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SOMMARIO del 11/07/2007

Il Papa e la Santa Sede

  • Nel terzo giorno di riposo estivo di Benedetto XVI, i vescovi di Belluno-Feltre e Treviso confermano un incontro del clero locale con il Papa e gli rivolgono gli auguri per la festa di San Benedetto
  • Il Papa ai vescovi latinoamericani: Eucaristia e formazione cristiana siano al centro della grande Missione in America Latina. Mons. Damasceno Assis eletto nuovo presidente del CELAM
  • La Dichiarazione della Dottrina della Fede "è un invito al dialogo": il cardinale Walter Kasper replica alle critiche delle comunità protestanti, all'indomani del documento sulla Chiesa cattolica
  • Salutato positivamente da cardinali e vescovi, in diversi Paesi, il Motu proprio Summorum Pontificum di Benedetto XVI
  • Mons. Agostino Marchetto al Forum globale su Migrazione e sviluppo di Bruxelles: clandestinità non vuol dire criminalità
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Liberi in Iraq, i quattro cristiani caldei, rapiti la settimana scorsa nei pressi di Kirkuk, grazie alla mediazione congiunta della Chiesa e degli sheik musulmani
  • Concluso a York il Sinodo della Chiesa d'Inghilterra. Discussa la proposta di un Patto per favorire i rapporti fra le comunità anglicane nel mondo
  • L'11 luglio 1995, il massacro di Srebrenica: ottomila musulmani furono trucidati dall'esercito serbo bosniaco durante il conflitto nei Balcani
  • Esce nei cinema di tutto il mondo "Harry Potter e l'Ordine della Fenice", quinta puntata della saga del celeberrimo maghetto
  • Chiesa e Società

  • Non ci sono legami fra le ricerche di padre Giancarlo Bossi e gli scontri di ieri a Basilan, nei quali hanno perso la vita 14 soldati della Marina governativa
  • Dalla Mezzaluna Rossa allarme per i profughi interni iracheni: ogni mese sono 100 mila in più
  • In Rwanda, dopo la Camera anche il Senato approva l'abolizione della pena di morte
  • L'Africa un continente dove viene prodotta, consumata e smerciata sempre più droga: lo ha detto il direttore esecutivo dell'Interpol
  • Oltre 250 delegati da 18 Paesi, in Portogallo, per il XXIV Colloquio europeo delle parrocchie sul tema: "Abitare da cristiani il nostro tempo"
  • In Kenya, dopo Radio Waumini, i vescovi hanno in progetto l'apertura di tre nuove emittenti cattoliche
  • Taiwan: mons. Ti-kang dona le offerte ricevute per il suo 80.mo compleanno al nuovo centro per disabili mentali dell’arcidiocesi di Taipei
  • La medaglia vaticana del Buon Samaritano a mons. Thomas Williams, vescovo ausiliare di Liverpool
  • Nel mondo dei fieranti e dei circensi, l’opportunità di scoprire come l’altro sia una "benedizione"
  • Ieri sera ad Ostia Antica il cardinale Stanislao Dziwisz ha ricevuto il "Premio Roma" per il libro "Una vita con Karol"
  • 24 Ore nel Mondo

  • Ultime fasi dell’operazione dell’esercito pakistano alla Moschea Rossa di Islamabad - La Corte suprema libica ha confermato la condanna a morte per cinque infermiere bulgare ed un medico palestinese, che infettarono con il virus dell’AIDS 438 bambini libici
  • Il Papa e la Santa Sede



    Nel terzo giorno di riposo estivo di Benedetto XVI, i vescovi di Belluno-Feltre e Treviso confermano un incontro del clero locale con il Papa e gli rivolgono gli auguri per la festa di San Benedetto

    ◊   Studio e preghiera tra le montagne innevate: prosegue così il periodo di riposo estivo di Benedetto XVI a Lorenzago di Cadore, sulle Dolomiti. E nell’odierna festa di San Benedetto, Abate, Patrono d’Europa, la località che ospita il Pontefice ha organizzato un concerto per celebrare il suo onomastico. Al microfono di Roberta Moretti, l’inviato di Avvenire, Salvatore Mazza:


    R. - Secondo i programmi che erano stati annunciati, per Benedetto XVI questo è un giorno ancora di assoluto riposo. Non sono previste uscite nonostante oggi sia la festa di San Benedetto, mentre il paese ha organizzato un concerto in suo onore. Se il tempo regge, probabilmente uscirà in passeggiata nei dintorni. Una giornata tranquilla, ancora studio, preghiera, meditazione, come quello stile al quale ci ha abituato ormai.

     
    D. - Anche se il Papa non parteciperà al concerto, c’è comunque un certo fermento nella comunità di Lorenzago di Cadore per celebrarne l'onomastico...

     
    R. - Si sa che sono arrivati e continuano ad arrivare regali per il Papa, anche se non è propriamente il suo onomastico che viene festeggiato il giorno di San Giuseppe. In ogni caso, la ricorrenza di San Benedetto è importante. Un regalo è arrivato anche dalla valle d’Aosta, lo ha mandato il sindaco Osvaldo Nodin, della cittadina di Introd, dove il Papa era stato nelle due estati precedenti a trascorrere il suo periodo di riposo in montagna. Certamente, anche nel riparo della villetta, Benedetto XVI avverte sicuramente l’affetto e la vicinanza della gente che gli vuole bene e che lo sta accompagnando in questo periodo.

     
    D. - Come dicevi, il Papa ha orientato questi primissimi giorni di vacanza alla riservatezza...

     
    R. - A quanto si sa, trascorre molto tempo nel suo studio dove c’è anche il pianoforte, quindi è prevedibile che dedichi del tempo a suonare come usa fare per rilassarsi, prega molto... Sono veramente giorni di riposo e d’altra parte ne ha bisogno.

    E come abbiamo ascoltato, la comunità di Lorenzago di Cadore festeggia oggi con diverse iniziative l’onomastico del Papa. Ce ne parla, al microfono di Luca Collodi, mons. Giuseppe Andrich, vescovo di Belluno-Feltre:


    R. - Questa mattina alle ore 7.00, nella cattedrale, ho celebrato con diversi sacerdoti e abbiamo pregato per il Papa nella festa di San Benedetto. Posso dire che in tutta la diocesi, ma particolarmente nel Cadore e nella parrocchia di Lorenzago, questa data è molto sentita, sottolineata. Questa celebrazione era già stata prevista con l’invito a formulare sì voti augurali al Papa, ma soprattutto ad unirsi con la preghiera a tutti coloro che nel Papa sentono quanto è significativa la scelta del nome e il suo collegamento con la spiritualità di San Benedetto, monaco, patrono d’Europa, di grande levatura non solo per la storia dell’Europa ma anche per il futuro della civiltà cristiana in Europa.

     
    D. - E stasera, mons. Andrich, la sua diocesi di Belluno-Feltre ha organizzato un concerto d’organo proprio in onore di Benedetto XVI, nella chiesa parrocchiale di Lorenzago di Cadore...

     
    R. - Esatto e questa inaugurazione anche dell’organo, il concerto, ha anche un significato di alto valore per la nostra terra perché inauguriamo questa sera il quinto anno di un’iniziativa interessante per i nostri documenti cristiani riguardanti le chiese delle Dolomiti, che sono di alto significato anche per gli influssi che abbiamo avuto nella storia dal nord Europa sull’asse nord-sud.

     
    D. - Una caratteristica della sua diocesi di Belluno-Feltre, e quindi della zona del Cadore delle Dolomiti, è l’accoglienza che è stata riservata con grande calore proprio anche a Benedetto XVI, al suo arrivo...

     
    R. - Il calore è stato grande, la gente numerosissima ma anche i segni di festosità per accogliere con gioia il Papa sono stati molto, molto evidenti e partecipati da tutti. Posso dirlo con molta convinzione e anche con una punta di soddisfazione, perché la preparazione di questi mesi, che abbiamo cercato di sottolineare anche in diocesi, ha avuto il suo momento alto proprio durante l’accoglienza.

     
    D. - C’è la possibilità - il Papa in Val d’Aosta l’ha fatto - di un incontro con i sacerdoti della sua diocesi ma anche della zona del Cadore?

     
    R. - Noi abbiamo chiesto immediatamente - il vescovo di Treviso ed io - di avere questo. Abbiamo notizia che ci sarà questo incontro per i due presbiteri, quello molto numeroso della diocesi di Treviso, e quello nostro della diocesi di Belluno-Feltre, tra alcuni giorni ma la data non è stata ancora precisata.

     
    Grande gioia, dunque, per il clero delle diocesi di Belluno-Feltre e Treviso, che nei prossimi giorni incontrerà Benedetto XVI. Luca Collodi ha sentito, in proposito, il vescovo di Treviso, mons. Andrea Bruno Mazzoccato:


    R. – La speranza si era diffusa tra i preti, adesso abbiamo una conferma molto affidabile e quindi visto l’eco dell’incontro dell’anno scorso in Val d’Aosta, diventa questo incontro del Papa con i sacerdoti, certamente uno dei momenti più significativi anche del suo soggiorno qui tra noi.

     
    D. Facciamo un passo indietro all’arrivo del Papa all’aeroporto di Treviso e poi in elicottero appunto verso Lorenzago. C’è stata una grande folla presente, la voglia di vedere il Papa e questo è significativo anche pensando ai tanti, tantissimi pellegrini che assistono, con un numero crescente, alle udienze anche in piazza San Pietro a Roma, all’Angelus...

     
    R. – Le richieste per poter essere in qualche luogo dove poi il Santo Padre passa, sono molto alte però devo dire che questo è la risposta al modo con cui questo Pontefice si rapporta con le persone. Devo dire che l’incontro con le persone, all’aeroporto dove è arrivato ad Istrana, è stato un incontro di una tale immediatezza, carica umana, paternità, che è immediatamente recepita.

     
    D. – Quindi un impatto umano, monsignor Mazzocato, che ha visto protagonisti anche i giovani?

     
    R. – Sì, anche i giovani difatti. Poi su nel castello Mirabello, vicino alla villetta, quando è arrivato il Papa, c’era qualche centinaio di ragazzi giovani dei campi scuola di Treviso che abbiamo potuto fare arrivare lì e quindi hanno avuto l’occasione di incontrare e salutare direttamente il Santo Padre e si vedeva proprio il grande desiderio, la gioia di questo incontro che sentivo anche tra i sacerdoti che li avevano accompagnati.

     
    D. - E allora noi chiudiamo ricordando ancora una volta la festività di oggi: San Benedetto, onomastico del Papa...

     
    R. – Certo. Accanto all’augurio specialmente la preghiera di intercessione di San Benedetto perché ci conservi questo Papa nelle migliori condizioni per questo grande servizio che sta facendo alla Chiesa.

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    Il Papa ai vescovi latinoamericani: Eucaristia e formazione cristiana siano al centro della grande Missione in America Latina. Mons. Damasceno Assis eletto nuovo presidente del CELAM

    ◊   Un “ricordo grato” per una visista apostolica che ha offerto alla Chiesa latinoamericana e caraibica “numerose e opportune indicazioni pastorali”. Sono alcune delle parole della lettera con la quale Benedetto XVI ha autorizzato la pubblicazione del “Documento di Aparecida”, documento conclusivo della V Assemblea Generale dell'episcopato latinoamericano e dei Caraibi, svoltasi ad Aparecida, in Brasile, dal 13 al 31 maggio scorsi. (Il Documento conclusivo, in spagnolo, è disponibile sul sito web del Celam: http://www.celam.info/aparecida)

     
    Ieri, intanto, il Consiglio episcopale latinoamericano (CELAM), in questi giorni riunito per la prima volta a Cuba, ha provveduto a rinnovare le cariche direttive del Celam, nel corso della 31.ma assemblea ordinaria. Il servizio di Alessandro De Carolis:
     
    E' il 70.enne arcivescovo brasiliano di Aparecida, Raymundo Damasceno Assis, il neopresidente del CELAM, che prende il posto del cardinale Francisco Javier Errázuriz, arcivescovo di Santiago del Cile. I partecipanti all'Assemblea in corso all’Avana hanno completato il rinnovamento delle cariche del Consiglio episcopale latinomericano, eleggendo anche i due vicepresidenti, rispettivamente l'arcivescovo di Merida, in Venezuela, Baltazar Porras Cardozo, e l'arcivescovo di Reconquista, in Argentina, Andrés Stanovnik.

    I lavori della plenaria, oltre alla designazione delle cariche interne al CELAM si occuperanno fino a venerdì prossimo di tracciare le linee per i piani pastorali per l’America Latina e i Caraibi, in particolare per quella Missione continentale che ad Aparecida ha ricevuto la benedizione del Papa.

    E proprio Benedetto XVI, nella lettera con la quale acconsente alla pubblicazione del “Documento di Aparecida”, ha voluto anzitutto ricordare “con grande gioia” l’inaugurazione della V Conferenza generale svoltasi in Brasile, ma ha pure sottolineato le “numerose e opportune indicazioni pastorali” contenute nel Documento conclusivo. “Tra molte - scrive Benedetto XVI - ho letto, con particolare apprezzamento, le parole che esortano a dare priorità all’Eucaristia e alla santificazione del Giorno del Signore nei programmi pastorali, così come quelle che esprimono l’anelito a rafforzare la formazione cristiana in generale e degli agenti della pastorale in particolare”.

    In questo senso, conclude il Papa, “è stato per me un motivo di grande gioia di apprendere il desiderio di realizzare la Missione Continentale che le Conferenze episcopali, e ogni diocesi, sono chiamate a studiare e a portare a compimento, coinvolgendovi tutte le forze vive in modo tale che partendo da Cristo sia cercato il suo Volto”.

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    La Dichiarazione della Dottrina della Fede "è un invito al dialogo": il cardinale Walter Kasper replica alle critiche delle comunità protestanti, all'indomani del documento sulla Chiesa cattolica

    ◊   La Dichiarazione della Congregazione per la Dottrina della Fede, pubblicata ieri e intitolata “Risposte a quesiti riguardanti alcuni aspetti circa la Dottrina sulla Chiesa”, “ha provocato delle reazioni a caldo di irritazione tra i cristiani protestanti”. (testo integrale sul nostro sito sotto Documenti Vaticani). "Una seconda lettura più serena potrà mostrare, che il Documento non dice nulla di nuovo, ma espone e spiega, in un riassunto sintetico, la posizione già finora sostenuta dalla Chiesa Cattolica”. Inizia con queste affermazioni l'ampia dichiarazione del cardinale Walter Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’Unità dei cristiani, che reagisce alle reazioni di vario tenore che hanno contrassegnato a caldo l’uscita del Documento Congregazione per la dottrina della Fede. “Non si è verificata una situazione nuova - osserva - e quindi non esiste nemmeno una ragione oggettiva di risentimento o motivi per sentirsi trattati bruscamente. Ogni dialogo presuppone chiarezza sulle diverse posizioni”.

    Parlando delle comunità della Riforma, il porporato precisa che “sono stati proprio i partner protestanti” a richiedere “recentemente” un “ecumenismo dai ‘profili definiti’. E ora - soggiunge - la presente dichiarazione espone e pronuncia il profilo cattolico, cioè quello che dal punto di vista cattolico purtroppo ancora ci divide, questo non limita il dialogo ma anzi lo favorisce”. “Una lettura attenta del testo - prosegue il presidente del dicastero pontificio - chiarisce che il Documento non dice che le Chiese protestanti non siano Chiese, bensì che esse non sono Chiese in senso proprio, cioè esse non sono Chiese nel senso in cui la Chiesa cattolica si intende per Chiesa. Questo, per qualunque persona di media formazione ecumenica, è una pura ovvietà”. Infatti, sottolinea il cardinale Kasper, “le Chiese evangeliche non vogliono nemmeno essere Chiesa nel senso della Chiesa cattolica; ci tengono moltissimo ad avere un concetto di Chiesa e di ministero che, per contro, non risponde al concetto proprio dei cattolici”. “Non è forse vero - si chiede il cardinale Kasper - che il più recente documento evangelico su 'Ministero e Ordinazione' ha fatto qualcosa di simile, affermando che la comprensione di Chiesa e di Ministero, dal punto di vista protestante, non sia quella ‘propria’?".

    "Quando - ricorda il porporato - a seguito della Dichiarazione Dominus Iesus, ho affermato che le Chiese protestanti sono Chiese di un altro tipo, ciò non era in contrasto con la formulazione della Congregazione per la Dottrina della Fede, come pretendevano alcune reazioni da parte evangelica. Al contrario, ho cercato una interpretazione appropriata della quale sono convinto a tutt’oggi. Soprattutto perché - nota il cardinale Kasper - i cattolici ancora oggi parlano di Chiese protestanti, della EKD come Chiesa Evangelica di Germania, della VELKD come Federazione delle Chiese Evangeliche luterane in Germania, della Chiesa d’Inghilterra ecc. La Dichiarazione della Congregazione per la Dottrina della Fede - ribadisce il porporato - non fa altro che evidenziare che noi usiamo la parola Chiesa attribuendo ad essa un significato che non è pienamente uguale. La Dichiarazione rende servizio alla chiarezza e di conseguenza al progresso del dialogo".

    Ma "senz’altro - riconosce ancora il porporato tedesco - alla base del dialogo non vi è ciò che ci divide, ma ciò che ci unisce, e che è più grande di ciò che ci divide. Pertanto non si deve sorvolare su quanto la Dichiarazione afferma in modo positivo riguardo alle Chiese protestanti, e cioè che Gesù Cristo è effettivamente presente in esse per la salvezza dei loro membri". "Tenendo conto del passato - asserisce - non si tratta di un’affermazione ovvia. Include il riconoscimento del battesimo, e pur tenendo conto delle importanti differenze che esistono, la Dichiarazione, sulla scia del Concilio Vaticano II, contiene anche una serie di affermazioni positive sull’ultima Cena celebrata nella Chiesa protestante (Decreto sull’Ecumenismo, ur 22). Quindi - è la considerazione finale del cardinale Kasper - la Dichiarazione non costituisce un regresso rispetto al progresso ecumenico già raggiunto, ma ci impegna a risolvere i compiti ecumenici che ci stanno ancora davanti. Queste differenze dovrebbero spronarci e non sconvolgerci perché le chiamiamo per nome. In ultima analisi - conclude - la Dichiarazione è un invito urgente a continuare un dialogo sereno". (A cura di Alessandro De Carolis)


    Dove c’è chiarezza nell’identità il confronto è più facile, per questo il nuovo documento riguardante la Dottrina della Chiesa sarà di grande aiuto per il dialogo ecumenico: sulla linea del cardinale Kasper è anche il teologo, don Salvatore Vitiello, docente di Introduzione alla Teologia all’Università Cattolica di Roma. Fabio Colagrande ne ha raccolto il commento:
     

     
    R. - Anzitutto, si tratta di un documento molto particolare, perché non si propone come un atto ufficiale, pieno ed autonomo della Congregazione, ma come la risposta ad alcuni quesiti che altri hanno posto alla Congregazione. Questo ci segnala già un primo elemento e cioè che ci sono dei problemi di interpretazione di alcuni punti della dottrina e in questo caso si tratta del “subsistit in” usato dal Concilio Vaticano II rispetto alla Chiesa. Dunque, chi ha problemi nel comprendere questi punti di dottrina può rivolgersi alla Congregazione per la Dottrina della Fede e possono, ovviamente, essere vescovi, teologi o cardinali. Nel post-Concilio, si è discusso molto su questo termine, “subsistit in”, con due differenti linee. La prima - che è la linea ribadita con grande chiarezza dal documento della Congregazione - è quella secondo la quale il verbo “sussiste in” coincide con il verbo essere e quindi quando il Concilio dice: “La Chiesa di Cristo sussiste nella Chiesa cattolica” in realtà altro non direbbe se non “la Chiesa di Cristo è la Chiesa cattolica” e dunque si utilizza il termine “sussiste in” per favorire il dialogo ecumenico. L’altra linea, invece, quella che vorrebbe che il termine “sussiste in” indebolisse in qualche modo l’identità tra la Chiesa di Cristo e la Chiesa cattolica, per cui la Chiesa non sarebbe più una ma ci sarebbero molto Chiese, e solo l’unità di molte Chiese potrebbe produrre la Chiesa una, cattolica ed apostolica, viene di fatto definita dal documento una interpretazione non legittima e non secondo ciò che il Concilio intendeva dire.

     
    D. - Questo testo può aiutare oppure ostacolare - come sostengono alcuni - il dialogo ecumenico?

     
    R. - Io direi che questo testo, contrariamente a quanto molti vanno dicendo in queste ore, aiuterà il dialogo ecumenico. Quando noi veniamo chiamati nelle tavole di discussione teologica con i fratelli delle Chiese separate - sia delle Chiese ortodosse che delle comunità ecclesiali riformate - la prima cosa che essi ci domandano - prima ancora di iniziare a discutere qualsiasi punto di dottrina controverso - è che noi siamo fedeli alla nostra tradizione cattolica. Con molta semplicità, è come se loro ci dicessero: “A fare i protestanti ci pensiamo già noi, a fare gli ortodossi ci pensiamo già noi. Voi, per favore, fate i cattolici altrimenti non ci si comprende proprio più”. Dunque, viene proprio dal mondo dell’ecumenismo una grande richiesta di chiarezza nell’identità, che sia una chiarezza di appartenenza ecclesiale, ma anche di dottrina. Quando c’è chiarezza di identità e di appartenenza ecclesiale è poi possibile dialogare con chiunque; quando c’è invece debolezza nell’identità l’altro viene visto come un nemico. Quindi, io sono convinto che questo documento, proprio perché puntualizza, l’identità della Chiesa, favorirà il dialogo ecumenico e certamente non lo ostacolerà.

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    Salutato positivamente da cardinali e vescovi, in diversi Paesi, il Motu proprio Summorum Pontificum di Benedetto XVI

    ◊   Sta raccogliendo consensi, da parte di cardinali e vescovi, il Motu proprio Summorum Pontificum di Benedetto XVI, pubblicato il 7 luglio scorso e che entrerà in vigore il 14 settembre di quest’anno. Il documento del Papa, presentato in questi giorni in diverse diocesi, viene visto dalle diverse Conferenze episcopali come uno strumento che può favorire l’unità nella Chiesa. Per una carrellata sulle varie posizioni espresse dai vescovi europei, il servizio di Tiziana Campisi:


    I vescovi di Inghilterra e Galles hanno salutato con favore “l’importanza dell’unità all’interno della Chiesa, nel celebrare l’Eucaristia” che Benedetto XVI ha voluto sottolineare attraverso il Motu proprio Summorum Pontificum e la lettera che lo accompagna. Per il cardinale Cormac Murphy-O’Connor, arcivescovo di Westminster e presidente della Conferenza episcopale, anche se si possono “prevedere alcune difficoltà nel ricevere e portare avanti l’insegnamento del Papa” sulla celebrazione dell’Eucaristia con Rito Tridentino e secondo il Messale Romano del 1962, e sia possibile che “alcuni preti non sappiamo immediatamente come meglio rispondere all’autentica richiesta del rito straordinario”, le norme del Motu proprio “sono perfettamente chiare” quando affermano che “la responsabilità spetta al vescovo, che farà riferimento da parte loro alla Santa Sede per aiuto e consiglio”. “Benedetto XVI ha a cuore l’unità dei cattolici - ha detto presentando il Motu proprio il cardinale francese, Jean-Pierre Ricard, arcivescovo di Bordeaux - vuole favorire la loro riconciliazione e al tempo stesso riconciliare la Chiesa con il suo passato liturgico. Non si tratta di un bi-ritualismo ma di un solo rito che può essere celebrato in due forme”. Il Rito Tridentino, ha detto ancora il porporato, “ha nutrito la fede dei fedeli per secoli e può continuare a farlo ancora oggi. Con il Summorum Pontificum, Benedetto XVI chiede ai fedeli conciliari e a quelli tradizionalisti di iniziare un cammino di riconciliazione e di comunione”. Secondo il cardinale Telesphore Placidus Toppo, arcivescovo di Ranchi e presidente della Conferenza episcopale indiana, il Motu proprio non creerà particolari problemi in India e, in alcuni casi, potrebbe anzi aiutare a risolvere tensioni in seno ad alcune comunità cattoliche, come ad esempio quella di rito siro-malabarese, divisa tra gruppi più tradizionalisti e gruppi fedeli al Concilio Vaticano II. “Ritengo che il Motu proprio sia l’opera dello Spirito Santo che muove la Chiesa attraverso il Santo Padre per portare unità e armonia tra i fedeli”, ha detto il cardinale Toppo. Per mons. Kurt Koch, presidente della Conferenza episcopale svizzera, “occorre un rinnovamento della consapevolezza liturgica che percepisca l’identità e l’unità della storia liturgica pur nella sua molteplicità storica”. Solo se riconciliati e riconosciuti, i diversi riti liturgici possono convivere. I vescovi olandesi, infine, vedono nel Motu proprio “una riflessione spirituale ricca e profonda sulla tradizione della Chiesa celebrante che loda e ringrazia Dio”. Per i presuli, “non si tratta di nessuna bocciatura della liturgia del Concilio Vaticano II”, poiché il Messale Romano del 1962 e il Rito Tridentino sono manifestazioni di uguale dignità della tradizione liturgica della Chiesa cattolica romana”.

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    Mons. Agostino Marchetto al Forum globale su Migrazione e sviluppo di Bruxelles: clandestinità non vuol dire criminalità

    ◊   I migranti contribuiscono al benessere del Paese di accoglienza e devono vedersi garantite le loro libertà: così l’arcivescovo Agostino Marchetto, segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale per i migranti e gli itineranti, è intervenuto ieri a Bruxelles al Forum globale su Migrazione e sviluppo, al quale ha partecipato anche il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon. “Clandestinità non significa criminalità”, ha aggiunto l’arcivescovo Marchetto, ribadendo l’appello pontificio per la ratifica della Convenzione Internazionale sui diritti dei migranti. Sui risultati di questo importante appuntamento europeo, il rappresentante della Santa Sede è stato raggiunto telefonicamente a Bruxelles da Max Cappabianca del programma tedesco della nostra emittente:


    R. - Credo che, come risultato, già si può dire che si sta affermando una visione che fino a due tre anni fa sembrava impossibile: il legame che c’è tra migrazioni e sviluppo. La seconda cosa è la grande presenza a questo incontro - sono più di 115 Paesi - e anche questo vuol dire un interesse della comunità internazionale per il fenomeno migratorio, in tutte le sue sfaccettature.

     
    D. - Secondo lei sviluppo, profitto economico e dignità umana nella migrazione sono conciliabili?

     
    R. - Questa è la grande questione e questo è anche il punto che io ho posto nel discorso pur breve che abbiamo fatto: gli esseri umani non sono primariamente e unicamente un fattore economico ma persone umane, dotate di un’innata dignità e di uguali e inalienabili diritti. Dunque, al tempo stesso, nemmeno lo sviluppo può dirsi autentico, qualora venga ottenuto a spese della gente comune. Per essere genuino lo sviluppo deve essere di ogni persona e di tutta la persona: questa è la visione della Dottrina sociale della Chiesa, la visione dell’integralità.

     
    D. - Si discute molto sull’integrazione. Lei ha detto, nel suo intervento, che "diritti e doveri del migrante vanno di pari passo e che si deve lottare per una giusta integrazione ma non assimilazione". Che cosa, secondo lei, è essenziale al riguardo?

     
    R. - Essenziale è la volontà delle due parti. La questione dell’integrazione dovrebbe essere uno dei temi di oggi delle tavole rotonde. L’importante è che ci sia, da parte della società che accoglie, il rispetto della persona, della personalità e della cultura. Ma la persona deve essere disposta ad accettare le leggi, la cultura e la religione del Paese che accoglie. Dunaue, deve esserci una cultura che diventi interculturale.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Servizio vaticano - Una pagina dedicata al cammino della Chiesa in Italia.

    Servizio estero - Per la rubrica dell'"Atlante geopolitico" un articolo di Gabriele Nicolò dal titolo "Iraq: non si intravede una via d'uscita per uscire dalla crisi".

    Servizio culturale - Un articolo di Maurizio Sannibale dal titolo "Un millennio di storia caratterizzato da un complesso mosaico di correnti culturali": al Museo Archeologico Nazionale di Adria la mostra "Balkani. Antiche civiltà tra il Danubio e l'Adriatico".

    Servizio italiano - In rilievo il tema delle pensioni.

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    Oggi in Primo Piano



    Liberi in Iraq, i quattro cristiani caldei, rapiti la settimana scorsa nei pressi di Kirkuk, grazie alla mediazione congiunta della Chiesa e degli sheik musulmani

    ◊   Georges Isaak, il figlio Stuart, Shaqat Youssif e Martin Yacoub, sequestrati il 4 luglio scorso ad un centinaio di km a sud di Kirkuk, in Iraq, sono stati liberati. I quattro cristiani caldei, riferisce l’agenzia AsiaNews, erano stati rapiti mentre fuggivano da Baghdad per raggiungere il proprio villaggio natale di Daiabun, vicino Zakho, nel Kurdistan iracheno. A Dora, il quartiere della capitale dove vivevano, avevano ricevuto minacce di morte che li hanno costretti a lasciare la città. Mentre erano in viaggio, due automobili li hanno fermati nei pressi di Emerli, la città colpita il 7 luglio da un violento attentato che ha provocato 170 morti e 250 feriti. I quattro sono stati rilasciati grazie alla mediazione della Chiesa caldea e degli sheik di Kerkuk. Prima di ripartire per il loro villaggio, i quattro questa mattina hanno incontrato l’arcivescovo di Kirkuk, mons. Louis Sako, che “con gioia” ha raccontato al microfono di Christopher Altieri che tutti gli ex ostaggi hanno ringraziato Dio e chi ha pregato per la loro salvezza:


    R. - Non si può immaginare quanta gioia abbiamo avuto questa mattina, quando sono venuti qui all’arcivescovado. Non appartengono alla mia diocesi, ma sono di quella di Zakho. Mentre scappavano da Baghdad, sono stati rapiti e noi abbiamo cercato di fare del tutto per arrivare alla loro liberazione, tanto più che come sappiamo i terroristi chiedono soldi, riscatti e a volte uccidono anche. Ma grazie all’impegno e agli gli sforzi degli sheik musulmani, qui a Kirkuk, con i quali abbiamo dei buoni rapporti di amicizia e hanno fatto di tutto per la loro salvezza, siamo riusciti a liberali. Dicono che per loro è una nuova vita e che non si aspettavano questa liberazione.

     
    D. - La liberazione avvenuta non solo con la mediazione della Chiesa, ma anche degli sheik musulmani di Kirkuk è un segno che in Iraq cristiani e musulmani possono convivere e collaborare?

     
    R. - Questo gruppo che fa così tanti danni rappresenta soltanto una minoranza. Bisogna perciò di stringere dei buoni rapporti di collaborazione e di amicizia con tutti i gruppi, scegliendo un discorso sì nazionalista, ma che sia caratterizzato da un dialogo e dall’armonia con loro. Solo così si potrà ottenere ciò che vogliamo. Per quanto riguarda la nostra presenza, come cristiani, io dico sempre: siamo lì per costruire ponti, per coltivare ed alimentare la cultura del dialogo, della convivenza. Grazie a Dio queste persone sono libere, ma anche grazie - lo voglio sottolineare ancora una volta - a questi amici musulmani, che si sono così tanto adoperati per queste persone, che hanno famiglie.

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    Concluso a York il Sinodo della Chiesa d'Inghilterra. Discussa la proposta di un Patto per favorire i rapporti fra le comunità anglicane nel mondo

    ◊   Il Sinodo generale della Chiesa d’Inghilterra ha concluso ieri un incontro di cinque giorni dopo accesi dibattiti sulla struttura futura della Comunione anglicana in tutto il mondo, nonché sul ruolo del governo britannico nella gestione della Chiesa in Inghilterra. Come parte di una serie di proposte di riforme, annunciate all’inizio di questo mese, il neo premier, Gordon Brown, ha detto che egli intende ridurre l’intervento del governo nella nomina dei vertici della Chiesa d’Inghilterra, una mossa che potrebbe portare alla separazione tra Chiesa e Stato. L’altro argomento cruciale nell’incontro tra i membri del Sinodo nella città settentrionale di York è stato la proposta di un “Covenant”, una sorta di Statuto, che dovrebbe provvedere ad una maggiore struttura formale, che faciliti i rapporti tra le diverse province anglicane nel mondo. Philippa Hitchen ne ha parlato con padre Jonathan Bordman, vicario della Chiesa di All Saints qui a Roma, e membro eletto del Sinodo della Chiesa d’Inghilterra:


    R. - This was a debate about the principle of the Covenant, talking about whether …
    Questo è stato sostanzialmente un dibattito sul principio del “Covenant”, un patto volto ad incoraggiare la comprensione reciproca tra le province anglicane in un ottica di collaborazione e di interdipendenza per rafforzare la comunione anglicana: ci si è chiesti se esista una reale necessità di avere questo “Patto”, o se le nostre strutture non siano in realtà già abbastanza solide. Gli arcivescovi di Canterbury e di York e la stessa Camera dei vescovi sono stati tra i maggiori sostenitori di questo principio, affermando che ora non si può tornare indietro per rafforzare strutture esistenti basate sulla considerazione vicendevole e su legami di vicendevole affezione, come sono stati comunemente descritti i legami tra le Chiese della Comunione anglicana, mentre sono necessarie delle norme. In linea di principio, il “Covenant” è stato accettato dai due terzi circa dei partecipanti al Sinodo generale della Chiesa d’Inghilterra.

     
    D. - Si è parlato dell’impatto che il “Covenant”, e quindi di una strutturazione della Comunione anglicana, potrebbe avere sui rapporti con altre Chiese?

     
    R. - Indeed, one of the strongest arguments that was put forward for the Covenant …
    In realtà, uno degli argomenti più forti a sostegno del “Covenant” è proprio che i nostri partner nel dialogo - le Chiese-partner, le Chiese-sorelle - non sono in grado di conoscere realmente cosa significhi essere membro della Comunione anglicana, perché non c’è nessuna dichiarazione che lo spieghi. E come, allora, i nostri partner possono dialogare con noi? Devo dire che questo è stato uno degli argomenti più convincenti a favore del “Covenant”.

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    L'11 luglio 1995, il massacro di Srebrenica: ottomila musulmani furono trucidati dall'esercito serbo bosniaco durante il conflitto nei Balcani

    ◊   Undici luglio 1995. L’inizio di un massacro, quello di Srebrenica, che in pochi giorni vide la morte di oltre ottomila musulmani da parte dell’esercito serbo di Bosnia, al comando del generale Ratko Mladic. L’eccidio avvenne in seguito alla conquista della “zona protetta dell'ONU”, nell’indifferenza dei caschi blu, inviati invece per garantire la sicurezza di quell’area. Di quel massacro i maggiori responsabili restano impuniti, mentre di recente la corte Penale internazionale ha stabilito che a Srebrenica fu commesso un genocidio, senza, però, riconoscere la colpevolezza della Serbia, guidata in quegli anni da Slobodan Milosevic. Ed oggi una grande manifestazione al cimitero di Potocari alla periferia di Srebrenica ha voluto commemorare quelle vittime innocenti, alla presenza di oltre 30 mila persone: manifestazione blindata a causa delle forti tensioni che ancora caratterizzano i rapporti tra le comunità. Ma quali sono i sentimenti della popolazione locale a distanza di 12 anni? Salvatore Sabatino lo ha chiesto ad Andrea Rossini, dell’Osservatorio sui Balcani:


    R. - C’è una forte sensazione di rabbia nei confronti di una comunità internazionale, che non ha saputo o che forse non ha voluto impedire quella strage nel luglio del 1995. Srebrenica era una delle cosiddette aree protette all’interno della Bosnia-Erzegovina in guerra, aree nelle quali il consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite aveva inviato i caschi blu, con il doppio mandato di disarmare la popolazione che viveva all’interno dell’enclave assediata e con il secondo mandato di impedire la conquista dell’enclave da parte dell’esercito assediante del generale Ratko Mladic. La storia naturalmente non è andata così. Come sappiamo, ci fu la caduta dell’enclave e l’occupazione da parte dell’esercito di Mladic e nei giorni successivi avvenne il più grave massacro mai accaduto in Europa dalla II Guerra Mondiale. Tra le famiglie dei sopravvissuti, tra i familiari delle vittime, c’è soprattutto questo atteggiamento e in particolare è enfatizzato dalla circostanza che coloro che sono ritenuti i maggiori responsabili di quella strage, il generale Ratko Mladic e Radovan Karadzic, rispettivamente il capo militare e politico dei serbo-bosniaci durante la guerra, sono ancora in libertà.

     
    D. - Il ricordo di Srebrenica mantenuto vivo può di fatto diventare un luogo da cui far partire il nuovo concetto di convivenza per l’intera area balcanica?

     
    R. - E’ estremamente difficile parlare di concetti come la riconciliazione, la convivenza, a partire da luoghi come Srebrenica, dove sono avvenuti dei massacri così gravi, senza che sia avvenuto ancora un percorso di giustizia soddisfacente per quello che riguarda le vittime. Io credo che fino a quando almeno l’Unione Europea non assumerà una forte responsabilità politica rispetto a tutta l’area balcanica sarà difficile parlare di un vero superamento di quelle che sono le questioni aperte nei conflitti degli anni Novanta. 

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    Esce nei cinema di tutto il mondo "Harry Potter e l'Ordine della Fenice", quinta puntata della saga del celeberrimo maghetto

    ◊   Da oggi, sugli schermi di tutto il mondo, esordisce il nuovo "Harry Potter e l’Ordine della Fenice": meno spettacolarità ed effetti per seguire la dimensione umana del giovane mago, sottoposta a dubbi, paure, incertezze e scomode verità. Il servizio di Luca Pellegrini:


    Solo, abbandonato, assediato dalla paura, forse perduto. Mentre il signore della morte - “tu sai chi”, Lord Voldemort, incombe. E’ il quinto capitolo della saga di Harry Potter, è il quinto film della serie dedicata al piccolo mago ed ai suoi amici, che sembrano tutti più vulnerabili ed in balia di eventi oscuri e, naturalmente, soprannaturali. David Yates, il regista che entra per la prima volta nel mondo di Harry, costruisce un film dosato e avventuroso molto attento alla dimensione introspettiva ed esistenziale dei giovani studenti di Hogwarts, tormentati da bugie, sospetti e rivalità. Anche questa volta il nuovo stile e nuovi attori portano non poche novità nella trasposizione cinematografica. Ma come viene assicurata la continuità artistica e la resa qualitativa della serie? Lo chiediamo a Nicola Maccanico, responsabile marketing della Warner Brothers che distribuisce nel mondo la fortunata serie.

     
    R. - Tutti i registi hanno presentato dei film diversi, dei momenti diversi della vita di Harry Potter e lo hanno fatto con grande capacità. Mike Newell e David Yats - che firma questo film e firmerà anche il sesto - secondo me sono state le sorprese più importanti perché avevano anche un background non così acclarato, spesso semplicemente televisivo, ma sono state delle scelte intelligenti che hanno pagato. Il quarto film era straordinario, il quinto sarà decisamente sorprendente e decisamente forte e per questo David Yates è stato confermato anche per il sesto.

     
    D. - Si profila all’orizzonte lo scontro epico e non più rinviabile tra le forze del bene e quelle del male. Come lo si percepisce?

     
    R. - Io credo che nel cinema, in generale, il percorso identificativo sia uno dei percorsi che determinano maggiormente il successo dei prodotti cinematografici a tutte le età. E in Harry Potter, in questo senso, secondo me le chiavi di un successo planetario di questo tipo sono varie ma se ne dovessi scegliere una direi questo: che in un mondo fantastico noi ritroviamo tante piccole parti della nostra realtà quotidiana e decisamente il confronto tra una cosa buona e una cosa cattiva è qualcosa che viviamo ogni giorno della nostra vita.

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    Chiesa e Società



    Non ci sono legami fra le ricerche di padre Giancarlo Bossi e gli scontri di ieri a Basilan, nei quali hanno perso la vita 14 soldati della Marina governativa

    ◊   Padre Gian Battista Zanchi, superiore generale del Pontificio Istituto Missioni Estere (Pime), esclude qualsiasi collegamento tra gli scontri segnalati nell’area di Basilan e le operazioni di ricerca di padre Giancarlo Bossi. Il religioso, scrive l’agenzia MISNA, ha precisato che, in base ai contatti dei confratelli nelle Filippine con le autorità locali, le notizie riferite da fonti militari di Manila e riportate già da ieri dalla stampa filippina su combattimenti che hanno coinvolto la Marina governativa con un bilancio ufficiale di 14 soldati uccisi, non sono legate al sacerdote rapito. A confermare le dichiarazioni di padre Zanchi anche fonti della Farnesina. Il Ministero degli esteri italiano precisa in una nota che “secondo le autorità di Manila, gli scontri di ieri nel sud delle Filippine sono attribuibili ad un normale pattugliamento, e pertanto in una zona non legata alle ricerche di padre Bossi”. Intanto, ieri, giornata di preghiera e digiuno che il Pime ha voluto dedicare al sacerdote sequestrato, nella Celebrazione Eucarestia per la liberazione del missionario presieduta a Roma padre Zanchi ha detto che “pregare vuol dire essere in comunione con il Pastore, muoverci con lui e come lui, per radunare chi è solo e disperso, per guarire chi è ferito e malato. Dal pastore vengono l’esempio e la forza – ha aggiunto il religioso – la preghiera ci mantiene svegli e volenterosi, e questo serve a trasformare la compassione in carità e solidarietà”. Citando poi San Paolo, padre Zanchi ha ricordato che le prove del credente sono le stesse che un missionario è chiamato ad affrontare: tribolazione, angoscia, persecuzione, fame, nudità, pericolo, spada. Padre Giancarlo sta continuando la sua missione, in modo diverso, non programmato da lui, prigioniero in un piccolo luogo geografico, rivolto a poche persone, i suoi sequestratori, ai quali ha un solo messaggio da comunicare: che li perdona, che non farà mai del male né a loro né alle loro famiglie, che li ama e che continuerà ad amarli”. Nella chiesa di Sant’Antonio Claret, a Zamboanga, la Messa ha radunato ancora la comunità locale, che non ha mai interrotto la veglia di preghiera quotidiana lanciata sin dal primo giorno del rapimento. I fedeli delle Filippine hanno chiesto al Signore “di mantenere il sacerdote al sicuro, facendogli sempre sentire la consolazione” della Sua amorosa presenza e soprattutto “di farlo tornare al più presto nella sua comunità, che sente la mancanza del proprio pastore, testimone con il suo umile servizio dell'amore divino”. “Il grande assente è presente in mezzo a noi”, ha affermato il cardinale Dionigi Tettamanzi, arcivescovo di Milano, ieri sera alla veglia di preghiera nella chiesa di Abbiategrasso, città dove padre Bossi è nato 57 anni fa. Durante la celebrazione, alla quale hanno partecipato anche rappresentanti del Pime, di uffici missionari diocesani, sono stati letti pensieri di missionari rapiti. (T.C.)

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    Dalla Mezzaluna Rossa allarme per i profughi interni iracheni: ogni mese sono 100 mila in più

    ◊   La Mezzaluna rossa irachena (Ircs) lancia l’allarme per l’aumento costante dei profughi interni iracheni, che “sta aggravando una situazione già fortemente instabile”. Secondo stime dell’agenzia umanitaria musulmana, da febbraio 2006 – primo attacco alla moschea sciita di Samarra - circa 1.037.615 individui hanno lasciato la loro casa. La Mezzaluna rossa - riferisce l'Agenzia AsiaNews - ritiene che le cosiddette "internal displaced persons" (Idp) siano aumentate del 67% dal gennaio scorso, più o meno si parla di 80mila-100mila persone al mese. Le zone con maggior numero di sfollati sono Baghdad (oltre 41mila famiglie), la provincia di Mosul (15mila famiglie) e quella di Salaheddin, a nord della capitale (12.781 famiglie). Secondo ultimi dati dell’Alto Commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr), sono 1,9 milioni gli sfollati all’interno dello stesso Iraq. La situazione – conferma anche l’Ircs – è drammatica dal punto di vista lavorativo, con una disoccupazione crescente; da quello sanitario, difficile l’accesso anche ai trattamenti base, le donne incinte non possono usufruire della dovuta assistenza e l’aborto è diventato la norma; da quello scolastico, con la mancanza di strutture e materiale didattico nelle zone più affollate del Paese o l’impossibilità di frequentare le lezioni a causa dell’insicurezza. I profughi interni sono costretti a vivere in tende, sui bordi della strada e ora con il caldo estivo la situazione è ancora più difficile, anche per la difficoltà di procurarsi acqua potabile. (R.P.)

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    In Rwanda, dopo la Camera anche il Senato approva l'abolizione della pena di morte

    ◊   Dopo il via libera della ‘Camera Bassa’, anche il Senato di Kigali ha approvato l’abolizione della pena di morte per tutti i crimini, compresi i casi di genocidio: lo ha annunciato l’emittente governativa ‘Radio Rwanda’. “La legge organica che cancella la pena capitale - riferisce l'Agenzia Misna - è stata votata all’unanimità dai senatori presenti” ha precisato l’emittente: manca ormai solo la promulgazione che secondo le previsioni del ministro della Giustizia, Tharcisse Karugarama, dovrebbe arrivare entro la fine del mese. Secondo il testo, tutti i condannati a morte attualmente detenuti – in base a cifre ufficiali circa 600 – vedranno la loro pena commutata in ergastolo. Presentato dal partito di governo, il ‘Fronte patriotico ruandese’ (Fr) del presidente Paul Kagame, il progetto era stato adottato dal consiglio dei ministri a gennaio e approvato dalla Camera a giugno. La cancellazione della pena capitale è una delle condizioni poste dal Tribunale penale internazionale per il Rwanda (Tpir) di Arusha (Tanzania) per trasferire di fronte alla giustizia nazionale persone accusate di coinvolgimento nel genocidio del 1994 che, secondo stime dell’ONU, provocò 800.000 vittime; il deferimento di persone imputate di fronte al Tpir alla magistratura nazionale è diventato di fatto una necessità a causa del calendario imposto alla corte, stabilita dal Consiglio di sicurezza dell’ONU nel novembre 1994, tenuta a chiudere i processi di prima istanza entro il 2008. Per il trasferimento di alcuni processi in Rwanda il Tpir aveva chiesto a Kigali garanzie sulla non applicazione della pena di morte. Il presidente Kagame ha intanto annunciato l’apertura di una nuova inchiesta sull’eventuale implicazione di alti responsabili francesi nel genocidio; Kigali aveva rotto le relazioni diplomatiche con Parigi nel novembre scorso dopo che il giudice francese Jean-Louis Bruguiére aveva emesso 9 mandati d’arresto contro stretti collaboratori di Kagame per la loro “presunta partecipazione” all’attentato del 6 aprile 1994 contro l’aereo dell’allora capo dello stato ruandese Juvenal Habyarimana; l’episodio è considerato la scintilla che fece esplodere, subito dopo, il genocidio. Nella sua ordinanza, Bruguiére aveva anche ipotizzato una possibile citazione dello stesso Kagame di fronte al Tpir. (R.P.)

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    L'Africa un continente dove viene prodotta, consumata e smerciata sempre più droga: lo ha detto il direttore esecutivo dell'Interpol

    ◊   “L'Africa ormai è diventata una zona dove la droga viene prodotta, consumata e trafficata": lo ha detto Jean-Michel Louboutin, direttore esecutivo dell'Interpol, aprendo ad Arusha, in Tanzania, l'8ª riunione africana dei capi dei servizi nazionali specializzati nella lotta contro la droga. Il continente “è diventato il crocevia privilegiato per il traffico di stupefacenti" ha aggiunto Loboutin, citando i dati del rapporto del 2006 pubblicato dall'Ufficio Internazionale per il controllo dei narcotici (Incb). Grossi carichi di cocaina - riferisce la Misna - partono dal Sud America per raggiungere via mare le coste dell'Africa occidentale: Nigeria, Ghana, Togo, Capoverde sono utilizzati come luogo di transito e stoccaggio della cocaina destinata al mercato europeo. Analogo il percorso dell’eroina proveniente dal sud-est asiatico, che transita per l'Africa orientale prima di essere spedita in Europa e in misura minore nel Nord America. Sempre secondo il rapporto Incb, molti paesi del continente africano non dispongono di una legislazione aggiornata e conforme ai trattati internazionale in materia di droga, né meccanismi di controllo e risorse umane qualificate per gestire il commercio illegale di droga. Le loro politiche e le attività di controllo hanno, pertanto, effetti limitati. Saidi Ally Mwema, ispettore generale della polizia tanzaniana lo conferma: "I confini estesi e permeabili della maggior parte degli stati africani, associati alle scarse risorse, rendono difficile un'incisiva azione di controllo lungo i punti di ingresso e di uscita del traffico di droga". Ma l’Africa non è solo territorio di scambio: il transito delle droghe nel paese corrisponde sempre più ad un aumento dell’abuso di stupefacenti. Un problema che si somma alla già precaria situazione socio-sanitaria di molti paesi del continente, costretti a destinare risicate risorse alle spese per la salute pubblica anche a causa di errate scelte politiche locali e dei tagli imposti in passato dal Fondo monetario internazionale. (R.P.)

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    Oltre 250 delegati da 18 Paesi, in Portogallo, per il XXIV Colloquio europeo delle parrocchie sul tema: "Abitare da cristiani il nostro tempo"

    ◊   E' possibile "Abitare cristianamente il nostro tempo?". La risposta positiva arriva dalle parrocchie. E' significativo il titolo scelto dal XXIV Colloquio europeo delle parrocchie (Cep), che per la terza volta in quasi mezzo secolo di storia si celebra in Portogallo: dopo Lisbona e Fatima, in quest'occasione è Porto ad ospitare l'incontro europeo. Vi partecipano oltre 250 delegati di 18 Paesi e la novità è la notevole presenza dell'Europa dell'est. "L'importanza di questi appuntamenti, da oltre 40 anni, è lo scambio di esperienze pastorali e non solo di idee", ricorda con Claudio Como, presidente del Cep e rappresentante italiano a Porto insieme a don Luca Bressan docente presso la Facoltà teologica dell'Italia settentrionale. A guidare le riflessioni di queste giornate sono le pagine delle Sacre Scritture ed i documenti magisteriali, in particolare la Costituzione conciliare "Gaudium et Spes" ed il decreto "Ad Gentes". Al Colloquio - a cui partecipano quest'anno teologi e pastoralisti come il catalano mons. Ignasi Mora i Terrats, il belga mons. Alphonse Borras o il portoghese Julio Franclim do Couto - si discute di secolarizzazione e di trasformazione della società europea. "Attraverso il confronto fra parrocchie, ci si chiede come in questo mondo sia possibile costruire dei percorsi positivi per la vita cristiana e per annunciare il Vangelo", spiega don Luca Bressan. Tra i tanti problemi che vengono affrontati, anche la crisi delle vocazioni. Le conclusioni del Colloquio sono attese per domani. (M.C.)

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    In Kenya, dopo Radio Waumini, i vescovi hanno in progetto l'apertura di tre nuove emittenti cattoliche

    ◊   A quattro anni dall’apertura di “Radio Waumini” (Radio Credenti in kiswahili), la prima radio cattolica in Kenya, i vescovi del Paese hanno deciso di lanciare nel prossimo triennio altre tre nuove emittenti in FM nelle arcidiocesi metropolitane di Kisumu, Mombasa e Nyeri. Lo ha annunciato il direttore dell’emittente padre Martin Wanyoike in occasione dei festeggiamenti dell’anniversario della sua prima trasmissione, andata in onda il 6 di luglio del 2003. La Conferenza episcopale ha già avviato le pratiche per ottenere dal governo le licenze di trasmissione. La messa per l’anniversario di “Radio Waumini” è stata celebrata nella capitale Nairobi, dove ha sede, da mons. Alfred Rotich, presidente della Commissione episcopale per le comunicazioni sociali, che all’omelia ha elogiato il significativo contributo dato dall’emittente all’evangelizzazione. Presente alla celebrazione anche il suo primo direttore, il comboniano padre Sesana Kizito. L’emittente trasmette oggi 24 ore su 24 in inglese e in kiswahili. Nel suo palinsesto figurano anche programmi della Radio Vaticana. La sua realizzazione è stata resa possibile anche grazie al della Conferenza Episcopale Italiana che contribuirà anche al nuovo progetto.

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    Taiwan: mons. Ti-kang dona le offerte ricevute per il suo 80.mo compleanno al nuovo centro per disabili mentali dell’arcidiocesi di Taipei

    ◊   Il nuovo edificio dello “Yu Jen Vocational Training Center for Mentally Retarded Youth” che a Taipei, in Taiwan, ospiterà i disabili mentali dai 16 ai 45 anni, sarà costruito anche con le offerte che mons. Joseph Ti-kang, arcivescovo emerito di Taipei, ha ricevuto in occasione del suo 80.mo compleanno. Il presule, amministratore delegato e responsabile del Centro, ha voluto destinare le donazioni ricevute ai disabili che segue da anni. Secondo quanto riferisce il “Christian Life Weekly”, il settimanale dell’arcidiocesi di Taipei, il centro è un ente privato del servizio sociale del Catholic Kuang Jen Social Welfare. Lo Yu Jen Vocational Training Center for Mentally Retarded Youth, scrive l’agenzia Fides, è stato fondato nel 1977 da un missionario di Scheut (CICM) di origine belga. In questi 30 anni ha seguito ben 4.000 disabili gravemente malati dal punto di vista mentale. Ora la struttura è fatiscente e c’è bisogno di costruire un nuovo Centro. Nel 1979 è diventato il primo centro per disabili registrato pubblicamente. Nel 1989 la sua amministrazione è passata alla Catholic Kuang Jen Social Welfare dell’arcidiocesi di Taipei. Offre il suo prezioso servizio ai disabili mentali di età compresa tra 16 e 45 anni, fornendo un sostegno per l’occupazione, la formazione per la vita, un aiuto psicologico ed anche occasioni di divertimento e di svago. Il finanziamento del centro avviene grazie al contributo della Chiesa cattolica, delle autorità civili e della generosità di tanta gente comune. (T.C.)

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    La medaglia vaticana del Buon Samaritano a mons. Thomas Williams, vescovo ausiliare di Liverpool

    ◊   Per il lavoro svolto nell’assistenza sanitaria come guida del gruppo Catholics in Healthcare, il cardinale Javier Lozano Barragán, presidente del Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute, ha conferito la medaglia del Buon Samaritano a mons. Thomas Williams, vescovo ausiliare di Liverpool. Il Catholics in Healthcare, scrive l'agenzia Zenit, ha lanciato recentemente il sito www.catholicsinhealthcare.org.uk ed ha pubblicato due guide sull’Assistenza al paziente cattolico per i professionisti del settore sanitario. La medaglia del Buon Samaritano è stata istituita nel 2000 per riconoscere e premiare quanti lavorano nel campo dell’assistenza sanitaria. Su una faccia della medaglia figura la scritta “Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute”, sull’altra il simbolo del Buon Samaritano: Cristo che porta un malato sulle spalle, con l’iscrizione “Curate infirmos”, “Curate i malati”. La medaglia è conferita dal Pontificio Consiglio a coloro che si distinguono per la loro dedizione e il loro amore per i malati. Il cardinale Lozano Barragán, nei giorni scorsi a Londra, ha parlato a un pubblico di professionisti dell’assistenza sanitaria e sociale al Guy's and St Thomas' Hospital. Il titolo del suo intervento: “Cos’è l’assistenza sanitaria secondo i Vangeli, l’insegnamento di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI e come viene sviluppata nel Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute”. Sono intervenuti anche mons. Williams, il gesuita James Hanvey, medico, e Jim McManus, esperto del North East London Cardiac Network, che serve il milione e mezzo di residenti della zona orientale di Londra. Nel corso di quest’anno ci saranno numerosi eventi in Inghilterra e Galles. (T.C.)

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    Nel mondo dei fieranti e dei circensi, l’opportunità di scoprire come l’altro sia una "benedizione"

    ◊   L’apertura al prossimo “fa riscoprire la semplicità della propria umanità”, “aiuta a leggere il Vangelo e la vita”, manifesta “le radici della nostra fede”, “fa scoprire come Cristo sia già presente”: è quanto viene evidenziato nel documento redatto al termine del Convegno nazionale “Accogliere” promosso dall’Ufficio della pastorale per fieranti, circensi, artisti di strada e spettacolo popolare della Fondazione Migrantes. Tenutosi nei giorni scorsi a Reggio Calabria, riferisce l’agenzia SIR, il convegno, si legge nel testo, ha mostrato “uno spirito di famiglia, necessario per presentarsi agli altri: gli operatori non sono dei singoli che comunicano una personale esperienza, ma sono inviati da una Chiesa locale nella comunione con coloro che, nel nostro Paese, condividono la medesima esperienza pastorale”. “Nell’incontro e nell’accoglienza reciproca, purché autenticamente umana, e nel mondo dei fieranti e circensi, si ha modo di scoprire come l’altro sia una ‘benedizione’ per noi”, precisa il documento. Per don Luciano Cantini, direttore dell’Ufficio della pastorale per fieranti, circensi, artisti di strada e spettacolo popolare della Fondazione Migrantes, l’appuntamento è stato come un laboratorio per “condividere, confrontare idee ed esperienze” sul tema dell’accoglienza, e ha fornito spunti utili “per il lavoro personale” e per “convegni regionali o zonali”. (T.C.)

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    Ieri sera ad Ostia Antica il cardinale Stanislao Dziwisz ha ricevuto il "Premio Roma" per il libro "Una vita con Karol"

    ◊   Ieri sera, nella splendida cornice del Teatro Romano di Ostia Antica, il Cardinale Stanisław Dziwisz, attuale Arcivescovo di Cracovia e per tanti anni segretario di Giovanni Paolo II, ha ricevuto il prestigioso “Premio Roma” per il suo libro "Una vita con Karol". Conversazione con Gian Franco Svidercoschi. Per la proclamazione e premiazione dei vincitori, sono stati chiamati sul palco grandi nomi della letteratura italiana e stranieria, di fronte ad un pubblico di oltre 4.000 spettatori ed alla presenza di personalità del mondo della cultura, dell’editoria, del giornalismo, della politica e dello spettacolo. Il volume "Una vita con Karol", frutto di una conversazione con il giornalista Gian Franco Svidercoschi, già Vice Direttore de L’Osservatore Romano, è la straordinaria testimonianza dell'uomo che per quarant'anni ha accompagnato Giovanni Paolo II come suo segretario particolare. L'opera ripercorre le tappe più significative della vita di Karol Wojtyla: dal servizio pastorale come giovane Vescovo, all'elezione a Pontefice nel 1978, dal sostegno a Solidarnosc all'attentato di cui fu vittima nel 1981, dalla storica Giornata di preghiera per la pace ad Assisi al Giubileo del Duemila. Nella motivazione del Premio, assegnato per la Saggistica Straniera, si legge che il libro del Cardinale Dziwisz è “un saggio storico, capace, come pochi altri, di riportarci alla vittoria di improbabili speranze sulla cruda realtà del contrasto tra libertà e dittatura e, sul piano culturale tra Umanesimo cristiano e Materialismo storico”. “Non era facile scrivere questo libro, per diversi motivi, - ha detto il cardinale Dziwisz - ma sono stato spinto fortemente dalla gente per non far dimenticare una persona che era ed è amata e che non vuol essere dimenticata”. Al porporato, così come agli altri vincitori, è andata anche una pregevole scultura in porcellana che riproduce la statua di San Pietro conservata nella Basilica Vaticana, insieme ad un assegno di 5.000 Euro. Il Cardinale Dziwisz ha annunciato che destinerà questi soldi per il Centro Giovanni Paolo II “Non abbiate paura” da lui istituito a Cracovia, la cui prima pietra è stata benedetta dal Papa Benedetto XVI il 27 maggio 2006 e che servirà non solo a mantenere viva la memoria del Pontefice polacco ma anche come punto di riferimento per lo studio, il confronto di idee e diverse iniziative legate al cinema e al teatro. (R.P)

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    24 Ore nel Mondo



    Ultime fasi dell’operazione dell’esercito pakistano alla Moschea Rossa di Islamabad - La Corte suprema libica ha confermato la condanna a morte per cinque infermiere bulgare ed un medico palestinese, che infettarono con il virus dell’AIDS 438 bambini libici

    ◊   È giunto alla fase finale l'assalto lanciato ieri dall’esercito pakistano contro la Moschea rossa di Islamabad, dove da più di una settimana sono asserragliati estremisti islamici sospettati di obbedire ad Al Qaeda, con donne e bambini in ostaggio. Intanto, sono state rafforzate le misure di sicurezza in tutto il Paese, per il timore di rappresaglie di gruppi d’integralisti islamici. Il nostro servizio:


    A 24 ore dall’inizio dell’assalto, l’esercito pakistano garantisce che le operazioni all’interno della Moschea Rossa di Islamabad sono in fase conclusiva. Il blitz contro il vasto edificio ha provocato finora la morte di più di 60 militanti islamici, 150 per alcuni organi di stampa pakistani, tra le vittime il leader degli studenti islamici, Abdul Rashid Ghazi. Mentre il bilancio tra i militari è di otto morti e 27 feriti. Tuttavia, il portavoce dell'esercito, ha detto che "solo quando si potranno passare al setaccio tutti gli edifici del complesso si avrà un bilancio certo sul numero delle vittime". Attualmente, gli islamici sospettati di obbedire ad Al Qaeda occupano ancora un quarto del complesso della Moschea Rossa. Le Forze armate combattono quindi le ultime sacche di resistenza. Secondo fonti ufficiali dell’esercito, si tratterebbe di una "manciata" di miliziani asserragliati nei sotterranei della moschea, che i militari ancora non attaccano, per evitare di mettere a rischio la vita delle donne e dei bambini che starebbero tenendo in ostaggio. Intanto, con la battaglia ancora in corso, si moltiplicano in tutto il Paese manifestazioni a sostegno degli insorti. C’è poi il timore di rappresaglie e le misure di sicurezza sono state rafforzate in tutto il Pakistan, in particolare nelle zone tribali al confine con l’Afghanistan, dove sono scoppiati disordini e migliaia di persone armate sono scese in piazza.

    - La Corte suprema libica ha confermato la condanna a morte per cinque infermiere bulgare ed un medico palestinese, accusati di aver deliberatamente favorito, a Bendasi, il contagio del virus dell’AIDS su 438 bambini libici, 56 dei quali sono già morti. Il servizio di Amina Belkassem:


    Sembra non essere servito a nulla nemmeno l’accordo annunciato ieri in extremis dalla fondazione Gheddafi per il versamento di un risarcimento alle famiglie delle vittime. La Corte suprema libica ha infatti confermato questa mattina la condanna a morte dei sei detenuti dal 1999 nelle carceri libiche e già condannati alla pena capitale in prima istanza nel 2004 e nel dicembre del 2006. L’accordo soddisfa tutte le parti e pone fine alla crisi, ha annunciato ieri la Fondazione diretta dal delfino del colonnello Gheddafi, Saif al-Islam. Per salvare le vite dei nostri bambini dobbiamo salvare la vita delle infermiere bulgare, ha detto anche il portavoce delle famiglie dei bambini contaminati. Secondo la legge islamica, il pagamento del cosiddetto prezzo del sangue permette ai parenti delle vittime di concedere il perdono necessario alla grazia ed ora la decisione finale, per quello che si è trasformato in un vero e proprio caso diplomatico internazionale, è nelle mani del Consiglio supremo della magistratura, un organo politico presieduto dal ministro della giustizia che, in seguito all’accordo di ieri, potrebbe decidere di commutare la sentenza in una pena di detenzione che i sei imputati potrebbero scontare in Bulgaria.

    - In Iran, è arrivata questa mattina a Theran una delegazione dell’Agenzia internazionale dell’energia atomica (AIEA), guidata dal vice direttore Olli Heinonen. Previsti colloqui con il capo negoziatore iraniano, Ali Lariani, per chiarire le eventuali ambiguità sul programma nucleare del Paese. Intanto, il presidente iraniano, Ahmadinejad, ha ribadito che il programma di arricchimento dell'uranio non sarà rallentato, smentendo quanto dichiarato ieri da Mohammed ElBaradei, direttore dell'AIEA.

    - Ancora vittime civili in Afghanistan. Il governatore della provincia di Kunar ha denunciato il ritrovamento di 27 cadaveri. Si tratta di civili che sarebbero stati uccisi dai raid aerei delle forze NATO condotti sul distretto di Watapour, giovedì e venerdì scorsi. La NATO non esclude che possano esserci state vittime nei raid ma, al momento, non è in grado di poter confermare quanto emerso dalle indagini condotte dalle autorità locali afghane. Il governatore della provincia avrebbe riferito alle forze della NATO che, molto probabilmente, la maggior parte dei civili è stata usata dai talebani come scudo umano. Negli ultimi 18 mesi, la recrudescenza delle violenze ha provocato nel Paese la morte di oltre seimila persone.

    - Il governo di Ismail Haniyeh è disposto a cooperare con Israele per la gestione dei valichi di transito fra Gaza e il territorio ebraico. Lo ha dichiarato, in un’intervista all’ANSA, Khaled al-Kahlout, viceministro per le Telecomunicazioni e consigliere economico del leader di Hamas, Haniyeh. “Questo governo è pronto ad applicare tutti gli impegni e gli accordi sui valichi sottoscritti da israeliani e palestinesi nel novembre 2005”, ha poi sottolineato al-Kahlout, ribadendo che “Haniyeh continua a considerarsi anche oggi il primo ministro legittimo del governo di unità nazionale palestinese”. ''La parte israeliana - ha infine affermato il consigliere di Haniyeh - deve capire che solo il governo di unità nazionale di Haniyeh è in grado di adottare decisioni a Gaza. Abu Mazen e il governo di Salam Fayyad non hanno alcun potere di intervento''. Queste dichiarazioni arrivano proprio nel giorno in cui Israele ha permesso il rifornimento di viveri nel territorio della striscia di Gaza, consentendo l'ingresso di camion che trasportano derrate alimentari per la prima volta da quando Hamas ne ha preso il controllo. Camion carichi di 300 tonnellate di frutta e verdura entreranno quindi nei Territori nel corso della giornata, attraverso il valico di frontiera di Sufa.

    - In Algeria, sono almeno otto i morti di un attentato avvenuto questa mattina davanti ad una caserma delle forze armate di Lakhdaria, a sud est di Algeri. Alcuni testimoni dichiarano di aver visto un camion bomba lanciarsi ad alta velocità, contro la caserma. Gravemente danneggiati dall'esplosione anche gli edifici circostanti.

    - I quattro mancati kamikaze musulmani, che il 21 luglio 2005 tentarono di compiere un attentato a Londra, sono stati condannati all’ergastolo. Il tribunale londinese li ha riconosciuti colpevoli di “cospirazione allo scopo di uccidere” due giorni fa e oggi ha emesso la sentenza. I giudici hanno precisato che i 4 terroristi dovranno stare in carcere per almeno 40 anni. Per altri due imputati la giuria popolare non è riuscita a raggiungere alcun verdetto: dovranno essere di nuovo processati. Dal processo, si è anche evidenziato che i falliti attentati del 21 luglio 2005 a Londra non furono portati a termine poiché gli esplosivi non erano miscelati in modo opportuno. Per gli inquirenti, gli attentati, che dovevano essere eseguiti due settimane dopo le stragi che provocarono 52 vittime nella capitale britannica, intendevano essere ancora più letali. Solo un errore nella mistura negli esplosivi da parte degli attentatori evitò una nuova carneficina.

    - Con l’annuncio della costruzione di nuove centrali nucleari e dello sviluppo di un sottomarino atomico, il presidente del Brasile, Luiz Inacio Lula, rilancia il programma nucleare del Paese sudamericano. Lo ha fatto parlando in un centro militare in provincia di San Paolo, dove ha inoltre affermato che "nessuno impedirà che il Brasile svolga il ruolo storico che gli è proprio", e poi ha aggiunto che Il Paese non sarà servile e che non rinunceranno a diventare una “grande potenza energetica”. Le dichiarazioni del presidente del Brasile seguono e confermano, quelle espresse due settimane fa dal ministro dell'Energia, Nelson Hubner, che aveva annunciato che “la centrale nucleare è l'alternativa di minor costo e di condizioni ambientali più favorevoli, rispetto alle centrali termoelettriche e idroelettriche''. Posizioni che sono state criticate dalla rappresentanza di Greenpeace in Brasile, che ha dato vita ad una manifestazione di protesta, affermando che “mentre il mondo abbandona il nucleare, a Brasilia, in controtendenza, approvano nuove centrali”.

    - Ondata di maltempo in Asia per la stagione dei monsoni. In India, Pakistan, Bangladesh e Afghanistan sono morte almeno 770 persone. Le piogge hanno fatto straripare fiumi, travolto città e isolato villaggi. Alluvioni anche nella Cina meridionale, dove è aumentato sia il numero delle vittime sia l’entità dei danni: 131 morti, la maggior parte dei quali nella valle del fiume Jaling, e quattro milioni di ettari di terreno coltivato, distrutto dalle piogge. Previsti miglioramenti entro fine settimana. (Panoramica internazionale a cura di Marco Guerra e Beatrice Bossi)
     Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LI No. 192

     

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