, Hamas fa sapere che il provvedimento di Israele “equivale a una dichiarazione di guerra”. Il presidente palestinese Abbas, parla di “punizione arbitraria”. Interviene anche il Segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon per dirsi “molto preoccupato” per la decisione del governo israeliano. Padre Pierbattista Pizzaballa, Custode di Terra Santa, sottolinea che questo tipo di decisioni “non porta soluzioni ma solo nuovi problemi a una popolazione palestinese stremata”. Intanto un ragazzo palestinese è stato ucciso nel corso di un'incursione dell'esercito israeliano nei pressi del campo profughi di El Burej, nel centro della striscia di Gaza. E proprio a Gaza in questo momento c’è una delegazione del Parlamento europeo, che ha già fatto tappa a Gerusalemme e in Cisgiordania. Una missione sullo stato attuale dei progetti europei e l’efficacia degli aiuti. Fausta Speranza ha raggiunto a Gaza la vicepresidente del Parlamento europeo, Luisa Morgantini, e le ha chiesto innanzitutto una reazione all’annuncio di Israele:
R. – Noi da sempre sosteniamo che è indispensabile e necessario che vengano applicate le risoluzioni delle Nazioni Unite, che vuol dire la fine dell’occupazione militare israeliana della Cisgiordania e Gaza. Come parlamentari europei ci auguriamo davvero che i palestinesi possano trovare una soluzione al loro interno e trovare un’unità politica e territoriale. Qui diciamo che questa dichiarazione, fatta da Israele, è davvero una minaccia e soprattutto, è assolutamente una formula nuova anche nella legalità internazionale. Le dichiarazioni – per esempio – di voler bloccare l’elettricità e il combustibile rappresentano una punizione collettiva ad un milione e mezzo di persone che già vive strangolata, perché in realtà Gaza è una gabbia in cui nessuno o pochissimi possono entrare ed uscire. Ci sono centinaia di persone malate che devono andare a curarsi in Egitto e non possono uscire; ci sono 600 studenti che hanno avuto scholarship internazionali e perdono scholarship e borse di studio ... Io credo che la comunità internazionale dovrebbe veramente intervenire! Certo, bisogna assolutamente bloccare i lanci di razzi che cadono su Sderot, ma sinceramente Israele sta continuando non soltanto a Gaza ma anche nella Westbank, a fare incursioni militari... A Gaza sono prigionieri, ma anche nella Westbank, dove ci sono più di 600 check-point con soldati e i palestinesi sono chiusi dentro le loro città. O dal muro o dai check-point.
D. – Onorevole Morgantini, quanto è lontana nella percezione della gente, lì, la prospettiva della Conferenza che gli Stati Uniti stanno preparando per il Medio Oriente a novembre?
R. – E’ molto lontana! Nessuno crede, in realtà, a questa ipotesi. Se non vedono dei cambiamenti adesso, se non vedono sinceramente cambiare le loro condizioni di vita, vedono la conferenza di novembre come un’altra illusione e infatti ci sono centinaia di giovani israeliani, e non soltanto giovani, che insieme ai palestinesi – per esempio – manifestano da più di tre anni pacificamente, in modo non violento, a Belain, dove vi è un muro che toglie al villaggio di Belain il 65 per cento della terra ...
D. – Che cosa ci dice degli altri posti visitati dalla vostra delegazione in questi giorni?
R. – In questo momento sono a Gaza e devo dire qualcosa dell’ospedale Shiffat: è desolante vedere questa città che sembra una città deserta. Ieri siamo stati a Hebron e abbiamo visto il risultato di avere all’interno di quella città un insediamento di ortodossi israeliani che praticamente occupano il centro della città: hanno reso il centro di Hebron – un centro storico straordinario – praticamente deserto. Più di mille negozi palestinesi hanno dovuto chiudere per la presenza dei coloni, hanno dovuto abbandonare il centro. Abbiamo visto poi a Ramallah e a Betlemme le tragiche conseguenze del muro che viene costruito da Israele e che, anche se può aver sicuramente bloccato qualche attentato, è un muro in realtà di pura annessione coloniale. E’ un muro che divide palestinesi da palestinesi: abbiamo visto il muro attraversare cortili di case ...
In Myanmar prosegue la protesta pacifica dei monaci buddisti contro il regime militare
◊ In Myanmar, prosegue la protesta dei monaci buddisti contro il regime militare: oltre 500 monaci hanno marciato silenziosamente e raggiunto la celebre pagoda di Shwedagon, chiusa dalle autorità dopo le proteste pacifiche dei giorni scorsi contro l’aumento dei prezzi del cibo e del combustibile. Aumenti che, secondo gli osservatori stranieri, sono dovuti alle insostenibili spese, previste dal governo, per la costruzione della nuova capitale. Sulla protesta dei monaci buddisti nell’ex Birmania, ascoltiamo al microfono di Amedeo Lomonaco, padre Lucas, sacerdote salesiano del Myanmar:
R. - La gente segue quello che dicono i monaci. Ci sono comunque divisioni tra questi monaci: soltanto metà di loro ha partecipato a quella protesta. Se si fossero uniti tutti, tutti i monaci del Myanmar, questa protesta avrebbe determinato anche un cambiamento.
D. – Quindi, non sono ancora tempi maturi per un reale cambiamento?
R. – Diciamo di sì perché non ci sono ancora dei leader che possano guidare i monaci, la gente.
D. – Si tratta di proteste spontanee nate proprio per i vari problemi del Paese?
R. – Problemi sociali, economici, e soprattutto politici. Questo governo è al potere dal 1962 e ha preso il controllo del Paese usando la forza; il suo sistema politico è comunista, è una dittatura militare.
D. – Come è cambiato da allora il Myanmar e in quale futuro possiamo sperare?
R. – Il nostro governo militare è molto astuto, violento; è difficile cambiare all’interno del Paese. Certamente, molto dipende da noi, però il governo non ha paura di usare le armi per sottomettere la gente al proprio potere.
D. – E come si comporta il governo nei confronti dei religiosi, in particolare dei cristiani?
R. – Noi cristiani siamo oppressi, perseguitati, non per il culto: hanno paura che noi prendiamo ruoli importanti. Per questo, molte volte vengono limitati i nostri culti liturgici. Appena un anno fa, sono ritornato per ricevere la mia ordinazione sacerdotale, e mi hanno detto: “Tu entro un mese devi uscire dal Paese. Se rimani, rimani per sempre”.
D. – Questo, padre, per quale motivo?
R. – Per paura, perché questo governo militare ha preso il potere illegittimamente, ingiustamente; quindi qualsiasi cosa che possa rappresentare un pericolo per loro, viene vietato, proibito. Persino le lettere, le mail, che noi mandiamo dall’estero, vengono controllate. Allora anche io, in quanto religioso, cattolico, cristiano, sono un pericolo per loro.
Padre Millán Romeral, nuovo priore generale dell’Ordine Carmelitano: portiamo al mondo la gioia dell'incontro mistico con Cristo
◊ Padre Fernando Millán Romeral, appena eletto nuovo priore generale dell’Ordine Carmelitano durante il Capitolo Generale che si sta svolgendo in questi giorni nei pressi di Roma, ha avuto già un primo breve incontro con il Papa ieri alla fine dell'udienza generale. Padre Millán, 45 anni, spagnolo, è professore presso la Facoltà di Teologia dell’Università di Comillas, membro dell’Institutum Carmelitanum e consigliere di formazione della sua provincia religiosa. Sale ora alla guida di oltre 2000 carmelitani presenti in tutto il mondo. Ma come ha accolto questa elezione? Ascoltiamo padre Millán, al microfono di Giovanni Peduto:
R. - E’ stata per me una grande sorpresa, innanzitutto, ma anche un momento di grazia e di fiducia dei confratelli di tutto il mondo per portare avanti questo progetto di vita per i prossimi sei anni.
D. – Cosa vede dinnanzi a sé?
R. –Soprattutto pensare e ripensare al nostro carisma in questo mondo che cambia in maniera veramente veloce. Allora mostrare, offrire al mondo un segno di speranza, di fede e di contemplazione che è caratteristico dell’ordine carmelitano.
D. – Cosa possono dare oggi i Carmelitani alla Chiesa e al mondo?
R. – Secondo me, secondo i padri capitolari con cui ci siamo riuniti qua, soprattutto un segno di speranza e di gioia che sorge appunto dalla esperienza di incontro personale con Cristo, dell’incontro mistico con il Signore.
D. – Come comunicare Dio oggi in una società sempre più secolarizzata?
R. – Abbiamo riflettuto parecchio riguardo questo tema e pensiamo che la maniera migliore di farlo è offrire veramente questo segno di vera gioia. Il Signore dà senso alle nostre vite e ci offre veramente un dono di vita; non è una struttura al di là dell’umano ma soprattutto è la perfezione dell’umano, la nostra vocazione come essere umani.
D. – Quali sono le difficoltà e le speranze dell’Ordine carmelitano?
R. – Difficoltà ce ne sono molte veramente, soprattutto nel cosiddetto primo mondo, Europa, America del Nord; c’è il calo vocazionale che è veramente preoccupante e poi ci sono anche altre zone, altre aree, dove l’ordine cresce e allora ci sono molti problemi, diciamo, pratici. Però c’è anche una forza che viene da questa lunga tradizione di otto secoli di storia e di cammino verso il Signore.
D. – Il Papa vi ha inviato un messaggio in occasione dell’ottavo centenario della Formula Vitae di Sant’Alberto. Cosa l’ha colpita delle parole del Pontefice?
R. – Soprattutto come il Pontefice, che appunto è un uomo che conosce bene la teologia, la storia della Chiesa, riconosce in questa Formula Vitae, in questa formula di vita, una sorgente di spiritualità e di vita religiosa per il mondo di oggi. E’ una regola in un certo senso vecchia ma piena di forza, di possibilità per i carmelitani dei nostri tempi.
La Chiesa celebra la memoria dei martiri coreani
◊ La Chiesa celebra oggi la memoria dei Santi Andrea Kim Taegŏn, Paolo Chŏng e Compagni martiri coreani: in tutto 103 cristiani, quasi tutti laici, uccisi in odio alla fede tra il 1839 e il 1867. Giovanni Paolo II li proclamò Santi il 6 maggio del 1984 durante una Messa solenne a Seoul. Il servizio di Sergio Centofanti.
Il cristianesimo arriva in terra coreana dalla Cina nel 1600, attraverso il libro del missionario gesuita Matteo Ricci “La vera dottrina di Dio”. “Una comunità unica nella storia della Chiesa – ha affermato Giovanni Paolo II - perché … fondata unicamente da laici”. Pur senza sacerdoti, la comunità coreana guidata dai laici era piena di fervore e di coraggio.
I sovrani coreani del 1800 consideravano il cristianesimo “una follia” e ordinarono lo sterminio di tutti i seguaci di quella “religione straniera” che predicava l’amore dei nemici nel nome di un Dio crocifisso. Si calcola che in meno di un secolo di feroci persecuzioni furono alcune decine di migliaia i martiri cristiani: uomini, donne, vecchi, bambini, ricchi, poveri, nobili e gente del popolo, che nonostante atroci torture non vollero rinnegare la fede.
Nell’omelia per la canonizzazione dei 103 martiri coreani Giovanni Paolo II ricordò che a una ragazza diciassettenne, Agatha Yi, e al fratello minore, venne riferita la falsa notizia secondo cui i genitori avrebbero rinnegato la fede. “Il fatto che i miei genitori abbiano tradito o meno è cosa loro – rispose la giovane - Per quanto ci riguarda, noi non possiamo tradire il Signore del cielo che abbiamo sempre servito”. A queste parole, altri sei cristiani adulti si consegnarono volontariamente nelle mani dei magistrati per affrontare il martirio.
Andrea Kim è stato il primo sacerdote martire della Corea: arrestato, viene portato davanti al re, rifiutando ogni lusinga di fronte alle richieste di abiura. Torturato, viene decapitato il 16 settembre 1846 a Seoul. Aveva 25 anni. Poco prima di morire aveva inviato ai compagni di fede una lettera dal carcere in cui diceva che i cristiani portano un “nome glorioso”. “Ma a che cosa gioverebbe – si chiedeva – avere un così grande nome senza la coerenza della vita?”. Andrea Kim era convinto che “la Chiesa cresce in mezzo alle tribolazione”. Ma “sebbene le potenze del mondo la opprimano e la combattano, tuttavia non potranno mai prevalere”. Il martire coreano incoraggiava con queste ultime parole i suoi fratelli: “Abbracciate la volontà di Dio e con tutto il cuore sostenete il combattimento per Gesù, re del cielo … vi prego di camminare nella fedeltà; e alla fine entrati nel cielo, ci rallegreremo insieme”.
“La crisi morale della nazione, fondamento dei mali del Paese”: messaggio conclusivo della Plenaria dei vescovi della Nigeria
◊ “Abbiamo avuto le elezioni, ma le ferite inflitte al popolo nigeriano e alla nostra nascente democrazia rimangono profonde e dolorose. La nostra nazione necessita di essere guarita”: è quanto affermano i vescovi della Nigeria, in un documento pubblicato al termine della loro recente Assemblea Plenaria. Nel testo, intitolato “Watch and Pray”, i presuli esprimono la loro soddisfazione per la “transizione da un governo civile ad un altro”, ma allo stesso tempo, denunciano il fatto che le ultime elezioni siano state contrassegnate da vizi e brogli. “Dobbiamo essere vigili e controllare le nostre cupidigie e l’orgoglio, che sono il fondamento della corruzione, dei conflitti e del cattivo governo”. Questo, il monito dei vescovi nigeriani, che ribadiscono la loro opposizione a ogni forma di corruzione del voto ed esprimono speranza per l’azione della magistratura. I presuli danno atto al governo di “essere disposto al dialogo e al negoziato”. “Il governo – precisano – deve ascoltare sempre il popolo e servire il suo interesse”. Tra i problemi che affliggono la Nigeria, i vescovi ricordano la crisi nel Delta del Niger che si “è aggravata in maniera allarmante, specialmente per la recente ondata di violenze nel Rivers State”. “Chiediamo al governo – esortano - a livello federale e statale, di intensificare gli sforzi per risolvere la crisi. Allo stesso tempo, chiediamo a tutti i protagonisti di deporre le armi e raggiungere il tavolo negoziale”. I presuli stigmatizzano con forza la presa di ostaggi, “che non solo viola la dignità delle vittime innocenti, ma impedisce la libertà di movimento oltre a intaccare l’immagine del nostro Paese”. Quindi, propongono una diversificazione dell’economia, attualmente troppo dipendente dalle esportazioni petrolifere, e il potenziamento dell’educazione come fondamenti per uno sviluppo sostenibile. E in proposito, si ricorda il contributo fondamentale apportato dalla Chiesa cattolica attraverso i suoi istituti educativi, ai quali si aggiungerà, nel 2008, la “Veritas University of Abuja”, che ha appena ricevuto l’autorizzazione dalla Conferenza Episcopale. Infine, i vescovi rinnovano il loro impegno per la formazione spirituale dei giovani e degli adulti, perché finisca la contraddizione di una “nazione apprezzata per essere molto religiosa e allo stesso tempo annoverata come una delle più corrotte”. (A cura di Roberta Moretti)
Il segretario generale dell’ONU, Ban Ki-moon, incontra i leader mondiali per dare nuovo slancio ai colloqui sui cambiamenti climatici
◊ “Il futuro nelle nostre mani: la sfida ai cambiamenti climatici”: questo, il tema dell’Incontro, in programma il 24 settembre al Palazzo di Vetro di New York, tra il segretario generale dell’ONU, Ban Ki-moon, e numerosi leader mondiali. L’appuntamento, che precede di un giorno l’apertura del Dibattito generale annuale dell’Assemblea generale dell’ONU, sarà il convegno sui cambiamenti climatici con la maggiore presenza di Capi di Stato o Governo – più di 70 – mai realizzato finora. Lo scopo è garantire l’impegno politico e dare slancio ai preparativi per la Conferenza di Bali, che avvierà i negoziati su un nuovo accordo internazionale sul clima. La Conferenza, che si svolgerà dal 3 al 14 dicembre, vedrà la partecipazione delle Parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC). “Bali – ha affermato Ban Ki-moon – deve rappresentare la risposta politica ai recenti rapporti scientifici dell’UNFCCC. Tutti gli Stati devono fare quanto in loro potere per raggiungere un accordo entro il 2009, che entri in vigore prima della scadenza degli impegni previsti dal Protocollo di Kyoto, nel 2012”. Secondo il Comitato intergovernativo sui cambiamenti climatici (IPCC), a meno che non vengano avviate azioni sulle emissioni di gas a effetto serra, la temperatura della Terra potrebbe aumentare almeno di 4,50°C. Gli effetti del cambiamento climatico - si legge in una nota dell'ONU - sono già davanti ai nostri occhi: il Polo Nord si sta riscaldando due volte più velocemente rispetto alla media globale e vengono continuamente registrati gli effetti negativi che questo fenomeno produce sulle attività umane. L’impatto che il surriscaldamento produce è stato riscontrato anche in altre regioni e in altri settori, soprattutto all’interno degli ecosistemi. Il ritiro dei ghiacciai mette inoltre a rischio i rifornimenti di acqua. Per le popolazioni che vivono in territori poveri di acqua, specialmente in Africa, il cambiamento dei modelli climatici minaccia di aggravare fenomeni quali desertificazione, siccità e scarsezza nell’ approvvigionamento di cibo. “Non si può andare avanti così ancora a lungo – ha ribadito il segretario generale delle Nazioni Unite – è arrivato il momento di agire su scala globale”. (R.M.)
Messaggio della CEI per la Giornata del Ringraziamento 2007: “Un sincero esame di coscienza” su povertà, ambiente e clima
◊ “La festa del Ringraziamento invita ogni anno le comunità cristiane a rinnovare a colui che è il Signore del cielo e della terra, sentimenti di vera gratitudine per la ricchezza dei doni del creato, ma anche a un sincero esame di coscienza” sulla fame e la sete nel mondo, sui cambiamenti climatici e sul degrado ambientale: è quanto scrive la Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace della CEI, nel messaggio per la Giornata del Ringraziamento, in programma l’11 novembre. “Quando l’uomo trasforma ciò che è un dono per tutti in un possesso di pochi – si legge nel messaggio, intitolato “Custodi di un territorio amato e servito” e ripreso dall’agenzia SIR - compie un furto, prima che contro gli altri uomini o popoli, contro il vero possessore della terra”, Dio stesso. In realtà, “la cura per l’ambiente naturale e l’impegno per un autentico sviluppo umano sono strettamente legati”. Così, il nesso inscindibile tra “ecologia ambientale” ed “ecologia umana” mette in luce “come una visione riduttiva dell’uomo finisca per produrre conseguenze negative anche per la stessa difesa del mondo naturale. Salvaguardare l’integrità della persona umana, nel suo legame con Dio e con il creato, significa rifiutare ogni concetto disumano di sviluppo”. “Risulta chiaro – scrive ancora la Commissione episcopale - che la risoluzione della crisi ecologica, il dare nuovo impulso allo sviluppo dei popoli e quindi futuro al pianeta, sono affidati, prima che a leggi e ad accordi internazionali, per quanto saggi e lungimiranti, a una trasformazione delle coscienze illuminate da precisi principi morali, premessa per l’elaborazione di regole, leggi e accordi”. Insomma, “occorre il coraggio di promuovere stili di vita, modelli di produzione e consumo improntati al rispetto del creato e alle reali esigenze di progresso sostenibile, di riscoprire la sobrietà, che estirpi dal cuore dell’uomo la brama di possedere e restituisca il primato all’essere, che conduca l’uomo a usare della terra senza abusarne, che ci insegni a evitare l’inutile, il superfluo, l’effimero, che purifichi lo sguardo e faccia scoprire che l’ambiente non è una preda da saccheggiare, ma un giardino da custodire”. (R.M.)
A Budapest come inviato speciale di Benedetto XVI, il cardinale Camillo Ruini invita gli ungheresi ad nuovo tempo di missione
◊ "La lunga catena dei Martiri che hanno santificato l’Ungheria, in tutto il millennio della sua storia cristiana comunichi anche a noi l’ardore e il coraggio della testimonianza": con queste parole il cardinale Camillo Ruini, inviato speciale del Papa alle celebrazioni di chiusura della “Missione cittadina” che si è svolta a Budapest, in Ungheria, si è rivolto ieri ai fedeli, durante la Messa celebrata nella basilica di Esztergom. “La Chiesa, nell’Arcidiocesi di Esztergom-Budapest e in tutta l’Ungheria – ha proseguito il porporato – diventi sempre più consapevole di essere ‘missionaria per sua natura’ … e si renda davvero conto che il nostro tempo è di nuovo tempo di missione, per far nascere una fede autentica nel cuore e nell’intelligenza delle persone, per rendere di nuovo piena e gioiosa la nostra appartenenza alla Chiesa, per permeare la società e la cultura con la carità e la verità di Cristo”. Il cardinale Ruini ha sottolineato che, per essere “Chiesa, casa e famiglia di Dio”, occorre, “con Maria e come Maria, accogliere Cristo nei nostri cuori, contemplare “nella fede e nella preghiera il suo volto, nel quale si rende visibile a noi il volto del Padre, fare giorno per giorno non la nostra volontà ma la volontà del Padre”. Cosa che, ha aggiunto il porporato “è certamente molto al di là delle nostre forze, al di là anche della misura umana, ma è la realtà della vita cristiana che Dio rende possibile in noi, è la santità a cui siamo chiamati”. Commentando le letture, il cardinale Ruini ha osservato poi che “la situazione del nostro tempo e le difficoltà che l’evangelizzazione incontra oggi, fanno apparire molto lontano quel clima di gioia e di fiducia” dei primi secoli, ma che Cristo, sapienza e luce interiore, donata “a chi si apre fiduciosamente a Lui”, rende capaci di riconoscerlo come unico Salvatore, e di essere suoi testimoni con le parole e con la vita. Infine il cardinale Ruini ha chiesto l’intercessione di Maria e dei Martiri ungheresi perché i cristiani, nel trovare il coraggio di dare testimonianza a Cristo, “rendano feconda la missione cittadina di Budapest”, perché possa essere l’inizio di una nuova stagione della fede. (T.C.)
Al via oggi a Praga, nella Repubblica Ceca, il 26.mo Convegno ecumenico internazionale dei vescovi amici del Movimento dei Focolari
◊ “La mia notte non ha oscurità: per una cultura della risurrezione”: su questo tema, prende il via oggi a Praga, nella Repubblica Ceca, fino al 27 settembre, il 26.mo Convegno ecumenico internazionale dei vescovi amici del Movimento dei Focolari. Per l'occasione, saranno accolti dall’arcivescovo della città, il cardinale Miloslav Vlk, oltre 40 vescovi ortodossi, siro-ortodossi, anglicani, evangelico-luterani, metodisti e cattolici di 18 nazionalità, accomunati dalla convinzione che una spiritualità di comunione sia decisiva per la causa ecumenica e per il progresso della fede in questo 21.mo secolo. La "spiritualità dell'unità" - lo ricordiamo - è caratteristica del Movimento dei Focolari. Tra gli appuntamenti, il prossimo 23 settembre, Domenica ecumenica nazionale nella Repubblica Ceca, i partecipanti al Convegno si incontreranno con personalità del mondo religioso e civile, cui porteranno la testimonianza di un dialogo vissuto. In altri momenti, si recheranno in visita alle comunità delle diverse Chiese di Praga, per conoscere la loro vita e la loro storia, spesso segnata da repressione e persecuzione di ogni manifestazione pubblica della fede. La scelta del tema – si legge nel comunicato di presentazione – “è un invito a guardare in faccia i sintomi di ‘notte’ culturale e collettiva che segnano gran parte dell’umanità e non risparmiano i credenti, ma anche a scorgere i molteplici segni di speranza e di vita”. Tra questi, i recenti eventi ecumenici europei di Sibiu, in Romania, e di Stoccarla, in Germania. (R.M.)
I “Cantori della Stella - Sternsinger“ dell’Infanzia missionaria tedesca aiutano oltre un milione e 600 mila bambini nel mondo
◊ In Germania, i circa 500 mila ragazzi “Sternsinger”, “Cantori della Stella”, hanno un motivo in più per essere orgogliosi del loro impegno a favore dei coetanei più bisognosi: con la loro 49.ma Campagna, promossa dall’Infanzia missionaria tedesca e dall’Unione della gioventù cattolica Tedesca (BDKJ), hanno raccolto infatti 38,8 milioni di euro, ottenendo il secondo risultato più alto da quando l’iniziativa ebbe inizio, nel 1959. Nel 2005, sotto l’impressione della tragedia dello tsunami nel sudest asiatico, il risultato della raccolta era stato di 47,6 milioni di euro. Indossando i tradizionali abiti dei Re Magi – riferisce l’agenzia Fides – con la loro stella cometa e i loro canti, i “Cantori della Stella“ nel tempo natalizio e nei primi giorni dell’anno bussano alle porte delle case tedesche. Circa mezzo milione di bambini nelle 12.500 parrocchie cattoliche della Germania portano così la benedizione “C+M+B”, “Christus mansionem benedicat - Cristo benedica questa casa”, raccogliendo le offerte per i loro coetanei che soffrono in tutto il mondo. Con i fondi raccolti quest’anno verranno sostenuti circa tre mila progetti per 1,6 milioni i bambini che soffrono in Africa, America Latina, Asia, Oceania ed Europa dell’est. La raccolta degli “Sternsinger 2008”, che avrà per motto “Sternsinger per un mondo unito”, sarà presentata domani nel Duomo di Colonia. (R.M.)
Festeggia 15 anni il più vasto programma cattolico per gli orfani sieropositivi del Kenya, istituito dai Gesuiti
◊ Il più vasto programma cattolico per gli orfani sieropositivi del Kenya celebra 15 anni di servizio a favore dei bambini. La ‘Nyumbani Home', istituita dal primo missionario gesuita, padre Angelo D'Agostino, ha festeggiato la ricorrenza della sua fondazione con una Messa di ringraziamento celebrata da padre Gasper Sunhwa, in rappresentanza del superiore provinciale dei Gesuiti, padre Shirima Val. Nel suo intervento, il direttore esecutivo della 'Nyumbani Home', suor Mary Owens, ha detto che la casa continua ad offrire un servizio di qualità agli orfani sieropositivi. Ospita attualmente 102 bambini. Quest’anno, undici faranno il test di ammissione per la scuola elementare e uno per la scuola secondaria. Il programma di base ‘Lea Toto' sostiene oltre 2.500 orfani negli slum di Nairobi, mentre nel Nyumbani Village di Kitui 165 orfani vivono con 25 persone anziane. La celebrazione dell'anniversario è stata un'occasione per ricordare padre D'Agostino, pioniere dell'assistenza agli orfani dell'AIDS. (A.M.)
La Chiesa indonesiana denuncia il “quotidiano” traffico di esseri umani
◊ La piaga del traffico di esseri umani in Indonesia è stata al centro del confronto tra Conferenza episcopale indonesiana ed una delegazione della polizia locale durante un workshop tenutosi dal 10 al 15 settembre a Batam, in una delle province più colpite da tale dramma. In questa zona vengono infatti reclutate donne per il turpe traffico della prostituzione a Singapore o in Malaysia. Suor Ferdinanda ha riferito all’Agenzia AsiaNews che numerose donne vengono “rapite” in varie parti dell’arcipelago e poi tenute come “schiave in rifugi temporanei sotto il controllo di bande criminali”. La situazione è drammatica anche a Nunukun, al confine con la Malaysia. Sono numerosi i lavoratori – ha detto padre Swijo Isworo – che vengono sfruttati con le stesse modalità: molte donne – ha aggiunto – vengono drogate e firmano documenti per richiedere permessi per lavorare all’estero, dove poi vengono sfruttate. Dopo aver denunciato questi ed altri drammi, la Conferenza episcopale ha chiesto alla polizia di continuare in modo deciso nella lotta contro “questo commercio immorale”. (A.L.)
I vescovi del Perù chiedono condizioni di vita più umane per i minatori del Paese
◊ "La Chiesa in Perù non può essere contraria al fatto che siano sfruttate, in modo adeguato, le risorse naturali", incluse quelle minerarie. E’ l’appello lanciato in un comunicato dalla Conferenza episcopale peruviana intervenendo nel dibattito sullo sfruttamento del patrimonio naturale nel Paese andino. I presuli chiedono, in particolare, di "favorire progressi per garantire condizioni di vita più umane per quanti lavorano nell’industria mineraria". I presuli esprimono anche l’auspicio che possa diminuire l’alta percentuale di popolazione che vive in povertà. Sono necessarie – si legge nel comunicato - la promozione di investimenti, la salvaguardia dell’ambiente e lo sviluppo sociale nazionale. In tutti questi campi, aggiungono i vescovi, "occorre raggiungere i consensi più ampi e permanenti per favorire il bene comune". "Come pastori del Popolo di Dio – prosegue il comunicato della Conferenza episcopale peruviana - vogliamo incoraggiare tutti affinché siano aumentati gli sforzi che favoriscono una cultura della pace attraverso un dialogo giusto, equo e costruttivo". "Si tratta – spiegano i presuli - di lavorare nella difesa dell’irrinunciabile dignità della persona umana e del bene comune". "Il progresso del Perú – concludono i vescovi - ci chiede maggiore capacità di dialogo e ci spinge a lavorare per la corretta formazione delle coscienze". (A cura di Luis Badilla)
“Chi è il mio prossimo?”: messaggio dei vescovi australiani per la Giornata della giustizia sociale
◊ Un denso messaggio sui temi della giustizia, dello sviluppo e della pace è stato diffuso dai vescovi dell’Australia, in occasione della “Giornata della Giustizia sociale”, in programma nel Paese il 30 settembre. Il messaggio, intitolato “Chi è il mio prossimo?”, invita a contemplare la “diversità” nell’ambito della comunità, per scorgere “in ogni volto la sacra immagine del volto di Cristo”, insistendo sul multiculturalismo, tipico della società australiana, come una fonte di ricchezza e invitando gli australiani a mostrare solidarietà e accoglienza verso i fratelli più poveri, deboli, emarginati. Anche in questi tempi “flagellati dalla fame, dalla guerra, da terrorismo e malattie – si legge nell’introduzione, citata dall’agenzia Fides – siamo chiamati a impegnarci di nuovo verso i nostri fratelli e a non agire come persone che non sanno condividere la prosperità”. “L’Australia e gli australiani – ha aggiunto l'arcivescovo Philip Edward Wilson, presidente della Conferenza episcopale australiana, nella sua lettera di presentazione della Giornata - sono chiamati a essere “buoni cittadini a livello globale”. “Abbiamo una responsabilità – ha precisato – che va oltre le nostre frontiere nazionali. La Giornata di quest’anno ci richiama ad agire di più per gli interessi dei nostri vicini, che non vivono nel nostro benessere, ed è un invito a considerare la nostra vita in quanto individui e come nazione”. L’arcivescovo sottolinea che, di fronte alle grandi questioni di giustizia sociale a livello planetario, l’Australia non può essere spettatrice, ma deve promuovere attivamente il bene comune globale. (R.M.)
Il tema della “sofferenza innocente” al centro del XV Convegno ecumenico di Bose
◊ “Come possiamo conciliare il mistero tragico della sofferenza innocente, presente dappertutto nel mondo intorno a noi, con la nostra fede in un Dio dell’amore?”: è la domanda posta dal vescovo Kallistos Ware, del Patriarcato di Costantinopoli, ai partecipanti al XV Convegno ecumenico internazionale “Il Cristo trasfigurato nella tradizione spirituale ortodossa”, conclusosi ieri presso il monastero di Bose, in Piemonte. “Il male – ha spiegato il vescovo, ripreso dall’agenzia Sir – essendo un mistero non può essere spiegato semplicemente con un’argomentazione razionale, ma attraverso la partecipazione personale e la compassione” e “il contesto della Trasfigurazione ci suggerisce una possibilità di accostarci a questo mistero”. Per il vescovo Kallistos, “il Tabor e il Golgota sono strettamente legati; non possono essere compresi indipendentemente l’uno dall’altro”. “Il messaggio del Salvatore trasfigurato alla umanità sofferente – ha concluso - è che tutte le cose possono essere trasfigurate ma ciò non è possibile se non attraverso la Croce. Egli non dà una risposta teorica alla sofferenza innocente, ma attraverso la sua partecipazione alla nostra sofferenza. Il nostro Dio è un Dio impegnato”. “Per percorrere il cammino di comunione tra le Chiese – ha affermato il priore di Bose, Enzo Bianchi, concludendo il convegno – occorre che ci sforziamo di predisporre ogni cosa affinché il Signore possa agire”. (R.M.)
Romania: al Parlamento europeo il caso del grattacielo che minaccia la cattedrale di Bucarest
◊ Il 27 settembre potrebbe essere una data importante per salvare la cattedrale di San Giuseppe a Bucarest, in Romania, in pericolo a causa della “costruzione illegale” di un grattacielo di 20 piani e 4 livelli interrati. Il 27 settembre, infatti, il Parlamento europeo si pronuncerà sulla dichiarazione scritta “Sulla necessità di adottare misure di tutela della cattedrale”, per la quale sono state già raccolte 371 firme tra i parlamentari europei. Nella dichiarazione – riferisce l’agenzia Sir – si “condanna fermamente la costruzione illegale di detto grattacielo” e ci si impegna a trasmettere il documento alla Commissione, al Consiglio Europeo, al governo romeno e alle istituzioni responsabili della tutela del patrimonio culturale europeo. Nel frattempo, il 10 luglio scorso, la giustizia romena ha fermato i lavori del cantiere fino al termine della causa legale. “Siamo fiduciosi che la verità e il diritto vinceranno – afferma don Francio Ungureanu, dell’arcivescovado di Bucarest - ci stiamo difendendo da una grande ingiustizia, perché il grattacielo è stato costruito violando la legge. In troppi hanno fatto finta di non vedere”. L’edificio, costruito in tempi record, è stato edificato fino all’ultimo piano, ma la cementificazione è arrivata a metà. “I nostri ingegneri ci hanno assicurato che si potrebbe smontare e ricostruire da un’altra parte - spiega don Ungureanu - Nel frattempo, continueremo la raccolta firme e altre iniziative di sensibilizzazione”. (R.M.)
Presentato a Quito, in Ecuador, lo Strumento di Lavoro del III Congresso missionario americano (CAM 3)
◊ Durante la celebrazione del II Simposio internazionale di Missiologia, tenutosi ad agosto a Quito, in Ecuador, in preparazione al III Congresso missionario americano-CAM 3, è stato presentato alle delegazioni dei 17 Paesi presenti lo Strumento di lavoro del CAM 3. Frutto di tre anni di lavoro della Commissione teologica del CAM 3, tale Strumento è stato inviato ai presidenti di tutte le Conferenze episcopali americane, con l’invito a iniziarne lo studio e a motivare le rispettive Chiese particolari a partecipare a questo processo. E’ inoltre stato inviato a tutti i vescovi della Chiesa ecuadoriana con le stesse finalità. Nella presentazione dello Strumento di lavoro – riferisce l’agenzia Fides – il cardinale Antonio José González Zumárraga, arcivescovo emerito di Quito e presidente della Commissione centrale del CAM 3, ha ricordato che “la strada che hanno realizzato i Congressi missionari, latinoamericani prima e americani poi, è stata decisiva per l'animazione, la formazione e la consapevolezza missionaria del nostro continente”. Il porporato ha auspicato che lo Strumento di lavoro “provochi in tutto il continente un processo di riflessione e analisi missionaria, che risponda a questa epoca di cambiamento di paradigmi, in cui la missione ‘Ad gentes’ è la ‘missione per l'umanità’”. Lo Strumento si articola in cinque capitoli: “La Chiesa in discepolato missionario”; “La nostra vita missionaria in America dai CAM-COMLA”; “Discepolato: Comunità discepola di Gesù”; “Pentecoste: Comunità portata dallo Spirito”; “Evangelizzazione: Comunità missionaria per l'umanità”. (R.M.)
La Rice, a Ramallah, perora la causa di uno Stato palestinese - L'euro sfonda la soglia dell’1,40 sul dollaro
◊ Il Segretario di Stato americano, Condoleezza Rice, giunta stamane a Ramallah, è stata ricevuta a colloquio dal premier palestinese, Salam Fayyad, e poi dal presidente palestinese Mahmud Abbas, detto Abu Mazen. Nella conferenza stampa a conclusione dell’incontro con Abu Mazen, la Rice ha ribadito che la prossima conferenza sul M.O., organizzata dagli Stati Uniti, dovrà far avanzare la causa di uno Stato palestinese. Da parte palestinese, si auspica un maggiore coinvolgimento degli Stati Uniti nei colloqui israelo-palestinesi al fine di arrivare ad una dichiarazione congiunta che fissi i principi per una soluzione del conflitto. In precedenza, il segretario di Stato americano è stata ricevuta a colloquio dal presidente israeliano, Shimon Peres, a Gerusalemme; nel pomeriggio è previsto un incontro con il premier dello Stato ebraico, Ehud Olmert, con il quale, già ieri sera, ha avuto un colloquio di ben tre ore.
- L'ex premier dello Stato ebraico, Benjamin Netanyahu, ha confermato che l'aeronautica militare israeliana il 6 settembre ha effettuato un attacco aereo nel nord della Siria in occasione del raid già denunciato dalle autorità di Damasco. La stessa Siria aveva reso noto che i caccia israeliani erano stati messi in fuga dalla contraerea e che, secondo la versione dell'agenzia ufficiale Sana, prima avevano sganciato il loro armamento. Da Israele non è mai giunta nessuna conferma e alcuni osservatori avevano ipotizzato che gli aerei avessero effettuato un volo di ricognizione e si fossero disfatti del loro munizionamento per alleggerirsi durante la fuga. Netanyahu ha detto che, pur essendo all'opposizione, non manca di assicurare il proprio appoggio al premier Olmert ''quando è in gioco la sicurezza di Israele''. Una delle ipotesi fatte è che gli F15 israeliani abbiano colpito un deposito in cui erano tenuti materiali per centrali nucleari destinati alla Corea del Nord.
- "Nel loro interesse, gli americani dovrebbero utilizzare una diversa società per garantire la loro sicurezza e muoversi liberamente in Iraq": lo ha detto oggi il premier iracheno, Nouri al Maliki, criticando aspramente la Blackwater, la società USA i cui contractor domenica hanno aperto il fuoco a Baghdad causando la morte di una decina di persone. Una sparatoria che al Maliki ha definito ''un grave crimine'' che ''ha suscitato risentimento nel governo e tra la popolazione'', e per il quale un comitato congiunto iracheno-americano sta indagando, prendendo anche in considerazione altri episodi violenti di cui si è resa protagonista la Blackwater. Domenica scorsa, nel quartiere a maggioranza sunnita al Mansur di Baghdad, un convoglio americano è stato attaccato e i contractor della Blackwater, che lo scortavano, hanno reagito aprendo il fuoco e causando la morte di dieci iracheni, di cui nove civili. Intanto, le forze di sicurezza irachene hanno arrestato il regista del sequestro di quattro diplomatici russi poi uccisi, avvenuto nel giugno dello scorso anno: lo fa sapere il ministro degli Esteri iracheno, Hoshyar Zebari. Il Parlamento russo attribuì la responsabilità della morte dei diplomatici alle ''forze di occupazione''.
- Ayman Zawahri, il vice di Osama bin Laden ha esortato i musulmani a lottare contro gli Stati Uniti e i loro alleati nel mondo in un nuovo video fatto circolare su internet sempre in occasione del sesto anniversario degli attacchi dell'11 settembre. Zawahri incita, inoltre, i musulmani a ''sostenere i mujaheddin, a difenderli e a non farsi intimidire dal potere dell'America".
- Il Pakistan eleggerà il suo presidente il 6 ottobre prossimo. Lo ha annunciato oggi la commissione elettorale pachistana. ''Le candidature devono essere presentate entro il 27 settembre, saranno esaminate il 29 settembre e il 6 ottobre avrà luogo l'elezione'', ha detto alla France Presse il segretario della commissione elettorale, Dilshad Kanwar. La data del 6 ottobre - il termine era il 15, per il giuramento entro il 15 novembre - sarà annunciata ufficialmente nei prossimi giorni dalla commissione. Il presidente verrà eletto dal Parlamento e dalle assemlee provinciali. Il presidente uscente, il generale Pervez Musharraf - ha promesso che, se sarà rieletto, lascerà il comando delle Forze armate.
- L'euro vola ancora. Dopo aver sfondato quota 1,40 dollari ha proseguito la corsa raggiungendo l'ennesimo nuovo record di giornata a 1,4065 dollari.
- Il premier britannico, Gordon Brown, ha minacciato di boicottare il vertice Ue-Africa in programma per il mese di dicembre a Lisbona se tra gli invitati ci sarà il presidente dello Zimbabwe, Robert Mugabe. “Se vi parteciperà, il presidente Mugabe farà fallire quel summit, sviando l'attenzione dalla questioni veramente importanti, per questo in circostanze simili la mia presenza sarebbe inopportuna”, scrive Brown in un articolo pubblicato oggi dal quotidiano Independent. Mugabe attualmente è considerato 'persona non grata' nei Paesi dell’Ue ma il divieto potrebbe essere temporaneamente sospeso per dargli modo di presenziare al vertice Ue-Africa, il primo da sette anni a questa parte. Diversi leader africani sostengono che la presenza di Mugabe è necessaria. Nell'articolo, Brown accusa il leader dello Zimbabwe di avere agito a scapito del suo popolo e di avere costantemente violato i diritti umani.
- Sanzioni contro il Sudan: le chiede Human Rights Watch (HRW) all’Onu e all’Unione Africana se lo Stato Africano “non fermerà gli attacchi indiscriminati contro i civili del Darfur o ostacolerà l’attività delle forze di pace”. Il rapporto dell’organizzazione in difesa dei diritti umani, reso noto oggi, chiede inoltre l’immediato dispiegamento della forza di pace congiunta delle Nazioni Unite e dell’Unione Africana, previsto e non ancora attuato. Il governo locale, denuncia Human Rights Watch, continua a colpire senza sosta sia la popolazione sia gli operatori umanitari. Il ministro degli Affari Esteri di Karthoum ha liquidato le accuse definendole “spazzatura”.
- L'ex numero due dei Khmer rossi, Nuon Chea, arrestato in Cambogia, è pronto a svelare i segreti del sanguinario regime di Pol Pot quando comparirà in tribunale per rispondere delle accuse di crimini di guerra e crimini contro l'umanità. Lo ha riferito oggi uno dei giudici del tribunale patrocinato dalle Nazioni Unite, incaricato di giudicare i crimini più gravi commessi tra il 1975 e il 1979 sotto il regime maoista dei Khmer rossi. Nuon Chea, 82 anni, ex braccio destro di Pol Pot, è stato arrestato ieri nella sua abitazione sul confine con la Thailandia e trasferito in elicottero a Phnom Penh per essere giudicato. Almeno un milione e 700 mila persone sono morte durante la rivoluzione dell''Anno Zero', di Pol Pot.
- Un terremoto di magnitudo 6,7 secondo la scala Richter è stato registrato in Indonesia, nell'ovest di Sumatra, nella stessa zona in cui la scorsa settimana si era avvertita una potente scossa in cui sono rimaste uccise 20 persone. Il sisma è avvenuto a circa le 8:30 (GMT) del mattino di oggi ad una profondità di 76 chilometri. Non è stato ritenuto necessario diffondere un allarme tsunami.
- Nei negoziati sul clima, Australia e Usa sono "come Bonnie e Clyde", la coppia di banditi immortalata nel film americano, perchè bloccano la strada verso un accordo globale sulla riduzione delle emissioni di gas serra. L'accusa viene dall'ex vicepresidente Usa Al Gore, ora eco-attivista, che ha parlato ieri sera a Sydney davanti ad un migliaio di dirigenti d'azienda, inaugurando così un nuovo tour di conferenze. Al Gore ha affermato che l'Australia può avere un ruolo chiave nel dare impulso alla riforma politica in Usa firmando la nuova fase del protocollo di Kyoto, che entra in vigore il prossimo anno. "Per una varietà di ragioni, i nostri due Paesi sono stati di impedimento a livello globale verso ciò che abbiamo bisogno che avvenga", ha detto Al Gore al Global Business Forum. "Se l'Australia cambia rotta su Kyoto e si impegna entrando nel trattato, sarebbe impossibile per gli Usa resistere alla pressione. Questo è un momento in cui l'Australia può spostare l'equilibrio". Australia e Usa sono i soli due Paesi sviluppati a non aver ratificato il protocollo di Kyoto, ma Gore ha osservato che entrambi avranno nuovi leader nel 2012, quando si prevede che l'accordo internazionale in sostituzione di Kyoto sarà stabilito, entro la struttura ONU. (Panoramica internazionale a cura di Fausta Speranza)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LI No. 263
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