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SOMMARIO del 10/07/2007
Secondo giorno di riposo estivo del Papa a Lorenzago di Cadore. Nella cittadina bellunese si prepara il concerto di domani in onore del Papa
◊ Secondo giorno del periodo di riposo estivo per Benedetto XVI a Lorenzago di Cadore, dove la neve comincia a ricoprire le vette che si possono ammirare dalla villetta del Santo Padre. Fra i turisti e i residenti locali cresce intanto l’attesa per possibili escursioni e passeggiate del Papa lungo i sentieri che si trovano vicino alla sua residenza. Al microfono di Amedeo Lomonaco, l’inviato di Avvenire, Salvatore Mazza, descrive l'atmosfera delle ultime ore:
R. - E’ piovuto in continuazione e durante la notte scorsa c’è stato un temporale veramente molto violento. Il tempo adesso sta migliorando e si spera, quindi, che anche il Papa riesca ad approfittare di belle giornate.
D. - E’ possibile allora oggi una sua escursione nei sentieri intorno alla villetta?
R. - Io penso di sì, perché è stato tutto radicalmente cambiato rispetto al passato, rispetto quindi ai periodi in cui qui veniva Giovanni Paolo II a passare in luglio un periodo di riposo tra le montagne. Attorno alla villetta, è stata recintata un’area piuttosto vasta dove il Papa si può muovere liberamente senza avere alcun disturbo e proprio da qui partono dei sentieri che vanno sulla montagna. La giornata oggi si sta mettendo in modo accettabile e pertanto penso che il Papa ne approfitterà per esplorare il territorio intorno alla villetta.
D. - Stasera, si inaugura uno storico storico organo a Lorenzago e domani ci sarà un concerto in onore del Papa. D’altra parte, è ben nota la passione del Santo Padre per la musica, tanto che Benedetto XVI ha trovato un pianoforte nella villetta…
R. - Sì, esatto. Gli hanno fatto trovare un pianoforte a mezza coda, messo a disposizione da un villeggiante del posto, e domani tutti quanti sperano che il Papa possa scendere a Lorenzago ed assistere al concerto.
Concerto che per domani, festa di San Benedetto, è stato organizzato proprio in onore del Papa. Il vescovo di Belluno-Feltre, mons. Giuseppe Andrich, ha invitato Benedetto XVI ad assistervi. Un'attesa condivisa dal parroco di Lorenzago, don Sergio De Martino, al microfono di Luca Collodi:
R. - La speranza che il Papa possa assistere al concerto la nutriamo perché è San Benedetto e perché il Santo Padre è appassionato di musica. Ma queste sono solo delle speranze. Non ci sarà delusione se non assisterà al concerto. Ma se verrà, sarà una grande gioia.
D. - Quale la particolarità di questo organo che torna a risuonare dopo tanti anni?
R. - E’ un organo del 1790, voluto da tutti gli abitanti di Lorenzago di quel tempo. E’ stato affidato ad un costruttore di organi di Udine, Francesco Comelli. Attualmente, in tutto il Triveneto ne rimangono soltanto due esemplari.
D. - Quali musiche saranno suonate nel concerto di domani sera in onore del Papa?
R. - Un po’ di Bach, un po’ di Scarlatti. Ci sarà poi la presenza della Schola Cantorum della parrocchia.
D. - Ci sono molte richieste che stanno arrivando in questo ore da tanta gente, gente comune, che chiede di incontrare personalmente il Papa…
R. - E' gente che vive in un clima culturale talvolta di incertezze, di confusione e diciamo anche un po’ - come il Papa stesso ha detto - l’eclissi di Dio, ma il bisogno c’è. Questo Papa parla con semplicità, ma va nel profondo. Mette il dito nella coscienza dell’uomo. Non si tratta di dire tanto: "Ho toccato la mano" del Papa. E' il suo messaggio che è un dono, la sua parola è un dono. La gente lo sta scoprendo proprio in questa sua grande ricchezza. Credo sia l’uomo giusto che Dio ha voluto.
Con il Motu proprio sul Messale Romano del 1962, Benedetto XVI dimostra di essere un padre di tutti: così, l’arcivescovo di Bari, Francesco Cacucci, sul Summorum Pontificum
◊ Il Motu proprio Summorum Pontificum risponde agli sforzi della Chiesa di permettere a tutti coloro che lo desiderino di “restare nell’unità o di ritrovarla”. E’ quanto viene sottolineato dai presuli svizzeri. Per aiutare i fedeli a comprendere il documento del Papa dal punto di vista liturgico, il presidente dell’organismo episcopale elvetico, mons. Kurt Koch, ha redatto un’introduzione disponibile sul sito Internet della Conferenza episcopale elvetica (www.sbk-ces-cvs.ch). Apprezzamento per il Motu proprio viene espresso anche dall’episcopato austriaco. In un documento firmato, tra gli altri, dall’arcivescovo di Vienna, il cardinale Christoph Schönborn, si mette l’accento sull’intenzione del Papa di “superare le divisioni della Chiesa, per attingere più profondamente alle sorgenti del Mistero di Cristo”. Un documento, dunque, che unisce e non divide, come sottolinea l’arcivescovo di Bari-Bitonto, mons. Francesco Cacucci, intervistato da Alessandro Gisotti:
R. - Credo che sia fondamentale partire dal fatto che il Papa è padre di tutti, e quindi dev’essere padre di coloro che vivono nella Chiesa, con sensibilità diverse. Fermo restando che il Magistero della Chiesa, che a noi è giunto dal Concilio Vaticano II, diventa normativo per tutti, il riferimento ad un Messale precedente a quello di Paolo VI, che non è stato mai abolito - come sottolineato nella Lettera con cui il Santo Padre accompagna il Motu proprio - questo precedente Messale resta in vigore per coloro che hanno avuto difficoltà ad accettare, soprattutto in alcuni Paesi, un’interpretazione forse con creatività selvaggia, del Vaticano II. Credo però che questo problema non sia legato alla nostra realtà italiana.
D. - Qual è la sua esperienza di pastore in una grande diocesi, come quella di Bari-Bitonto, riguardo alla Messa in latino, al rapporto dei fedeli con l’uso del latino nella liturgia?
R. - Si può dire che nella nostra diocesi non ci sono stati episodi, o almeno, io non ne conosco, di “creatività selvaggia” dopo il Vaticano II. Questo ha facilitato un atteggiamento di grande equilibrio. Il cantare il Pater noster in latino, durante la Messa, per noi è abituale, o cantare il Kyrie o anche il Gloria in latino, questo non fa difficoltà. Ecco perché da parte del nostro popolo sarebbe del tutto inconsueto chiedere di celebrare una liturgia eucaristica in latino. Nel momento in cui si presentasse l’occasione, non credo che ci sarebbero difficoltà. Il nostro popolo è abituato anche a tener presente in latino, durante le celebrazioni.
D. - In realtà, questo Motu proprio che regolamenta l’uso del Messale del 1962 - soprattutto pensando alla Lettera che il Papa ha inviato ai presuli - mette l’accento anche sulla sacralità del Messale di Paolo VI che, ricordiamo, è la forma ordinaria, come il Santo Padre sottolinea...
R. - Vorrei aggiungere che, durante l’ultimo Sinodo dei vescovi sull’Eucaristia, Sinodo al quale ho partecipato, molte voci si sono levate da parte dei vescovi di tutto il mondo, per recuperare il senso del mistero nella celebrazione dell’Eucaristia e in genere nella liturgia. Quindi, questa esigenza è un’esigenza diffusa in tutto il mondo. Penso poi soprattutto a quei vescovi che provenivano dai Paesi dell’est e che hanno sofferto molto, a volte anche la persecuzione, per essere fedeli e per rispettare il mistero eucaristico. Ecco perché forse le reazioni che si sono avute attraverso Léfébvre in alcuni Paesi sono state anche una reazione ad una “creatività selvaggia” e forse ad una mancanza di rispetto, anche, della dimensione del mistero che sempre accompagna la liturgia eucaristica che è la “Divina Liturgia”, come dicono gli orientali.
Pubblicato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede un documento riguardante alcuni quesiti sulla Chiesa cattolica. Intervista con l'arcivescovo, Angelo Amato
◊ Una serie di risposte a domande per “evitare interpretazioni erronee o riduttive” di quanto insegnato dal Concilio Vaticano II sulla natura della Chiesa cattolica. E’ questo lo scopo del documento reso noto questa mattina dalla Congregazione per la Dottrina della fede intitolato, per l’appunto, “Risposte a quesiti riguardanti alcuni aspetti circa la Dottrina sulla Chiesa”. Un documento dagli importanti risvolti ecumenici, che chiarisce in particolare l’aspetto secondo il quale la Chiesa di Cristo “sussiste” in quella odierna, guidata dal Papa e dai vescovi. Per una illustrazione del documento, Alessandro De Carolis ha intervistato il segretario della Congregazione per la Dottrina della fede, l’arcivescovo Angelo Amato:
R. - Di fronte a interpretazioni erronee o riduttive della dottrina conciliare, la Congregazione per la Dottrina della Fede intende richiamare il significato autentico dell’espressione “subsistit in” che si trova nella costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium.
D. - Perché si usa il genere letterario dei Responsa e cioè di risposte a dubbi?
R. - È un genere che non implica argomentazioni diffuse e molto articolate, proprie ad esempio delle Istruzioni o delle Note dottrinali. Nel nostro caso, invece, si tratta di alcune brevi risposte a dubbi relativi alla corretta interpretazione del Concilio. In concreto ci sono cinque domande e cinque sintetiche risposte, che si limitano a richiamare il Magistero per offrire una parola certa e sicura in materia.
D. - Ci può illustrare in breve il contenuto dei Responsa?
R. - Il primo quesito chiede se il Concilio Ecumenico Vaticanno II abbia cambiato la precedente dottrina sulla Chiesa. La Congregazione risponde affermando che il Concilio Ecumenico Vaticano II né ha voluto cambiare né di fatto ha cambiato tale dottrina, ma ha voluto solo svilupparla, approfondirla ed esporla più ampiamente, come del resto affermò con chiarezza Giovanni XXIII all’inizio del Concilio: "Il Concilio… vuole trasmettere pura e integra la dottrina cattolica, senza attenuazioni o travisamenti".
D. - Sembra che il secondo quesito sia quello centrale. Si domanda infatti: come deve essere intesa l’affermazione secondo cui la Chiesa di Cristo sussiste nella Chiesa cattolica ?
R. - Sì. È il quesito che ha subìto varie interpretazioni e non tutte coerenti con la dottrina conciliare sulla Chiesa. La risposta della Congregazione, citando il Concilio, dice che Cristo ha costituito sulla terra un’unica Chiesa: “Questa Chiesa (…) sussiste nella Chiesa cattolica, governata dal Successore di Pietro e dai Vescovi in comunione con lui”. La sussistenza indica la perenne continuità storica e la permanenza di tutti gli elementi istituiti da Cristo nella Chiesa cattolica, nella quale concretamente si trova la Chiesa di Cristo su questa terra.
D. - Perché il Concilio adopera l’espressione “subsistit in” e non semplicemente la forma verbale “è” ?
R. - Qualcuno ha interpretato ciò come un cambiamento radicale della dottrina sulla Chiesa. In realtà l’espressione “subsistit in”, che riafferma la piena identità della Chiesa di Cristo con la Chiesa cattolica, non cambia la dottrina sulla Chiesa. Essa, però, esprime più chiaramente come al di fuori della sua compagine non ci sia un vuoto ecclesiale, ma si trovino “numerosi elementi di santificazione e di verità”, “che in quanto doni propri della Chiesa di Cristo spingono all’unità cattolica”.
D. - Queste risposte hanno anche un importante risvolto ecumenico. Per questo, il quarto quesito si chiede: perché il Concilio Ecumenico Vaticano II attribuisce il nome di “Chiese” alle Chiese orientali separate dalla piena comunione con la Chiesa cattolica ?
R. - La risposta viene mutuata dal decreto conciliare sull’ecumenismo, che afferma: "Siccome poi quelle Chiese, quantunque separate, hanno veri sacramenti e soprattutto, in forza della successione apostolica, il Sacerdozio e l’Eucaristia, per mezzo dei quali restano ancora unite con noi da strettissimi vincoli”, meritano il titolo di 'Chiese particolari o locali', e sono chiamate Chiese sorelle delle Chiese particolari cattoliche". Occorre, tuttavia, precisare che la comunione con la Chiesa cattolica, il cui Capo visibile è il vescovo di Roma e Successore di Pietro, non è un qualche complemento esterno alla Chiesa particolare, ma uno dei suoi principi costitutivi interni. Per cui la condizione di Chiesa particolare, di cui godono quelle venerabili Comunità cristiane dell’Oriente, risente di una carenza.
D. - Ed eccoci all’ultimo quesito, che domanda: Perché i testi del Concilio e del Magistero successivo non attribuiscono il titolo di “Chiesa” alle Comunità cristiane nate dalla Riforma del 16° secolo ?
R. - A questo riguardo bisogna dire che la ferita è ancora molto più profonda. Sorte dopo un millennio e mezzo di tradizione cattolica, queste comunità non hanno custodito la successione apostolica nel sacramento dell’Ordine, privandosi di un elemento costitutivo essenziale dell’essere Chiesa. A causa della mancanza del sacerdozio ministeriale queste comunità non hanno conservato la genuina e integra sostanza del Mistero eucaristico. Per questo, secondo la dottrina cattolica, non possono essere chiamate “Chiese” in senso proprio.
D. - Cosa può aggiungere per concludere?
R. - Sono tre le conclusioni che possiamo tirare dai Responsa. Anzitutto c’è continuità tra la dottrina tradizionale, quella conciliare e quella postconciliare. Il volto nuovo nella Chiesa non implica rottura ma armonia in una comprensione sempre più adeguata della sua unità e della sua unicità. In secondo luogo, l’unica Chiesa di Cristo, nonostante le divisioni, sussiste nella storia nella Chiesa cattolica. Non è pertanto corretto pensare che la Chiesa di Cristo oggi non esisterebbe più in alcun luogo o che esisterebbe solo in modo ideale ossia in fieri in una futura convergenza o riunificazione delle diverse Chiese sorelle, auspicata e promossa dal dialogo. Con la parola “subsistit” il Concilio voleva esprimere la singolarità e la non moltiplicabilità della Chiesa di Cristo: esiste la Chiesa come unico soggetto nella realtà storica. In terzo luogo, l’identificazione della Chiesa di Cristo con la Chiesa cattolica non è da intendersi come se al di fuori della Chiesa cattolica ci fosse un “vuoto ecclesiale”, dal momento che nelle chiese e comunità ecclesiali separate si danno importanti elementa Ecclesiae. In conclusione, eliminando interpretazioni spurie sulla Chiesa, i Responsa contribuiscono a rafforzare il dialogo ecumenico, che, oltre all’apertura agli interlocutori, deve ancora salvaguardare l’identità della fede cattolica. Solo in tal modo si potrà giungere all’unità di tutti i cristiani in “un solo gregge e un solo pastore” (Gv 10, 16) e sanare così quella ferita che tuttora impedisce alla Chiesa cattolica la realizzazione piena della sua universalità nella storia.
Oggi su "L'Osservatore Vaticano"
◊ Servizio vaticano - Congregatio Pro Doctrina Fidei: Responsa ad questiones de aliquibus sententiis ad doctrinam de Ecclesia pertinentibus.
Servizio estero - Pakistan: l'esercito attacca la Moschea Rossa, ad Islamabad.
Servizio culturale - Un articolo di Clotilde Paternostro dal titolo "Dalla 'bottega' del Giambologna alle grandi coorti europee": a Carrara la mostra dedicata a Pietro Tacca, artista di transizione tra manierismo e barocco.
Servizio italiano - In rilievo il tema della sicurezza sul lavoro.
A un mese esatto dal suo sequestro nelle Filippine, giornata di preghiera per padre Giancarlo Bossi, indetta dal PIME in tutto il mondo
◊ Secondo il desiderio dei confratelli di padre Giancarlo Bossi, da un mese esatto ostaggio nelle Filippine, oggi si celebra in tutto il mondo una Giornata di preghiera per il religioso. Ieri, al suo arrivo a Lorenzago di Cadore, era stato Benedetto XVI in persona a confessare ai giornalisti la sua costante e quotidiana preghiera per padre Bossi. Riascoltiamo le parole del Papa in questo servizio di Amedeo Lomonaco:
“Il mio pensiero va ogni giorno a padre Bossi”, il missionario italiano rapito esattamente un mese fa nelle Filippine. E’ quanto ha detto ieri Benedetto XVI, incontrando i giornalisti, subito dopo essere arrivato a Lorenzago di Cadore per trascorrere un periodo di riposo fino al prossimo 27 luglio. Ascoltiamo le parole del Santo Padre:
"Ho parlato ieri con il nuovo sostituto della Segreteria di Stato che era nunzio nelle Filippine fino ad alcuni giorni fa e mi ha dato le ultime informazioni. Speriamo, preghiamo che il Signore ci aiuti".
Giancarlo Bossi è stato rapito lo scorso 10 giugno nei pressi della sua parrocchia, nella provincia meridionale di Mindanao. Dopo la recente pubblicazione delle foto del missionario e la diffusione di un messaggio audio di padre Bossi, si è riaccesa la speranza. Ma, nonostante l’impegno dei governi italiano e filippino e le vaste operazioni di ricerca condotte dall’esercito di Manila, non sono ancora chiari né il motivo del rapimento né l’identità dei rapitori.
"Il Signore gli doni abbondante coraggio, la speranza e la pazienza, e ai suoi sequestratori Dio tocchi il cuore". E' questo un passaggio della lettera con la quale il superiore generale del Pontificio Istituto delle Missioni estere (PIME), padre Gian Battista Zanchi, ha invitato tutte le sue comunità e insieme tutte le persone di buona volontà a stringersi in preghiera il 10 luglio per padre Bossi. Oggi, intanto, nella chiesa di Sant'Antonio Claret a Zamboanga, la comunità cattolica locale ha celebrato una Messa per implorare da Dio la rapida liberarzione di padre Bossi. Sulla Giornata di preghiera per il missionario, Cecilia Seppia ha raccolto un commento di Padre Zanchi:
R. - Si tratta di un’iniziativa che ho proposto alcuni giorni fa, pur sapendo che fin dal primo giorno non soltanto noi missionari ma tante altre persone di tanti altre fedi si sono rivolte subito al Signore con la preghiera. Si voleva sottolineare in particolare che, al di là di tutte le iniziative pur buone che appoggiamo ovunque, dobbiamo rivolgerci al Signore perché può veramente muovere il cuore e la mente soprattutto di coloro che hanno sequestrato e che tengono in ostaggio il padre Bossi. In tutte le parti del mondo, dove i missionari del PIME sono presenti, si invita tutta la gente a pregare per questo stesso fine.
D. - E c’è finora una buona risposta anche da parte delle persone, non soltanto delle istituzioni...
R. - Direi che veramente c’è grande risposta. Ogni giorno, riceviamo telefonate anche di gente semplice che non solo ci dà l’appoggio, ma che continua a dire: “Ci uniamo a questa preghiera”. Soprattutto, oggi sappiamo che molte ma molte persone, anche non cristiane si uniscono a questa preghiera, là dove sono i nostri missionari. E questo è veramente di conforto.
D. - Cosa è emerso dall’incontro tra i padri del PIME, la Polizia locale, l’esercito, le autorità filippine e il personale dell’ambasciata italiana, svoltosi ieri?
R. - Sono convinti di aver localizzato il posto giusto, dove padre Bossi è tenuto prigioniero. Pensano di privilegiare un canale di comunicazione, e non hanno detto quale, ma tra i tanti possibili ne hanno fissato uno. Continuano a dire di non credere a quanto i giornali scrivono, il compromesso di Abu Sayyaf o altri grossi partiti politici pensano sempre a quel gruppo ristretto di fuoriusciti da qualche partito un po’ grosso.
D. - E per quanto riguarda invece la decisione di designare un mediatore unico per le trattative, pensa che sia una decisione giusta?
R. - Sì, altrimenti - come già per l’esperienza passata con il sequestro di padre Benedetti - troppe persone poi si presentano e dicono di essere il vero intermediario e parlano a nome dei rapitori. Invece, l’importante è incaricare una persona sola e scegliere una sola via.
Il PIME aveva espresso già ieri dubbi sulla matrice estremista dietro il sequestro di padre Bossi. Una posizione condivisa dall'inviato italiano nelle Filippine, Margherita Boniver, secondo la quale la sorte del religioso sarebbe nelle mani di delinquenti comuni e non di terroristi. Ascoltiamo l'esponente del governo italiano, appena rientrata dalla sua missione a Zamboanga City, in questo servizio di Cecilia Seppia, che fa il punto della situazione a un mese dal rapimento:
Da qualche parte nascosto nelle foreste del sud delle Filippine, padre Bossi è ancora nelle mani dei suoi sequestratori. L’arrivo delle sue fotografie, diffuse dai media locali e poi giunte alla Farnesina pochi giorni fa, aveva riacceso la speranza ma l’identità dei rapitori e il motivo del loro gesto rimangono ancora un mistero. Il nuovo responsabile per la sicurezza di Manila, Norberto Gonzales, non esclude che il missionario sia ostaggio del gruppo di Abu Sayyaf ma per l’ex sottosegretario agli esteri, Margherita Boniver, esistono altre ipotesi sui rapitori. Il capo dell’esercito ha parlato per esempio di fuoriusciti dal Fronte moro islamico di liberazione. Niente di più di un gruppo di malfattori, banditi comuni in cerca di denaro, non estremisti spietati come ha spiegato l’onorevole Margherita Boniver:
"Il gruppo di Abu Sayyaf, legato all’Al-qaedismo internazionale, è un gruppo pericolosissimo che però sembrava essere anche molto sbandato e diviso negli ultimi tempi. Diciamo, quindi, che se padre Bossi fosse poi stato rapito dal gruppo legato ad Abu Sayyaf, cioè Al-Qaeda, questa ipotesi rappresenterebbe lo scenario peggiore. Se invece è più corretta sui sequestratori l’altra ipotesi - che come dicevo mi è stata prospettata dai vertici militari sul territorio - cioè quella del gruppo di fuoriusciti dal movimento politico di indipendenza che è in colloquio con il governo centrale, questi sarebbero invece addirittura degli sbandati, dei fuoriusciti più interessati ad un riscatto che a rivendicazioni politiche".
Di fatto, il sequestro del missionario del Pontificio istituto missioni estere è però caduto in un momento politicamente particolare per il governo di Manila. Esperti delle Filippine hanno spiegato infatti che tirare in ballo gli estremisti islamici di Abu Sayyaf potrebbe avere delle implicazioni e generare ulteriori incongruenze. Sul dramma di padre Giancarlo Bossi, un’unica certezza: la necessità di stabilire quanto prima un contatto con i sequestratori e aprire un canale di trattative.
Don Di Noto scrive una lettera aperta alla Chiesa sulla piaga della pedofilia nel clero: "Bisogna unire la misericordia ad atti di giustizia"
◊ "Coraggio e testimonianza contro i preti pedofili". Recita così il titolo della "lettera aperta” scritta da don Fortunato Di Noto, parroco siciliano e fondatore dell'Associazione Meter per la lotta contro gli abusi sui minori. La missiva rivolta anche ai “confratelli e vescovi”, pubblicata oggi sul quotidiano Avvenire, "chiede una scelta di coraggio con la consapevolezza che questi episodi non possono infangare l'intera azione della Chiesa". Ma come nasce l’idea di questa lettera? Massimiliano Menichetti lo ha chiesto a don Fortunato che ha risposto in esclusiva alla Radio Vaticana:
R. - La Lettera nasce per un grande amore alla Chiesa e nasce anche da una battuta che un bambino mi fece, un bambino di dieci anni. Mi disse: “Ma don Fortunato, se tu venissi a sapere da me che eventualmente qualcuno mi ha fatto del male, e io so che tu non mi hai aiutato, tu cosa faresti?”. E allora, mi sono posto tante domande. Anche perché credo che la Chiesa abbia necessità sempre più di rendere testimonianza alla verità.
D. - Don Di Noto, lei ha scelto di rivolgersi ai confratelli e ai vescovi...
R. - Io credo che necessita ovviamente una ulteriore riflessione, una capacità nuova di dare risposte, una possibilità di stare veramente dalla parte delle famiglie, delle vittime e - per carità! - giustizia e misericordia si incontreranno anche nei confronti di questi preti che io invito, quando veramente compiono atti così gravi nei confronti dei bambini, dell’infanzia, che sono peccati contro Dio, contro l’umanità - lo diceva anche Giovanni Paolo II, lo dice Benedetto XVI - io credo che forse farebbero meglio a lasciare il ministero. Questo non significa, per carità, attivare percorsi repressivi: no. Ma qui è veramente un atto di giustizia. Semplicemente, un atto di giustizia e di misericordia.
D. - Lei ribadisce, scrive: “Preti che non avrebbero mai dovuti essere ordinati e che non dovrebbero esercitare questo ministero, donato da Dio alla Chiesa”...
R. - Sì. Quel concetto - “preti che non dovevano diventare preti” e “preti che non possono fare i preti” - è stato anche un concetto ripreso e detto con forza, con autorità pastorale, da parte di mons. Fisichella, da parte di mons. Martinelli, da parte di altri vescovi... Credo che queste parole, automaticamente, debbano poi trovare una concretezza nel momento in cui abbiamo dei sacerdoti che si sono macchiati di peccati, di reati così gravi che in maniera definitiva hanno avuto una condanna e hanno ammesso anche le colpe. Quindi, non stiamo parlando a livello generico. Io credo che sia oggi necessario alla comunità dei fedeli, che la Chiesa dia atti concreti di verità e atti concreti di testimonianza.
D. - La Chiesa è attaccata su più fronti. Di fatto, questa lettera non potrebbe essere strumentalizzata, secondo lei?
R. - La strumentalizzazione nasce perché ormai il problema "pedofilia-Chiesa" è diventato un problema ideologico, non certamente da parte della Chiesa, ma da parte soprattutto di coloro che vogliono far male alla Chiesa. Questa Lettera non vuole far male alla Chiesa, anzi: vuol dare un servizio alla Chiesa. Se in questa piccola lettera, che è una lettera scritta con il cuore, può suscitare discussione, approfondimento, può creare percorsi nuovi, percorsi di aiuto alle vittime, alle famiglie, io credo che sia un servizio alla Chiesa. Nasce proprio da un amore profondissimo alla Chiesa, più della mia vita.
Si tiene per la prima volta a Cuba la riunione dei vescovi latinoamericani del CELAM, sulla scia della Conferenza di Aparecida
◊ Dopo il grande incontro di Aparecida del maggio scorso, alla presenza di Benedetto XVI, i vertici dell'episcopato latinoamericano tornano a riunirsi in assemblea. Da oggi al 13 luglio, una settantina di presuli del CELAM, il Consiglio episcopale latinoamericano, si incontrano nella "Casa San Juan Maria Vianney", all'Avana. Si tratta di un appuntamento molto importante anche perché è la prima volta, dalla sua fondazione nel 1955, che i membri del CELAM s'incontrano nell'isola di Cuba. All'ordine del giorno, il rinnovo delle cariche del Consiglio e i nuovi impegni pastorali sulla scia di Aparecida, come conferma, al microfono di Luis Badilla Morales, il cardinale Francisco Javier Errázuriz, presidente uscente del CELAM:
In realtà, questa riunione era prevista per il mese di maggio. Era la data in cui si concludevano i mandati dei membri dell’attuale presidenza del Celam. Alla fine, l’abbiamo rinviata di qualche settimana per non cambiarne i responsabili poco prima della V Conferenza. Ad ogni modo, si è voluto farla presto per poter pianificare le attività pastorali del prossimo anno. Inoltre, l’Assemblea ordinaria, è la sede ove si devono tradurre in piani pastorali organici le grandi conclusioni della Conferenza di Aparecida. Insomma, si tratta di un incontro molto importante. Potrei dire che la nostra Assemblea ordinaria a Cuba completa, da un punto di vista operativo, il grande vento ecclesiale di Aparecida.
Sui problemi sociali del Venezuela, le prese di posizione della Chiesa vogliono solo illuminare le coscienze: così i vescovi nel documento conclusivo della plenaria
◊ “Vogliamo rispondere alle sfide che la realtà del nostro tempo pone alla Chiesa in Venezuela seguendo gli orientamenti della V Conferenza generale degli episcopati latinoamericani e caraibici”: si apre con queste parole il documento conclusivo dell’88.ma assemblea plenaria della Conferenza episcopale venezuelana che invita credenti e non credenti “a lavorare per modellare una società con i valori che danno dignità alla persona umana”. “Le nostre prese di posizione sui problemi sociali non sono un’ingerenza indebita nella vita politica – scrivono i presuli – bensì l’adempimento di un nostro obbligo per illuminare la vita personale e sociale dei nostri fedeli dalla prospettiva del Vangelo e con criteri squisitamente pastorali”. Per i vescovi il Venezuela sta vivendo i momenti più decisivi della sua storia, dopo l’annunciata riforma della Costituzione. “Secondo quanto è trapelato nell’ambito dell’opinione pubblica sul contenuto dei cambiamenti costituzionali e, soprattutto, sulla forma del loro processo di elaborazione, che non accoglie sufficientemente lo spirito di partecipazione richiesto dalla Costituzione stessa – si legge nel documento dell’episcopato – ci sono dubbi seri sulla natura democratica di questa riforma costituzionale”. A proposito della sicurezza dei cittadini e sul deterioramento del tessuto sociale, i vescovi elencano numerosi gravi problemi quali povertà, disoccupazione, mancanza di alloggi e di ospedali, servizi pubblici deficitarii, bambini di strada, anziani senza attenzione. Il documento ricorda inoltre la recente ondata di proteste contro la decisione governativa di non rinnovare la licenza ad un canale radiotelevisivo, decisione sulla quale l’Episcopato aveva già dichiarato apertamente la propria opinione contraria. Quanto ai giovani i vescovi valorizzano come positivo il fatto che il movimento studentesco di protesta e opposizione “abbia scelto la non-violenza attiva per manifestare i suoi disaccordi contro le decisioni che attentano alle libertà”. I presuli esprimono poi “preoccupazione per il nuovo progetto di legge sull’educazione” (attualmente in seconda lettura presso l'Assemblea Nazionale) e precisano che, nonostante alcuni punti positivi in molte questioni importanti, ci “sono omissioni” rilevanti. Preoccupa in particolare la pretesa di impartire un’educazione “con un unico e determinato orientamento politico ed ideologico che finirebbe per colpire gravemente i diritti e i doveri degli studenti, dei genitori e delle famiglie”. Riguardo alla difesa della vita, infine, per i vescovi “occorre un accordo nazionale” che tuteli la vita in tutte le sue tappe, dal concepimento alla sua fine naturale, cosa che comporta “un’opposizione ad ogni tipo di violenza e di impunità”. (L.B.-T.C.)
Appello dei vescovi della Repubblica Democratica del Congo alle autorità e alla comunità internazionale perché il Paese possa crescere nella legalità
◊ “La crisi del nostro Paese è anzitutto etica. Il Paese ha un grande bisogno di uomini nuovi e giusti. Un cambiamento radicale nei comportamenti personali, sociali e politici potrà apportare un nuovo modo di gestire la Repubblica”. Concludono con queste parole i vescovi della Repubblica democratica del Congo il loro messaggio in occasione del 47.mo anniversario dell’indipendenza. Il documento, pubblicato al termine della 43.ma assemblea plenaria che si è svolta a Kinshasa dal 3 al 7 luglio, affronta, fra i vari temi, la corretta gestione delle risorse naturali, gli sforzi da fare nella lotta contro l’insicurezza, definita “crescente”, i problemi dei giovani e il degrado delle infrastrutture ed ancora include un appello alla responsabilità del popolo e dei nuovi dirigenti. “Vino nuovo in otri nuovi. Non deludere le attese della Nazione”, questo il titolo del documento che, firmato da 47 vescovi, invita ad “un gran sussulto nazionale” e ad “un cambiamento di mentalità per salvare” il Paese “dai pericoli che nuovamente incombono su di esso”. Riaffermando con forza “il principio dell’integrità e dell’intangibilità del territorio nazionale congolese”, la Conferenza episcopale nazionale del Congo, (Cenco), sottolinea che invece di procurare benefici al popolo, “i minerali, il petrolio e le foreste sono diventate fonti di disgrazie. “Come comprendere che i nostri concittadini si ritrovino, senza contropartita né risarcimento, spogliati delle loro terre a motivo delle cessioni o vendite di terreni a questo o quel dirigente minerario o forestale?” s’interrogano i vescovi, che per seguire più da vicino la questione dello sfruttamento delle risorse ed esigere il rispetto dei diritti umani annunciano la creazione “di una commissione episcopale ad hoc”. “La ricerca avida delle risorse naturali alimenta l’insicurezza”, fanno ancora notare i firmatari del messaggio, che esprimono la loro viva preoccupazione di fronte “allo sfruttamento imminente del petrolio nel Lago Alberto in Ituri”, nel Nord-est del Paese, ed i loro dubbi circa il reale vantaggio che ne avrà la popolazione. “In tutte le nostre diocesi - dicono i vescovi - si osservano fatti d’insicurezza: furti, stupri, molestie, rapimenti, tasse e pedaggi eccessivi, arresti arbitrari, casi ripetuti di omicidi... condanniamo tutti questi atti commessi da agenti delle forze dell’ordine, milizie, ribelli stranieri presenti sul territorio nazionale”. Un paragrafo in cui la Cenco “esige indagini serie” è riservato agli assassinii, in particolare quelli di giornalisti. Alla Comunità internazionale, la Conferenza episcopale richiede, riprendendo alcune affermazioni di Benedetto XVI, “di organizzare procedure per un annullamento rapido, intero ed incondizionato del debito esterno dei Paesi pesantemente indebitati e dei Paesi meno sviluppati”, di stabilire in modo affidabile e duraturo “condizioni commerciali favorevoli che includono un accesso ampio ed incondizionato ai mercati”, di proseguire gli sforzi “in materia di riduzione della vendita di armi – legali o no –, del traffico illegale di materie preziose, della fuga di capitali in provenienza dai Paesi poveri” e da lotta contro il riciclaggio di denaro sporco e la corruzione. (T.C.)
Il prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, il cardinale Ivan Dias, in visita da domani in Angola
◊ Comincia domani la visita pastorale in Angola del prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, il cardinale Ivan Dias. Il porporato resterà nel Paese africano fino al 23 luglio. Venerdì, scrive l’agenzia Fides, nella capitale Luanda avrà un incontro con i missionari della città, di Viana e Caxito. Sabato si recherà nell’enclave di Cabina, dove presiederà la Messa nella cattedrale e visiterà la missione di Landana. Domenica prossima il cardinale Dias sarà ad Uije, dove presidierà la Messa con i Vescovi della CEAST, la Conferenza Episcopale di Angola e Sao Tomé. Nella visita a Huambo, il 17 luglio, il porporato avrà un incontro con il governatore e con i missionari e i seminaristi del Seminario Maggiore di Filosofia. Successivamente il prefetto di “Propaganda Fide” si recherà a Lubango, dove presiederà una Messa di ringraziamento per i dieci anni dell’ICRA (Istituto di Scienze Religiose dell’Angola). Il 20 luglio, a Luanda, il porporato aprirà la riunione dell’IMBISA (Inter-Regional Meeting of Bishops of Southern Africa), alla quale prenderanno parte i vescovi di Angola e Sao Tomé, Botswana, Lesotho, Mozambico, Namibia, Sudafrica, Swaziland e Zimbabwe. (T.C.)
Filippine: i vescovi chiedono la revisione della nuova legge antiterrorismo. Potrebbe essere causa di ingiustizie
◊ “Il tempo corre, ma vi è ancora bisogno di discutere questa legge e rivederla, prima che entri in vigore”: è quanto ha affermato il presidente della Conferenza episcopale delle Filippine, mons. Angel Lagdameo, a proposito della nuova legge anti-terrorismo che entrerà in vigore nel Paese il prossimo 15 luglio. Riuniti nei giorni scorsi a Manila per la 95.ma, i vescovi filippini chiedono al governo una revisione della normativa, perché i poteri illimitati che conferisce all’esercito “creano panico ed insicurezza nella popolazione, e potrebbero divenire causa di enormi ingiustizie”. Secondo i presuli, riferisce l’agenzia AsiaNews, è iniqua la definizione di “attività terroristiche” presente nella legge: “è troppo ampia, e permette al governo di farvi rientrare qualunque cosa”. Inoltre, “vanno riviste le concessioni fatte ai militari, praticamente illimitate”. Secondo la sez. 3 del testo di legge, sono “attività terroristiche” tutte quelle azioni “che causano panico fuori dall’ordinario”: queste possono essere punite con la reclusione “fino a 40 anni". Inoltre, la sez. 19 permette “la detenzione arbitraria di un sospetto per più di tre giorni, gli arresti domiciliari anche se non convalidati da un giudice e l’interdizione da ogni tipo di spostamento. In quanto pastori della popolazione i vescovi hanno il dovere di indagare sulla moralità di questa legge, hanno dichiarato i presuli che definiscono la nuova legge anti-terrorismo “iniqua”, insistendo su una revisione che permetta il dialogo ed il confronto sociale”. (T.C.)
L’uso delle nuove tecnologie nella Chiesa in Asia al centro del VI convegno dei vescovi asiatici per le Comunicazioni sociali
◊ Sfruttare meglio le straordinarie potenzialità offerte dalle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ITC) per la pastorale e le altre attività della Chiesa in Asia, nell’ottica di una comunicazione ecclesiale semplice, etica, affidabile, verificabile e trasparente. È questa, in sintesi, l’indicazione emersa dal sesto convegno di studi dei vescovi asiatici per le comunicazioni sociali (BISCOM VI) organizzato a Bangkok dalla Federazione delle Conferenze episcopali dell’Asia (Fabc). All’incontro, ospitato dall’università cattolica dell’Assunzione della capitale tailandese, hanno partecipato vescovi ed esperti diocesani di comunicazione. Tema del convegno “Le sinergie mediatiche per la pastorale in Asia: le moderne tecnologie della comunicazione al servizio della Chiesa”. Tra gli argomenti affrontati: l’impatto della rapidissima evoluzione delle ITC nella Chiesa in Asia, e la rilevanza che in tutto il mondo ha la religione nel cyber-spazio. Dai dibattiti è emersa, da un lato, la constatazione che, finora, nelle Chiese dei Paesi più poveri dell’Asia, l’accesso alle nuove tecnologie è ancora limitato, ma che la loro rapidissima evoluzione e il conseguente abbassamento dei costi apre nuove possibilità. Dall’altro lato, è stata evidenziata la necessità di non abbandonare le forme tradizionali di comunicazione che conservano la loro indubbia efficacia per la diffusione del Vangelo in Asia. Tra le proposte vi sono state quella di studiare piani a breve e lungo termine per ridurre il divario tecnologico tra i diversi Paesi del Continente e la promozione dell’uso dei nuovi media nelle varie realtà ecclesiali anche con corsi di formazione specifici rivolti a religiosi e laici. In un documento pubblicato al termine del convegno infine l’invito a non perdere mai di vista la centralità della dimensione etica e la finalità primaria dell’uso di questi nuovi mezzi per la Chiesa che è l’evangelizzazione nel dialogo con le diverse religioni in Asia. (L.Z.)
I vescovi spagnoli: la scuola cattolica deve rispondere alle nuove sfide poste all’azione educativa cristiana
◊ “La scuola cattolica. Offerta della Chiesa in Spagna per l’educazione nel secolo XXI” è il titolo del documento dei vescovi spagnoli per “favorire e sollecitare un sano rinnovamento dell’azione educativa della scuola cattolica che offra risposte ed orizzonti di qualità educativa cristiana”. Al principio di questo nuovo secolo, scrivono i presuli secondo quanto riporta l'Agenzia Fides, “la scuola cattolica è chiamata ad interrogarsi su sé stessa ed a rispondere alle nuove sfide poste all’azione educativa cristiana”. Per i presuli, le sfide che deve affrontare oggi la scuola cattolica, derivano da una “società in cambiamento continuo e pluralista” e da problemi che provengono dalle famiglie, i cui comportamenti non sempre sono in sintonia con l’educazione impartita a scuola. A ciò si unisce il grave fenomeno delle crisi familiari ed il deterioramento del concetto stesso di famiglia. Altre sfide vengono da una certa delusione della comunità educativa e dalla diminuzione progressiva di religiosi e sacerdoti nelle scuole. Secondo i vescovi “la sfida più importante della scuola cattolica è educare e formare i suoi alunni secondo il progetto educativo cristiano” e la scuola cattolica “deve resistere ai condizionamenti che ostacolano l’autentico sviluppo della formazione integrale come la concepisce l’umanesimo cristiano”, deve educare inoltre ai principi morali, ai valori e alle virtù proprie della fede cristiana. “Educare nella fede - si legge nel documento - è molto più che sviluppare le facoltà e capacità dell’essere umano: è aiutare l’alunno a dare una risposta di adesione libera e cosciente, secondo la sua capacità, alla Parola di Dio, ciò implica un cambiamento di vita conforme al progetto di persona che gli è offerto”. Riguardo alla nuova Legge Organica dell’Educazione, il documento segnala “ambiguità che non possono non preoccupare in materia di diritti e libertà”, in particolare in quello che riguarda la scelta dei genitori per la formazione religiosa e morale dei figli. I vescovi infine lanciano un appello urgente ai religiosi, religiose ed alle istituzioni, affinché le scuole cattoliche mantengano la propria identità al servizio dell’evangelizzazione. Il testo si conclude con 13 proposte, tra cui motivare e formare i membri della comunità educativa sui principi e valori che implica la Persona e il Messaggio di Gesù Cristo; promuovere maggiore partecipazione alla celebrazione dei sacramenti ed ad altre celebrazioni liturgiche; promuovere attività per aiutare i genitori ad assumersi le proprie responsabilità nell’educazione dei figli; curare la scelta degli educatori laici e aumentare l’accoglienza di persone di altre culture. (T.C.)
I Paesi emergenti nell’economia mondiale e i rapporti fra Cina ed Occidente: se ne parla a Roma al corso promosso dalla CEI
◊ “Siamo sprovveduti di fronte allo spostamento del baricentro economico mondiale verso l’Oriente”: è quanto ha affermato ieri padre Giampaolo Salvini, direttore della rivista “Civiltà cattolica”, aprendo i lavori del corso per studenti di teologia promosso a Roma dall’Ufficio CEI per i problemi sociali e il lavoro, sul tema: “Matteo Ricci. Dialogo tra Cina ed Occidente”. Per il religioso, riferisce l’agenzia Sir, la globalizzazione, in particolare, ha “smentito la teoria della dipendenza”, in base alla quale “il mondo capitalista era diviso in un polo trainante, formato dagli USA e dai Paesi occidentali, e da una colossale periferia”. In luogo, dunque, della “formula semplificatoria” basata sulla divisione tra “i Paesi ricchi come locomotori, e gli altri come vagoni”, oggi “una serie di Paesi sono riusciti ad uscire dal circuito del sottosviluppo e a diventare Paesi industrializzati”. “L’Europa non è più il centro del mondo” ha affermato padre Salvini che tra i nuovi protagonisti che si affacciano nella scena mondiale ha menzionato Cina, India, Corea del sud, Messico, Brasile, Sudafrica. “Le grandi decisioni, a livello economico, si prendono altrove”, ha aggiunto il sacerdote, nonostante il vecchio Continente “rimanga sempre al centro delle carte geografiche”, disegnate del resto dagli antichi Paesi colonizzatori. Non solo Cina e India, ma anche Corea del sud, Messico, Brasile, Sudafrica, ed ancora Taiwan, Indonesia, Thailandia, Malaysia, Vietnam. Padre Salvini ha spiegato che dal ‘78, ad esempio, l’economia cinese è cresciuta di 10 volte, ed ogni anno la crescita è mediamente del 10 per cento, contro il 6 per cento dell’India (ma solo dal ‘91) ed il 2 per cento dell’Unione europea. “Fanalini di coda” i 50 Paesi meno sviluppati del mondo, tra cui 34 africani, vittime “di quelle ingiustizie strutturali che agiscono in modo perverso per impedire loro di emergere”. Il problema, ha fatto presente però il direttore della "Civiltà Cattolica", è che “quando i nuovi Paesi emergenti competono sui mercati internazionali, usano le stesse regole che usavamo noi: diventano, cioè, a loro volta dominatori di altri popoli”. Di qui la necessità di “modificare il sistema di collaborazione internazionale”, e l’auspicio che i Paesi emergenti “istituiscano forme di collaborazione diverse dai rapporti di forza e di scontro che finora hanno sempre caratterizzato lo scenario economico mondiale”, partendo dalla consapevolezza, ha concluso padre Salvini, che “il benessere e un certo sviluppo o è di tutti, o è di nessuno, perché sarà sempre minacciato”. (T.C.)
Ripristinati, dopo 42 anni, i collegamenti ferroviari fra India e Bangladesh
◊ Sospeso dopo la guerra del 1965 tra New Delhi e il Pakistan, è stato ripristinato il collegamento ferroviario tra India e Bangladesh. Dopo 42 anni il convoglio ‘Moitree’, (amicizia), è partito domenica scorsa da Calcutta, capitale dello Stato indiano del Bengala occidentale ed ha viaggiato per 375 chilometri fino alla capitale del Bangladesh Dhaka, salutato all’arrivo in stazione da centinaia di persone in festa. A bordo, riferisce l’agenzia MISNA, c’erano decine di funzionari indiani che discuteranno in questi giorni con funzionari del Bangladesh di passaggi doganali, immigrazione e sicurezza. Tutte questioni determinanti per un servizio che da metà agosto dovrebbe diventare regolare, con un numero giornaliero di convogli destinati a trasportare le circa 3.000 persone che quotidianamente attraversano la frontiera. Il ministro degli Esteri ad interim del Bangladesh, Iftekhar Ahmed Chowdhury, ha definito l’evento “un passo avanti nelle relazioni bilaterali tra i due Paesi”, collegati finora solo da servizi di autobus. Le linee ferroviarie non erano state ripristinate neppure dopo il 1971, anno in cui il Bangladesh ha conquistato l’indipendenza. Da tempo è operativo un analogo servizio ferroviario che unisce India e Pakistan, il Samjhauta Express, purtroppo preso di mira nel febbraio scorso da un attacco terroristico che ha provocato 68 morti. (T.C.)
Piace, in Cile, il mensile “Encuentro” curato dall’arcidiocesi di Santiago. Ricordato il compianto cardinale Silva Henrìquez
◊ Continua con enorme successo l’esperienza del quotidiano mensile dell’arcidiocesi di Santiago del Cile, guidata dal cardinale Francisco Javier Errázuriz, che da diversi mesi fa distribuire gratuitamente nelle metropolitane, nei centri commerciali e ricreativi, negli uffici, nelle fabbriche, nonché in parrocchie, scuole ed università, il giornale “Encuentro” (Incontro). L’idea, innovativa e realizzata con grande professionalità, piace molto ai “santiaguini” che in poche ore esauriscono le decine di migliaia di copie stampate o che, dal sito web dell’arcidiocesi, scaricano la versione PDF. Il mensile edito su internet (www.iglesiadesantiago.cl) rispetto alla versione cartacea, è ancora più ricco e viene aggiornato ogni giorno. Il numero di luglio, oltre ad un ampio reportage sulla V Conferenza generale degli episcopati latinoamericani e caraibici (13 - 31 maggio, Aparecida, Brasile), include opinioni e analisi e ricorda inoltre la figura umana e pastorale dell’arcivescovo emerito della capitale, il cardinale Raúl Silva Henríquez, del quale tutto il Paese ha celebrato il centenario della nascita. Il secondo cardinale nella storia del Cile è stato ricordato, inoltre, nei giorni scorsi sia al Senato come alla Camera e in diverse capitali del mondo (Roma, Washington, Bogotá, Buenos Aires). All’incontro nella capitale italiana, il primo luglio scorso, hanno preso parte il cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone e il cardinale Oscar Rodríguez Maradiaga, arcivescovo di Tegucigalpa. Erano anche presenti gli arcivescovi Ricardo Ezzati, Bernardino Piñera e Giuseppe Bertello, nunzio apostolico in Italia, il rettore maggiore dei salesiani don Pascual Chávez insieme a vari membri del consiglio generale e l’ispettore dei salesiani del Cile, don Natale Vitali. A conclusione della giornata il cardinale Bertone ha condiviso con i presenti alcune esperienze vissute insieme al cardinale Silva. L’omaggio è culminato con la proiezione di un video con una intervista al cardinale Silva al tempo del Concilio Vaticano II. (L.B.)
Pakistan: interviene l’esercito nella Moschea Rossa di Islamabad, occupata dagli integralisti. Almeno 58 i morti - In Afghanistan, 17 civili uccisi in un attentato kamikaze alle truppe NATO
◊ Sono 50 i militanti uccisi nell'assalto alla Moschea Rossa di Islamabad, nel quale sono morti anche otto soldati pakistani. Una strage, dunque, dopo una settimana di occupazione del luogo di culto. Il nostro servizio:
Secondo un portavoce dell’esercito, al momento, l'85% del complesso della Moschea e dell’adiacente scuola coranica è stato messo in sicurezza. Portati in salvo oltre 20 bambini e 27 donne, tra cui la moglie del capo dei ribelli, Ghazi. Ma ancora decine di donne e minori sono rinchiusi nei sotterranei dell’edificio e fanno da scudo agli integralisti irriducibili. Una fonte all'interno del complesso ha raccontato che “nessuno può lasciare le stanze e i sotterranei” e che “ci sono cadaveri dappertutto”. Intanto, gli studenti coranici rimasti nella Moschea sparano dai minareti dell'edificio sulle forze governative. L’assalto alla Moschea rossa, da tre direzioni diverse, è iniziato questa mattina alle 4, ora locale, dopo il fallimento delle trattative con i militanti, che hanno opposto una “dura resistenza”. “Sono preoccupato per l'attuale situazione – ha dichiarato da Bruxelles il segretario generale dell’ONU, Ban Ki-moon – e spero che le differenze di opinione siano risolte attraverso il dialogo, in modo pacifico". Forte preoccupazione espressa anche dall’Alto rappresentante per la Politica Estera e di Sicurezza dell’Unione Europea, Javier Solana.
- E dalla Moschea Rossa di Islamabad più volte sono partiti appelli inneggianti ad azioni estreme. Perché questa opposizione alla politica del presidente Musharraf? Giada Aquilino lo ha chiesto alla professoressa Elisa Giunchi, docente di Storia e Istituzioni dei Paesi islamici all’Università degli Studi di Miliano:
R. - E’ un'opposizione che si è sviluppata nel tempo e che in parte è dovuta alle stesse politiche di Musharraf, il quale in un certo senso ha prima creato l’illusione di voler permettere una “talebanizzazione” delle aree non solo tribali e rurali ma anche urbane e che ora si sente in dovere di accontentare l’alleato statunitense, frenando ogni deriva estremista.
D. - Gli integralisti islamici filo-talebani puntano ad imporre la legge islamica, la Sharia, anche ad Islamabad. Se ciò avvenisse, cosa accadrebbe?
R. – Nel corso dei decenni è già avvenuto nelle aree tribali e in parte anche in aree Pashtun, vicino al confine con l’Afghanistan. Non credo che il governo, anche se ci fosse un colpo di Stato o un cambiamento al vertice, potrebbe permettere al Pakistan di diventare pienamente uno Stato islamico e di rinnegare la politica precedente, soprattutto per quanto riguarda le relazioni internazionali; questo perché, comunque, l’esercito e i servizi segreti ad esso legati, che sin dalla fine degli anni ‘70 controllano la politica estera del Paese, hanno bisogno dell’assistenza militare ed economica esterna per poter permettersi la continua ricerca di una parità strategica con l’India in campo militare e anche per finanziare l’industrializzazione del Paese. Direi, quindi, che l’intera vicenda mette in luce non solo le crescenti difficoltà incontrate da Musharraf in politica interna, ma anche il ruolo che alcune madrasse hanno avuto in Pakistan nel diffondere l’estremismo religioso. - In Medio Oriente, Hamas ha smentito che cellule di Al Qaeda possano essersi installate all'interno della Striscia di Gaza, come denunciato ieri sera dal presidente palestinese, Abu Mazen. Intanto, incontrando a Ramallah il premier italiano, Romano Prodi, Abu Mazen ha chiesto l’intervento di una forza internazionale a Gaza. E si riuniranno domani a Londra gli inviati speciali del Quartetto per il Medio Oriente per affrontare i diversi aspetti del processo di pace israelo-palestinese. La riunione rappresenta un primo passo avanti per rilanciare le iniziative dei mediatori, interrotte dal precipitare della situazione nei Territori palestinesi. Stefano Leszczynski ha intervistato Giorgio Bernardelli, esperto di Medio Oriente e giornalista del quotidiano Avvenire:
R. – Far ripartire, oggi, il processo di pace vuol dire tornare a parlare di quello che sarà l’assetto definitivo almeno della Cisgiordania, lasciando per un momento Gaza "in un angolo", vista la situazione venutasi a creare con Hamas.
D. – Tuttavia, Abu Mazen ha promesso che Gaza non sarà abbandonata e tornerà ad essere unita insieme alla Cisgiordania…
R. – Nessun palestinese dirà mai che Gaza può rimanere separata dalla Cisgiordania. Questo non lo dice neanche Hamas, perché Gaza è un territorio che non può stare da solo, non può sussistere. Si capisce come Abu Mazen insista sul fatto - per mantenere forte l’idea - che la Cisgiordania e Gaza sono una entità unica, ma nella prospettiva più immediata non è pensabile che Gaza torni ad essere quello che era prima della presa da parte di Hamas.
D. – Nella Striscia di Gaza, il presidente Abu Mazen ha puntato il dito contro Hamas, dicendo che favorisce l’infiltrazione di al Qaeda…
R. – Non bisogna essere ingenui sul Medio Oriente: Al Qaeda non è da oggi che entra a Gaza, ma sono almeno due anni. E' da quando si è attuato il ritiro di Israele dalla Striscia che il servizio di sicurezza interno israeliano denuncia questa presenza di Al Qaeda. Finora, Abu Mazen non aveva la convenienza di mettere in evidenza questo fatto, oggi che la situazione è cambiata gli fa gioco anche politicamente sottolineare questa presenza. Anche qui, però, non so fino a che punto sia una presenza incoraggiata da Hamas. Certo è che in questo momento resta tollerata da Hamas. Non credo, però, che sia così incoraggiata come le parole di Abu Mazen vorrebbero far credere.
- In Afghanistan, 17 civili sono rimasti uccisi in un attentato suicida contro un convoglio dell’ISAF, la forza NATO nel sud del Paese. Lo ha dichiarato il capo della polizia della provincia di Uruzgan, mentre un portavoce militare a Kabul ha indicato che vi sono “feriti gravi” anche tra i soldati dell’ISAF. Un soldato della missione della NATO e quattro afghani sono, invece, rimasti uccisi in uno scontro a fuoco in una base dell'esercito nella provincia di Herat, nella parte occidentale del Paese. C'è ancora incertezza, invece, su un elicottero militare americano precipitato nella stessa area. La notizia, diffusa da fonti governative afgane, non è stata confermata dal comando statunitense.
- Resta acceso negli USA il dibattito sui tempi di ritiro delle truppe dall’Iraq. La Casa Bianca, infatti, sembra rassegnata al fallimento sul fronte della sicurezza, ma il ritiro dalle aree calde del Paese non è in discussione. Lo ha assicurato il portavoce del presidente, Tony Snow, che ha escluso la possibilità che le decisioni sul da farsi vengano prese in base a fattori politici, piuttosto che militari. Intanto, da Baghdad, il ministro degli Esteri iracheno mette in guardia sul rischio di una recrudescenza della violenza, nel caso di un ritiro troppo rapido.
- Il Pentagono ha annunciato l’invio della portaerei ‘Enterprise’ nel Golfo, dove si trovano già altre due porterei americane. “La Enterprise – si legge in un comunicato della US Navy – fornirà potenza navale, per rispondere al comportamento destabilizzante e minaccioso di alcuni Paesi, oltre a dare sostegno ai nostri soldati e marine in Iraq e Afghanistan”. L’area del Golfo include anche l'Iran.
- L’Iran ha smentito di aver rallentato “notevolmente” il ritmo di installazione delle centrifughe volte ad arricchire uranio, come rilevato ieri dal direttore dell'Agenzia ONU per l'energia atomica (AIEA), El Baradei, alla vigilia dell'arrivo dei suoi ispettori a Teheran. La stessa AIEA ha poi deciso di inviare una nuova missione in Corea del Nord, a 4 anni e mezzo dall'interruzione dei rapporti tra ONU e Pyongyang.
- Il Parlamento Europeo ha dato il suo primo sì al mandato da conferire alla Conferenza Intergovernativa (CIG) per adottare le modifiche al nuovo Trattato europeo, approvate dai leader europei nel summit di giugno. La commissione Affari Costituzionali dell'Europarlamento ha approvato con 18 sì, quattro no e un’astensione la risoluzione del socialista tedesco, Jo Leinen. La risoluzione verrà messa in votazione nella plenaria di domani.
- Via libera finale dell’Ecofin all'ingresso di Cipro e Malta nell'eurozona dal primo gennaio 2008. Lo ha indicato la presidenza portoghese di turno della UE. Con i nuovi due ingressi, il numero dei Paesi che condividono l'Euro sale così a quindici.
- E i ministri delle Finanze dell’Unione Europea, riuniti oggi a Bruxelles, hanno anche nominato il nuovo direttore generale del Fondo Monetario Internazionale (FMI). È l’ex ministro delle Finanze francese, Dominique Strauss-Kahn, che succede allo spagnolo Rodrigo Rato, il cui mandato scade il prossimo ottobre. Agli Stati Uniti, spetterà, invece, la scelta del candidato alla direzione della Banca Mondiale.
- Sì dell’Europa al piano di riforme avanzato dal neo presidente francese Nicolas Sarkozy. Ad esprimere il parere favorevole è stato Jean Claude Junker, presidente dell'Eurogruppo, che ha lodato l'intenzione francese di "raggiungere il pareggio nel 2010". Il presidente francese ha, infatti, richiesto lo slittamento di due anni, in modo da poter attuare le riforme strutturali necessarie alla Francia.
- In Polonia, il gruppo parlamentare del partito populista Samoobrona, che fa parte della coalizione al potere dei gemelli Kaczynski, ha aggiornato a oggi pomeriggio la decisione di lasciare il governo dopo l’estromissione del suo leader, il vice primo ministro e ministro dell'Agricoltura, Andrzej Lepper. Ieri sera, la direzione di Samoobrona aveva deciso di lasciare la coalizione tripartita; in questo caso, le due restanti formazioni, il Partito Conservatore Diritto e Giustizia dei Kaczynski e la Lega delle Famiglie polacche (estrema destra), non avrebbero i numeri per continuare ad essere maggioranza.
- La Russia ha formalmente negato alle autorità britanniche l’estradizione di Andrei Lugovoi, l’ex spia sospettata di essere coinvolta nella morte di Alexander Litvinenko, l’agente russo avvelenato nel novembre scorso a Londra con una sostanza radioattiva. Lo hanno reso noto fonti della procura britannica.
- Tre soldati del Ministero degli interni russo sono rimasti uccisi e cinque sono stati feriti in un attacco organizzato dai guerriglieri indipendentisti ceceni. Una mina è stata fatta esplodere lungo una strada del villaggio di Dishnie Vedeno, che i militari stavano percorrendo a bordo di un blindato. La Cecenia, governata con il pugno di ferro dall'alleato del Cremlino, Ramsan Kadirov, è pacificata solo sulla carta: con l'estate e grazie alla copertura della vegetazione, la guerriglia secessionista riprende le sue operazioni.
- Riprenderanno il 18 luglio a Pechino i colloqui a sei sul programma nucleare nordcoreano. Ne ha dato notizia l'agenzia di stampa sudcoreana, Yonhap, secondo cui la Cina - Paese ospite dei negoziati - ha notificato agli altri Stati coinvolti nel negoziato (Stati Uniti, Russia, Giappone, Corea del Nord e Corea del Sud) la ripresa delle trattative.
- Ucciso a Beledweyne, nella Somalia centrale, un membro della sezione svizzera dell'organizzazione umanitaria, Medici Senza Frontiere (MSF). Fonti dell’organizzazione affermano si tratti un regolamento di conti.
- Ancora sequestri in Nigeria. Ieri, un britannico e un bulgaro sono stati rapiti nel corso di un attacco ad un’istallazione petrolifera nella regione di Calabar. I nuovi rapimenti sono avvenuti a brevissima distanza dalla liberazione della piccola Margaret, la bambina britannica di 3 anni, rilasciata 48 ore fa. (A cura di Roberta Moretti e Beatrice Bossi)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LI No. 191
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