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SOMMARIO del 04/07/2007

Il Papa e la Santa Sede

  • Siate coraggiosi testimoni dell’amore di Cristo: il messaggio del Papa all’udienza generale rivolto ai giovani, in vista della prossima Giornata mondiale della Gioventù di Sydney 2008
  • Nomine
  • La Lettera di Benedetto XVI ai cattolici cinesi favorirà una rinnovata evangelizzazione della Cina: così, ai nostri microfoni, il sinologo del PIME, padre Angelo Lazzarotto
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Conclusa la Conferenza pro-Afghanistan di Roma. La comunità internazionale ha promesso 360 milioni di dollari per la ricostruzione dello Stato di diritto nel Paese
  • L'attenzione della Chiesa britannica ai primi passi del governo Brown. Intervista con il cardinale O'Connor, arcivescovo di Westminster
  • A Roma, in serata, la manifestazione voluta da Magdi Allam contro la persecuzione dei cristiani in Medio Oriente. Il parere di padre Samir Khalil Samir
  • Rievangelizzare Porto Rico per difendere l'antica fede cristiana dalle derive secolaristiche. Intervista con l'arcivescovo, Roberto Gonzalez Nives
  • Chiesa e Società

  • Sempre più famiglie cristiane lasciano l’Iraq, e l'unica facoltà teologica cristiana è di fatto ancora una base militare americana
  • Appello dei cristiani libanesi: “Non dimenticateci"
  • L’arcivescovo dei siro-malabaresi di Trichur: alcune proposte del governo del Kerala rischiano di discriminare le scuole cristiane
  • Due nuove comunità francescane in India, in Assam. Offrono sostegno alle tribù locali valorizzando le tradizioni e promuovendo i valori evangelici
  • L’arcivescovo di Bukavu, mons. Maroy Rusengo, chiede, insieme alla Croce Rossa e all’ONU, che cessino le violenze nel sud del Kivu, in Congo
  • Dall'inizio dell'anno sulle rotte libiche hanno perso la vita 249 immigrati clandestini
  • Crisi della famiglia e bassa qualità dell'istruzione fra le preoccupazioni dei vescovi colombiani riuniti in assemblea plenaria
  • A duecento anni dalla nascita, commemorato in Italia Giuseppe Garibaldi
  • Si è spento a Carouge, in Svizzera, padre Raymond Bréchet, uno dei fondatori del periodico “Choisir"
  • 24 Ore nel Mondo

  • In Pakistan, decine di morti per un attacco antigovernativo nel nord e scontri ad Islamabad tra agenti e studenti integralisti - Liberato nella striscia di Gaza il giornalista britannico Alan Jonston
  • Il Papa e la Santa Sede



    Siate coraggiosi testimoni dell’amore di Cristo: il messaggio del Papa all’udienza generale rivolto ai giovani, in vista della prossima Giornata mondiale della Gioventù di Sydney 2008

    ◊   “Siate coraggiosi” nel testimoniare l’amore di Cristo: è l’appello lanciato stamani da Benedetto XVI all’udienza generale rivolto ai giovani, in vista della Giornata mondiale della Gioventù 2008. Presente l’arcivescovo di Sydney, il cardinale George Pell, a capo di una delegazione Chiesa australiana, che sta organizzando la prossima GMG, e che provvederà a diffondere il Messaggio del Papa. A tutti i fedeli, il Santo Padre ha riproposto nella sua dotta catechesi l’esempio mirabile - ieri come oggi - di San Basilio, grande vescovo, pastore amorevole, maestro del monachesimo, vissuto nel IV secolo. Il servizio di Roberta Gisotti:


    Ad un anno dall’appuntamento di Sydney, in Australia, la città che ospiterà nel luglio 2008 la prossima GMG, Benedetto XVI ha levato la sua voce dall’Aula Paolo VI in Vaticano per ricordare “più che un evento”, quanto piuttosto - ha sottolineato - “un tempo di rinnovamento spirituale, dei cui frutti beneficerà l’intera società”:

     
    “Ai giovani qui presenti e a tutti i giovani del mondo che si stanno preparando a questo gioioso incontro di fede voglio ora rivolgere una parola di caloroso saluto e di vivo incoraggiamento”.

     
    Poi, in inglese, il messaggio ai giovani:

     
    “I want to encourage you to prepare well for this marvellous celebration of the faith…”

     
    Voglio incoraggiarvi - ha detto loro il Papa - “a preparare bene questa meravigliosa celebrazione della fede che sarà vissuta in compagnia dei vostri vescovi, sacerdoti, religiosi, giovani leader ed ogni altro”. E da qui, l’invito ad entrare “pienamente nella vita delle parrocchie e a partecipare entusiasticamente agli eventi diocesani”. Quindi, l’appello ad essere coraggiosi testimoni del Vangelo, cosi come molti giovani - ha osservato il Papa - “contro l’ondata di secolarismo stanno riscoprendo la ricerca soddisfacente per una bellezza, un benessere e una verità autentici”.

     
    Alle migliaia di fedeli raccolti per l’udienza generale, il Santo Padre ha parlato di San Basilio, vescovo di Cesarea di Cappadocia, morto nel 379 a meno di 50 anni, dopo aver condotto una vita di santità e sapienza, “nel fedele servizio alla Chiesa e nel multiforme esercizio del ministero episcopale”:

     
    “Mediante la predicazione e gli scritti svolse un’intensa attività pastorale, teologica e letteraria. Con saggio equilibrio seppe unire insieme il servizio alle anime e la dedizione alla preghiera e alla meditazione nella solitudine”.

     
    Basilio si preoccupò infatti costantemente dei poveri ed emarginati, intervenendo anche presso i governanti per alleviare le condizioni della popolazione; costruì ospizi per i bisognosi modello per le moderne istituzioni ospedaliere; vigilò sulla libertà della Chiesa, opponendosi se necessario ai potenti; “sapiente riformatore liturgico”, seppe pure “con zelo e coraggio” opporsi agli eretici. Un programma che il santo vescovo consegna - ha concluso Benedetto XVI - agli annunciatori della Parola, “ieri come oggi”.

     
    Nei saluti finali nelle varie lingue, indirizzi particolari sono andati ai capitolari di varie Congregazioni che in questi giorni riunite in assemblea: le Suore Figlie della Chiesa, le Suore dell’Istituto Maestre Pie Filippini, le Missionarie del Sacro Costato di Maria SS.ma Addolorata, le Figlie del Preziosissimo Sangue, le Sorelle di san Giuseppe dell’Apparizione. Infine, il ricordo del Papa del Beato Piergiorgio Frassati, di cui ricorre oggi la memoria liturgica.

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    Nomine

    ◊   In Malawi, Benedetto XVI ha nominato vescovo di Dedza il sacerdote Emmanuele Kanyama, del clero di Dedza, parroco e docente nel Seminario filosofico di Kachebere. Il neo presule, 44 anni, ha studiato nei due Seminari nazionali del Malawi: Kachebere per la Filosofia e St. Peter (Zomba) per la Teologia. Ha compiuto quindi gli studi per il dottorato in Filosofia alla Pontificia Università Urbaniana. Dopo l'ordinazione sacerdotale, ha ricoperto i ministeri di docente e di parroco. La diocesi di Dedza, suffraganea dell'Arcidiocesi di Blantyre, è stata eretta nel 1959. Ha una superficie di 4.250 kmq. e una popolazione di un milione e mezzo di abitanti, dei quali 450 mila cattolici, suddivisi in 16 parrocchie, con 37 sacerdoti, 14 fratelli religiosi, 40 seminaristi e 94 religiose.

    Sempre in Malawi, il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Lilongwe, presentata per raggiunti limiti di età dal vescovo Felix Eugenio Mkhori. Al suo posto, Benedetto XVI ha nominato mons. Rémi Joseph Gustave Sainte-Marie, dei Missionari d'Africa, finora coadiutore della medesima diocesi.

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    La Lettera di Benedetto XVI ai cattolici cinesi favorirà una rinnovata evangelizzazione della Cina: così, ai nostri microfoni, il sinologo del PIME, padre Angelo Lazzarotto

    ◊   A pochi giorni dalla pubblicazione della Lettera del Papa ai cattolici di Cina, i fedeli del grande Paese asiatico esprimono gratitudine al Santo Padre per questo gesto d’amore paterno. E’ quanto sottolinea l’agenzia Fides, che parla di mobilitazione da parte dei cattolici cinesi per diffondere quanto più possibile la Lettera di Benedetto XVI. Sui passaggi chiave del documento, Alessandro Gisotti ha intervistato padre Angelo Lazzarotto, missionario del PIME e apprezzato sinologo. A lungo attivo ad Hong Kong, padre Lazzarotto mette innanzitutto l’accento sul carattere di novità della Lettera:

     
    R. - E’ significativo il fatto che il Papa sia riuscito ad affrontare una complessità di temi, di situazioni, in una maniera così limpida, così serena, così fraterna, paterna direi. Un modo che certo non può non impressionare tutti, anche chi lo legge in Cina, dove appunto sentono sulla propria pelle questi problemi. Mi pare che il tono con cui il Papa si rivolge alla Chiesa di Cina, addirittura anche alla classe politica, sia un tono così rispettoso ma anche limpido, chiaro, che fa appello non a una strategia di prevalenza, di potere, ma alla realtà della Chiesa cattolica, di cui si sente responsabile.

     
    D. - Ecco, Benedetto XVI auspica, fin dalle prime pagine del documento, una normalizzazione dei rapporti con le autorità civili: lo fa richiamando i principi della verità e della carità. Il Papa usa un linguaggio nuovo, sereno ma coraggioso al tempo stesso...

     
    R. - Sì, penso che il Papa quando parla, per esempio, del suo ruolo come pastore supremo della Chiesa cattolica nella nomina dei vescovi, lo faccia in una maniera semplice che si richiama alla tradizione cattolica, ma anche aiutando questi dirigenti che non sono cristiani e che, anzi, si riferiscono ad una ideologia che sappiamo non è molto benevola nei confronti della religione in genere. Si rivolge a loro aiutandoli a capire che questa tradizione - che in Cina spesso è definita una pretesa del Papa di interferire nelle cose della Cina - è accettata sul piano internazionale, anche da convenzioni riconosciute. Non si tratta di un’autorità politica, dice il Papa, che si intromette indebitamente negli affari interni di uno Stato, ma anzi questa nomina dei pastori da parte del Papa è intesa anche in documenti internazionali come un elemento costitutivo dell’esercizio pieno del diritto alla libertà religiosa da parte del Papa. Questa è una maniera nuova, che è proprio tesa al dialogo.

     
    D. - Un Papa che con grande umiltà chiede ascolto...

     
    R. - Direi di sì, nel senso che si rende conto che, nello stile cinese, non ci devono essere vinti o vincitori in una discussione, ma dovrebbero esserci due vincitori: bisogna cioè lasciare spazio anche all’altra parte di avere il diritto di dire la sua, di avere una certa rivendicazione dei propri punti di vista.

     
    D. - Questo documento così ricco di speranza, che mette l’accento sulla comunione dei cattolici cinesi fra loro e con la Sede di Pietro, può favorire una rinnovata evangelizzazione nel grande Paese asiatico?

     
    D. - Io direi di sì, non solo nel grande Paese della Cina, ma nell’Asia e nel mondo. Finora, purtroppo, le circostanze anche politiche hanno chiuso la Chiesa di Cina ai contatti addirittura con le Chiese più vicine. Il fatto, ad esempio, che alcune settimane fa, una delegazione ufficiale da Pechino sia andata in Vietnam a Hochiminville, a interpellare quel vescovo sui nuovi rapporti che si sono instaurati con il governo vietnamita, mi pare una cosa nuova. Ancora, il fatto che quel vescovo abbia poi fatto una pubblica dichiarazione augurandosi che i vescovi della Cina possano riunirsi tra di loro per discutere la nuova situazione, mi paiono segni positivi che - è auspicabile - potrebbero portare la Chiesa di Cina a inserirsi a pieno titolo nella vita della Chiesa universale. Quindi, è una Lettera che ha aperto grandi vie nuove all’evangelizzazione e alla missionarietà.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Servizio vaticano - La catechesi e la cronaca dell'udienza generale.

    Servizio estero - Medio Oriente: liberato il giornalista britannico Alan Johnston sequestrato quasi quattro mesi fa nella Striscia di Gaza.

    Servizio culturale - Un articolo di Susanna Paparatti dal titolo "Gli 'Artisti' di Goffredo Parise": una singolare mostra alla Galleria Nazionale d'Arte Moderna, a Roma.
     Servizio italiano - In rilievo il tema degli incidenti sul lavoro.

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    Oggi in Primo Piano



    Conclusa la Conferenza pro-Afghanistan di Roma. La comunità internazionale ha promesso 360 milioni di dollari per la ricostruzione dello Stato di diritto nel Paese

    ◊   La questione giustizia, l'orrore delle vittime civili, l’azione della NATO, il coordinamento dell’ONU: questi i punti caldi della Conferenza internazionale sull’Afghanistan che si è chiusa ieri a Roma. Oltre 20 erano le delegazioni presenti, provenienti da diversi Paesi. Stabilito, inoltre, lo stanziamento di 360 milioni di dollari da parte di tutta la comunità internazionale per la ricostruzione dello Stato di diritto in Afghanistan. A presentare le conclusioni dei lavori, il ministro degli Esteri italiano Massimo D’Alema, il segretario generale dell’ONU, Ban Ki-moon, ed il presidente afgano Hamid Karzai. Il servizio di Isabella Piro:


    L’importanza cruciale della riforma della giustizia e la realizzazione dello Stato di diritto: la conferenza internazionale sull’Afghanistan ha riaffermato con forza questi obiettivi. Obiettivi realizzabili attraverso un “Programma nazionale di giustizia”, reso possibile da uno stanziamento collettivo di 360 milioni di dollari. Su tutto, è prevalsa comunque l’idea che le azioni militari, in particolare miranti ad arginare il terrorismo talebano, da sole non bastano. Per ricostruire l’Afghanistan, occorrono sicurezza sostenibile, sviluppo economico e diritti umani. Il ministro degli Esteri italiano, Massimo D’Alema:

     
    “Ciò che è fondamentale in Afghanistan è isolare il terrorismo e consolidare il consenso dei cittadini afghani intorno alla democrazia. E questo consenso lo si conquista migliorando le condizioni di vita degli afghani, garantendo i loro diritti. Ecco perché è sbagliato considerare l’impegno per la stabilità in Afghanistan come esclusivamente una campagna militare”.

     
    D’Alema ha poi confermato la continuità dell’impegno dell’Italia in Afghanistan e, a proposito della Conferenza, ha aggiunto:

     
    “Una conferenza che ha segnato un passo importante nell’impegno internazionale a sostegno dell’Afghanistan, della stabilizzazione e del rafforzamento delle istituzioni democratiche e della pace in quel Paese amico”.

     
    La vicinanza al popolo afghano è stata garantita anche dal segretario generale dell’ONU, Ban Ki-moon:

     
    I’ll try to increase my diplomatic role …
    “Cercherò di incrementare il mio ruolo diplomatico per il bene del Paese”, ha detto, esprimendo poi il suo apprezzamento per il presidente afgano Karzai e per la sua leadership, definita “dinamica”. Dal canto suo, lo stesso capo di Stato afghano ha promesso che il suo governo sosterrà l’impegno per le riforme in tutti i settori in Afghanistan, in particolare in quello giudiziario, e che continuerà a lottare contro il terrorismo. Ma tema centrale resta lo stop alle vittime civili, invocato ad una sola voce da tutti i rappresentanti internazionali presenti ai lavori.

     
    The effort is to reduce especially casualties to the civilians to the best maximum. …
    “Le vittime civili sono un problema della massima urgenza da risolvere con il massimo sforzo possibile”, ha detto Karzai. Gli ha fatto eco Ban Ki-moon, definendole “inaccettabili” e strumento di forza per i nemici. Importante poi l’appello in difesa delle donne. Immediata la replica della NATO, rappresentata dal segretario generale De Hoop Scheffer: “Le Nazioni Unite non uccidono mai intenzionalmente i civili”, ha detto, garantendo comunque l’apertura di inchieste sulle stragi accadute recentemente in Afghanistan e sottolineando l’importanza di un maggiore impegno di Pakistan e Iran nella ricostruzione del governo di Kabul. Obiettivo finale della Conferenza resta quindi la restaurazione dell’Afghanistan da parte di tutta la comunità internazionale, come ha sottolineato il premier italiano Prodi:

     
    “In Afghanistan, oggi, è in gioco la credibilità della NATO ed è in gioco la capacità dell’ONU di accompagnare efficacemente i processi di institution building. Una strategia unicamente militare, da sola, non sarà sufficiente per il nostro successo. Il conflitto in Afghanistan non può e non deve esser visto solo nell’ottica della guerra globale al terrorismo. Soltanto uno sforzo concertato, coordinato e duraturo nei settori civile ed economico e della tutela dei diritti umani potrà porre le basi per far prevalere noi in questa sfida”.

     
    Attenzione alle vittime civili e più coordinamento nell’azione della NATO sono solo alcuni punti indicati nella Conferenza sulla Giustizia e lo Stato di Diritto in Afghanistan. Ma si può parlare di vertice efficace? Benedetta Capelli ha girato la domanda al prof. Alessandro Corneli, docente di Storia delle relazioni internazionali e geopolitica presso la Luiss-Guido Carli di Roma:

     
    R. - L’efficacia si vedrà dopo. Il punto è che questa guerra in Afghanistan si è un po’ trasformata, nel senso che soprattutto da parte dei talebani è stato messo in campo l’uso strumentale dei civili, dunque con un tentativo di trasformare uno scontro politico in uno scontro umanitario che fa indubbiamente molto effetto.

     
    D. - La domanda di giustizia è una domanda di diritto alla vita, così il presidente afghano Karzai. In che modo, secondo lei, si può realizzare questa prospettiva?

     
    R. - C’è un tentativo di instaurare in questo Paese una struttura giudiziaria di tipo occidentale che sarebbe molto importante in tutta quell’area, ma proprio questo incontra molte difficoltà perché in quel Paese esiste una situazione territoriale di tipo tribale che non è ben disposta ad accogliere un tipo di giustizia centralizzata, come lo abbiamo noi in Occidente. La domanda è: lo sforzo vale il risultato? Ci vuole, insomma, una convinzione diffusa.

     
    D. - Da più parti, è stata ribadita la necessità di moltiplicare gli sforzi per rilanciare il ruolo della NATO e dell’ONU. In che modo si può realizzare?

     
    R. - La NATO è uno strumento prevalentemente, sul piano dei fatti, di ordine militare, tenendo conto delle difficoltà anche di individuare gli obiettivi da colpire: se a essere coinvolti sono i civili, ecco che l’operazione diventa controproducente. La NATO è in grossa difficoltà da questo punto di vista, non c’è dubbio, e per quanto riguarda l’ONU è peggio ancora, perchè non riesce a risolvere un conflitto e infatti le dichiarazioni del segretario generale, Ban Ki Moon, sono state piuttosto allarmate.

     
    R. - Pensare ad un futuro dell’Afghanistan significa secondo lei coinvolgere gli altri attori dell’area come il Pakistan, l’Iran, la Cina e la Russia?

     
    D. - Sì, senz’altro. Lì, in Medio Oriente, tutto è in un delicato equilibrio. Quindi, sono importanti i Paesi vicini come il Pakistan, soprattutto, perché il confine tra Afghanistan e Pakistan è un confine permeabile. Ma anche l’Iraq, perché il fallimento da una parte porta il fallimento dall’altra e viceversa. Poi, le presenze indirette dei giganti dell’area, come la Russia e la Cina, sono fondamentali e d’altra parte gli Stati Uniti, che si sono insediati anche militarmente nell’area, non vogliono certo tornare indietro. Quindi, ci dovrebbe essere una convergenza di volontà e di interesse, però c’è anche il fatto che ormai il terrorismo è diventato una struttura a tante teste, un’idra, difficile da colpire; non si riesce a colpirne il cuore.

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    L'attenzione della Chiesa britannica ai primi passi del governo Brown. Intervista con il cardinale O'Connor, arcivescovo di Westminster

    ◊   La Gran Bretagna deve governarsi in modo radicalmente diverso e sulla base di una Costituzione scritta. E' una delle proposte politiche d'esordio del neopremier britannico, Gordon Brown, che ha annunciato una serie di modifiche degli iter decisionali del governo. Anche la Chiesa cattolica guarda con attenzione ai primi passi del nuovo esecutivo. Nella precedente gestione Blair, alcune normative - come ad esempio quella che apre alle adozioni di bambini per le coppie omosessuali o quella che per motivi di sicurezza vuole imporre il controllo sulle scuole confessionali - hanno suscitato notevoli perplessità. La nostra collega della redazione inglese, Philippa Hitchen, ha chiesto un parere su questi temi al cardinale arcivescovo di Westminster, Cormac Murphy O'Connor:


    R. - There are obvious priorities for the incoming Prime Minister. …
    Ci sono delle priorità ovvie per il nuovo primo ministro. Brown cercherà di mantenere la continuità con il suo predecessore, nella diversità. La gente, tuttavia, solleciterà azioni nel campo della salute e dell’istruzione: io stesso gli chiederò interventi in settori come la famiglia e gli chiederò tutto l’aiuto e il sostegno che egli possa offrire, perché sia riconosciuta l’importanza primaria della famiglia nella vita sociale della Gran Bretagna. Sono convinto che la voce della Chiesa si leverà insieme a quella di molti altri in campi come la dignità umana, la famiglia, ma anche per quanto riguarda il riconoscimento per i cristiani e le persone di altre fedi della libertà di praticare, nella nostra società secolarizzata, non solo la propria religione ma anche di contribuire, nella vita pubblica, al bene comune.

     
    D. - Ci sono state tensioni forti con il governo, nei mesi passati. Lei come definirebbe i rapporti attuali tra la Chiesa cattolica in particolare e il governo?

     
    R. - Well, we’ve had some tensions over recent times, concerning adoption agencies …
    Sì, ci sono state tensioni veramente forti negli ultimi tempi, riguardo alle agenzie di adozione, riguardo alle scuole, cioè riguardo alla “minaccia” del controllo totale da parte del governo sulle nostre scuole. In un certo senso, questi due punti toccano due principi molto importanti. La questione delle agenzie di adozione tocca sul vivo il primato della famiglia, il concetto cattolico sul miglior modo di educare i figli e la nostra convinzione che il riconoscere alla coppia omosessuale lo stesso status di una coppia eterosessuale non sia giusto. Questo è importante, lo abbiamo detto chiaramente e credo che un grande numero di persone in Gran Bretagna sarebbe d’accordo con questo. Non significa essere “omofobici” - ovviamente non lo siamo - ma allo stesso tempo certe cose è necessario affermarle. E’ giusto che non ci siano discriminazioni nei riguardi dei diritti degli omosessuali, ma allo stesso tempo non si devono discriminare i fondamenti religiosi, nello specifico quelli della Chiesa cattolica. L’altro punto riguarda le scuole cattoliche: noi riconosciamo una grande importanza alla scuola cattolica, non solo per ciò che concerne l’educazione dei bambini cattolici ma - una volta ancora - per la sua importanza in rapporto al bene comune. I bambini, i giovani - ragazzi e ragazze - ricevono una formazione ottima nelle scuole cattoliche. Un’ottima educazione che è di vantaggio non solo per loro stessi, ma per tutti, perché questi giovani daranno il loro apporto al “bene comune”: sono preparati ad essere bravi cittadini ed aperti allo sviluppo del “bene” per il nostro Paese. Per questo, a me non farebbe piacere se il primo ministro chiedesse di ridurre, di sopprimere le scuole cattoliche: ci sono voci che sostengono che non dovrebbero esserci scuole della Chiesa cattolica. Credo che non sarebbe saggio andare in questa direzione. Il nuovo primo ministro, io l’ho incontrato più volte e ne ho grande stima, soprattutto per il suo impegno nel voler alleviare la povertà dei bambini e degli adulti, non solo “in casa”, ma anche in Africa. Mi piacerebbe che egli possa fare della Gran Bretagna un esempio di come i Paesi ricchi possano contribuire, più di quanto sia stato fatto finora, ad alleviare la povertà dei più poveri del mondo, specialmente in Africa, ma anche altrove. Nell’insieme, ho grandi speranze per questo ufficio che Brown ha ereditato. E’ stato eletto all’unanimità, senza opposizione: penso che il futuro sia dalla sua parte, e sono per lui i miei auguri e le mie preghiere.

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    A Roma, in serata, la manifestazione voluta da Magdi Allam contro la persecuzione dei cristiani in Medio Oriente. Il parere di padre Samir Khalil Samir

    ◊   Questa sera, in Piazza Santi Apostoli a Roma, avrà luogo l'annunciata manifestazione nazionale organizzata dal vicedirettore del Corriere della sera, Magdi Allam, contro l'esodo e la persecuzione dei cristiani in Medio Oriente, e in favore della libertà religiosa nel mondo. Fabio Colagrande ha raccolto il commento del padre gesuita, Samir Khalil Samir, docente di Islamologia all’Università Saint Joseph di Beirut e al Pontificio Istituto Orientale di Roma:

    Questa iniziativa di Magdi Allam è molto positiva, anche se ci sono dei rischi. Il rischio è di fare di questo caso una critica assoluta all’Islam, mentre per me sarebbe opportuna la critica di un certo tipo di Islam attuale. Stiamo vivendo da una trentina di anni, anche un po’ di più, una fase di intolleranza e di regressione nel mondo islamico. E' questo allora che dobbiamo criticare, le varie forme di intolleranza, in questo caso contro i cristiani, contro i più deboli. Stiamo vivendo una regressione perché l’ideologia che si diffonde ogni giorno di più è quella che si chiama in arabo “salafita” che pretende di imporre il modello antico a tutti quanti visto come modello ideale, a cominciare dai musulmani. Questa è una forma di intolleranza inaccettabile, su questo punto dobbiamo essere chiari: non si può tollerare questa forma di Islam. Per i musulmani stessi, dunque, la lotta non è contro l’Islam ma contro ciò che noi chiamiamo in arabo “l’islamismo”. L’altro rischio di questa manifestazione è che si è politicizzata: il rischio che si pensi cioè a una crociata, per così dire, dell’Occidente contro l’Islam, che faccia cadere nella concezione dello scontro di civilità. C’è uno scontro contro l’intolleranza, contro questa forma dell’Islam radicale, ma un rischio è che altri ne facciano una manifestazione a favore, per esempio, dell’Occidente o degli Stati Uniti o di Israele. Questo è assolutamente da scartare, anche perché una delle cose che soprattutto ha aumentato il fanatismo islamico è proprio l’atteggiamento tenuto da alcuni Paesi occidentali come pure l’atteggiamento di Israele, da decenni.

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    Rievangelizzare Porto Rico per difendere l'antica fede cristiana dalle derive secolaristiche. Intervista con l'arcivescovo, Roberto Gonzalez Nives

    ◊   Una Costituzione che intende ribadire il matrimonio come un’unione tra uomo e donna, ma anche una serie di tensioni culturali, mutuate in particolare degli Stati Uniti, che spingono per una più decisa deriva di secolarizzazione di una società che è invece da sempre profondamente cristiana. Sono le luci e le ombre della Chiesa portoricana, che la scorsa settimana si è confrontata con Benedetto XVI durante le udienze per le visite ad Limina dei suoi vescovi. Nell’intervista all’arcivescovo di San Juan di Porto Rico, Roberto Gonzalez Nives, Luis Badilla è entrato nel merito delle priorità pastorali di questa Chiesa, a partire dalla “questione famiglia”:

     
    R. - Si, si, como no. La famiglia como institución …
    Proprio così. Pensiamo alla famiglia, come istituzione fondata sul matrimonio, che vive, che soffre ma anche alla famiglia come opera del Creatore che noi tutti dobbiamo conservare. In questo momento, per esempio a Porto Rico, è in atto una campagna di modifica della Costituzione per sancire che il matrimonio è un’unione tra un uomo e una donna. Al tempo stesso, però, è in corso una revisione del Codice civile mai ritoccato da 118 anni. Noi vogliamo evitare che sia introdotta la figura dell’unione di fatto. Una tale figura giuridica diventerebbe un’equiparazione al matrimonio. Noi lavoriamo per evitare tutto questo..
     
    D. - In alcuni testi del suo magistero abbiamo riscontrato una grossa preoccupazione per la cultura ibrida del Puerto Rico: da un lato, Paese e popolo ispanici e, dall’altra, forte presenza e influenza di valori statunitensi. E’ così?
     
    R. - Pues si, es así. Durante sus primeros años de ...
    E’ così. Dai suoi primi anni, dal 1493 quando arrivano i primi spagnoli e i primi missionari, il nostro Paese è un’entità ispanica. Loro trovano un popolo aborigeno, i “Taíni”, e da loro e con loro comincia l’evangelizzazione che va avanti per oltre quattro secoli. Nel 1898, in virtù del Trattato di Parigi, la Spagna cede il nostro Paese agli Stati Uniti. Comincia così una nuova tappa: Porto Rico diventa dunque un territorio “incorporato” agli USA che, ovviamente, impone la sua visione culturale “annessionista”. Per esempio, per molti anni - almeno 50, ma ora non è più così - la lingua spagnola era vietata nelle scuole pubbliche. Nel 1903, quando diventa Stato libero associato, finisce questa pratica ma ne inizia un’altra di forte proselitismo religioso. Sei o sette chiese protestanti vengono dislocate, per volere del governo statunitense, in certe nostre regioni con lo scopo di “protestantizar” l’isola. Il discorso era semplice: se lo scopo finale è l’annessione occorreva quindi des-catolizar e des-hispanizar la gente. E’ però molto interessante costatare che, nonostante tutto, il popolo portoricano è riuscito a mantenere la sua identità sia cattolica sia ispanica. Negli ultimi 50 anni, da parte del governo degli Stati Uniti si è registrato un cambiamento di atteggiamento radicale. Oggi c’è più rispetto verso l’identità nazionale portoricana.
     
    D.- Papa Benedetto XVI parla spesso del relativismo etico e della secolarizzazione: in altre parole, del tentativo odierno, ricorrente, di emarginare Dio dalla società. Qual è la situazione nel vostro Paese?

     
    R. - Es muy interessante que Usted me hace esa pregunta...
    E’ molto interessante la domanda che Lei mi pone, poiché, nel mio recente incontro personale con il Santo Padre, egli tra tante altre mi ha fatto la medesima domanda. Infatti, ritengo che la secolarizzazione e il relativismo camminino mano nella mano. In primo luogo, ricordo che con la secolarizzazione s’innesta la privatizzazione della fede e la separazione tra fede e ambito pubblico. Nella misura in cui si crea una dicotomia tra la vita pubblica di un popolo e la vita dell’individuo, come fossero entità non comunicanti, la cultura perde progressivamente il suo orientamento supremo, spirituale, etico. E poi, proprio in quella separazione s’innesta anche il relativismo per il quale non esiste una sola verità sull’essere umano. In questo modo l’identità dell’essere umano viene slegata del suo nesso con Dio. Per noi cristiani non si può comprendere, direi afferrare, l’uomo senza Dio. Nel modo di pensare secolarizzato, ogni uomo, articola invece una propria verità, una propria singolare comprensione circa il suo esistere. Deve decidere da solo, tutto. L’etica non ha più un punto di riferimento incontestabile in Dio. Questo punto di riferimento si trasferisce alla volontà di ogni essere umano. Ciò accade anche in Porto Rico. Da questo ragionamento, possiamo capire allora l’importanza della nuova evangelizzazione. E’ la via per indicare a ogni individuo la ricerca dentro se stesso dell’incontro con Dio, l’incontro con il Signore, la verità “vera”.
     
    D. - Vorrei chiederle un commento sulla promozione umana a Porto Rico e soprattutto una sua riflessione sulle parole del Santo Padre quando ha parlato di “strutture giuste” e giustizia sociale…

     
    R. - Pues el Santo Padre quiso ubicar la promoción humana en …
    Il Santo Padre, mi sembra, che abbia voluto collocare la promozione umana nel vasto contesto della Dottrina sociale della Chiesa, centrata sulla dignità della persona umana in quanto immagine del Creatore. Se perdiamo di vista che l’essere umano è opera e riflesso di Dio, allora questo essere diventa un’identità manipolabile, un oggetto disponibile, e così si perde il senso della dignità, dell’equità, della giustizia e, infine, della solidarietà. Si potrebbe dire che a questo punto i “frutti” del peccato hanno la meglio. Ma se pensiamo all’essere umano che ripercorre le strade della santità, della carità e della misericordia, possiamo vedere il volto di Dio, di Colui che ci invita ad amare. Tra noi, a Porto Rico, ci sono santi e peccatori. Ritengo che dobbiamo lavorare per vincere con l’amore l'odio, con l’unione la separazione, con la giustizia l’ingiustizia.

     
    D. - Un'ultima domanda: lei, che è un francescano, ha partecipato giorni fa ad un incontro di vescovi francescani ad Assisi, poco tempo dopo la visita del Santo Padre. Cosa dice, secondo lei, Francesco al mondo d’oggi, qual è la sua eredità principale?
     
    R. - Pues obviamente San Francisco nos habla del deber…
    Ovviamente, San Francesco ci parla del dovere di ogni cristiano di esprimere solidarietà con il povero. Non si tratta solo di un’opzione ma anche di un dovere, di un obbligo: dobbiamo stare con coloro che soffrono, con gli emarginati, e starci con un grande spirito di allegria, di rinuncia, di libertà, di innamoramento verso il Creato. San Francesco ci parla della vera libertà dei figli e delle figlie di Dio. L’incontro dei vescovi francescani è stato un grande momento di grazia e di fratellanza. Quando siamo entrati anni fa alla vita religiosa, non avevamo nel nostro orizzonte una prospettiva ministeriale episcopale. Siamo entrati in questa vita perché chiamati a servire il fratello minore. Ad ogni modo, è stata un’esperienza di condivisione e di spiritualità molto bella. Oserei dire un’esperienza di "allegria perfetta", nello stile e nella tradizione di San Francesco. Arrivi a notte inoltrata nel convento. Nessuno ti apre. Devi passare tutta la notte fuori… Quella solitudine è l’allegria perfetta.

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    Chiesa e Società



    Sempre più famiglie cristiane lasciano l’Iraq, e l'unica facoltà teologica cristiana è di fatto ancora una base militare americana

    ◊   Sono 1.400 le famiglie cristiane che a Bagdad, in Iraq, hanno lasciato il quartiere di Dora per trasferirsi chi all’estero, chi nel nord e chi in altre zone di Baghdad. Lo ha detto in un’intervista rilasciata al sito Baghdadhope mons. Jacques Isaac, rettore del Babel College, l’unica facoltà teologica cristiana in Iraq. “Sono famiglie distrutte, fuggite dai tentativi di farle convertire, di pagare la tassa di protezione, fuggite senza niente, con un passato distrutto ed un futuro incerto – ha spiegato mons. Isaac – per questi la Chiesa fa quello che può, ma non è mai abbastanza per ciò che stanno soffrendo. Le chiese a Dora sono chiuse, a Mar Yacoub, ad esempio, erano rimasti due fratelli di guardia che sono stati uccisi, ma anche in altre zone della città la situazione è grave. Per un totale di 23 chiese caldee – ha aggiunto il rettore del Babel College – ci sono solo 12 sacerdoti eppure i fedeli, per quanto pochi, cercano ancora di frequentarle, di avere dai sacerdoti e dalla preghiera quel conforto che è così difficile da trovare a Baghdad”. Mons. Isaac ha spiegato inoltre, scrive l’agenzia SIR, che ci sono “diversi problemi nel Nord non controllato dal governo curdo” e a Mosul ormai metà della popolazione di fede cristiana è fuggita, ed anche i piccoli centri non sono sicuri. Quanto al Babel College, che dal 4 gennaio di quest’anno è stato forzatamente trasferito per motivi di sicurezza dal quartiere cristiano di Dora a nord, ad Ankawa, nella zona di Erbil, è ancora una base militare americana. L’anno accademico appena finito, che ha visto laurearsi 11 nuovi dottori, due laici, una suora e 8 seminaristi caldei, è stato dedicato ai “Martiri della Chiesa” in ricordo di padre Ragheed Aziz Ganni e dei tre suddiaconi uccisi a Mosul lo scorso 3 giugno. Come ha dichiarato mons. Isaac, le richieste di restituzione del College sono cadute nel vuoto. “D’altra parte – spiega il rettore – si teme che, se le truppe americane lasciano l’edificio ed il vecchio seminario caldeo ad esso vicino, le strutture vengano occupate da elementi di Al Qaeda, gli stessi che hanno preso possesso del convento delle suore caldee del Sacro Cuore, sempre a Dora”. (T.C.)

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    Appello dei cristiani libanesi: “Non dimenticateci"

    ◊   Il Libano è uno dei Paesi dalla storia più complessa e travagliata, segnata da guerre, invasioni, conflitti interni ed è ancora, come prova la cronaca recente, una delle terre più instabili e a rischio di crisi. Lo sottolineano anche alcuni cristiani libanesi che, riferisce l’agenzia MISNA, hanno dichiarato di aver bisogno di vicinanza e sostegno dall’Occidente. “Se i cristiani del Libano soffrono - hanno detto i cristiani libanesi alla giornalista del mensile del Pontificio Istituto Missioni Estere (PIME) “Mondo e Missione” Anna Pozzi - sono tutti i cristiani del Medio Oriente a soffrire”. Il Libano viene definito in Medio Oriente come modello unico di libertà, dialogo e convivenza tra culture e religioni diverse. Sono 18 le confessioni religiose nel Paese, 12 cristiane e 6 musulmane. Un “Paese messaggio”, lo ha ripetutamente definito Giovanni Paolo II: messaggio di convivialità, rispetto, solidarietà. Un Paese che soffre, tuttavia, a motivo delle irrisolte tensioni interne e delle fortissime pressioni esterne. Di qui il grido dei cristiani libanesi: “Non dimenticateci”. A questo appello ha risposto la Chiesa italiana, in particolare la Fondazione Missio e l’Ufficio per la cooperazione missionaria tra le Chiese, che ha avviato un percorso di informazione e sensibilizzazione, della durata di due anni, sulla situazione dei cristiani in Medio Oriente, con particolare riferimento al Libano. Compagne di strada in questo percorso saranno le riviste della Federazione stampa missionaria italiana (Fesmi), che con un dossier di prossima uscita si propongono di tenere viva l’attenzione sul Paese e in particolare sui cristiani. (T.C.)

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    L’arcivescovo dei siro-malabaresi di Trichur: alcune proposte del governo del Kerala rischiano di discriminare le scuole cristiane

    ◊   In una lettera pastorale che è stata resa nota nelle chiese dell’arcidiocesi di Trichur dei siro-malabaresi, in India, domenica scorsa, l’arcivescovo, mons. Andrews Thazhath, denuncia la volontà del governo del Fronte democratico della sinistra (Ldf) di volere, tramite riforme politiche, togliere alla Chiesa cattolica gli istituti di istruzione e le strutture sanitarie. Per sensibilizzare l’opinione pubblica, riferisce l’agenzia AsiaNews, il presule ha invitato i fedeli a compiere “proteste pacifiche” in tutte le chiese. Mons. Thazhath ha evidenziato le continue violazioni dei diritti delle minoranze compiute dal governo del Kerala, e, a suo parere, la riforma pensata dal governo vuole giungere a “un controllo dei politici sulle scuole sovvenzionate” e togliere a chi dirige gli istituti, il diritto di  nominare i collaboratori e ammettere gli studenti. Pare che il governo voglia scegliere almeno il 50 per cento degli studenti che devono frequentare le scuole gestite dalla Chiesa. Oggi, in questi istituti, tutti gli studenti pagano tasse uguali e un 25 per cento dei posti sono riservati a studenti poveri, provenienti soprattutto dalla caste inferiori. Le scuole cristiane propongono al governo di riservare un 25 per cento dei posti a studenti poveri ma meritevoli e di concedere prestiti agevolati per il pagamento delle tasse scolastiche, definendo “ingiusto” addossare alle minoranze l’intero costo delle sovvenzioni scolastiche, come vuole il governo. “Sebbene il governo dice che diminuirà le tasse scolastiche per una quota di studenti meritevoli – ha detto l’arcivescovo di Trichur – in realtà il relativo costo sarebbe sostenuto in gran parte dalle stesse scuole cristiane. In pratica gli studenti della minoranza che gestisce la scuola dovrebbero non solo pagare la tassa governativa, ma anche sostenere i costi per loro stessi e per gli alunni esentati dalle tasse perché ‘meritevoli’”. In questo modo, ha spiegato il presule, si avrebbe un grande impegno economico per la minoranza cristiana e, in pratica, difficoltà di sostenere queste scuole, che già oggi ricorrono a prestiti e che provvedono all’educazione religiosa e morale della minoranza cristiana, come previsto dalla Costituzione. Inoltre, prosegue la lettera pastorale, il governo vuole togliere tutte le immagini religiose dalle scuole che finanzia, vietare le preghiere e far diventare il sabato e la domenica normali giorni di scuola. PJ Thomas, vicepresidente nazionale del partito Bharatiya Janata Minority Morcha, osserva che, nello Stato, l’80 per cento degli istituti professionali sono condotti da gruppi di minoranza e hanno diritto di ammettere gli studenti a propria discrezione, senza dover rispettare alcuna regola. Per cui le scuole cristiane sarebbero discriminate. (T.C.)

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    Due nuove comunità francescane in India, in Assam. Offrono sostegno alle tribù locali valorizzando le tradizioni e promuovendo i valori evangelici

    ◊   La Provincia indiana dei frati minori ha aperto due comunità in Assam, al confine tra Cina e Myanmar. Una fraternità si trova nella arcidiocesi di Guwahati, l’altra nella vicina diocesi di Bongaigaon. Ambedue le comunità sono vicine alle tribù locali, di cui le principali sono quelle dei Bodos e dei Garos, che vivono generalmente sulle montagne, separati dalla popolazione locale “assamese” e dalle caste indù. Si tratta di tribù che vivono in condizioni di emarginazione, di povertà, prive di servizi sociali, hanno lingue proprie e custodiscono antiche tradizioni e valori umani. Ma sono quelle più aperte al messaggio cristiano e tra la loro gente sono nate molte vocazioni. La Chiesa cattolica, in queste regioni, è molto giovane, ancora in formazione, ma già in rapido sviluppo. La presenza dei frati minori vuole sostenere la Chiesa locale, valorizzare le tradizioni locali promuovendo i valori evangelici, offrire l’educazione ai giovani soprattutto delle tribù circostanti. Per questo le due nuove fraternità sono impegnate in primo luogo nella gestione di due scuole per bambini. Nella loro recente visita alle comunità, fr. Ambrogio Van Si, definitore generale, e fr. Vincenzo Brocanelli, moderatore per le missioni, hanno constatato di persona in quali necessità si trovano i cristiani e le tribù locali. I due religiosi hanno incoraggiato i frati ad elaborare un progetto di “fraternità-in-missione” in vista della prossima costituzione delle due presenze in una Fondazione dipendente dalla Provincia indiana. (A.M. – T.C.)

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    L’arcivescovo di Bukavu, mons. Maroy Rusengo, chiede, insieme alla Croce Rossa e all’ONU, che cessino le violenze nel sud del Kivu, in Congo

    ◊   Preoccupano nel sud Kivu, nell’est della Repubblica Democratica del Congo, le violenze e gli abusi commessi contro la popolazione civile, di solito donne e bambini. A denunciarli, riferisce l’agenzia Fides, è il Comitato Internazionale della Croce Rossa. L’organismo internazionale ha avviato un’operazione per soccorrere 15 mila sfollati, costretti ad abbandonare i loro villaggi a causa degli scontri dei gruppi armati che agiscono nell’area, nonostante gli accordi di pace che hanno messo fine alla guerra civile in Congo e nei Paesi limitrofi. Gli sfollati sono concentrati nella località di Kaniola, 60 chilometri ad est di Bukavu. Secondo la Croce Rossa Internazionale sono oltre 55 mila le persone che necessitano di assistenza nella regione. Il 22 giugno scorso l’Ufficio ONU per il Coordinamento degli Affari Umanitari aveva diffuso un comunicato nel quale è stato sottolineato che i continui scontri armati nel Sud Kivu sono un serio ostacolo al proseguimento delle operazioni di assistenza alla popolazione civile. All’allarme lanciato dalla Croce Rossa e dall’ONU si è aggiunta la voce di mons. Francois Xavier Maroy Rusengo, arcivescovo di Bukavu, che più volte, nelle scorse settimane, ha sottolineato l’esigenza di un forte intervento del governo centrale e delle autorità delle Nazioni Unite per evitare che la situazione degeneri e sfoci in una nuova guerra. (T.C.)

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    Dall'inizio dell'anno sulle rotte libiche hanno perso la vita 249 immigrati clandestini

    ◊   L’ultimo rapporto mensile di Fortress Europe, l’osservatorio sulle vittime dell’immigrazione clandestina che dal 1988 tiene una rassegna stampa divisa per Paesi, ha diffuso i dati di giugno rivelando che sono 154 le persone morte lungo le rotte dell’immigrazione clandestina. Tra loro almeno, scrive l’agenzia SIR, 7 donne e 3 bambini. Dal 1988 il mensile ha censito 9.200 morti, di cui 3.215 dispersi. Le vittime nel Canale di Sicilia sono state 118; 28 sulle rotte per la Sardegna; 4 sulla via per le Canarie e 2 nel mar Egeo, nelle acque di Samos, in Grecia. “I numeri – spiega il rapporto - sono quelli di un bollettino di guerra, ma le vittime cadono sempre sullo stesso lato del fronte”. Dall’inizio del 2007 i giovani che hanno perso la vita sulle rotte libiche sono 249 contro i 302 dell’intero 2006. Il tratto di mare tra Libia, Malta e Sicilia è diventato “una fossa comune. Vi giacciono – dicono a Fortresse Europe - i corpi di 1.316 delle 2.178 vittime documentate tra il 1994 ed oggi. Un dato approssimato per difetto perché nessuno sa cosa succede in mare. Le onde continuano a restituire corpi di naufraghi fantasmi”. Secondo Fortresse Europe, gli sbarchi però stanno diminuendo e dalla Libia arriva la notizia di 2.137 arresti nel solo mese di maggio. (T.C.)

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    Crisi della famiglia e bassa qualità dell'istruzione fra le preoccupazioni dei vescovi colombiani riuniti in assemblea plenaria

    ◊   E’ un vincolo speciale quello “tra il vescovo e la vita religiosa poiché entrambi sono stati chiamati alla stessa missione, cioè mostrare la vita cristiana nella sua forma più perfetta”, missione e comunione, cosa che “è oggi più che mai necessaria”: è quanto ha affermato mons. Luis Augusto Castro Quiroga, arcivescovo di Tunja e presidente della Conferenza episcopale colombiana, nel discorso con il quale, lunedì scorso, ha aperto la 83.ma assemblea plenaria sul tema della vita consacrata come dono di Dio per la Chiesa particolare. “Questa assemblea è ritenuta molto opportuna non solo per i consacrati ma anche per i Vescovi”, ha detto il presule che ha compiuto un’analisi degli aspetti positivi, dei principali problemi e delle sfide che riguardano il Paese. Tra gli aspetti positivi, scrive l'agenzia Fides, mons. Castro Quiroga ha sottolineato i grandi valori della Chiesa cattolica, come l’amore a Gesù Cristo e la devozione alla Vergine Maria, presenti in una ricca e profonda religiosità popolare, quindi il lavoro dei missionari svolto con abnegazione, gli sforzi di rinnovamento delle parrocchie, la presenza dei movimenti ecclesiali e delle nuove comunità, il rinvigorimento del sistema democratico. Tra i campanelli di allarme una certa debilitazione della vita cristiana nella società e dell’appartenenza alla Chiesa; un indebolimento della trasmissione della fede nella famiglia; un’evangelizzazione con poco ardore e senza nuovi metodi ed espressioni; un’alta percentuale di cattolici che non hanno coscienza della loro missione. A tali elementi si aggiungono, ha detto ancora il presule, una globalizzazione senza solidarietà che colpisce negativamente i settori più poveri; la bassa qualità dell’istruzione che lascia i giovani sotto ai livelli di competitività e che, insieme alla crisi della famiglia, produce in loro profonde carenze affettive e conflitti emozionali; una notevole assenza di leader cattolici di forte personalità, coerenti con la propria fede, nell’ambito politico, della comunicazione ed universitario. Mons. Castro Quiroga ha segnalato anche alcune sfide urgenti nel Paese: resistere all’anticultura della morte con la cultura cristiana della solidarietà, rivitalizzare il modo di essere cattolici, prestare un’attenzione speciale alla promozione vocazionale, rilanciare l’identità cattolica dei centri educativi per mezzo di un impulso missionario coraggioso ed audace, assumere la preoccupazione per la famiglia come una delle assi trasversali di tutta l’azione evangelizzatrice della Chiesa, ed infine garantire l’effettiva presenza della donna nei ministeri affidati ai laici nella Chiesa. (T.C.)

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    A duecento anni dalla nascita, commemorato in Italia Giuseppe Garibaldi

    ◊   Si celebrano oggi duecento anni dalla nascita di Giuseppe Garibaldi, condottiero e patriota italiano. Il presidente della Repubblica Italiana Giorgio Napolitano ha deposto una corona di fiori davanti al monumento che a Roma ricorda il generale sulla collina del Gianicolo. Il Capo dello Stato ha sostato per alcuni attimi in raccoglimento, mentre una pattuglia delle Frecce Tricolori ha sorvolato il Gianicolo. "Siamo qui per rendere omaggio ad una figura del passato storico - ha detto Napolitano - ma anche espressione delle idealità ancora vive della democrazia italiana". Una cerimonia si è svolta anche a Palazzo Madama, sede del senato, dove recentemente la statua dell'eroe dei due mondi è tornata nel salone principale. "Sono molto contento della cerimonia - ha commentato il capo dello Stato - e della restituzione del busto di Garibaldi al luogo più solenne del Senato". Giuseppe Garibaldi è stato protagonista di diverse campagne militari e ha organizzato la spedizione per conquistare il Regno delle Due Sicilie (la spedizione dei Mille) e consegnarlo a Vittorio Emanuele II. (T.C.)

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    Si è spento a Carouge, in Svizzera, padre Raymond Bréchet, uno dei fondatori del periodico “Choisir"

    ◊   Il padre gesuita Raymond Bréchet, tra i fondatori a Ginevra della rivista culturale “Choisir”, è morto, lunedì scorso, a Carouge, in Svizzera, all’età di 84 anni. Le esequie saranno celebrate, domani pomeriggio, nella chiesa parrocchiale Saint-Croix di Carouge. Corrispondente da Roma durante il Concilio Vaticano II, padre Bréchet è stato, a partire dal 1978, cappellano cattolico della Comunità ecumenica di handicappati del Cantone di Ginevra e, successivamente, esorcista. Il suo superiore ha detto che il sacerdote è stato “attivissimo, ha pregato tanto, scritto molto e sempre disposto ad aiutare il prossimo. Era la vera provvidenza di tutti i poveri. La sua caratteristica è stata la compassione. Amico dei ricchi e dei poveri, ha accolto innumerevoli persone, senza mai darsi pena”. (A.M.)

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    24 Ore nel Mondo



    In Pakistan, decine di morti per un attacco antigovernativo nel nord e scontri ad Islamabad tra agenti e studenti integralisti - Liberato nella striscia di Gaza il giornalista britannico Alan Jonston

    ◊   In Pakistan, un kamikaze a bordo di un’auto, si è lanciato contro un convoglio di militari governativi, nella regione tribale del Waziristan, nel nord ovest del Paese. Il bilancio è pesante: cinque militari e un bambino hanno perso la vita. Ancora alta, poi, la tensione ad Islamabad dove si temono nuovi scontri tra studenti integralisti e forze di polizia. Il servizio di Beatrice Bossi:


    Oltre 600 studenti, che da due giorni occupavano le scuole coraniche della moschea rossa di Islamabad, si sono arresi allo scadere dell’ultimatum del governo pakistano. Ma la situazione non è ancora tornata alla normalità: questa mattina, nuovi scontri con la polizia hanno fatto salire ad almeno 19 il numero dei morti. Per favorire la resa, il presidente Musharraf ha garantito l’incolumità e circa 60 euro. In cambio, è stato chiesto agli studenti di deporre le armi. All’interno dell’edificio, tuttavia, ci sarebbero ancora centinaia di persone intenzionate a non lasciare la moschea. Secondo la stampa locale, alcuni studenti sarebbero disposti ad arrendersi, ma sono trattenuti dai leader religiosi. Il governo preferisce, al momento, non intervenire per evitare ulteriore spargimento di sangue. Gli studenti integralisti della scuola coranica chiedono l’istituzione di un tribunale proprio e l’imposizione della legge islamica nel Paese. Tali richieste sono sostenute anche da migliaia di pakistani che oggi sono scesi in strada in molte città del Pakistan. Secondo fonti di stampa, il presidente pakistano Musharraf appare sempre più indebolito e in molti nel Paese criticano quella che considerano una linea di governo troppo filo occidentale.

    - I vescovi del Pakistan hanno condannato le violenze e chiesto un intervento deciso del governo. Ascoltiamo al microfono di Will Taylor l’arcivescovo di Lahore, mons. Lawrence John Saldanha, presidente della Conferenza episcopale pakistana:


    There was a standoff between the people of the mosque and also the rangers …
    "C’è stato uno scontro tra la gente alla moschea e le forze di sicurezza che poi è sfociato in uno scontro armato tra le due parti con 19 morti e un centinaio di feriti. La tensione è ora molto alta. I manifestanti sono armati pesantemente e stanno opponendo resistenza. Questo avvenimento rappresenta una minaccia ed un pessimo esempio per tutto il Paese; è grave che questo gruppo abbia la possibilità di operare e di diffondere la propria interpretazione dell’islam che, peraltro, non è condivisa dal grande pubblico ma solo da alcuni estremisti. Ecco perché noi pensiamo che tutto questo non sia accettabile".

    - Nuove notizie sulle condizioni di salute di padre Giancarlo Bossi sono pervenute al Pontificio Istituto Missioni Estere (PIME). Secondo questi messaggi, ancora da verificare, il missionario starebbe bene. Lo riferisce l’agenzia MISNA, che precisa però la presenza di contraddizioni in riferimento al luogo in cui è detenuto il sacerdote, rapito lo scorso 10 giugno nel sud delle Filippine. Proseguono, comunque, le operazioni di ricerca da parte dell’esercito nelle aree meridionali di Lanao del Sur e della baia di Sibugay.

    - Dopo quasi quattro mesi di prigionia è stato rilasciato nella notte Alan Johnston, il giornalista della BBC rapito lo scorso 12 marzo a Gaza da un gruppo integralista. Il nostro servizio:


    Dopo quelli che lo stesso Johnston ha definito “114 giorni di un incubo ad occhi aperti”, è arrivato l’atteso lieto fine: i rapitori, appartenenti ad un piccolo gruppo palestinese vicino ad Al Qaeda, hanno consegnato il giornalista britannico ai dirigenti di Hamas, il movimento islamico palestinese, che dallo scorso 15 giugno controlla la Striscia di Gaza. Il rilascio, mediato da un religioso musulmano locale, è stato preceduto da uno scambio di prigionieri. Il gruppo dei sequestratori, il sedicente "Esercito dell’islam", ha rimesso in libertà nove studenti di Hamas, rapiti nei giorni scorsi. Hamas, a sua volta, ha rilasciato alcuni miliziani del gruppo fondamentalista. Il governo britannico ha subito riconosciuto il ruolo cruciale assunto da Hamas e dal presidente palestinese Abu Mazen, leader di Al Fatah, per arrivare alla liberazione di Alan Johnston. Ma i due partiti palestinesi attraversano fasi politiche molto diverse. Al Fatah, che guida il nuovo esecutivo palestinese, continua a ricevere l’appoggio dalla comunità internazionale. Il movimento islamico, arroccato nella Striscia di Gaza ed ormai isolato sul piano internazionale, cerca invece di aprire nuovi fronti di dialogo con l’Occidente: subito dopo la liberazione del giornalista britannico, l’ex premier palestinese ed esponente di Hamas, Ismail Hanieh, ha espresso l’auspicio che un accordo possa mettere fine alla prigionia del soldato israeliano Gilad Shalit, sequestrato a Gaza oltre un anno fa.

    - E’ viva Ingrid Betancourt, la cittadina franco-colombiana sequestrata nel 2002 dai ribelli colombiani delle Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (FARC). In un video, che risale allo scorso mese di ottobre, un soldato assicura di aver incontrato Ingrid Betancourt. I guerriglieri delle FARC chiedono la liberazione da parte del governo colombiano di 500 prigionieri in cambio di 47 ostaggi.

    - In Nigeria, uomini armati hanno attaccato un impianto petrolifero e rapito cinque dipendenti stranieri, di cui al momento non si conosce la nazionalità. Secondo gli inquirenti, dietro questo ennesimo sequestro ci sarebbero i ribelli del sedicente Movimento per l’Emancipazione del Delta del Niger (MEND). Poche ore prima del rapimento, il MEND aveva annunciato la fine della tregua, decretata lo scorso 3 giugno. (Panoramica intrnazionale a cura di Amedeo Lomonaco)
      
    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LI No. 185

     

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