RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno LI n. 121 - Testo della trasmissione di martedì 1 maggio 2007
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
Giornata conclusiva al Meeting internazionale dei giovani a
Pompei
CHIESA E SOCIETA’:
Numerose manifestazioni in tutto il mondo per la
festa internazionale del lavoro
L’imminente conferenza di Aparecida
in primo piano alla 45ma plenaria dei vescovi brasiliani
Pregi e difetti della rivoluzione digitale nel Messaggio dei
vescovi del Québec per il 1° maggio
In india è ricoverato in ospedale il missionario protestante,
aggredito da nazionalisti indù
Ancora caos in Turchia: ad
Istanbul, oltre 600 arresti per il primo maggio. sul
versante politico, non si sblocca la crisi istituzionale
1 maggio 2007
Senza il riconoscimento della dignità
inviolabile di ogni persona
non ci sarà giustizia nel
mondo:
così il Papa
alla Pontificia Accademia delle Scienze Sociali
Se
gli esseri umani non sono visti come persone dotate di una dignità inviolabile,
sarà ben difficile raggiungere una piena giustizia nel mondo. E’ quanto scrive
il Papa in un messaggio inviato in occasione della plenaria della Pontificia
Accademia delle Scienze Sociali, che si è conclusa oggi in Vaticano e ha avuto
al centro dei lavori il tema: "Carità e giustizia nei rapporti fra Popoli
e Nazioni". Ce ne parla Sergio Centofanti.
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Nel
suo messaggio, indirizzato alla professoressa Mary Ann
Glendon, presidente della Pontificia Accademia delle
Scienze Sociali, il Papa afferma che “il perseguimento della giustizia e la
promozione della civiltà dell'amore sono aspetti essenziali” della missione
della Chiesa “a servizio dell’annuncio del Vangelo di Gesù Cristo”. Ribadisce
comunque “che, anche nella più giusta delle società, ci sarà sempre posto per
la carità” in quanto “non c'è nessun ordinamento statale giusto che possa
rendere superfluo il servizio dell'amore".
Al
centro del magistero della Chiesa, che – ricorda il Papa – “si rivolge non soltanto
ai credenti ma anche a tutti gli uomini di buona volontà” vi è “il principio della destinazione
universale di tutti i beni della creazione. Secondo tale fondamentale principio,
tutto ciò che la terra produce e tutto ciò che l’uomo trasforma e confeziona,
tutta la sua conoscenza e tecnologia, tutto è destinato a servire lo sviluppo
materiale e spirituale della famiglia umana e di tutti i suoi membri”.
In
questa prospettiva il Papa fa riferimento a tre sfide che oggi il mondo si
trova ad affrontare: “la prima sfida riguarda
l'ambiente e uno sviluppo sostenibile. La comunità internazionale – afferma il
Papa - riconosce
che le risorse del mondo sono limitate e che è dovere di ogni popolo attuare
politiche miranti alla protezione dell'ambiente, al fine di prevenire la
distruzione di quel patrimonio naturale i cui frutti sono necessari per il
benessere dell'umanità”. Benedetto XVI sottolinea che nell’applicare soluzioni
a livello internazionale “particolare attenzione deve essere rivolta al fatto
che i Paesi più poveri sono quelli che sembrano destinati a pagare il prezzo
più pesante per il deterioramento ecologico”.
La
seconda sfida – scrive il Papa - chiama in causa il concetto di persona
umana: “se gli esseri umani non sono visti come persone, maschio e femmina,
creati ad immagine di Dio (cfr Gn
1, 26), dotati di una dignità inviolabile, sarà ben difficile raggiungere una
piena giustizia nel mondo. Nonostante il riconoscimento dei
diritti della persona in dichiarazioni internazionali e in strumenti legali,
occorre progredire di molto per far sì che tale riconoscimento abbia
conseguenze sui problemi globali, come quello del crescente divario fra Paesi
ricchi e Paesi poveri; l'ineguale distribuzione ed assegnazione delle risorse
naturali e della ricchezza prodotta dall'attività umana; la tragedia della
fame, della sete e della povertà in un pianeta in cui vi è abbondanza di cibo,
di acqua e di prosperità; le sofferenze umane dei rifugiati e dei profughi; le
continue ostilità in molte parti del mondo; la mancanza di una sufficiente
protezione legale per i non nati; lo sfruttamento dei bambini; il traffico
internazionale di esseri umani, di armi, di droghe; e numerose altre gravi
ingiustizie”.
La
terza sfida – leggiamo nel messaggio - si rapporta ai valori dello spirito. “Incalzati
da preoccupazioni economiche – rileva il Pontefice - tendiamo a dimenticare che, al
contrario dei beni materiali, i beni spirituali che sono tipici dell'uomo si
espandono e si moltiplicano quando sono comunicati: al contrario dei beni divisibili,
i beni spirituali come la conoscenza e l'educazione sono indivisibili, e più
vengono condivisi, più vengono posseduti”. “Sempre più importante, perciò, è il
bisogno di un dialogo che possa aiutare le persone a
comprendere le proprie tradizioni nel momento in cui entrano in contatto con
quelle degli altri, al fine di sviluppare una maggiore autocoscienza di fronte
alle sfide recate alla propria identità, promuovendo così la comprensione e il
riconoscimento dei veri valori umani all'interno di una prospettiva interculturale.
Per affrontare positivamente tali sfide è urgentemente necessaria una giusta
uguaglianza di opportunità, specie nel campo dell'educazione e della
trasmissione della conoscenza. Purtroppo – nota il Papa - l'educazione,
specialmente al livello primario, rimane drammaticamente insufficiente in molte
parti del mondo”.
“Per
affrontare tali sfide – conclude Benedetto XVI - solo l'amore per il prossimo può
ispirare in noi la giustizia a servizio della vita e della promozione della
dignità umana. Solo l'amore all'interno della famiglia, fondata su un uomo e
una donna, creati a immagine di Dio, può assicurare quella solidarietà
inter-generazionale che trasmette amore e giustizia alle generazioni future.
Solo la carità può incoraggiarci a porre la persona umana ancora una volta al
centro della vita nella società e al centro di un mondo globalizzato, governato
dalla giustizia”.
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Ieri pomeriggio, nella penultima giornata della plenaria della
Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, è intervenuto anche il cardinale
segretario di Stato Tarcisio Bertone con una relazione su “giustizia internazionale e governance internazionale nel contesto
della
crisi del multilateralismo”. “Occorre passare da una governance debole che troppo spesso si
affida alla guerra, in quanto non è capace di prevenire mediante lo sviluppo e
la giustizia - ha affermato il porporato - ad una governance ad alta intensità
etica che
produca un ordine nel bene”. In
questi giorni durante la plenaria si è dunque parlato di carità,
giustizia e integrazione nella società contemporanea.
A questo proposito Fabio Colagrande ha raccolto il commento del prof.
Maurizio Ambrosini, docente di sociologia dei
processi migratori dell’Università Statale di Miliano, tra i relatori alla
plenaria:
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R. - Abbiamo
avuto sia testimonianze di dialogo concreto, di convivenza difficile, ma anche
feconda tra popoli e religioni diverse, sia speranze e aperture, sia la
prospettiva di un avanzamento nella capacità di governare i conflitti e promuovere
la cooperazione internazionale, attraverso il rafforzamento di istituzioni internazionali.
Il cardinal Bertone ha molto ben sottolineato il fatto che bisogna passare da
una governance puramente intesa in senso tecnico, “in senso debole” lui diceva,
una governance che abbia una sostanza etica, che abbia
un più profondo incardinamento in un sistema di
valori. Questo credo sia un grande obiettivo cui tendere.
D. – Si può
dire, prof. Ambrosini, che in Europa ci siano politiche di resistenza alle migrazioni?
R. – Certamente,
c’è una dimensione di chiusura che fa parlare di “fortezza Europa”, una
tensione tra un’economia anche delle famiglie – non dimentichiamolo – che hanno
bisogno di immigrati, che li attirano e, dall’altra parte, delle istituzioni
politiche, delle opinioni pubbliche, che invece vogliono più restrizioni, più
controlli, più frontiere. In questa tensione noi siamo diventati importatori
riluttanti di immigrati: ne abbiamo bisogno, ma non li vogliamo.
D. – A che punto
è la messa a punto di meccanismi che permettano l’integrazione
economico-sociale degli immigrati in Europa?
R. – La messa a
punto di meccanismi è abbastanza debole e come sappiamo lascia morti e feriti
sul campo. Ciò nonostante i migranti stessi, tra mille difficoltà, promuovono
processi di integrazione, attraverso i ricongiungimenti familiari, attraverso
l’educazione, la scolarizzazione, per esempio delle seconde generazioni, cui
tengono molto in generale, attraverso la promozione di nuove attività segnatamente
di lavoro autonomo, che rappresenta la principale via di miglioramento della
condizione degli immigrati nelle nostre società.
D. – Cosa dice
di fronte a chi teme che l’identità culturale italiana possa essere in qualche
modo attaccata e, quindi, annacquata da una presenza troppo ampia di stranieri?
Questa è un’opinione piuttosto diffusa tra la gente…
R. – E’ un
timore che effettivamente esiste. La cosa strana, però, è che non ci rendiamo
conto che i maggiori danni all’identità culturale italiana forse vengono da
altre parti. Pensiamo ai modelli di consumo americani, che sono diffusi dalla
televisione, dal cinema, dai mass media in generale. Mi sembra che stiano cambiando
molto di più la nostra vita questi modelli, per esempio in campo familiare, di
quanto non avvenga con l’arrivo di popolazioni immigrate. Forse le nostre paure,
che ci sono e hanno dei fondamenti, stanno individuando un bersaglio sbagliato
su cui appuntarsi. Io penso che anche la diversità religiosa possa essere
un’occasione per approfondire e capire meglio i fondamenti della nostra fede
religiosa, per farla crescere con quella umiltà teologica, che ci richiamava il
rabbino David Rosen.
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Ai
microfoni della Radio Vaticana,
il
grazie dell’arcivescovo Angelo Bagnasco al Papa
e
al presidente Napolitano per la solidarietà
dopo
le minacce dei giorni scorsi. Il presidente della CEI
ribadisce
l’urgenza, per il bene dell’Italia,
di
un confronto sereno sulla famiglia
Piena solidarietà del Papa al
presidente della Conferenza episcopale italiana, mons. Angelo Bagnasco, dopo le
minacce dei giorni scorsi. Ieri, Benedetto XVI ha telefonato personalmente
all’arcivescovo di Genova per esprimergli la sua vicinanza e lo ha incoraggiato
- attraverso un telegramma - a continuare il suo servizio alla Chiesa italiana.
Al presidente della CEI anche la solidarietà del presidente della Repubblica
italiana, Giorgio Napolitano, che ha accolto l’appello del cardinale segretario
di Stato Tarcisio Bertone, alle autorità politiche affinché mons. Bagnasco non venga lasciato solo. Il servizio di Alessandro Gisotti:
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“Profondamente
colpito e addolorato”: sono i sentimenti espressi da Benedetto XVI in seguito
alle minacce all’arcivescovo di Genova, Angelo Bagnasco. Intimidazioni che, in
un telegramma a firma del cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone, il
Papa definisce “episodi gravi e deprecabili che turbano la serena convivenza
della comunità ecclesiale e civile”. Il Pontefice rinnova anzitutto la sua
“vicinanza spirituale” al presule e assicura la sua preghiera affinché “possa
proseguire fruttuosamente il suo alto servizio alla Chiesa italiana”. Con
“l’aiuto divino e il fraterno sostegno del popolo cristiano”, scrive il Papa,
mons. Bagnasco “continui ad operare per il bene comune difendendo e promuovendo
i valori umani e religiosi senza i quali non è possibile costruire vere
democrazie libere e stabili”. Al presidente dell’Episcopato italiano è giunta
anche la solidarietà del capo dello Stato, Giorgio Napolitano, che in risposta ad un appello del cardinale Bertone ha
assicurato “che l'Italia non lascerà solo” mons. Bagnasco “di fronte alle
inammissibili, vili minacce di oscura provenienza di cui è stato fatto
oggetto”. In un telegramma, Napolitano ribadisce che “occorre garantire il più
sereno esercizio della missione pastorale” del presidente della CEI e “il più
pacato, responsabile e costruttivo dialogo tra la Chiesa Cattolica, la politica
e la società civile, in linea con gli ottimi rapporti che intercorrono tra la
Santa Sede e lo Stato italiano”. Dal canto suo, il cardinale Tarcisio Bertone,
in un’intervista al TG2, si è soffermato sulla solidarietà espressa al
presidente CEI:
“Io ho percepito una
grande vicinanza, anzitutto, da parte delle autorità religiose, da parte dei
confratelli di mons. Bagnasco e da parte anche delle comunità cattoliche. Anche
le autorità politiche, anche i rappresentanti della cultura e della politica,
in generale, hanno dimostrato comprensione della gravità del problema, ma hanno
anche cercato – e penso che sia ciò che dobbiamo fare tutti – di disinnescare
questo potenziale di collera e di contrapposizione, che ha un po’ caratterizzato gli ultimi giorni e le ultime settimane della
storia italiana”.
E
gratitudine per la “corale manifestazione di incoraggiamento e sostegno” è stata
espressa dalla CEI attraverso il suo segretario generale, mons. Giuseppe Betori. Una solidarietà, afferma mons. Betori
in una nota, che rafforza mons. Bagnasco nella “volontà di continuare con serenità”
nel “compito di servizio alla verità del Vangelo e alla piena dignità della
persona umana e costruzione della convivenza civile”. Parole a
cui fa eco la dichiarazione del direttore della Sala Stampa della Santa
Sede. “Non solo non ci si deve lasciare intimidire in alcun modo dalle minacce,
da qualunque parte esse vengano”, ha affermato padre Federico
Lombardi, ma anzi “bisogna cogliere l’occasione per ribadire l’urgenza
di un dialogo sempre più sereno e costruttivo fra la Chiesa, la politica e la società
civile”.
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Dunque, la Chiesa e il popolo
italiano si stringono attorno al presidente della Conferenza episcopale
italiana. Intervistato da Alessandro Gisotti, lo
stesso mons. Angelo
Bagnasco esprime la sua gratitudine in
particolare al Papa e al presidente Napolitano:
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R. – E’ stato un
momento di grandissima gioia, di sorpresa, proprio perché inattesa questa
telefonata del Santo Padre, che mi ha riempito veramente di gioia e di
gratitudine. Con la sua parola piena di affetto, di attenzione e, allo stesso
tempo, di decisa chiarezza, mi ha confermato di proseguire nel magistero che riguarda
anche quei valori religiosi ed umani, senza i quali non è possibile costruire
delle vere e stabili democrazie. Questa telefonata è certamente motivo non solo
di grande incoraggiamento e di conforto, ma anche di conferma per quello che è
il servizio della Chiesa italiana per il bene di tutti.
D. – Solidarietà le è
stata espressa anche dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Mons. Bagnasco sente questa vicinanza delle autorità
politiche e del popolo italiano?
R. – Moltissimo.
Intanto, appunto, per il segno molto gradito da parte del nostro presidente
della Repubblica, che esprime la solidarietà di tutto il mondo politico, che si
è espresso anche in molti modi in questi giorni e in questi ultimi tempi. In
lui certamente si vede la sintesi più alta e più autorevole. E in lui si
esprime anche il popolo italiano, che si è stretto accanto a me in moltissimi
modi e attraverso moltissime espressioni, a tutti i livelli, di età, di
posizione ed anche di fede e di credo.
D. – Nel telegramma
inviatole, il Papa la incoraggia a proseguire il suo servizio alla Chiesa
italiana. Dunque, queste minacce – si può dire - rafforzano il suo impegno
piuttosto che indebolirlo?
R. – Certamente lo
confermano insieme alla parola autorevole del Santo Padre e lo confermano nella
chiarezza essenziale delle cose, senza nessuna contrapposizione di nessun tipo
e nessun livello, perché la Chiesa, da sempre, promuove e crede fermamente
nella famiglia come nucleo fondante della società e anche del proprio essere
Chiesa. Quindi, sotto questo profilo c’è una continuità ovvia nella serenità e
nella pacatezza che abbiamo noi vescovi, dal Consiglio Permanente in poi: parlo
del momento in cui è stata stilata la nota pastorale e che vogliamo assolutamente
mantenere, come è giusto.
D. – Proprio sulla
famiglia, il confronto è molto acceso. Come rasserenare il clima pur nella
legittima diversità di posizioni?
R. – Credo che si
tratti, anzitutto, di una conversione interiore, nel senso di non doversi
sentire attaccati perché si esprime una posizione diversa, se lo si fa con un atteggiamento di civiltà, di rispetto, di
discrezione. La Chiesa questo lo sta facendo ed è anche la mia posizione, dopo
l’inizio di questo polverone che è nato dal nulla – ci tengo a ribadire – e da
una cattiva interpretazione ed attribuzioni di pensieri mai pensati e mai
detti. Ecco ho voluto non intervenire più di tanto, proprio
perché desideravo, ho desiderato e desidero che ci sia una riflessione pacata,
che favorisca proprio quel clima di distensione dove – ripeto – ognuno può
esprimere le proprie posizioni serenamente e porre i propri gesti, privati come
pubblici, con assoluta serenità e tranquillità. Altrimenti ogni parola che si
dice diventa facilmente motivo di interpretazione, più o meno ideologica, e
quindi di polemica, quindi di scontro. Questo non fa bene a nessuno, a
cominciare proprio dal nostro Paese.
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Festa
di San Giuseppe Lavoratore:
il
Papa sottolinea il primato dell’uomo sul lavoro,
contro
ogni sfruttamento e idolatria
Oggi,
primo maggio e festa internazionale del lavoro, la Chiesa ricorda San Giuseppe
Lavoratore. In questi due anni di Pontificato, Benedetto XVI è intervenuto
spesso sulle problematiche del mondo del lavoro reclamando con forza il primato
della dimensione umana del lavoro, contro ogni sfruttamento e idolatria. Il
servizio di Sergio Centofanti.
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Benedetto
XVI già nel suo primo discorso da Pontefice, il 19 aprile di due anni fa,
pronunciava due volte la parola “lavoro”: si definiva un semplice e umile
“lavoratore” nella vigna del Signore, sottolineando di sentirsi consolato dal
fatto che il Signore “sa lavorare” ed agire anche con strumenti insufficienti.
Insieme, dunque, il lavoro di Dio e il lavoro dell’uomo: “il
lavoro – ha affermato Benedetto XVI – rientra nel progetto di Dio sull’uomo … è
partecipazione alla sua opera creatrice e redentrice”. Per questo “è la persona
il metro della dignità del lavoro”:
“Dal primato della valenza etica del lavoro umano, derivano ulteriori
priorità: quella dell’uomo sullo stesso lavoro, del lavoro sul capitale, della
destinazione universale dei beni sul diritto alla proprietà privata: insomma la
priorità dell’essere sull’avere”. (Discorso alle ACLI, 27 gennaio 2006).
Pochi
giorni dopo la sua elezione, il 1° maggio 2005, Benedetto XVI si affacciava per
la prima volta dalla finestra del suo studio privato per un Regina Coeli tutto dedicato al mondo del lavoro auspicando che il lavoro “non manchi
specialmente per i giovani”. Il 19 marzo
2006, Solennità di San Giuseppe, presiedeva la Messa per i lavoratori invitando
i credenti a “santificarsi attraverso il proprio lavoro” perché “non basta la
pur necessaria qualificazione tecnica e professionale” per attuare la propria
integrale vocazione:
“Il
lavoro riveste primaria importanza per la realizzazione dell'uomo e per lo
sviluppo della società, e per questo occorre che esso sia sempre organizzato e
svolto nel pieno rispetto dell'umana dignità e al servizio del bene comune. Al
tempo stesso, è indispensabile che l'uomo non si lasci asservire dal lavoro,
che non lo idolatri, pretendendo di trovare in esso il
senso ultimo e definitivo della vita”.
Il
Papa ricorda l’importanza del riposo domenicale: “esigere
… che la domenica non venga omologata a tutti gli altri giorni della settimana
– sottolinea - è una scelta di civiltà”.
Benedetto XVI in questi due anni di Pontificato ha lanciato numerosi appelli
contro lo sfruttamento dei lavoratori, per la sicurezza del lavoro, per
l’inserimento dei disabili nelle attività lavorative, ha denunciato il trattamento
degli immigrati “come merce o semplice forza lavoro” e il lavoro precario che determina
disagio e inquietudine, impedendo spesso qualsiasi progetto per il futuro, come
il matrimonio e la formazione di una famiglia. Occorre “valorizzare la dimensione
umana del lavoro” secondo il Papa “in spirito di giustizia e solidarietà”. Ai
giovani dice che “non conta soltanto diventare più competitivi e produttivi” ma
soprattutto “occorre essere testimoni della carità”. E il pensiero e la
preoccupazione del Papa vanno proprio ai giovani che invita “a non perdersi
d’animo dinanzi alle difficoltà”. Li affida a San Giuseppe:
“Vorrei
affidare a lui i giovani che a fatica riescono ad inserirsi nel mondo del
lavoro, i disoccupati e coloro che soffrono i disagi dovuti alla diffusa crisi
occupazionale. Insieme con Maria, sua Sposa, vegli san
Giuseppe su tutti i lavoratori ed ottenga per le famiglie e l'intera umanità
serenità e pace. Guardando a questo grande Santo apprendano i cristiani a
testimoniare in ogni ambito lavorativo l'amore di Cristo, sorgente di
solidarietà vera e di stabile pace”. (Messa
per i lavoratori, 19 marzo 2006)
Benedetto
XVI indica a tutti i lavoratori lo stile del loro patrono, San Giuseppe, la cui
“grandezza risalta ancor più perché la sua missione si è svolta nell'umiltà e
nel nascondimento” come del resto ha fatto Gesù, il Figlio di Dio, che si è
dedicato “per molti anni ad attività manuali, tanto da essere conosciuto come
il figlio del carpentiere”:
“Dall'esempio
di San Giuseppe viene a tutti noi un forte invito a svolgere con fedeltà,
semplicità e modestia il compito che la Provvidenza ci ha assegnato”. (Angelus del 19 marzo 2006)
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Il
Papa invita a pregare, in questo mese di maggio,
perchè
sull'esempio della Vergine ogni cristiano si lasci guidare
dalla
Parola di Dio. La riflessione
di mons. Angelo
Comastri
Il mese di maggio è
particolarmente dedicato dai fedeli alla Madre di Gesù. E il Papa esorta a
pregare in questo mese perchè "sull’esempio della Vergine Maria, ogni
cristiano, sempre attento ai segni del Signore nella propria vita, si lasci guidare
dalla Parola di Dio".
Esattamente un anno fa
Benedetto XVI iniziava il mese di maggio come tanti romani: con la visita al
Santuario della Madonna del Divino Amore e la recita del Rosario. A Maria il
Papa affidava le necessità di tutti, le speranze, le
vicende liete e quelle dolorose. Per una riflessione sul carattere “mariano”
del mese di maggio Giovanni Peduto ha sentito l’arcivescovo Angelo
Comastri, vicario del Papa per lo Stato della Città del Vaticano:
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R. – Il mese di maggio
è il mese della bellezza; è il mese in cui esplode la creazione, attraverso i
fiori e sembra che tutta la creazione metta il vestito più bello. Ebbene la
veste più bella dell’umanità è Maria. Maria è la tutta bella e del resto le
parole dell’Arcangelo Gabriele possiamo tradurle così, con aderenza al testo greco:
“Gioisci, tu che sei stata riempita di bellezza. Il Signore è con te”. Oggi esistono
tanti equivoci attorno alla bellezza. Molto spesso vengono
dichiarate belle alcune persone soltanto perché hanno un volto bello, ma
talvolta hanno un’anima terribile, un cuore cattivo. Quella non è una bellezza.
La bellezza di Maria è la bellezza che parte dal cuore e si irradia sul volto.
Sicuramente Maria doveva essere bella, anche fisicamente, ma quella bellezza
non era altro che l’irraggiamento della bellezza del suo cuore e della sua
anima. Ecco, Maria e la devozione a Maria ci educano alla vera bellezza e a
cercare la vera bellezza.
D. – Come migliorare
in questo mese la nostra preghiera a Maria?
R. – Soprattutto
imitando Maria. Pregare i Santi non significa semplicemente incensarli, un
Santo non ha bisogno di incenso: pregare i Santi, ricorrere ai Santi significa
riconoscere nei Santi un modello. E in Maria noi riconosciamo in modo
particolare il modello della fede. Maria è umile, Maria non pesa di orgoglio.
Per questo Maria è aperta a Dio e per questo Dio può fare, attraverso Maria, le
sue grandi opere, le sue meraviglie. Oggi viviamo in un’epoca di grande
orgoglio. Il celebre vescovo e scrittore francese Bossuet,
in una sua orazione, uscì in questa esclamazione che fa
ancora pensare, perché credo che sia ancora attuale: “Voi vi meravigliate
perché Dio sembra quasi nascosto oggi. Ebbene, io vi do la ragione: c’è troppo
orgoglio e Dio non riesce più a dialogare con questa generazione, perché Dio
respinge gli orgogliosi”. Questa affermazione di Bossuet
mi ha impressionato. Noi dobbiamo imparare da Maria l’umiltà e se noi ci
accostiamo all’umiltà di Maria sentiremo in modo straordinario non solo la
presenza di Dio, ma il fascino di Dio, l’abbraccio di Dio, l’abbraccio che dà
pace al cuore e che trasmette la contentezza che soltanto Dio possiede.
D. – E in tema di
umiltà, il Rosario è la preghiera semplice per eccellenza. Ma come fare per
evitare che diventi una preghiera meccanica, artificiosa?
R. – Il Rosario è una
preghiera semplice, ma non è una preghiera semplicistica. E’ una preghiera
semplice, perché è semplice come il Vangelo, è una preghiera limpida. Del resto
ruota attorno ai Misteri del Vangelo, i Misteri della vita di Gesù, nella quale
è presente evidentemente Maria. Quindi il Rosario non è altro che un cammino
dentro il Vangelo, presi per mano da Maria. Per poter pregare bene bisogna
preparare la preghiera. Oggi, molto spesso, l’errore sta nel modo in cui ci si
accosta alla preghiera, nel modo in cui ci si accosta anche al Rosario. Non si
può essere distratti fino all’ultimo momento e poi prendere in mano la Corona
del Rosario ed avere poi la pretesa di essere raccolti. Bisogna prima entrare
nel santuario della propria anima, bisogna prima metterci in atteggiamento di
preghiera. Quando si è creato un atteggiamento di preghiera, il Rosario è una
preghiera bellissima ed è una preghiera semplice e ricca come il Vangelo,
perché è un viaggio dentro il Vangelo attraverso Maria che ci guida con la sua
dolcezza, con la sua umiltà, con la sua maternità.
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1 maggio 2007
Giornata conclusiva al Meeting internazionale
dei giovani a Pompei
“Siete la speranza, il
futuro, il domani”: con queste parole mons. Carlo Liberati, vescovo-prelato di
Pompei, ha salutato le migliaia di ragazzi che hanno partecipato in questi
giorni al 21.mo Meeting internazionale dei giovani.
Il raduno, che prepara ogni anno alle Giornate mondiali della gioventù, ha
voluto lanciare un messaggio contro la violenza ed offrire testimonianze di
amore. Il servizio da Pompei di Tiziana Campisi.
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“Saremo testimoni di
pace per questa nostra umanità” hanno cantato diverse volte i giovani,
rivolgendo queste parole al Papa. Per augurargli “buon compleanno” hanno
dedicato a Benedetto XVI una canzone parafrasando la sua età: “Ho-ttanta voglia di vivere”. Ai giovani hanno parlato
religiosi, artisti e musicisti. Una vera e propria ovazione ha accolto il
cardinale Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli.
“Riempitevi di amore di Gesù Cristo, di questa forza prorompente che è Dio”, ha
detto il porporato ai giovani, esortandoli a rinnovare la società, a seminare la speranza, ad essere evangelizzatori e missionari.
Il cardinale Sepe si è intrattenuto con i giovani, chiedendo loro di
donare alla Chiesa la capacità di amare, quella stessa
che loro possiedono. Poi ha lasciato la parola al prof. Andrea Riccardi. Il fondatore della Comunità di Sant’Egidio ha invitato
i giovani ad avere più attenzione per i poveri e i deboli e li ha esortati a pretendere
di vivere nella pace.
Tra le diverse
iniziative legate alle 21.mo Meeting di Pompei,
quella degli SMS da inviare al 333.7646420 al Papa. Gli auguri, le domande e le
riflessioni saranno raccolte in un volume da donare a Benedetto XVI. Antonella ci confida cosa ha scritto al
Santo Padre:
R. – Io gli ho scritto
che è sotto gli occhi di tutti come in questo momento c’è una grande mancanza
di amore. Ma nonostante tutto io credo fermamente nella rinascita spirituale
dei giovani e gli ho augurato soprattutto che lui possa essere testimone di
questa grande rinascita di cui noi saremo protagonisti.
D. – Antonella, come
stai vivendo questa giornata?
R. – Questa è una
giornata tutta particolare. C’è un’aria di festa e di grande aggregazione.
Spero che tutti noi giovani, insieme, con le nostre anime e con i nostri cuori
daremo una grande testimonianza di amore, di pace e di speranza per questa
città, che è Pompei.
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Il futuro della Chiesa cattolica in
Terra Santa
al centro
di una conferenza tenuta a Roma
dal padre
francescano David-Maria Jaeger
“Il futuro della
Chiesa Cattolica in Terra Santa": se ne è parlato in questi giorni a Roma
durante una Conferenza tenuta dal padre francescano David-Maria
Jaeger, noto esperto delle problematiche giuridiche
che riguardano la Chiesa nei luoghi santi. L'iniziativa, promossa
dall’ambasciatore della Repubblica argentina presso la Santa Sede, si è svolta
pochi giorni dopo la visita del presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese,
Abu Mazen, a Benedetto XVI
in Vaticano. Sul futuro della Chiesa cattolica in Terra Santa, ascoltiamo al
microfono di Luca Collodi, padre Jaeger:
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R. – Il futuro per la
Chiesa in Terra Santa richiederebbe innanzitutto la pace. Non si può
idealmente, ma anche praticamente, stralciare la posizione della Chiesa dalla
situazione generale nella regione. E’ la pace che creerà il contesto più favorevole
allo sviluppo della vita della Chiesa: la pace, gli accordi bilaterali, gli strumenti
di tipo concordatario, che la Santa Sede ha concluso con palestinesi e israeliani
e che richiedono ulteriore paziente sviluppo, una testimonianza decisa e rispettosa
della Chiesa all’interno di ciascuna delle due società,
capace di creare dialogo, intesa, di suscitare rispetto. Queste sono a
mio avviso le basi per un futuro sicuro e spiritualmente prospero.
D. – Padre Jaeger, in Terra Santa i cristiani sono ancora intenzionati
a lasciare il territorio?
R. – Non si può dire
che i cristiani in Terra Santa siano intenzionati a lasciare il Paese. In una
parte della Terra Santa, nei territori occupati, dove le difficoltà sono
grandissime per la popolazione in genere, e qualche volta specialmente per le
famiglie cristiane, che si trovano come minoranza all’interno del disagio
generale, si sperimenta da parte della popolazione la voglia di trovare maggior
sicurezza e migliori prospettive per le proprie famiglie, per i propri figli.
Da qui nasce il fenomeno dell’emigrazione, che per ragioni culturali, storiche,
familiari è spesso più facile per i cristiani che non per i loro vicini, perché
hanno già famiglie oltreoceano, parenti, comunità che potranno sostenerli.
D. – Recentemente il
presidente palestinese Abu Mazen
è stato dal Papa, ma più in generale sembra profilarsi un’aria positiva sul
percorso di pace in Terra Santa. E’ riscontrabile questo, secondo lei, in
concreto, sul territorio?
R. – E’ bene che si
stia muovendo sulle pagine dei giornali. Concretamente, però, la pace non si
inventa. Non c’è la bacchetta magica che porta la pace. La pace, anche in Terra
Santa, è frutto di un processo negoziale, che deve essere ordinato e sostenuto.
E’ bene che i capi dei governi e dei popoli si incontrino. E’ molto bene! Si
spera che il miglioramento dell’atmosfera delle alte vette almeno porti in
breve tempo alla ripresa del duro lavoro del negoziato di pace.
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1 maggio 2007
Numerose manifestazioni in tutto il mondo
per la festa internazionale del lavoro
Maggiore attenzione
alle dinamiche che caratterizzano l’universo del lavoro. Questo lo spirito
dominante oggi in molte piazze del mondo. Migliaia di lavoratori nel centro di
Bangkok, in Thailandia, hanno protestato contro il governo per i salari troppo
bassi e per l’incremento della disoccupazione. Stesso scenario anche in
Indonesia. In altri Paesi asiatici, come lo Sri Lanka,
la festa è stata invece rinviata a domani per la coincidenza con una ricorrenza
religiosa buddista. Per milioni di lavoratori cinesi questa giornata segna
l’inizio di un periodo di vacanza, mentre in Russia le forze dell’ordine hanno
controllato che le manifestazioni dei lavoratori non degenerassero in
disordini. E incidenti si sono verificati ad Istanbul e Macao, dove la piazza
ha denunciato la crescente immigrazione clandestina. Scontri con le forze
dell’ordine anche a Berlino e Madrid. A Roma tutto è pronto per il tradizionale
primo maggio musicale, mentre in mattinata i leader
sindacali hanno ricordato – fra l’altro - le vittime degli incidenti sul
lavoro. Una piaga questa che dilaga in tutto il mondo. Secondo il consueto
rapporto annuale dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO), diffuso
nei giorni scorsi, ogni anno sono oltre 2 milioni le persone che muoiono per
incidenti sul posto di lavoro, 270 milioni i feriti e 160 quelli che soffrono
di malattie professionali. Ridurre questi numeri, secondo l'ILO, è possibile:
serve l’impegno di tutti – governi, imprenditori e lavoratori – per una
completa applicazione delle regole sulla sicurezza, ma occorre anche
formazione, ispezioni e denunce. (A cura di
Eugenio Bonanata)
L’imminente conferenza di Aparecida
in primo piano alla 45.ma plenaria dei vescovi
brasiliani
“Verso la Conferenza
di Aparecida”. Questo il tema della 45esima assemblea
generale della Conferenza episcopale Brasiliana (CNBB), che si apre oggi a Itaici. Al centro dei lavori l’opportunità di trasmettere
all’imminente V Conferenza Generale dell'Episcopato Latinoamericano e Caraibico la “voce” della Chiesa in Brasile e il suo
progetto di fede e di testimonianza per gli anni futuri. Nel corso della riunione,
oltre a rinnovare le cariche elettive e a votare il documento sull’evange-lizzazione
della gioventù, i vescovi analizzeranno la situazione socio-economica e le
priorità ecclesiali del momento. Particolare attenzione sarà dedicata alla “Pastorale
della Sobrietà”, un’azione pastorale integrata finalizzata alla prevenzione e
recupero della tossicodipendenza, in vista del suo riconoscimento come organismo
collegato alla CNBB. Sono previste comunicazioni sulle campagne di Fraternità e
per l’Evangelizzazione, sulle linee direttrici per la formazione presbiterale e
sul “2009 - Anno della Catechesi”. La preghiera e la riflessione in vista
dell’appuntamento di Aparecida proseguiranno nella
giornata di ritiro, sabato 5 maggio, dedicata al tema “Spiritualità della
sequela e della missione alla luce della preparazione della V Conferenza”, con
le meditazioni proposte dall’arcivescovo di Manaus, mons. Luiz
Soares Vieira. Una sessione
speciale dei lavori ricorderà l’eredità spirituale di mons. Luciano Pedro Mendes de Almeida,
scomparso il 27 agosto scorso. Infine saranno elaborate dichiarazioni
riguardanti l’attualità politica nazionale, l’odierna giornata del lavoratore e
la situazione in Amazzonia. (E.B.)
Pregare per elezioni libere e
pacifiche.
Così i vescovi delle Filippine in vista delle
prossime elezioni
Che le prossime
elezioni di mezzo termine nelle Filippine si svolgano “con onestà e pace”. E’
l’esortazione che i vescovi locali hanno rivolto ai fedeli attraverso una
lettera pastorale firmata dal presidente della Conferenza episcopale filippina,
mons. Angel N. Lagdameo.
Come riporta l’agenzia AsiaNews, i presuli chiedono in particolare ai fedeli di
unirsi in preghiera dal 5 al 14 maggio – giorno delle elezioni - per “ascoltare
la guida di Dio e fare in modo che le elezioni siano pulite, pacifiche e
soprattutto rappresentative della vera volontà del popolo”. Gli elettori si
recheranno alle urne per rinnovare la Camera, parte del Senato e numerose
amministrazioni locali. Nonostante gli sforzi della Chiesa locale, che è
intervenuta più volte sul tema, la tensione cresce nel Paese. Diversi, infatti,
gli atti di violenza contro i candidati. Ieri, Julian
Resuello, sindaco di San Carlos,
cittadina a 160 chilometri da Manila, è morto in ospedale dopo un agguato
avvenuto il 28 aprile scorso, ad opera – secondo le autorità – di avversari
politici. Nei giorni scorsi, in un secondo incidente, si è invece salvato il
sindaco di Morong, attaccato nella notte
mentre dormiva in casa con i familiari. Per cercare di fermare questa violenza,
il presidente Gloria Macapagal Arroyo
ha ordinato all’esercito di coordinare con la polizia un’azione di monitoraggio
“24 ore su 24” in tutte le zone del Paese ritenute sensibili. Inoltre, ha
emanato un ordine di confisca per tutte le armi da fuoco in mano a privati
cittadini. (E. B.)
Pregi e difetti della rivoluzione digitale
nel Messaggio dei vescovi
del Québec per il 1° maggio
Nel loro tradizionale
messaggio per la Festa del 1° maggio, i vescovi del Québec
propongono una riflessione sul rapporto tra le nuove tecnologie dell’era informatica
e il valore del lavoro umano, invitando a promuovere una “Settimana di digiuno dai media”, per riscoprire il valore dei rapporti umani. Il
documento, preparato dal Comitato episcopale per gli affari sociali, evidenzia
gli aspetti positivi e negativi della cosiddetta rivoluzione digitale, che ha
tanto cambiato il mondo del lavoro in questi anni. “Mai come oggi - rileva il
messaggio - gli ideali della solidarietà, della fraternità e della cooperazione
hanno avuto così tanti strumenti a disposizione”. Tra i principali effetti
negativi, ci sono invece la precarietà generalizzata del lavoro e la
progressiva disumanizzazione dei rapporti
interpersonali. Così – rilevano i vescovi - scopriamo che “strumenti concepiti
per avvicinare gli esseri umani possono trasformarli in soggetti virtuali
astratti”. Ma la rivoluzione digitale – evidenzia il documento – ha provocato
anche una “crisi di senso” che sta cambiando anche la nostra percezione della
realtà: “Fino a che punto – si chiedono i presuli - permetteremo che questi
strumenti ci allontanino dagli altri?”. Di qui, l’invito a “reinventare una
nuova arte del vivere”, che permetta di massimizzare gli aspetti positivi della
rivoluzione digitale, mettendola al servizio dell’uomo e della qualità della
vita per ridurne al minimo gli effetti negativi. I vescovi del Québec
propongono, inoltre, una settimana senza televisione e computer, sull’esempio
di quanto realizzato in Francia e negli Stati Uniti, per “riscoprire
l’essenziale della vita: le relazioni con gli altri, con sé stessi, con
l’ambiente e con Dio”. (L.Z.)
In india è ricoverato in ospedale
il missionario protestante,
aggredito da nazionalisti indù
Assalito da un gruppo
di nazionalisti indù davanti alla sua casa, sotto gli occhi di moglie e figli.
Vittima, un pastore protestante. L’aggressione è avvenuta domenica scorsa a Jaipur nello Stato del Rajasthan.
Il tutto è stato ripreso dalle telecamere di una tv locale, invitata dagli
stessi assalitori, tutti appartenenti alla formazione nazionalista Vishwa Hindu Parishad
(VHP). Il pastore, un educatore che guida una piccola comunità cristiana, la
Maschi Santi (Dolcezza Cristiana), è attualmente ricoverato nell’ospedale della
città. Il gesto è stato condannato dalle comunità cristiane che, in una
dichiarazione congiunta, hanno rilevato come l’unica colpa del pastore sia “quella
di essere un cristiano impegnato a trasmettere educazione e il messaggio di
salvezza in una delle regioni più povere del Paese”. (A.
M.)
Solenni celebrazioni in Calabria
per il V Centenario della morte
di San Francesco di Paola, alla presenza del cardinale
Martino
Al via oggi le
celebrazioni nella città di Paola, in Calabria, per il V centenario della morte
di San Francesco di Paola (1416-1507). Domani pomeriggio, nel corso di una
solenne Liturgia Eucaristica, presieduta dal cardinale Renato
Raffaele Martino, presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace e del
Pontificio Consiglio per i Migranti, verrà consacrata la nuova aula liturgica dedicata al fondatore
dell’Ordine dei Minimi, eretta alle spalle dell’antica Basilica di Paola.
Iniziative pastorali e cerimonie devozionali sono al
centro della giornata del 3 maggio. Si parte con la visita alle reliquie del
Santo presso la casa circondariale, dove il cardinale Martino celebrerà
l’Eucaristia, e all’Ospedale civile. Nel pomeriggio la cosiddetta “processione
del mantello” nelle acque della cittadina, rinnoverà il ricordo del noto
miracolo del Santo. Da una motovedetta della capitaneria di porto, il cardinale
guiderà una celebrazione della Parola, con la benedizione del mare e l’omaggio
in memoria dei marittimi, di cui il Santo è Patrono nazionale. La processione
riprenderà poi nelle strade cittadine. Durante il percorso verranno
declamati alcuni brani dagli scritti di San Francesco sul tema della pace e
della riconciliazione. Al mattino del 4 maggio il cardinale Martino presiederà
la solenne Concelebrazione Eucaristica di ringraziamento nella Chiesa appena
consacrata. Nell’occasione saranno presenti le autorità politiche della regione
e delle cinque province calabresi, che offriranno l’olio votivo per la lampada
posta sulla tomba del Santo. (E. B.)
Con una Messa presieduta da mons.
Giuseppe Betori si è conclusa a Rimini la Convocazione
nazionale del Rinnovamento nello Spirito Santo
Con un forte appello
ad impegnarsi nell’annuncio del Vangelo e nella promozione della famiglia si è
conclusa oggi a Rimini la 30.ma Convocazione
nazionale del movimento ecclesiale Rinnovamento nello Spirito Santo. La
concelebrazione eucaristica conclusiva è stata presieduta da mons. Giuseppe Betori, segretario generale della Conferenza episcopale
italiana. “Lo Spirito Santo continui ad accompagnare
il cammino del Rinnovamento!”. Un grande applauso ha sottolineato queste parole
di mons. Giuseppe Betori. “Questo movimento è una
delle fioriture più belle della Chiesa italiana negli ultimi decenni – ha
proseguito mons. Betori – ed il suo radicamento
ecclesiale rappresenta una caratteristica unica nel panorama delle realtà del pentecostalismo cattolico italiano. Come in questi 30 anni
il Rinnovamento ha saputo generare testimonianze di fede e servizio di umanizzazione
– ha sottolineato Betori – così possa continuare a
farlo nel futuro”. Si è dunque chiusa questa 30esima Convocazione nazionale,
che per 4 giorni ha visto riunite alla Fiera di Rimini circa 25mila persone.
Nella relazione conclusiva, il presidente del Rinnovamento, Salvatore Martinez, ha tracciato gli obiettivi del movimento: “Noi
vogliamo un cristianesimo forte!”, ha detto. “Gesù ci ha pensati forti, capaci
di grandi imprese. E ci ha resi tali mediante lo Spirito a Pentecoste: forti
nella convinzione – ha proseguito Martinez – forti
nell’annuncio del bene, forti nella denuncia del male”. Qui a Rimini, il
Rinnovamento ha confermato anche l’adesione alla grande manifestazione “Più
Famiglia”, organizzata dal Forum delle Associazioni Familiari per il prossimo
12 maggio a Roma. Ieri, il tema della famiglia è stato centrale nella
Convocazione, che ha visto la presenza anche di numerosi rappresentanti di
associazioni e movimenti ecclesiali e di parlamentari di entrambi gli
schieramenti. “In gioco, non è una ideologia religiosa
– ha detto il portavoce del Family Day, Savino Pezzotta
– ma il futuro della società stessa, in un momento in cui l’idea di famiglia è
al centro di un cambiamento culturale che tende a sminuirne la centralità”.
Sempre ieri la celebrazione eucaristica è stata presieduta dall’arcivescovo di
Bologna, cardinale Carlo Caffarra, che ha pronunciato
parole di grande intensità: “La Chiesa non può non prendersi cura della famiglia”,
ha detto nell’omelia. “Nessuno potrà impedire alla Chiesa di dire ad alta voce
il suo ‘sì’ alla famiglia e quindi il suo ‘no’ a tutto ciò che ne mette a
rischio l’irripetibile unicità”. (A cura di
Luciano Castro)
1 maggio 2007
-
A cura di Amedeo Lomonaco -
- Il leader di Al Qaeda in Iraq, Abu Ayyub al-Masri, è morto in
seguito ad uno scontro a fuoco a nord di Baghdad. Lo ha rivelato il portavoce
del ministero dell’Interno iracheno aggiungendo che all’operazione non hanno
partecipato i soldati americani. L’egiziano al-Masri
aveva assunto la guida dell’organizzazione terroristica dopo la morte del
giordano Abu Musab al-Zarqawi, avvenuta nel 2006 durante un raid aereo
statunitense. A sud della capitale, intanto, almeno 11 civili sono morti per un
attentato condotto da ribelli contro un minibus. In Iraq sono poi sempre più
forti le tensioni tra islamici sunniti legati ad al Qaeda e altri gruppi di ribelli sunniti. Fonti locali
hanno precisato che questa pericolosa frattura è alimentata da continue e
indiscriminate uccisioni di civili da parte di estremisti appartenenti
all’organizzazione terroristica. Secondo diversi funzionari iracheni, uomini di Al Qaeda hanno attaccato, nel 2006, il santuario sciita
di Samarra per innescare la lunga scia di violenze
tra sciiti e sunniti che sta insanguinando il Paese.
- In
Afghanistan, una bomba è esplosa al passaggio di un convoglio militare italiano
ad Herat: tre soldati sono rimasti feriti. Nel Paese asiatico
è in corso un'offensiva contro ribelli talebani nelle aree meridionali e occidentali
del Paese. La situazione è grave soprattutto nell’ovest dell’Afghanistan:
secondo fonti locali, è di almeno 87 morti il bilancio, ancora provvisorio, di
due attacchi avvenuti domenica scorsa in una zona a sud di Herat.
Dopo questi scontri, è salito ad oltre 130 il numero di talebani rimasti uccisi
in scontri avvenuti negli ultimi giorni. Secondo la polizia afghana negli
scontri sarebbero morti anche 30 civili. A Jalalabad,
intanto, centinaia di studenti sono nuovamente scesi in piazza per protestare
contro l'uccisione, domenica scorsa, di 6 civili durante un raid statunitense
contro le abitazioni di presunti terroristi.
- In Turchia, si
accentua la pericolosa combinazione tra le proteste di piazza e la crisi
politica alimentata dai timori dell’opposizione di una possibile erosione della
laicità dello Stato. Ieri, il premier Recep Tayyp Erdogan, leader del partito
filo-islamico ‘Giustizia e Sviluppo’, ha pronunciato
un discorso per difendere la candidatura del ministro degli Esteri, Abdullah Gul, alla presidenza
della Repubblica. Il primo ministro ha sottolineato che la Turchia deve conservare “la stabilità la fiducia, la pace, l’unità e la
solidarietà nazionale”. Ma ad Istanbul, dove la situazione è sempre più
tesa, è stata duramente repressa una manifestazione convocata per celebrare il
primo maggio. Il nostro servizio:
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Alla preoccupazione
per la crisi politica si aggiungono nuovi disordini: ad Istanbul le forze
dell’ordine sono intervenute per impedire una manifestazione organizzata nella
centrale piazza Taksim per
commemorare la strage del primo maggio del 1977, quando gli agenti di polizia
spararono contro la folla uccidendo 38 persone. Da allora, in Turchia sono
vietate le manifestazioni del primo maggio. Ma sindacati e movimenti di
sinistra hanno comunque deciso di celebrare questa ricorrenza. La reazione
della polizia è stata immediata: gli agenti hanno usato i lacrimogeni e
arrestato almeno 600 persone. Oltre ai disordini, si devono poi registrare le
sempre più forti tensioni per la crisi istituzionale. Ieri, il premier Erdogan ha lanciato un appello per l’unità all’indomani
dell’imponente manifestazione di piazza, organizzata ad Istanbul da
associazioni laiche. Erdogan ha anche ricordato le
buone condizioni in cui versa l’economia turca dopo la grande crisi del 2001.
Ma la situazione economica, in questi giorni, non appare rosea e il valore
della lira turca continua a scendere. La crisi politica si è aggravata lo
scorso 28 aprile, quando i vertici militari hanno minacciato di intervenire per
difendere la laicità della Turchia. Il governo sostiene che la separazione tra
Stato e religione, voluta dal fondatore del Paese, Mustafa Kemal Ataturk,
non è in pericolo. L’opposizione teme, invece, una predominanza di
esponenti islamici nelle istituzioni e ha boicottato, venerdì scorso, la
votazione per la candidatura di Gul non consentendo
il raggiungimento del numero legale di 367 deputati. Il ministro degli Esteri
turco ha annunciato, però, di non voler ritirare la propria candidatura. Entro
domani è attesa la decisione della Corte suprema sulla validità della
votazione. Se il ricorso sarà accolto, sarà avviata la procedura per
organizzare elezioni anticipate entro 90 giorni.
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- In Israele, si è
dimesso il ministro senza portafoglio del governo Olmert,
Etian Cabel. Le dimissioni
sono giunte all'indomani della pubblicazione del duro rapporto della
Commissione di inchiesta Winograd sulla guerra in
Libano. Etian Cabel ha
anche chiesto al premier Ehud Olmert
di lasciare il proprio incarico. Ieri, il premier aveva dichiarato di non voler
rassegnare le dimissioni malgrado le forti critiche
presenti nel rapporto per la gestione del conflitto nel Paese dei Cedri. Olmert, che nel pomeriggio incontrerà vari rappresentanti
dei partiti della coalizione di governo, ha detto che la guerra in Libano “è
stata giusta e inevitabile”.
- Ennesimo
assalto nel sud della Nigeria, dove uomini armati hanno attacco una nave
petrolifera a largo delle coste dello Stato di Bayelsa.
I guerriglieri hanno ucciso un marinaio nigeriano e rapito sei dipendenti
stranieri della società americana ‘Chevron’. Secondo fonti confermate dalla Farnesina,
tra gli ostaggi ci sono quattro italiani e uno statunitense. Nella parte
meridionale della Nigeria sono frequenti gli attacchi di ribelli contro
strutture petrolifere. I gruppi armati chiedono, in particolare, una diversa
distribuzione dei proventi derivanti dalle attività petrolifere.
- Tragedia
in Spagna: un edificio di cinque piani è crollato a Palencia,
a nord est di Madrid. Secondo la radio spagnola, sono morte almeno 5 persone ma il bilancio è ancora provvisorio. Fonti locali
hanno riferito che il palazzo era abitato da una decina di famiglie. In base
alle prime ricostruzioni, il crollo è stato provocato da un’esplosione di gas.
- Il leader cubano Fidel Castro non ha partecipato all'apertura delle cerimonie
per il primo maggio all’Avana, dopo nove mesi di convalescenza e nonostante i recenti
segnali di un suo ristabilimento.
Oggi, primo maggio, la Radio Vaticana aderisce all’iniziativa del minuto
di silenzio lanciata da “Articolo 21”, associazione
per la libertà d’informazione, per ricordare il dramma delle cosiddette morti
bianche, le vittime del lavoro. Un iniziativa che
speriamo possa contribuire a promuovere una sempre maggiore attenzione al
problema della sicurezza sul lavoro.