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SOMMARIO del 05/07/2007
Sostenere la famiglia nel progetto cristiano e chiedere ai laici coerenza di comportamenti pubblici per contrastare i mali della secolarizzazione: cosi, il Papa ai vescovi della Repubblica Dominicana
◊ Di fronte alle sfide del mondo globalizzato, Benedetto XVI ha raccomandato stamani ai vescovi della Repubblica Dominicana in visita ad Limina di annunciare il Vangelo “in modo chiaro e preciso”, nei diversi ambiti della società, valorizzando il ruolo della famiglia, dei sacerdoti e dei laici. Il servizio di Roberta Gisotti:
Si è unito il Papa alle “preoccupazioni” dei presuli dominicani, che pure testimoniando una Chiesa “viva, dinamica, partecipativa”, hanno lamentato “i sintomi di un processo di secolarizzazione”, dove “per molti, Dio non rappresenta l’origine e la meta, né il sentimento ultimo della vita”. Ciò nonostante il popolo dominicano mantiene nel fondo “un’anima profondamente cristiana”, ha sottolineato Benedetto XVI, da cui ripartire per raggiungere l’obiettivo primario di annunciare la verità su Cristo e sull’uomo ad ogni creatura, sostenendo anzitutto le famiglie, “Chiesa domestica”, perché “non restino sole davanti le grandi sfide che debbono affrontare”, ma che siano sostenute e animate dalla comunità ecclesiale nel loro progetto cristiano di vita cosi spesso soggetto ad attacchi e pericoli. Il Papa ha citato in particolare “il dramma del divorzio e le pressioni per legalizzare l’aborto, cosi come la diffusione delle unioni in disaccordo con il disegno del Creatore sul matrimonio”.
“La famiglia ha diritto a tutto l’appoggio dello Stato per realizzare pienamente la sua missione”. Ha chiesto, quindi, il Santo Padre la collaborazione delle istituzioni pubbliche “per proteggere la stabilità della famiglia e favorire il suo progresso spirituale e materiale, che ritornerà per una migliore formazione dei figli”.
Da qui l’importante ruolo dei laici, cui spetta il compito di “promuovere i valori umani e cristiani per illumnare la realtà politica, economica e culturale del Paese, al fine di instaurare un ordine sociale più giusto ed equo, secondo la Dottrina sociale della Chiesa”. “In coerenza con le norme etiche e morali” – ha raccomandato il Papa - i laici “devono dare buon esempio di onestà e trasparenza nella gestione delle loro attività pubbliche” a fronte della diffusa piaga della corruzione, che ha investito anche il potere politico ed economico e gli altri ambiti sociali del Paese caraibico. Rifuggire quindi dall’avere “due vite parallele: da una parte, la cosiddetta vita spirituale, con i suoi valori ed esigenze; e dall’altra, la cosiddetta vita secolare, cioè, la vita della famiglia, del lavoro, delle relazioni sociali, del compromesso politico e della cultura” Al contrario – ha richiamato il Papa – i laici “devono sforzarsi perché la coerenza tra la loro vita e la loro fede sia un'eloquente testimonianza della verità del messaggio cristiano”. Speciale rilievo i laici debbono, inoltre, avere nei mezzi di comunicazione sociale per evangelizzare la cultura che pervade una Nazione.
Un ultima raccomandazione per i vescovi dominicani di assistere da vicino i loro sacerdoti in tutte le loro necessità personali e pastorali e di curare le vocazioni attraverso una formazione integrale, e valutando attentamente “l’idoneità umana e cristiana dei seminaristi”.
Altre udienze
◊ Nel corso della mattinata, Benedetto XVI ha ricevuto in udienza il cardinale Sergio Sebastiani, presidente della Prefettura degli Affari Economici della Santa Sede. Oggi pomeriggio, il Papa riceverà in udienza il cardinale Francis Arinze, prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti.
Dopo l’appello del Papa per la pace in Colombia, i vescovi colombiani chiedono il rilascio dei sequestrati e indicono una giornata di preghiera
◊ A pochi giorni dall’appello di Benedetto XVI, all'Angelus di domenica scorsa, per la fine delle violenze e dei sequestri in Colombia, i vescovi colombiani, riuniti in assemblea plenaria, hanno ribadito “con forza” in un comunicato, a firma del loro presidente, l’arcivescovo di Tunja, mons. Luis Augusto Castro Quiroga, “la necessità di arrivare a un accordo umanitario che consenta il ritorno a casa, sane e salve, di tutte le persone oggi private dalla loro libertà”. I presuli colombiani celebreranno la Santa Messa, oggi a mezzogiorno ora locale, presso il Duomo di Bogotà per implorare da Dio pace e riconciliazione. A loro si uniranno i fedeli di tutte le parrocchie della Colombia, dove verrà celebrata l’Eucaristia. Il nostro servizio:
“Esigiamo la liberazione di tutti i sequestrati, uomini e donne, senza alcuna condizione”: questa la viva esortazione dei vescovi colombiani. I presuli riprendono il vibrante appello di Benedetto XVI all’Angelus di domenica scorsa, dopo l’uccisione di undici deputati del dipartimento della Valle del Cauca, tenuti in ostaggio dalle Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (FARC) da cinque anni. Riascoltiamo le parole del Santo Padre:
“Mentre elevo preghiere in loro suffragio, mi unisco al profondo dolore dei familiari e dell’amata nazione colombiana, ancora una volta funestata dall’odio fratricida. Rinnovo il mio accorato appello affinché cessi immediatamente ogni sequestro e vengano restituiti all’affetto dei loro cari quanti sono tuttora vittime di tali inammissibili forme di violenza”.
Nel comunicato, i presuli colombiani offrono la loro disponibilità per procedere alla consegna ai parenti dei corpi dei deputati e del maggiore dell'esercito regolare, Guevara Castro, morto il 28 gennaio 2006, mentre era nelle mani dei rapitori. Esprimendo, quindi, solidarietà e partecipazione alle famiglie dei rapiti, i vescovi condannano duramente la pratica del sequestro, definita “un gravissimo attentato contro la vita, del quale siamo tutti responsabili, che colpisce non solo la persona sequestrata, ma anche i suoi affetti, la società colombiana e, infine, l’intera nazione”. “Di fronte a un tale disprezzo per la vita – aggiungono i vescovi – dobbiamo proclamare ancora” il suo “carattere sacro”, “in quanto dono di Dio”. Infine, i vescovi rinnovano il loro impegno per continuare a lavorare con tutte le comunità allo scopo di individuare “autentici cammini di perdono, riparazione, riconciliazione e verità”. “Perciò – esortano – convochiamo tutti, uomini e donne di buona volontà, a esprimere pubblicamente sentimenti di solidarietà, rifiutando ogni forma di violenza, da qualsiasi parte essa provenga”. E concludono: “Apriamo le nostre chiese affinché tutti possano rivolgersi al Principe della pace, Gesù Cristo, e chiedergli ciò che aneliamo: la sua pace”. (A cura di Luis Badilla e Roberta Moretti)
Un documento ricco di novità che esorta al dialogo e alla riconciliazione: la riflessione dello storico Giovagnoli sulla Lettera del Papa ai cattolici cinesi
◊ La Lettera di Benedetto XVI ai cattolici cinesi rappresenta storicamente una grande novità: è quanto sottolinea il prof. Agostino Giovagnoli, docente di storia contemporanea all’Università Cattolica di Milano. Esperto di questioni cinesi, il prof. Giovagnoli si sofferma nell’intervista di Alessandro Gisotti sugli aspetti inediti di questo documento pontificio:
R. – Anzitutto, è rivolta ai cattolici della Repubblica Popolare Cinese, quindi in apertura viene espressamente richiamata l’espressione “Repubblica Popolare”, cioè lo Stato comunista della Cina. La Lettera è, inoltre, rivolta a tutti i cattolici cinesi, senza distinzioni fra i vari gruppi cosiddetti “ufficiali” oppure “underground”. Già nell’apertura, perciò, c’è questo tono di innovazione. Ma la novità vera è nella sostanza, nel senso che il messaggio fondamentale della Lettera, cioè il messaggio dell’unità dei cattolici da raggiungere attraverso le vie della riconciliazione, dell’intesa, del perdono reciproco, direi che prevale su tutto il resto. Il Papa indica davvero una direzione nuova al cattolicesimo cinese, disinnescando, in qualche modo, quella costante tensione che ha accompagnato la presenza cattolica in Cina negli ultimi 50 anni. Questa è una novità veramente rilevante e alla quale si collega strettamente anche un modo diverso di rapportarsi al Governo cinese, che è molto sereno nelle sue linee di fondo.
D. – Dunque, una Lettera caratterizzata da un linguaggio sereno, dialogante. Le parole del Papa sembrano inoltre incoraggiare la comunità cattolica cinese, che ha sofferto e soffre tuttora tensioni e divisioni…
R. – Certamente. Direi anzi che la Lettera è anche audace in alcuni passaggi, per esempio laddove invita i cattolici, tutti, a cercare il riconoscimento da parte delle autorità. Autorità, queste, che vengono ulteriormente rassicurate da una frase in cui si dice che mai la Chiesa cattolica cerca il cambiamento delle strutture politiche o amministrative come sua finalità specificità, seppure non si tira indietro nell’affermazione di principi di giustizia. Direi che in qualche modo – se mi è lecita un’espressione impropria per un documento di questo genere – questa Lettera potrebbe essere letta come la “rottura” più totale rispetto ad una logica di guerra fredda, che è stata percepita in passato da parte di Pechino nei confronti del Vaticano. Un particolare molto interessante è che in questa Lettera non ci sono citazioni anteriori al Vaticano II. Sono numerose quelle di Giovanni Paolo II, sono numerose quelle dello stesso Benedetto XVI, ma si è voluto lasciare molto lontano un passato che è definitivamente passato, anche grazie a questa Lettera.
D. – Con la Lettera, il Papa istituisce una Giornata di preghiera della e per la Chiesa che è in Cina. Quali frutti possono nascere da questa iniziativa?
R. – Naturalmente i frutti più importanti sono quelli dello spirito e quindi non sono certo decifrabili dal punto di vista storico. Significativa è la scelta di una Giornata di preghiera il 24 maggio, Festa della Madonna di Sheshan. La Madonna di Sheshan è una Madonna verso la quale c’è in Cina una grande devozione: è collocata nella diocesi di Shangai, dove c’è anche il Seminario di questa diocesi; è una devozione condivisa dai cattolici “di sopra” e “di sotto”, come vengono chiamati in altre parole i “patriottici” e i “clandestini”. Quindi, anche questa Giornata rafforza ulteriormente quel senso così limpido dell’unità della Chiesa, della sua cattolicità se vogliamo, che Benedetto XVI ha voluto sottolineare sia per quanto riguarda la Chiesa in Cina, sia per quanto concerne i rapporti tra questa Chiesa e la Chiesa universale.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ Servizio vaticano - Il discorso di Benedetto XVI ai presuli della Conferenza Episcopale della Repubblica Dominicana: il Papa ha esortato a promuovere i valori umani e cristiani perché illuminino la realtà politica, economica e culturale del Paese.
Servizio estero - Medio Oriente: ancora sanguinose violenze nella Striscia di Gaza.
Servizio culturale - Un articolo di Piero Viotto dal titolo “Jacques Maritain e l'arte contemporanea”: storia di un dramma teatrale e di un quadro oggi esposto al Museo diocesano di Trento.
Una monografica dal titolo “Le più antiche testimonianze della diffusione del Cristianesimo a Pozzuoli”: importanti scoperte archeologiche nell'antico porto cosmopolita della Campania.
Servizio italiano - In rilievo il tema della giustizia.
Tensione in Pakistan, dove oltre 250 studenti integralisti continuano ad occupare la moschea Rossa di Islamabad
◊ In Pakistan, oltre 250 studenti e più di 800 studentesse che chiedono l'imposizione della legge islamica nel Paese, sono ancora asserrgagliati nella moschea Rossa di Islamabad. Il capo della moschea, arrestato ieri dalle forze di polzia mentre cercava di fuggire dall'edificio, ha chiesto agli studenti di arrendersi. Ma le violenze continuano. Il servizio di Amedeo Lomonaco:
Sono ripresi questa mattina gli scontri a fuoco nei pressi della moschea Rossa di Islamabad. L'area è circondata dalle forze di sicurezza pakistane che, prima di intervenire, hanno sparato una serie di colpi di avvertimento. Ma gli studenti, ancora asserragliati nella moschea, hanno risposto lanciando granate e non sembrano intenzionati ad arrendersi. La nuova sparatoria è avvenuta poco dopo la scadenza di un ennesimo ultimatum imposto dalle autorità pakistane. Il governo di Islamabad non ha, comunque, ancora autorizzato un intervento militare all’interno dell’edificio. L’esecutivo pakistano vuole evitare un ulteriore spargimento di sangue e non aggravare il bilancio degli scontri, costati la vita finora ad almeno 16 persone. All’interno della moschea, nota per ospitare giovani filo talebani provenienti da regioni di confine con l’Afghanistan, rimangono circa 250 studenti e 800 donne. L’obiettivo delle forze pakistane è di intensificare la pressione per convincerli alla resa. Ieri, anche il capo spirituale della moschea Rossa, arrestato mentre cercava di fuggire dall’edificio, ha rivolto un appello ai giovani affinché si arrendano. Finora, si sono arresi più di 1200 studenti. Ad ognuno di loro la polizia ha offerto circa 60 euro e l’immunità. Tuttavia, secondo le autorità di Islamabad, molti studenti sarebbero trattenuti dai leader religiosi, disposti a utilizzarli come scudi umani.
Le ragioni delle violenze di questi giorni in Pakistan si riscontrano in una situazione politica davvero complessa, dovuta in parte anche all'operato del classe dirigente. E' quanto sostiene Elisa Giunchi, docente di Storia ed Istituzioni dei Paesi Islamici presso l’Università Statale di Milano. L'intervista è di Salvatore Sabatino:
Indubbiamente, è uno Stato estremamente instabile, in cui vi sono grosse tensioni che in parte sono state causate dalla stessa classe dirigente, sia civile sia militare nei decenni scorsi. Nei decenni, cioè, si è creata una situazione in Pakistan per cui il governo al potere ha più volte usato l’estremismo religioso – e l’ha fatto anche Musharraf – per fini di politica interna ed estera; si è creato un "mostro" che in un certo senso non si può fermare, contribuendo alla radicalizzazione, alla "talebanizzazione" - potremmo dire oggi - della società che è impossibile interrompere con facili misure. Credo che la situazione non possa che peggiorare in questo senso.
D. – Da una parte l’estremismo islamico del Pakistan, dall’altra Musharraf, alleato degli Stati Uniti nella lotta al terrorismo. Il futuro pakistano, dunque, è proteso maggiormente verso l’una o l’altra posizione?
R. – Musharraf ha giocato su più livelli, al momento delle elezioni. Nel 2002, ha lasciato spazio ad una alleanza di partiti ultra religiosi, alcuni dei quali hanno legami con gruppi estremisti e terroristi in modo da togliere terreno a gruppi laici e democratici. Quindi, per avere in diversi casi l’appoggio di questa coalizione di partiti religiosi, per tenere a bada gli altri partiti che chiedevano la restaurazione di un sistema pienamente democratico, Musharraf è stato costretto, in questi anni, a chiudere un occhio su diverse cose che accadevano nel Paese, in parte nella capitale e poi a Karachi, a Lahore, soprattutto nelle aree tribali adiacenti all’Afghanistan. C'è dunque una politica di strisciante "talebanizzazione" che in verità è iniziata già negli anni ’90, che si è andata estendendo, e forse è questo l’elemento di novità, negli ultimi anni anche in molti centri urbani, nella stessa capitale, in aree quindi che sono molto più visibili. Questi eventi, come gli scontri avvenuti nei pressi della moschea Rossa, ci sono stati, appunto, anche negli anni '90. Ma sono avvenuti in periodi in cui ci si interessava meno del Pakistan e in aree dove non c'erano giornalisti stranieri.
In Iraq, ancora un rapimento di cristiani. Ai nostri microfoni, l’appello per la liberazione del vescovo ausiliare di Baghdad, Shlemon Warduni
◊ Si susseguono, purtroppo, in questi giorni le violenze nei confronti dei cristiani in Medio Oriente. Intanto, ieri sera a Roma, si è svolta una manifestazione perché cessino le persecuzioni nei loro confronti. L’iniziativa, lanciata dal vicedirettore del Corriere della Sera Magdi Allam, ha visto la partecipazione di circa 4 mila persone di diverse religioni e appartenenti a vari schieramenti politici. Sempre in queste ore, cresce, nelle Filippine, la preoccupazione per padre Giancarlo Bossi, rapito il 10 giugno scorso. Per il suo rilascio, il Pontificio Istituto Missioni Estere ha proposto, per il 10 luglio prossimo, una giornata di preghiera. Ed è di oggi la notizia, diffusa dall’agenzia AsiaNews, del rapimento a Baghdad di 4 cristiani, sequestrati mentre fuggivano dopo che alcuni terroristi avevano minacciato di ucciderli se non avessero lasciato la città. Al microfono di Tiziana Campisi ascoltiamo l’appello di mons. Shlemon Warduni, vescovo ausiliare dei Caldei di Baghdad:
R. – Questo mio appello è diretto a tutti gli uomini di buona volontà affinché alzino la voce contro questi terroristi, che sono poi nostri fratelli nel Signore. Dobbiamo, quindi, pregare il Signore affinché illumini le loro coscienze, le loro menti, allietando il loro cuore con la gioia. Io alzo la mia voce e dico a questi amici: "Perché comportarsì così? Tutto questo non porta alcun bene, a nessuno". E’ necessario che lascino le armi, che mettano da parte i rancori e le tensioni per amare il fratello, per riportare la pace e l’unità nel Medio Oriente. Negli ultimi mesi si nota un attacco feroce contro i cristiani, in modo particolare. Molti cristiani vengono minacciati, costretti a lasciare le loro case, senza poter portare via niente, oppure vengono uccisi. Due giorni fa sono stati uccisi quattro componenti di una famiglia cristiana assira; ieri è stato ucciso un altro caldeo. Tanti sono costretti a pagare la jizya, la somma che i musulmani impongono di far pagare alle minoranze, oppure i padri di famiglia vengono obbligati a dare le proprie figlie come mogli ai "principi". E’ sufficiente, a questi terroristi, avere poche armi per diventare "principi". E ci sono anche altri iracheni, appartenenti ad altre religioni, che vengono ugualmente uccisi e che, drammaticamente, vengono cacciati dalle loro case.
D. – In Iraq, come in altri Paesi, in questo momento, i cristiani stanno vivendo una situazione molto difficile. Cosa fare?
R. – Anzitutto noi stiamo pregando affinché il Signore illumini il cuore di tutti coloro che stanno cercando di “strappare” i fedeli alle loro religioni. Vogliamo sensibilizzare tutti i cristiani, in tutto il mondo, affinché sappiano che i loro fratelli stanno offrendo le loro sofferenze per tutti loro, che i cristiani del Medio Oriente chiedono le loro preghiere. E' necessario anche sensibilizzare ed attirare l’attenzione degli Stati perché si rendano conto che la guerra è una peste per tutto il mondo. Vogliamo altresì dire ai capi religiosi musulmani di cercare di mettere pace fra cristiani e musulmani, perché siamo fratelli, abbiamo un unico Dio e tutti quanti preghiamo Lui. Vogliamo la pace.
D. – Cosa può fare la comunità internazionale?
R. – La comunità internazionale potrebbe fare qualcosa soltanto se ci fosse una reale unità, se non ci fossero altri interessi.
Una rete di case-famiglia per aiutare i bambini di strada del Kenya: è l'iniziativa promossa dall'associazione "Koinonia International"
◊ Tra le molte associazioni e ONG che si occupano nel mondo di portare assistenza ai cosiddetti "bambini di strada" spicca un’associazione di laici denominata "Koinonia International". Si tratta di cinque istituti realizzati in Kenya dall’organizzazione, per un totale di 250 piccoli ospiti. Il loro punto di riferimento è padre Renato Kizito Sesana. La collega Beth Hay del nostro programma inglese-africa lo ha intervistato:
R. – Le case sono organizzate anche con il sistema famiglia: marito e moglie, che hanno già 1-2 o 3 figli e che accolgono nella loro famiglia altri bambini. Spesso il numero dei bambini è molto alto: abbiamo delle famiglie che hanno in casa, oltre ai loro figli, altri 15 bambini, ma riescono lo stesso a mantenere un'atmosfera di vera famiglia e i bambini riescono così a recuperare la loro tranquillità, riescono ad avere risposta a tutti i loro bisogni emotivi che sono stati trascurati quando erano sulla strada. Tutto questo grazie all’amore e la benedizione di queste coppie che si impegnano a trattarli come loro figli.
D – Il problema diminuisce o continua ad aumentare?
R. – Purtroppo, giovani e adulti che muoiono per l’AIDS sono ancora tanti e nell’immediato non se ne prevede una diminuzione. Il numero stesso dei bambini che di conseguenza resta senza cure e finisce in strada continua a crescere. D’altra parte, ci sono anche alcune azioni del governo positive, come la cancellazione – quasi cinque anni fa – delle tasse scolastiche per la scuola elementare e più di recente sono state abolite anche per le scuole superiori. Questo ha reso possibile anche alle famiglie povere di poter mandare i loro figli a scuole e ha fatto sì che questi bambini stiano lontani dalla strada. C’è tra l’altro una generale ripresa dell’economia del Kenya, che certo aiuta anche a far diminuire il numero dei bambini di strada. Purtroppo, però, credo che ancora per qualche anno, la parte del leone sarà giocata dalle forze negative e quindi i bambini ancora per qualche tempo continueranno a crescere sulla strada.
D. - Per sostenere questo programma, c’è anche qualche progetto qui in Italia?
R. – Noi abbiamo una Associazione in Italia che si chiama Amani, che in Swahili vuole dire pace, che fa per noi adozioni a distanza. Informazioni sull’Associazione si possono trovare in Internet, alla voce www.amani.forafrica.org. Sul sito è anche possibile trovare tutte le informazioni necessarie per le adozioni a distanza dei nostri bambini.
I giovani non si lascino deviare dalla logica della violenza: così, il vescovo di Adria-Rovigo, mons. Soravito, sul caso del Crocifisso oltraggiato in classe
◊ “Cari giovani non date lo sfratto a Cristo, ma fategli posto”: così, mons. Lucio Soravito, vescovo di Adria-Rovigo, in una lettera ai giovani della diocesi in seguito all’atto blasfemo compiuto nelle scorse settimane da alcuni studenti dell’Istituto per geometri Bernini, che dopo aver distrutto un Crocifissio, riprendendo la scena con un telefonino, hanno pubblicato su Internet il filmato. Mons. Soravito, ribadendo che tali gesti non rappresentano la realtà giovanile nel suo complesso, si domanda come sia possibile che simili azioni vengano riproposte sui siti Web e richiama la necessità di collaborazione nel ruolo educativo tra famiglie, scuole, parrocchie, associazioni sportive e sociali. Massimiliano Menichetti ha raccolto il commento del vicario generale della diocesi di Adria-Rovigo, don Claudio Gatti:
R. - Certamente è un gesto che colpisce profondamente la sensibilità del nostro popolo, in particolare i credenti ma non solo, perché è un gesto che manifesta un desiderio di calpestare un simbolo di valori fondamentali sui quali si è costruita e si costruisce la vita della nostra comunità. E’ una situazione che deve interpellarci tutti perché non sono bambini e quindi un minimo di consapevolezza e di coscienza dovrebbe esserci.
D. - Alcuni hanno parlato di un gesto giovanile, di una “ragazzata”: può considerarsi così?
R. - Non credo che si possa banalizzare e ridurre a una “ragazzata”, perché rischiamo in questo modo di lasciar passare tutto, giustificando tutto e motivando tutto. Credo che sia un gesto certamente grave, che deve farci riflettere tutti.
D. - Il rischio è che fatti come questi, proprio perché raccontati dai media, facciano pensare che buona parte del mondo giovanile percorra una strada sbagliata…
R. - Certamente questo gesto non vuol dire che tutti i giovani vivono questo atteggiamento, però c’è sotto un malessere, una mancanza di valori e di punti di riferimento che poi si sfoga in questi atti che apparentemente non hanno senso ma che manifestano questo vuoto e di questo dobbiamo preoccuparci.
D. - Pur senza ingigantire l’episodio, ci si domanda di chi sia la responsabilità: dei ragazzi, delle famiglie, della scuola?
R. - Partendo dalla responsabilità personale di ciascuno, ci si deve anche interrogare sul fatto che i ragazzi sono il frutto di una cultura che viene da loro respirata e allora le responsabilità sono delle famiglie che probabilmente devono recuperare una relazione, un dialogo, un rapporto vero. Le responsabilità sono delle agenzie educative, della scuola in primis che deve mettere al centro alcuni valori cominciando dal rispetto delle persone e dal rispetto delle fedi, delle religioni e certamente è anche responsabilità di comunità parrocchiali, di associazioni di vario tipo, ed è e sarà sempre più importante e necessario che queste agenzie collaborino.
D. - Il vescovo di Adria-Rovigo, mons. Soravito, parlando al cuore dei giovani, in una nota ha ribadito: "Non date lo sfratto a Cristo, accoglietelo"…
R. - Credo che oggi nella nostra cultura ci sia un po’ questo atteggiamento di pensare che la religione, in particolare Cristo, possa essere qualcuno che viene a togliere la nostra libertà, che viene a reprimere, a togliere spazi di realizzazione. Il vescovo, sulla scia del messaggio del Santo Padre, richiama come la proposta di Cristo sia una proposta, certo esigente, ma che viene ad aiutare la vera libertà, che viene a dare spazio a ciò che di più vero e di più grande c’è nel cuore dell’uomo e in particolare dei giovani.
Nelle diocesi di Belluno-Feltre e Treviso, cresce l’attesa per l’arrivo di Benedetto XVI
◊ Cresce l’attesa nelle diocesi di Belluno-Feltre e Treviso per l’arrivo di Benedetto XVI, che dal 9 al 27 luglio trascorrerà in forma privata un periodo di riposo a Lorenzago di Cadore (Belluno), ospite di una casa della diocesi di Treviso. “I foglietti che sono usati a Belluno-Feltre come sussidio per seguire letture e formulari della Messa domenicale – si legge nel sito internet della diocesi, www.diocesi.it/bellunofeltre, ripreso dall’agenzia SIR – sono dedicati esplicitamente, nelle introduzioni, ad approfondire il ministero del Papa nel mondo contemporaneo”. “A Lorenzago – continua il testo – è stato costituito un apposito Comitato (composto dal Comune, dalla parrocchia dei Santi Ermagora e Fortunato, da volontari), che ha predisposto un calendario di celebrazioni, tempi di preghiera e incontri culturali, per sensibilizzare tutti i concittadini all’arrivo del Papa. La comunità si pone fin da subito nell’atteggiamento di chi vede in Benedetto XVI soprattutto il successore di Pietro, che nella Chiesa universale ha il compito di confermare i credenti nella fede”. Anche nella diocesi di Treviso proseguono i preparativi per accogliere il Papa. “L’attesa – afferma il vescovo, mons. Andrea Bruno Mazzocato – si fa più concreta e, quindi, anche sostenuta dai preparativi che oramai stanno diventando anche più febbrili”. “Abbiamo avuto poco tempo – ha aggiunto – ma ho potuto vedere un bell’esempio di professionalità e di passione, che ci ha permesso di rendere la casa più accogliente per l’imminente arrivo di Benedetto XVI. Essendo delle vacanze private, noi auguriamo al Santo Padre di trascorrere un sereno periodo di riposo”. (R.M.)
Il ricordo di Giovanni Paolo II al centro delle Giornate di spiritualità e formazione dei giovani sul Monte Adamello
◊ Prendono il via oggi, sul Monte Adamello, le Giornate di spiritualità e formazione dei giovani, legate al ricordo di Giovanni Paolo II. Simbolo della presenza di Papa Wojtyla tra i ghiacciai dell’Adamello (nel 1984 e nel 1988) è la grande Croce a lui dedicata, collocata in alta quota in occasione del Giubileo del 2000. L’appuntamento culminerà sabato e domenica con il “V Pellegrinaggio dei giovani alla Croce dell’Adamello”, un evento che si inserisce nel percorso dell’Agorà e, in particolare, nel cammino di preparazione a “Loreto 2007” e “Sydney 2008”. Oggi alle 18, presso la chiesa di Santo Stefano a Carisolo, il cardinale Stanisław Dziwisz, arcivescovo di Cracovia e già segretario particolare di Papa Wojtyla, inaugurerà la mostra fotografica “Giovanni Paolo II - Benedetto XVI. I giovani, il Creato, la devozione mariana: un comune percorso”. Interverranno l’arcivescovo di Trento, mons. Luigi Bressan, il direttore dell’Ufficio comunicazioni sociali della CEI, don Domenico Pompili, e il prof. Giovanni Morello, curatore della mostra. Tra le varie attività, domenica mattina, il vescovo Giuseppe Betori, segretario generale della CEI, celebrerà la Santa Messa al Passo della Lobbia, a quota tre mila metri; al termine della liturgia, trasmessa in diretta su RAI Uno, si terrà la cerimonia di dedica a Giovanni Paolo II della “Sala conferenze ed esposizioni” del Rifugio “Ai caduti dell’Adamello”. (R.M.)
Detenuti delle carceri spagnole percorreranno il Cammino di Santiago de Compostela
◊ Gruppi di detenuti, funzionari, cappellani e volontari provenienti da diverse carceri spagnole percorreranno quest’estate a piedi il Cammino di Santiago del Compostela. Lo ha reso noto il cappellano che accompagnerà, per il quarto anno, il gruppo di Barcellona, José María Carod. “Fare il Cammino – ha spiegato Carod, citato dall’agenzia Zenit – è il modo migliore di contribuire alla riabilitazione e al reinserimento, perché il Cammino di Santiago colpisce tutti, non è una rotta culturale né sportiva, ma un pellegrinaggio nella vita interiore e nella vita di fede”. “La sofferenza, la capacità di sopportazione, la rinuncia per aiutare gli altri, la condivisione, l’ammirazione per la natura, la riflessione, la solidarietà negli alloggi... entrano dentro”, ha poi aggiunto. I reclusi provengono dal carcere di Nanclares de Oca, da quello giovanile della Trinidad di Barcellona e da quello di Albacete. L’attività fa parte del programma penitenziario, ma non riscatta le pene, come nel caso del progetto Oitoken, che dal 1982 offre questa possibilità a giovani reclusi del Belgio che si recano in Spagna per il Cammino di Santiago. (R.M.)
A Caracas, sessione aperta della Conferenza episcopale venezuelana, sulle conclusioni della Conferenza di Aparecida
◊ Presentare le conclusioni della V Conferenza generale dell’Episcopato latinoamericano e caraibico di Aparecida, nella prospettiva della loro integrazione con i grandi temi del Concilio plenario del Venezuela: è questo il senso della sessione aperta al pubblico che la Conferenza episcopale venezuelana tiene oggi a Caracas. Il Concilio – lo ricordiamo – ha impegnato la Chiesa del Paese dal novembre del 2000 all’ottobre del 2006, con sei sessioni di lavoro; l’iniziativa ha avuto come obiettivo quello di concretizzare orientamenti pastorali e modalità di un cammino di nuova evangelizzazione, volto a una conversione personale e comunitaria, a una maggiore comunione ecclesiale, a una più ampia condivisione con gli esclusi. A presentare una sintesi dei lavori di Aparecida sarà il cardinale Savino Jorge Liberato Urosa, arcivescovo di Caracas, mentre le grandi linee del documento finale dell’assise saranno illustrate, in una tavola rotonda, da mons. Baltazar Enrique Porras Cardozo, arcivescovo di Mérida, e da altri relatori. Nei successivi spazi di dibattito, alcuni temi di fondo della V Conferenza generale (proclamazione del Vangelo, comunione e discepolato, missione e nuova società, educazione, cittadinanza e società democratica) verranno analizzati in parallelo con i documenti su analoghe tematiche scaturiti dalle sessioni del Concilio plenario. (R.M.)
Al XV Meeting di Missiologia, in Vaticano, il segretario della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, mons. Sarah, denuncia un piano per liberalizzare l’aborto in Africa
◊ Approfondire le sfide etiche, quali la lotta contro i piani di riduzione delle nascite, gli aborti e le sterilizzazioni, e l’annuncio del Vangelo della Vita nelle terre di missione, in America Latina, Asia e Africa: questi, gli intenti del XV Meeting di Missiologia, conclusosi ieri presso il Centro internazionale di animazione missionaria in Vaticano, sul tema: “Fare missione oggi – fra spiritualità e sfide bioetiche”. Nel suo intervento, mons. Robert Sarah, arcivescovo emerito di Conakry, in Guinea, e segretario della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, ha denunciato con forza il tentativo di liberalizzare l’aborto in tutto il continente africano. Il presule ha ricordato che al Vertice dell’Unione Africana (UA) a Maputo, l’11 luglio del 2003, i Paesi africani hanno adottato il Protocollo sui Diritti delle Donne in Africa, che all’articolo 14.2c autorizza l’aborto. Il Protocollo di Maputo è entrato in vigore il 26 ottobre 2005, dopo aver raggiunto le necessarie ratifiche da parte di almeno 15 Paesi. Attualmente, sono 38 i Paesi che hanno sottoscritto il Protocollo, mentre 16 lo hanno già ratificato. In particolare, Libia, Rwanda a Senegal hanno ratificato il Protocollo, esprimendo però riserve sull’articolo 14.2c. Secondo il segretario del dicastero pontificio, quella di coniugare “la promozione della difesa della vita con la missione è per l’Africa la sfida del terzo millennio”. “L’Africa soffre già di tanti problemi – ha osservato il presule – per questo non può vedere la vita calpestata. Gesù è venuto per portare la vita”. Mons. Sarah ha ricordato che la Santa Sede aveva denunciato “l’imperialismo contraccettivo” già alla Conferenza dell’ONU sulla popolazione, che si è svolta a Il Cairo nel 1994. “L’aborto è lontano dalla cultura e dal popolo africano – ha sottolineato – e le conferenze episcopali di diversi Paesi stanno criticando il Protocollo di Maputo”. Proteste vigorose contro il Protocollo che autorizza l’aborto sono venute, tra gli altri, dalle Conferenze Episcopali dell’Uganda, del Mozambico e dall’Associazione delle Conferenze episcopali dell’Africa Centrale (ACEAC). Secondo quanto riportato dall'agenzia Zenit, i vescovi di Burundi, Rwanda e Repubblica Democratica del Congo hanno scritto nel corso della loro recente Plenaria che, “contrariamente a quello che pretende di cercare, la preservazione dei valori africani quali la legalità, la pace, la libertà, la dignità, la giustizia, il Protocollo di Maputo distrugge i valori africani in generale e della donna in particolare”. Mons. Sarah ha concluso la sua relazione spiegando che “per salvare l’Africa bisogna respingere questi piani di morte, e sostenere il lavoro dei missionari con la preghiera, l’ascolto in silenzio di Dio e l’educazione”. (R.M.)
“L’Australia può fare di più per il Sudan”: così, il vescovo sudanese di Tombura-Yambio, mons. Gasi, in visita ad Adelaide, dove la comunità proveniente dal Sudan sta crescendo rapidamente
◊ Il vescovo di Tombura-Yambio, nel Sudan meridionale, mons. Joseph Abangite Gasi, è stato recentemente ad Adelaide per ringraziare gli australiani del loro aiuto umanitario. Alla sua prima visita nel Paese, il presule ha espresso profonda gratitudine per l’aiuto dato ai rifugiati, ma ha anche dichiarato che “gli australiani possono fare di più”. Come riporta la “Croce del Sud”, citata dall'agenzia Fides, il vescovo ha sottolineato che c’è bisogno dei cattolici australiani in Sudan per insegnare alla popolazione, devastata da più di 20 anni di guerra e di carestia, ad acquisire nuove risorse e nuove capacità. In sostanza – ha dichiarato – “abbiamo bisogno di un supporto morale per continuare il processo di pace e di riconciliazione, per ricordare tutto quel che è accaduto, affinché non succeda di nuovo”. Durante la sua visita, il mons. Gasi ha incontrato i membri della fiorente comunità sudanese di Adelaide e ha celebrato la Santa Messa nella Cattedrale di San Francesco Saverio. Ha quindi informato sul miglioramento della situazione in Sudan, dove avvengono ancora sporadici scontri tribali, ma le chiese e il governo stanno lavorando infaticabilmente per allentare le tensioni. Nell’ultimo decennio, sono stati rilasciati visti di ingresso in Australia per cause umanitarie a oltre 14 mila sudanesi, due terzi dei quali sono arrivati a partire dal 2005. (R.M.)
Nelle Isole Fiji, l’arcivescovo di Suva, mons. Mataca, propone un “patto sociale” per costruire una nuova democrazia
◊ Scrivendo al quotidiano delle isole Fiji, “Fiji Times”, l’arcivescovo di Suva, mons. Petero Mataca, ha sottolineato due questioni fondamentali nella vita nazionale fijana: la proposta del governo di costruire un Paese migliore attraverso uno statuto sociale per il cambiamento e il progresso e la necessità di ricostruire la democrazia. Secondo il presule – riferisce l’agenzia Fides – la proposta di uno statuto sociale ha bisogno di uno sguardo morale profondo, che ispiri tutti gli abitanti a contribuire al bene comune della nazione, per rispettare le differenze in una società libera dalla corruzione e dalla discriminazione razziale. Riferendosi quindi alle tensioni razziali, ha chiesto rispetto e tolleranza per le diversità etniche e religiose, per la dignità umana, l’uguaglianza e la libertà, sottolineando la necessità di promuovere dibattiti su come costruire la futura società fijana. Questa attenzione morale – ha aggiunto l’arcivescovo Mataca – deve essere articolata e scritta nel cuore di ogni uomo e di ogni bambino, per dare senso all’essere parte della collettività fijana e non soltanto cittadini. Pertanto, secondo il presule, lo statuto dovrebbe essere rinominato “patto sociale” o “patto tra la gente”, visto che la parola patto è simile al contratto sociale, ma vive più a lungo e ha carattere intergenerazionale. "Ci ricorda – ha precisato mons. Mataca – che siamo i custodi del passato per il bene del futuro e responsabilizza sulle conseguenze delle nostre azioni. Infine – ha concluso il presule – la parola patto riporta alla dimensione spirituale, in quanto il patto che stipuliamo con gli altri include anche Dio come terza parte, perché gli sforzi per essere fedeli alla promessa che ci facciamo l’un l’altro non siano lasciati al caso, ma alla coscienza di ciascuno". (R.M.)
In Romania, il quarto Colloquio patristico della Fondazione Pro Oriente, sul tema dell’unità e della cattolicità nel Credo niceno-costantinopolitano
◊ L’unità e la cattolicità, così come sono espresse nel Credo niceno-costantinopolitano: su questo tema, si sono confrontati presso il monastero ortodosso di Brancoveanu, in Romania, i partecipanti al quarto Colloquio patristico della Fondazione Pro Oriente. La Fondazione, come è noto, è stata voluta negli anni Sessanta dal cardinale austriaco, Franz Kőnig, con l’intento di rinsaldare i rapporti tra la Chiesa cattolica e quelle orientali. La preghiera comune e l’amicizia hanno contraddistinto lo svolgimento dei lavori, cui hanno partecipato una trentina di studiosi e di ricercatori di 16 Paesi europei. Al termine dell’incontro, è stato auspicato che il prossimo Colloquio della Fondazione Pro Oriente fosse dedicato alla apostolicità della Chiesa. I tre precedenti colloqui, a Vienna nel 2001 e nel 2003 e a Lussemburgo nel 2005, sono stati dedicati al mistero della Santissima Trinità. (A.M.)
In un video di al Qaeda, minacce di nuovi attentati in Iraq - In Afghanistan, uccisi un soldato della NATO e 5 agenti afghani
◊ Nuovo video del numero due di Al Qaeda, Ayman Al Zawahiri: nel filmato il medico egiziano ha lanciato un appello ai musulmani per sostenere il movimento islamico in Iraq e in Afghanistan. Al Zawahiri minaccia attacchi anche “in Palestina e in Somalia”. E’ l’ottavo video diffuso dall’inizio dell’anno. Si tratta di pura retorica o è un modo per ricompattare i vari fronti terroristici? Salvatore Sabatino lo ha chiesto a Maurizio Calvi, presidente del Centro Alti Studi per la Lotta al Terrorismo:
R. – Credo che sia un problema di ricompattamento, più che un problema di retorica, come dire stringere le fila e quindi ri-determinare un’unità, sia delle strategie che nella comunicazione ... Sono tutti processi comunicativi che hanno come obiettivo quello della direzione politica, della strategia del terrore nel contesto globale.
D. – Oltre a quello di al Zawahiri è atteso un messaggio di Bin Laden, il numero uno di al Qaeda. Si può quindi parlare, in questo caso, di veri e propri messaggi politici?
R. – I processi comunicativi sono decisivi, perché attraverso tali messaggi ovviamente si lanciano indicazioni anche di carattere organizzativo, di strategie, anche se all’interno delle strutture, soprattutto dei territori nell’Europa occidentale, io definisco questa rete "cani sciolti" dal punto di vista organizzativo interno.
D. – Come combattere quindi il terrorismo, oggi? Un terrorismo che corre soprattutto attraverso Internet e i nuovi mezzi di comunicazione?
R. – Non v’è dubbio che la migliore azione per contrastare il terrorismo nel mondo è la prevenzione. Soprattutto, occorre analizzare i fenomeni che attraversano la decostruzione delle informazioni e arrivare ad ipotizzare una serie di scenari e lì procedere attraverso un’azione preventiva, anche ad un’azione di contrasto. Però, mi rendo conto che complessivamente è difficile!
- “La protezione delle risorse petrolifere è una delle ragioni per le quali le nostre truppe sono in Iraq”. Lo ha dichiarato il ministro della Difesa australiano, Brendan Nelson, aggiungendo che tutto il Medio Oriente è un importante “fornitore d’energia”. L'Australia ha tuttora mille soldati in Iraq più altri 600 militari tra marinai e aviatori nella regione.
- Nel sud dell’Afghanistan, un attacco suicida ha provocato la morte di almeno 5 poliziotti afghani. Un militare della NATO è rimasto ucciso, inoltre, per l’esplosione di una bomba. L’attentato segue l’attacco di ieri, costato la vita a sei militari canadesi dell’Alleanza Atlantica e ad un interprete afghano nella provincia di Kandahar. Non mancano, comunque, buone notizie: nel sud del Paese sono stati liberati il cittadino tedesco e il suo interprete afghano rapiti una settimana fa nel sud ovest del Paese. Non è chiaro, al momento, chi siano gli autori del sequestro. Nei giorni scorsi, i talebani hanno negato di essere coinvolti nella vicenda e hanno attribuito ogni responsabilità ad un gruppo di criminali.
- Cinque palestinesi, tra i quali tre militanti di Hamas, sono rimasti uccisi in seguito ad una nuova operazione condotta dall’esercito israeliano nella Striscia di Gaza. Si tratta della seconda incursione israeliana da quando il movimento islamico radicale ha assunto il controllo, lo scorso 15 giugno, della regione palestinese. Nei Territori, intanto, migliaia di dipendenti pubblici sono tornati, dopo 17 mesi, a ricevere lo stipendio in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. Il governo israeliano, nei giorni scorsi, aveva deciso di scongelare fondi palestinesi provenienti da dazi doganali e tasse per sostenere il presidente Abu Mazen ed il nuovo esecutivo guidato da Al Fatah.
- Visita di due giorni in Libano per il ministro della Difesa italiano, Arturo Parisi. In programma ci sono colloqui con il collega libanese, Elias Murr, e con il coordinatore speciale dell’ONU. Momento centrale della missione sarà la visita al contingente italiano dell’UNIFIL, forza di interposizione delle Nazioni Unite dispiegata nel sud del Libano, al confine con Israele.
- Un treno della metropolitana londinese è deragliato tra le stazioni di Bethnal Green e Mile End su una delle linee più trafficate di Londra, la Central Line, che è stata chiusa parzialmente. Un secondo treno della stessa linea è rimasto bloccato in galleria. Al momento, la polizia esclude che si tratti di terrorismo. L’incidente ha provocato il ferimento di una ventina di persone. L’azienda dei trasporti londinese ha aperto un'inchiesta.
- La magistratura russa ha respinto la richiesta di estradizione, avanzata dalla Gran Bretagna, del principale indagato per l’omicidio di Alexander Litvinenko, l’agente dei servizi segreti russi morto a Londra lo scorso novembre per una dose di Polonio 210. Lo ha reso noto l’agenzia russa Interfax.
- Cinque militanti del PKK, il partito dei lavoratori del Kurdistan, sono stati uccisi in Turchia, nella provincia sud-orientale di Tunceli durante uno scontro a fuoco tra soldati e guerriglieri curdi.
- Almeno 25 morti e 33 feriti, di cui quattro gravi: è il tragico bilancio di un’esplosione in un bar karaoke, nella provincia di Liaoning, nel nord est della Cina. L’esplosione, avvenuta ieri sera, ha provocato il crollo dell’intero edificio. Non si conoscono ancora le cause dell’esplosione. Le autorità hanno ordinato che vengano fatti “tutti gli sforzi possibili” per accertare le responsabilità dell’incidente. Un testimone ha riferito all’agenzia di stampa cinese, che tra le vittime c’era il proprietario del locale e molti studenti liceali che festeggiavano la fine degli esami.
- Nello Stato di Puebla, nel Messico centrale, un autobus è stato travolto da una frana. Almeno 60 i morti recuperati nel fango, dalle squadre di soccorso. Difficilissime le operazioni di soccorso: il primo corpo è stato trovato dopo 12 ore di lavoro. In mattinata, le 500 persone impiegate nelle operazioni di recupero hanno dovuto interrompere il lavoro a causa di un’altra frana. Le continue e forti piogge, infatti, continuano a provocare smottamenti. Il presidente del Messico, Felipe Calderón, ha disposto un immediato intervento di forze dell’esercito.
- Primo vertice bilaterale, ieri a Lisbona, tra Unione Europea e Brasile. Firmato un accordo per un partenariato strategico, che mette in primo piano la lotta alla povertà e la riduzione delle tensioni internazionali. Oltre al presidente brasiliano, Luiz Inacio Lula da Silva, hanno partecipato all’incontro anche diversi rappresentati di governo europei. La riunione del mese scorso a Potsdam, in Germania, sulla liberalizzazione del commercio mondiale, si era conclusa senza alcun accordo tra le parti.
- In Nigeria, un gruppo di uomini armati ha rapito una bambina di tre anni, figlia di un tecnico britannico. Il rapimento è avvenuto a Port Harcourt, nel sud del Paese, in uno dei maggiori poli petroliferi dell’Africa. La bambina, Margaret Hill, è stata prelevata dall’auto che la portava a scuola, mentre era bloccata nel traffico. Al momento non sono stati resi noti ulteriori dettagli. In questa area nella regione del Delta del Niger, i rapimenti per ottenere un riscatto sono molto comuni. Sono invece rari quelli contro bambini. In questa zona è attivo, in particolare, il sedicente Movimento per l’emancipazione del Delta del Niger (MEND) che chiede una diversa distribuzione dei proventi derivanti da attività petrolifere. (Panoramica internazionale a cura di Amedeo Lomonaco e Beatrice Bossi)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LI No. 186
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