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SOMMARIO del 26/06/2007

Il Papa e la Santa Sede

  • Benedetto XVI stabilisce con un Motu Proprio che sarà sempre necessaria una maggioranza di due terzi per eleggere il Sommo Pontefice
  • Il Papa ha dato l'assenso all'elezione del nuovo arcivescovo dei Greco-melkiti, mons. Yasser Ayyach
  • Inizia oggi, nella Basilica Papale di San Paolo fuori le Mura, il triduo Petro-Paolino. Giovedì prossimo, Benedetto XVI proclamerà l’Anno Paolino
  • Il cardinale Tauran spiega le ragioni del ripristino della presidenza del Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso, affidatagli ieri dal Papa
  • Il Consiglio dei Diritti dell’Uomo rafforzi la cooperazione internazionale: lo auspica l’arcivescovo Silvano Maria Tomasi, a un anno dalla creazione dell'organismo
  • Presentata l'Agorà dei giovani di Loreto, in programma all'inizio di settembre, alla quale parteciperà Benedetto XVI
  • Il cardinale Renato Martino è intervenuto al XXII Congresso dell'Apostolato del mare, in corso nella città polacca di Gydnia
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Oggi è la Giornata ONU contro il consumo di droghe, in aumento in diverse zone del mondo. Intervista con Antonio Maria Costa
  • Il mondo celebra la Giornata di sostegno alle vittime della tortura. Ne parliamo con Kolya Canestrini
  • Al XXXI Convegno della Caritas, l'intervento del presidente della CEI, Bagnasco, sul legame tra Eucaristia e carità
  • A Nizza, il Simposio della Fondazione Migrantes per riflettere sulla pastorale tra gli italiani all'estero
  • Quarant'anni fa moriva don Lorenzo Milani. Mons. Bagnasco: il suo messaggio sull'urgenza educativa è sempre attuale
  • Chiesa e Società

  • Per l'attentato di domenica in Libano, il cordoglio dei vescovi spagnoli e dell'arcivescovo di Madrid, il cardinale Rouco Varela
  • Scarseggiano a Gaza gli aiuti umanitari: oltre un milione di palestinesi rischiano di rimanere senza cibo e acqua
  • La prossima Conferenza episcopale dei vescovi austriaci si terrà in Terra Santa
  • Violenze e ingiurie contro un sacerdote e 4 cristiani nello Stato indiano di Karnataka
  • Al vescovo della diocesi pakistana di Faisalabad, Joseph Coutts, il Premio “Shalom”. Per il presule in Pakistan i cristiani sono ancora discriminati
  • Dichiarato in Pakistan lo stato d’emergenza per le piogge monsoniche. Centinaia di morti e feriti soprattutto nel sud del Paese e in India
  • Costa Rica: i vescovi del Paese esprimono la loro contrarietà ad una proposta parlamentare che vorrebbe equiparare le unioni omosessuali al matrimonio
  • Pubblicato un documento dei religiosi australiani dedicato agli aborigeni
  • Ad Antiochia, in Turchia, sarà inaugurato per la Festa dei Santi Pietro e Paolo un complesso con 17 appartamenti, donato ai poveri dalla Caritas italiana
  • Proseguono a Tarso i lavori del simposio su San Paolo
  • Al convegno nazionale della Caritas, Savino Pezzotta indica le virtù come fondamento dell’impegno sociale. Don Franco Giulio Brambilla: occorre stare di più con i poveri
  • 24 Ore nel Mondo

  • E’ attesa per oggi la nomina di Tony Blair come inviato del quartetto - In Corea del Nord arrivati gli ispettori della AIEA
  • Il Papa e la Santa Sede



    Benedetto XVI stabilisce con un Motu Proprio che sarà sempre necessaria una maggioranza di due terzi per eleggere il Sommo Pontefice

    ◊   Importante modifica nel regolamento per l’elezione in Conclave del Sommo Pontefice. E’ quanto stabilito da un Motu Proprio del Papa, pubblicato oggi, che porta la data dell’11 giugno scorso. Benedetto XVI spiega che, dopo la promulgazione della Costituzione Universi Dominici Gregis, sull’elezione del Sommo Pontefice, erano giunte a Giovanni Paolo II diverse “richieste autorevoli” (auctoritate insignes) che sollecitavano il ripristino della norma tradizionale, secondo cui per l’elezione valida del Romano Pontefice erano sempre necessari i 2/3 dei suffragi dei cardinali elettori presenti. Per i particolari, ci riferisce Alessandro Gisotti:

    Per eleggere il Pontefice sarà sempre necessaria una maggioranza qualificata. E’ quanto stabilisce un Motu Proprio, reso pubblico oggi, con il quale Benedetto XVI ripristina la norma tradizionale circa la maggioranza richiesta nell’elezione del Sommo Pontefice. In base a tale norma, perché il Papa possa considerarsi validamente eletto è sempre necessaria la maggioranza dei due terzi dei cardinali presenti in Conclave. Secondo le nuove disposizioni, inoltre, dopo la 33.ma o 34.ma votazione, si passa direttamente al ballottaggio fra i due cardinali che avranno ricevuto il maggior numero di voti nell’ultimo scrutinio. Anche in questo caso, però, sarà necessaria una maggioranza dei due terzi. Viene inoltre specificato che i due cardinali rimasti in lizza per l’elezione non potranno partecipare attivamente al voto, avranno quindi solo voce passiva. Ricordiamo che prima di questo Motu Proprio, la Costituzione apostolica Universi Dominici Gregis del 1996, stabiliva - al punto 75 - che dopo il 33.mo o 34.mo scrutinio, qualora gli elettori non avessero trovato un’intesa, si sarebbe potuto procedere anche a votazioni per le quali fosse sufficiente “la sola maggioranza assoluta”. Il Motu Proprio di Benedetto XVI stabilisce, infine, che la nuova norma entri in vigore in data odierna con la pubblicazione del documento pontificio su L’Osservatore Romano.

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    Il Papa ha dato l'assenso all'elezione del nuovo arcivescovo dei Greco-melkiti, mons. Yasser Ayyach

    ◊   Benedetto XVI ha dato il suo assenso all’elezione canonicamente fatta dal Sinodo dei Vescovi della Chiesa Greco Melkita - riunitosi a Ain Traz, in Libano, dal 18 al 23 giugno scorsi - del reverendo Yasser Ayyach come arcivescovo di Petra e Filadelfia dei Greco Melkiti, finora parroco della parrocchia Melkita di Amman-Alwabdi, in Giordania.

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    Inizia oggi, nella Basilica Papale di San Paolo fuori le Mura, il triduo Petro-Paolino. Giovedì prossimo, Benedetto XVI proclamerà l’Anno Paolino

    ◊   Benedetto XVI proclamerà giovedì pomeriggio, nella Basilica Papale di San Paolo Fuori le Mura, l’Anno Paolino: un anno speciale dedicato all'Apostolo delle genti in occasione del bimillenario della sua nascita, stimata tra il 6 e il 10 d.C.. Il Papa presiederà, alle 17.30, i Primi Vespri Pontificali della solennità dei Santi Pietro e Paolo che la Chiesa celebra il 29 giugno. Oggi pomeriggio, sarà invece il cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, a presiedere alle 17.30, nella Basilica di San Paolo fuori le Mura, i Vespri e la Messa della prima giornata del triduo Petro-Paolino. Domani, alle 18, la celebrazione dei Vespri coinvolgerà i rapprensentanti di diverse comunità cristiane che proclameranno l’"Inno alla carità" presso l'altare della Confessione di San Paolo. Nel giorno della solennità dei Santi Pietro e Paolo, la celebrazione dei Vespri e la Messa Solenne, a partire dalle 17.30, saranno presiedute dall’abate benedettino Edmund Power e vi prenderà parte il cardinale Andrea Cordero Lanza di Montezemolo, arciprete della Basilica di San Paolo Fuori le Muri. Alle 20, si svolgerà la processione della catena di San Paolo.

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    Il cardinale Tauran spiega le ragioni del ripristino della presidenza del Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso, affidatagli ieri dal Papa

    ◊   La visita che ieri ha portato Benedetto XVI nell'Archivio Segreto e nella Biblioteca Apostolica Vaticana - che chiuderà per un una lunga parentesi di restauri dal 14 luglio prossimo - è stata l'occasione per il Papa di annunciare importanti nomine non solo ai vertici della Biblioteca ma anche del Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso. Dopo oltre un anno in cui la titolarità del dicastero era stata assegnata al presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, ora il Papa ha stabilito di ripristinarla affidandola, dal prossimo primo settembre, al cardinale Jean-Louis Tauran, che si appresta dunque a lasciare l'incarico di bibliotecario e archivista di Santa Romana Chiesa. Al microfono di Romilda Ferrauto, il porporato spiega le regioni di questa decisione:


    R. - Io penso che sia un segnale dell’importanza che il Papa annette a questo dialogo tra le religioni, in particolare con l’Islam. Quindi ha voluto che questo Consiglio recuperasse la sua autonomia, per essere uno strumento più efficace a servizio di questo dialogo tra le religioni.

     
    D. - Si può dire che la crisi di Ratisbona abbia avuto un ruolo in questa decisione del Papa?

     
    R. - Sì, penso che abbia avuto un’influenza decisiva, anche perchè grazie alle reazioni il Papa ha potuto chiarire il suo pensiero e leggendo i discorsi che il Papa ha indirizzato agli ambasciatori dei Paesi arabi, ma anche a quelli venuti dall’Asia a presentare le loro lettere credenziali, si vede molto bene un filo rosso di questo pensiero del Papa, che pensa che il dialogo interreligioso sia fattore di pace, e chele religioni siano al servizio della pace.

     
    D. - Eminenza, Lei è un diplomatico, è stato chiamato a delle missioni delicate in zone calde del mondo: che cosa significa la scelta che è stata fatta di affidare a lei la presidenza di questo consiglio?

     
    R. - Io penso che, a quanto mi ha detto il Santo Padre, effettivamente, l’esperienza che ho della problematica del Medio Oriente e le conoscenze che ho anche del mondo arabo, fanno sì che possa portare la mai “pietruzza” a questa costruzione del dialogo tra le religioni.

     
    D. - E’ troppo presto per definire le priorità che saranno quelle dei prossimi mesi, ma ci può dire con quale stato d’animo si prepara a iniziare questo nuovo mandato?

     
    R. - Cercherò soprattutto di ascoltare i miei collaboratori che mi metteranno al corrente dei diversi dossiers che sono sul tavolo, ma, per il momento, pensando al futuro, io vorrei favorire un lavoro di concertazione, per esempio tra il Pontificio consiglio, la seconda sezione della Segreteria di Stato, la Congregazione per le Chiese Orientali, la Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli e il Pontificio Istituto per gli studi arabi, in modo che tutti possiamo avere una visione completa della problematica di questo dialogo tra le religioni.

     
    D. - Per finire si può dire che il dialogo interreligioso oggi è irrinunciabile anche riguardo alla situazione in Medio Oriente…

     
    R. - Certamente. Infatti, mi ricordo che il Papa, recentemente, a Bologna, ha detto che il dialogo con i musulmani, per esempio, non è una cosa passeggera ma appartiene all’azione della Chiesa, perché la Chiesa è essenzialmente dialogo nella misura in cui Cristo è la Parola di Dio e dunque la Chiesa è parola e conversazione e dialogo per essenza.

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    Il Consiglio dei Diritti dell’Uomo rafforzi la cooperazione internazionale: lo auspica l’arcivescovo Silvano Maria Tomasi, a un anno dalla creazione dell'organismo

    ◊   Le sfide della cooperazione internazionale e della promozione dei diritti umani sono state al centro dell’intervento dell’arcivescovo Silvano Maria Tomasi alla quinta sessione ordinaria del Consiglio dei Diritti dell’Uomo, in corso in questi giorni. L’Osservatore permanente della Santa Sede presso l’Ufficio ONU di Ginevra ha ribadito la necessità di un approccio multilaterale alle grandi questioni dei nostri tempi. Il servizio di Alessandro Gisotti:


    I diritti umani “devono avere la precedenza sulle piccole questioni politiche” e su quei vantaggi immediati che possono derivare dal “tollerare la violazione di questi diritti”: è il richiamo di mons. Silvano Maria Tomasi, che si è anche soffermato sull’importanza del nuovo Consiglio dei Diritti dell’Uomo, creato un anno fa. Si tratta, ha detto, di una pianta che si spera possa dare molti frutti nella difesa dei diritti umani fondamentali. “Gli sforzi multilaterali degli ultimi mesi - ha proseguito - hanno offerto un esempio di come lavorando assieme con pazienza e buona volontà, possano essere raggiunti risultati positivi”. D’altro canto, ha rilevato, il consenso raggiunto “è un punto di partenza” per rimediare alle mancanze che “gli eccessivi compromessi” hanno prodotto a spese “di un sostegno più determinato e più efficace” dei diritti umani, specie in “regioni remote del mondo”. Ha, così, ribadito che alla globalizzazione dei diritti umani deve “aggiungersi una globalizzazione dell’economia, delle comunicazioni e dei movimenti di persone”. Infine, il presule ha auspicato che il Consiglio dei Diritti dell’Uomo possa diventare un pilastro “del sistema internazionale di coesistenza e cooperazione” per contribuire a migliorare la qualità della vita di ogni essere umano”.

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    Presentata l'Agorà dei giovani di Loreto, in programma all'inizio di settembre, alla quale parteciperà Benedetto XVI

    ◊   “Il Papa ti aspetta: iscriviti a Loreto!”questo il titolo dell’iniziativa che promuove le iscrizioni all’Agorà dei giovani, in programma a Loreto i prossimi primo e due settembre. Almeno 300 mila i ragazzi italiani e 800 i delegati dei Paesi europei e del Mediterraneo che accoglieranno Benedetto XVI sulla spianata di Montorso. L’iniziativa si inserisce in un percorso triennale di preghiera e meditazione che si concluderà nel 2009 e che pone i giovani al centro della Chiesa italiana. Ma qual è l’obiettivo dell’Agorà di Loreto? Isabella Piro lo ha chiesto a mons. Giuseppe Betori, segretario generale della CEI, che stamani ha presentato l’evento presso la nostra emittente:


    R. - E’ quello di dare uno spazio alla pastorale giovanile al termine del decennio, comunicare la fede in un mondo che cambia, che impegna tutta la Chiesa italiana, e creare uno spazio per i giovani, per ascoltare i giovani, per svolgere un’attività di evangelizzazione tra i giovani, inserendoci dentro quella che è la proposta del Santo Padre, incentrata sulla Giornata mondiale della gioventù, in particolare quella di Sydney. Svolgeremo un anno, questo 2007, dedicato all’ascolto del mondo giovanile, che culminerà con l’incontro del Santo Padre con i giovani a Loreto che, appunto, farà da anello di congiunzione tra questo anno dell’ascolto e l’anno della proposta della testimonianza, che è il tema della Giornata mondiale della gioventù di Sydney.

     
    D. - Lei si è soffermato sul concetto dei giovani come “periferia del mondo”. In che senso?

     
    R. - Nel senso che tutto quello che è il mondo culturale, economico, vede i giovani come una realtà da sfruttare piuttosto che da valorizzare. Noi vorremmo, invece, incontrare questa periferia del mondo che sono i giovani nelle loro periferie, nelle loro situazioni di criticità. Quindi, provare a fare dei giovani un punto centrale dell’attenzione della Chiesa e un punto centrale della proposta del Vangelo.

     
    D. - Dal 29 giugno, sarà attivo un sito Internet sul quale sarà possibile iscriversi all’Agorà: www.loreto07.it. Perché questa scelta multimediale?

     
    R. - Perché noi ci accorgiamo che molti giovani non si avvicinano a noi e a questi eventi attraverso le strutture ad essi dedicate nelle diocesi o attraverso le aggregazioni, associazioni e movimenti, ma anche singoli giovani si interessano a queste nostre proposte. Allora, un sito internet è dedicato a questo e alla possibilità di un’iscrizione anche per singoli e non solo per gruppi.

     
    D. - In contemporanea con l’Agorà, verrà lanciata anche la campagna di raccolta fondi per un progetto di solidarietà in Etiopia: si tratta di costruire una Chiesa nella città di Wolkite e un centro pastorale per i giovani a Emdeber…

     
    R. - Noi vogliamo dare una continuità e anche un segnale educativo ai giovani che vengono a Loreto, perché non si dimentichino dei giovani meno fortunati che sono nel mondo. Abbiamo scelto l’Africa in modo che si coniughi insieme sia l’attenzione ai problemi sociali dei giovani - quindi un centro giovanile - ma anche ai problemi dell’annuncio del Vangelo ai giovani. Quindi, una Chiesa, perché non venga mai disgiunto quello che è l’annuncio del Vangelo da quella che è invece la promozione umana dei giovani.

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    Il cardinale Renato Martino è intervenuto al XXII Congresso dell'Apostolato del mare, in corso nella città polacca di Gydnia

    ◊   ‘‘Non possiamo rimanere indifferenti o indifesi, ma dobbiamo sforzarci di trovare modi nuovi di esprimere la nostra solidarietà e la nostra preoccupazione” per gli immani e crescenti problemi nel mondo marittimo, e anche per essere capaci "di testimoniare ad ogni uomo e donna la cui vita è collegata al mare la fede che salva, la carità che ama e la speranza che illumina”. Su questa esigenza di una specifica e rafforzata cura pastorale, si è sviluppata stamattina a Gdynia, in Polonia, la riflessione del cardinale Renato Raffaele Martino, presidente del Pontificio Consiglio per la Pastorale dei Migranti e degli itineranti, che ha preso la parola al XXII Congresso mondiale dell’Apostolato del Mare, organizzato dal suo dicastero. Ce ne parla, da Gdynia, Pierluigi Natalia:


    Il cardinale Martino non ha nascosto la sua profonda assonanza con la gente di mare, originario com'è di una zona, la costa della Campania, che al mare è stata legata indissolubilmente dalla sua storia plurimillenaria. Anche nel suo sacerdozio, ha aggiunto il porporato - che proprio in questi giorni ha celebrato il cinquantesimo di ordinazione - il popolo di Dio che è sul mare, quel popolo al quale guarda con amore ed impegno questo Congresso, ha avuto da sempre un posto prezioso, in qualche modo persino simbolico, dato che il primo matrimonio benedetto dal giovane prete Renato Raffaele Martino fu quello di un pescatore. Nel suo intervento al Congresso, il cardinale ha evidenziato l’importanza dell'impegno ecclesiale e sociale espresso dall’Apostolato del Mare e il sostegno che ad esso giunge dalla Chiesa universale, grazie anche all'azione dei rappresentanti pontifici e alla collaborazione con le altre organizzazioni cristiane. In questo senso, il presidente del dicastero vaticano ha fatto particolare riferimento alla Convenzione internazionale del 2006 sul lavoro marittimo e a quella recentissima sulla pesca, un settore che vede impiegati nel mondo oltre quaranta milioni di persone, spesso in condizioni di particolare difficoltà e di pericolo. In parallelo, la “visibilità” dell'Apostolato del Mare è cresciuta in questi anni anche all'interno della Chiesa. Basti ricordare che dal 2003 prima Giovanni Paolo II e poi Benedetto XVI hanno annualmente parlato in un Angelus domenicale della celebrazione della Giornata del Mare come occasione preziosa di attenzione alle necessità e al significato di questo servizio ecclesiale. Dell’Apostolato del Mare il laicato non è solo il beneficiario, ma ha in esso un ruolo attivo e propositivo, in un progetto che il cardinale Martino ha sintetizzato in tre punti: globalizzare la solidarietà, dare un volto umano alla globalizzazione, promuovere una convivenza mondiale in cui trovino adeguata rispondenza i valori del Vangelo e la dottrina sociale della Chiesa. Sulle suggestioni offerte dal cardinale Martino, come pure dagli altri relatori già intervenuti o che si accingono a farlo, si stanno confrontando in questi giorni a Gdynia circa trecento congressisti, impegnati non solo in sessioni generali, ma in serrati lavori nei gruppi di studio dai quali stanno emergendo numerose proposte e prospettive per un'azione sempre più efficace.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Servizio vaticano - Litterae Apostolicae Motu Proprio datae de aliquibus mutationibus in normis de electione Romani Pontificis.

    Servizio estero - Medio Oriente: possibili sviluppi nel dialogo interpalestinese; Hamas pronto ad intavolare negoziati con Fatah.

    Servizio culturale - Un articolo di Paolo Miccoli dal titolo "Valore del 'consilium' nel Medioevo": stilemi epistemologici e comportamenti etici molto distanti da quelli attuali.
    Per l' "Osservatore libri", un articolo di Gaetano Vallini dal titolo "Un capitolo sconosciuto degli orrori staliniani": ne "L'isola dei cannibali" di Nicolas Werth il resoconto dei fatti verificatisi a Nazino, in Siberia, nel 1933.
     Servizio italiano - In primo piano il tema delle pensioni.

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    Oggi in Primo Piano



    Oggi è la Giornata ONU contro il consumo di droghe, in aumento in diverse zone del mondo. Intervista con Antonio Maria Costa

    ◊   “La droga ha il controllo sulla tua vita? La tua vita. La tua comunità. Non c’è posto per la droga” è il tema della campagna contro la droga, promossa dalle Nazioni Unite in occasione della Giornata internazionale contro il consumo e il traffico illecito di stupefacenti che si celebra oggi. Lo slogan, che sarà utilizzato per tre anni, nel 2007 si incentrerà sull’abuso di droghe. L’obiettivo è accrescere la consapevolezza pubblica che la questione delle droghe illecite rappresenta per la società un importante problema. “L’abuso delle sostanze stupefacenti - ha dichiarato il segretario delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, nel suo messaggio per la Giornata - deve essere prevenuto, trattato e controllato anche perché ad esso è correlata la diffusione di malattie come l’HIV e l’epatite”. Antonella Villani ha chiesto ad Antonio Maria Costa, direttore dell'Ufficio dell'ONU per la lotta agli stupefacenti, quante sono le persone che fanno uso di droghe nel mondo:


    R. - Duecento milioni di persone usano qualsiasi tipo di droga illecita - marijuana, oppio, cocaina e così via - almeno una volta all’anno, che ovviamente non è una qualifica di tossicodipendenza. La tossicodipendenza, cioè persone che hanno problemi che non possono controllare, colpisce 25 milioni di persone, il che vuol dire una persona ogni 200 esseri umani.

     
    D. - Ci sono delle zone del mondo in cui l’abuso di queste sostanze è più significativo?

     
    R. - E’ sempre stata una caratteristica dei Paesi ricchi, perciò il Nord America e l’Europa occidentale. Da qualche anno, questa infezione si è diffusa all’Europa dell’est e la Russia. Abbiamo un problema molto serio in Iran, la cui prossimità all’Afghanistan lo rende molto vulnerabile all’esportazione di oppio e, soprattutto, di eroina da quel Paese.

     
    D. - Quali sono i tipi di droga più utilizzati?

     
    R. - Il Nord America ha sempre privilegiato la cocaina, droghe sintetiche, anfetamine e cannabis. In Europa, la droga privilegiata è sempre stata l’eroina, che è in calo ed è in via di sostituzione con la cocaina. Il resto del mondo non usa droghe ai livelli conosciuti nei nostri Paesi, ma la marijuana, il cannabis, è abbastanza diffuso.

     
    D. - Molte delle vie della droga partono dall’Afghanistan. Come contrastare il fenomeno, vista la difficilissima situazione in cui vive il Paese?

     
    R. - Il mio auspicio è di rafforzare le frontiere con l’Afghanistan, che sono abbastanza aperte, soprattutto quelle con il Pakistan: 2400 chilometri di frontiera attraverso la quale transita droga, precursori chimici, denaro illecito, armi, terroristi. Perciò, è una delle frontiere più difficili al mondo. Bisogna aiutare questi due Paesi a controllare le proprie frontiere e a limitare l’afflusso di droga e l’ingresso di terroristi, che poi diventano gli elementi propulsori per le coltivazioni illecite.

     
    D. - Altro tasto dolente è la cannabis, la marijuana, di cui i giovani spesso abusano, pensando che non comporti rischi per la salute...

     
    R. - La cannabis è ancora più pericolosa di quanto si pensasse anni addietro, perché sono riusciti a clonarla e a renderla molto più potente di un tempo. Il contenuto tossico della marijuana, che una volta si aggirava sul due, tre per cento del prodotto, adesso si aggira sul 20 per cento. Di conseguenza, invito le autorità a prendere iniziative assolutamente più robuste, proprio per limitare un problema che, all’origine, tutti ritengono sia gestibile, ma, in effetti, diventa l’inizio di una serie di difficoltà, in termini di salute, molto forti.

     
    D. - A questo punto, che fare per impedire che la droga assuma il controllo della nostra vita?

     
    R. - Bisogna riconoscere che la tossicodipendenza è una malattia, è una vulnerabilità dell’individuo, che viene esacerbata dagli aspetti sociali: mancanza di famiglia, emarginazione, disoccupazione, frustrazioni o, in generale, perdita di valori. Come Nazioni Unite, quindi, insistiamo che i Paesi adottino misure sanitarie forti per trattare la malattia così come essa è, dall’inizio della sua fase. E, in seconda istanza, convincere la società di dover partecipare alla riduzione del danno: perciò famiglie più unite, scuola più attenta ai bisogni dei giovani, luoghi di lavoro che inducano all’astinenza e soprattutto ad un controllo più efficace da parte delle autorità degli ambienti ludici, tipo le discoteche, all’origine del problema.

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    Il mondo celebra la Giornata di sostegno alle vittime della tortura. Ne parliamo con Kolya Canestrini

    ◊   Viene celebrata oggi in tutto il mondo la Giornata internazionale per il sostegno alle vittime della tortura, nell’anniversario dell’entrata in vigore, il 26 giugno 1987, della Convenzione delle nazioni Unite contro la tortura. Con l’osservanza internazionale della Giornata si vuole ricordare che la tortura è un gravissimo crimine e ribadire con forza il “no” della comunità internazionale a tale crudele violazione dei diritti umani. Questo stesso concetto è stato espresso, in un messaggio, dal segretario generale dell’ONU, Ban Ki-moon, il quale ha voluto sottolineare che “nonostante siano passati vent’anni dall’entrata in vigore della Convenzione, il documento deve essere ancora ratificato da molti Paesi signatari”. Il numero uno del Palazzo di Vetro invita, dunque, gli Stati membri dell’ONU, che non l’hanno ancora fatto, ad aderire alla convenzione. Intanto, molti osservatori continuano ad accusare l’Europa e l’Occidente, in generale, di fare pochissimo contro la tortura. Perché questo atteggiamento? Salvatore Sabatino lo ha chiesto a Kolya Canestrini, professore di diritto internazionale e mediazione nei conflitti, presso l’Università di Ferrara:


    R. - L’Europa è una tra quelle realtà internazionali che pur avendo adottato anche delle convenzioni interne contro la tortura sono sospetti di prestare il fianco ai torturatori. Basta scorrere nelle pagine dei giornali per vedere degli eclatanti esempi. Abbiamo appreso in queste settimane che per l’Europa sarebbero transitati voli o state detenute delle persone, illegalmente detenute, e ivi torturate seppure nel nome di questa “entità superiore” che dovrebbe essere la sicurezza internazionale.

     
    D. - Ma la comunità internazionale ha di fatto i mezzi per poter intervenire in maniera concreta?

     
    R. - La tortura, come crimine contro l’umanità, è uno di quei reati per i quali sono previsti delle giurisdizioni sovra nazionali come la Corte penale internazionale. E’ evidente per altro che ci vuole una forza e una volontà politica e soprattutto una grossa coerenza interna. Forse non vi è né l’una né l’altra cosa ed ecco perché a livello internazionale la tortura continua e continua ad essere praticata.

     
    D. - Ci sono stati Paesi che possano essere presi ad esempio, che abbiano cioè lavorato in maniera concreta contro questa violazione dei diritti umani?

     
    R. - Non me ne viene in mente nemmeno uno, perché ogni Stato, quando si tratta di verificare il comportamento altrui, è sempre molto pignolo. Quando invece si tratta di tutelare il proprio ordine pubblico, la tortura viene, se non apertamente autorizzata, almeno ammessa.

     
    D. - Il futuro, secondo lei, come sarà? Scomparirà o sarà sempre presente la tortura nella storia dell’umanità?

     
    R. - Ogni Convenzione firmata, ogni atto ratificato, ogni singola voce che si leva contro la tortura, deve costituire un passo in avanti verso l’abolizione totale di queste pratiche. E’ anche evidente che questo è un risultato che va conquistato giorno per giorno, articolo per articolo, e direi intervista per intervista.

     
    D. - La Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura è entrata in vigore esattamente 20 anni fa. E’ ancora un documento attuale, secondo lei, o andrebbe rivisto?

     
    R. - La Convenzione è certamente un documento attualissimo. Dovrebbe essere attuato in tutti gli Stati - visto che non tutti l’hanno firmato - ma vi sono anche altri Paesi, come appunto l’Italia, che pur avendolo firmato e ratificato, non hanno ancora adeguato la propria legislazione interna, con il risultato che il torturatore non risponde del reato di tortura ma di reati molto ma molto più lievi - lesioni personali, violenza privata ed altri affini - reati che singolarmente presi non danno la misura della violenza inflitta alla vittima.
     

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    Al XXXI Convegno della Caritas, l'intervento del presidente della CEI, Bagnasco, sul legame tra Eucaristia e carità

    ◊   Il legame tra Eucaristia e carità: la specificità cristiana nell’esercizio dell’agàpe e l’evangelizzazione come servizio alla persona: questi i temi analizzati dal presidente della CEI, l'arcivescovo di Genova, Angelo Bagnasco, intervenuto ieri al XXXI Convegno nazionale delle Caritas diocesane italiane, in programma a Montecatini fino al 28 giugno. A tracciare le linee della relazione del presule, sono state l’enciclica di Benedetto XVI, Deus caritas est, e la Nota pastorale dei vescovi italiani, di imminente pubblicazione, dopo il quarto Convengo ecclesiale di Verona, dello scorso ottobre. Il servizio di Isabella Piro:

     

     
    Mons. Bagnasco è partito dal legame tra Eucarisitia e carità: ricordando il primato di Dio nella vita e nella pastorale della Chiesa, il presule ha messo l’uomo in guardia da una sorta di immanentismo pratico che non si apre alla trascendenza. Fede, culto ed etica, ha aggiunto mons. Bagnasco, si compenetrano invece in un’unica realtà che si configura nell’incontro con la carità. Da qui, l’invito alla preghiera come mezzo per attingere sempre nuova forza da Cristo e il monito, a religiosi e laici, perché non cedano al secolarismo nel lavoro caritativo. Riguardo alla specificità cristiana, il presule l’ha individuata nella speranza, vale a dire Gesù Cristo, Risorto per tutti, senza erigere steccati tra buoni e cattivi, ma accogliendo tutti con magnanimità. Citando l’enciclica Deus caritas est, mons. Bagnasco ha quindi ricordato che il giusto modo di servire rende l’operatore umile, consapevole di essere solo uno strumento nelle mani del Signore. Infine, il presule ha ribadito la necessità di un’evangelizzazione a servizio della persona nella sua integrità. “L’uomo del nostro tempo - ha detto il presidente della CEI - coltiva il mito dell’efficienza fisica e subisce la tentazione di una libertà svincolata da ogni limite. Di conseguenza, non è raro che la condizione di fragilità, nelle sue molteplici espressioni, sia spesso nascosta e rimossa”. In questo contesto, ha aggiunto, “la Chiesa è consapevole di avere una parola di speranza per ogni persona che vive la debolezza delle diverse forme di sofferenza e della precarietà”. L’evangelizzazione, allora, deve basarsi sulla “vera forza” che è l’amore di Dio. Quindi, mons. Bagnasco è tornato a citare l’enciclica in cui il Papa ricorda che gli essere umani necessitano di qualcosa in più di una cura tecnicamente corretta, ma hanno bisogno di umanità e dell’attenzione del cuore. A margine dell’incontro, mons. Bagnasco ha poi sottolineato come, a 40 anni dalla Populorum Progressio di Paolo VI, il divario tra Paesi ricchi e Paesi poveri sia rimasto immutato, a causa di un edonismo e di una cultura del consumismo che non aiutano ad affrontare i grandi problemi del mondo di oggi.

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    A Nizza, il Simposio della Fondazione Migrantes per riflettere sulla pastorale tra gli italiani all'estero

    ◊   "Missio ad migrantes. Profezia nella Chiese Locali?" E' questo il tema del Simposio che si è aperto ieri a Nizza, promosso dall'Ufficio nazionale della Pastorale per gli italiani nel mondo della Fondazione Migrantes, in collaborazione con i coordinatori nazionali dei Missionari italiani. L'assise, che terminerà dopodomani, rappresenta il culmine di un lavoro molto articolato, che ha visto come protagonisti teologi e missionari, e si pone l'obiettivo di tracciare delle prospettive dall'esperienza degli italiani nel mondo accompagnati dalle chiese locali. Lo spiega al microfono di Gabriella Ceraso, don Domenico Locatelli direttore dell'Ufficio nazionale della Migrantes:


    R. - La finalità è quella di riflettere insieme sul perché la Chiesa è presente nel contesto migratorio. Quindi, un ricercare le motivazioni profonde che partono proprio da una riflessione sulla Parola di Dio e sulla storia di questo servizio ai migranti, che abbiamo vissuto e continuiamo a vivere, per capire come il futuro possa vedere la Chiesa impegnata a dare una profezia nella sua interpretazione di se stessa e dell'annuncio del Signore.

     
    D. - Che cosa intendete per "profezia!" nelle Chiese locali, termirne che fa parte del tema di questo Simposio?

     
    R. - Vogliamo intendere con questo una volontà di guardare in avanti. Sempre di più si ha l'impressione che il servizio pastorale ai migranti si "riduca" all'assistenza. "Profezia" perché crediamo che i migranti, soprattutto quelli cristiani, aiutino le chiese locali ad uscire da se stesse e dall'autoreferenzialità, per riportarci ad un'icona fondamentale: il popolo d'Israele solo quando è migrato, quando era nel deserto, quando è partito dalla sua terra e si trovava in esilio, è riuscito a scoprire la bontà e la promessa del Signore. Attenzione al migrante, per la Chiesa locale, vuoi dire essere aperta a delle espressioni della propria fede che è rispettosa di culture diverse.

     
    D. - In tanti secoli di cammino comune, tra presenza missionaria ed emigrazione, qual è il cambiamento più evidente, secondo lei?

     
    R. - Stiamo passando da una situazione dove le Chiese locali delegavano o i Padri missionari o i preti diocesani, che si mettevano a servizio della Chiesa locale per le missioni linguistiche, a una Chiesa che ora dice: "Provvedo io a questo servizio, perchè io sono responsabile dell'annuncio dei migranti". Il rischio può essere quello di dire ai migranti di dover diventare come gli altri fedeli. Ma è qui che noi interveniamo per dire no, per dire che devono restare se stessi. I migranti non devono perdere questo loro modo diverso di essere cristiani rispetto alle persone del psoto. E' proprio questa diversità che aiuta la Chiesa a rinnovarsi.

     
    D. - Quali sono le sfide maggiori e anche gli impegni per una Chiesa che è sempre più missionaria tra le genti?

     
    R. - Dobbiamo riaffermare i nostri simboli. E dobbiamo imparare a scoprirne di nuovi. Dobbiamo essere riconoscenti, perché ci portano la ricchezza orientale, ortodossa. Perché i romeni, come gli ucraini o gli albanesi, ci arricchiscono della loro antichissima storia di Chiesa. E' la Chiesa sorella dell'Oriente. A volte rischiamo di dire: "Faccio quello che riesco a fare, quello che so fare". Abbiamo in mente e abbiamo soprattutto la possibilità di fare altrimenti, arricchendoci noi per primi.

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    Quarant'anni fa moriva don Lorenzo Milani. Mons. Bagnasco: il suo messaggio sull'urgenza educativa è sempre attuale

    ◊   Il messaggio di don Milani "viene recuperato e rilanciato anche oggi, ed è quello della necessità e dell'urgenza della sfida educativa''. La frase, del presidente della CEI, l'arcivescovo di Genova Angelo Bagnasco, ricorda l'essenza della vita e dell'opera di don Lorenzo Milani, oggi ricordato a 40 anni dalla morte, avvenuta il 26 giugno 1967, all'età di 44 anni. E molti sono, in questi giorni, i convegni, le celebrazioni, le visite ai luoghi di Barbiana, la sua parrocchia. Condannato ed esaltato, di volta in volta definito ribelle, profeta, prete scomodo, vero maestro: chi era questo sacerdote fiorentino che a vent’anni aveva voltato le spalle alle sue origini borghesi per entrare in Seminario schierandosi poi a fianco degli ultimi? Il servizio di Adriana Masotti:


    “Don Lorenzo era uno di quegli uomini che per le sue scelte chiare e coerenti, le sue rigide prese di posizione e il linguaggio tagliente, suscitava facilmente grandi consensi o grandi dissensi, con schieramenti preconcetti che ne hanno spesso offuscato la vera dimensione”. A scriverlo è Michele Gesualdi, uno dei primi ragazzi di Barbiana, la località dell’Appennino toscano dove don Milani arrivò in una fredda giornata del 1954. Allora, Barbiana era solo una Chiesa con la canonica e una ventina di case in tutto, sparse nei campi. Niente strada, acqua, luce, scuola. Per don Lorenzo un vero e proprio esilio, dopo l’esperienza come cappellano a San Donato di Calenzano. Michele Gesualdi è uno, dunque, che ha conosciuto bene don Lorenzo e che oggi presiede la Fondazione don Lorenzo Milani, nata nel 2004. A 40 anni dalla morte del sacerdote fiorentino, lo ricorda così:

     
    R. - Aveva una capacità straordinaria di voler bene agli ultimi, di vedere quali fossero i loro bisogni per rispondere in modo concreto. Don Lorenzo era un sacerdote che non si è mai levato la tonaca. La tonaca era il simbolo della scelta che aveva fatto. Lui aveva scelto i poveri in modo così forte, che da ultimo ne ebbe quasi paura e sentì il bisogno di scrivere nel testamento: “Ho voluto più bene al Dio-poveri che al Dio vero. Però spero che tutto questo sia a suo favore”.

     
    Arrivato a San Donato di Calenzano quando aveva solo 24 anni, don Milani organizza quasi subito una scuola serale per giovani operai e contadini. il motivo lo spiega Luciano Corradini, presidente dell’UCIIM, Unione cattolica italiana insegnanti medi:

     
    R. - Lui ha avvertito il disagio di queste persone e avendo avuto la vocazione di diventare sacerdote si chiese: “Come faccio a parlare di Vangelo a questi che non sanno neanche parlare?”. Allora, la scuola era per lui come l’ottavo sacramento, perché alla fine scopre che la finalità del maestro di rendere più uomo il suo ragazzo, coincide con la sua vocazione sacerdotale, che è quella di aiutare la salvezza eterna della persona.

     
    Ma troppo dirompente era il suo stile, rispetto agli steccati di quel momento storico, per non suscitare critiche e condanne. La seconda scuola, quella più famosa, fu quella di Barbiana, frequentata in tutto da una quarantina di ragazzi. Una scuola che non conosceva vacanze. Ma per i ragazzi di allora era sempre piacevole stare con don Lorenzo? Ancora Gesualdi:

     
    R. - Beh proprio sempre piacevole... Era un uomo esigente, che voleva molto dai ragazzi. Pretendeva che non si perdesse tempo, perché il tempo è un dono di Dio. Ma era molto più leggera la sua scuola, dove si imparava, si stava puliti, si cresceva, che non il lavoro nei campi, che era molto più duro e durava più della sua scuola o quanto la sua scuola.

     
    Il libro “Lettera ad una professoressa” scritto a più mani a Barbiana e pubblicato nel 1967 divise i lettori. Luciano Corradini:

     
    R. - Ero insegnante in un Istituto magistrale, 40 anni fa, quando uscì “Lettera ad una professoressa”, e insieme a un altro insegnante cercai di adottare questo testo. Ci fu vietato. Ma con i ragazzi, quelli di città, noi lo leggemmo e lo studiammo. E mi accorgo, rileggendolo a distanza di tempo, che parecchie idee-cardine, tanti temi, sono diventati quasi slogan o frasi fondamentali. Non so, ad esempio: “Il sapere serve solo per darlo”. Oppure: “Dicesi maestro colui che non ha nessun interesse culturale quando è da solo”. Ecco, si avverte che accanto alla Barbiana storico-geografica c’è una Barbiana ideale che rappresenta la non rassegnazione dell’impegno educativo, qualunque siano le condizioni di partenza, anche le più disastrate. L’esigenza è quella di una pienezza di umanità e di una scuola vitale che è un ideale per molti. In condizioni diverse, dobbiamo compiere un itinerario analogo a quello di don Milani, pur senza essere come lui, votati 365 giorni all’anno a fare scuola.

     
    “Non mi ribellerò mai alla Chiesa, perché ho bisogno più volte alla settimana del perdono dei miei peccati e non saprei da chi altri andare a cercarlo”, scriveva don Milani. E davvero, nonostante i rapporti tra lui e la gerarchia rimanessero sempre tesi, don Lorenzo non si allontanò mai dalla Chiesa. Don Milani venne processato per aver sostenuto il diritto alla disobbedienza e l’obiezione di coscienza. “Esperienze pastorali”, il testo base della sua missione sacerdotale, uscito nel 1958, venne fatto ritirare dall’allora Sant’Uffizio perché inopportuno. Michele Gesualdi:

     
    R. - Voleva stare in un modo molto stretto nei binari dell’ortodossia cattolica. Non ha mai deragliato. La Chiesa la considerava una mamma e la mamma va sempre rispettata. Un innovatore, un progressista, un profeta non nasce mai senza una predisposizione spirituale morale più avanti del proprio tempo. Normalmente, queste persone in vita sono contrastate e lasciate ai margini. Dopo la loro morte, però, diventano punti di riferimento e questo è successo a don Lorenzo. Quando morì don Lorenzo, morì in completa solitudine: a Barbiana nessuna cattedrale per lui, levati i suoi ragazzi, saranno state 30 persone, i sacerdoti pochissimi, nessuna autorità religiosa. Oggi, don Lorenzo è per molti un punto di riferimento nella Chiesa, nella scuola, nella società.

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    Chiesa e Società



    Per l'attentato di domenica in Libano, il cordoglio dei vescovi spagnoli e dell'arcivescovo di Madrid, il cardinale Rouco Varela

    ◊   Con un telegramma inviato al ministro della Difesa spagnolo, José Antonio Alonso Suárez, e all’ordinario militare, l’arcivescovo mons. Francisco Pérez González, la Conferenza episcopale spagnola esprime il proprio cordoglio per la morte, domenica in Libano in un attentato di matrice terroristica, di sei soldati iberici ed il ferimenti di altri due, che facevano parte della missione di pace Unifil. Nel telegramma il segretario generale dei vescovi, mons. Juan Antonio Martínez Camino ringrazia l’impegno dei militari e condanna “l’azione terroristica che nessuna causa può giustificare”. Mons. Camino - scrive l'Agenzia Sir - esprime a nome di tutto l’episcopato la propria vicinanza e solidarietà ai familiari delle vittime accompagnando con la preghiera le vittime e pregando anche per il ristabilimento dei feriti”. Dal canto suo anche l’arcivescovo di Madrid, il card. Antonio Maria Rouco Varela, ha espresso il suo “dolore” per la morte di sei soldati spagnoli, di cui uno, Johnathan Galea García, madrileno di 18 anni. In particolare, insieme all'arcivescovo di Madrid, i presuli pregano per le anime dei defunti e per la pronta guarigione dei due soldati feriti e “perché si superino i gravi conflitti” in Medio Oriente, “cessi il rumore delle armi e si stabilisca una pace basata sulla vera giustizia e nella grandezza della misericordia, visto che, come diceva il servo di Dio Giovanni Paolo II, non c’è pace senza giustizia, né giustizia senza perdono”. Infine, poiché “le guerre e il terrorismo mettono bene in evidenza le terribili conseguenze del peccato, che non consiste solo nel fatto di uccidere, ma nel voltare le spalle a Dio”, il cardinale Rouco Varela e i suoi ausiliari “invitano tutti i fedeli alla conversione del cuore, essendo costanti nella preghiera e nel fare la volontà di Dio”. (R.P.)

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    Scarseggiano a Gaza gli aiuti umanitari: oltre un milione di palestinesi rischiano di rimanere senza cibo e acqua

    ◊   È emergenza a Gaza, dove un milione e mezzo di palestinesi necessita urgentemente di rifornimenti di generi alimentari, farmaci e acqua potabile e gli aiuti umanitari scarseggiano. “La comunità internazionale sta chiudendo gli occhi di fronte ai suoi obblighi umanitari e sta permettendo che la sofferenza aumenti - ha detto in un comunicato Jeremy Hobbs, direttore di Oxfam International - l’ingresso degli aiuti è consentito solo con il contagocce. Il confinamento di Gaza è inaccettabile”. Hobbs, riferisce l'agenzia Misna, ha affermato che trattenere gli aiuti come arma politica sta provocando una sofferenza indicibile all’intera popolazione. Secondo l’ONU cibo e combustibile a Gaza saranno esauriti nel giro di pochi giorni e la somministrazione di farmaci è gradualmente sempre più ridotta; occorrerebbe che almeno un centinaio di camion carichi di aiuti potessero entrare quotidianamente nella Striscia, ma per il momento l’accesso è permesso ad appena una ventina di mezzi al giorno. La ‘Coastal Municipalities Water Utility’ (CMWU), organizzazione palestinese che lavora con Oxfam, incaricata di curare acquedotti e fognature a Beit Lahia, ha riferito che la mancanza di materiale logistico per effettuare i lavori sta aumentando il rischio di una crisi sanitaria: esiste il pericolo che le condutture cedano riversando acque sporche in un’area in cui abitano 10 mila persone e contaminando le risorse idriche di altri 300 mila civili. La Cmwu attende da tre mesi l’arrivo di rifornimenti: le scorte di cloro a disposizione basteranno per appena dieci giorni. Oxfam International ha voluto lanciare per questo un appello al primo ministro israeliano Ehud Olmert affinché revochi subito il blocco ed ha chiesto alle autorità palestinesi di garantire che i lavoratori dei servizi pubblici e le agenzie umanitarie possano distribuire gli aiuti. (T.C.)

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    La prossima Conferenza episcopale dei vescovi austriaci si terrà in Terra Santa

    ◊   La prossima plenaria autunnale della Conferenza episcopale dell’Austria si svolgerà tra il 4 e il 10 novembre in Terra Santa, come "segno di solidarietà con i Cristiani del Paese che attraversano una situazione difficile". Lo hanno deciso i vescovi austriaci a conclusione della loro ultima assemblea che si è svolta a Mariazell dal 18 al 20 giugno. La decisione è contenuta nella dichiarazione finale, diffusa solo dopo la conclusione dell’incontro e ripresa dall'Agenzia Sir, nel quale è stato ribadito che “la presenza di comunità cristiane vive in Terra Santa è di grande importanza per tutta la Cristianità". "Se in Terra Santa restassero solo 'ricordi da museo' della storia di Gesù e della Chiesa primordiale, la fede cristiana sarebbe separata dalle sue radici". Con questo gesto, i vescovi intendono "incoraggiare i fedeli austriaci a compiere pellegrinaggi in Terra Santa. L'esistenza dell'ospizio austriaco nella città vecchia di Gerusalemme è un segno di quanto i cattolici austriaci siano sempre stati legati alla Terra di Gesù. Questo legame deve essere espresso ancora oggi", si ribadisce nella dichiarazione, poiché "la Terra Santa è per i cristiani anche un 'quinto Vangelo'”. (R.P.)

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    Violenze e ingiurie contro un sacerdote e 4 cristiani nello Stato indiano di Karnataka

    ◊   Un sacerdote carmelitano e quattro cristiani sono stati aggrediti a Kundapura, in India, da un gruppo di fanatici indù che li accusavano di voler convertire al cristianesimo la popolazione dello Stato meridionale del Karnataka. Al momento padre Sylvester Pereira, che si era recato per un controllo insieme a fr. Joyson Saldanha, fr. John Pradeep ed il cuoco della comunità carmelitana, Mukunk Bhandary, accompagnati da un vicino, Valerian D’Silva, è ricoverato insieme agli altri in ospedale in stato di shock: i medici hanno riscontrato contusioni varie, guaribili in circa sette giorni. L’aggressione, scrive l’agenzia AsiaNews, è avvenuta nella sala d’aspetto del Surgeon Hospital. Mentre erano in attesa del medico, i cinque sono stati offesi da quattro nazionalisti indù, che li hanno accusati di convertire la popolazione locale al cristianesimo tramite mezzi illegali, quindi sono stati picchiati violentemente. Il sacerdote, i due frati e i loro accompagnatori sono stati poi portati con forza nella stazione di polizia locale, dove i loro aggressori hanno dichiarato di averli colti in flagrante mentre convertivano al cristianesimo i pazienti dell’ospedale. In un primo momento, la polizia ha creduto a questa versione ed ha impedito ai cinque cristiani di ricevere cure mediche o di sporgere denuncia contro gli assalitori. Solo dopo l’arrivo del parroco, padre Anthony Lobo, e di un ispettore di polizia hanno ascoltato la versione degli assaliti. I nazionalisti indù, messi alle strette, hanno confessato la violenza ma si sono difesi dicendo di aver frainteso l’identità del sacerdote. Al momento, sono stati denunciati ma a piede libero. Lo Stato meridionale del Karnataka ha una forte presenza cristiana fra la popolazione. Proprio qui è stata inaugurata lo scorso anno la prima scuola cattolica di legge dell’Unione indiana, e sempre qui si è svolta, il 22 giugno scorso, la grande manifestazione contro le violenze anti-cristiane, in aumento in tutta l’India. (T.C.)

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    Al vescovo della diocesi pakistana di Faisalabad, Joseph Coutts, il Premio “Shalom”. Per il presule in Pakistan i cristiani sono ancora discriminati

    ◊   “A scuola, sui posti di lavoro e in ogni campo la minoranza cristiana in Pakistan è vittima di numerose discriminazioni”: la denuncia, non nuova, è del vescovo pakistano di Faisalabad Joseph Coutts, in visita nei giorni scorsi in Germania per ricevere il Premio Shalom per la pace conferitogli dall’omonima associazione dell’Università cattolica di Eichstätt-Ingolstadt. Intervistato dall’agenzia cattolica tedesca Kna, il presule ha affermato che i cristiani pakistani sono penalizzati quando cercano lavoro e negli avanzamenti di carriera e che il governo di Islamabad continua ad essere ostaggio delle pressioni dei gruppi radicali che vogliono imporre la legge islamica nel Paese. Mons. Coutts ha fatto riferimento in particolare alla famigerata legge sulla blasfemia che punisce le diffamazioni contro Maometto con la pena di morte e che viene spesso usata per regolamenti di conti personali e con intenti persecutori verso le minoranze religiose. “Non è raro – ha denunciato il presule – che le persone accusate di blasfemia vengano linciate dalla folla prima ancora di essere processate”. Il vescovo di Faisalabad è stato insignito del premio Shalom per il suo attivo impegno per la riconciliazione e la convivenza pacifica tra le religioni in Pakistan. Un impegno portato avanti con determinazione nonostante il clima di forti tensioni e le intimidazioni ricevute da parte degli integralisti islamici. (L.Z. – T.C.)

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    Dichiarato in Pakistan lo stato d’emergenza per le piogge monsoniche. Centinaia di morti e feriti soprattutto nel sud del Paese e in India

    ◊   Si contano centinaia di morti e feriti e migliaia di sfollati in India e in Pakistan in questo inizio della stagione dei monsoni. Forti piogge e venti stanno provocando diversi danni e a Karachi, nel sud del Pakistan, città che conta 12 milioni di abitanti sono morte 235 persone. Il governo, riferisce l’agenzia Misna, ha dichiarato lo stato d’emergenza e ha cancellato i turni di riposo e ferie del personale medico e paramedico dopo che nella sola giornata di sabato si sono abbattuti 17,7 mm di pioggia, mentre venti a 110 chilometri all’ora hanno provocato il crollo di muri e tetti e sradicato piloni dell’elettricità interrompendone l’erogazione. Molte le vittime anche a Gadab, una baraccopoli alla periferia orientale della città. Nel sud dell’India, le piogge torrenziali e le raffiche di vento hanno provocato oltre 50 morti nello stato di Maharastra, 43 nel Kerala, 29 nel Karnataka, 38 nell’Andra Pradesh dove circa 200 mila persone sarebbero state costrette a sfollare. Almeno 7 persone sono morte invece nella vicina provincia di Baluchistan, dove le piogge hanno danneggiato circa 250 abitazioni, inondato numerosi villaggi e costretto all’evacuazione circa 2 mila persone. (T.C.)

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    Costa Rica: i vescovi del Paese esprimono la loro contrarietà ad una proposta parlamentare che vorrebbe equiparare le unioni omosessuali al matrimonio

    ◊   I vescovi della Costa Rica hanno diffuso un comunicato per esprimere la loro contrarietà alla proposta di alcuni deputati che vorrebbe equiparare l'unione tra persone dello stesso sesso al matrimonio. Secondo l’Episcopato, la proposta "è completamente inopportuna dal punto di vista del diritto naturale, del diritto costituzionale e, nella nostra condizione di credenti, del diritto divino". I presuli - riferisce l'Agenzia Fides - chiariscono che le persone con inclinazioni omosessuali possiedono la stessa dignità inalienabile di ogni essere umano, ma che questo non legittima l'unione tra persone dello stesso sesso. "Il bene comune della società - si legge nel comunicato - esige che le leggi difendano, favoriscano e proteggano l'unione matrimoniale come base della famiglia e cellula base della stessa società". L’approvazione di un simile provvedimento, prosegue, "sarebbe un male per la società, una ferita mortale per l'istituzione matrimoniale e per la famiglia ed una distorsione del piano di Dio". Di qui l’appello ai deputati, "affinché prendendo coscienza davanti a Dio e considerando la volontà della maggioranza dei costaricani al riguardo, si assumano la missione che gli è stata affidata, di promuovere e difendere i più alti principi morali ed etici che non ammettono deroghe, eccezioni o compromesso alcuno". I vescovi ricordano poi che anche a loro “compete salvaguardare la tutela e la promozione della famiglia fondata sul matrimonio monogamico, tra persone di sesso opposto, e proteggerla nella sua unità e stabilità". (L.Z.)

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    Pubblicato un documento dei religiosi australiani dedicato agli aborigeni

    ◊   I religiosi cattolici australiani hanno pubblicato un documento che rende onore alle popolazioni aborigene e le ringrazia per la faticosa opera di recupero delle loro culture che oggi permette a tutto il Paese di fruire della ricchezza dei loro contributi nel campo artistico, letterario, intellettuale e sportivo. L’occasione è il 40° anniversario del referendum con cui nel 1967 fu avviato il processo che ha permesso agli indigeni australiani di diventare finalmente cittadini a pieno titolo del loro stesso Paese. Si ricorda anche il 10° anniversario del rapporto “Bringing T hem Home” (26 maggio 1997) e la Giornata nazionale degli aborigeni che si celebrerà il 1° luglio. Non si tratta solo di dati statistici, ma di volti, storie familiari, persone che hanno vissuto, lavorato e condiviso con loro gioie e sofferenze, si legge nel documento ripreso dall'Agenzia Fides. I religiosi australiani invitano anche ad aderire alla Campagna della National Aboriginal & Torres Strait Islander Ecumenical Commission (Natsiec), un organismo ecumenico che si occupa dei problemi degli aborigeni, in cui si offrono suggerimenti pratici per denunciare la persistente situazione di svantaggio sociale di queste popolazioni, la cui aspettativa di vita resta inferiore di 17 anni rispetto a quella degli altri cittadini australiani e la cui partecipazione alla vita civile e politica del Paese è molto bassa. Le Chiese cristiane in Australia sono attivamente impegnate nella causa delle popolazioni aborigene australiane e in questi anni hanno ammesso anche le proprie responsabilità passate nei loro confronti, in particolare per quello che riguarda la politica dell'assimilazione forzata attuata fino alla metà del XX secolo. (L.Z.)

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    Ad Antiochia, in Turchia, sarà inaugurato per la Festa dei Santi Pietro e Paolo un complesso con 17 appartamenti, donato ai poveri dalla Caritas italiana

    ◊   In occasione della festa dei santi Pietro e Paolo, giovedì 28 giugno sarà inaugurato, ad Antiochia, il complesso Millennium dotato di 17 appartamenti per anziani e poveri e 2 saloni per attività ricreative e culturali, finanziato in buona parte dalla Caritas italiana. A sottolineare la dimensione ecumenica della festa - scrive l'Agenzia Sir - sono previsti i Vespri nella chiesa ortodossa seguiti dall’esibizione del coro arcobaleno composto da sunniti, aleviti, ebrei, cattolici, ortodossi e armeni. Il clou del programma è fissato il 29 giugno, presso la grotta di S. Pietro dove avrà luogo una liturgia con la chiesa ortodossa. La celebrazione sarà presieduta dal card. di Colonia, Joachim Meisner insieme al Nunzio apostolico in Turchia mons.Antonio Lucibello e al Vicario apostolico dell’Anatolia mons. Luigi Padovese. Prevista la presenza dell’arcivescovo greco-ortodosso, Paul Yazici, di Aleppo e rappresentante del Patriarca Ignazio IV. Secondo la tradizione la grotta di Pietro sarebbe il luogo dove "i discepoli per la prima volta furono detti cristiani". E’ sul fianco occidentale del monte Stauris, monte della Croce, una delle tre montagne che sovrastano Antiochia. Per la festa dei santi Pietro e Paolo una delegazione del patriarcato ecumenico di Costantinopoli sarà a Roma per ricambiare la visita dell’omologa cattolica il 30 novembre, festa di S.Andrea. (R.P.)

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    Proseguono a Tarso i lavori del simposio su San Paolo

    ◊   Proseguono a Tarso i lavori dell’XI Simposio sull’apostolo Paolo, organizzato dall’Istituto Francescano di Spiritualità di Roma in collaborazione con il Vicariato Apostolico dell’Anatolia. Fedeli al tema che prevede un’analisi archeologica, storica e religiosa dei luoghi e della dottrina dell’Apostolo, a cui quest’anno è stato abbinato il ricordo S. Giovanni Crisostomo – geniale commentatore degli scritti di Paolo e del quale ricorre il 16.mo centenario della morte - gli oratori hanno parlato dell’antica Antiochia, dov’egli nacque intorno al 350, rilevandone le strutture, i luoghi di culto e la felice posizione sulle rive dell’Oronte, lodata soprattutto dallo scrittore Libanio, per passare poi al carattere della predicazione cristiana nelle città nel periodo in cui il Vangelo si dislocò dalla terra di Israele negli agglomerati urbani con le inevitabili trasformazioni e ibridazioni che ogni dislocamento porta con sé. Sottile la precisazione su Giunia, una delle persone salutate da Paolo nella lettera ai Romani e che egli definisce apostola, considerandola quasi una confondatrice della chiesa di Roma. Non prive di originalità le riflessioni sulla festa del Natale in Antiochia; riflessioni con cui il Crisostomo si preoccupa di far capire perché si celebra il 25 dicembre; le puntualizzazioni sull’inutile lotta da lui e da altri affrontata per sopprimere le feste delle calende di gennaio; sulle somiglianze tra l’attività missionaria di Paolo e del Crisostomo, riscontrabili soprattutto nell’annuncio dell’evento escatologico. Il Simposio, che si concluderà domani, deve ancora soffermarsi sull’attività episcopale del Crisostomo a Costantinopoli, sui suoi rapporti con la corte che lo esiliò e sui suoi panegirici sulle sante martiri, argomenti attesi con particolare interesse dagli oltre 30 partecipanti all’incontro di studio. (A cura di padre Egidio Picucci)h

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    Al convegno nazionale della Caritas, Savino Pezzotta indica le virtù come fondamento dell’impegno sociale. Don Franco Giulio Brambilla: occorre stare di più con i poveri

    ◊   Di fronte alle nuove sfide proposte dai mutamenti sociali, il cristiano ha il compito di “essere generatore di speranza”, di “dare un po’ di sogno, di capacità di rischiare per andare incontro alle esigenze e ai bisogni della gente”. E’ quanto ha affermato Savino Pezzotta, presidente della Fondazione per il Sud e portavoce del Family Day, intervenuto questa mattina alla seconda giornata dei lavori del 31° Convegno nazionale delle Caritas diocesane che si sta svolgendo a Montecatini. Per “uscire dalla dimensione del consumo e dell’apparire”, Pezzotta, riferisce l’agenzia SIR, ha invitato a riscoprire le “virtù della prudenza, giustizia, fortezza e temperanza”. Per il presidente della Fondazione per il Sud inoltre la “mitezza” deve essere “elemento caratterizzante del cristiano impegnato nel sociale e nella politica, per aprire spazi di convivenza, dialogo, confronto sereno e rispettoso di sé e degli altri, e per indicare un proprio stile d’azione”. “Essere miti non significa rinunciare alla lotta e all’impegno, non è un atteggiamento passivo – ha precisato Pezzotta – ma significa porsi di fronte alle questioni con la forza della ragione, cercando di introdurre comportamenti quotidiani diversi”. Don Franco Giulio Brambilla, preside della Facoltà Teologica dell’Italia settentrionale, che ha parlato dopo Pezzotta, ha osservato a sua volta che per “stare con i poveri” non può esistere una Chiesa dalla “doppia vita”, “quella dell’efficienza, delle megastrutture, dei progetti faraonici e quella che poi dà una mano agli altri, che è come una protesi innestata su un corpo che vive secondo altri criteri e altri stili”. Nel suo intervento don Brambilla ha ricordato che “la storia interminabile della carità non è la storia di singoli profeti o di operatori isolati” e che “i santi della carità sono stati grandi trascinatori di altri, poli di attrazione di innumerevoli vocazioni, capaci di contagiare in poco tempo la vita degli altri”. Per questo “la carità (e la Caritas) – ha detto – non può procedere divisa, in ordine sparso”. “Per la carità si esige coralità – ha proseguito don Brambilla – senso del gioco di squadra, investimento comune, convergenza di forza, unità di risorse”. In questa prospettiva, ha concluso il teologo, “è necessario che i cristiani riprendano l’iniziativa per elaborare una cultura sociale, premessa indispensabile perché la politica non scada in gestione del potere”. (T.C.)

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    24 Ore nel Mondo



    E’ attesa per oggi la nomina di Tony Blair come inviato del quartetto - In Corea del Nord arrivati gli ispettori della AIEA

    ◊   I rappresentanti del Quartetto per il Medio Oriente - composto da ONU, UE, Stati Uniti e Russia - si sono riuniti a Gerusalemme per la prima volta da quando Hamas ha assunto il potere nella Striscia di Gaza. Al centro dell’incontro, la definizione della nomina del dimissionario premier britannico, Tony Blair, a inviato del raggruppamento a Gerusalemme. Secondo le prime indiscrezioni, Blair avrà un ufficio a Gerusalemme e uno a Ramallah, e si occuperà di sicurezza, economia e consolidamento delle istituzioni palestinesi . Dal canto suo, Tony Blair, ha lasciato intendere di essere pronto ad assumere l'incarico d'inviato del Quartetto, affermando di essere pronto a dare il suo contributo per arrivare alla pace in Medio Oriente. Ieri, intanto, si è svolto a Sharm el Sheik, in Egitto, il vertice tra il premier israeliano, Olmert, il presidente palestinese, Abu Mazen, il re Abdullah II di Giordania e il presidente egiziano, Hosni Mubarak. Per un commento sulle conclusioni del vertice di Sharm el Sheik e sulla situazione dell’area, Giancarlo La Vella ha raccolto il commento di Guido Olimpio, inviato del Corriere della sera ed esperto di Medio Oriente:


    R. - Ritengo che sia solo un piccolo passo per Abu Mazen e Fatah, per riacquistare l’autorità serve ben altro, serve soprattutto la fiducia della popolazione. Certamente, il vertice di Sharm è un tentativo di accrescere la pressione su Hamas ma servono passi ben più concreti e mosse anche più generose da parte di Israele. Non basta soltanto l’intervento internazionale, e anche questo può provocare delle contro indicazioni, perché se si tratta con Hamas è evidente che Hamas avrà avuto un riconoscimento, per cui ritengo che ci siano molte ambiguità e nessuno sappia bene cosa fare per uscire da questa situazione. L’unico rischio è che si vada nella fase di stallo o peggio di crisi continua.

    D. - C’è il pericolo che un Hamas totalmente isolato si compatti con gli altri gruppi estremisti in chiave terroristica…

     
    R. - Hamas è molto attento a non farsi coinvolgere nelle trame jihadiste, ossia negli affari di Al Qaeda. Certamente, ci sono delle spinte radicali nel suo interno che potrebbero cercare delle alleanze. Bisogna anche aggiungere, però, che la realtà territoriale, l’isolamento di Gaza e Hamas forte dentro questa “gabbia”, non permettono grandi collegamenti. Non ci sarebbero sorprese se ci fossero delle azioni comuni e con firme diverse, magari in Egitto, contro obiettivi occidentali o israeliani.

    - In Iraq, è stato arrestato per terrorismo il ministro della Cultura iracheno, il sunnita al-Ashmi, con sei delle sue guardie. Sul terreno, poi, sono in corso combattimenti tra forze di sicurezza governative e milizie sciite a sud di Baghdad. C’è grande preoccupazione, inoltre, per i quattro istituti scolastici che si trovano nella zona teatro degli scontri. Nella capitale, le forze di polizia hanno trovato in vari punti della città almeno 16 cadaveri con evidenti segni di tortura.

    - Si intravedono nuovi spiragli per risolvere la spinosa questione nucleare nordcoreana: la Corea del Sud ha annunciato che invierà aiuti al governo di Pyongyang, afflitto da una disastrosa situazione economica. In Corea del Nord, intanto, sono arrivati gli ispettori dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA) per definire le modalità della chiusura di un reattore nucleare. Il servizio di Beatrice Bossi:

    La Corea del Sud invierà entro sabato tremila tonnellate di riso alla Corea del Nord. La decisione costituisce un nuovo importante passo per rispettare l’accordo raggiunto lo scorso 13 febbraio tra due Coree, Stati Uniti, Cina, Russia e Giappone. Questa intesa prevede lo smantellamento della centrale atomica nordcoreana di Yongbyon, in cambio di forniture energetiche e alimentari al governo di Pyongyang. Da sottolineare, poi, che questa mattina sono arrivati nella capitale nord-coreana alcuni ispettori dell’AIEA. La Corea del Nord si è già impegnata a chiudere il reattore nucleare di Yongbyon e gli ispettori discuteranno, in particolare, sulle varie tappe per lo smantellamento della centrale entro la fine dell’anno. A rappresentare le Nazioni Unite, il finlandese Olli Heinonen, che spera anche nel blocco delle attività nucleari entro tre settimane e in una ripresa dei contatti diplomatici a sei entro il 10 luglio. Questa è la prima missione dell’AIEA nel Paese asiatico, da cinque anni. A rendere possibile la visita, lo scongelamento da parte degli Stati Uniti di fondi nordcoreani depositati in una banca di Macao perché ritenuti di provenienza sospetta.

    - La comunità internazionale rilancia il piano di pace per il Darfur. A Parigi, la riunione del Gruppo di contatto allargato sulla situazione nella regione sudanese si è chiusa ieri con un impegno a "sostenere" gli sforzi dell'ONU e dell'Unione Africana perché si trovi una via d'uscita ad una tra le più gravi situazioni di conflitto del pianeta. Il servizio di Giulio Albanese:

    Le conclusioni della riunione svoltasi ieri a Parigi del Gruppo di contatto allargato non devono illudere. Formalmente, sul piano politico si ha l’impressione che la comunità internazionale intenda imprimere una svolta, impegnandosi a sostenere gli sforzi delle Nazioni Unite e dell’Unione Africana, perché si trovi una via d’uscita ad una situazione di conflitto, che in quattro anni - va ricordato - ha causato almeno 200 mila morti e oltre 2 milioni e mezzo di profughi. A questo proposito, il ministro degli Esteri francese, Bernard Kouchner, ha fatto intendere che si comincia a scorgere una sorta di fioca luce al termine di un cammino nell’oscurità. In effetti, l’impegno del governo sudanese - che ha annunciato recentemente di dare il via libera al dispiegamento dei 23 mila soldati di una forza ibrida ONU-Unione Africana nella regione - fa ben sperare. Rimane comunque aperta la questione negoziale. Molto dipenderà dal ruolo della Cina che, come è noto, sostiene a spada tratta i propri interessi economici in Sudan, legati soprattutto al business del petrolio, nella consapevolezza - come ha detto ieri il presidente francese, Nicolas Sarkozy - che il silenzio uccide.

    - In Somalia, una bomba esplosa questa mattina in un mercato di Mogadiscio ha provocato la morte di almeno cinque persone. Tra le vittime, quattro donne addette alla pulizia della strada. Secondo la polizia, non si tratta di un attentato terroristico: in base alle prime ricostruzioni, sarebbe infatti esploso accidentalmente un residuato bellico a causa dei roghi accesi per bruciare l’immondizia. Sempre a Mogadiscio, ieri un soldato somalo ha aperto il fuoco contro la folla che attendeva la distribuzione di aiuti alimentari: almeno cinque persone sono rimaste uccise. (Panoramica internazionale a cura di Marco Guerra)


    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LI No. 177

     

     
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