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SOMMARIO del 18/09/2007
Fede cristiana e impegno per il bene comune contro sincretismo religioso e corruzione: la Chiesa del Benin è in visita "ad Limina". Intervista con mons. Ganyé
◊ Una nazione di sette milioni di abitanti, dove i cristiani sono il 23% e i musulmani il 10, e dove le religioni tradizionali restano a tutt'oggi largamente praticate dal 65% dei residenti. E' la realtà del Benin, Stato africano incuneato fra la Nigeria e il Togo. Da ieri, e fino al 22 settembre, i vescovi del Paese sono in visita ad Limina da Benedetto XVI, che ieri ne ha ricevuto un primo gruppo, guidato dal presidente della Conferenza episcopale locale, mons. Antoine Ganyé, vescovo di Dassa-Zoumé. Jean-Baptiste Sourou, della redazione africana francofona della nostra emittente, lo ha incontrato e gli ha chiesto di illustrare le problematiche maggiori in campo pastorale:
R. - Il y a beaucoup de difficultées ...
Ci molte difficoltà. E’ difficile, per esempio, che i laici accettino di buon grado il Sacramento del matrimonio. La poligamia, purtroppo, è un retaggio di antiche tradizioni che ancora sopravvive. L’altro problema è il sincretismo. Siamo cristiani, ma c’è sempre la tendenza ad essere ricuperati dall’ambiente da cui proveniamo. Per quanto riguarda la formazione dei sacerdoti, nel Seminario maggiore di Ouidah alcuni studenti hanno lamentato la qualità della formazione ed anche la scarsità di manuali per lo studio. Il Seminario di Ouidah non ha perso l'immagine del passato. Ci sono state delle lamentele che noi vescovi abbiamo accolto. Mancavano i docenti. Ogni vescovo ha deciso di mandare i suoi preti ad occuparsi dei giovani in formazione. Abbiamo anche inviato alcuni all'estero che saranno destinati alla formazione dei giovani. I candidati devono essere i primi responsabili della loro formazione. Comunque, siamo pronti a seguire i candidati al sacerdozio con un discernimento anche serio perché non tutti saranno sacerdoti. Insistiamo sulla qualità piuttosto che sul numero. Per i libri, è una questione importante. Non possiamo chiedere agli studenti di raggiungere un certo livello se mancano poi gli strumenti. Certo i mezzi mancano. Ma faremo del nostro meglio.
D. - I giovani in Bénin incontrano non poche difficoltà: precarietà ed un futuro incerto. Che fa la Chiesa per aiutarli?
R. - L'Eglise n'a pas beaucoup de moyens pour accompagner les jeunes ...
Aiutare vuol dire avere i mezzi. Facciamo quello che possiamo con quello che abbiamo, creando, tra l’altro, scuole professionali. Bisogna dire che lo Stato beninese fa anche del suo meglio per la gioventù e l’infanzia. La scuola materna e elementare è gratuita. Questi sforzi vanno lodati e incoraggiati. La Chiesa, da parte sua, segue anche i giovani delle campagne.
D. - Anche le famiglie devono affrontare non pochi problemi …
R. - Ils viennent rendre visite à leurs pasteurs ...
Vanno a visitare i loro pastori. In tutte le parrocchie non manca gente che bussa alla porta del prete, delle suore e del vescovo per chiedere aiuto. Chiedo sempre ai miei preti di ascoltare la povera gente affinché non manchi loro almeno la consolazione della Chiesa. E ascoltando, si può arrivare a qualche soluzione.
D. - Il popolo del Bénin aspira molto ad un rinnovamento nella politica. Come aiutate la popolazione di fronte al problema della corruzione così diffusa?
R. - C'est une chose malheureuse, la corruption, ...
E’ davvero triste che nel nostro Paese, la corruzione sia così generale. Noi vescovi abbiamo capito che era importante aiutare i dirigenti e gli uomini politici. Perciò abbiamo dato dei cappellani. Il Vescovo emerito di Porto-Novo, Mons. Vincent Mensanh e il Padre Julien Pénoukou li seguono. La Chiesa ci ha insegnato e ci insegna il rispetto per il bene comune, ma non si riesce a capire perché quello che preoccupa i nostri connazionali sia solo il bene della propria famiglia e gruppo. Auguro davvero che tale piaga venga presto sanata. Non solo in Bénin, ma in tutta l’Africa.
Il bilancio del viaggio in Polonia del cardinale Bertone, culminato con la Beatificazione di padre Stanislao Papczynski. Intervista con il segretario di Stato
◊ Una visita lunga, costellata di momenti di forte riflessione spirituale e di incontri con i rappresentanti della comunità civile. Ma il viaggio appena concluso in Polonia dal cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, ha avuto il suo culmine nella Beatificazione di padre Stanislao Papczynski, fondatore dei Padri Mariani. Al microfono di Giovanni Peduto, il cardinale Bertone traccia un bilancio del suo viaggio, a partire dalla ricchezza apportata dal nuovo Beato della Chiesa polacca:
R. - Il Beato Stanislaw Papczynski appartiene all’inizio del ‘700 e, quindi, 300 anni fa è stato una figura incisiva e pastoralmente efficace nelle Chiese della Polonia e della Lituania. Ha arricchito la storia della Chiesa in Europa, non solo in Polonia, con la fondazione di una Congregazione religiosa di Padri e fratelli Mariani, che hanno come caratteristica la devozione alla Madonna, naturalmente, e la preghiera per le anime del Purgatorio. Quindi, ha affrontato con molta serietà il problema della morte. Adesso, per esempio, io ho dato il via ad un Centro per malati terminali, proprio vicino al grande santuario della Madonna di Lichen. La Madonna di Lichen è il faro che ha ispirato il fondatore, che ispira i Padri e i fratelli Mariani. E poi, è stato un grande evangelizzatore: un evangelizzatore del popolo, un apostolo della Parola, non solo con la parola, ma anche con gli scritti. E quindi anche dal punto di vista della sostanza, della comunicazione di una solida formazione teologica, teologicamente impregnata, non solo di dottrina della Chiesa, ma anche di senso di appartenenza alla Chiesa. Sono tutti valori che sono di un’estrema attualità anche nel nostro tempo.
D. - La Chiesa polacca continua ad essere una grande fucina di Santi e di Beati. Negli ultimi decenni ne abbiamo visti parecchi arrivare all’onore degli altari...
R. - Sì, anche la famosa Edith Stein è nata e vissuta nelle terre della grande Polonia, a Breslavia. Pensiamo a San Massimiliano Kolbe, a tutti i martiri del nazismo e del comunismo ed io sono disceso nel santuario di Lichen, nella cappella dei 108 martiri del nazismo. Pensiamo adesso alla grande figura che si è stagliata sulla scena del mondo, che è il nostro Papa Giovanni Paolo II, di cui tutti aspettano la Beatificazione. Il dono dei Santi nel nostro tempo e il dono dei Santi nella Polonia e in tante altre nazioni - pensiamo agli Stati Uniti, al Perù, alla Repubblica Ceca dai tempi dei Santi Cirillo e Metodio - è un grande dono che Dio continua a fare all’umanità nella sua evoluzione, nel suo sviluppo. Accende delle scintille di intensa umanità e di profonda comunione con Dio, in modo che gli uomini non abbandonino mai il progetto di Dio, Sommo Creatore e Padre.
D. - Eminenza, uno dei fili conduttori del suo viaggio è stato quello della spiritualità mariana. Nel corso dei secoli, la Polonia è stata sempre molto devota alla Vergine: ancora oggi è così?
R. - La Polonia non gode solo del famosissimo Santuario di Jasna Gora, il Santuario di Czestochowa, ma è punteggiata, in tutto il suo territorio, di grandi e bei santuari mariani. Uno dei più belli e più grandiosi è proprio quello del Santuario della Madonna di Lichen, che ha avuto origine dalla battaglia di Lipsia, quindi da un evento che ha portato in Europa il vento napoleonico, quasi il furore napoleonico, che è stato poi superato e vinto da queste grandi nazioni con la loro profonda fede cristiana. La devozione mariana è il segno della maternità, della tenerezza di Dio, che si manifesta attraverso la presenza di Maria accanto o nel cuore del popolo di Dio. La Madonna ha accompagnato tutta la storia tormentata e drammatica del popolo polacco. Non ha mai abbandonato questo popolo, che è rimasto così fedele alla Chiesa, alla fede, e così fedele alla Madonna. Noi crediamo che la Polonia abbia ancora una missione da compiere nel mondo di oggi, soprattutto nell’Europa di oggi.
D. - Il suo intervento al Convegno di Cracovia sul ruolo della Chiesa cattolica nel processo della integrazione europea è stato un altro dei momenti salienti del suo soggiorno in Polonia. Che accoglienza hanno avuto le sue parole su questo tema?
R. - Io ho fatto un discorso molto articolato proprio sull’importanza, sul valore del fattore religioso e dell’azione della Chiesa cattolica nella costruzione dell’Europa e in proiezione, in prospettiva anche, del consolidamento della nuova Europa. Le mie parole sono state accolte molto positivamente da tutti i partecipanti al Convegno di questa settima conferenza. Hanno partecipato molti esponenti politici europei, di diverse nazioni, a cominciare dalla Germania, per fare un esempio, e da nazioni vicine, come la Polonia. Devo dire che ho detto delle parole forti sull’importanza di difendere l’identità cristiana dell’Europa e di offrire, non imporre, questo contributo, ma offrirlo proprio perché sia fermento per la costruzione della nuova Europa, tenendo presente che i grandi valori della giustizia, della legalità, della moralità, del dialogo interreligioso sono valori autenticamente cristiani, valori da non obliterare, pena la decadenza e il declino dell’Europa. Il Papa ha parlato anche dell’inverno dell’Europa: si vuole allontanare Dio o ci si vuole allontanare da Dio, come fondamento, come ispirazione del proprio progetto di vita. Bisogna recuperare tutto questo. Certamente, la Polonia è una nazione profondamente cristiana, basta vedere le folle: al momento della Beatificazione c’erano forse 80, 100 mila persone nella grande piazza antistante il Santuario di Lichen. Ho incontrato molte comunità vive, chiese vive. Ho concluso la mia visita a Varsavia, presso la basilica del Sacro Cuore, dove operano i salesiani - sono lì, infatti, da 75 anni - e uniscono insieme, secondo il carisma di don Bosco, una grande devozione alla Madonna, che è ispiratrice del carisma salesiano, e una grande devozione al Sacro Cuore, ricordando quello che diceva don Bosco che “l’educazione è una cosa del cuore”. Quindi, bisogna avere un cuore aperto ai giovani, ai ragazzi, alle necessità del nostro tempo, alle persone più bisognose. Un cuore capace di amare, di aiutare e di realizzare i progetti con una carità operosa.
Con gli 80 anni del cardinale Szoka, il Collegio cardinalizio è ora composto di 104 elettori e 77 non elettori
◊ Cambia la composizione interna del Collegio cardinalizio. Con gli 80 anni compiuti venerdì scorso dal cardinale Edmund Casimir Szoka, l'assise delle porpore è ora composta da 181 cardinali, dei quali 104 elettori e 77 non elettori.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ Servizio vaticano – L’omelia del cardinale Renato Raffaele Martino nell’omelia della celebrazione eucaristica in occasione del quinto anniversario della morte del cardinale Van Thuân.
Servizio estero - Nucleare: per il Segretario generale dell’AIEA, El Baradei, l’Iran non rappresenta un pericolo “chiaro e immediato”.
Servizio culturale - Un articolo dell’inviato Marcello Filotei dal titolo “Tutta la ridondanza del minimalismo”: aperta a Parma con un programma dedicato alle percussioni la XVII rassegna internazionale di musica moderna e contemporanea “Traiettorie”.
Per l’“Osservatore libri”, un articolo di Danilo Veneruso dal titolo “Una precisa e ordinata rassegna di una sterminata mole di studi”: la biografia “Hitler” dello storico Gustavo Corni.
Servizio italiano - In rilievo il tema della finanziaria.
Aperti ieri a Roma i lavori del Consiglio episcopale permanente. Nella prolusione del presidente della CEI, mons. Angelo Bagnasco, la difesa della vita, della famiglia ed il senso del Motu Proprio sulla Messa in latino
◊ La difesa della vita, la centralità della famiglia nella società, la ricchezza spirituale del Motu Proprio di Benedetto XVI. Su queste linee si è articolata la prolusione del presidente della Conferenza episcopale italiana (CEI), l'arcivescovo di Genova, Angelo Bagnasco. Un discorso che è stato preceduto dall’adorazione eucaristica presso la cappella della CEI, a Roma, e che ha segnato l’apertura dei lavori del Consiglio episcopale permanente. Domani, la conclusione dell’assise che sta affrontando temi come l’evangelizzazione dei popoli, la cooperazione tra le Chiese e sta preparando anche il Messaggio per la Giornata per la Vita 2008. Con Benedetta Capelli ripercorriamo la prolusione di mons. Bagnasco:
Loreto, l’Austria e le prossime visite pastorali del Papa a Velletri e a Napoli. Mons. Bagnasco parte dal valore di questi incontri, in particolare dal messaggio lanciato dal Papa dalla spianata di Montorso, per sottolineare come Cristo sia la speranza e nulla sia impossibile a Lui. “Ognuno è conosciuto e voluto da Dio e per ognuno Dio ha un suo progetto”, aveva detto a Loreto Benedetto XVI. Parole che, secondo l’arcivescovo di Genova, indicano “la via del coraggio umile” come risposta ai “modelli di vita improntati all’arroganza (...) a scapito dell’essere”. Una vita - e qui risiede il cuore della prolusione del presidente della CEI- che va difesa sempre:
"Il valore intangibile della persona e della vita umana, vita che deve essere accolta e accudita fin dal sorgere, ed amorevolmente accompagnata fino al suo naturale tramonto; la famiglia fondata sul matrimonio, cellula fondante e inarrivabile di ogni società; (…) il codice morale che si radica nell’essere profondo e universale dell’uomo e si esplicita e perfeziona in Gesù. (…) Essi costituiscono l’ethos di fondo (…) dà corpo a quel senso di reciproco riconoscimento e di comune appartenenza che ci fa sentire 'società'”.
Valori che non si possono barattare: “Ogni attentato alla vita, alla famiglia, alla libertà educativa, alla giustizia e alla pace (…) troverà sempre - afferma il presidente della CEI - una parola rispettosa e chiara da parte della Chiesa”. Come è chiara la posizione sulla vicenda di Amnesty international:
"A proposito della clamorosa inclusione, tra i diritti umani riconosciuti, della scelta di aborto, magari anche solo nei casi di violenza compiuta sulla donna. Sono derive che ci rendono ulteriormente avvertiti del pericoloso sgretolamento a cui sono sottoposte le consapevolezze umane anche più evidenti, e della necessità quindi di una presenza qualificata a contrastare simili esiti".
Mons. Bagnasco invita la CEI ad un impegno all’altezza delle sfide. Parla infatti di “un’emergenza educativa e della difficoltà di trasmettere alle nuove generazioni i valori base dell’esistenza” di una società afflitta da uno strano “odio di sè”. “Il clima di materialismo in cui viviamo tende a sfilacciare le persone” osserva l’arcivescovo di Genova, che rilancia l’indicazione del Convegno ecclesiale di Verona dello scorso anno: “Raccogliere e coltivare sempre meglio l’unità della persona”. Nessun astrattismo, dunque, ma una proposta concreta che porta l’esistenza all’incontro “risanatore e liberante” di Cristo. Parlando del Motu Proprio, relativo all’uso della liturgia romana anteriore alla riforma del 1970, mons. Bagnasco ha sottolineato come l’obiettivo di questo pronunciamento sia "chiaramente tutto spirituale e pastorale”:
"Quella che il Papa ci sprona ad adottare (…) è dunque una chiave di lettura inclusiva, non oppositiva. Nella storia della liturgia, come nella vita della Chiesa, c’è “crescita e progresso, ma nessuna rottura”. (...) In altre parole, è la sollecitudine per l’unità della Chiesa “nello spazio e nel tempo” la leva che muove Benedetto XVI, una tensione che fondamentalmente tocca al Successore di Pietro".
Una leva che ogni cristiano e ogni pastore deve far sua, “senza preclusione ostativa verso altre forme liturgiche o nei confronti del Concilio Vaticano II”. “Solo così - prosegue il presidente della CEI - si eviterà che un provvedimento volto ad unire e ad infervorare maggiormente la comunità cristiana sia invece usato per ferirla e dividerla”. Guardando alle emergenze italiane come il lavoro, la formazione dei giovani e il problema della casa, mons. Bagnasco sottolinea l’attenzione della Chiesa e alla collettività chiede uno slancio per approntare soluzioni abitative, senso di equità alle banche, provvedimenti adeguati per superare la disomogeneità. Parlando poi degli incendi che hanno devastato l’Italia, il presule li ha definiti crimini di difficile soluzione che rendono il vincolo sociale “più friabile” e pertanto ha sottolineato la necessità di una solidarietà nuove che renda il Paese non-spaesato. Serve, inoltre, “una ricentratura profonda da parte dei singoli soggetti e degli organismi sociali, sul senso e sulla ragione dello stare insieme come comunità di destini e di intenti”. Niente compromessi dottrinali e morali, nella vita cristiana non si può puntare al ribasso e, citando l’esempio di padre Bossi, mons. Bagnasco mette in luce la vita dei missionari, spesa nella testimonianza della fede fino anche al martirio, ricordando l’impegno di molti vescovi nelle zone difficili dell’Italia dove si fronteggia la mafia, la camorra e la ‘ndrangheta.
La prolusione dell’arcivescovo Bagnasco ha suscitato ampia attenzione sulla stampa per i riferimenti espliciti alla vita sociale del Paese, come scuola, lavoro, famiglia, giovani e per i richiami all’etica nei rapporti tra Stato e cittadini. Il servizio di Roberta Gisotti:
“In nessun ambito, neppure in politica, si possono tralasciare, per opportunismo, o convenzione, o altri motivi, le esigenze etiche intrinseche alla fede”: il monito dell’arcivescovo Angelo Bagnasco, interpella tutti i cattolici a cambiare rotta rispetto ad “un atteggiamento di resa - ha osservato il presidente della CEI - che contrassegna tanta prassi sociale”, “mentre trionfano - ha aggiunto - il divismo, il divertimento spinto ad oltranza, i passatempi solo apparentemente innocui, il disimpegno nichilista e abbrutente”. Al nostro microfono, il prof. Carlo Cirotto, ordinario di Biologia all’Università di Perugia, vicepresidente del MEIC, il Movimento ecclesiale di impegno culturale. Quale prima reazione a questo richiamo?
R. - Intanto, andrebbe, secondo me, contestualizzato in tutto il discorso fatto da mons. Bagnasco. Tutto il discorso mette in evidenza una situazione di disagio, presente in tutta quanta la società, cominciando dal problema educativo, dai problemi etici, dai problemi perfino interni alla Chiesa di reazione al Motu Proprio, per esempio. Riguardo a questa situazione di disagio che ormai è abbastanza chiara un po’ per tutti, mons. Bagnasco invita i cristiani ovviamente ad una maggiore testimonianza, sollecitandoli ad approfondire la loro proposta. C’è una frase che ritorna spesso: proporre con semplicità e con rispetto la proposta cristiana, che è un progetto di vita, un progetto di vita non soltanto individuale, ma anche un progetto di vita della comunità, che porta al bene comune.
D. - Mons. Bagnasco afferma che “la componente sana della società è ampiamente maggioritaria” e si dice convinto che la realtà del popolo italiano non sia assolutamente rappresentata” “dai fenomeni peggiori a cui tanta enfasi viene data nella pubblica opinione”. Lei è d’accordo?
R. - Sono perfettamente d’accordo con mons. Bagnasco.
D. - Come invertire, quindi, questa tendenza negativa di percezione della società italiana?
R. - Dare una ricetta per questo è difficilissimo. Io direi che se i cristiani prendessero di più coscienza dell’esigenza di testimonianza come servizio al Paese - e mons. Bagnasco dice in tutti gli ambiti e quindi l’ambito dell’educazione, l’ambito culturale, l’ambito politico, l’ambito del dibattito di tutti gli argomenti più scottanti - questo rappresenterebbe già una proposta positiva.
D. - Mons. Bagnasco si è soffermato sul concetto di “bene comune”, che lo Stato dovrebbe promuovere, fra i cittadini se si vuole essere - ha usato questa espressione - un “Paese non spaesato”?
R. - Io credo che volesse intendere questo: se ci si limita nella nostra convivenza sociale a fare in modo che ognuno possa fare ciò che desidera - l'importante è che non pesti i piedi a chi gli sta vicino - e che non ci sia nessuna elaborazione di progetto che porti al bene comune, questo porta sempre e comunque ad uno sfaldamento.
Tensione sul nucleare tra Parigi e Teheran. Il presidente iraniano: non prendo sul serio le minacce francesi. L'analisi della prof.ssa Federiga Bindi
◊ ''Non prendete seriamente le minacce'' francesi. Così il presidente iraniano, Mahmud Ahmadinejad, ha risposto ad alcuni giornalisti che stamani a Teheran gli chiedevano di commentare le recenti dichiarazioni del ministro degli Esteri francese, Bernard Kouchner, che domenica scorsa aveva affermato che il mondo ''deve prepararsi al peggio'', cioè a un'eventuale ''guerra'' contro l’Iran, per fermare il programma nucleare della Repubblica islamica. Subito dopo, la linea di Parigi era stata ammorbidita dal premier Francois Fillon, che aveva parlato di “soluzione pacifica” per la questione. Dello stesso parere Italia, Germania e Austria, ma anche Russia e Cina. A questo punto, l’Unione Europea rischia di spaccarsi sui rapporti con l’Iran? Giada Aquilino lo ha chiesto alla prof.ssa Federiga Bindi, esperta di questioni europee, titolare della cattedra Jean Monnet dell’Università di Roma Tor Vergata:
R. - Mi pare che l'UE sia già spaccata. La prova è che la presidenza portoghese non è intervenuta sulla questione. Da una parte, abbiamo le posizioni di Francia e Gran Bretagna, dall’altra abbiamo gli altri Paesi, seppur con sfumature molto diverse. E il dibattito è abbastanza forte. Il fatto che la presidenza portoghese non faccia alcun comunicato, vuol dire che la divisione è talmente profonda che è meglio stare zitti.
D. - Anche dalla Francia, che con il ministro Kouchner per prima ha parlato di possibile attacco all’Iran, arrivano comunque segnali contrastanti. È possibile che un solo Paese possa decidere poi sulla linea di tutta l’Unione?
R. - No, assolutamente, un Paese non decide. E’ piuttosto un forte segnale che la Francia si è avvicinata agli Stati Uniti.
D. - Si potrà arrivare ad una linea unica europea?
R. - Se c’è un attacco, di sicuro non ci sarà una linea unica europea. L’unica linea comune in tutta l’Europa in questo momento è dire che comunque per ora bisogna negoziare. Secondo me, ancora qualche settimana ci sarà per negoziare. Quindi, in questo caso, l’Europa rimarrà incentrata sulle trattative. Certo, se poi il negoziato non farà passi in avanti, a quel punto probabilmente l’Unione si spaccherà del tutto. Come del resto è successo tutte le volte che c’è stato un intervento in quella zona.
D. - Ma cosa è mancato fino ad ora?
R. - Noi sappiamo che la Gran Bretagna ha sempre avuto un orientamento pro Stati Uniti, anche se con Gordon Brown un pochino è andato scemando. In realtà, c’è un dato nuovo: la Francia sta cercando di recuperare spazio in Europa. In parte lo ha fatto - e in modo meritevole - cercando di trovare un rilancio del Trattato, e in parte sta portando avanti il progetto con iniziative che diano molta visibilità.
D. - Tra l’influenza degli Stati Uniti, da una parte, e quella per esempio di Russia e Cina, che dall’altra frenano su un attacco eventuale contro Teheran, quale posizione prevarrà in Europa?
R. - L’Europa è formata anche da Stati neutrali, quindi io ritengo assolutamente impossibile che essa possa sostenere unitariamente un attacco all’Iran. Probabilmente, si arriverà a delle sanzioni. Un intervento armato sarebbe un suicidio, anche perché non si sa se l’Iran effettivamente sia vicino all’arma atomica o meno.
Un milione e mezzo di profughi iracheni in Siria, la più grande emergenza di questo tipo in Medio Oriente dal '48. Le difficoltà della comunità cristiana locale
◊ In Siria è emergenza a causa della gravissima situazione umanitaria creata dall’ingresso nel Paese di oltre un milione e mezzo di profughi iracheni che, con la fine della dittatura di Saddam Hussein nel 2003, si sono riversati ai confini per fuggire dalla violenza che ancor oggi insanguina il Paese del Golfo. Particolarmente drammatiche le condizioni in cui versa la numerosa comunità cristiana irachena. Damasco auspica l’intervento della comunità internazionale per evitare che il dramma si trasformi in tragedia. Giancarlo La Vella ne ha parlato con Roberto Bongiorni, inviato in Siria per il Sole 24 Ore, che si è occupato della questione:
R. - E’ la più grande emergenza umanitaria, o comunque il più grande esodo, dal 1948 in Medio Oriente. I cristiani, secondo la Caritas, ma secondo anche altri gruppi che operano, sono 60 mila. Gravitano tutti, come gli altri profughi, attorno ai quartieri di Damasco, tanto che la città sta implodendo. Loro sono le persone che hanno alle spalle le storie più tragiche, persone cui hanno ucciso i familiari, che sono stati minacciati di morte, che sono stati spogliati dei beni e infine hanno trovato accoglienza. Purtroppo, non hanno mezzi e, almeno in teoria, ufficialmente, la Siria non permette ai profughi iracheni di lavorare, a meno che non trovino un accordo di joint venture con un altro siriano. Quindi, questi profughi cristiani stanno sopravvivendo grazie agli aiuti inviati dall’estero, grazie ai pochi risparmi rimasti, ma via via che il tempo passa la loro situazione sarà sempre peggiore.
D. - A questo punto si stanno creando dei contatti, per un intervento della comunità internazionale a livello umanitario?
R. - Innanzitutto, va dato merito alla Siria di essersi accollata una simile emergenza. Ultimamente, per timore che saltassero fuori delle tensioni sociali, che sono già tangibili fra siriani e iracheni, la Siria sta facendo pressione sulla comunità internazionale affinché intervenga, così come le Nazioni Unite. Teniamo conto che i Paesi occidentali per ora hanno fatto troppo poco. Sembra che qualcosa si stia muovendo. Anche perché la Siria, da una settimana, ha deciso che i nuovi arrivati iracheni dovranno chiedere un visto e un visto sarà molto difficile ottenerlo. Allora, il dilemma è: lasciare questi iracheni in Iraq, vittime di una guerra civile che diventa sempre più feroce? Oppure, lasciare che si crei un esercito di profughi in Siria, senza alcuna speranza? E’ probabile, quindi, che vi siano conferenze per cercare di risolvere o arginare questo problema anche con degli interventi.
D. - L’ideale sarebbe quindi porre fine alla situazione bellica in Iraq, per poi risolvere tutti i problemi conseguenti…
R. - Senza dubbio questa sarebbe la via d'uscita. Ma parlando con gli esperti del settore, tutti sono molto scettici su una rapida soluzione del problema dell’Iraq. E in ogni caso, in un Paese dove una guerra è degenerata in guerra interconfessionale, i presupposti perché gli iracheni tornino ad una pacifica convivenza tra gruppi sono piuttosto labili e ci vorrà del tempo affinché i vari gruppi interconfessionali possano convivere in pace con loro. Bisogna dimenticare l’odio, bisogna dimenticare le esperienze traumatiche per alcune famiglie.
Il 25.mo anniversario del massacro nei campi palestinesi di Sabra e Chatila ad opera delle milizie libanesi. La testimonianza di Andrea Purgatori
◊ Il 16 settembre del 1982, 25 anni fa, i miliziani libanesi delle falangi, con il supporto e la copertura degli israeliani, entrano a Sabra e Chatila, due campi di rifugiati palestinesi alla periferia di Beirut. In cerca di vendetta per l’assassinio, due giorni prima, del fondatore delle falangi, il presidente libanese Gemayel, i miliziani danno il via a tre giorni di massacro indiscriminato. Alla fine, saranno migliaia i morti tra i palestinesi. Servizio di Francesca Sabatinelli:
Quando la mattina del 18 settembre, i primi testimoni entrano nei campi di Sabra e Chatila si trovano di fronte decine e decine di cadaveri ammucchiati sotto il sole - vecchi, donne, bambini e giovani – massacrati ed orrendamente mutilati. “Lo scenario va al di là di ogni immaginazione”, riportano le cronache di allora. Andrea Purgatori arriva a Beirut poco dopo, come inviato del Corriere della Sera:
“Il ricordo è quello d una situazione di grande desolazione, di grande terrore. Questo massacro segnò i sopravvissuti in modo definitivo, irrevocabile. I racconti che facevano erano segnati anche dalla consapevolezza che quello che avevano visto non sarebbe finito e per molti di loro, forse, è stato così. Vorrei ricordare che all'epoca c'era chi era stato segnato già dal massacro di Tell el-Zatar: una cosa che può sembrare lontanissima nel tempo, ma che in realtà appartiene agli anni Settanta ed è un'altra strage di palestinesi che ha segnato la storia di quel popolo”.
In assenza della forza multinazionale, ripartita poco prima, scatta la rappresaglia per la morte di Gemayel e in tre giorni le milizie libanesi, con la complicità dell’esercito israeliano, compiono la carneficina: si parla di oltre duemila morti tra i civili palestinesi. Ancora Andrea Purgatori:
“Questo massacro è avvenuto in un momento scelto con grande cura, anche dal punto di vista mediatico: c’era stata la smobilitazione degli inviati dei grandi giornali internazionali. Erano presenti soltanto le agenzie a Beirut, proprio perché sembrava che non dovesse accadere nulla. C’era, quindi, anche la certezza che quello che si stava preparando e che poi sarebbe accaduto non avrebbe avuto questo impatto sul piano internazionale e mediatico. Infatti, tutte le testimonianze che si hanno, sono testimonianze raccolte a posteriori. In conseguenza del massacro di Sabra e Chatila furono mandati i contingenti della forza internazionale in Libano, tra cui quello italiano che si occupò poi proprio di garantire la sicurezza in uno dei campi, quello di Chatila".
Le notizie del massacro fanno il giro del mondo; suscitano indignazione; il Consiglio di sicurezza dell’ONU lo condanna con una Risoluzione. Ma come allora nessuno mosse un dito per fermare, così ad oggi non ci sono colpevoli. L’unica inchiesta ufficiale aperta è quella delle autorità israeliane, che accusarono come responsabile materiale della strage Elias Hobeika, capo delle milizie cristiano-falangiste, e come responsabile indiretto l’allora ministro della Difesa israeliano, Ariel Sharon. Hobeika è morto in un attentato nel 2002, dopo aver dichiarato di voler fare rivelazioni. Sharon, dopo essere stato costretto alle dimissioni, è rientrato nel governo, fino a diventarne il capo: dal 2006, versa in stato di coma.
Solenni celebrazioni, nelle Marche, per l'odierna Festa liturgica di San Giuseppe da Copertino, patrono degli studenti. Intervista con l'arcivescovo di Ancona, Edoardo Menichelli
◊ Dovette abbandonare la scuola per povertà e malattia, ma ebbe il dono della scienza infusa e venne proclamato Santo Patrono degli studenti. Oggi, la Chiesa ricorda San Giuseppe da Copertino, sacerdote vissuto nel 17.mo secolo tra la Puglia e le Marche. Stamani, presso la Basilica di Osimo, a lui intitolata, il cardinale Salvatore De Giorgi, arcivescovo emerito di Palermo, ha presieduto la solenne Celebrazione eucaristica, insieme ai provinciali delle Famiglie francescane marchigiane e ai parroci locali. E alle 19, una Santa Messa sarà presieduta dall’arcivescovo di Ancona-Osimo, Edoardo Menichelli. A lui, Roberta Moretti ha chiesto quale eredità lasci questo Santo ai giovani di oggi:
R. - Lascia fondamentalmente un messaggio di semplicità, quella che la Parola del Signore chiama la sapienza del cuore. San Giuseppe da Copertino è conosciuto come un Santo che non sapeva nulla e lui stesso confessa di essere stato ammesso agli Ordini sacri per grazia della Madonna. Nonostante fosse non molto dotato sul versante strettamente intellettuale e culturale, ha saputo seminare ed accogliere nel suo cuore questa sapienza divina che lo ha reso celebre. Credo che gli studenti possano trovare in questo Santo l’invito ad andare alla ricerca di quello che conta veramente: certo lo studio, certo il sapere, certo la professionalità, ma accanto a tutto questo il gusto delle cose interiori, le cose di Dio, che danno la vera gioia nello spirito e nella vita stessa.
D. - Quanto è forte la devozione dei giovani, specie quelli dell’arcidiocesi di Ancona-Osimo, nei confronti di questo Santo?
R. – C’è un andare continuo al Santuario. Naturalmente, tutto questo è ben nutrito dai Frati conventuali che lo custodiscono. Accanto a questo, ci sono anche delle tappe annuali come l’inizio dell’anno scolastico, in cui ci si ritrova accanto al vescovo nel Santuario, con una grande partecipazione. Io stesso all’inizio di ogni anno scrivo un messaggio ispirato alla spiritualità di San Giuseppe, invitando i ragazzi a vivere il tempo dello studio con un certo stile. Anche a livello regionale, nelle Marche, comincia ad essere sempre più frequente visitare il Santuario.
D. - Che esperienza hanno portato i giovani di Ancona-Osimo di ritorno dall’incontro con il Papa a Loreto?
R. - Fondamentalmente un grande entusiasmo, che avevamo già percepito nei giorni dell’accoglienza dei gruppi giovanili in diocesi. Hanno poi riscoperto l’amore del Papa: c’è stata una simbiosi singolare tra l’esuberanza giovanile e la pacatezza paterna del Santo Padre. Tutto questo ha toccato il cuore di molti giovani e li sta ora aiutando a riscoprire maggiormente il senso della Chiesa.
Rispondere alle sfide delle nuove povertà e dialogare con le nuove generazioni: è l'obiettivo delle Figlie di San Paolo, che hanno rieletto superiora generale, madre Antonietta Bruscato
◊ Operare con fede, energia spirituale e immaginazione nuova: sono gli obiettivi delle Figlie di San Paolo che, riunite in questi giorni ad Ariccia per il loro Capitolo generale, hanno rieletto madre Antonieta Bruscato superiora della congregazione. Tra gli impegni che le religiose intendono portare avanti, il dialogo con gli intellettuali e i comunicatori per una pastorale della cultura. Oggi, le Editrici delle Paoline nel mondo sono 30, le librerie 240. La Congregazione lavora anche in diverse emittenti radiofoniche e televisive e per l’educazione alla lettura della comunicazione e ad un atteggiamento critico di fronte ai media ha dato vita a 5 Scuole di Comunicazione. Presenti in 52 nazioni con 248 comunità, per un totale di 2.490 religiose, le Paoline stanno ora avviando fondazioni in Sud Sudan, Indonesia e America centrale. Ma quali sfide pastorali si preparano ad affrontare oggi le Figlie di San Paolo? Davide Dionisi lo ha chiesto a madre Bruscato:
R. - Anzitutto, la formazione: siamo in un tempo di cambiamenti molto veloci e sentiamo, quindi, la necessità di aggiornarci continuamente dal punto di vista culturale, ma anche carismatico e professionale. Oggi si parla molto della formazione dottrinale, teologica, biblica, anche considerando quella che è la realtà attuale e particolarmente in rapporto ai mezzi di comunicazione e con una conseguente formazione professionale. La seconda sfida riguarda, invece, la realtà attuale e quindi le nuove povertà, le frontiere, i deserti, dove noi dobbiamo in particolare modo attuare quei mezzi di comunicazione. C’è poi un’altra sfida che investe il dialogo con le nuove generazioni, con i giovani, che si affacciano alla nostra congregazione. Una delle sfide è lavorare con i laici nei vari ambiti: con i laici collaboratori, i laici cooperatori, i volontari. Dobbiamo aprire il nostro cuore e le nostre porte a questa collaborazione.
D. - Il vostro carisma è la comunicazione. Oggi, il circo mediatico ha stili e toni diversi rispetto a quella che è stata un tempo la comunicazione e che è ancora oggi la comunicazione di stampo paolino. Come conciliare queste due visioni?
R. - Come dice il Vangelo: dal nostro tesoro tiriamo fuori cose antiche e cose nuove. Noi continuiamo a lavorare con i mezzi tradizionali, con la stampa, con gli audiovisivi, con le immagini e siamo entrate decisamente anche nei nuovi mezzi, come per esempio Internet. La Congregazione gestisce una quarantina di siti in Internet e abbiamo anche diverse librerie e diverse riviste online.
D. - Voi avete scelto come tema per il capitolo “Scelte amate da Cristo Gesù per comunicare la parola a tutti”. Perché questa scelta?
R. - Viviamo in un contesto di allontanamento da Dio, anche se c’è una grande sete di Dio. Dilaga però il relativismo. Abbiamo allora desiderato rafforzare i valori, le convinzioni della nostra scelta vocazionale. In Paolo vogliamo trovare o ritrovare le motivazioni che orientano, che danno forza, che danno ispirazione alla nostra vita. E’ molto importante anche sentirci amate, amate da Dio, per potere a nostra volta offrire questo amore alle persone cui noi vogliamo comunicare la Parola di Dio, attraverso la comunicazione che è il mezzo del nostro apostolato.
Aperta la X Riunione continentale della Rete informatica della Chiesa in America Latina (RIIAL)
◊ Con la Santa Messa presieduta dal cardinale Óscar Rodríguez Maradiaga, arcivescovo di Tegucigalpa, e con la sessione inaugurale, si è aperta ieri la X Riunione Continentale della Rete Informatica della Chiesa in America Latina (RIIAL), che si tiene a Tegucigalpa (Honduras) con la partecipazione di oltre 60 rappresentanti di Paesi dell'America Latina e dell’Europa. L'incontro ha come tema "La povertà oggi è povertà di conoscenza e dell'uso e dell’accesso alle nuove tecnologie". Nelle parrocchie dell’Honduras si sono cominciate a creare scuole di informatica e di Internet, che permettono di “alfabetizzare informaticamente” i bambini e i giovani che non hanno accesso a queste tecnologie, e si sta studiando la possibilità di sollecitare la distribuzione di computer portatili tra gli studenti del Paese. Mons. Claudio Celli, presidente del Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali, nel suo discorso inaugurale intitolato "Sfide della comunicazione ecclesiale", ha sottolineato l'importanza della RIIAL per il Pontificio Consiglio, ricordando gli inizi della rete, propiziati dal CELAM e dal Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali, per sollecitare l'uso delle nuove tecnologie. Il X Incontro Continentale della RIIAL ha come obiettivi generali quelli di progettare nuove forme di presenza e di servizio della RIIAL nel Continente, alla luce della Missione Continentale indetta dalla V Conferenza Generale di Aparecida. Si intende anche analizzare i servizi della RIIAL secondo la realtà continentale di oggi, approfittando al massimo del nuovo panorama tecnologico e culturale multimediale. L'incontro vuole offrire infine ai vescovi nuovi criteri e politiche pratiche per migliorare la presenza evangelizzatrice della Chiesa nella cultura digitale. (A.L.)
L'Ordine dei Domenicani esprime in una nota il proprio disaccordo sull'opuscolo pubblicato dai confratelli olandesi nel quale si chiede, anche per i laici, la possibilità di presiedere l'Eucaristia
◊ L’Ordine dei Domenicani ha diffuso un comunicato sul libretto “Chiesa e ministero” diffuso in Olanda a fine agosto dai Domenicani olandesi in 1300 parrocchie del Paese. Nell’opuscolo si propone che a presiedere l’Eucaristia, in mancanza di sacerdoti, siano anche laici, “senza che ci sia differenza fra uomo o donna, omo o eterosessuale, sposato o celibe". La brochure - rileva l'Ordine dei Domenicani - è “una sorpresa”. La "mancanza di vocazioni" - si legge nel comunicato - è urgente, "specialmente in alcune parti del mondo". I nostri fratelli domenicani olandesi "mostrano la loro inquietudine e il desiderio di dialogare su questo tema". Ma il metodo e la soluzione indicati – si legge ancora nel testo – non sono salutari per la Chiesa e non sono in armonia con la tradizione. A questa inquietudine - fa notare l'Ordine dei Domenicani - si deve rispondere con "una riflessione teologica pastorale prudente tra la Chiesa intera e l'ordine Domenicano". Sul libretto si è espresso anche il vescovo emerito di Breda, mons. Huub Ernst, secondo cui l'opuscolo è “in contrasto con la dottrina della Chiesa cattolica”. Il testo in questione, ha aggiunto il presule, “riflette tesi vicine a padre Edward Schillebeeckx”, che negli anni ‘80 finì sotto l’esame della Congregazione per la Dottrina della Fede, guidata dall’allora cardinale Joseph Ratzinger. Benedetto XVI ha più volte riaffermato la dottrina della Chiesa in merito al ruolo del sacerdote quale guida della comunità e unico soggetto autorizzato a celebrare la Santa Messa. (A.L.)
In Sri Lanka, mons. Ranjith incontra il presidente Rajapakse ed il capo politico delle Tigri Tamil, invitandoli a riprendere il dialogo di pace
◊ L’esame della difficile situazione dei profughi e un colloquio con il capo dell’ala politica delle Tigri Tamil, S.P. Thamilselvan, per affrontare il problema delle famiglie che hanno lasciato le loro case e raccomandare passi in direzione della pace. Questo il bilancio della visita compiuta nella zona di Madhu, in Sri Lanka, da mons. Malcolm Ranjith, segretario della Congregazione vaticana per il Culto divino e la disciplina dei sacramenti, accompagnato da mons. Rayappu Joseph, vescovo di Mannar e da padre Demian Fernando, direttore della Caritas dello Sri Lanka. Intervistato dall’Agenzia AsiaNews, mons. Ranjith rivela che Thamilselvan , nell’incontro avvenuto il 13 settembre, ha sostenuto che “colloqui di pace sono possibili, ma negoziando solo sulla base delle condizioni concordate con l’accordo per il cessate il fuoco del 2002”, ma che la prosecuzione dell’offensiva militare del governo di Colombo contro le Tigri Tamil, li stanno facendo diradare. Il presule ha invitato il capo politico delle Tigri Tamil a riprendere il dialogo di pace ed a rinunciare agli attacchi. “Eravamo andati ad incontrare Thamilselvan, - precisa Mons. Ranjith – solo per affrontare i problemi dei profughi ma nel corso dei colloqui non poteva non emergere la questione delle Tigri Tamil”. A Colombo Mons. Ranjith ha incontrato anche il presidente srilankese Rajapakse con il quale ha affrontato la difficile situazione nel nord e nell’est del Paese ed ha insistito sulla necessità di riprendere il dialogo di pace con la guerriglia Tamil. (R.P.)
Il governo somalo teme un'imminente catastrofe umanitaria: per la FAO sono più di 80 mila i bambini che soffrono di malnutrizione cronica
◊ C'è un imminente rischio di catastrofe umanitaria in Somalia se non ci sarà un rapido ed incisivo intervento della comunita' internazionale. Lo ha detto il ministro dell'Interno somalo poco dopo la diffusione di rapporti allarmanti: secondo un'indagine della FAO sono almeno 83 mila bambini delle regioni centrali e meridionali della Somalia che soffrono di malnutrizione cronica. La situazione è drammatica anche perché l’emergenza alimentare sta interessando zone che normalmente garantiscono la copertura di almeno una parte del fabbisogno alimentare del Paese. Per cercare di rispondere a questa emergenza – riferisce l’Agenzia MISNA – la Croce Rossa Internazionale sta elaborando piani per distribuire semi e prodotti alimentari per almeno 26 mila famiglie. Il programma alimentare mondiale (PAM) delle Nazioni Unite dovrebbe poi fornire aiuti in grado di provvedere ai bisogni di oltre un milione di persone. Si stima che, su una popolazione di circa 10 milioni di abitanti, le persone che hanno assoluto bisogno di aiuti umanitari siano circa un milione e mezzo. Con il persistere dei combattimenti, soprattutto nella capitale Mogadiscio, si teme adesso un ulteriore peggioramento della situazione. Contro il governo ad interim somalo, riconosciuto come legittimo dalla comunità internazionale e appoggiato dalle truppe inviate dall’Etiopia, continuano infatti gli attacchi da parte di gruppi di ribelli vicini alle Corti islamiche. (A.L.)
Nelle Filippine, a causa della povertà molti bambini vengono sfruttati, non vanno a scuola e non ricevono il Battesimo: la denuncia di una ONG cattolica locale
◊ Le Filippine, con l’85 per cento degli abitanti che abbracciano la fede cristiana, sono il primo Paese cattolico del continente asiatico. Eppure, a causa della miseria, oltre 10 milioni di bambini non vengono battezzati. A denunciarlo è un’organizzazione non governativa cattolica locale, la “Hulog ng Langit” Foundation (Fondazione “Inviati dal cielo”), ripresa dall’agenzia Fides. Spesso la famiglie più povere evitano di far battezzare i propri figli per incuria o vergogna della propria condizione di indigenza. L’associazione, nata nel 2005, cerca di aiutare economicamente le famiglie a far impartire ai loro figli il Sacramento. Grazie al sostegno della fondazione e della Caritas locale, recentemente a Manila si è svolta una celebrazione collettiva, in cui oltre 8.500 bambini sono stati battezzati. Ma nella società filippina, in cui la cifra di abitanti che vive al di sotto della soglia di povertà è in aumento, i bambini soffrono ogni tipo di privazione. A causa della povertà spesso restano privati di un’educazione sociale, culturale e religiosa. Ma soprattutto vengono coinvolti nel giro della prostituzione minorile: attualmente sarebbero circa 100 mila i bambini implicati in questo orribile racket. Frequentemente, scrive l’agenzia Fides, i familiari giustificano lo sfruttamento dei bambini con le condizioni economiche disperate in cui versa la famiglia. Per questa motivo la Fondazione “Hulog ng Langit” si interessa alle famiglie più povere, nel tentativo di strappare i piccoli dalla strada. (V.F.)
Ad ottobre, il primo Simposio internazionale dell’Opera don Calabria sullo sfruttamento dei bambini
◊ Bambini sfruttati, abusati, bambini soldato, bambini lavoratori, bambini di strada. Sono “il popolo dei bambini che vivono nell’ombra”, cui è dedicato il primo simposio internazionale organizzato a Verona dall’Opera Don Calabria in occasione del suo centenario. San Giovanni Calabria, morto nella città veneta nel 1954, dedicò la sua vita ad aiutare i fanciulli in difficoltà. In memoria del suo impegno e con l’obiettivo di proporre soluzioni concrete, il simposio “Children in the Shadow” si svolgerà a Verona dal 4 al 6 ottobre prossimi. Agli incontri parteciperanno docenti, sacerdoti e operatori umanitari, che forniranno una fotografia delle difficili condizioni infantili nel mondo e proporranno le loro esperienze di intervento. Dall’Europa dell’Est a Gaza, dall’Angola al Congo, dall’India al Brasile, oltre 860 milioni di bambini vivono ancora nell’ombra, schiavi di povertà, prostituzione, violenza, stregoneria. L’evento verrà aperto da mons. Adelio Tomasin, vescovo della diocesi brasiliana di Quixada e rettore dell’Università Cattolica di Cearà, che al termine della tre giorni celebrerà la santa Messa a San Zeno in Monte per la festa di San Giovanni Calabria. (V.F.)
Polonia: compie 75 anni la “Societas Christi pro Emigrantibus”, dedicata alla cura pastorale degli emigranti
◊ La “Societas Christi pro Emigrantibus”, fondata l’8 settembre 1932 dal cardinale Augusto Hlond, Primate di Polonia, e dedita alla cura pastorale dei polacchi emigrati, ha celebrato in questi giorni il suo 75.esimo anniversario di vita. Nel duomo di Poznań, si è svolta la solenne celebrazione eucaristica, presieduta dal card. Adam Maida, metropolita di Detroit, mentre l’omelia è stata tenuta dal Primate di Polonia, card. Józef Glemp. Alla celebrazione hanno partecipato molti vescovi, tra il quali il metropolita di Poznań, mons. Stanisław Gądecki, il Presidente del Senato polacco, il prof. Marek Ziółkowski, il Rettore dell’Università Cattolica Giovanni Paolo II di Lublin, il professor Stanisław Wilk, salesiano. Numerosi i rappresentanti della Società di Cristo provenienti da vari continenti. Nell’omelia il cardinale Glemp, parlando dello straordinario e sacrificato apostolato che i membri della “Societas Christi pro Emigrantibus” svolgono, ha sottolineato come essi siano ancora oggi in perfetta sintonia con il grande desiderio del loro fondatore, quello cioè di condurre la gente a Gesù, specie coloro che si sono allontanati a causa delle enormi difficoltà sociali, politiche e culturali. Il cardinale Glemp ha ricordato come il Servo di Dio cardinale Augusto Hlond fosse un uomo capace di guardare molto lontano e dotato di un grande spirito e di tanto coraggio pastorale. Nel corso della celebrazione non è mancata la preghiera per la beatificazione del cardinale Augusto Hlond. Lo stesso Benedetto XVI si è reso presente attraverso la sua benedizione apostolica a tutta la Società di Cristo, augurando ai membri un fruttuoso servizio pastorale. Il 75.esimo anniversario della “Societas Christi pro Emigrantibus” è stato sottolineato anche con una serie di altri appuntamenti religiosi e culturali. Il 10 settembre ha avuto inizio il Capitolo Generale durante il quale è prevista una verifica del lavoro apostolico svolto, un approfondimento delle nuove problematiche legate emigrazione e l’elezione del nuovo Superiore Maggiore. Attualmente la Società di Cristo conta oltre quattrocento religiosi, ai quali si aggiungono una ventina di novizi. (A. M.)
“Il futuro presidente libanese sia equidistante dai fronti politici”: è l’appello del patriarca maronita, Nasrallah Sfeir
◊ In Libano, il patriarca maronita Nasrallah Sfeir è tornato a parlare delle imminenti elezioni presidenziali, in programma per il 25 settembre. L’elezione “deve svolgersi, nessuno può boicottare la nazione”, ha detto il cardinale. Il quale ha espressamente chiesto, come riferisce l’agenzia AsiaNews, che il futuro capo di Stato abbia un’eguale distanza dagli opposti fronti politici, “le mani pulite e un cuore puro per poter unire il popolo”. Nell'alchimia politica del Paese dei cedri, il presidente della Repubblica è un cristiano maronita e ciò spiega l'attenzione con la quale tutte le parti politiche guardano al patriarca. Il cardinale Sfeir ha confermato di non avere intenzione di fare nomi sull’appoggio dell’episcopato ad uno dei candidati, ma nel Paese si guarda con attenzione alla riunione mensile, in programma per domani, dei vescovi maroniti. (V.F.)
Eletto il nuovo priore generale dei Carmelitani: è padre Fernando Millán Romeral
◊ Padre Fernando Millán Romeral è stato eletto priore generale dell’Ordine Carmelitano durante il Capitolo Generale in corso a Sassone (vicino Roma) e incentrato sul tema “In obsequio Jesu Christi – Comunità orante e profetica in un mondo che cambia”. Padre Millán - riferisce l'agenzia Zenit - è professore presso la Facoltà di Teologia dell’Università di Comillas, membro dell’Institutum Carmelitanum e consigliere di formazione della sua provincia religiosa. Durante l'assise, che si concluderà il prossimo 22 settembre, sono state prese in esame le sfide che un mondo in continuo cambiamento pone ai carmelitani. Il capitolo si sta celebrando nell'occasione dell’ottavo centenario della consegna da parte di Sant’Alberto, patriarca di Gerusalemme, della Formula vitae cui si ispirano gli eremiti latini. Lo scorso 5 settembre il Papa ha inviato ai carmelitani un messaggio sottolineando come sia necessario “indossare la corazza della giustizia” per proteggersi delle insidie del mondo. La vocazione – si legge poi nel testo – è la salita al "monte della perfezione", ma “non è per nulla facile vivere fedelmente questa chiamata”. I carmelitani sono presenti in 42 Paesi con circa 2 mila sacerdoti e fratelli, 800 monache di clausura e migliaia di laici. (A.L.)
Conferito ad una avvocatessa impegnata presso il Jesuit Refugee Service il Premio Nansen 2007 per i Rifugiati
◊ L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) ha annunciato questa mattina che il Premio 2007 Nansen per i Rifugiati (Nansen Refugee Award) verrà conferito a Katrine Camilleri, 37 anni, avvocato presso il Jesuit Refugee Service (JRS) impegnata nella difesa dei diritti di rifugiati e migranti. "Il Comitato – si legge nella motivazione – esprime apprezzamento per gli sforzi incessanti di Katrine Camilleri nel richiamare l'attenzione sui diritti dei rifugiati e nel sostenere la loro causa. Il Comitato del Premio Nansen vuole inoltre “rendere omaggio a tutte le persone che si sforzano di migliorare le condizioni dei rifugiati”. A Malta, a causa dell’aumento del numero di richiedenti asilo e di migranti, l' immigrazione irregolare è divenuta una tematica politica di primo piano. Il Jesuit Refugee Service ha iniziato a fornire assistenza ai richiedenti asilo detenuti, lanciando progetti di assistenza sociale. Il Premio Nansen per i Rifugiati viene conferito annualmente ad una persona o ad un’organizzazione che si sia distinta per i suoi sforzi a favore dei rifugiati. (A.L.)
Almeno 20 persone morte e 50 ferite a Baghdad, mentre la Rice si scusa per la sparatoria della Blackwater - Una ventina di soldati pakistani uccisi da ribelli islamici - Una missione di altissimo livello di “grandi vecchi” per il Darfur: tra gli altri, Desmond Tutu e Nelson Mandela
◊ - Una ventina di morti e una cinquantina di feriti: è il triste bilancio delle ultime ore di sangue a Baghdad. Tre gli attentati: prima l’esplosione vicino al Ministero della sanità a Baghdad, che ha ucciso almeno cinque persone e ne ha ferite 5. Poi, l'esplosione di un'autobomba in un mercato popolare, che ha privato della vita sette persone e ne ha ferite almeno 23. Quindi, un’altra autobomba in un’altra zona di mercato non lontano da Sadr City: almeno 8 i morti in questo caso e 22 i feriti. Intanto, per la vicenda della società statunitense Blackwater è intervenuta il segretario di Stato statunitense, Condoleezza Rice. Il nostro servizio:
Nel corso di una telefonata al premier iracheno Nuri al Maliki, Condoleezza Rice ha presentato “le sue scuse personali e quelle del governo americano” per quello che definisce l’incidente accaduto domenica nella piazza al Nousur (Piazza delle Aquile) a Baghdad, dove alcuni contractors della ditta americana Blackwater hanno aperto il fuoco uccidendo e ferendo numerosi civili: secondo fonti diverse, tra gli otto e gli undici morti, e 13 feriti. Secondo l’ufficio del premier, Al Maliki e Rice si sono accordati affinché venga aperta un’inchiesta “equa e trasparente” sull’accaduto, per appurare la verità e “punire i responsabili”. La Rice ha anche assicurato che “gli Stati Uniti prenderanno immediatamente tutte le misure necessarie affinché un incidente del genere non si ripeta più”. Le autorità irachene fanno sapere che in ogni caso sarà rivisto lo status di tutte le compagnie di sicurezza straniere e locali che lavorano nel Paese. Da parte sua, il movimento radicale sciita iracheno di Moqtada al Sadr ha chiesto l’interdizione di tutte le società di sicurezza private straniere presenti in Iraq. Mentre resta da dire che il numero di oggi del settimanale americano Time, citando un rapporto delle autorità USA, fornisce dell'episodio una versione differente: la sparatoria sarebbe scoppiata dopo che il convoglio sarebbe stato bersagliato con tiri di armi leggere provenienti da più punti”.
- Combattenti islamici hanno ucciso 18 soldati pakistani nella regione tribale del nord del Paese, il Waziristan. I soldati sono stati uccisi sabato notte, ma solo oggi se ne ha notizia. Intanto, il presidente del Pakistan, Musharraf, ha annunciato che lascerà le sue funzioni di capo dell'esercito dopo che si saranno tenute le elezioni presidenziali, se sarà eletto per un nuovo mandato. La sua carica di capo delle Forze armate - cha ha mantenuto dal colpo di Stato che lo portò al potere nell’autunno del 1999 - costituisce la principale obiezione dell’opposizione alla candidatura alle presidenziali di Musharraf, il cui mandato scade il 15 ottobre prossimo. E il principale ostacolo a un accordo con l’ex premier, signora Benazir Bhutto, tornata di recente da un lungo esilio.
- Le truppe afghane e internazionali hanno comunicato di aver ucciso la notte scorsa almeno 10 taleban, tra cui un comandante implicato nel rapimento, lo scorso luglio, di 23 evangelici sudcoreani nel sud dell’Afghanistan.
- Un giovane palestinese e un soldato israeliano sono stati uccisi stamani nel campo profughi di Ein Bet-Ilma, a Nablus in Cisgiordania, e un altro soldato è rimasto ferito, durante uno scontro a fuoco iniziato alle prime luci dell’alba. La scorsa notte un altro adolescente palestinese era stato ucciso dal fuoco israeliano nella città Cisgiordana di Ramallah. Secondo fonti palestinesi, si è trattato di un errore dei soldati impegnati a disperdere manifestanti che lanciavano sassi. Fonti militari israeliane hanno replicato che i soldati hanno diretto il fuoco verso “un terrorista armato”.
- Nepal: gli ex ribelli maoisti nepalesi, che dallo scorso anno fanno parte del governo ad interim di Kathmandu, hanno deciso di lasciare l’esecutivo. Il motivo dichiarato è il fallimento della trattativa fra i maoisti e il premier per l’abolizione della monarchia. I ribelli maoisti nel 2006 firmarono una storica pace con i partiti istituzionali nepalesi, mettendo fine ad una sanguinosa guerra civile che in un decennio ha provocato la morte di almeno 13.000 persone. In base all’accordo di pace, la sorte della monarchia dovrà essere decisa da una speciale assemblea, i cui membri saranno eletti dal popolo il prossimo 22 novembre. Ma i maoisti, che da sempre chiedono la fine della monarchia, insistono che sia proclamata la Repubblica prima delle elezioni, e inoltre accusano re Gyanendra e i suoi sostenitori di cercare di sabotarle. Il governo, nell’ultimo anno, ha già sottratto al sovrano quasi tutti i suoi poteri, fra i quali il controllo sull’esercito. L’uscita dal governo di unità nazionale potrebbe mettere in pericolo il futuro della pace, anche se per ora i maoisti annunciano solo che lanceranno proteste di piazza per assicurare che l’elezione dell’assemblea costituente avvenga nei tempi stabiliti. La prima manifestazione con la quale annunceranno la loro campagna è stata indetta nel centro di Kathmandu per questa sera.
- Il premier uscente Costas Karamanlis vincitore, anche se di stretta misura, delle elezioni di domenica scorsa in Grecia, oggi annuncerà il nuovo governo. Il suo partito di centrodestra Nea Demokratia (ND) si è aggiudicato la vittoria con il 41,84% delle preferenze - 152 dei 300 seggi del Parlamento unicamerale. Al secondo posto, con quasi quattro punti percentuali di distacco (38,10), si è piazzato il Partito panellenico socialista (PASOK), guidato da George Papandreou, che ha ottenuto 102 seggi contro i 117 che aveva in precedenza. Nessuno dei due principali Partiti greci, quindi, ha vinto e i voti - più che altro di protesta - sono stati indirizzati a sinistra del PASOK e a destra di ND, soprattutto sul partito comunista (KKE) che è passato dal 5,90% della consultazione del 2004 all’8,15%. Ma la sorpresa della consultazione di domenica è stata il successo di La.Os. (Allerta Ortodossa Popolare), del leader Yiorgos Karatzaferis, il primo Partito di estrema destra greco a rientrare in Parlamento dalla fine della dittatura dei colonnelli nel 1974. Il La.Os. ha ottenuto il 3,8% dei voti, superando così lo sbarramento del 3% e conquistando 10 seggi.
- Svolta politica in Sierra Leone. Il capo dell’opposizione, Ernest Bai Koroma, è da ieri il nuovo presidente del Paese. Nel ballottaggio per le presidenziali dell’8 settembre scorso, ha avuto la meglio sul candidato governativo, il vicepresidente uscente, Solomon Berewa, che avrebbe dovuto essere il continuatore della linea del capo dello Stato uscente, Tejan Kabbah. Il servizio di Giulio Albanese:
Ernest Koroma ha raccolto il 54,6 per cento delle preferenze, mentre il suo rivale Solomon Berewa, candidato del partito di maggioranza, il "Sierra Leone People's Party", si è fermato al 45, 4 per cento dei suffragi. In sostanza è stata bocciata la linea politica del capo di Stato uscente, Ahmad Tejan Kabbah, di cui Berewa doveva essere il continuatore. Le responsabilità e i compiti di Koroma sono assai ardue, non fosse altro perché la Sierra Leone - è bene rammentarlo - è ancora decisamente in alto mare, a partire dall’analfabetismo e dalla disoccupazione che volano oltre la soglia del 60 per cento. Basti pensare, poi, che il salario medio annuale pro capite è di soli 220 dollari, nonostante le immense ricchezze del sottosuolo. (Per la Radio Vaticana, Giulio Albanese)
- Una missione di altissimo livello di “grandi vecchi” per cercare strade utili a bloccare la tragedia del Darfur è stata annunciata da Desmond Tutu, icona della lotta per la libertà e contro il razzismo in Sudafrica e nel mondo, Nobel per la Pace, arcivescovo emerito anglicano di Città del Capo. Oltre a Tutu, faranno parte della missione - la cui data non è stata ancora fissata - tra gli altri, Nelson Mandela, sua moglie Graça Machel (vedova del ‘padre’ del Mozambico Samora, molto impegnata in iniziative umanitarie), e l’ex presidente americano, Jimmy Carter. Si tratta della prima uscita ufficiale del gruppo dei “vecchi saggi”, lanciato quest’anno da Nelson Mandela, in occasione del suo 89.mo compleanno, il 18 luglio scorso. Intanto, l’ONU denuncia che la situazione in Darfur si fa sempre più drammatica, anche a causa delle piogge torrenziali che stanno sconvolgendo gran parte dell’Africa subsahariana. In Darfur, martoriata regione del Sudan occidentale, si calcola che da quando, nel febbraio del 2003, è scattata un’insurrezione della popolazione locale, vessata dal governo centrale, la repressione di Khartoum abbia causato, tra orrori senza fine, oltre 200 mila morti, e circa 2,5 milioni di profughi. A fine ottobre sono previsti colloqui di pace in Libia.
- Una forza di pace africana ed araba sotto comando ONU potrebbe rimpiazzare le truppe etiopiche schierate in Somalia, che, tra combattimenti senza fine, soprattutto a Mogadiscio, di fatto tengono in piedi il Governo federale di transizione (TFG) somalo. Un’intesa in tal senso, tutta però da verificare - e non sarà facile, sul campo - è stata accettata, si apprende da fonti informate, dalla leadership governativa somala nel corso di colloqui al più alto livello - vi ha partecipato di persona il re Abdullah - avvenuti a Gedda, in Arabia Saudita. L’eventuale ritiro degli etiopici dalla Somalia potrebbe aprire a colloqui con l’opposizione somala, che ha appena concluso la sua Conferenza di pace svoltasi all’Asmara, durante la quale ha dato vita all’Alleanza per la Ri-Liberazione Somala (ARLS). Alla dirigenza sono stati chiamati islamici moderati, anche se tra i delegati all’assise c’erano esponenti dell’ala dura, accusata di alleanze con al Qaida, ed ex leader del TFG.
- Il petrolio supera quota 81 dollari e tocca un nuovo record a 81,24 sul mercato elettronico ‘after hours’ di New York. A pesare sulle quotazioni, oltre all’attesa per il dato sulle scorte USA previsto domani, è la riunione della FED in programma oggi, da cui il mercato si aspetta un taglio dei tassi. In un contesto di squilibrio tra la domanda e l’offerta, inoltre, gli analisti di Goldman Sachs hanno alzato la propria previsione sul prezzo del barile, portandolo a 85 dollari entro la fine del 2007, contro i 72 precedenti, “con rischi seri di picchi al di sopra dei 90 dollari al barile”. Per il 2008, invece, la previsione è di 95 dollari al barile.
- E’ in programma, per oggi, un sopralluogo congiunto tra Russia, USA e Azerbaigian alla base radar di Gabala che Mosca ha proposto come alternativa a quella prevista nella Repubblica Ceca dal progetto americano di scudo spaziale nell’Europa dell’est, che la Russia vede come una minaccia alla propria sicurezza nazionale. Lo riferisce l’agenzia Itar-Tass. La delegazione di esperti russi è guidata dal vicecapo di Stato maggiore delle Forze spaziali, Iakushin, il quale la scorsa settimana aveva detto che “è stato fatto un lavoro serio per circa tre mesi e il 18 settembre si dovrebbe passare dalle parole ai fatti”. Tuttavia, Iakushin ha sottolineato che “non c'è alcun colloquio su accordi finali, nessun documento verrà firmato all’incontro di Gabala”. La base radar di Gabala fu attivata nel 1985 per monitorare i lanci di missili balistici nell'emisfero meridionale. Gli esperti sostengono che tale radar controlla i territori di Iran, Iraq, Turchia, Pakistan, India, Cina, Australia e di gran parte dei Paesi africani, come pure delle isole degli oceani Indiano e Atlantico. In base ad un accordo del 2002, Mosca ha in affitto la base per dieci anni e paga annualmente sette milioni di dollari a Baku. Da alcuni mesi, sono in corso negoziati tra Russia e Usa sullo scudo spaziale, con incontri a Washington, Parigi e prossimamente a Mosca.
- La Corea del Nord è tornata oggi a smentire qualsiasi sua fornitura nucleare alla Siria, dopo le voci in tal senso su stampa statunitense. Intanto, il disarmo atomico nordocreano si sarebbe imbattuto in difficoltà diplomatiche connesse con le remore di Pyongyang ad ammettere i processi di arricchimento dell’uranio per scopi militari, smentiti in passato. Lo hanno indicato oggi all'agenzia Kyodo fonti della diplomazia nipponica, sulla scia dell’annuncio cinese del rinvio di una sessione plenaria dei colloqui internazionali a sei sul nucleare nordcoreano inizialmente in programma da domani in Cina. Pechino non ha fornito precisazioni sul rinvio che, stando a indicazioni provenienti dagli Stati Uniti, potrebbe essere di una settimana. Nella prima fase di attuazione di un accordo firmato in gennaio dalle due Coree e da Cina, USA, Russia e Giappone, Pyongyang aveva proceduto a bloccare due mesi fa la centrale atomica di Yongbyon, che in base a una recente intesa con Washington dovrebbe essere smantellata entro fine anno. Durante la prossima riunione a sei, dovrebbero essere presentati in proposito i risultati di un ultimo sopralluogo compiuto in Corea del Nord da esperti cinesi e russi. Ma le citate fonti nipponiche hanno lasciato intendere che il rinvio della prossima sessione di colloqui non sarebbe connesso tanto a motivi tecnici quanto alla formulazione di una dichiarazione congiunta sulla nuova fase di disarmo. Le fonti hanno adombrato che lo stallo in proposito possa prolungarsi notevolmente a causa di altre attività diplomatiche previste nelle prossime settimane, fra cui i preparativi di un vertice a Pyongyang fra il presidente del Sud, Roh Moohyun, e il leader del Nord, Kim Jongil. Fin dall’inizio del nuovo dialogo internazionale con Pyongyang il Giappone vi ha guardato con diffidenza e scetticismo. Ma gli osservatori non escludono che tale intransigenza possa attenuarsi notevolmente dopo le dimissioni a Tokyo del premier ultraconservatore, Shinzo Abe, e la sua probabile sostituzione con un esponente moderato, come Yasuo Fukuda. (Panoramica internazionale a cura di Fausta Speranza)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LI No. 261
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