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SOMMARIO del 11/09/2007

Il Papa e la Santa Sede

  • Domani all'udienza generale in Vaticano Benedetto XVI incontra i fedeli dopo il suo rientro dall'Austria. Il commento di Mons. Valentinetti alle parole del Papa a Vienna e Mariazell
  • Rinunce e nomine
  • Il cardinale Martino a Lourdes: in un mondo che esalta la perfezione fisica dobbiamo annunciare che al primo posto per la Chiesa ci sono malati ed emarginati
  • La crisi dello sport al centro del Seminario internazionale promosso dal Pontificio Consiglio per i Laici
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • La Chiesa etiope celebra il Giubileo dell’anno 2000. L’arcivescovo di Addis Abeba: vogliamo essere speranza per il nostro Paese
  • Rifiutare la logica dello scontro di civiltà: il commento del prof. Baggio a 6 anni dagli attentati dell'11 settembre
  • I cappellani carcerari di tutto il mondo chiedono di abolire la pena di morte e la tortura e di puntare al recupero della persona
  • I cristiani ripartono da Sibiu, più uniti, per riannunciare Cristo all'Europa e al mondo: intervista con mons. Chiaretti
  • Il cardinale McCarrick al Simposio in Groenlandia: tutte le religioni impegnate a salvare la bellezza del Creato
  • Suor Ilia Mittone rieletta superiora generale delle Suore Ancelle Missionarie del Santissimo Sacramento

  • Chiesa e Società

  • I vescovi venezuelani esaminano la riforma costituzionale del presidente Chávez, ispirata al socialismo
  • Grave il bilancio delle alluvioni che in questo fine settimana hanno colpito il nord dell’India
  • L'OMS ha accertato un'epidemia di Ebola in alcune regioni della Repubblica Democratica del Congo
  • Migliaia in fuga dalle loro abitazioni e anno scolastico in crisi per i combattimenti nella regione congolese del Nord-Kivu
  • Messaggio di auguri da parte dell’arcivescovo di Kirkuk, mons Sako, ai musulmani per il Ramadan
  • Nelle Filippine, a Jolo, nasce il “Centro Silsilah” per promuovere la pace ed il dialogo interreligioso
  • Grande partecipazione al pellegrinaggio a Mariamabad, in Pakistan, nonostante le ingenti misure di sicurezza
  • Celebrazioni in Sri Lanka per i 100 anni del Santuario mariano di Matara
  • “Connettere l’Africa” è l’iniziativa lanciata dall’Unione Internazionale delle Telecomunicazioni per sostenere lo sviluppo tecnologico del continente africano
  • In Niger, 60 mila giovani disoccupati reclutati per la salvaguardia ambientale
  • Rapporto americano sui farmaci: aumentano i casi di effetti collaterali gravi negli USA
  • Aperti ieri da mons. Héctor Luis Gutiérrez Pabón, a Bogotà, in Colombia, i lavori del Congresso su "Etica e comunicazione" voluto dal CELAM
  • Appello del cardinale Lehmann, presidente della Conferenza episcopale tedesca, per superare la violenza nei media
  • Dal 12 al 14 ottobre prossimo ad Assisi, presso la Pro Civitate Cristiana, il Convegno su “Bellezza e Giustizia”

  • 24 Ore nel Mondo

  • Nuovo messaggio di Bin Laden in occasione del sesto anniversario dell’11 settembre – Attentati in Afghanistan, con due morti, e in Pakistan, dove le vittime sono almeno 16 sedici
  • Il Papa e la Santa Sede



    Domani all'udienza generale in Vaticano Benedetto XVI incontra i fedeli dopo il suo rientro dall'Austria. Il commento di Mons. Valentinetti alle parole del Papa a Vienna e Mariazell

    ◊   Primo appuntamento pubblico, domani, per Benedetto XVI dopo la visita in Austria: il Papa incontrerà i fedeli nella tradizionale udienza del mercoledì in Vaticano. L’udienza, come avviene di consueto di ritorno da un viaggio apostolico, sarà probabilmente dedicata alla visita pastorale in terra austriaca. Una tre giorni ricca di momenti di grande intensità all’insegna del motto “Guardare a Cristo”. E questo è stato anche il messaggio che il Pontefice ha rivolto ai giovani dell’Agorà di Loreto. Ne è convinto l’arcivescovo di Pescara, Tommaso Valentinetti, intervistato da Alessandro Gisotti:
     
    R. – Credo che i due ultimi momenti pubblici del Papa si siano caratterizzati soprattutto per questa grande chiarezza dottrinale, ma anche per questa profonda spiritualità e richiesta di volgere lo sguardo all’essenziale, a Cristo, il Signore della vita di tutti e, soprattutto, da Cristo viene non tanto la richiesta di un cammino che può, in qualche modo, apparire gravoso, ma quanto il gioioso “sì” di una risposta piena e totale, in una grande amicizia con Lui.

     
    D. – Benedetto XVI, in effetti, ha sottolineato che il cristianesimo è ben altro che un semplice sistema morale, sottolineando che è anzitutto un incontro con una persona, con Gesù Cristo ed ha anche detto che in questa luce il Decalogo non va letto come una serie di divieti, ma come una serie di “sì”, di “sì” a Dio e al prossimo...

     
    R. – Sicuramente si tratta di un tema caro al Santo Padre ed è una ripresa dell’Enciclica iniziale del suo Pontificato Deus caritas est, questo incontro fra la persona e Dio, che è amore, e il trasfondersi dell’amore nella vita delle persone. Dunque non una serie di norme da rispettare, quanto piuttosto – come dice lui stesso – una serie di “sì” da dire e, soprattutto, un “sì” alla vita. Mi è piaciuto moltissimo il riferimento alla vita a 360 gradi, soprattutto alla vita che nasce - nella sua riflessione all’Angelus – e particolarmente nella contemplazione di Cristo bambino. I tanti bambini – cito – che vivono nella povertà, che vengono sfruttati come soldati, che non hanno mai potuto sperimentare l’amore dei genitori, i bambini malati e sofferenti, ma anche quelli gioiosi e sani. Direi che questa è la grande bellezza di questo richiamo, di questo profondo incontro col Signore, perchè il Signore ci dice di vivere in questa dimensione di grande apertura di cuore verso di Lui e verso anche il prossimo.

     
    D. – “Senza Cristo il tempo è vuoto”, ha detto ancora il Papa in terra austriaca. Benedetto XVI ha invitato gli austriaci a riscoprire la domenica come una necessità interiore...

     
    R. – Credo che i temi siano collegati. Se c’è bisogno di questa amicizia con il Signore, se c’è bisogno di dire dei “sì” al suo amore e alla logica del suo amore, tutto questo ha bisogno di spazio, tutto questo ha bisogno di tempo, tutto questo ha bisogno di luogo. La domenica è il luogo di questo grande incontro e – direi – che è il luogo di questo grande esercizio di ascolto del Dio che parla, di celebrazione della santità di Dio. L’Eucaristia, quindi, vissuta come momento di incontro con il Signore e, dunque, con Colui che è l’assoluto della nostra vita e l’esercizio dell’amore come disponibilità a far sì che questo incontro ridondi in abbondanza nei confronti di coloro che ne hanno più bisogno.

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    Rinunce e nomine

    ◊   Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi di Bulawayo, nello Zimbabwe, presentata da mons. Pius Alick Ncube, in conformità al can. 401 § 2 del Codice di Diritto Canonico.
     In Francia, il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi di Bourges presentata da mons. Hubert Barbier per raggiunti limiti di età, e ha nominato nuovo arcivescovo di Bourges mons. Armand Maillard, finora vescovo di Laval. Mons. Armand Maillard è nato il 18 giugno 1943, a Offroicourt (Vosges), nella diocesi di Saint-Dié. Alunno dei Seminari Minori di Martigny-les-Bains e di Autray, ha compiuto in seguito gli studi filosofici e teologici presso il Seminario Maggiore di Saint-Dié. Ha completato quelli teologici presso la Facoltà di Teologia di Strasburgo, ottenendo la Laurea in Teologia. E’ stato ordinato sacerdote il 28 giugno 1970 per la diocesi di Saint-Dié. Ha ricoperto i seguenti incarichi ministeriali: vicario parrocchiale a Remiremont e cappellano degli alunni cattolici nelle scuole pubbliche (1971-1976); direttore diocesano della catechesi e responsabile diocesano del diaconato permanente (1976-1987); vicario episcopale della diocesi di Saint-Dié (1987-1996). Eletto vescovo di Laval il 2 agosto 1996, è stato consacrato il 5 ottobre successivo. Nella Conferenza episcopale francese è stato membro della Commissione per i Ministeri ordinati; dal 2005 è membro del Consiglio episcopale per la pastorale giovanile.

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    Il cardinale Martino a Lourdes: in un mondo che esalta la perfezione fisica dobbiamo annunciare che al primo posto per la Chiesa ci sono malati ed emarginati

    ◊   Il cuore di Dio è misericordia e in un mondo che esalta la perfezione fisica la Chiesa deve annunciare la sua opzione preferenziale per i deboli e gli emarginati: è quanto ha affermato ieri pomeriggio il cardinale Renato Raffaele Martino, presidente del Pontificio Consiglio per la Pastorale dei Migranti e degli Itineranti, inaugurando a Lourdes il V Congresso europeo di pellegrinaggi e santuari. Il convegno, incentrato sul tema “Pellegrinaggi e Santuari, cammini di pace, spazi di misericordia”, si svolge nel contesto delle celebrazioni per il 150.mo anniversario delle apparizioni della Vergine Maria a Bernadette. Sull’intervento del cardinale Renato Raffaele Martino, il servizio di Amedeo Lomonaco:


    Il porporato ha detto che l’Europa è la “casa comune dove circolano idee e persone”. “Questo incontro costante – ha aggiunto – è un segno dei tempi che la Chiesa deve interpretare” incoraggiando la fraternità e la solidarietà. Il porporato ha affermato, inoltre, che “dobbiamo essere educatori e dispensatori di spiritualità” come hanno fatto, nel corso dei secoli, i sei Santi compatroni d’Europa (Santa Brigida di Svezia, Santa Caterina da Siena, Santa Teresa Benedetta della Croce, San Benedetto da Norcia e i Santi Cirillo e Metodio). “Il nostro compito – ha detto poi il porporato - consiste nel continuare ad invitare i cristiani e le persone di buona volontà a lasciare la routine quotidiana per mettersi in cammino”. “Ma noi - ha aggiunto - dobbiamo aiutare i pellegrini a trovare il giusto raccoglimento”, come permettono di fare i lunghi percorsi a piedi, per accogliere Dio in profondità. Il pellegrinaggio – ha quindi osservato il cardinale - è un cammino di riconciliazione. La pace è il frutto di uno sforzo costante e i cristiani – ha detto il presidente del Pontificio Consiglio per la Pastorale dei Migranti e degli Itineranti – sono chiamati a lavorare per offrire valori quali “l’amicizia, la solidarietà, la comprensione e la carità”. “E’ importante – ha spiegato il porporato - che ognuno non solo accetti la grande diversità delle culture e delle espressioni di fede, ma che viva in comunione”. Il pellegrinaggio – ha affermato infine il cardinale Martino - è anche spazio della misericordia.” “In un mondo che pone ai margini della società la malattia e la debolezza, per esaltare la bellezza e la perfezione fisica, voi direttori dei pellegrinaggi e rettori dei santuari – ha dichiarato il porporato - offrite la testimonianza che il primo posto per la Chiesa va a coloro che sono dimenticati ed emarginati”. “Voi – ha concluso - ricordate che il cuore di Dio è misericordia, che si riflette sull’uomo creato ad immagine di Dio”.

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    La crisi dello sport al centro del Seminario internazionale promosso dal Pontificio Consiglio per i Laici

    ◊   Si è svolto in questi giorni a Roma (dal 7 all'8 settembre) un Seminario internazionale promosso dal Pontificio Consiglio per i Laici sul ruolo dei cappellani sportivi, sul tema “Sport: una sfida pastorale e educativa”. Una cinquantina i partecipanti, giunti da tutto il mondo. Ma cosa è emerso da questo seminario? Giovanni Peduto lo ha chiesto a mons. Josef Clemens, segretario del dicastero vaticano:


    R. – La prima cosa che abbiamo constatato sono le enormi chance per la Chiesa, perchè come sappiamo miliardi di persone sono legate al mondo dello sport. Quindi, per la Chiesa è una sfida. In un mondo come quello in cui viviamo oggi, dove mancano molti elementi educativi e anche istituzioni educative, la Chiesa, e il cappellano a nome della Chiesa, ha un ruolo fondamentale e molto importante.

     
    D. – Come, a questo proposito, far entrare i valori evangelici in uno sport spesso deformato dagli interessi economici, dal doping, dalla voglia di vincere a tutti i costi?

     
    R. – Prima di tutto il cappellano deve guadagnarsi una certa fiducia, tramite la presenza, la condivisione, e non solo nei grandi eventi. Può portare nel mondo sportivo, che è in una grande crisi – e questo non è un segreto – può portare nuovi elementi, elementi che lo sportivo spesso non riconosce più, perchè è preso dal successo, dalla tentazione dei soldi, dalla pubblicità e da altre cose. Quindi, il cappellano ha un ruolo importantissimo, perché introduce in questo mondo degli elementi etici di umanità e di equilibrio.

     
    D. – Da questo incontro, eccellenza, sono emersi particolari che l’hanno colpita in maniera speciale?

     
    R. – Quello che mi ha colpito molto è che c’è un grande interesse da parte delle grandi istituzioni come il Comitato olimpico e le grandi federazioni. Mi sono meravigliato di questo interesse per la voce della Chiesa. Loro stessi notano che sono in un vicolo cieco e che hanno bisogno di aiuto, di principi etici fondamentali, insomma di un’antropologia equilibrata, che sembra che il mondo dello sport abbia perso.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Servizio vaticano - Un articolo di Giampaolo Mattei dal titolo "Pietro ha conquistato l'Austria con il suo cuore di padre": il pellegrinaggio del Papa per gli 850 anni di fondazione del Santuario di Mariazell.

    Servizio estero - Iraq: svolta nella strategia militare Usa, sì alla graduale riduzione del contingente.

    Servizio culturale - Un articolo di Pasquale Tuscano dal titolo "La tensione morale di una poesia intrisa di grecità": 25 anni dalla morte di Felice Mastroianni.
    Per la pagina dell' "Osservatore libri" un articolo di Angelo Marchesi dal titolo "Un'instancabile azione critica nel contesto della cultura europea": Francesca Bonicalzi offre uno studio accurato sull'opera di Gaston Bachelard. 
     Servizio italiano - In rilievo il tema della finanziaria.

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    Oggi in Primo Piano



    La Chiesa etiope celebra il Giubileo dell’anno 2000. L’arcivescovo di Addis Abeba: vogliamo essere speranza per il nostro Paese

    ◊   Oggi l’Etiopia festeggia l’inizio dell’anno 2000 secondo il particolare calendario etiope, basato su antichi calcoli astronomici egizi e sui calendari copto, ebraico e giuliano. La Chiesa etiopica celebra questo Giubileo con diverse liturgie e svariate iniziative in tutte le parrocchie del Paese. Domenica, nella capitale, è prevista una grande celebrazione eucaristica durante la quale sarà esposta la croce benedetta dal Papa a Loreto proprio per il Giubileo etiopico e che durante l’anno raggiungerà tutte le diocesi del Paese. Tiziana Campisi ha chiesto a mons. Berhaneyesus Demerew Souraphiel, arcivescovo di Addis Abeba, quale significato assume la celebrazione del Giubileo per la Chiesa locale:


    R. - Quest’anno significa molto. Domenica si svolgerà una Messa Solenne, qui, nella cattedrale cattolica di Addis Abeba, con tutti i vescovi dell’Etiopia. Durante la celebrazione riceviamo la croce benedetta dal Papa a Loreto, che poi porteremo in tutte le diocesi, come un segno del fatto che l’Etiopia è un Paese cristiano, antichissimo, e il nostro Signore Gesù Cristo ha sempre protetto questo Paese. Questo millennio è un’occasione speciale per far conoscere l’Etiopia, non come un Paese dove c’è fame, siccità, ma come una Nazione che adesso sta veramente cambiando, attraverso la strada dello sviluppo. E la Chiesa ha un grande ruolo in questo processo volto a mostrare un’immagine diversa dell’Etiopia; la Chiesa vuole far sì che la gente impari a guardare avanti con speranza.

     
    D. - Attraverso questo Giubileo quale messaggio vuole dare la Chiesa ai fedeli?

     
    R. - Noi vogliamo dire ai cristiani di essere fedeli al loro cristianesimo, di approfondire la loro fede, di viverla personalmente, di condividere la spiritualità etiopica, di offrire ospitalità ai poveri, ai malati, soprattutto ai malati di AIDS, e di essere speranza per questo Paese finora conosciuto come un Paese povero, ma che non è povero spiritualmente. Vogliamo inoltre dire ai nostri fedeli di vivere qui, di non pensare di trasferirsi in Medio Oriente, in Europa, in America, perché anche lì non c’è il paradiso. Deve cambiare la situazione qui, attraverso l’educazione, la sanità, lo sviluppo.

     
    D. - Quale realtà vive oggi la Chiesa e verso che cosa si proietta guardando al futuro?

     
    R. - Guardando al futuro noi vogliamo e preghiamo per la pace, perché è il fondamento per lo sviluppo, per cambiare le cose, per convivere con i nostri vicini. Noi viviamo in una parte dell’Africa del nord-est dove c’è instabilità politica e vogliamo cambiare questa situazione affinché la gente e le nazioni possano convivere pacificamente: questo condurrà verso soluzioni permanenti. La Chiesa lavora con tutte le organizzazioni cattoliche per questo scopo e noi siamo veramente contenti e orgogliosi di essere parte della Chiesa cattolica universale. Ovunque la Chiesa cattolica è presente fa parte della Chiesa universale.

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    Rifiutare la logica dello scontro di civiltà: il commento del prof. Baggio a 6 anni dagli attentati dell'11 settembre

    ◊   Gli attentati terroristici alle Torri Gemelle sono percepiti dall'81 per cento degli americani come l'evento più importante della propria vita. E’ sufficiente questo dato, diffuso oggi dalla società demoscopica Zogby International, per comprendere con quali sentimenti il popolo americano commemora in queste ore il sesto anniversario degli attacchi dell’11 settembre 2001. Tuttavia, questa data con il suo carico di sofferenze, appartiene ormai a tutta l’umanità. Gli attentati a Madrid e Londra come in numerosi Paesi islamici moderati ricordano drammaticamente che nessuno può considerarsi immune dagli attacchi terroristici. Siamo dunque destinati a convivere con la paura del terrorismo? Alessandro Gisotti lo ha chiesto al prof. Antonio Maria Baggio, docente di etica politica alla Pontificia Università Gregoriana e profondo conoscitore della realtà americana:


    R. – Ci siamo dentro da alcuni anni in questa situazione. Per la verità il terrorismo è un modo radicale, estremo e terribile nel quale sono emerse delle fratture e dei problemi che c’erano anche precedentemente. Certamente in nessun modo si può giustificare la scelta terrorista. Non c’è niente che può giustificare questo tipo di scelta. Certamente noi abbiamo una situazione mondiale con problemi grandemente irrisolti e, a volte, situazioni di reale ingiustizia e di povertà possono sembrare ed è un errore, ma può sembra a qualcuno che la soluzione possa essere avvicinata compiendo atti estremi.

     
    D. – Con gli attentati dell’11 settembre, molti americani si sono chiesti per la prima volta: "Perché ci odiano?" Oggi sappiamo quanto l’antiamericanismo sia diffuso nel mondo. Si tratta di un fenomeno destinato a perdurare, secondo lei?

     
    R. – Perdura finché perdurano le ideologie che sono portatrici di antiamericanismo. Mi spiego: l’antiamericanismo è stato un elemento del grande scontro che ci fu lungo il Novecento tra socialismo e capitalismo. Non possiamo pensare che, nonostante siano crollati i regimi socialisti, l’ideologia che li alimentava sia scomparsa. Le ideologie fanno parte delle mentalità e durano dunque a lungo: mutano, si camuffano, ma continuano ad avere dentro quel germe di odio per gli Stati Uniti, perché vengono identificati con tutto il male possibile che il capitalismo ha prodotto. Abbiamo, dall’altra parte, gli Stati Uniti che pensano a se stessi come ad una nazione eletta e molto spesso notiamo negli statunitensi una difficoltà ad autocriticarsi. Il ruolo che hanno nella situazione mondiale, per esempio, tende a far sì che si sottraggono ai giudizi e per cui essi espongono il fianco a delle critiche. Ma ricordiamoci sempre che la stessa esistenza degli Stati Uniti è qualcosa che tanti popoli del mondo hanno prodotto. Questo esperimento statunitense è stato fatto con il contributo di tanti popoli. Noi dobbiamo vedere anche la positività. Gli Stati Uniti sono stati e sono ancora la terra, dove noi scappando da dittature o semplicemente dalla fame abbiamo trovato la possibilità di ricominciare una esistenza.

     
    D. – Nel discorso all’ambasciatore americano, il 13 settembre 2001, Giovanni Paolo II auspicò che questo atto disumano non fosse seguito da una spirale di violenza. Purtroppo non è stato così ed anche in quella occasione Papa Wojtyla fu profetico?

     
    R. – Sì, è vero. Ricordiamo intanto che gli attentati di Washington e di New York hanno minato una certezza che esisteva fino ad allora: la certezza che lo Stato più forte del mondo non avrebbe mai potuto essere colpito al cuore da una forza superiore ed ha dimostrato che la forza, da sola, non è sufficiente per garantire la sicurezza, ma ci vogliono anche altre cose. Ecco perché è importante non soltanto il dispiegamento di una azione militare, che in certe situazione ci può anche essere, ma è importante creare condizioni di giustizia, di stima, di dialogo, perché la forza non basta. Purtroppo è stata seguita prevalentemente la strada della forza e questo in contraddizione diretta con la dottrina cattolica sulla pace e sulla guerra.

     
    D. – Dopo l’11 settembre si è parlato molto di scontro di civiltà...

     R. – Quando si parla di scontro fra civiltà si espone una teoria che razionalizza e cerca di far accettare una situazione di scontro fra religioni, fra culture, fra sistemi – diciamo – economici e culturali, che è stata creata. Non si tratta di una situazione naturale, che è stata prodotta – diciamo – dall’essenza delle religioni. Sono state, quindi, anche le scelte di questi anni che hanno scavato o hanno approfondito degli abissi tra i popoli che rendono più plausibile parlare di scontri fra civiltà. Quindi la dimensione della lotta va sempre messa insieme con un progetto di sviluppo e di dialogo di tutti i popoli.

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    I cappellani carcerari di tutto il mondo chiedono di abolire la pena di morte e la tortura e di puntare al recupero della persona

    ◊   Un ministero che richiede “pazienza e perseveranza”, costellato sovente da “delusioni e frustrazioni” quella dei cappellani e dei loro collaboratori religiosi e laici che operano nelle prigioni di tutto il mondo, come ha sottolineato Benedetto XVI, ricevendo in udienza la scorsa settimana i delegati del XII Congresso mondiale della Commissione internazionale della pastorale cattolica nelle carceri (ICCPPC), che ha chiuso ieri i suoi lavori a Roma. Tante le sfide da affrontate per conferire nuovo slancio all’assistenza materiale e spirituale dei detenuti come emerge dal documento finale Congresso, che dice ‘no’ alla pena di morte, ‘no’ alle torture e chiede maggiore impegno per migliorare le condizioni degli Istituti di pena e per la prevenzione del crimine nelle società. Roberta Gisotti ha intervistato mons. Giorgio Caniato, ispettore in Italia dei cappellani delle carceri.
     
    D. – Mons. Caniato, anzitutto si sta progredendo o si sta arretrando? Il testo conclusivo dei lavori denuncia la mancanza di diritti umani fondamentali in numerose carceri di molti Paesi. Quali sono le principali sfide per migliorare le condizioni dei detenuti?

     
    R. – Il carcere è sempre una struttura repressiva. Quindi, molto dipende dalla cultura che sta sotto alla gestione della Giustizia. Se nel modo di pensare non si riconosce all’uomo la sua dignità di uomo ... naturalmente le leggi sono totalmente repressive, com’era da noi prima del nuovo regolamento penitenziale del 1975, che era basato su una concezione positivistica. Quando siamo riusciti a mettere alla base della nuova norma la filosofia cristiana, nella nostra legislazione, il detenuto è riconosciuto come persona e quindi diventa soggetto, mai oggetto, di diritti e di doveri. Inoltre, i suoi diritti fondamentali – la vita, il lavoro, il cibo, la salute ed anche la pratica religiosa – devono essere rispettati, perché sono diritti inalienabili, come ad esempio, la libertà di pensiero e la libertà di coscienza. Quindi, c’è sotto una concezione tale da cui scaturisce che una detenzione non può oltrepassare certi limiti e quindi da noi, con una concezione simile, non sarebbe possibile la pena di morte, perché sarebbe distruttiva. E, infatti, in Italia è stata tolta. Purtroppo, abbiamo ancora l’ergastolo, ma anche l’ergastolo dovrebbe essere ridimensionato, perché è la distruzione di ogni speranza dell’uomo e sia la Costituzione, sia la Legge, prevedono il trattamento del detenuto. Quindi, si pensa alla rieducazione del detenuto. Questo è richiesto anche sul piano internazionale.

     
    D. – Come anche il Papa ha sottolineato, i cappellani carcerari svolgono davvero una "missione vitale" nella Chiesa e nella società. Ma c’è consapevolezza nella Chiesa e nella società dell’importanza del vostro lavoro, per recuperare l’uomo e il cittadino alla sua dignità?

     
    R. – Senta, in molte civiltà e Nazioni, non è che siamo sopravalutati, ma ci rispettano e ci sentono. Se non altro la nostra presenza è pungente, è stimolante, richiama ai diritti, come del resto fa il Papa che richiama ai diritti. Ma non tutti gli Stati, non tutte le filosofie, non tutte le culture accettano l’invito del Papa a rispettare quella che è la dignità dell’uomo e la persona umana.

     
    D. – Mons. Caniato, nel testo finale del Congresso, si dice pure che l’attuale sistema di giustizia criminale, in molti Paesi, non risponde ai bisogni dei più deboli, come ad esempio i minori. Allora, come commentare la sentenza della Cassazione in Italia, che ribadisce la possibilità della custodia cautelare per i minori imputati di scippi e furti in casa?

     
    R. – Questo è determinato dalla situazione concreta. In Italia la detenzione minorile ha un suo Codice, una sua procedura, per cui si tende a non mettere in prigione chi fa i reati. Lei pensi che in Italia ci sono detenuti – in una ventina di carceri – soltanto 500, 600 minori, non di più. Tutto il resto, tutti quei ragazzi presi a rubare e via di seguito, che sono in attesa di processo, sono circa 30 mila. Questa non è una cosa bella, sotto tanti punti di vista. Ad un certo punto, la gente è stufa di vedere questi ragazzini che rubano entrare un giorno ed uscire subito dopo. E’ tutto da rivedere. Il che non vuol dire che la giustizia nei confronti dei minori debba essere una giustizia punitiva. Ma è vero che qui entra in gioco tutta la società, perchè ormai siamo in una società dove tutto sembra lecito, dove la misura della propria azione è solo nella propria coscienza, dove non si riconosce più una legge morale oggettiva, come del resto ha detto il Papa. Naturalmente ne scaturisce nella giustizia quello che ne scaturisce.
     

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    I cristiani ripartono da Sibiu, più uniti, per riannunciare Cristo all'Europa e al mondo: intervista con mons. Chiaretti

    ◊   Uniti per portare Cristo all'Europa e al mondo perchè ciò che unisce è molto di più di ciò che divide: è questo in sintesi quanto è emerso dalla Terza Assemblea ecumenica europea che si è conclusa domenica scorsa a Sibiu, in Romania. Oltre duemila delegati cattolici, ortodossi, anglicani e protestanti hanno affrontato le grandi sfide che si presentano ai cristiani nel Vecchio continente senza nascondere le divergenze, ma con la consapevolezza della necessità di ripartire da Gesù, Salvatore del mondo. Ha partecipato all'Assemblea di Sibiu mons. Giuseppe Chiaretti, arcivescovo di Perugia e membro del Pontificio Consiglio per la promozione dell'unità dei cristiani. Fabio Colagrande lo ha intervistato:


    R. – L’impressione generale è che sono stati toccati punti fondamentali, senza girarci intorno. Mi sembra che questo rappresenti un fatto molto importante, affinché arrivi a noi stessi quali sono i punti di conflitto e di attrito. Ed è necessario, perchè a volte possiamo anche illuderci e la stessa parola ‘dialogo’ può rendere più ovattata questa situazione. Ci sono delle situazioni difficili e sono state ricordare da tre personalità di grande impegno come il cardinale Kasper, come il metropolita Kirill per gli ortodossi, e il prof. Huber per i protestanti. Ognuno di loro ha parlato, senza chiaroscuri, con estrema forza, del contenzioso che tuttora esiste. Un contenzioso sull’ecclesiologia, non sulla cristologia, su Gesù Cristo Figlio di Dio, vero uomo, nostra luce: su questo c’è concordanza da parte di tutti. Siamo uniti sulla gran parte della nostra fede, del nostro credo. Ci sono situazioni delicate per ciò che riguarda il nostro essere Chiesa, ma per quello che ci unisce torniamo di nuovo a evangelizzare questo nostro mondo europeo che mostra la fatica del credere, riannunciamo con forza il Signore Gesù. E’ chiaro che da questo riannuncio di questa luce unica che pensiamo di dare alla nostra Europa nascono poi delle conseguenze pratiche operative.

     
    D. – Mons. Chiaretti, lei come pastore come tradurrà queste giornate di impegno ecumenico nella sua attività pastorale? C’è molto anche da insegnare, da raccontare ai fedeli, qui in Italia, per quanto riguarda il dialogo ecumenico?

     
    R. – C’è molto da insegnare, se non altro per un dato oggettivo: ormai cominciamo ad avere parecchie persone che vengono da altri contesti genericamente culturali, ma anche da altri contesti religiosi. Quelli che vengono tra noi sono cristiani ma sono cristiani anche ortodossi, protestanti, e seguaci di altre religioni, quindi portatori di altre sensibilità. Allora il dialogo ecumenico sta diventando una necessità, un modo di vivere la fede tra di noi e dobbiamo avere questa sensibilità, tenere presenti questi fatti, trovare occasioni di incontro e sensibilizzare soprattutto la nostra gente perché non faccia confusione. A volte ci sono delle tensioni che nascono per problemi di tipo organizzativo ma queste tensioni non devono farci perdere il contatto con l’identità di una persona. Una persona che, oltre ad avere bisogno di lavorare perché altrimenti muore di fame, o che ha bisogno di libertà perchè nel suo Paese era schiava, è anche una persona con una sensibilità religiosa. Quindi è molto importante tutto il tema dell’accoglienza di queste persone, anche nella loro dimensione religiosa. E’ un lavoro nuovo che dobbiamo fare.

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    Il cardinale McCarrick al Simposio in Groenlandia: tutte le religioni impegnate a salvare la bellezza del Creato

    ◊   Sono in rotta verso Narsaq, ultima tappa del loro viaggio in Groenlandia, gli oltre 150 partecipanti al simposio "Artico: specchio di vita". Il Patriarca Ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I ha salutato le autorità dell'isola a Nuuk, dove si trova anche l'unica chiesa cattolica di tutta la Groenlandia. Ce ne parla la nostra inviata, Giada Aquilino:
     
    Una piccola comunità, stretta attorno a padre Paolo Marx, un missionario americano degli Oblati di Maria Immacolata che da Copenaghen - dove risiede - si sposta periodicamente a Nuuk, per assistere un centinaio di fedeli cattolici, provenienti anche dalle altre parti della Groenlandia. Stiamo parlando della parrocchia Cristo Re di Nuuk, la principale città dell'isola abitata da circa 13 mila abitanti, su una popolazione totale groenlandese di 56mila persone. Nella chiesetta del centro cittadino, ieri il cardinale Theodore McCarrick, inviato del Papa al simposio di Religione Scienza e Ambiente e unico porporato ad essere venuto in visita nella terra dei ghiacci, ha celebrato una Santa Messa in forma privata. Un tributo in più alla regione Artica, che in questi giorni ha accolto calorosamente il Patriarca Ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I, e gli altri esponenti religiosi che, assieme a studiosi, politici e giornalisti, lo accompagnano. Proprio l'emergenza sullo scioglimento dei ghiacci, rilanciata nelle ultime ore anche da un nuovo allarme degli scienziati anticipato dalla stampa statunitense, è stata ricordata dal Patriarca Bartolomeo, nel suo incontro con le autorità a Nuuk. Un innalzamento delle acque - ha ricordato - si ripercuoterebbe in altre parti del mondo, con conseguenze disastrose "per piccole isole tropicali e grandi città, come New York o Shangai, che  potrebbero essere inondate". E ancora una preghiera per la salvaguardia del Creato caratterizzerà la giornata di domani, quando il Patriarca Bartolomeo I presiederà nei pressi di Narsaq una liturgia bizantina nella Tjodhilde's Church, di epoca vichinga. (Dalla Groenlandia, Giada Aquilino, Radio Vaticana)

     
    Ma su questo impegno di tutte le religioni per la salvaguardia dell’ambiente ascoltiamo, al microfono di Giada Aquilino, l'inviato del Papa in Groenlandia, il cardinale Theodore McCarrick:

     
    R. – Tutti noi che rappresentiamo tutte le religioni del mondo – o meglio quasi tutte, perché siamo qui presenti rappresentanti di molte religioni del mondo – possiamo vedere in questo luogo un luogo santo, perché questa è opera di Dio, il Signore ci ha dato questo mondo, questa bellezza, che ha una straordinaria importanza per la salute del mondo intero. Stando qui noi possiamo dire grazie a Dio per questo mondo, grazie per questo luogo, grazie per l’opportunità di vivere e di abitare questi luoghi, perché questa è casa Sua. Ma sappiamo anche che è necessario fare qualcosa per far continuare la grandezza del mondo, la bellezza del mondo, la santità del mondo. Noi siamo qui per dire che siamo una famiglia e che dobbiamo tutelare la casa della famiglia.

     
    D. – Quindi l’ambiente può essere veicolo del dialogo ecumenico ed interreligioso?

     
    R. – Credo di sì e questo perché le religioni del mondo hanno la stessa preoccupazione. Noi possiamo vedere questa bellezza, ma possiamo anche vedere, purtroppo, che tutto questo si sta distruggendo. Credo che noi dobbiamo partecipare ed unirci per riuscire a fare in questo momento qualcosa di buono per il futuro del mondo e per le generazioni future.

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    Suor Ilia Mittone rieletta superiora generale delle Suore Ancelle Missionarie del Santissimo Sacramento
     

    ◊   Le Suore Ancelle Missionarie del Santissimo Sacramento hanno appena tenuto il loro capitolo generale con la rielezione a superiora generale di suor Ilia Mittone. Fondate nel 1923 a Venezia da Madre Caterina Zecchini, sono oggi un centinaio di religiose che svolgono attività di evangelizzazione e promozione umana ponendo l'Eucaristia al centro della loro vita spirituale. Ma sul carisma di questa congregazione ascoltiamo la stessa suor Ilia Mittone, al microfono di Giovanni Peduto:
     
    R. - Il nostro carisma è nato per la Chiesa universale. Come diceva la nostra Fondatrice, tutte le missioni, nessuna esclusa, avranno il sostegno della nostra preghiera, sacrificio e lavoro. Il nostro impegno è coinvolgere le Chiese locali dove siamo presenti e tutti i cristiani affinché si sentano parte attiva e responsabile della missione di tutta la Chiesa.

     
    D. - Quali difficoltà incontrate oggi nell'annunciare il messaggio di Gesù Cristo non solo nei Paesi di missione ma nella stessa Italia?

     
    R. - In Italia già sappiamo quali sono le difficoltà più forti. Sono quelle che il Papa stesso evidenzia nel messaggio per la Giornata Missionaria Mondiale: la cultura secolarizzata, la crisi della famiglia, la diminuzione delle vocazioni e il progressivo invecchiamento anche della nostre comunità religiose. Nei Paesi di missione la gente è più aperta, disponibile, ma gravano i problemi della povertà e ingiustizia sociale. Anche in questi Paesi si comincia poi a notare la diffusione della mentalità consumistica, con le conseguenze che comporta. Il nostro tempo esige serenità e coraggio per accettare la realtà com’è senza critiche depressive e senza utopie, per amarla e salvarla, cogliendo il positivo e la ricchezza in essa presente. Siamo più che coscienti che alcune attività in Italia le dovremo lasciare, per raggiunti limiti di età e mancanza di personale. Questo però non ci impedirà di continuare, in forme diverse, soprattutto con la nostra testimonianza a promuovere lo spirito missionario tra il Popolo di Dio. Per gli altri luoghi dove siamo presenti, possiamo prevedere uno sviluppo e la possibilità di aprirci ad altri Paesi e attività secondo il nostro carisma.

     
    D. - Agli inizi del terzo millennio il vostro Istituto cosa vuol dare alla Chiesa e al mondo?

     
    R. - Uno dei compiti significativi per tutta la vita consacrata è quello di leggere i segni dei tempi, e aprire percorsi di santità per gli uomini e le donne del nostro tempo, promuovendo la vita in tutti i suoi aspetti. Per noi oggi, accettando la nostra piccolezza e nello stesso tempo aprendoci alle sfide, ciò significa proiettarsi nel futuro secondo la logica dei piccoli passi e delle priorità che ci siamo date nel Capitolo: condividere le ricchezze della nostra spiritualità e carisma con i laici , collaboratori e tutti i nostri destinatari, in particolare le Ancelle Missionarie Secolari e gli aderenti all’Ora di Preghiera Missionaria in Famiglia; crescere nella dimensione della interculturalità e internazionalità che richiedono coraggio sia per chi va come per chi viene, sostenute dal carisma, dalla mutua conoscenza e dal rispetto delle varie culture.

     
    D. - Qualche episodio significativo della sua esperienza religiosa e missionaria?

     
    R. - Più che un episodio, varie istantanee. L’incontro e la relazione con tante persone di diversi Paesi, culture, confessioni cristiane e anche religioni, mi ha offerto la possibilità di crescere non solo nella conoscenza, ma soprattutto nella scoperta e nell’apprezzamento dei valori umani e spirituali presenti in ciascuno. Come non ricordare, soprattutto tra i più poveri, il senso della fede semplice, della fiducia in Dio nonostante tutto, dell’ospitalità cordiale, di chi condivide con te quel poco che ha (un pesce, qualche frutto…), la spontaneità dei bambini che sanno gioire con poco e ti insegnano che la speranza è sempre possibile. Come è successo ad altri, all’inizio della mia vita religiosa e missionaria sono partita con l’idea di fare qualcosa per Dio e per gli altri poi, con il passare degli anni, mi sono resa sempre più conto che quello che ho ricevuto è più di quello che ho dato.
     
     
     

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    Chiesa e Società



    I vescovi venezuelani esaminano la riforma costituzionale del presidente Chávez, ispirata al socialismo

    ◊   E’ in preparazione un messaggio dell’episcopato venezuelano che sarà reso pubblico a fine ottobre al termine cioè dell’Assemblea plenaria straordinaria nella quale la riforma del trattato costituzionale, ipotizzata dal presidente Chávez, verrà analizzata in tutti gli aspetti giuridici, etici e politici. La commissione episcopale che ha il compito di esaminare il nuovo testo è nata, lo scorso 5 settembre, per volere del Comitato di presidenza della Conferenza episcopale del Venezuela ed è composta dall’arcivescovo di Caracas, cardinale Jorge Urosa Savino, dall’arcivescovo di Cumanà, Diego Padròn, di Valencia,Reinaldo Del Prette Lissot e dal vescovo di San Carlos, Jesùs Zàrraga. In un comunicato, i vescovi esortano ad un dibattito approfondito “affinché la Costituzione nazionale sia un trattato di pace e non di guerra” e che rispetti tutte le opinioni perché “deve essere di tutti e non di alcuni gruppi in particolare”. I cambiamenti nel nuovo progetto di Chávez sono sostanziali: l’intenzione dichiarata del presidente venezuelano è di allineare il Paese “con il socialismo del XXI secolo”. La riforma prevede, per il capo dello Stato, tempi più lunghi sul limite di rieleggibilità, ora fissato a due mandati consecutivi, mentre la presidenza si dovrebbe prolungare dai sei a sette anni. Provvedimenti che per essere approvati presuppongono la riduzione dei compiti per i governatori ed i sindaci. Nel nuovo testo, verranno modificati 33 articoli sui 350 che costiuiscono la Costituzione già cambiata da Chávez nel 1999. Tra le misure in esame anche l’organizzazione politico-territoriale del Venezuela da dividere in “comuni” e, in ambito economico, le nazionalizzazioni dei settori petrolifero, elettrico e delle telecomunicazioni. Più interesse statale anche nella gestione delle risorse monetarie; si profila inoltre una riduzione a sei ore dell’orario massimo di lavoro giornaliero. “Un ampio consenso nazionale” è l’auspicio dei vescovi per quel che riguarda il nuovo testo costituzionale: “la riforma – si legge nel comunicato - deve rispettare tutti i grandi principi nonché i diritti già consacrati nella costituzione vigente”. (A cura di Benedetta Capelli)

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    Grave il bilancio delle alluvioni che in questo fine settimana hanno colpito il nord dell’India

    ◊   Sono almeno 10 i morti e circa 2 milioni i senzatetto dopo le forti piogge che negli ultimi tre giorni hanno investito lo Stato di Assam, nel nord dell’India. A riferirlo l’agenzia AsiaNews. Il coordinatore locale degli aiuti, Bhumidhar Barman, ha dichiarato che si tratta della “peggiore catastrofe naturale che abbia mai colpito il Paese”, aggiungendo che la situazione è nuovamente allarmante. Le piogge monsoniche nell’area quest’anno sono state particolarmente violente, causando in totale oltre 2 mila morti tra crolli, malattie e morsi dei serpenti, spinti fuori dalle tane dall’acqua. Nel solo Stato di Assam, ha detto Barman, sono state 60 le vittime dall’inizio della stagione monsonica. L’alluvione iniziata venerdì ha lasciato la regione isolata dal resto dell’India, distruggendo migliaia di case, ponti e strutture per le telecomunicazioni. (V.F.)

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    L'OMS ha accertato un'epidemia di Ebola in alcune regioni della Repubblica Democratica del Congo

    ◊   Un’epidemia di Ebola, una febbre emorragica mortale per la quale non esiste ancora una cura, ha colpito alcune aree meridionali e centrali della Repubblica Democratica del Congo. Lo ha confermato oggi l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), secondo cui sarebbe di 160 morti e 352 casi di contagio il bilancio provvisorio dell’epidemia. “Avevamo inviato campioni di sangue infetto a Franceville in Gabon, per provare la natura virale del morbo – ha spiegato alla Misna Francois Nguessan, rappresentante dell’Oms in Congo – e i test purtoppo hanno dato risultati positivi al virus dell’Ebola”. L’Oms ha creato un gruppo di lavoro, coadiuvato da esperti dell’Istituto Nazionale per le Ricerche Biologiche, per il prelevamento di altri campioni di sangue da analizzare. “La misura è necessaria per stabilire se tutti i casi di decesso sono da attribuire all’Ebola - ha spiegato Nguessan – poiché alcuni pazienti nelle scorse settimane avevano reagito bene alle cure antibiotiche, il che lascia pensare che il morbo si possa essere diffuso in ceppi di diversa intensità”. Le squadre dell’Oms sono già attive sul territorio e nei vari ospedali delle zone colpite, principalmente la regione del Kasai occidentale e si preparano a coordinare le equipes mediche internazionali che andranno nella zona. L’ultima epidemia di Ebola nella Repubblica Democratica del Congo è avvenuta nella città di Kikwit nel 1995 causando la morte di 245 persone. (R.P.)

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    Migliaia in fuga dalle loro abitazioni e anno scolastico in crisi per i combattimenti nella regione congolese del Nord-Kivu

    ◊   Sono 50 mila, finora, le persone in fuga nel Nord-Kivu, nell’Est della Repubblica Democratica del Congo, e altre 270 mila potrebbero essere costrette ad abbandonare le loro case. Dal 27 agosto, riferisce l’agenzia Misna, la zona è teatro di continui scontri a fuoco tra le forze regolari (FARDC) e i ribelli del generale Laurent Nkunda. L’associazione non governativa AVSI, impegnata regolarmente dal 2001 nella Nazione africana, denuncia anche i problemi per il regolare avvio dell’anno scolastico per 500 mila studenti della provincia. L’associazione, occupata nella costruzione di strutture scolastiche, è stata costretta ad evacuare il personale impegnato in un cantiere, situato nell’area al centro degli scontri. L’inizio dei combattimenti è coinciso inoltre con i primi giorni della stagione delle piogge, aggravando ulteriormente le condizioni di chi è fuggito nella foresta e mettendo a rischio le coltivazioni dei contadini in fuga. (V.F.)

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    Messaggio di auguri da parte dell’arcivescovo di Kirkuk, mons Sako, ai musulmani per il Ramadan

    ◊   Auguri “sinceri” sono stati inviati dall’arcivescovo di Kirkuk, monsignor Louis Sako, ai musulmani che si apprestano a celebrare il Ramadan. In un messaggio, riportato dall’agenzia Sir, il presule ricorda che “questo è un momento speciale per la preghiera e il progresso verso la virtù, la riconciliazione, il perdono, la compassione e la pace in favore di tutti gli iracheni”. Monsignor Sako sottolinea, inoltre, che nel mese sacro ai musulmani “ci affidiamo alla pazienza e alla forza per creare una società di amore, armonia, verità e giustizia” inoltre, aggiunge il presule, è un tempo in cui si possono “curare le nostre ferite, realizzare le nostre speranze di vivere in sicurezza, libertà e allontanare la violenza che ci sovrasta”. A circa tremila famiglie cristiane presenti a Kirkuk, l’arcidiocesi ha spedito un calendario dei riti del Ramadan invitando poi al rispetto della ricorrenza musulmana, a non bere né mangiare in pubblico durante il Ramadam, ad indossare un abbigliamento appropriato e ad “unirsi ai musulmani – si legge ancora nel messaggio- nella preghiera per l’unità, la stabilità, la vita e la dignità degli iracheni”. (B.C.)

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    Nelle Filippine, a Jolo, nasce il “Centro Silsilah” per promuovere la pace ed il dialogo interreligioso

    ◊   Un luogo per favorire il dialogo tra islamici e cristiani, la pace e la solidarietà. Con queste intenzioni è nato il “Centro Silsilah” nell’isola di Jolo, nelle Filippine, zona di numerosi scontri ed anche roccaforte dei guerriglieri del terrorista Abu Sayyaf. Secondo quanto riporta l’agenzia Fides, la nuova struttura nasce dall’esperienza del Movimento Silsilah - termine che nella mistica sufi significa “catena”- che è sorto nel 1984 nella città di Zamboanga, sull’isola di Mindanao, grazie alla volontà di un missionario del Pime: padre Sebastiano D’Ambra. Il movimento, da subito condiviso da alcuni fedeli musulmani che ne hanno sposato la “spiritualità del dialogo”, ha sviluppato negli anni lo stile della “vita in dialogo”, creando, nei pressi di Zamboanga, il “villaggio dell’armonia”, dove cristiani e musulmani, vivendo vita comune, offrono un esempio concreto di solidarietà, rispetto e fratellanza reciproca. All’inaugurazione del nuovo Centro, che ha lo scopo di promuovere iniziative culturali e spirituali all’insegna del confronto, hanno partecipato il vescovo locale, monsignor Angelito Lampon, vicario Apostolico di Jolo, l’ustadz di Jolo, Julasini Abirin, le autorità civili oltre a un folto gruppo di fedeli cristiani e musulmani. (B.C)

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    Grande partecipazione al pellegrinaggio a Mariamabad, in Pakistan, nonostante le ingenti misure di sicurezza

    ◊   Si è concluso ieri il pellegrinaggio di cattolici e musulmani al Santuario di Mariamabad, 80 km ad ovest di Lahore, in Pakistan. Decine di migliaia di fedeli hanno affollato il luogo sacro nei tre giorni di festa dedicati alla Madonna “Madre degli oppressi”. Secondo quanto scrive AsiaNews, sono stati ingenti le misure di sicurezza nelle vicinanze del Santuario; per la prima volta in 50 anni di storia, il governo ha installato dei cancelli elettrici e disposto oltre mille agenti di sicurezza per garantire il pacifico svolgimento del pellegrinaggio. La misura è stata decisa dopo il sanguinoso assedio alla moschea rossa di Islamabad, l’esecutivo di Musharraf ha imposto, infatti, norme di sicurezza più strette per ogni manifestazione che raduni un ingente numero di persone. Il pellegrinaggio è stato istituito nel 1949 grazie all’iniziativa di padre Frank, un cappuccino belga divenuto poi martire, che iniziò la tradizione portando al santuario 900 fedeli. Nel corso del tempo, il numero di pellegrini che si recano ogni anno a Mariamabad è salito e, nel 1974, mons. Armando Trindade - allora arcivescovo di Lahore - ha creato la Commissione che ora ne cura la preparazione. (B.C.)

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    Celebrazioni in Sri Lanka per i 100 anni del Santuario mariano di Matara

    ◊   Ha festeggiato il suo centesimo anniversario il Santuario mariano di Matara, nel sud dello Sri Lanka, duramente colpito nel 2004 dallo tsunami. Alle celebrazioni, conclusesi ieri, hanno preso parte circa 300 mila pellegrini provenienti da tutto il Paese. La statua della Nostra Signora di Matara, portata in processione per la città, era stata trascinata dall’onda anomala che si era abbattuta sul santuario, per poi ricomparire dopo alcuni giorni. Nel corso della Messa celebrata ieri, riferisce AsiaNews, mons. Oswald Thomas Colman Gomis, arcivescovo di Colombo, ha invitato i fedeli a dedicare la vita a Maria: “luce che può illuminare come un faro la comunità multireligiosa dello Sri Lanka” sofferente da anni per la guerra civile. Alla cerimonia hanno partecipato tutti vescovi della Conferenza Episcopale dello Sri Lanka, tranne quelli delle zone di guerra, e il Nunzio apostolico, mons. Mario Zenari. (V.F.)

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    “Connettere l’Africa” è l’iniziativa lanciata dall’Unione Internazionale delle Telecomunicazioni per sostenere lo sviluppo tecnologico del continente africano

    ◊   L’appuntamento per scoprire i dettagli dell’iniziativa “Connettere l’Africa” è fissato nella capitale rwandese, Kigali, il 29 ed il 30 ottobre prossimi ma i contenuti sono già noti. Una sorta di “piano Marshall” per le telecomunicazioni in Africa così l’ha definito il Segretario Generale dell’Unione Internazionale delle Telecomunicazioni (UIT), il maliano Hamadoun Touré, che ha paragonato lo sforzo da compiere nel continente africano al programma ideato dopo la Seconda Guerra Mondiale dall’Amministrazione statunitense per sostenere l’economia europea. Stando a quanto riportato dall’Agenzia Fides, Tourè ha inoltre sottolineato come sia notevole in Africa il ritardo tecnologico; solo nel 2005, il 4% della popolazione aveva accesso a Internet, contro una media del 9% dei Paesi in via di sviluppo. Per quel che riguarda la banda larga ne usufruiva solo l’1% mentre il 70% delle connessioni Internet africane passava attraverso reti collocate in altri continenti, un modo che ha fatto lievitare nel tempo i costi per le imprese. Non sono mancati però gli investimenti nel settore, si è passati, infatti, dai 3, 5 miliardi di dollari agli 8 miliardi in maggioranza allocati nella telefonia mobile, il cui numero di abbonati è aumentato di 5 volte nel corso degli anni. “Connettere l’Africa” mira a creare anche una partnership tra pubblico e privato per rafforzare gli investimenti nelle infrastrutture delle telecomunicazioni in Africa. Si guarda al coinvolgimento dell’Unione Europea, della Cina, dei Paesi del G8, quelli arabi, all’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OECD), e alle principali compagnie del settore delle comunicazioni e delle tecnologie dell’informazione. (B.C.)

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    In Niger, 60 mila giovani disoccupati reclutati per la salvaguardia ambientale

    ◊   Combattere il deserto che avanza e trovare un rimedio alla disoccupazione. Questo il duplice scopo dell’operazione decisa dal governo del Niger. Come riferisce l’agenzia Misna, saranno circa 60 mila i giovani impiegati nel corso di quest’anno per costruire barriere sugli altopiani, che permettono di alimentare le falde acquifere, favorire la ricrescita della vegetazione e rilanciare l’allevamento. Nel 2006 queste opere hanno permesso di salvare dalla desertificazione tre milioni di ettari di terra, rappresentando inoltre un importante strumento per contrastare la povertà e la disoccupazione nelle aree rurali. Il presidente del Niger, Mammadou Tandja, ha spiegato poi che il sostegno della comunità internazionale permetterà di rafforzare la crescita dell’economia nazionale, permettendo al Paese di smarcarsi dalla sua dipendenza dagli altri Stati. (V.F.)

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    Rapporto americano sui farmaci: aumentano i casi di effetti collaterali gravi negli USA

    ◊   Negli Stati Uniti sono quasi triplicati, dal 1998 al 2005, gli episodi di effetti collaterali gravi causati dai farmaci. A riferirlo è un rapporto della Food and Drug Administration (FDA), l’autorità federale americana per il controllo sui medicinali, diffuso su una pubblicazione del giornale dell’associazione dei medici americani (JAMA). I casi sono stati raccolti da un apposito organo della FDA, l’Adverse Reporting System, che riceve le segnalazioni volontarie di pazienti e aziende farmaceutiche, ed esaminati da team di esperti universitari. Le gravi conseguenze illustrate includono morte, malformazioni alla nascita, ricoveri, disabilità o situazioni in cui la vita del paziente è a rischio. Quasi 1500 i farmaci legati a questo genere di episodi, anche se 51 di essi sono responsabili di oltre il 40 per cento dei casi. Contrariamente alle aspettative, scrivono gli autori, tra i farmaci che più spesso sono stati associati a casi di decesso, si è osservata una maggioranza sproporzionata di antidolorifici e medicine che modificano il sistema immunitario. Gli autori sottolineano come i risultati dello studio evidenzino l’importanza di questo problema di salute pubblica e mostrino la necessità di migliorare i sistemi per gestire i rischi dei farmaci prescritti. (V.F.)

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    Aperti ieri da mons. Héctor Luis Gutiérrez Pabón, a Bogotà, in Colombia, i lavori del Congresso su "Etica e comunicazione" voluto dal CELAM

    ◊   Uno spazio per riflettere ed analizzare le sfide etiche che il contesto latino americano pone a quanti lavorano nel campo della comunicazione sociale: è quanto vuole offrire il Congresso Latinoamericano di Etica della Comunicazione, promosso dalle Conferenze episcopali dell’America Latina (CELAM) e apertosi ieri all’Università di San Bonaventura di Bogotà, in Colombia. Un centinaio gli esperti, i docenti e gli studenti giunti da tutto il Sud America che fino a domani parteciperanno a tavole rotonde e dibattiti su: “Comunicazione ed etica: costruzione dell’umanità”; “Giornalismo: scelta e sfida”; “Sfide etiche nell’esercizio della comunicazione”. Ad inaugurare i lavori è stato mons. Héctor Luis Gutiérrez Pabón, vescovo di Engativá, presidente del Dipartimento Comunicazione del CELAM. Due gli interventi proposti nella mattinata: il giornalista Javier Darío Restrepo ha parlato di “Sfide etiche nella realtà della comunicazione dell’America Latina”, Susana Nuin ha sviluppato invece una relazione su “Comunicazione ed etica per un’autentica umanità”. Nel pomeriggio i partecipanti al Congresso hanno preso parte ad incontri su: etica e morale nelle comunicazioni, etica della comunicazione e tecnologia, insegnamento dell’etica nelle università, etica della comunicazione per lo sviluppo, applicazione dell’etica nell’organizzazione imprenditoriale ed ancora etica, media e religione. La giornata si è conclusa con una celebrazione eucaristica presieduta da mons. Gutiérrez Pabón. (T.C.)

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    Appello del cardinale Lehmann, presidente della Conferenza episcopale tedesca, per superare la violenza nei media

    ◊   In occasione dell’assegnazione del Premio cattolico dei media, ieri a Bonn, il cardinale Karl Lehmann, presidente della Conferenza episcopale tedesca, ha invitato l’opinione pubblica ad un dibattito riguardo agli effetti delle rappresentazioni della violenza nei mezzi di comunicazione di massa. Il porporato, secondo quanto riferito dall’agenzia Sir, ha parlato di "dimensioni altamente problematiche dell’utilizzo dei media" riferendosi ai videogiochi violenti, ai filmati su internet ma anche ai video girati con il telefonino e scene di pestaggi o di mobbing. “Superare questi fenomeni di violenza è un obiettivo che interessa tutta la società – ha dichiarato il cardinale Lehmann- di cui devono tener conto anche i media”. Giunto alla sua quinta edizione, il premio è stato assegnato quest’anno ai giornalisti Angela Graas e Bastian Obermayer, “esempi – secondo il porporato – di come i media possano dare stimoli a interrogarsi sulle domande esistenziali. (B. C.)

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    Dal 12 al 14 ottobre prossimo ad Assisi, presso la Pro Civitate Cristiana, il Convegno su “Bellezza e Giustizia”
     

    ◊   Il convegno che, a ritmo biennale, la Galleria d’Arte Contemporanea della Pro Civitate Christiana organizza in collaborazione con l’Associazione “Amici dell’Osservatorio” presso la Cittadella di Assisi, in questa edizione vuole affrontare il tema della bellezza, articolandolo con la grave questione della giustizia. Se nel nostro tempo etica ed estetica sembrano avere percorsi diversi, tuttavia il bisogno, sia di giustizia che di bellezza, sta oggi crescendo e destando vivo interesse anche negli studi più recenti. Può la bellezza rimanere neutrale o può aiutarci ad affrontare i problemi della giustizia? Il decadere dei valori della giustizia può essere determinato anche dalla mancanza di bellezza? Quale possibilità hanno gli uomini, andando oltre l’individualismo, il settarismo, il parassitismo, di organizzare insieme opportuni progetti di giustizia, capaci di riconciliare l’umanità? Il convegno mette a confronto docenti, studiosi, operatori nel sociale che su queste tematiche hanno fatto ricerche ed esperienze dirette e insieme cultori e testimoni di varie arti, dalla musica al teatro, alle arti figurative. La guerra è soprattutto nel cuore dell'uomo, ci dice il grande maestro dell'espressionismo francese Georges Rouault, nell'opera che rappresenta il suo testamento spirituale: il Miserere. Le 58 incisioni originali saranno esposte in mostra per l'occasione a inaugurare la nuova sala appositamente allestita (architetto Gian Piero Siemek) della Galleria d'Arte Contemporanea della Pro Civitate Christiana di Assisi. I partecipanti verranno introdotti ai temi di bellezza e giustizia espressi nell’opera da Tony Bernardini, volontario della Pro Civitate Christiana e cultore dell’opera di Rouault, che farà anche da guida alla mostra. (A cura di Giovanni Peduto)

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    24 Ore nel Mondo



    Nuovo messaggio di Bin Laden in occasione del sesto anniversario dell’11 settembre – Attentati in Afghanistan, con due morti, e in Pakistan, dove le vittime sono almeno 16 sedici

    ◊   E' solo audio il messaggio di Osama Bin Laden nel filmato uscito oggi su internet in occasione del sesto anniversario dell'11 settembre 2001. Si tratta infatti di un’immagine fissa che lo ritrae con la barba ''tinta'', com'era apparso nel video precedente del 7 settembre, con sullo sfondo l'elaborazione di una foto che ritrae uno dei due aerei che sta per impattare le Torri Gemelle. Il nostro servizio:


    Il video dura poco più di 47 minuti, il messaggio dura circa 14-15 minuti. Bin Laden, loda le gesta che definisce eccezionali di uno dei kamikaze degli attacchi che fecero negli Stati Uniti oltre tremila morti. "E' giunto il momento di fare il nostro dovere”', afferma Bin Laden, lanciando un appello ai giovani affinché seguano l'esempio del kamikaze ''fino alla vittoria di dio”. Il resto della registrazione propone il 'testamento' dello stesso attentatore al Shehri. La rete televisiva del Qatar al Jazeera ne ha trasmesso solo pochi secondi. L'unico riferimento temporale è la morte del leader di al Qaeda in Iraq Abu Musab al Zarqawi, ucciso in un raid americano nel giugno 2006. L'uomo più ricercato del pianeta, con una taglia sulla sua testa raddoppiata a luglio a 50 milioni di dollari, negli ultimi tre anni, fino a venerdì, aveva diffuso solo messaggi audio. Nell'ultimo video, Bin Laden esortava gli americani a convertirsi all'islam. Intanto, il ministro degli Esteri afghano, Rangeen Dadfar Spanta, afferma che il capo di al Qaeda non si nasconde in Afghanistan. E c’è da dire che si sta svegliando solo ora la città di New York per questa giornata dell’11 settembre che segna il sesto anniversario dal tragico attentato. Guardando all’Europa, sia in Germania che in Francia in momenti di commemorazione delle vittime è stato sottolineato che la minaccia terroristica è permanente. In Italia il ministro degli Esteri D’Alema l’ha definita “una data tragica di scontro di civiltà” per poi aggiungere che “la migliore risposta ai profeti della guerra di religione sarebbe avere nella UE un grande Paese democratico, islamico come la Turchia”. Intanto, le forze americane in Germania hanno detto di prendere “molto sul serio” le minacce di un attentato alla base Usa di Spangdahlem, nell'ovest del Paese, e di avere per questo rafforzato le misure di sicurezza.

    - Ma tornando al nuovo messaggio di Bin Laden, si può parlare ormai di una vera e propria strategia mediatica adottata da al Qaeda? Stefano Leszczynski ne ha parlato con la collega Loretta Napoleoni, autrice di vari saggi sul terrorismo di ispirazione qaedista:


    R. - Sicuramente si tratta di un’operazione mediatica che è stata preparata in anticipo e che si aggancia agli ultimi avvenimenti. Dal 2004 fino ad oggi Bin Laden è rimasto in silenzio, non si è fatto vedere, ha fatto alcuni video, solamente vocali, e adesso torna per dire eccomi qui, sono stato io che ho organizzato tutto, cosa che non è assolutamente vera.

    D. - Qualcuno ha avanzato sospetti sull’autenticità di questi video?

    R. - Credo sia possibile che i video siano stati manipolati, però penso sia irrilevante. Bin Laden è una figura iconica, dietro di lui c’è un’ideologia che ormai ha una vita propria.

    D. - L’ambasciatore afghano sostiene che Bin Laden non si trovi in Afghanistan, anche se non ha la più pallida idea di dove si possa trovare…

    R. - Non darei molto peso a queste dichiarazioni dell’ambasciatore afghano, né tanto meno a quelle dei pakistani. E’ chiaro che tutti cercano di nascondere la realtà, anche perché molto spesso non la conoscono.

    D. - Bin Laden è solo un ispiratore di possibili attentati o può disporre di una forza che metta in atto delle strategie di terrorismo?

    R. - Lui è solamente un ispiratore, l’ideologia è un’ideologia che ormai si è sviluppata indipendentemente dalle decisioni di Bin Laden. Io penso che un elemento importante sia il ruolo di Al Zawahiri. L’uomo che ha creato il concetto del martirio attraverso le bombe suicide e poi, più in là, anche il concetto dell’attività terrorista quale attività rivoluzionaria e liberatoria delle masse musulmane oppresse, è sicuramente Al Zawahiri.

    - Intanto attentati in Afghanistan e in Pakistan: in Afghanistan un terrorista suicida alla guida di un'autobomba si è fatto esplodere uccidendo almeno due autisti afghani e ferendo altre persone nella insanguinata provincia di Helmand, nel sud dell'Afghanistan. In Pakistan un attentato suicida in una città delle zone tribali pachistane, nel nord-ovest del Paese, ha provocato almeno 16 morti. L'attentato è avvenuto a Dera Ismail Khan, città non lontana dalla frontiera con l'Afghanistan, ed ha ucciso un numero alto di persone ancora non definite nei pressi di un autobus. Secondo un poliziotto, ''il kamikaze era dentro un bus quando si è accorto di essere seguito da poliziotti. Si e' preparato a scendere e si è fatto esplodere appena il bus si e' fermato. Inoltre sette persone, tra soldati, ribelli e civili, sono state uccise in scontri tra esercito pachistano e combattenti filo-talebani nel sud Waziristan, regione tribale del Pakistan, dove da agosto i ribelli hanno tenuto e tengono prigionieri 240 soldati pachistani rapiti in varie ondate. Intanto stanno continuando, secondo quanto riferito dai media pachistani, i negoziati per il rilascio dei soldati catturati nella zona di Ladha. I ribelli chiedono che l'esercito si ritiri dalla zona e che vengano liberati 15 loro compagni. Il Waziristan è considerato il retroterra dei Talebani afghani e una zona dove il controllo dello Stato pachistano è quasi nullo.

    - Sempre in Pakistan, una petizione alla Suprema Corte pachistana contro la decisione del governo di rimandare in esilio l'ex primo ministro Nawaz Sharif, espulso ieri in Arabia Saudita poco dopo il suo atterraggio all'aeroporto di Islamabad, è stata presentata dal partito dell'ex premier. A firmarla tra gli altri altri anche il primo ministro dello Stato del Punjab, Chaudhry Pervez Elahi. Alla petizione si allega anche una denuncia per oltraggio alla giustizia nei confronti del premier e del primo ministro attuali, accusandoli di aver ignorato la decisione della stessa Corte Suprema di consentire a Sharif di tornare in patria senza che il governo lo potesse impedire. Si chiede inoltre di permettere all'ex primo ministro di rimettere piede ad Islamabad per difendersi dinanzi al tribunale dalle accuse di corruzione. Dopo sette anni di esilio, ieri Nawaz Sharif era tornato in patria, ma dopo appena quattro ore trascorse in una saletta dell'aeroporto di Islamabad è stato rimandato in esilio in Arabia Saudita.

    - Per quanto riguarda l’Iraq, il governo iracheno ''accoglie con favore'' il rapporto sulla situazione nel Paese presentato ieri al congresso a Washington dal generale David Petraus, comandante delle forze Usa in Iraq, e da Rayan Crocker, ambasciatore americano a Baghdad. Il generale Petraeus ha ieri affermato che una riduzione delle forze Usa in Iraq è prevedibile dall'estate prossima, mentre un ritiro ''prematuro'' sarebbe ''una catastrofe”. Ma ci sono state anche voci diverse: un deputato della lista dell'ex premier Allawi, ha detto che il rapporto ha trascurato la pessima situazione che l'Iraq si trova ad attraversare. Ci sono poi le dichiarazioni dagli Emirati Arabi Uniti: Dubai fa sapere che l’atteso rapporto sull’Iraq non ha offerto nuove idée per mettere fine al massacro e ha confermato che Washington perderà la Guerra indipendentemente dalla data del ritiro. Intanto sul campo a Baghdad si registrano morti e feriti in almeno due operazioni di forze statunitensi contro insorti, nel quartiere di Saadr City e in una zona del sud: almeno 15 i morti in totale e decine i feriti. Altri feriti in due esplosioni a nord ovest della capitale.

    - Il premier israeliano, Ehud Olmert, ha convocato per oggi il Consiglio di difesa per decidere la risposta israeliana all'odierno attacco con razzi Qassam su una base militare vicino a Gaza, nel quale una settantina di soldati sono stati feriti. Alcuni dei feriti versano in condizioni gravi. L'attacco è stato rivendicato dalla Jihad islamica. Nel frattempo una deflagrazione, di natura ancora ignota, è avvenuta nel nord della striscia di Gaza, a Beit Lahya, nella zona da dove in precedenza sono stati sparati i razzi in direzione di Zikim. Una donna palestinese ed una bambina sono rimaste ferite, secondo quanto si è appreso da fonti locali.

    - Il governo colombiano non considera possibile un incontro in Colombia fra il presidente venezuelano Hugo Chavez e una delegazione delle Forze armate rivoluzionarie della Colombia (FARC) per discutere di un accordo umanitario. Lo sostiene Radio Caracol di Bogotà. Al riguardo l'Alto Commissario per la pace Luis Carlos Restrepo ha chiarito che fino ad ora il governo non ha ricevuto da parte di Chavez alcuna richiesta in questo senso ma che comunque ''neppure considera praticabile una eventuale proposta di questo genere''. Unica ipotesi un incontro nel Paese vicino. Nel corso della sua trasmissione ‘Alo Presidente’, Chavez aveva rivelato domenica di aver ricevuto un messaggio del leggendario leader delle FARC, Manuel Marulanda Velez, aggiungendo che se il presidente colombiano Alvaro Uribe lo avesse autorizzato non avrebbe avuto problemi ad entrare nella selva colombiana per incontrarlo.

    - Un gruppo internazionale di esperti guidato da un funzionario del dipartimento di Stato americano, Sung Kim, è giunto oggi in Corea del Nord per colloqui sullo smantellamento degli impianti nucleari disattivati in luglio in base all'accordo di disarmo firmato a Pechino in febbraio. Del gruppo, incaricato di definire le modalità tecniche di una disattivazione irreversibile, fanno parte anche esperti di Cina e Russia. L'accordo del 13 febbraio era stato sottoscritto dalle due Coree e da Usa, Cina, Russia e Giappone: le sue clausole prevedono un percorso di disarmo in cambio di aiuti energetici e assistenziali. In concomitanza con la missione di Sung, Washington ha riaffermato di essere disposta a importanti contropartite anche sul piano bilaterale, a cominciare da una rimozione di Pyongyang dalla lista americana dei cosiddetti 'Stati canaglia'. C’è poi la precisazione del presidente sudcoreano Roh Moohyun che smentisce l’intenzione attribuitagli da voci di assumere iniziative unilaterali a proposito del disarmo atomico di Pyongyang in occasione del vertice che avrà con il leader nordcoreano Kim Jongil all'inizio di ottobre.

    - Il re del Marocco, Mohamed VI, inizierà nei prossimi giorni una serie di consultazioni con i partiti politici, dopo le elezioni legislative dello scorso 7 settembre, per nominare poi il nuovo primo ministro. Le elezioni di venerdì scorso hanno confermato la coalizione che appoggiava il governo di Driss Jettou come principale gruppo nella Camera dei Rappresentanti, e il partito dell'Istiglal come prima forza politica. Secondo la Costituzione marocchina, però, il sovrano può nominare il primo ministro a suo piacimento, anche se non è eletto e non ha alcuna appartenenza politica, come appunto nel caso di Jettou. Il candidato considerato come il più idoneo a riprodurre il profilo del governo Jettou è appunto Al Himma, ex numero due del potere che si è presentato alle politiche nella testa di una una lista senza etichetta politica ed ha raccolto un importante successo. Ma lui stesso ha negato che possa essere il prossimo premier.

    - In Russia, il leader dell'Unione popolare democratica, l'ex premier Mikhail Kasianov, ha annunciato che per le presidenziali del 2 marzo il fronte dell'opposizione ''avrà tre candidati entro fine settembre” ma che l'obiettivo finale sarà concordarne uno unico. Kasianov ha ricordato che il partito liberale Iabloko concluderà le sue procedure per nominare il leader Grigori Iavlinski e che Altra Russia farà altrettanto per la nomina dell'ex campione di scacchi Garry Kasparov, candidature che si affiancheranno alla sua. Kasianov ha escluso candidature da parte di altre due forze dell'opposizione, il partito repubblicano e l'Unione delle forze di destra. ''L'obiettivo dei leader di queste cinque organizzazioni dell'ala democratica è di mostrare volontà politica, sedersi ad un tavolo e concordare un candidato comune'', ha detto. (Panoramica internazionale a cura di Fausta Speranza)

     

     
    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LI No. 254

     
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