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SOMMARIO del 08/07/2007
Benedetto XVI all'Angelus: i missionari, portatori di un messaggio di pace nonostante tutto. Il Papa, che domani partirà per Lorenzago di Cadore, ha ricordato ai giovani l'appuntamento di Loreto
◊ L’immagine dei missionari, il valore del riposo estivo e della montagna in particolare, l’importanza dello sport come strumento di pace. Sono i temi toccati stamattina da Benedetto XVI nell’ultimo Angelus prima della sua partenza per il soggiorno dolomitico a Lorenzago di Cadore, che inizierà domani e si protrarrà fino a venerdì 27 luglio. Il Papa ha anche salutato i ragazzi che hanno concluso il tradizionale pellegrinaggio alla Croce sul Monte Adamello, dando appuntamento a tutti i giovani per l’Agorà di Loreto all’inizio di settembre. Il servizio di Alessandro De Carolis:
La “Vigna del Signore” richiede sempre nuovi operai, pochi rispetto alle esigenze del popolo di Dio. Benedetto XVI ritorna con questo Angelus ad una espressione a lui cara, che aveva contrassegnato l’esordio del suo Pontificato. Nel commentare il Vangelo di questa domenica, che racconta dell’invio dei sattentadue discepoli da parte di Gesù nei villaggi nei quali egli si apprestava a predicare, il Papa ha messo in risalto come l’evagelista Luca indichi che la missione non è appannaggio dei soli dodici Apostoli:
“C’è lavoro per tutti nel campo di Dio. Ma Cristo non si limita ad inviare: Egli dà anche ai missionari chiare e precise regole di comportamento. Anzitutto li invia “a due a due”, perché si aiutino a vicenda e diano testimonianza di amore fraterno. Li avverte che saranno “come agnelli in mezzo a lupi”: dovranno cioè essere pacifici nonostante tutto e recare in ogni situazione un messaggio di pace; non porteranno con sé né vestiti né denaro, per vivere di ciò che la Provvidenza offrirà loro; si prenderanno cura dei malati, come segno della misericordia di Dio; dove saranno rifiutati, se ne andranno, limitandosi a mettere in guardia circa la responsabilità di respingere il Regno di Dio”.
Concluso il pensiero spirituale, Benedetto XVI ha ricordato alle migliaia di fedeli radunati sotto la sua finestra in Piazza San Pietro che domani partirà per le montagne bellunesi di Lorenzago di Cadore, per due volte già meta estiva di Giovanni Paolo II. “L’aria di montagna mi farà bene - ha detto - e potrò dedicarmi spero più liberamente alla riflessione e alla preghiera”:
“Auguro a tutti, specialmente a chi ne sente maggiore bisogno, di poter fare un po’ di vacanza, per ritemprare le energie fisiche e spirituali e recuperare un salutare contatto con la natura. La montagna, in particolare, evoca l’ascesa dello spirito verso l’alto, l’elevazione verso la “misura alta” della nostra umanità, che purtroppo la vita quotidiana tende ad abbassare”.
Il pensiero della montagna ha suggerito al Pontefice un saluto particolare ai ragazzi e alle ragazze che proprio oggi, con la Messa celebrata ai tremila metri di quota del Passo della Lobbia, hanno vissuto il culmine del quinto pellegrinaggio giovanile alla Croce dell’Adamello, massiccio alpino tra le provincie di Trento e Brescia. Quindi, Benedetto XVI ha rilanciato l’invito per un importante evento:
“Rinnovo l’appuntamento a tutti i giovani italiani per i giorni 1 e 2 settembre a Loreto. A tutti voi auguro una buona domenica e buone vacanze! Arrivederci!”.
Nel saluti in cinque lingue del dopo Angelus, Benedetto XVI ha voluto ribadire che “gli sport sono un segno che la pace è possibile”. Lo ha fatto salutando in inglese i partecipanti al torneo di pallamano “Interamnia World Cup”, in programma nella città abruzzese di Teramo. “I partecipanti a questo evento - ha notato il Pontefice - vengono da più di cento differenti Nazioni, alcune delle quali sono in conflitto fra loro”. Dunque, “questa pacifica riunione di atleti - ha concluso - è un esempio di come gli sport possano portarci a stare insieme nello spirito di amicizia tra i popoli e le culture”.
Nomina
◊ In Svizzera, Benedetto XVI ha nominato vescovo di Chur mons. Vitus Huonder, finora vicario generale per i Grigioni della medesima diocesi. Originario della medesima diocesi, dove è nato 65 anni fa, il neo presule ha compiuto gli studi filosofici e teologici a Maria Einsiedeln, presso il Pontificio Ateneo S. Anselmo e all’Università di Fribourg, concludendoli con la Licenza in Teologia. Dopo l'ordinazione sacerdotale, è stato, fra l'altro, docente e parroco. Nel 1989 ha conseguito l’abilitazione in Liturgia all’Università di Fribourg. L'anno successivo, è stato nominato canonico del Capitolo Cattedrale e vicario Generale di Chur per i Grigioni, il cantone di Glarus e il Principato di Liechtenstein e dal 1995 è stato vicario episcopale per le questioni liturgiche e linguistiche regionali.
Il Motu proprio del Papa sulla Messa in latino "è un passo positivo": lo ha affermato il cardinale Lehmann, capo della Chiesa tedesca. Il commento del teologo, don Salvatore Vitiello
◊ “Con la sua iniziativa liturgica, Papa Benedetto vuol dare un contributo alla riconciliazione della Chiesa”. I vescovi tedeschi - come pure quelli francesi e svizzeri - sono in piena sintonia con lo spirito e le intenzioni dichiarate da Benedetto XVI nel suo Motu proprio Summorum Pontificum, che disciplina l’uso liturgico del Messale Romano del 1962. Ieri a mezzogiorno - al momento in cui il Motu proprio veniva ufficialmente reso noto - il presidente della Conferenza episcopale tedesca, il cardinale Karl Lehmann, ha tenuto una conferenza stampa a Monaco di Baviera per esprimere la posizione della Chiesa locale sul documento. Riascoltiamo alcuni passaggi del porporato, in questo servizio di Alessandro De Carolis:
Ich bin ganz fest davon überzeugt…
“Sono assolutamente convinto che si tratti di un passo positivo per tutti coloro che amano questo tipo di Messa e che non vogliono essere accantonati in un angolo come se appartenessero ad una setta e come se facessero qualcosa di anormale. Non è giusto mettere in negativo un tipo di Messa che nella Chiesa è stata utilizzata per secoli. Chi ha cercato di farlo e parla di rottura in questo senso, in realtà non ha capito nulla.”
Non fa certo uso di diplomazia a scapito della chiarezza, il cardinale Lehmann, nell’esporre il punto di vista della Chiesa in Germania circa il Motu proprio di Benedetto XVI. Tra l’edizione del Missale Romanum promulgata 45 anni fa dal Beato Giovanni XXIII e la forma rinnovata dopo il Concilio - si legge nel comunicato diffuso ieri a Monaco di Baviera - “non esiste una rottura, come certi dicono. Non esiste un fosso tra ‘l’ante-conciliare’ ed il ‘post-conciliare’. Esiste invece una continuità nell’evoluzione di cui però spesso non è dato conto”. Continuità che il cardinale Lehmann ha riconosciuto come un valore aggiunto a partire dalla sua stessa formazione sacerdotale:
Ich finde diese Messe ist etwas…
“Credo che questo tipo di Messa sia sempre stata parte della Chiesa, e quindi fa parte anche della mia vita. E’ vero anche che da giovane sacerdote in essa ho costruito la mia devozione per l’Eucaristia. Non l’ho mai percepita come un qualcosa di estraneo. Devo però anche dire che nei miei quasi 25 anni da vescovo ho sempre potuto constatare come, al di là di alcuni abusi, la riforma liturgica si possa considerare un’opera riuscita. C’è anche molto rispetto, le comunità l’hanno accettata di buon grado.”
In Germania come in altre diocesi del mondo, diversi gruppi hanno fatto da tempo richiesta di poter celebrare la Messa in Latino secondo l’antica forma liturgica. Ora, “con queste richieste - si afferma nel comunicato della Conferenza episcopale tedesca - i vescovi e i sacerdoti dovranno agire in modo saggio, per non perdere d’occhio l’interesse della comunità e per non far nascere delle controversie”. Uno scenario che il cardinale Lehmann ha presentato con la consueta incisività:
Die Zahlen - ohne dass ich jetzt mit Zahlen…
“Le cifre - senza volerci giocare o addirittura fare politica - le cifre dei cristiani, dei cattolici, che si sentono vicini alle forme tradizionali non sono poi cosi alte. Ovviamente, ci sono anche persone che vi aderiscono per varie e diverse ragioni. Se poi teniamo conto del fatto che nell’ultimo anno abbiamo offerto possibilità di celebrare la Messa tradizionale, forse non in modo adeguato ma pur sempre sufficiente, penso che l’atmosfera non dovrebbe essere poi troppo agitata. Spero che da entrambe le parti si riesca ad orientare le ‘teste calde’ verso una posizione più moderata. Questo, comunque, è ciò che vuole il Papa”. (Traduzione a cura di Mario Galgano)
Per un commento sui contenuti e sulle prospettive che si aprono con il Motu proprio di Benedetto XVI, Fabio Colagrande ha intervistato don Salvatore Vitiello, docente di Introduzione alla Teologia all’Università Cattolica di Roma:
R. - Non si tratta di un provvedimento restrittivo, ma di un allargamento delle possibilità di celebrare la sacra liturgia. In particolare, penso che si possa leggere questo intervento secondo la già reiterata posizione ratzingeriana dell’allargamento della ragione. Si tratta di non restringere nulla nella celebrazione, ma di allargare la possibilità che altri fratelli, in piena comunione con la Chiesa di Roma, in piena obbedienza al Papa e ai vescovi, soltanto desiderano celebrare in una forma diversa del medesimo Rito romano, possano farlo liberamente e credo che nessuno debba temere o debba avere paura della libertà. Laddove si amplia la libertà, si deve senz’altro gioire perché oggi la Chiesa è più libera: non è meno libera. E questo è molto importante, credo.
D. - Come leggere dunque questo provvedimento nel contesto del magistero di Benedetto XVI?
R. - Certamente, c’è un "filo rosso" che lega questo provvedimento all’ormai storico discorso del 22 dicembre 2005 alla Curia Romana, quando il Papa fece quell’intervento sull’ermeneutica del Concilio Ecumenico Vaticano II. Ci sono due ermeneutiche contrapposte, quella della discontinuità e della rottura, che il Papa ha chiaramente detto essere erronea perché foriera di equivoci, di disorientamento nel popolo, perché nella Chiesa non può esserci rottura: la Chiesa è un unico corpo mistico, che nei secoli cammina nella storia, e in essa ci sono giustamente riforme, o se si vuole “aggiornamenti”... Tuttavia, all'interno di questo sviluppo non si danno fratture. Dunque, il Papa in quel discorso famoso ha dichiarato con grande chiarezza e limpidezza che l’ermeneutica della discontinuità e della rottura nella Chiesa, la famosa ermeneutica dello Spirito conciliare non ha portato frutti, mentre silenziosamente - ha detto il Papa in quel discorso - l’ermeneutica della riforma sta portando i propri frutti, dopo oltre 40 anni. Per cui, alla luce di quel discorso lì, si può interpretare questo Motu proprio. Ritengo che làddove il Papa afferma - e questa è una novità grandissima: anche a livello linguistico dobbiamo correggere noi teologi, e i liturgisti dovranno farlo altrettanto, il linguaggio - che non si tratta di due riti: il Rito di San Pio V e il Rito di Paolo VI, ma si tratta di un unico Rito in due forme.
D. - Come verrà accolto questo documento? Quali previsioni si possono fare?
R. - Molto semplicemente, è un grande appello di obbedienza innanzitutto a noi sacerdoti e ai vescovi, per mostrare un volto unito. Credo che la grande sfida di queste prossime ore, giornate, settimane, sia mostrare al mondo il vero volto della Chiesa che è Una, Santa, Cattolica e Apostolica, unita a Pietro. Quindi, i vescovi dovranno dare l’esempio anche ai loro presbiteri, di profonda unità con il Vescovo di Roma. E se noi daremo questo esempio di grande unità, anche il mondo dei media si allineerà e recepirà il documento secondo il suo vero spirito, senza far leva su possibili dissensi che qualcuno potrebbe anche avere, magari nel foro interno, ma - tenuto secondo l’esortazione della stessa Congregazione per la Dottrina della Fede sulla vocazione ecclesiale del teologo, che ovviamente si può anche applicare al pastore - senza esprimerli, senza creare fratture indebite che in questo momento assolutamente non favorirebbero la giusta recezione.
L'allarme inquinamento in Cina richiede urgenti misure che ne riducano il grave impatto ambientale. Intervista con Francesco Sisci
◊ E’ ancora allarme ambientale in Cina. E questa volta non viene lanciato dalle organizzazioni ambientaliste, bensì dallo stesso governo, che teme disordini sociali. Solo qualche giorno fa era giunta la denuncia della Banca Mondiale e dal Ministero dell’ambiente di Pechino della morte, in un anno, di 750 mila persone a causa dell’inquinamento. Al microfono di Massimiliano Menichetti, il corrispondente da Pechino del quotidiano “La Stampa”, Francesco Sisci, spiega come il problema dell'inquinamento sia avvertito dall'opinione pubblica cinese e dalle istituzioni:
R. - Direi che ci sono sia dei movimenti dal basso, sia dei movimenti da parte del governo centrale. I movimenti dal basso sono appunto le proteste di cui parlavamo. Da parte del governo cinese, c’è invece l’idea di promuovere una specie di "prodotto interno lordo verde", che ogni anno dovrebbe censire i danni ambientali. Il problema, però, è che se pure il governo centrale vuole promuovere questo, i governi locali sono molto più restii perché c’è un’alleanza tra imprese locali e capacità di attrarre sviluppo economico.
D. - Comunque, il Rapporto rileva, pur nella drammaticità del dato, un miglioramento rispetto agli anni passati...
R. - L’anno peggiore sembra essere stato il 2003: da quell'anno ad oggi, c’è stato un miglioramento. Naturalmente, non è un miglioramento significativo. Ciò che sta avvenendo in Cina - è bene ricordarlo - è quello che è successo da noi, in Italia, negli anni Cinquanta-Sessanta, o nell’Ottocento in Inghilterra. Questo sta avvenendo in Cina, naturalmente in una scala e in dimensioni senza precedenti nella storia dell’umanità, proprio per le dimensioni del Paese e la velocità della crescita economica in atto.
D. - La Cina accresce il proprio “PIL” a ritmi costanti. La tecnologia permette di salvaguardare l’aria, di tutelare l’ambiente: precauzioni che saranno introdotte altrettanto velocemente?
R. - Difficile dirlo, perché il problema della Cina è che oggi la tecnologia dovrebbe permettere minori danni ambientali, un più efficiente uso dell’energia, quindi minore inquinamento. Però, in realtà, c’è un altro problema: si è messo in moto quasi un miliardo e mezzo di persone che sta producendo una crescita che continua da quasi 30 anni a quasi il 10 per cento in più all’anno. E queste sono dimensioni e velocità senza metri di paragone.
In Nigeria, aggiornato a fine mese il processo contro la casa farmaceutica USA, Pfizer, accusata di sperimentazioni su 200 bambini affetti da meningite
◊ In Nigeria, è stato aggiornato al 30 luglio il processo, penale e civile, intentato dallo Stato settentrionale di Kano contro la multinazionale farmaceutica statunitense, Pfizer. L’azienda è accusata di aver sperimentato in maniera incauta, 11 anni fa, un nuovo medicinale su 200 bambini affetti da meningite. Secondo le autorità nigeriane, i test avrebbero causato la morte di quasi il 10% dei bambini, provocando negli altri danni irreversibili, come malformazioni, cecità, danni cerebrali e paralisi. Da parte sua, la società farmaceutica respinge tutte le accuse e ribadisce che le sperimentazioni sono avvenute con il consenso delle autorità locali dell’epoca. Per una riflessione su questo drammatico episodio, Roberta Moretti ha intervistato il prof. Aldo Morrone, responsabile della Struttura di medicina preventiva delle migrazioni, del turismo e della dermatologia tropicale dell’Ospedale San Gallicano di Roma:
R. - In un Paese dove normalmente c’è una forte mortalità infantile dovuta, come in questo caso, a malattie come la meningite, è possibile che il governo abbia stipulato un accordo con questa azienda e che poi ci sia stato qualcosa che abbia fatto saltare questi accordi. Probabilmente, sono mancate quelle autorizzazioni dei Comitati di bioetica e dei Comitati dei cittadini, che rendessero poi la sperimentazione ottimale. Non sappiamo esattamente se questo è accaduto, ci sarà un processo che lo dovrà confermare, ma sicuramente in Nigeria, soprattutto in quest’area dell’Africa subsahariana, ci sono delle ampie zone di ombra in cui questi episodi possono accadere.
D. - Qual è la situazione della sperimentazione e della distribuzione dei farmaci in Africa?
R. - Le industrie farmaceutiche internazionali e i distributori spesso inviano farmaci o vicini alla scadenza, o con una riduzione, o addirittura con un’assenza del principio attivo, e perfino i prodotti cosmetici spesso sono non solo privi di fattori essenziali, ma anche tossici. Fortunatamente, la vera scienza sta cercando di combattere dall’interno questo meccanismo perverso di riduzione di una pseudo-ricerca scientifica in mero profitto.
D. - Esiste una legislazione internazionale che ponga dei limiti a questi fenomeni?
R. - Esiste, ma queste organizzazioni, che potremmo definire realmente criminali, aggirano la legislazione internazionale con meccanismi di scatole cinesi, in modo tale che non si riesca esattamente ad arrivare al produttore e al distributore di questi farmaci, che sono dei veri e propri killer.
D. - Il fenomeno esiste solo in Africa o si sta diffondendo anche altrove?
R. - Purtroppo, esiste anche in altri Paesi. E’ evidente che più il Paese è povero e più è facile anche trovare delle modalità per aggirare la legislazione. Noi abbiamo assistito anche in America Latina e in Estremo Oriente all’uso di farmaci che abbiamo poi scoperto non contenere la quantità di principio attivo indicato sulla scatola.
D. - Lei ha aperto e dirige un ospedale a Mek’ele, nel nord dell’Etiopia. Vi è mai capitato qualche caso di patologie generate proprio dall’uso improprio di questi farmaci?
R. - Sì, purtroppo è accaduto varie volte che abbiamo scoperto che alcuni farmaci di provenienza molto strana, in particolare formalmente provenienti dall’Estremo Oriente, non contenessero il principio attivo. Ce ne siamo accorti perché, nel somministrarli, non ottenevamo nessuna risposta terapeutica.
Al Museo di Roma in Trastevere, la mostra-denuncia sulle torture inflitte nel carcere iracheno di Abu Ghraib
◊ "Abu Ghraib". Abuso di potere" è il titolo della mostra-denuncia inaugurata nel Museo di Roma in Trastevere, all'indomani della Giornata internazionale contro la tortura celebrata lo scorso 26 giugno. Le opere su carta dell'artista Susan Crile si ispirano alle famigerate fotografie scattate nel carcere iracheno di Abu Ghraib, cruda testimonianza di degrado e di disumane violenze perpetrate sullo sfondo della Guerra del golfo. A Mariella Zaffino, vicepresidente di ACAT-Italia, Azione dei Cristiani per l’abolizione della tortura, Philippa Hitchen della redazione inglese della nostra emittente ha chiesto di illustrare l'obiettivo della mostra:
R. - E’ quello di sensibilizzare, attraverso le opere d’arte, l’opinione pubblica, risvegliare le coscienze e far sì che persone che sono lontane mille miglia da questo problema ne prendano coscienza e facciano di tutto perché questo male venga estirpato.
D. - Sono immagini scioccanti queste della tortura dei prigionieri dentro Abu Ghraib, ma sono anche immagini che in qualche modo hanno fatto il giro del mondo e quindi forse non colpiscono più quanto dovrebbero. Secondo lei, come si combatte questo tipo di “assuefazione” a immagini sempre più violente?
R . - Le fotografie erano scioccanti però rimanevano anche fredde, asettiche, forse perché erano in bianco e nero. Queste immagini con i contorni col gesso, i colori tenui, riportano alla mente nella loro crudezza quello che è avvenuto. Sono un documento molto forte, scioccante, molto più coinvolgente delle fotografie: ti fanno veramente rivivere tutto ciò che i prigionieri e i detenuti di Abu Grhaib hanno subito. Io penso che l’arte possa trasmettere un messaggio molto più efficace di quanto non possano farlo dei convegni di esperti sul problema, dei dibattiti che possono essere anche molto culturali, ma lontani dalla realtà e da tutto ciò che, invece, questi quadri ci trasmettono con la loro crudezza, nella loro immediatezza.
D. - Secondo lei, il ruolo specifico della Chiesa, in questa lotta contro la tortura, qual è?
R. - Il ruolo della Chiesa dovrebbe essere quello di lavorare insieme per creare una nuova coscienza, per risvegliare una nuova concezione dell’essere umano. Nell’essere umano torturato, umiliato, oppresso, che noi vediamo nelle tele, c’è veramente Cristo. Io vedo Cristo torturato, Cristo crocifisso. C’è una bellissima immagine di un uomo disteso con il viso bianco: a me è sembrata il Cristo morto del Mantegna. Quindi, le Chiese devono veramente impegnarsi per combattere la tortura, la pena di morte, perché fa parte del messaggio delle Chiese in generale riconoscere la dignità dell’uomo, riconoscere nell’altro oppresso, umiliato, anche se colpevole, l’essere umano e quindi il Cristo che è in ognuno di noi.
Susanna Tamaro e Olivier Messiaen: musica e letteratura sulla fine dei tempi all’Abbazia di Fossanova per il 43° Festival Pontino
◊ “Il perpetuo, inesausto movimento” è il testo inedito che la popolare autrice Susanna Tamaro presenta questa sera all’Abbazia di Fossanova, alternandosi come voce recitante alla musica del compositore francese Olivier Messiaen, eseguita dal Trio Matisse assieme al clarinettista Sergio Dalmastro. L’appuntamento, nel cartellone del 43° Festival Pontino di Musica, è occasione per riflettere attraverso l'’espressione artistica e letteraria sui grandi temi contemporanei. A.V. ha intervistato la scrittrice:
D. - Susanna Tamaro, lei ha scelto di abbinare al Quartetto per la fine dei tempi di Messiaen un suo testo inedito scritto proprio alla fine del millennio scorso. Un testo sulla luce sul principio della vita e della morte, sull’energia, ma anche sul tradimento di questo principio da parte dell’uomo...
R. - Stavo riflettendo sulla situazione attuale dell’uomo: è inquietante, nel senso che ormai abbiamo raggiunto un livello di conoscenza, di tecnologia, di gestione tecnica della nostra vita altissimo, ma allo stesso tempo abbiamo un livello di evoluzione spirituale che sembra quasi si sia abbassato.
D. - La sua è proprio una denuncia di questa tecnologia disumanizzata, una denuncia dell’eutanasia e della fecondazione artificiale, sembra, quando scrive "la vita ve la date da soli, la stessa cosa fate con la morte"...
R. - Esattamente, è proprio questo il punto principale: penso che mettere la tecnologia nelle parti più misteriose dell’uomo sia qualcosa che impoverisce e rende l’uomo un oggetto. E questa è la negazione stessa della profondità e della grandezza dell’uomo. Credo che non si sia mai abbastanza allarmati rispetto a queste nuove tendenze che stanno sorgendo nella nostra società.
D. - Secondo lei, Dio è in procinto di togliere il suo sguardo dal mondo...
R. - Secondo me è molto arrabbiato... E anche Giovanni Paolo II negli ultimi mesi della sua vita aveva proposto questa riflessione. Credo che, in fondo, abbiamo tutto e stiamo negando la bellezza del tutto. Vedo un degrado nel mondo e differenze di ricchezza, di istruzione, che diventano sempre più grandi e allora questo lo trovo molto doloroso perché è la negazione di quello che era il progetto dell’uomo.
D. - Qual è la sua speranza?
R. - La mia speranza è che si arrivi a un "crack", a qualcosa che faccia capire, che apra gli occhi su questo baratro nel quale stiamo serenamente precipitando.
D. - Poco dopo la stesura di questo suo testo inedito, l’11 settembre 2001, il priore di Bose, Enzo Bianchi, utilizzò il termine "apocalisse" per commentare questo fatto e l’Apocalisse ispira anche l’opera di Messiaen, scritta in un campo di concentramento. Che cosa vuol dir per lei oggi "apocalisse"?
R. - Credo che ci siano tanti segni che ci parlano, come l’11 settembre, di qualcosa che si sta avvicinando: segni che però, con quest’informazione continua e questo accavallarsi di notizie che abbiamo, sembra quasi cancellino l’emozione di una cosa. Credo che un segno grandissimo sarà la ribellione della natura perché la stiamo violentando, la stiamo impoverendo, la stiamo stravolgendo.
D. - La sua è anche una riflessione sulla musica, lei ne fa cenno nel testo: frutto della creazione e manifestazione della vita, quando gli angeli lasciano la terra la musica finisce, alla sinfonia cede il passo uno stridio...
R. - Lo stridio è quello che stiamo producendo noi e la sinfonia è quella interna al Creato. Tutta la vita è ritmo, armonia, bellezza, che va dalle forme della geometria alle forme dei fiori, alla complessità del vivente, manifesta ogni forma di bellezza. Quello che produciamo noi è utilità, è un alto livello di conoscenza, che non produce una sinfonia ma uno stridio.
“La vita religiosa è un dono di Dio”. Così i vescovi colombiani nel documento conclusivo della loro 83.ma plenaria
◊ “La storia della Chiesa in Colombia ci mostra come i religiosi nella nostra patria hanno sempre lavorato per l’unica Chiesa con la piena consapevolezza che l’unità è un segno fondamentale, affinché gli uomini e le donne di tutti tempi possano accogliere la persona di Gesù”. E’ quanto affermano i vescovi colombiani nel documento conclusivo della loro 83.ma Assemblea plenaria che si è svolta dal 2 al 6 luglio. Nelle 14 considerazioni del documento, a firma di mons. Luis Augusto Castro Quiroga, arcivescovo di Tunja e attuale presidente dell’episcopato, prendendo spunto della V Conferenza di Aparecida, i presuli ringraziano “Dio per il dono alla Chiesa latinoamericana e colombiana per la presenza viva e centenaria della vita religiosa”. Una presenza che si è distinta fin dai tempi della colonizzazione e che dimostra “di essere stata chiamata a testimoniare in modo radicale la maniera di vivere specifica di chi ha esperimentato l'incontro con la persona di Gesù”. E’ una scelta di santità che - si legge - “non si identifica con un qualcosa da fare, bensì con un modo di essere che si fonda nella presenza dello Spirito Santo nel cuore di ciascuno”. Questo, secondo i presuli, è il dono che Dio ha dato alla Chiesa e come tale è irrevocabile. Non si nascondono però le difficoltà quotidiane “di annunciare il Regno di Dio”. Cercare nel dialogo la soluzione - affermano - “è un impegno comune dei religiosi e dei vescovi”. In questo quadro noi, spiegano, “siamo chiamati a collaborare reciprocamente affermando la nostra fondamentale uguaglianza come battezzati e riconoscendo la differenza nelle funzioni differenti nel servizio di annunziare il vangelo a tutti gli uomini e donne”. Tale diversità, si legge ancora, “si registra nelle forme differenti di vita apostolica che si unificano nella medesima fede impegnata nell’edificazione della Chiesa di Gesù”. Unità ovviamente non significa uniformità. “Sarebbe un impoverimento della Chiesa - precisano infatti i vescovi - poiché finirebbe per sottrarre la ricchezza della diversità della vita religiosa”. I presuli della Colombia concludono la loro nota ringraziando “tutti i religiosi e religiose per il lavoro che svolgono e per la loro testimonianza”. (L. B.)
I vescovi dell’Uruguay ribadiscono il loro "no" all’aborto, mentre il parlamento riflette sul progetto di legge sulla vita umana
◊ Le leggi devono “tutelare il supremo valore della vita di ogni essere umano in tutte le sue tappe”. E’ un passaggio del comunicato dei vescovi dell’Uruguay, riuniti in assemblea plenaria, pubblicato nei giorni scorsi. Di fronte al progetto di legge “sulla vita umana”, attualmente al vaglio del parlamento, i presuli tornato a ribadire che “il bene della vita di ogni essere umano è un valore costitutivo dell’ordine sociale: ecco perché la legalizzazione dell’aborto va collocata, in primo luogo, nel terreno dell’etica dei comportamenti umani che ci consente di distinguere il bene dal male, motivando ed educando verso questi valori”. Proprio su questo fondamento etico, prosegue la dichiarazione, “si costruisce la dignità e la speranza di ogni famiglia e della nostra società”. Le situazioni provocate da gravidanze non desiderate - specificano i presuli - “non possono essere risolte eliminando vite umane, in particolare, quelle di esseri umani fra i più indifesi”. Di qui, l’appello alla “sensatezza di coloro che hanno responsabilità di legiferare sui diritti umani, diritti che - concludono - sono il fondamento ultimo di una società giusta e solidale”. (L. B.)
Centinaia di fedeli dello Sri Lanka riuniti in preghiera nel Santuario mariano di Madhu per la pace nel Paese
◊ Circa tremila fedeli hanno pregato per la pace in Sri Lanka in occasione della festività annuale del santuario di Nostra Signora di Madhu, il più famoso luogo di devozione mariana nel Paese. Le celebrazioni si sono svolte in modo pacifico. Il governo ed e ribelli di recente hanno raggiunto un accordo sull'istituzione di una "Zona di pace" intorno al Santuario, durante le principali ricorrenze mariane dai primi di luglio a metà del mese successivo. Madhu, 220 km a nord della capitale Colombo, è sotto il controllo delle Tigri tamil e quindi irraggiungibile dai pellegrini senza correre enormi rischi. La diocesi si era preparata alla festività con una novena, iniziata il 23 giugno, momenti di recita del rosario e adorazione presso lo stesso Santuario. La mattina del 2 luglio scorso, il vescovo di Mannar, Rayappu Jospeh, ha celebrato una messa insieme a 20 sacerdoti. "Sono venuti solo tremila fedeli - racconta ad AsiaNews p. Jude Cross, direttore dell'"Ampian Co-ordinating Centre" di Mannar - erano per lo più tamil della zona di Vanni e solo 20 singalesi da Puttalam e Negombo". Il sacerdote confida in un numero più alto di pellegrini per l'Assunzione, quando "avremo il sostegno di governo e Tigri" per garantire l'incolumità dei fedeli. La proposta di Madhu come "Zona di pace" era stata avanzata dalla Chiesa locale dopo l'inasprirsi del confronto militare tra esercito e ribelli delle Tigri tamil nell'area. Il Santuario è situato in una foresta e vi si recano in pellegrinaggio anche indù e buddisti. Dopo la firma del cessate-il-fuoco nel 2002, centinaia di migliaia di persone hanno cominciato a visitare il Santuario in occasione delle principali festività a luglio, agosto e ottobre. (R.P.)
Prosegue in Nepal l’impegno delle Missionarie della carità al fianco delle fasce più deboli della società
◊ Aiutare i disabili e i più deboli, dare speranza a chi non ne ha: è il lavoro svolto dalle Missionarie della Carità in Nepal. In questo ultimo anno, le Suore di Madre Teresa di Calcutta, arrivate nel Paese asiatico qualche anno fa con la speranza di poter migliorare le condizioni di vita de più disagiati, sono state testimoni di un cambiamento epocale che ha tolto ogni potere all’unico sovrano indù del mondo. Come riporta l’agenzia Asianews, la superiora delle Suore di Chabahil a Kathmandu, suor SK M. Lesile, racconta che dalla fine del conflitto armato tra la guerriglia maoista e il governo centrale - che ha causato 13 mila morti - molte cose sono migliorate, anche se c’è ancora molto da fare. Le missionarie prestano la loro opera di assistenza alla Pashupati Bridhashram della capitale Kathmandu, una casa di riposo dove vivono oltre 200 anziani, per lo più indù. Nel Paese himalayano, operano anche diverse altre Congregazioni religiose, molto attive soprattutto nel campo dell’educazione e della promozione umana. Su 25 milioni di abitanti in Nepal, i cattolici sono oggi circa settemila, concentrati essenzialmente nella capitale. (L. Z)
Servono dialogo e diplomazia per il consolidamento delle istituzioni in Congo. Così un rapporto della ONG "International Crisis Group"
◊ “Resta ancora molto da fare per consolidare la pace nella Repubblica Democratica del Congo”. E’ quanto afferma in un Rapporto intitolato “Congo: consolidare la pace” l’International Crisis Group, un’organizzazione non governativa specializzata nella studio e nell’analisi delle aree di crisi nel mondo. Pur riconoscendo i progressi fatti nell’ultimo anno dopo le elezioni del 2006 - che hanno permesso di riunificare il Paese dopo un lungo processo di transizione politica, seguito agli accordi di pace del 2003 che hanno messo fine ad una guerra regionale durata cinque anni - il documento rileva che la fragilità della situazione dovuta sia “ad una possibile deriva autoritaria del regime”, i cui rapporti con l’opposizione si sono deteriorati, sia dal permanere di una forte situazione di instabilità nell’est del Paese. “Se è poco probabile che esploda una guerra aperta - afferma l’agenzia Fides citando il Rapporto - le violenze nel Bas-Congo (ovest) e a Kinshasa, all’inizio del 2007, che hanno fatto più di 400 morti, e le nuove minacce di guerra nei due Kivu ci ricordano quanto il Paese rimanga fragile”. Per migliorare la situazione, l’International Crisis Group raccomanda al governo congolese di lavorare insieme alla Missione delle Nazioni Unite in Congo (MONUC) e alle istituzioni locali per lanciare “un’iniziativa globale per la pace nel Kivu”, la regione orientale ancora insicura per la presenza di milizie armate. Dal canto suo, anche la Chiesa cattolica è intervenuta più volte per denunciare le violenze contro la popolazione dell’area. Il Rapporto invita il Congo e i suoi vicini orientali ad utilizzare “la diplomazia e il dialogo” per risolvere le loro controversie e suggerisce l’elaborazione di un “Libro bianco” sull’esercito e un altro sulla giustizia per affrontare le gravi carenze ancora presenti in questi due delicati settori. (E. B.)
A Bamberg, in Germania, le celebrazioni per il Millennio dell'arcidiocesi
◊ Celebrazioni ieri a Bamberg, in Germania, per il Millenario dell’Arcidiocesi, alla presenza dell’inviato speciale di Benedetto XVI, il cardinale Friedrich Wetter, arcivescovo emerito di München und Freising. La Diocesi venne creata il 1° novembre 1007 per iniziativa del re - poi imperatore - Enrico II e della consorte Cunegonda, entrambi iscritti dalla Chiesa nell’albo dei Santi. Con tale iniziativa, il re desiderava da un lato continuare la tradizione dei suoi predecessori in ordine alla fondazione di vescovadi, dall’altra evangelizzare gli slavi residenti nella regione dell’alto corso del Meno. Ad Enrico II, si deve anche la costruzione della Cattedrale e della scuola cattedralizia per la formazione dei chierici. Primo vescovo di Bamberg fu Eberardo, che resse la diocesi dal 1007 al 1040. Alla sua morte, fu eletto vescovo Suitgero, che dopo alcuni anni divenne Papa con il nome di Clemente II (1046-1047), sepolto nella Cattedrale di Bamberg. Il giubileo diocesano si è aperto il 1° novembre 2006 con un solenne Pontificale presieduto dall’arcivescovo Ludwig Schick, al quale Benedetto XVI indirizzava un messaggio augurale, unendosi spiritualmente alla diocesi nella felice circostanza del Millenario e rallegrandosi, fra l’altro, per il motto delle celebrazioni: rafforzare la fede, vivere la comunione, essere disponibili verso gli uomini. Nell’ambito delle diverse manifestazioni giubilari - che si concluderanno il 1° novembre 2007 - l’arcidiocesi ha lanciato un’iniziativa sociale dal titolo “Formazione, lavoro, futuro”, rivolta in particolare alla creazione di nuove possibilità educative e di posti di lavoro per i disoccupati di lungo periodo. (R.P.)
Si apre oggi in Portogallo il 24.mo Colloquio europeo delle parrocchie, alla presenza di numerosi teologi e biblisti
◊ Si apre oggi nella città di Porto, in Portogallo, il 24.mo Colloquio europeo delle parrocchie, sul tema “Abitare cristianamente il nostro tempo”. All’iniziativa sono attesi circa 200 partecipanti di 18 Paesi d’Europa, con una significativa rappresentanza dell’est europeo, che nei giorni del convegno si confronteranno sull’impegno richiesto ai cattolici di fronte alle sfide della cultura di oggi. A guidare le riflessioni, saranno pagine della Sacra Scrittura e documenti magisteriali, in particolare la Costituzione conciliare Gaudium et Spes e il Decreto Ad Gentes. L’ampia tematica sarà sviluppata da teologi e pastoralisti, tra cui il catalano mons. Ignasi Mora i Terrats, il belga mons. Alphonse Borras, vicario generale della diocesi di Liegi, l’italiano don Luca Bressan, docente alla Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale, e il portoghese Júlio Franclim do Couto, parroco nella diocesi di Aveiro e docente di Sacra Scrittura all’Istituto Superiore di Studi Teologici di Coimbra. (R.P.)
“Il nostro sangue” per una “rivoluzione islamica in Pakistan”: così, gli studenti coranici, asserragliati da sei giorni nella Moschea Rossa di Islamabad - Nuova strage di reclute in Iraq: in 17 muoiono per un’esplosione al passaggio del convoglio che le trasportava
◊ Non accenna ad allentarsi la tensione in Pakistan, dove studenti integralisti islamici sono asserragliati da sei giorni nella Moschea Rossa di Islamabad, facendosi scudo di centinaia di donne e bambini. I ribelli, che non intendono arrendersi alle forze di sicurezza pakistane, chiedono l’applicazione nel Paese della sharia, la legge cranica, ispirandosi all’impostazione ultraortodossa dei Talebani in Afghanistan. La cronaca, nel servizio di Roberta Moretti:
“Crediamo fermamente che il nostro sangue porterà verso una rivoluzione (islamica) nel Paese”: questa, la risposta del leader degli studenti coranici, Ghazi, al presidente pakistano, Musharraf, che ieri aveva esortato gli estremisti ad arrendersi, avvertendoli che in caso contrario avrebbero potuto essere uccisi. Ghazi ha precisato, inoltre, che i ribelli hanno viveri e munizioni per resistere nella Moschea anche un mese. Secondo gli studenti, le forze governative avrebbero già ucciso 70 ribelli, di cui 30 donne. Il bilancio ufficiale parla invece di circa 20 morti. Tra questi, anche un alto ufficiale dell’esercito pakistano, il colonnello Tariq Islam, la cui uccisione è stata annunciata stamani da fonti militari. Intanto, le forze di sicurezza hanno minato una parte del muro perimetrale della Moschea, nel tentativo di permettere la fuga delle donne e dei bambini rinchiusi. Segnalata, poi, dai militari, la presenza nell’edificio di due comandanti di un movimento legato ad al Qaeda e all’assassinio del giornalista americano, Daniel Pearl, avvenuto in Pakistan nel 2002. Intanto, secondo il New York Times, il rischio di mettere in pericolo le relazioni col Pakistan avrebbe spinto nel 2005 l'amministrazione Bush a bloccare un'operazione militare contro al Qaeda nel Paese.
- Ennesima mattinata di sangue in Iraq. Almeno 17 reclute irachene sono rimaste uccise nei pressi di Baghdad per un’esplosione al passaggio del convoglio che le trasportava. Venti i soldati feriti. Non è chiaro, al momento, se l'attentato sia stato compiuto con una bomba posta sul percorso del convoglio o se un kamikaze si sia lanciato con la sua auto contro i mezzi militari. Le reclute erano arabi sunniti che provenivano dalla provincia di Anbar. Otto morti, poi, per due autobomba esplose in altrettanti quartieri sciiti nel centro della capitale. Intanto, è salito a 130 morti il bilancio dell’attentato compiuto ieri con un camion bomba nel mercato della cittadina settentrionale di Emerli, mentre ancora 20 persone risultano disperse. L’esplosione ha distrutto 50 piccoli negozi e altrettante abitazioni. E sempre nel nord, un soldato americano è rimasto ucciso ieri per un’esplosione nei pressi del suo veicolo nella provincia di Salaheddine. Secondo le cifre ufficiali del Pentagono, sono almeno 3.600 le vittime USA nel conflitto iracheno, dal marzo 2003.
- Nuove denunce delle autorità afghane sulle stragi di civili vittime del "fuoco amico" americano e nuove smentite dalla forza internazionale a guida USA. Il capo del consiglio di un distretto della provincia di Farah ha detto che un raid aereo ha causato ieri 108 morti, mentre il governo di Kabul ha annunciato un’inchiesta su Farah e su un’altra possibile strage nella provincia orientale di Kunar.
- Il governo israeliano ha approvato la liberazione di 250 detenuti palestinesi di Al-Fatah su richiesta del premier Olmert, per rafforzare l'immagine del presidente dell’ANP, Abu Mazen, di fronte al suo popolo, in alternativa ad Hamas. Il rilascio era stato promesso da Olmert nel recente vertice di Sharm El-Sheikh. Giorni fa, in un incontro segreto, il premier del governo palestinese d'emergenza, Fayyad, e il ministro israeliano della Difesa, Barak, hanno parlato di attività militari israeliane e di agevolazioni per spostamenti della popolazione palestinese in Cisgiordania. Intanto, miliziani palestinesi della Jihad islamica hanno rivendicato il lancio di sette razzi dalla Striscia di Gaza verso zone agricole israeliane nel deserto del Neghev. Colpito un edificio scolastico non lontano dalla città di Sderot. L’attacco non ha provocato feriti.
- Hamas “saluta qualunque iniziativa che sia rivolta ad una ripresa dei colloqui diretti” con Fatah, il partito del presidente palestinese, Abu Mazen: con queste parole, un portavoce del movimento estremista islamico ha accolto l’iniziativa lanciata da un gruppo di imprenditori palestinesi che intendono promuovere il negoziato. Conscia dell'isolamento interno e internazionale nel quale è precipitata, Hamas si è anche detta compiaciuta dell’imminente ritorno a Gaza della delegazione egiziana, che si era ritirata subito dopo l'esplosione degli scontri che un mese fa hanno portato il movimento estremista ad assumere il controllo politico e militare di Gaza.
- Diventa più concreta la possibilità che la Siria decida di ricorrere alla forza per riassumere il controllo della alture del Golan, occupato da Israele nel 1967 nel corso della Guerra dei sei giorni. Lo afferma il quotidiano israeliano, Maariv, che dedica la prima pagina ad inquietanti "segni premonitori" raccolti dai servizi di intelligence dello Stato ebraico. Venerdì, un analogo avvertimento era stato lanciato da Dennis Ross, ex inviato in Medio Oriente del presidente USA, Bill Clinton.
- La pace in Medio Oriente, ma anche la questione nucleare iraniana e la missione UNIFIL in Libano. E’ ricchissima l’agenda che attende il presidente del Consiglio italiano, Romano Prodi, nel corso della visita di tre giorni in Israele e nei Territori palestinesi, al via oggi. A Gerusalemme, stasera Prodi sarà a cena con il premier israeliano, Olmert. Domani, l’incontro con il leader dell'opposizione, Netanyahu, e il ministro della Difesa, Barak. Martedì, Prodi incontrerà a Ramallah il presidente palestinese, Abu Mazen, e il premier, Fayyad. Poi, a Betlemme, visiterà il campo profughi Dheisheh.
- Almeno uno degli uomini arrestati per i mancati attentati di Londra e Glasgow aveva avuto di recente un contatto con Al Qaeda in Iraq. Lo ha affermato un alto responsabile della sicurezza, citato dal Times on line. Scotland Yard avrebbe prove certe di contatti telefonici, nei mesi precedenti i falliti attentati, tra uno o più degli otto sospetti arrestati con leader terroristi in Iraq. Intanto, la polizia australiana ha liberato cinque medici fermati in relazione agli attentati sventati in Gran Bretagna. Resta invece in carcere il medico Haneef, fermato all'aeroporto di Brisbane.
- La bambina britannica di tre anni rapita due giorni fa a Port Harcourt, in Nigeria, potrebbe essere liberata nel giro di 24 ore. Lo ha detto un portavoce della polizia locale, precisando di disporre di informazioni sul luogo dove la bambina si trova. Intanto, i ribelli del Movimento per l’emancipazione del Delta del Niger (MEND), autori di numerosi sequestri di tecnici stranieri, si sono impegnati a ritrovare la bambina e a punire i responsabili del rapimento.
- Una potente esplosione è stata udita nei pressi dell'aeroporto di Colombo, capitale dello Sri Lanka. Lo hanno riferito fonti locali. Lo scalo, l’unico internazionale del Paese, è utilizzato anche dall'Aeronautica militare. Al momento, non si conoscono altri particolari.
- Nelle Filippine, esponenti del gruppo di Abu Sayyaf, considerato vicino alla rete terroristica di al Qaeda, sarebbero implicati nel rapimento di padre Giancarlo Bossi, il sacerdote italiano rapito il 10 giugno scorso nel sud del Paese. E’ questa la tesi del consigliere per la sicurezza nazionale del presidente Arroyo, Gonzales, secondo il quale le autorità locali si attendono la pubblicazione di nuove foto del missionario, che proverebbero che il sacerdote è vivo.
- L’Australia ha lanciato l’allerta su possibili imminenti attacchi terroristici in Indonesia, inclusa l’isola di Bali. In particolare, il Dipartimento australiano degli Esteri ha segnalato, in un rapporto ufficiale, che i terroristi starebbero pianificando attacchi che potrebbero aver luogo in qualsiasi momento.
- Il presidente venezuelano, Hugo Chavez, ha nominato il generale dell'esercito, Gustavo Rangel Briceno, nuovo ministro della Difesa e comandante in capo delle Forze Armate. Briceno, che era ispettore generale dell’esercito e capo della quarta Divisione di fanteria, sostituisce il generale Raul Isaias Baduel, andato in pensione. (Panoramica internazionale a cura di Roberta Moretti)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LI No. 189
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