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SOMMARIO del 26/07/2007
Benedetto XVI si congeda con gratitudine dalle autorità e dalla gente del Cadore. Domani, l'arrivo del Papa a Castel Gandolfo
◊ Un tempo di riposo fisico e spirituale, dove alla "bontà divina" riflessa dalla bellezza della natura si è sommata la "bontà umana" di quanti hanno custodito il suo soggiorno. Sono i pensieri con i quali Benedetto XVI si è congedato dalle autorità civili del Cadore e dalle forze dell'ordine che in questi giorni hanno garantito il servizio di sorveglianza alla persona del Papa. Un breve saluto, alla vigilia della partenza del Pontefice per Castel Gandolfo, ma anche un arrivederci, almeno nelle intenzioni dei sindaci che hanno voluto salutare Benedetto XVI, invitandolo a tornare. Ecco le parole che il Papa ha rivolto alle autorità:
“Cari amici, alla fine di queste due settimane trascorse qui nella bella terra dolomitica, posso soltanto dire con tutto il mio cuore grazie a tutti voi, ad ognuno, per il vostro servizio e il vostro impegno. La vostra presenza silenziosa, discreta e competente, di giorno e di notte, mi ha donato lo spazio per un tempo di riposo indimenticabile, riposo del corpo e dell’anima. Vorrei dire grazie alle autorità civili, militari, ecclesiastiche e ad ognuno, come già detto, di voi, per questo impegno in tempo di vacanze. Nel Libro dei Salmi, leggiamo ‘la tua bontà Signore mi circonda come i monti eterni’. Qui siamo circondati da questa bontà divina visibile nella bellezza della montagna. Ma, in tutto questo tempo, sono stato circondato soprattutto dalla bontà umana, dalla vostra bontà, che mi ha accompagnato sempre. Siete stati per me realmente angeli custodi, invisibili, silenziosi, ma sempre presenti, a disposizione, e rimane nella mia memoria questo ricordo della vostra presenza in tutti questi giorni. Vorrei quindi dire grazie ancora una volta a tutti voi e farvi gli auguri perché voi possiate avere delle belle vacanze. La mia benedizione ad ognuno di voi e a tutti i vostri cari”.
Tra gli aspetti che hanno dato spontaneità a questi giorni di riposo montano del Papa, uno sotto gli occhi di tutti è stato quello dell'affetto e della simpatia che ha riscosso Benedetto XVI. In una intervista in esclusiva al quotidiano Il Giornale, il segretario del Papa, mons. Georg Ganswein, ha detto che lo stesso Benedetto XVI è rimasto "sorpreso, persino intimidito di tanto affetto, simpatia e amore" dimostrati verso la sua persona, a cominciare dai bambini, i "più coraggiosi" - ha sottolineato mons. Georg - nel farsi avanti per salutare il Papa. Un soggiorno che si conclude, dunque, nel segno di un'amicizia tra il Papa e il Cadore, come ribadisce al microfono di Amedeo Lomonaco, l'inviato del quotidiano Avvenire, Salvatore Mazza:
R. - Un incontro alla vigilia del rientro di Benedetto XVI da queste vacanze. Il Papa ha voluto ricevere e salutare i sindaci dei 22 comuni che formano la magnifica comunità del Cadore. Insieme con loro, erano presenti tutti i rappresentanti della Polizia, della Forestale, tutte le istituzioni che hanno contribuito alla riuscita di questo soggiorno in Cadore. E’ stato un momento forte - così come lo hanno poi raccontato sia i sindaci che gli altri presenti al Castello di Mirabella - e che si sono commossi, ascoltando queste parole del Papa.
D. - Dunque, un incontro molto cordiale. Non sono mancate simpatiche battute. Ad esempio, il sindaco di Lorenzago ha detto che voterebbe immediatamente un referendum per l’annessione alla Città del Vaticano…
R. - Sono quelle battute che finiscono per venire spontanee ed è proprio la dimostrazione che il clima che si è creato è quello della famiglia.
D. - Ci sono segni tangibili per la presenza del Papa a Lorenzago? Il Comune si è anche un po’ "rivestito" per questa occasione?
R. - Il Comune di Lorenzago, fin da prima dell'arrivo del Papa, è tutto pavesato a festa con bandiere vaticane ed italiane ovunque. Sempre facendo riferimento alla battuta del sindaco, Lorenzago sembra quasi una "succursale" del Vaticano.
D. - Tornando a ieri sera, il Papa è uscito nuovamente…
R. - Sì, il Papa è andato a visitare questa antichissima chiesa di Sant’Orsola e l’arciprete don Andrea gli ha illustrato le bellezze di questa chiesa che è veramente un gioiello. Benedetto XVI ha avuto parole di grande apprezzamento e ha detto: “E' un bene che queste cose non siano un museo, ma che siano un luogo di culto”. E questo proprio riferendosi al fatto che la chiesa è una chiesa a tutti gli effetti, funzionante e non è stato quindi destinata a museo.
L'attualità del Concilio, le "rivoluzioni" del '68 e i fatti dell'89 fra i temi affrontati dal Papa nell'incontro con il clero bellunese e trevigiano. Una riflessione di p. Simone, di Civiltà Cattolica
◊ L’attualità del Concilio Vaticano II è stato uno dei temi al centro dell’incontro, tenutosi martedì scorso nella chiesa di Santa Giustina Martire ad Auronzo di Cadore, tra Benedetto XVI ed il clero delle diocesi di Treviso e Belluno-Feltre. Uno dei 400 sacerdoti presenti ha detto di essersi preparato durante gli anni del Concilio con grande entusiasmo. Ma oggi - ha aggiunto - molti dei sogni del Concilio non si sono realizzati. A questa osservazione, ha poi fatto seguito la risposta del Papa, che ha anche tracciato un quadro storico degli anni post-conciliari. Il servizio di Amedeo Lomonaco:
“Il Concilio Vaticano II - ha detto Benedetto XVI - sembrava realmente la nuova Pentecoste, dove la Chiesa poteva nuovamente convincere l’umanità”. Ma i tempi successivi al Concilio sono stati segnati da profondi sconvolgimenti storici che hanno prodotto nuove crisi e ferite:
“Dopo l’allontanamento del mondo dalla Chiesa nell’Ottocento e nel Novecento, sembrava si incontrassero di nuovo Chiesa e mondo e che rinascesse nuovamente un mondo cristiano ed una chiesa del mondo e veramente aperta al mondo. Abbiamo tanto sperato, ma le cose in realtà si sono rivelate più difficili. Tuttavia, rimane la grande eredità del Concilio, che ha aperto una strada nuova, è sempre una magna charta del cammino della Chiesa, molto essenziale e fondamentale”.
Benedetto XVI ha poi aggiunto che “immettere il grande messaggio del Concilio nella vita della Chiesa, riceverlo e assimilarlo, è una sofferenza”. “Ma solo nella sofferenza - ha detto il Papa - si realizza anche la crescita”. Si tratta di miglioramenti lenti ma costanti, come conferma padre Michele Simone, vice direttore della rivista dei Gesuiti “Civiltà cattolica”.
R. - Indubbbiamente. Come la storia dimostra, ci vogliono sempre tre, quattro, cinque generazioni per rendere completamente operative le decisioni di un Concilio. In particolare, riguardo al Vaticano II, come ha detto il Papa, ci sono stati degli eccessi. Ma ora, dopo la prima fiammata, lentamente stanno emergendo molti lati positivi per la Chiesa.
Il Concilio ecumenico ha dovuto attraversare, in particolare, “grandi fratture culturali e storiche”. Dopo la tragedia della Seconda Guerra mondiale, si sperava in una nuova era, libera da ogni ideologismo, e nella riscoperta delle radici cristiane dell’Europa. Ma l’esplosione di una crisi culturale in Occidente, nel ’68, ha prodotto nuove fratture. Ascoltiamo ancora padre Simone:
R. - La Chiesa - i cattolici, i cristiani - sono pienamente inseriti nella società nella quale vivono e su di essi si riversano, quindi, i fenomeni che attraversano la società. In particolare, per quanto riguarda la cesura costituita dal ’68, gli elementi negativi sono stati soprattutto l’emergere di un forte individualismo con conseguenze soprattutto in campo etico, ma anche un certo impoverimento della cultura.
Un’altra cesura storica, indicata dal Papa, è quella avvenuta con il crollo dei regimi comunisti nel 1989. La risposta a questo radicale mutamento storico non fu però - come ci si poteva attendere - un ritorno alla fede. P. Simone:
R. - C’erano tante attese nei confronti della caduta del muro di Berlino e di ciò che essa ha comportato. Invece, da un punto di vista della società ed anche della Chiesa, è emerso un forte individualismo. Ci sono stati, però, anche elementi positivi come l’aumento della libertà, l’emergere della democrazia e della libertà religiosa, che favorisce il lavoro ministeriale dei cattolici.
Tra queste fratture culturali, la rivoluzione del ’68 e gli eventi storici dell’89, la Chiesa ha comunque percorso con umiltà la propria strada. Su questa strada - ha detto Benedetto XVI durante l’incontro con i sacerdoti - si trova il mondo nuovo:
“Mi sembra molto importante che adesso possiamo vedere con occhi aperti quanto è cresciuto di positivo nel dopo Concilio: nel rinnovamento della liturgia, nei Sinodi, Sinodi romani, Sinodi universali, nelle strutture parrocchiali, nella collaborazione, nella nuova responsabilità dei laici, nella grande corresponsabilità interculturale e intercontinentale, in una nuova esperienza della cattolicità della Chiesa, dell’unanimità che cresce in umiltà e, tuttavia, è la vera speranza del mondo”.
Su questa speranza e sul contributo dato dal Concilio nella promozione della fede si sofferma ancora padre Simone:
R. - Un frutto è proprio quello di una maggiore consapevolezza e maturità della propria fede. La fede in Gesù e la partecipazione alla comunità ecclesiale sono oggi molto di più che in passato un fatto consapevole da parte dei cattolici. Quindi, c’è una maggiore preparazione sia nella conoscenza delle Scritture, sia nella conoscenza di tutto ciò che comporta la vita cristiana. I grandi risultati, inoltre, sono quelli ottenuti dai Movimenti, dai gruppi nel campo della carità, dove il sorgere di questo fenomeno del volontariato è certamente un fatto estremamente positivo.
La Chiesa - riprendendo le parole del Papa rivolte ai sacerdoti - è dunque chiamata a procedere con l’umiltà della Croce e la gioia del Signore Risorto. La gioia e la speranza - ha detto Benedetto XVI - sono alimentate dal Crocifisso Risorto, che “conserva le sue ferite” e “rinnova il mondo”.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ Servizio vaticano – Una pagina dedicata al cammino della Chiesa in Europa.
Servizio estero – Medio Oriente: Olmert pronto a riprendere negoziati con Abu Mazen.
Servizio culturale – Un articolo di Felice D’Onofrio dal titolo “Gli incontri napoletani di Cardarelli, Gemelli e Moscati”: tre scienziati che agli inizi del ‘900 seppero coniugare cultura, fede e azione.
Servizio italiano – In primo piano sempre la vicenda degli incendi nel sud.
L'impatto etico, oltre che sociale, degli incendi che hanno colpito il sud dell'Europa. Mons. Domenico Sorrentino: la natura è un dono di Dio che va amato
◊ Continua l’emergenza incendi nell’Europa sudorientale: in Grecia, tre persone sono morte in un rogo che ha colpito il Peloponneso. Trentamila ettari di vegetazione sono stati bruciati. Grave la situazione anche in tutta la Croazia, dove si registrano oltre mille sfollati. Incendi sono divampati anche in Serbia, Kosovo e Macedonia. Anche in Italia, dopo due giorni di roghi, l’allarme resta alto, mentre si va concretizzando l’ipotesi di incendi dolosi, soprattutto per la zona di Peschici, in Puglia. Una drammatica vicenda che ha provocato quattro vittime e ha suscitato una grande ondata di solidarietà, come sottolinea, al microfono di Isabella Piro, l’arcivescovo di Manfredonia-Vieste-San Giovanni Rotondo, Domenico Umberto D’Ambrosio:
R. - Quella gara di solidarietà che i pescatori, gli operatori turistici di Peschici hanno attivato prendendo barche, motoscafi, gommoni per raggiungere di corsa questa baia di San Nicola, permettendo così l’evacuazione di migliaia di persone, senza organizzazione alcuna, guidati dal cuore e dal desiderio di salvare vite umane e ci sono riusciti tant’è che io sentivo in questi giorni questi turisti che dicevano: “Questi di Peschici meriterebbero un monumento!". Si sono svuotati i negozi di abbigliamento, di scarpe, gli alimentari. La solidarietà è stata immensa.
D. - Eccellenza, lei ha avuto modo di incontrare anche i feriti, ricoverati presso la "Casa Sollievo della Sofferenza" a San Giovanni Rotondo, ed ha portato loro parole di conforto…
R. - Sì, ieri mattina sono stato nel Reparto rianimazione dove c’è un ferito con ustioni sul 90 per cento del corpo. Gli ho impartito l’Unzione degli infermi ma, pover'uomo, non aveva l’aspetto di uomo e adesso mi vengono in mente le parole del profeta.
D. Quale messaggio lanciare, quindi, a chi, volutamente distrugge con il fuoco le meraviglie del Creato?
R. - Che c’è una natura, che c’è un dono di Dio che va amato, che va valorizzato e va rispettato. La "cattedrale del Creato" - così San Pio da Pietrelcina chiamava il Gargano - oggi è una cattedrale bombardata, distrutta. Quel comando che il Signore ci ha dato - “Fate di questa terra il giardino” - credo che molti lo abbiano dimenticato. C’è disinformazione, diseducazione al bene, all’amore, al rispetto di ciò che è di tutti.
D. - C’è, quindi, un problema di formazione culturale?
R. - C’è tutto un lavoro di educazione, soprattutto di quelle giovani generazioni che vanno attivate, vanno sensibilizzate. Mi auguro che questa sciagura - che è immane, un qualcosa di incredibile, mai visto - possa aiutare a riflettere soprattutto a quelli che non sanno amare il bello che il Signore ci ha donato.
D. - Da dove partire per ricominciare e guardare avanti?
R. - Bisognerà dare speranza, dare fiducia a questi tesori rimasti senza nulla che hanno investito per un’intera vita il frutto del loro lavoro. Bisognerà che anche le istituzioni si accorgano che ci sono delle inadempienze che vanno assolutamente risolte che forse qualche piccola illegalità va corretta. E’ una maggiore presenza dell’istituzione e deve esserci lì.
Gli incendi che hanno devastato migliaia di ettari nel sud Italia non rappresentano, dunque, solo un grave problema di sicurezza e di civiltà, ma in un’ottica cristiana presentano anche dei risvolti etici che non possono essere elusi. Roberta Gisotti ha sentito sul punto il dott. Roberto Leoni, presidente e ideatore della Fondazione “Sorella Natura”, sorta ad Assisi allo scopo di diffondere una corretta cultura ambientale ispirata al carisma francescano:
D. - Dott. Leoni, a che punto siamo? Sembra di tornare indietro, piuttosto che andare avanti nella tutela del Creato...
R. - Tornare indietro globalmente direi di no, perché la sensibilità a livello emotivo è aumentata attorno ai temi ambientali. Quello che però manca noi la chiamiamo una "corretta cultura", un approccio non emotivo e tanto meno ideologico al problema generale della tutela del Creato. Nella fattispecie, sul discorso degli incendi, è chiaro che quanto è avvenuto - lo dicono tutti e io lo condivido - non deriva da autocombustione ma deriva da incuria e, peggio ancora, da qualcuno che va ad appiccare il fuoco.
D. - Quindi, dov’è che si deve agire? Anche, ad esempio, nell’educazione nelle scuole ed anche nel diffondere un’educazione civica di comportamento tra i cittadini...
R. - Lei ha toccato proprio un tema fondamentale. Noi abbiamo bisogno di passare da questa nostra società del benessere consumista ed egoista ad una società solidale, anche ripercorrendo quelli che erano comportamenti antichi. Una volta, quando nevicava - faccio un esempio per rinfrescarci le idee - tutti si affrettavano a ripulire dalla neve il pezzo davanti casa. Oggi, si aspetta che arrivi lo spazzaneve del Comune e nessuno si rimbocca le maniche. Da un lato, bisogna dire che tutti dobbiamo rimboccarci le maniche, non solo per la disponibilità del volontario che corre ad aiutare la Forestale ed i Vigili del fuoco, ma proprio per avere una mentalità diversa, osservare con cura la realtà che c’è intorno. Oggi, si vede non solo e semplicemente l’automobilista che getta la cicca, ma la gente che fa il picnic e accende il fuoco. Si vede anche l’agricoltore che dà fuoco alle stoppie in questi momenti. E’ evidente che va ricreata una cultura di rispetto ambientale e di legalità, che abbiamo abbandonato. Tutto è consentito a tutti e non ci sono neanche delle possibilità di intervento sanatorio. Poi la sanzione viene sempre a valle dei comportamenti. Quindi, è fondamentale a mio avviso, in termini di ordine generale, una forte azione di educazione alla legalità e di educazione alla tutela del creato, a rispetto della vita, per dirla in una parola, e, per citare l’insegnamento del Santo Padre, superare il relativismo. Se tutto è relativo, che mi importa se una pineta va a fuoco e magari un mio simile muore?
D. - In Italia, dott. Leoni, sembra anche di più, rispetto ad altri Paesi, venire meno il senso, il valore del bene comune?
R. - Esatto, è proprio così, per noi ciò che è di tutti, è di nessuno. Aspettiamo sempre che ci sia qualcuno che faccia le cose per noi. Dobbiamo tornare ad un’educazione alla responsabilità.
L'egemonia di Israele su Gerusalemme est compie 40 anni, in un'aera che non riesce a trovare un suo equilibrio politico. Intervista con la prof.ssa Marcella Emiliani
◊ Quarant’anni fa Israele estendeva il proprio controllo anche su Gerusalemme est. Dopo la "Guerra dei sei giorni", cominciata il 5 giugno 1967 col bombardamento israeliano contro le forze aeree prima dell'Egitto e poi della Siria, lo Stato ebraico conquistò il Sinai e la Striscia di Gaza dall’Egitto, la Cisgiordania - Gerusalemme est compresa - dalla Giordania e le alture del Golan dalla Siria. Per un commento storico di quei fatti di 40 anni fa, Giada Aquilino ha intervistato la prof.ssa Marcella Emiliani, docente di Sviluppo Politico del Medio Oriente all’Università di Bologna e autrice del libro “La terra di chi? Geografia del conflitto arabo-israelo-palestinese”:
R. - Dal punto di vista ebraico, quell'evento fu la realizzazione del sogno di quasi duemila anni di diaspora ebraica. Non scordiamo, infatti, che gli ebrei di tutto il mondo, dal 70 d.C. fino al 1967, si dicevano “l’anno prossimo a Gerusalemme”. Gerusalemme è quindi il luogo delle spirito, è il centro di tutto l’ebraismo a livello mondiale ed ha un significato simbolico enorme.
D. - Dopo l’annessione di Gerusalemme est, quali ripercussioni storico-politiche ci sono state in Medio Oriente?
R. - Con una certa lungimiranza, l’area dei luoghi sacri, che comprende le due moschee di Al aqsa, della Roccia, e il Muro del Pianto, è stata lasciata aperta ai culti. Tutta la parte di Gerusalemme vecchia ha subito un processo di progressiva ebraizzazione e questo è stato naturalmente vissuto come una grave perdita da parte di tutti e soprattutto da parte della popolazione musulmana. Alla popolazione locale di origine araba e musulmana, è stato impedito di allargare le proprie abitazioni ed è stata incrementata una colonizzazione sia di Gerusalemme Vecchia, sia dell’area metropolitana afferente alla parte orientale di Gerusalemme, che nel corso degli anni ha portato la popolazione ebraica a sorpassare quella di origine arabo-musulmana.
D. - Negli anni, ci sono stati diversi incontri internazionali in cui è stata profilata anche l’ipotesi di Gerusalemme capitale di due Stati. Quando è realizzabile questa idea, tenendo presente le tensioni ancora in atto tra israeliani e palestinesi?
R. - Il problema è tra i più scottanti di tutto il Medio Oriente, perché bisogna vedere cosa si intende quando si parla di Gerusalemme. Negli accordi Oslo, quelli fatti nel ’93 e poi falliti, i palestinesi si accontentavano del villaggio di Abu Dis, che è nell’area metropolitana di Gerusalemme est, come luogo simbolico a significare Gerusalemme. Ma fin dal Duemila, dallo scoppio della seconda Intifada e dal fallimento del vertice di Camp David, insistono nel dire che per Gerusalemme loro intendo la Gerusalemme "dentro" le mura. Certo, alcune soluzioni, tornando al passato, ci potrebbero essere. Tipo quella prevista dal Piano di spartizione ONU del ’47, che vedeva Gerusalemme come un’area internazionalizzata, aperta ad un controllo internazionale, senza più una connotazione etnica e quindi né ebraica, né araba (la Santa Sede chiede per Gerusalemme uno Statuto internazionalmente garantito per la libertà di culto nella Città Santa - ndr). Dubito, però, che lo Stato di Israele rinuncerà a Gerusalemme come propria capitale e, d’altronde, i palestinesi oggi non sono più disponibili a tornare indietro a soluzioni di puro compromesso.
D. - Quindi cosa è prevedibile?
R. - E’ prevedibile che si arrivi a forme di condivisione, di spazi e di amministrazione. Ma io la vedo molto lontano nel tempo come prospettiva.
Il Tour de France "decapitato" dall'ennesimo scandalo doping: esclusa la maglia gialla, il danese Rasmussen. L'analisi di Giuseppe Chinnici
◊ Ancora una volta lo scandalo doping colpisce il Tour de France, la più prestigiosa competizione ciclistica del mondo. Ieri, dopo aver vinto un’impegnativa tappa di montagna, il leader della classifica, il danese Rasmussen, è stato escluso dalla corsa per sospetto uso di sostanze proibite. Lo stesso era successo qualche giorno fa al kazako Vinòkourov. Ad aumentare le tensioni, l’esplosione ieri di due piccoli ordigni al passaggio dei corridori nella regione basca in territorio spagnolo. Sulla vicenda doping, Giancarlo La Vella ha raccolto l’analisi di Giuseppe Chinnici, docente della LUMSA, attento alle questioni di etica dello sport:
R. - Il doping va assolutamente e strenuamente combattuto fino a sconfiggerlo definitivamente, perché non si può pensare ad uno sport alterato. Questo, lo ripeto, va assolutamente combattuto. Lo sport dovrebbe essere la prima espressione di lealtà e di correttezza nella pratica sportiva, quindi è bene l’esclusione: queste persone vanno allontanate e va allontanata e distrutta tutta quella rete di personaggi di contorno che vendono questi prodotti dopanti, e le società che ovviamente li producono. Questa è una regola rigida, perché non si può continuare così.
D. - Quanto sta avvenendo nel mondo dello sport è, secondo alcuni, specchio di quanto avviene nella società. Si può fare un parallelo del genere?
R. - Sì, si può fare ma sono percentuali molto basse. Noi dobbiamo eliminarle del tutto in ogni settore, restituire dignità e correttezza a tutti.
D. - E’ possibile restituire credibilità allo sport, in questo caso al ciclismo, se alcuni atleti affrontano il rischio di essere scoperti nonostante i controlli, molto puntuali, molto attenti?
R. - Noi dobbiamo dare un modello educativo basato sulle capacità e sulle potenzialità della persona e sullo spirito sportivo. Questa è una vera ed unica vittoria e ciò dipende giustamente dalla psicologia dello sportivo. E' lì che va rieducato lo sportivo: vanno tenuti corsi durante l’anno per riassumere i principi che animano lo sport, soprattutto per insistere sull’eliminazione delle sostanze dopanti. Gli specialisti devono fare un corso di rieducazione, di riconsiderazione della loro funzione di sportivi e riproporsi dopo ad essere anche testimoni per dire: “Non fate come ho fatto io”, cioè avere la forza di rendere testimonianza di questa alterazione. Solo così noi, nell’arco di 5-10 anni, avremmo la possibilità - se combatteremo in maniera drastica - di rigenerare una forza che sia capace sempre di vincere e di competere. Allora, andiamo avanti con la correttezza e scegliamo la via maestra che porta lealmente al successo e alla gratificazione personale.
Presentata la 59.ma edizione del Prix Italia: si svolgerà a Verona in settembre. Presente anche la Radio Vaticana con un dramma radiofonico ispirato all'enciclica "Deus caritas est"
◊ Centottantasei programmi prodotti da 90 testate, in rappresentanza di 40 nazioni di tutti i continenti: èì il cartellone della 59.ma edizione del Prix Italia, in programma a Verona dal 23 al 29 settembre prossimi. L'appuntamento organizzato dalla Rai, che riunisce ogni anno i maggiori esperti di media internazionali, è anche una rassegna delle migliori produzioni nel settore di tv, radio e Internet che concorrono per l'assegnazione finale de Premio. La Radio Vaticana è una delle testate tradizionalmente presenti al Prix Italia, in giuria e in gara. A reppresentare l'emittente pontificia per l'edizione 2007 sarà in veste di giurato, nella sezione "Documentari", Rosario Tronnolone, mentre Laura De Luca parteciperà nella sezione "Drama" con un programma radiofonico scritto insieme con Giovanni Antonucci dal titolo "La necessaria inutilità dlel'amore - Deus Caritas est", ispirata all'enciclica di Benedetto XVI. Sulgli obiettivi della prossima edizione del Prix Italia, Adriana Francesca ha sentito il direttore, Pierluigi Malesani:
R. - E’ cambiata tantissimo e cambierà molto anche nei prossimi anni. Infatti, non a caso, uno dei prossimi seminari che abbiamo nell’edizione di Verona sarà il futuro della televisione: come cambierà, come la dovremo gestire e come si rapporterà nei nostri confronti. Quello che devo dire è che dopo 60 anni bisogna fare dell’attività di restyling. Quindi, anche il Prix Italia, come tutti i 60.enni, va sistemato e aggiustato.
D. - Quali sono le dimensioni con le quali definire il concetto di qualità televisiva?
R. - La qualità non è una sola. La qualità è quella percepita, è quella erogata, è la qualità tecnica. Quindi, è molto interessante - e terremo su questo un seminario a Verona - saper misurare la qualità. Quali sono gli indicatori per misurare la qualità? Questo è un dibattito particolarmente interessante, perchè si confronterà con esperienze - per esempio quella della BBC - dove il termine “public value”, cioè valore pubblico, è un bene considerato. Quindi, anche da parte nostra è importante avere questo tipo di approccio.
D. - Secondo lei, c’è un conflitto reale o presunto tra qualità e profitto?
R. - C’è la televisione commerciale, che ha l’obiettivo di avere davanti a sé dei consumatori e naturalmente, deve fare della qualità per i suoi consumatori. Noi, servizio pubblico, dobbiamo fare della qualità per degli utenti che sono dei cittadini e in quanto tali hanno maggiori pretese e maggiori esigenze.
D. - La qualità è sempre sinonimo di successo?
R. - La qualità dovrebbe essere sempre sinonimo di successo, perché uno degli aspetti della qualità è di non rimanere di "nicchia". La qualità di nicchia è una qualità periferica. Mentre la qualità dovrebbe tendere ad avere la maggiore audience, il maggior ascolto possibile. Quindi, il maggior successo.
D. - Di fronte ad un telespettatore che diventa sempre più esigente, la televisione come può adattarsi?
R. - La televisione si adatta attraverso le sue espressioni. La televisione ha molti linguaggi, quindi deve essere capace di dare sempre il linguaggio giusto al suo pubblico. E’ la molteplicità dei linguaggi che dà la possibilità di avere un vero pluralismo.
Evacuate in Gran Bretagna, a causa delle forti piogge, 250 abitazioni; senz’acqua 350 mila persone. Per offrire aiuto si mobilitano anche i parroci
◊ Clima impazzito in Gran Bretagna, mai una stagione così piovosa negli ultimi 240 anni. La piena del Tamigi, dopo le gravi preoccupazioni della notte scorsa, si è stabilizzata nell’Oxfordshire e nel Berkshire. Ad Oxford 250 abitazioni sono state evacuate nella notte e nel Gloucestershire due persone sono morte e in 350 mila sono senza acqua corrente, mentre manca ancora all’appello un ragazzo di 19 anni, dato per disperso. Sono questi gli ultimi sviluppi dell’ondata di maltempo che dallo scorso fine settimana ha colpito il sud del Paese. Secondo i dati dell’Agenzia per l’ambiente, l’allerta è ancora alta in sei zone lungo le rive di fiumi esondati: tre lungo il Severn, due lungo il Tamigi e una sul fiume Ock, nell’Oxfordshire. Secondo le previsioni meteorologiche della Bbc, domani ci saranno nuovi temporali nelle zone già colpite dal maltempo, e cadranno dai 10 ai 15 millimetri di acqua: questo rallenterà ulteriormente il lavoro di drenaggio nelle aree allagate. Il primo ministro britannico Gordon Brown ha confermato, in un discorso alla camera dei comuni, che tutte le città colpite dal maltempo verranno interamente risarcite e che 46 milioni di sterline (70 milioni di euro) verranno messe al più presto a disposizione dal governo per le immediate necessità di ricostruzione. E intanto, per aiutare la gente colpita dalle inondazioni, si sono mobilitati diversi parroci. “Stiamo telefonando ai parrocchiani – dice padre Keith Miles, parroco della chiesa dei Martiri inglesi ad Tuffley nel Glouchester – dando priorità alle persone più vulnerabili e a quelli che vivono da soli, per accertarci se stanno bene e se c’è qualcosa che possiamo fare per loro. A causa però della mancanza di elettricità – spiega il sacerdote – le linee telefoniche sono cadute. In questi casi andiamo a visitare le famiglie di persona”. Il lavoro più grosso è il rifornimento di acqua potabile. “Ci stiamo coordinando – prosegue padre Miles - insieme alla parrocchia anglicana di Quedgeley. Abbiamo offerto l’uso della nostra chiesa alla polizia e alle autorità locali per le persone che hanno perso la casa. Per fortuna la chiesa non è stata inondata ma non sappiamo per quanto tempo ancora abbiamo l’elettricità”. Un’altra testimonianza riportata dall’agenzia SIR arriva da padre Richard Dwyer, parroco della chiesa di St Joseph a Tewkesbury. “Lo spirito della comunità è molto positivo. Sono moltissime le persone che si aiutano a vicenda ed è per me un esempio di come lo Spirito Santo sia all’opera. Ho ricevuto offerte di aiuto anche da più lontano. Una famiglia cattolica si è offerta per esempio di ospitare per un periodo di vacanza persone colpite dalle inondazioni”. Anche i vescovi della zona assicurano aiuti e preghiere. L’arcivescovo di Birmingham, mons. Vincent Gerard Nichols, ha detto di essere “in contatto con ognuna delle parrocchie dell’arcidiocesi che sono state più colpite dalle inondazioni. “I preti e le comunità parrocchiali stanno facendo tutta la loro parte per aiutare le persone più colpite” scrive il presule in un comunicato. “Le nostre chiese locali – ha riferito infine il vescovo anglicano di Oxford, il reverendo John Pritchard – sono lì per aiutare. Abbiamo nostre persone in ogni angolo delle strade per offrire aiuti pratici, rifugi temporanei, cibo, vestiti e bevande calde”. (S.L.-T.C.)
Per l’Iraq necessaria una forza di sicurezza che impedisca ai terroristi di entrare nel Paese ed uccidere civili innocenti: così l’ambasciatore iracheno presso la Santa Sede
◊ “Tutte le atrocità commesse contro i cristiani dell’Iraq e contro altre minoranze da parte di gruppi radicali ed estremisti collegati e aiutati dai sostenitori del vecchio regime” sono da condannare, “l’Islam come religione è ben distante da queste azioni” che “cercano di creare il caos” per minare l’operato del nuovo governo iracheno “nella lotta al terrorismo, all’estremismo e al radicalismo religioso”. Sono parole l’ambasciatore della Repubblica d’Iraq presso la Santa Sede, Albert Edward Ismail Yelda. “I cristiani d’Iraq - ha detto il diplomatico all’agenzia SIR – sono i semi della terra di Mesopotamia e non credo che esista una forza su questa terra che possa sradicare tali semi dalla loro terra avita”. Circa l’ipotesi di un’enclave cristiana nella piana di Ninive, l’ambasciatore afferma che “non esiste un piano per una zona separata per i cristiani; non è questo ciò che vuole la maggior parte dei cristiani in Iraq. I cristiani sono sparsi in tutto l’Iraq e hanno vissuto fianco a fianco con i musulmani sciiti e sunniti, gli arabi, i curdi e i turcomanni, oltre ad altri gruppi e minoranze religiose. Spero – ha affermato il diplomatico – che riescano a continuare questa convivenza pacifica nel mantenimento e nell’esercizio dei propri diritti costituzionali”. Secondo l’ambasciatore, per un Iraq sicuro, è necessaria una forza di sicurezza affidabile e potente, che garantisca la protezione dei confini, impedendo ai terroristi di entrare nel Paese e uccidere civili innocenti. Per questo il diplomatico invoca “più mezzi dalla comunità internazionale”, maggiori “sforzi di intelligence” con i Paesi vicini ribadendo “la necessità da parte delle truppe multinazionali in Iraq, comprese le statunitensi, di concordare le proprie operazioni, non importa se politiche o militari, con il nostro governo informandolo prima di qualsiasi azione”. Circa i rapporti con l’Iran Albert Edward Ismail Yelda sostiene che si dovrebbero “stabilire legami economici a beneficio dei due Stati e delle loro popolazioni” così come agli incontri bilaterali Iran-Usa: “rapporti normali tra Usa e Iran avranno ripercussioni positive sugli aspetti politici, sociali ed economici dell’Iraq e in tutta la regione. Un Iraq stabile e pacifico – ha concluso l’ambasciatore - gioverà alla stabilità e alla convivenza di tutti i Paesi del Medio Oriente e contribuirà a promuovere il processo di pace, specie tra gli Stati arabi, gli islamici e lo Stato di Israele”. (T.C.)
I vescovi australiani dello Stato di Vittoria invitano il parlamento a non depenalizzare l’aborto e ad offrire alle donne nuove alternative
◊ “Eliminare l’aborto dai crimini non può rendere accettabile una cosa così poco etica”: è quanto affermano in una lettera al Parlamento i vescovi australiani dello Stato di Victoria. Firmato dall’arcivescovo di Melbourne Denis James Hart, dal vescovo di Ballarat Joseph Peter Connors, dal vescovo di Sale Jeremiah Joseph Coffey e dal vescovo di Sandhurst Joseph Angelo Grech, il documento, riferisce l’agenzia Zenit, esorta a rifiutare gli sforzi per depenalizzare l’aborto. Il “movimento per la depenalizzazione dell’aborto sarebbe un passo indietro per le donne e le loro famiglie” si legge nella lettera. “I nostri leader politici dovrebbero cercare di trovare nuove vie per ridurre l’alto tasso di aborti nello Stato di Victoria piuttosto che rischiare di compiere passi che potrebbero rendere l’aborto più diffuso” scrivono i presuli che chiedono, per le donne con gravidanze inaspettate, l’offerta di proposte alternative all’aborto. “Nessuna donna – affermano i vescovi – dovrebbe scegliere tra il suo benessere e la vita di suo figlio. Troppo spesso, le donne sentono di non avere altra scelta. L’aborto è diventato l’unica scelta ed è un riflesso che stiamo abbandonando le donne”. I presuli hanno promesso aiuto da parte dei cattolici, affermando che “la Chiesa sta già lavorando per sostenere le donne più vulnerabili nella nostra comunità”, condannano “ogni violenza nei confronti delle donne e dei bambini prima o dopo la nascita” ed esortano tutti i parlamentari statali “a rifiutare ogni tentativo di depenalizzare l’aborto nello Stato di Victoria”. (T.C.)
Nuove infrastrutture per le baraccopoli di Kampala, in Uganda. Il progetto, che prevede tra l’altro la costruzione di 12 chilometri di strade, sarà avviato ad ottobre
◊ Il governo ugandese ha destinato, con l’aiuto del Belgio e dell’amministrazione di Kampala, 15 miliardi di scellini (circa 6,6 milioni di euro) per rimettere a nuovo le baraccopoli della capitale. Un progetto quinquennale, che sarà avviato ad ottobre, prevede il rifacimento di strade ed infrastrutture negli ‘slums’. Kampala, riferisce l’agenzia MISNA, sarà dotata di 12 chilometri di strade, 13 mila metri quadrati di canali di scolo, 35 servizi sanitari, 3 chilometri di rete idrica, 35 postazioni per la raccolta d’acqua e 16 mila nuovi alberi. Il progetto coinvolgerà le ‘bidonville’ di KatweI, Kinsey II e Bwaise III. E’ prevista inoltre l’edificazione di 200 alloggi per quanti dovranno lasciare le loro abitazioni a causa dei lavori. Degli abitanti locali che beneficeranno dei nuovi servizi, l’1% sono proprietari, il 30% in affitto e il 70% residenti temporanei. Negli ‘slums’ vivono 1,4 milioni di persone, mentre l’intera popolazione di Kampala cresce del 3,9 per cento all’anno, cifra alla quale si deve aggiungere un milione di pendolari che quotidianamente giungono in città dalle periferie e dalle campagne. (T.C.)
Scontri nella Repubblica Centrafricana: in fuga migliaia di persone
◊ Sono circa 100 mila i civili che stanno sfuggendo alle violenze in aumento nella regione nord-occidentale della Repubblica Centrafricana. E’ quanto ha dichiarato Jessica Barry, portavoce del Comitato della Croce Rossa Internazionale (Cicr). “La gente è fuggita nelle foreste – ha raccontato all’agenzia MISNA Jessica Barry, rientrata dall’Africa dopo una missione di tre settimane – ma adesso, con l’inizio della stagione delle piogge, l’emergenza cresce e i più a rischio, come spesso accade, sono i bambini”. La portavoce della Croce Rossa Internazionale ha riferito che in tanti hanno abbandonato i villaggi perchè non si sentono sicuri, “adattandosi a vivere in condizioni spaventose, senza cibo né vestiti”. Per aiutare la popolazione, il Cicr ha iniziato un’operazione di sostegno umanitario, che dovrebbe completarsi entro la fine di agosto e che prevede anche distribuzione di generi alimentari, medicine, pentole, coperte e utensili per poter coltivare piccoli appezzamenti di terreno. “Purtroppo la parte logistica della missione è davvero complessa – ha aggiunto la portavoce - e per recapitare gli aiuti sono necessari giorni di viaggio nella foresta”. Nelle scorse settimane il Consiglio di sicurezza ONU aveva espresso preoccupazione per “l’uso sproporzionato della forza” da parte di gruppi armati e di soldati regolari. “Quello che mi ha colpito – ha detto ancora Jessica Barry - è che questa gente, abituata a vivere in piccole comunità in cui c’è un forte senso di solidarietà sociale, ha perso i propri punti di riferimento e si sente completamente abbandonata a sé stessa”. Nelle regioni settentrionali del Centrafrica, sono da tempo attivi formazioni armate in parte legate anche al conflitto nella confinante regione sudanese del Darfur. Al confine tra Sudan, Ciad e Repubblica Centrafricana potrebbe essere schierato nei prossimi mesi un contingente di pace europeo che proprio alcuni giorni fa ha ricevuto una prima autorizzazione. (T.C.)
El Salvador: i vescovi preoccupati per le conseguenze che la costruzione di nuove centrali idroelettrice potrebbero avere per molte famiglie
◊ Non si possono ignorare le conseguenze che la costruzione di dighe per le nuove centrali idroelettriche possono provocare in El Salvador. A lanciare l’appello sono i vescovi che evidenziano “il problema delle comunità le cui terre sarebbero inondate, le difficoltà per la sistemazione delle famiglie che si vedrebbero obbligate ad abbandonare gli attuali luoghi di residenza, il dolore dello sradicamento, l’incertezza di contare su un giusto compenso delle loro proprietà, la perdita di terre fertili”. Il governo salvadoregno considera che la crescente domanda e la limitata produzione faranno sì che, tra due o tre anni, l’offerta sia insufficiente per coprire tutto il mercato, se non si realizzano nuovi investimenti. Per tale motivo la Commissione Esecutiva Idroelettrica del Fiume Lempa (CEL) ha progettato la costruzione di tre nuove centrali idroelettriche lungo i fiumi della zona nord e nord-est del Paese. In un comunicato dal titolo “Per il bene della famiglia salvadoregna e lo sviluppo del Paese”, scrive l’agenzia Fides, i presuli riconoscono “l’importanza che ha per El Salvador il poter contare sulle necessarie fonti di energia per continuare ad avanzare nel cammino del progresso”, ma dal punto di vista eminentemente pastorale, la preoccupazione è rivolta al “benessere integrale delle persone, le quali hanno diritto ad un autentico sviluppo umano” e contemporaneamente “del vero progresso del Paese nella prospettiva del futuro”. Per l’episcopato se il progetto continua ad andare avanti, “si devono evitare gli errori commessi nel passato”, garantendo alle persone che risulterebbero coinvolte, una giusta retribuzione delle loro proprietà ed un luogo dove abitare, oltre ad offrire loro terre da coltivare. Infine i vescovi invitano a considerare “la ricerca di altre fonti alternative di energia, come quella solare, quella eolica ed uno sfruttamento più ampio dell’energia geotermica, tenendo in considerazione l’attenzione verso il creato, che è la casa di tutti, secondo il progetto di Dio”. I presuli concludono il comunicato rinnovando il loro impegno nel “continuare ad accompagnare pastoralmente il popolo di Dio, illuminando la sua strada con la parola del Vangelo e la dottrina sociale della Chiesa”. (T.C.)
A Guadalajara, in Messico, dodicimila giovani per il Congresso nazionale missionario
◊ Sono attesi 12mila giovani al 9° Congresso nazionale giovanile missionario del Messico, che si aprirà oggi a Guadalajara. Ad organizzare l’incontro, che durerà fino a domenica prossima, le Pontificie opere missionarie nazionali e la Commissione per le missioni dell’episcopato messicano. Il tema scelto è “Giovani di Gesù Cristo, testimoni e missionari”. Il Congresso, riferisce l'Agenzia Sir, al quale i giovani si sono preparati con l’approfondimento dei documenti scaturiti dalla Conferenza di Aparecida, vuole essere un incontro di riflessione, preghiera comunitaria e personale, una vera festa missionaria in cui i giovani sono invitati a celebrare pubblicamente la loro fede e a conoscere e condividere esperienze maturate nelle terre di missione, attraverso le testimonianze di religiosi e religiose che hanno prestato il loro servizio missionario in Africa e Asia. Il Congresso inizia oggi pomeriggio con l’inaugurazione di una mostra missionaria da parte del card. Juan Sandoval Iñiguez, arcivescovo di Guadalajara. La cerimonia di chiusura, il 29 luglio, avrà una forte dimensione mariana: inizierà al mattino con la peregrinatio dell’effigie della Vergine di Zapopan nelle strade cittadine e si concluderà con una solenne liturgia eucaristica nell’auditorium “Benito Suárez”, sede del Congresso. (R.P.)
Sabato, in Costa Rica, la Giornata Nazionale della Gioventù voluta dalla Chiesa locale
◊ Sono attesi circa 10.000 giovani sabato prossimo per la Giornata Nazionale della Gioventù organizzata dalla Chiesa di Costa Rica. La giornata, scrive l’agenzia Fides, ha come obiettivo principale quello di promuovere tra i giovani del Paese centroamericano i valori universali, come il rispetto, la tolleranza, il rifiuto totale della violenza e del consumo di droghe. Il tema di questa edizione è “Progetto di Vita”, per far comprendere ai giovani la necessità di darsi un progetto di vita integrale, che li faccia crescere in tutti gli ambiti della loro vita. Lo slogan è “Alzati”: un invito affinché la gioventù conservi la speranza, si metta in azione e costruisca la propria personalità. Durante tutto il mese di luglio la Chiesa di Costa Rica sta celebrando il “Mese della Gioventù”, con l’obiettivo di aiutare i giovani a scoprire se stessi come persone, capaci di essere costruttori del proprio Progetto di Vita, nel quale si scoprano uomini e donne con una propria dignità e, come cristiani, portatori di una serie di valori e principi propri. La riflessione del Mese della Gioventù è stata ispirata all’episodio raccontato dal Vangelo di Luca (Lc 7,11-17) in cui Gesù risuscita il figlio della vedova di Nain dicendogli “Giovinetto, dico a te, alzati!” e ha proposto vari momenti di riflessione. La Commissione Nazionale di Pastorale Giovanile della Conferenza Episcopale ha elaborato testi per gli incontri - per favorire spazi di meditazione - e per le celebrazioni, per consentire ai giovani di considerare la loro vita come dono di Dio e assumendone la responsabilità, affinché, costruendo il loro progetto di vita partendo dalla Parola, possano promuovere la Civiltà dell’Amore. La Giornata Nazionale della Gioventù sarà scandita da momenti di condivisione, preghiera e riflessione. Quest’anno è previsto anche un Festival Artistico, in cui verranno presentati simultaneamente diversi gruppi musicali. (T.C.)
Più di 5 mila ragazzi della diocesi di Madrid impegnati nella “Missione giovani” incontreranno il Papa il 9 agosto a Castelgandolfo
◊ Vivete questo pellegrinaggio con spirito giacobeo: è l’invito rivolto ai giovani dall’arcivescovo di Madrid, il cardinale Antonio Maria Rouco Varela, in vista del pellegrinaggio degli oltre 5 mila giovani a Roma per incontrare poi, il 9 agosto a Castelgandolfo, Benedetto XVI. Il porporato, scrive l’agenzia SIR, ha anche invitato i ragazzi a cercare nel “Successore di Pietro la luce e l’incoraggiamento apostolico” che li spinga a continuare la “Missione giovani”. La Missione si propone di annunciare Gesù a tutti i ragazzi di oggi della diocesi di Madrid, specialmente ai più lontani dalla fede e dalla comunità ecclesiale, “affinché s’incontrino con Lui, dando una risposta di fede, libera e responsabile”, e vede impegnati in prima linea i giovani, che sono i primi testimoni di Cristo con i loro coetanei. L’esortazione del cardinale Rouco Varela ai giovani è quella di appoggiarsi anche alle famiglie madrilene, per la loro missione. Il pellegrinaggio a Roma si rivolge a giovani della Provincia ecclesiastica di Madrid (che comprende Alcalá, Castrense, Getafe e Madrid), dai 15 ai 35 anni, ed è organizzato dalla Delegazione diocesana dell’infanzia e della gioventù, nell’ambito della “Missione giovani”, iniziata nel 2006. (T.C.)
Mons. Angelo Amato ha presentato a Madrid, al Corso estivo sul pensiero del Papa, il libro di Benedetto XVI "Gesù di Nazaret"
◊ Il segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede, monsignor Angelo Amato, ha presentato il libro di Benedetto XVI “Gesù di Nazaret” nel Corso Estivo sul pensiero del Papa organizzato dalla Fondazione Università Re Juan Carlos, in svolgimento questa settimana ad Aranjuez. L’Arcivescovo, riferisce l'agenzia Zenit, ha riassunto il lavoro del Papa come quello di un “minatore” che trova una pietra preziosa e riesce a recuperare “un ritratto vivo di Gesù, spesso appannato fino a risultare irriconoscibile da mille ipotesi diverse”. Il presule ha anche invitato “ad avvicinarsi al libro, a leggerlo attentamente e a scoprire con stupore il volto di Cristo che rivela il Vangelo”. Monsignor Amato ha detto che il grande impegno di Benedetto XVI ha consistito nel presentare il “vero ritratto” di Gesù, e ha aggiunto che lo ha fatto partendo da una “riflessione sapienziale su Gesù, frutto della scienza, dell’esperienza e soprattutto dell’amore”. Il presule ha indicato che si tratta semplicemente di presentare “Gesù di Nazaret, il Gesù dei Vangeli e della Chiesa”, e non il Gesù dei vari autori, il Gesù “che ha vissuto sulla nostra terra, che si fa conoscere come Figlio di Dio già prima della Pasqua, il Gesù della storia e della fede”. In questo contesto, monsignor Amato ha affermato che il Papa “compie un’indispensabile opera di purificazione e ossigenazione della ricerca contemporanea su Gesù”. Il segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede ha sottolineato che a differenza della maggiore creatività artistica e delle grandi presentazioni letterarie, come quelle di Dostoevskij, Unamuno, Bernanos o Papini – che attraverso narrazioni distinte parlavano dello stesso Cristo –, “la ricerca contemporanea perde il volto biblico del Signore riducendolo a una figura del passato” e riconoscendo in Lui al massimo “un maestro di morale o un rivoluzionario”. Il presule ha esposto alcune delle chiavi interpretative erronee, unite dal “rifiuto di fondo del soprannaturale”: da quella razionalista a quella fantastica (in cui addirittura si inventano personaggi e fatti mai narrati dai Vangeli), passando per quella mitica o quella scettica, fino ad arrivare all’interpretazione estetica di Renan o alle interpretazioni liberale e modernista. Nel suo discorso l’Arcivescovo ha osservato che l’impegno del Papa in questa opera è armonizzare “la storia e la fede”. Dal punto di vista metodologico, il Papa riconoscere il valore delle fonti bibliche e armonizza il Gesù della Storia e il Gesù della Fede, opponendosi anche a un “fideismo acritico”. “La fides senza la storia manca di fondamento, la storia senza la fides è insufficiente per affrontare la verità di Dio in Cristo. Questi sono i pilastri della verità del cristianesimo: la salvezza nella storia e nella fede”, ha sottolineato monsignor Amato. Rispetto al contenuto del libro, l’Arcivescovo ha detto che Benedetto XVI presenta Gesù come il “nuovo Mosè”, visto che a differenza del profeta Cristo contempla il volto di Dio, e ha aggiunto che questo contatto “immediato” con il Padre è la “chiave per una retta comprensione di Gesù”. Secondo monsignor Amato, il libro del Papa offre una “sintesi di Cristologia prepasquale”. (R.P.)
In Afghanistan, uccisi 70 insorti in diversi scontri con le forze USA, mentre si teme per la sorte degli ostaggi sudcoreani ancora nelle mani dei guerriglieri - La Libia protesta contro la concessione della grazia alle infermiere bulgare condannate all’ergastolo
◊ Cresce la preoccupazione a Seul per la sorte dei 22 ostaggi sudcoreani nelle mani dei talebani in Afghanistan. Intanto, si è concluso positivamente il rapimento di un giornalista danese, sequestrato nella giornata di ieri. Intensi combattimenti con le forze della coalizione a guida USA si sono invece verificati nel sud. Uccisi oltre 70 insorti Il nostro servizio:
Secondo fonti della coalizione, circa 50 insorti sono morti nella provincia di Helmand, in una battaglia durata 12 ore, iniziata in seguito a un loro attacco. Non vi sarebbero vittime civili, né tra le fila dei soldati USA. Sempre nella notte, altri 20 miliziani, sono stati uccisi nella vicina provincia di Kandahar. Quanto alla sorte degli ostaggi sudcoreani, sequestrati venerdì a Ghazni, un portavoce dei talebani ha fatto sapere che “sono tutti in vita per il momento”, nonostante lo scadere, ieri sera, del quarto ultimatum imposto a Kabul per liberare 8 miliziani detenuti nelle carceri afghane. Ieri, allo scadere del terzo ultimatum, era stato ucciso il 23.mo prigioniero sudcoreano, uno dei pochi uomini del gruppo di volontari evangelici composto prevalentemente da donne. “Un atto disumano”, ha commentato Seoul, che ha denunciato “confusione” nelle trattative. Sollievo, invece, per la liberazione del reporter danese, rapito ieri insieme al suo interprete nella provincia orientale di Kunar. Fondamentale, per il rilascio, la mediazione dei capi tribali locali.
- In Iraq, cinque poliziotti sono rimasti uccisi nell'esplosione di una bomba al passaggio della loro pattuglia a sud della città sciita di Hilla. Ed è salito ad almeno 58 morti accertati il bilancio complessivo del duplice attentato che ieri, in piena Baghdad, ha funestato i festeggiamenti dei tifosi per la vittoria della nazionale di calcio irachena. Infine, annunciata dal comando americano a Baghdad la cattura, nel centro e nel nord dell'Iraq, di 36 “presunti terroristi”.
- Medio Oriente. Un attivista di Hamas è morto durante un nuovo bombardamento dell'aviazione israeliana contro il settore sud della Striscia di Gaza, dove era in corso un'incursione delle truppe di terra. Un’altro palestinese, che apparentemente si accingeva ad accoltellare un soldato israeliano, è stato ucciso nei pressi del villaggio di Tekoa, in Cisgiordania. Sul fronte politico, il consigliere per la sicurezza nazionale palestinese, Mohammed Dahlan, ha presentato le sue dimissioni al presidente dell’ANP, Abu Mazen, che le ha accettate. Dahlan era stato pesantemente criticato da al Fatah per il fallimento delle forze di sicurezza nell'impedire a Hamas di prendere il controllo di Gaza, lo scorso giugno.
- In Libano, l’esercito è penetrato stamani all'interno dell'ultima roccaforte del gruppo integralista Fatah al Islam, nel campo profughi palestinese di Nahr al Bared, in quella che appare come l'offensiva finale contro i miliziani che si ispirano ad al Qaeda. Dall'inizio degli scontri, il 20 maggio scorso, sono rimasti uccisi circa 120 soldati e 80 miliziani, oltre ad una quarantina di civili. - Siria. E’ stata causata da un incidente e non da un atto terroristico, come temuto inizialmente, la potente esplosione avvenuta questa mattina in un’accademia militare nei pressi della città di Aleppo, nel nord: 15 i soldati morti e 50 i feriti. Secondo fonti ufficiali citate dalla Tv di Stato di Damasco, la deflagrazione sarebbe stata forse causata dalle alte temperature raggiunte all'interno di un deposito di armi.
- Il Pakistan ha effettuato un lancio di prova di un missile da crociera in grado di portare testate atomiche. Il razzo ha una gittata di 700 km. Il test di oggi segue uno analogo portato a termine nel marzo scorso. - Dure proteste libiche per la concessione della grazia alle infermiere e al medico bulgari, condannati all’ergastolo con l’accusa di avere infettato con il virus dell’HIV centinaia di bambini nell’ospedale di Bengasi. Una decisione, quella della grazia, definita da fonti ufficiali di Tripoli “una chiara violazione degli accordi” tra i due Paesi. Il servizio di Iva Mihailova:
“Bisogna perdonare sempre”: questo è il commento di una delle infermiere bulgare, alla conferenza stampa tenutasi ieri sera a Sofia. “Non possiamo esprimere giudizi - ha aggiunto un’altra infermiera - contro di noi abbiamo sentito troppe condanne ingiuste”. Mentre le bulgare hanno raccontato le condizioni disastrose nei primi anni nella prigione libica, da Tripoli giunge la protesta ufficiale per la loro concessione di grazia. In una nota consegnata al primo segretario dell’ambasciata bulgara, la Libia condanna la mancata osservanza dell’accordo di trasferimento di detenuti dal 1984 con la Bulgaria, che non avrebbe previsto possibilità di grazia. Secondo il governo libico, non sono stati rispettati gli accordi presi alla vigilia della partenza. A questo si aggiunge anche la rabbia delle famiglie dei bambini contagiati, che hanno chiesto l’arresto da parte dell’Interpol dei bulgari, dicendo che l’Occidente vuole il sangue islamico. Ieri sera, la visita a Tripoli del presidente francese, Sarkozy, che ha migliorato molto le relazioni tra i due Paesi. Sarkozy e Muammar Gheddafi hanno firmato diversi accordi tecnico-scientifici.
- Una troika di mediatori per arbitrare i nuovi negoziati tra la Serbia e gli albanesi del Kosovo. E’ quanto deciso dal Gruppo di contatto, riunito ieri a Vienna, dopo lo stallo al Consiglio di Sicurezza dell’ONU del Piano Aathisari. Della troika, secondo fonti diplomatiche, faranno parte un americano, un russo e un rappresentante dell’Unione Europea.
- La polizia francese ha arrestato a Rodez, vicino a Tolosa, tre presunti membri dell'organizzazione separatista basca, ETA: lo riferisce la stampa spagnola, citando fonti dei servizi di lotta al terrorismo. Secondo il quotidiano El Mundo, tra i fermati vi sarebbe anche Juan Cruz Maiza Artola, che avrebbe fatto parte di delegazioni ETA ai colloqui segreti con emissari del governo durante il periodo di cessate-il-fuoco, dichiarato concluso dai separatisti il mese scorso.
- Si è conclusa in un nulla di fatto la tornata di colloqui tra le due Coree per la definizione dei confini nelle contese acque del mare occidentale. Secondo Seul, la linea del limite nord rappresenta il confine de facto. Pyongyang, invece, non la accetta, ritenendola un’imposizione delle Nazioni Unite. A rendere difficili i colloqui, anche le posizioni della Corea del Nord sul suo programma nucleare.
- Ha dedicato alla difesa dei poveri e delle donne il proprio discorso di insediamento davanti al Parlamento di New Delhi. Prathiba Patil, la nuova presidente dell’India, la prima donna a ricoprire la carica in 60 anni di indipendenza e alleata di Sonia Ghandi e del Partito del Congresso, ha presto giuramento ieri, dopo l’elezione della scorsa settimana. Il servizio di Maria Grazia Coggiola:
Combattere la povertà, l’ignoranza e la malattia, ma soprattutto sradicare la pratica degli aborti selettivi, che ogni giorno crea una strage silenziosa di bambine in India. E’ questa l’agenda politica di Pratiba Patil, la nuova presidente indiana, che ieri dopo aver prestato giuramento, è entrata ufficialmente nel Rashtrapati Bhavan, palazzo presidenziale di New Delhi, che negli ultimi cinque anni è stato occupato dallo scienziato musulmano, Abdul Kalam. In base alla Costituzione, il capo dello Stato non ha poteri esecutivi, ma le sue opinioni sono tenute in grande considerazione dai partiti politici. Nel suo primo discorso, Patil ha detto che la crescita indiana non può escludere le centinaia di milioni di poveri. Un punto che sta particolarmente a cuore anche a Sonia Gandhi, la leader del Congresso, che ha scelto questa 72.enne dello Stato del Maharashtra, il cui nome è abbastanza sconosciuto negli ambienti politici e che è stata fortemente contestata dall’opposizione indo-nazionalista. A dare il benvenuto alla Patil è stato anche il cardinale Telesfore Toppo, presidente della Conferenza episcopale indiana, che vede con favore l’elezione di una donna, che ha sempre mostrato rispetto per i principi laici. Come governatrice del Rajasthan, la Patil si è rifiutata di firmare la legge anticonversione. “Ci auguriamo che questa elezione - ha detto il porporato - sia anche un passo importante verso una generale uguaglianza nel Paese”. - E’ rientrato l’allarme tsunami nell’arcipelago delle Molucche, nell’Indonesia orientale, colpito da un violento sisma di magnitudo 7.4 della scala Ritcher. Lo ha reso noto il Servizio meteorologico indonesiano, secondo cui l'epicentro del terremoto sottomarino è localizzato 230 chilometri a nord ovest di Ternate, a una profondità di 88 chilometri.
- Il presidente brasiliano, Lula da Silva, ha esonerato il ministro della Difesa, Pires, dopo il disastro aereo nell'aeroporto di Congonhas a San Paolo, che ha causato la settimana scorsa circa 200 morti. Lo scrive il quotidiano Folha de Sao Paulo, secondo cui, durante la tragedia, Pires aveva mostrato scarso controllo della situazione. (Panoramica internazionale a cura di Roberta Moretti)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LI No. 207
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