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SOMMARIO del 22/06/2007

Il Papa e la Santa Sede

  • In udienza da Benedetto XVI il gran maestro del Sovrano Militare Ordine di Malta, Fra' Andrew Bertie
  • La difesa della famiglia e della vita, la riconciliazione nazionale e il dialogo con l'islam sollecitati da Benedetto XVI nel discorso ai vescovi del Togo in visita ad Limina
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Nessun progresso al vertice europeo di Bruxelles, dopo il colloquio tra il cancelliere tedesco, Merkel, e il presidente polacco, Kaczynski, che minaccia di porre il veto al nuovo Trattato UE
  • L'emigrazione forzata degli europei dell'est verso Occidente e la preoccupazione della Chiesa: mons. Giordano commenta la riunione dei vescovi europei a Minsk
  • In corso a Roma l'Incontro europeo dei docenti universitari, promosso dal Consiglio delle Conferenze episcopali europee
  • Per non distruggere una riserva naturale ricchissima di petrolio, l'Ecuador sollecita la nascita di un fondo internazionale che lo compensi in parte per il mancato introito
  • Promuovere l’istruzione dei campesinos del Perù attraverso programmi radiofonici: è quanto si propone a Cuzco l’Opera di promozione di alfabetizzazione nel mondo
  • Chiesa e Società

  • Il parroco di Gaza, padre Manuel Masallam, si appella alla comunità internazionale perché non abbandoni la Striscia di Gaza
  • Su iniziativa del Consiglio ecumenico delle Chiese è nato ad Amman, in Giordania, il Forum per una giusta pace in Israele e Palestina
  • Nelle Filippine sono riprese le ricerche del padre Giancarlo Bossi, rapito dieci giorni fa
  • “Morire di speranza”: Veglia di preghiera ieri sera nella Basilica di Santa Maria in Trastevere in ricordo dei tanti migranti vittime delle tragedie del mare
  • La Tanzania intende rimpatriare 150 mila rifugiati burundesi. L’annuncio è del presidente tanzaniano durante la sua visita nel Paese
  • In Nigeria, aumenta il numero di bambini uccisi dall’epidemia di morbillo che si sta diffondendo nel nord del Paese
  • “Incontrare Gesù”: friulani, carinziani e sloveni insieme nel tradizionale pellegrinaggio dei tre popoli che prende il via domani
  • Kenia, Grecia e Italia: è il percorso della fiaccola degli Scout che arriverà in Gran Bretagna per celebrare i cento anni di fondazione
  • L'arcivescovo di Oaxaca chiede con urgenza una riforma dello Stato che risponda alle necessità ed alle aspirazioni di tutti
  • 24 Ore nel Mondo

  • In Afghanistan, almeno 25 civili e 20 presunti talebani morti in seguito a un raid aereo della NATO
  • Il Papa e la Santa Sede



    In udienza da Benedetto XVI il gran maestro del Sovrano Militare Ordine di Malta, Fra' Andrew Bertie

    ◊   Tra le numerose udienze che hanno caratterizzato la mattina di incontri di Benedetto XVI, spicca quella concessa al principe e gran maestro del Sovrano Militare Ordine di Malta, Fra' Andrew Bertie, accolto in Vaticano insieme con un piccolo seguito. Le iniziative dell’Ordine per la pace in Medio Oriente, le attività mediche condotte in oltre 22 paesi dell’Africa e in Sud America, il prossimo storico pellegrinaggio dell’Ordine in Terra Santa e le sue iniziative in favore del dialogo interreligioso sono stati alcuni degli argomenti affrontati nei colloqui. Il tradizionale incontro si svolge in occasione della festa del patrono dell’Ordine di Malta, San Giovanni Battista, che cade il 24 giugno. Al microfono della nostra collega della redazione inglese, Tracey Mclure, il marchese Gian Antioco Chiàvari parla dell'antica "vocazione" alla solidarietà del suo Ordine:


    R. - La nostra attività è a favore dei più poveri, dei più ammalati nel mondo, andando a soccorrere i cristiani. Il binomio su cui siamo stati fondati - "Tuitio Fidei et Obsequium Pauperum" - ci porta quindi a svolgere un’attività che non può che essere di supporto alla Chiesa cattolica. Quindi, il Santo Padre ovviamente vede i nostri interventi nel mondo come un qualcosa che è assolutamente in linea con il sentire della Chiesa. Il Santo Padre Benedetto XVI approva la nostra attività, in quanto è la stessa attività della Chiesa. Noi possiamo essere sicuramente di supporto alle tante attività che la Chiesa svolge nel mondo, alle tante attività dei missionari. Siamo, perciò, perfettamente in linea con i suoi desideri e con i suoi pensieri.

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    La difesa della famiglia e della vita, la riconciliazione nazionale e il dialogo con l'islam sollecitati da Benedetto XVI nel discorso ai vescovi del Togo in visita ad Limina

    ◊   Impegnarsi nel dialogo e nella riconciliazione ripartendo da Cristo: è l’esortazione di Benedetto XVI ai vescovi del Togo in visita ad Limina. Nel suo intervento, il Papa si è soffermato sul rapporto tra cristiani e musulmani, sulla pastorale familiare e l’educazione dei giovani. Il Pontefice ha auspicato che la Chiesa e il popolo togolese possano sempre più vivere in spirito di concordia e fraternità. A guidare i presuli del Togo, il presidente della conferenza episcopale, mons. Ambroise Djoliba, vescovo di Sokodé. Il servizio di Alessandro Gisotti:


    E’ necessario “ripartire da Cristo” per costruire “una società pienamente riconciliata”: è la viva esortazione di Benedetto XVI ai presuli del Togo, ai quali il Papa ha espresso gratitudine “per il coraggio mostrato negli ultimi anni segnati da numerose difficoltà” per il Paese africano:

     
    En de nombreuses occasions…
    “In diverse occasioni - ha costatato Benedetto XVI - avete contribuito al dialogo per la riconciliazione nazionale”, richiamando a tutti “alle esigenze del bene comune, nella fedeltà alla verità di Dio e dell’uomo”. Il Papa chiede dunque al Signore “di far fruttificare questi sforzi”, affinché il Togo “conosca una vita prospera nella concordia e nella fraternità”. La stessa vita ecclesiale, ha proseguito il Papa, “non è esente da situazioni preoccupanti”. I vostri sforzi per “favorire l’unità della conferenza episcopale”, ha detto, “sono il segno che in ogni circostanza” la “comunione visibile dei discepoli di Cristo è una realtà essenziale da preservare, affinché la testimonianza della Chiesa sia credibile”. Sacerdoti e vescovi, è stata la sua esortazione, “sono chiamati a lavorare nella verità per la riconciliazione all’interno della Chiesa e tra i togolesi”. Ha, così, sottolineato la necessità di “approfondire le relazioni cordiali con i musulmani” del Togo:

     
    En effet, elles sont indispensables…
    “In effetti - ha affermato Benedetto XVI - queste relazioni sono indispensabili per la concordia e l’armonia tra tutti i cittadini e per la promozione dei valori comuni all’umanità”. Ed ha aggiunto che, attraverso la formazione di “persone competenti nelle istituzioni ecclesiali” impegnate nel dialogo interreligioso, si potrà favorire “una migliore conoscenza reciproca nell’amore e nella verità”. E ciò “per una collaborazione efficace in vista di uno sviluppo della persona e della società”. Benedetto XVI ha quindi lodato l’impegno dei vescovi del Togo “per la protezione e il rispetto della vita” in particolare manifestando anche recentemente l’opposizione della Chiesa togolese all’aborto. Si è poi soffermato sull’importanza del matrimonio e sulla “preservazione degli essenziali valori famigliari”.

     
    La pastorale familiare est un élément essentiel…“La pastorale famigliare - ha ribadito il Papa - è un elemento essenziale per l’evangelizzazione” e fa scoprire ai giovani il significato di un legame 'unico e fedele'. Di qui, l’invito ad “un’attenzione speciale per la formazione delle coppie e delle famiglie”. Ha poi messo l’accento sulle opere sociali della Chiesa che mostrano la sua vicinanza alle persone che soffrono. Un’attenzione particolare il Papa l’ha rivolta ai giovani ai quali, ha detto, deve essere garantita “una solida formazione umana, culturale e religiosa” trovando negli insegnanti “dei modelli di vita cristiana”. Riprendendo, dunque, la Ecclesia in Africa, Benedetto XVI ha ribadito che “l’inculturazione del messaggio evangelico, realizzato nella fedeltà all’insegnamento della Chiesa”, contribuisce a “radicare la fede nel popolo” permettendogli di accogliere “la persona di Cristo in tutte le dimensioni della sua esistenza”. Infine, il Papa ha esortato i fedeli laici impegnati nella vita sociale a trasmettere i contenuti della fede attraverso la testimonianza della propria vita.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Servizio vaticano - Il discorso di Benedetto XVI ai vescovi del Togo. Nell’occasione il Papa ha sottolineato che la promozione della verità e della dignità del matrimonio e la tutela dei valori familiari fondamentali devono essere le priorità principali.

    Servizio estero - In evidenza l’Iraq, dove non si allenta la morsa delle violenze: uccisi, in diversi attacchi, quattordici soldati statunitensi.

    Servizio culturale - Un articolo di Susanna Paparatti dal titolo “Riflettere sulle proprie origini attraverso bellezza e verità”: sculture, disegni e pitture di Ernesto Lamagna in mostra a Palazzo Venezia.

    Servizio italiano - In rilievo il tema delle pensioni.

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    Oggi in Primo Piano



    Nessun progresso al vertice europeo di Bruxelles, dopo il colloquio tra il cancelliere tedesco, Merkel, e il presidente polacco, Kaczynski, che minaccia di porre il veto al nuovo Trattato UE

    ◊   “Le delegazioni stanno lavorando intensamente, ma non ci sono ancora soluzioni”: è quanto ha dichiarato il cancelliere tedesco e presidente di turno UE, Angela Merkel, nel secondo giorno di lavori del vertice del Consiglio Europeo di Bruxelles, nel quale si deve decidere l’avvio di una Conferenza intergovernativa per redigere un nuovo Trattato costituzionale, sostitutivo della Costituzione comunitaria, bocciata nel 2005 da Francia e Olanda. La presidenza tedesca presenterà nel pomeriggio, e solo quando avrà ragionevoli possibilità di successo, una nuova proposta di compromesso. Il servizio di Roberta Moretti:


    Angela Merkel ha garantito il massimo impegno nei colloqui bilaterali con le delegazioni britannica, polacca, olandese e della Repubblica Ceca, i quattro Paesi che minacciano di opporsi alla nuova Carta UE. La questione più spinosa resta quella del sistema di voto a doppia maggioranza, basato cioè sul 55% degli Stati e il 65% della popolazione, cui si oppone la Polonia. Varsavia chiede invece un sistema di voto basato sulla radice quadrata della popolazione, che le darebbe più potere. Inoltre, l’organizzazione di minoranze di blocco è ritenuta fondamentale dalla Polonia per poter rifiutare proposte UE non gradite. Per sbloccare l'impasse, il presidente francese, Sarkozy, ha presentato nella notte una “proposta di compromesso”, che fa riferimento alla cosiddetta "clausola Ioannina", dal nome della città greca dove è stata definita nel 1994 per la prima volta. La clausola consente a un piccolo gruppo di Paesi che arrivano a toccare la soglia di minoranza di blocco di chiedere il riesame della decisione presa a maggioranza qualificata. Da parte sua, comunque, il presidente polacco, Lech Kaczynski, ha giudicato la proposta “insufficiente”. Secondo fonti diplomatiche, Kaczynski sarebbe favorevole al Trattato se l’applicazione del sistema di voto della doppia maggioranza fosse ritardata al 2020, anche se la Carta UE entrerebbe in vigore nel 2009. Sarebbe invece più a portata di mano il compromesso con la Gran Bretagna, che chiede la modifica del nome di “ministro degli Esteri UE” e la garanzia che la rappresentanza dell'Unione Europea al Consiglio ONU non pregiudichi il seggio permanente di Londra. Infine, la Francia si è detta soddisfatta dalla bozza tedesca che, su sua richiesta, ha rimosso dal testo il riferimento alla “concorrenza libera e senza distorsioni”. Una modifica che sta trovando forti resistenze da parte di molti Stati membri.

     
    Ma cosa prevede la bozza di Trattato costituzionale presentata dalla presidenza tedesca? Amedeo Lomonaco lo ha chiesto a Federiga Bindi, esperta di questioni europee e titolare della cattedra Jean Monnet all’Università di Tor Vergata:

     
    R. - La bozza della Germania sta tentando di salvare tutto il salvabile dell’ex Trattato costituzionale e, soprattutto, ciò che riguarda i meccanismi istituzionali. Quindi, si sta cercando di salvaguardare il voto del Consiglio e il ministro degli Esteri, che sono le due cose più evidenti ed eclatanti, anche se in realtà c’è una lista di ben 15 punti in discussione.

     
    D. - A questa proposta si oppongono soprattutto Polonia e Regno Unito. Perché e quali sono gli scogli da superare?

     
    R. - Il Regno Unito si oppone perchè ha una storica tendenza anti-integrazionista. Quindi, tutto quello che riguarda una maggiore integrazione europea, viene solitamente contrastato dal Regno Unito. Per quanto riguarda la Polonia, invece, si tratta di una posizione assolutamente anacronistica, anche molto preoccupante: la Polonia ha addirittura chiesto la riparazione dei danni di guerra alla Germania e si è spinta ad affermare che se non ci fossero stati i nazisti, la popolazione polacca sarebbe stata più numerosa di quella tedesca. Quindi, in base a questo ragionamento, i polacchi avrebbero diritto a più voti in Consiglio. Ma questo è assurdo. A mio avviso, la Polonia, in questo momento, è veramente al limite.

     
    D. - Quindi, il rischio di fallimento del Summit o di un accordo al ribasso sono ipotesi probabili...

     
    R. - Non credo ci sarà un fallimento perché comunque è stata espressa la volontà, da parte di tutti, di trovare un accordo. Certo, si tratterà non di un fallimento ma di un accordo al ribasso: secondo me, ci saranno sostanziali offerte alla Polonia. Si sta veramente mettendo a repentaglio una costruzione che ha portato pace e prosperità al continente e non credo che questo sia accettabile.

     
    D. - Rafforzare il ruolo internazionale e la capacità decisionale sono ancora delle priorità per l’Unione Europea?

     
    R. - L’importante è che ci sia più coerenza nell’azione del Consiglio e della Commissione nei rapporti esterni. E’ importante modificare i meccanismi decisionali, perché gli studi mostrano che nel primo periodo del 2004, con l’eccezione di Polonia e Lituania, i nuovi Stati membri sono stati silenti nel Consiglio, tanto che alcuni hanno detto perfino “con l’allargamento si diventa più efficienti”. Se noi, invece, guardiamo il comportamento del voto, e cioè il numero di volte che gli Stati si oppongono ad un provvedimento, vediamo che negli ultimi sei mesi il trend sta cambiando. I nuovi Paesi arrivati si stanno opponendo sempre di più alle decisioni prese, andando a livello degli altri Stati membri. Ora, se questo trend continua e tutti gli Stati cominciano ad opporre provvedimenti, a 27 noi non andiamo da nessuna parte.

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    L'emigrazione forzata degli europei dell'est verso Occidente e la preoccupazione della Chiesa: mons. Giordano commenta la riunione dei vescovi europei a Minsk

    ◊   I fenomeni migratori in Europa, ma anche lo stato dell'ecumenismo nel continente e la situazione della Chiesa bielorussa: su questi argomenti si sono confrontati i segretari delle 34 Conferenze episcopali europee, riunitisi nei giorni scorsi a Minsk, in Bielorussia, su iniziativa del CCEE, il Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa. Il segretario generale di questo organismo, mons. Aldo Giordano, mette in evidenza gli esiti della riunione al microfono di Luca Collodi:


    R. - E’ stata un’esperienza molto significativa, abbiamo ricevuto un benvenuto da un Paese, che si ritiene al centro dell’Europa, che si ritiene "cuore" dell’Europa. E dunque, la prima cosa che abbiamo compreso è che come Chiesa è veramente giusto considerare l’Europa nella sua interezza, quella che va dell’Atlantico agli Urali. Abbiamo potuto conoscere la vita della Chiesa cattolica bielorussa, che ha sofferto e nella quale si avvertono i segni della sofferenza. Durante l’ultima guerra, e durante il regime nazista, centinaia di sacerdoti e vescovi sono stati uccisi, le chiese distrutte. Eppure, in questa epoca è sopravvissuta la fede, grazie alla testimonianza e alla preghiera dei laici. Adesso, si sente che c’è questa fede autentica, questa fede provata, che ha il senso del sacro e ciò davvero lo si respira. D’altra parte, è una Chiesa che dopo la caduta del Muro di Berlino ha cominciato a riorganizzarsi. Naturalmente, si cominciano a sentire i primi segni della modernità e della secolarizzazione, perché nella grande città questa mentalità, che è tipica dell’Occidente, comincia ad essere presente. Si coglie allora che la nuova sfida per queste Chiese sarà anche il confronto con questa mentalità, diciamo, più secolarizzata.

     
    D. - Mons. Giordano, una delle preoccupazioni della Chiesa cattolica in Bielorussia è quella della migrazione e soprattutto di un aspetto, cioè della migrazione forzata. Perché?

     
    R. - Soprattutto i Paesi dell’est europeo soffrono per questa migrazione forzata: per la disoccupazione, per la povertà, alle volte per le difficoltà politiche e per il miraggio di poter offrire un futuro migliore alla propria famiglia. In Paesi dell’est come Bielorussia e Romania, dopo il 1989, si può dire che il 10, il 15 o il 20 per cento della popolazione è già emigrata, soprattutto i giovani. Ciò costituisce anche un problema locale, perché crea un invecchiamento della popolazione. Spesso, sono le forze migliori, le più preparate, che cercano un futuro migliore all’estero.

     
    D. - Quindi, il rischio per i Paesi dell’est, per la Bielorussia, è quello di vedere venir meno le forze migliori...

     
    R. - Come Chiese, noi siamo preoccupati di instaurare dei rapporti fra i nostri Paesi, in maniera che queste forze possano restare sul posto e possano contribuire ad un futuro migliore del Paese.

     
    D. - L’aspetto dell’ecumenismo, un altro dei temi che voi come Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa avete affrontato a Minsk, come lo valutate?

     
    R. - In Bielorussia, a Minsk, abbiamo visitato il metropolita ortodosso Filaret e abbiamo visto che in Bielorussia c’è un rispetto reciproco fra le Chiese, dunque una situazione interessante da osservare. Riguardo a tutta l’Europa, si registrano alcune situazioni di stallo dell’ecumenismo, soprattutto in qualche Paese occidentale. Invece, in altri Paesi che forse non hanno una grande tradizione ecumenica, assistiamo a dei fatti nuovi. Con tutto il mondo dell’est, con certi Paesi ortodossi, si è iniziata una collaborazione molto interessante su alcuni temi di comune interesse: i valori, il processo di unificazione europea, la famiglia, la vita. Su questi temi noi possiamo collaborare e abbiamo iniziato nuove forme di collaborazione fino a qualche anno fa impensabili.

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    In corso a Roma l'Incontro europeo dei docenti universitari, promosso dal Consiglio delle Conferenze episcopali europee

    ◊   Oltre 2500 docenti di 44 Paesi per 47 sessioni di lavoro: con questi numeri si è aperto ieri a Roma l’Incontro europeo dei docenti universitari, il primo promosso dal Consiglio delle Conferenze episcopali europee. Fino a sabato, gli studiosi rifletteranno sul tema “Un nuovo umanesimo per l’Europa. Il ruolo delle Università”. Ad inaugurare i lavori, presso la Pontificia Università Lateranense, è stata prolusione del cardinale, Camillo Runi, vicario del Papa per la diocesi di Roma. C’era per noi Isabella Piro:


    Nella sua relazione, il cardinale Ruini ha affrontato i temi più urgenti della società odierna, in cui sembra imperare - ha detto - un’interpretazione naturalistica dell’uomo, ridotto alla sola sfera corporea:

     
    “L’interpretazione naturalistica dell’uomo non è soltanto incompatibile con la fede cristiana in quanto implica la negazione della trascendenza del soggetto umano, ossia del suo essere a immagine di Dio, ma comporta un autentico capovolgimento del punto di partenza della modernità, che consisteva nella rivendicazione della centralità dell’uomo e della sua libertà”.

     
    A questa fase post-umanista, ha detto il porporato, può essere di fondamentale aiuto l’umanesimo cristiano, basato sull’amore di Dio per l’uomo, un amore smisurato che abbatte le barriere della morte. Infine, il porporato si è soffermato sui rapporti tra cristianesimo e scienza:

     
    “L’umanesimo cristiano non sottintende in alcun modo una qualche forma di avversione o minor considerazione nei confronti delle scienze empiriche e dell’apporto che esse possono dare alla conoscenza che abbiamo di noi stessi. Al contrario, il programma tipicamente umanistico di allargare gli spazi della razionalità, proposto con forza da Benedetto XVI, favorisce in realtà un genuino sviluppo delle scienze, liberandole dal pericolo di restare prigioniere del riduzionismo scientista”.

     
    Tanti gli interventi che si sono succeduti durante il convegno, tra cui quello di Franco Frattini, vicepresidente della Commissione europea. A lui abbiamo chiesto quale strumento principe abbia l’Europa per sviluppare un nuovo umanesimo:

     
    “Trovare una linea condivisa per promuovere i diritti fondamentali dell’uomo, non solo per difenderli ma per promuoverli dove non ci sono. Se l’Europa vuole diventare attore globale, deve essere lei portatrice di questo valore e cioè che la persona umana è al centro della scena”.

     
    Sul concetto di dignità umana si è infine soffermato il cardinale Peter Erdö, presidente del Consiglio delle Conferenze episcopali europee. La dignità umana - ha detto - non diminuisce neppure quando un essere umano non può usare pienamente le sue capacità, e quindi riguarda anche il feto, il malato o il moribondo.

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    Per non distruggere una riserva naturale ricchissima di petrolio, l'Ecuador sollecita la nascita di un fondo internazionale che lo compensi in parte per il mancato introito

    ◊   Nel mondo occidentale, si moltiplicano gli studi che preannunciano il prossimo esaurimento delle risorse petrolifere: l'ultimo condotto dalla "Oil Depletion Analysis Centre" - un Centro londinese specializzato in ricerche nel campo dell'energia - prevede che la produzione di greggio registrerà il suo picco massimo nel 2011 per poi declinare in modo rapido e drammatico, con contraccolpi estremamente negativi per la crescita economica mondiale. Altri rapporti - come quello della BP, importante Compagnia petrolifera londinese - stima invece in altri 40 anni la fine dell'era petrolifera, al ritmo attuale di estrazione, che si aggira intorno agli 85 milioni di barili al giorno. In questo scenario, fa scalpore la decisione dell'Ecuador che non sfrutterà l'enorme giacimento di greggio individuato sotto la riserva nazionale di Yasuní, un vero paradiso ambientale, che altrimenti verrebbe distrutto. Al microfono dela nostra collega della redazione ispanoamericana, Patricia Ynestroza, il primo ministro dell'Ambasciata ecuadoriana presso la Santa Sede, Cristian Manchino, parla della campagna di sensibilizzazione che il presidente dell'Ecuador, Rafael Correa, ha lanciato a sostegno di questa decisione:

     
    R. - Esta campaña consiste en la...
    Questa campagna chiede la rinuncia da parte dell'Ecuador a sfruttare il greggio che possiede, e che costituisce la sua prima risorsa di produzione e di esportazione, invitando tuttavia la comunità internazionale a offrire, in cambio, determinate misure di compensazione: misure che permettano lo sviluppo sociale e lo sviluppo sostenibile dell'habitat, promuovendo l’educazione, la salute ma soprattutto la salvaguardia delle comunità autoctone che abitano da molte generazioni, in isolamento volontario, all'interno del Parco nazionale di Yasuní. L’Ecuador stima di possedere una riserva di petrolio di tre milioni di dollari, perché si considera che vi siano 900 milioni di barili di greggio sotto questa riserva naturale conosciuta come Ispingo-Tambococha-Tiputini. Dunque, l’Ecuador rinuncia a 700 milioni di produzione annua di greggio dovuti alla mancanza di sfruttamento e lancia questa campagna di sensibilizzazione allo scopo di costituire un fondo internazionale di compensazione, guidato da un fedecommesso internazionale, e per il quale aspira ad ottenere solo il 50% delle risorse che produrrebbe lo sfruttamento del petrolio. E a livello locale - e come stimolo ed esempio per la comunità internazionale - l'Ecuador ha lanciato un’altra campagna nazionale chiedendo alla società civile di acquisatre simbolicamente il greggio non estratto ad un prezzo di 5 dollari, rispetto al salario minimo che è di 250 dollari. Il compenso che invece il presidente Rafael Correa chiede alla comunità internazionale è di vario tipo: uno scambio per il condono del debito estero, donazioni di governi amici, contributi volontari alla società civile, donazione di ONG e reti internazionali dei diritti umani e della tutela dell'ambiente, l'introduzione nel mercato internazionale degli interessi applicati per il greggio non esportato. Con queste modalità di compensazione, il Paese riuscirebbe così ad avere questo fondo internazionale che, guidato dal fedecommesso internazionale - gli consentirebbe lo sviluppo della riserva naturale in maniera esemplare, e soprattutto il non inquinamento dell'ambiente.

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    Promuovere l’istruzione dei campesinos del Perù attraverso programmi radiofonici: è quanto si propone a Cuzco l’Opera di promozione di alfabetizzazione nel mondo

    ◊   La Radio come strumento per promuovere l’istruzione dei più deboli e bisognosi. E’ il progetto di un sacerdote peruviano, padre Modesto Lozano, diventato realtà grazie all’aiuto dell’OPAM, l’Opera di Promozione dell’Alfabetizzazione nel Mondo. L’iniziativa si caratterizza per una serie di finalità, tutte mirate a migliorare le condizioni di vita dei campesinos, come spiega il presidente dell’OPAM, mons. Aldo Martini, intervistato da Alessandro Gisotti:

    R. - Questo progetto è un’idea del parroco Modesto Lozano, che opera nella zona andina del Cuzco, in Perú, una zona di grande degrado culturale, umano e anche di grande analfabetismo. Questo parroco vuol fare una trasmissione sulla radio locale che raggiunga diversi villaggi, con 2.200 ore annue di trasmissione. E’ indirizzata ai ragazzi dai 12 fino ai 25-30 anni - quindi ragazzi e adulti - e come contenuti, oltre all’istruzione di base, ci si occupa anche di educazione alla salute: quindi, prevenzione dell’alcolismo, della droga, formazione agraria... Ma quello che è interessante è che questo programma vuole formare anche degli animatori, quindi prevede la formazione di 20 animatori che producano essi stessi le puntate, una volta che abbiano ricevuto questa formazione.

     
    D. - Dunque, la radio come strumento di alfabetizzazione ed anche di evangelizzazione?

     
    R. - Certamente. Pensiamo ad un fenomeno che è stato tipico dell’Italia negli anni Sessanta, quando ancora era diffuso l’analfabetismo. Cosa ha significato, allora, il programma “Non è mai troppo tardi” del maestro Alberto Manzi, che con le sue trasmissioni televisive ha garantito a circa un milione di italiani il raggiungimento della licenza elementare! Allora, qualcosa di simile avviene in molti Paesi del mondo, soprattutto in America Latina, ma adesso anche in Africa: quasi tutte le diocesi di un certo rilievo si stanno dotando di questo strumento della radio. Perché la radio è un potentissimo strumento di alfabetizzazione. Anzitutto, per consentire a persone che vivono in situazioni di isolamento culturale e geografico di ricevere un’istruzione di base, ma poi anche per seguire corsi di istruzione media e superiore, e soprattutto corsi di formazione professionali, come ottimo strumento di formazione religiosa: da un lato, per dare basi più solide alla propria fede, dall'altro anche per saper reagire al pericolo dell’invasione delle sette, che è molto forte, molto pressante. Ecco che la radio diventa veramente una voce potente per vincere l’analfabetismo.

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    Chiesa e Società



    Il parroco di Gaza, padre Manuel Masallam, si appella alla comunità internazionale perché non abbandoni la Striscia di Gaza

    ◊   “Non abbandonate la popolazione palestinese di Gaza. La gente non ha soldi e ha bisogno. Le frontiere sono chiuse e le organizzazioni umanitarie sono fuori e non possono aiutarci”. L’appello è di padre Manuel Musallam, unico parroco cattolico della Striscia di Gaza, che al Sir descrive “oggi una situazione abbastanza calma. Non si spara più, negozi, uffici e scuole sono aperti, nei mercati si vendono generi alimentari. Ma il problema sono i soldi che mancano alle famiglie”. Secondo il parroco, “uno dei problemi principali a Gaza sono proprio le famiglie. Durante gli scontri molti soldati e ufficiali – spiega – hanno lasciato Gaza e hanno trovato rifugio in Egitto, in Israele, in Cisgiordania. Qui sono rimaste le loro famiglie, donne e bambini e anziani che ora si trovano in difficoltà. Riunire queste famiglie è una priorità a Gaza”. Circa le distruzioni subite da un convento di religiose a Gaza nei giorni degli scontri padre Musallam rassicura: “Non ci sono pericoli per noi cristiani qui nella Striscia. Siamo tranquilli. Non abbiamo paura dei musulmani, ma temiamo solo alcuni di loro, integralisti ed estremisti. Ma per il momento siamo sereni e viviamo come possiamo insieme agli altri”. “È urgente – conclude - portare aiuti alla popolazione di Gaza che in larga parte è composta da rifugiati, privi di lavoro. È necessario che rientrino le organizzazioni umanitarie per garantire servizi sanitari e quanto è opportuno per alleviare le condizioni di persone innocenti”. (R.P.)

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    Su iniziativa del Consiglio ecumenico delle Chiese è nato ad Amman, in Giordania, il Forum per una giusta pace in Israele e Palestina

    ◊   Un’azione interreligiosa per la pace e la giustizia in Israele e Palestina. Questa la prospettiva del Forum ecumenico Israelo-palestinese’ lanciato ad Amman, in Giordania, ‘su iniziativa del Consiglio ecumenico delle Chiese (CEC), al termine di una conferenza internazionale che nei giorni scorsi ha riunito 130 esponenti religiosi ed organizzazioni ecclesiastiche dei sei continenti. Come riporta l’agenzia Misna nel ‘manifesto’ del nascente Forum, chiamato “l’appello di Amman”, si afferma che “il ruolo delle Chiese è curare le ferite e portare le parti verso la riconciliazione”, tenendo conto che in Israele e Palestina, “i figli di Dio – cristiani, musulmani e ebrei – sono imprigionati in un vortice di violenza, umiliazione e disperazione”. Una delle sfide principali del Forum è “liberare la gente della regione dalla logica dell’odio, del rigetto mutuo e dalla morte”, attraverso raccomandazioni, monitoraggio e un piano d’azione elaborato da gruppi di lavoro, anche con l’aiuto delle precedenti esperienze vissute da altre Chiese in Paesi colpiti da conflitti, come Sudafrica, Sudan, Nicaragua o Sri Lanka. Le azioni del Forum avranno per linee guide le posizioni del CEC riguardo al conflitto israelo-palestinese, ovvero: rispetto delle risoluzioni ONU e delle convenzioni di Ginevra; creazione di due Stati con autodeterminazione; sicurezza e libertà di movimenti garantiti per tutti; diritto di ritorno dei rifugiati palestinesi; condivisione della Città Santa di Gerusalemme, aperta a tutti; rigetto della violenza, sia da parte degli israeliani che da parte dei palestinesi; illegalità dell’occupazione israeliana e della barriera, o muro, di separazione nei territori occupati; ruolo centrale delle Chiese locali. Per accompagnare l’inaugurazione del Forum ecumenico, è stato piantato in riva al fiume Giordano, sul luogo dove secondo la tradizione Gesù sarebbe stato battezzato, un ulivo offerto dai cristiani di Palestina. (E. B.)

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    Nelle Filippine sono riprese le ricerche del padre Giancarlo Bossi, rapito dieci giorni fa

    ◊   Sono di nuovo operativi i gruppi congiunti dell’esercito filippino e del Fronte islamico di liberazione Moro, che dopo una breve interruzione hanno ripreso a cercare p. Giancarlo Bossi, missionario del Pontificio Istituto Missioni Estere rapito nell’arcipelago meridionale di Mindanao lo scorso 10 giugno. Le ricerche si erano interrotte ieri per “motivi tecnici”. Come ogni anno, infatti, era scaduto il mandato del Gruppo di azione comune istituito da Manila e dai capi dei ribelli. Ad ogni modo, spiega ad AsiaNews il p. Sandalo – superiore regionale del Pime nelle Filippine – questa interruzione “non è particolarmente preoccupante. Vi è da tutti i lati una vera volontà di risolvere questo rapimento, e questo è solo un intoppo tecnico”. Lo confermano fonti militari, che aggiungono: “Abbiamo chiesto ed ottenuto la piena cooperazione dei governi locali e dei civili delle zone di Sultan Naga Dimaporo, Nunungan e Salvador, che ci aiuteranno a localizzare il missionario rapito”. (R.P.)

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    “Morire di speranza”: Veglia di preghiera ieri sera nella Basilica di Santa Maria in Trastevere in ricordo dei tanti migranti vittime delle tragedie del mare

    ◊   Una preghiera in memoria dei migranti morti in mare inseguendo il sogno di una vita migliore in Europa. Con questo spirito, ieri sera presso la Basilica di Santa Maria in Trastevere, rappresentanti cattolici, protestanti, ortodossi e del mondo del volontariato hanno partecipato alla veglia “Morire di speranza” promossa – come riporta l’agenzia Sir - dalla Fondazione Migrantes della CEI, dal Centro Astalli, dalla Comunità di Sant’Egidio, dalla Caritas Italiana e dalla Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia. Di fronte al loro ricordo e alla solitudine della loro morte – ha affermato don Matteo Zuppi, parroco della Basilica – “sentiamo la domanda di che fine hanno fatto l’umanità, i sentimenti di pietà. Insomma: dove eravamo?”. E’ lo scandalo dell’ingiustizia e della mancanza di umanità nelle società più agiate: “la loro speranza - ha aggiunto il sacerdote - la loro ingenuità, il loro sacrificio, giudica il cinismo, il calcolo, la tiepidezza; chiede di provare a guardare il mondo insieme con loro, con i loro occhi, con il loro corpo, con i loro sogni”. Eppure di tanti non conosciamo i nomi: “quando non c’è amore – ha proseguito - l’altro è ridotto sempre ad un numero, ad un fantasma”. Chi dimentica – ha detto ancora don Zuppi – “sarà dimenticato. Essi sono sconosciuti agli uomini ma non a Dio, loro fratello maggiore”. Ieri sera alcune tragedie sono state ricordate attraverso l’accensione di una candela. Nei primi cinque mesi dell’anno i morti, solo nel Canale di Sicilia, sono stati 131, più 35 sulle rotte tra Algeria e Sardegna. Dal 1988 le morti documentate dalla stampa internazionale sono state 8.995: di questi 3.087 sono dispersi in mare. (E. B.)

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    La Tanzania intende rimpatriare 150 mila rifugiati burundesi. L’annuncio è del presidente tanzaniano durante la sua visita nel Paese

    ◊   I rifugiati burundesi ancora presenti in Tanzania al centro della visita in Burundi che il presidente della Tanzania, Jakaya Kikwete, ha concluso ieri. L’importante ruolo che la Tanzania continua a svolgere per riportare la pace nel Paese è stato rimarcato dalla popolazione locale che ha accolto con calore il leader tanzaniano. Il governo di Dar es Salaam – ricorda l’agenzia Fides - intende riportare in Burundi entro il 31 dicembre 2007 circa 150mila rifugiati che da almeno un decennio vivono in Tanzania, a seguito della guerra civile scoppiata nel 1993 e conclusa con gli accordi di pace firmati proprio nella capitale tanzaniana nel 2003. Nonostante il Capo di Stato tanzaniano abbia affermato che in Burundi si sono ormai create le condizioni politiche e di sicurezza che permettono il ritorno dei rifugiati, l’annuncio ha suscitato preoccupazione. Secondo il presidente del Fronte per la Democrazia del Burundi (FRODEBU, il principale partito d’opposizione), Léonce Ngendakumana, il ritorno di centinaia di migliaia di persone nel giro di pochi mesi potrebbe innescare una nuova crisi sociale e politica in un Paese che è appena uscito da una guerra civile decennale. Il problema principale è infatti costituito dai potenziali conflitti per il possesso della terra. I rifugiati andandosene dal Paese hanno lasciato le loro proprietà fondiarie sulle quali, nella maggior parte dei casi, si sono insediate nuove famiglie. Un rimpatrio massiccio, condotto senza la necessaria preparazione, rischia dunque di far esplodere un vero e proprio conflitto per il controllo delle terre contese. Un altro politico burundese, il leader dell’Unione per il Progresso Nazionale (UPRONA, l’ex partito unico) ha auspicato un “ritorno su base volontaria e organizzato”, come previsto dalle convenzioni internazionali in materia. In occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato, nei giorni scorsi, il ministro burundese dell’Interno e della Sicurezza Pubblica, Evariste Ndayishimiye, ha chiesto formalmente alla Tanzania di dare ancora prova di pazienza affinché il Burundi sia in grado di accogliere i rimpatriati “nella dignità, nella sicurezza, nella giustizia e nella fraternità”. La Tanzania accoglie 276mila rifugiati, la maggior parte dei quali proveniente dalla Repubblica Democratica del Congo e dal Burundi. Dopo le elezioni del 2005 vinte dagli ex ribelli, il Burundi ha visto consolidarsi la pace raggiunta grazie agli sforzi della comunità internazionale. Il Burundi intende integrarsi nelle strutture regionali e continentali per migliorare la propria economia. La povertà è infatti un terreno fertile per far esplodere tensioni e conflitti. Proprio in questi giorni il Burundi, insieme al Rwanda, è entrato nella Comunità dell’Africa Orientale, che comprende anche Kenya, oltre all’Uganda e alla Tanzania. (E. B.)

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    In Nigeria, aumenta il numero di bambini uccisi dall’epidemia di morbillo che si sta diffondendo nel nord del Paese

    ◊   È salito a 80 il numero di bambini, di età compresa tra i cinque mesi e i 12 anni, morti per la virulenta epidemia di morbillo che da alcuni giorni sta interessando lo Stato di Borno nel nord della Nigeria. Lo afferma l’agenzia Misna citando i dati delle autorità amministrative e sanitarie riportati della stampa locale. Secondo il quotidiano ‘This Day’ l’epidemia, il cui epicentro è stato individuato nel villaggio di Njimtilo, si è estesa anche ad altre località finora risparmiate dalla malattia. Mentre si parla ormai di circa 600 bambini contagiati e ricoverati, le strutture sanitarie hanno fatto sapere di aver quasi terminato le medicine a disposizione. Confermando l’emergenza, il direttore del centro di contenimento delle malattie del ministero della Sanità ha detto che il governo ha già predisposto un invio “urgente” di materiale sanitario e medicine ai centri dell’area colpita dall’epidemia. Secondo le autorità locali le zone più colpite restano quelle di Konduga, Maiduguri, Damboa, Jere e Bama. Lo Stato di Borno ha creato una squadra speciale incaricata di controllare e circoscrivere l’epidemia per evitare che si diffonda ulteriormente. (E. B.)

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    “Incontrare Gesù”: friulani, carinziani e sloveni insieme nel tradizionale pellegrinaggio dei tre popoli che prende il via domani

    ◊   Un’occasione per “rafforzare quei vincoli di amicizia e di fraternità che gli uomini con tanta fatica riescono a mantenere”. Così gli organizzatori presentano l’edizione 2007 del “pellegrinaggio dei tre popoli”, friulani, carinziani e sloveni, che si svolgerà domani. Ogni anno una delle diocesi coinvolte (Udine, Lubiana, e Gurk-Klagenfurt; spesso vi partecipano anche altre diocesi vicine specie l’arcidiocesi di Gorizia e la diocesi di Capodistria) ospita i pellegrini: quest’anno toccherà alla diocesi austriaca di Klagenfurt. Tema del pellegrinaggio – afferma l’agenzia Sir – è “Incontrare Gesù”. La manifestazione – spiegano gli organizzatori del pellegrinaggio sull’ultimo numero del settimanale cattolico del Friuli “La Vita Cattolica” (Udine) - nacque 25 anni fa da una felice intuizione dell’allora arcivescovo di Udine (ora emerito) mons. Alfredo Battisti, come segno di riconciliazione tra popoli divisi dalla cortina di ferro. Ma il crollo del socialismo reale – e la caduta definitiva del confine tra la Slovenia e l'Unione europea, il prossimo primo dicembre – non hanno affatto tolto respiro spirituale e significato per la vita di friulani, carinziani e sloveni a questa iniziativa. “Catalizzatore del pellegrinaggio dei tre popoli 2007 – spiegano ancora i promotori - è l’abbazia di Millstatt, fondatata nel 1070 e divenuta poi uno dei più significativi esempi dell’arte romanica in Europa”. Millstatt “è un luogo estremamente simbolico per la cristianizzazione della Carinzia: il suo nome viene dalla reminescenza latina delle mille statue, raffiguranti idoli che il duca slavo Domiziano fece distruggere pubblicamente nell’VIII secolo quando si convertì al cristianesimo, trasformando un santuario pagano in una chiesa. Ma non solo: l’abbazia Benedettina di Millstatt, in seguito affidata all’ordine cavalleresco di San Giorgio e ai Gesuiti, fu il più antico centro culturale carinziano di lingua tedesca, la cui importanza è testimoniata anche dalle colorate e pregevoli architetture medievali”. (E. B.)

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    Kenia, Grecia e Italia: è il percorso della fiaccola degli Scout che arriverà in Gran Bretagna per celebrare i cento anni di fondazione

    ◊   La fiamma scout arriverà in Italia domenica prossima. La fiaccola che - su iniziativa dell’amicizia internazionale scout e guida (AISG, l’organizzazione internazionale degli adulti), in collaborazione con l’OMMS e l’AMGE (organizzazioni mondiali dello scautismo e del guidismo) - sta viaggiando dall’Africa alla Gran Bretagna, per celebrare il centenario dello scoutismo. “Una staffetta – spiega l’Ufficio stampa dell’AGESCI – che sta portando in tutto il mondo una fiaccola accesa il 22 febbraio 2007 a Nyeri, in Kenya, sulla tomba del fondatore dello scoutismo, Robert Baden Powell”. Domenica, riporta l’agenzia Sir, gli scout italiani riceveranno la fiamma da quelli greci. La “staffetta” proseguirà, poi, fino all’isola di Brownsea, sulla costa della Manica, dove 100 anni fa fu tenuto il primo campo scout. “Dopo 159 giorni di corsa – precisa l’AGESCI - la fiamma arriverà a Brownsea il 31 luglio, dove sarà in corso il Jamboree, campo mondiale degli scout”. Questa fiaccola, spiegano i promotori, “vuole significare che lo spirito del fondatore anima tuttora il movimento e il fuoco che essa porterà a Brownsea vuole ricordare che l’altro fuoco, acceso sull'isola cento anni fa, ha sparso le sue fiamme nel mondo intero”. (E. B.)

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    L'arcivescovo di Oaxaca chiede con urgenza una riforma dello Stato che risponda alle necessità ed alle aspirazioni di tutti

    ◊   Riformare profondamente lo Stato per superare l’attuale “emergenza sociale”. E’ l’appello dell’arcivescovo di Oaxaca, mons. José Luis Chávez Botello, che ha pubblicato un comunicato in seguito le violenze verificatesi in città il 14 giugno scorso – nei quali una persona è morta – in occasione dell’anniversario della manifestazione per i problemi del Paese. Come riporta l’agenzia Fides, secondo l'Arcivescovo queste manifestazioni dimostrano ancora una volta “insoddisfazioni profonde e ferite non guarite”. Il presule richiama dunque a guardare con serenità e realismo la realtà, “affinché gli interessi personali e l’irresponsabilità non ci accechino”. Serve maggiore velocità nelle procedure per assicurare la giustizia, nello sradicare la corruzione affinché – afferma – “gli interessi personali e di gruppo non siano mai al di sopra del bene comune”. Qualunque danno ed offesa ad una persona – ricorda ancora l’arcivescovo – “offende tutta la società, e quando ciò colpisce molti, finisce per costituire una minaccia per l'umanità". Proprio per questo mons. José Luis sottolinea la “urgenza irrinunciabile di una vera e profonda riforma dello Stato, che risponda alle necessità ed alle aspirazioni fondamentali dei cittadini di Oaxaca”.(E. B.)

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    24 Ore nel Mondo



    In Afghanistan, almeno 25 civili e 20 presunti talebani morti in seguito a un raid aereo della NATO

    ◊   Nuova strage di civili in Afghanistan. Ma questa volta a provocare vittime non è stata la guerriglia, bensì un raid aereo della NATO, che per errore ha causato la morte di 25 civili nella provincia meridionale di Helmand. Sono morti anche 20 sospetti talebani. Il servizio di Giada Aquilino:


    La conferma ufficiale della polizia non lascia dubbi. Il bombardamento aereo della coalizione su due case del distretto meridionale di Greshk ha provocato anche vittime civili, tra cui 9 donne e 3 bambini. Le autorità locali denunciano di non essere state avvertite in anticipo di quanto stava per accadere. L’ISAF, la Forza internazionale della NATO, non ha diffuso dettagli su ciò che è avvenuto stanotte, parlando soltanto di non meglio specificati scontri in un’operazione contro la guerriglia della zona. Secondo un portavoce dei militari, militanti talebani erano asserragliati nel villaggio poi raggiunto dal fuoco alleato e già in precedenza avevano colpito un convoglio della NATO. L’incidente è avvenuto proprio quando sono ripresi violenti gli scontri tra guerriglia e truppe afghane appoggiate da forze dell’Alleanza Atlantica: nei giorni scorsi, sono state una ventina le vittime civili, tra cui 7 bambini morti per un altro raid aereo della coalizione.

    - Il presidente vietnamita, Nguyen Minh Triet, è arrivato ieri a New York, prima tappa di una storica visita di sei giorni negli Stati Uniti, che riguarderà principalmente le relazioni commerciali tra i due Paesi. Ma la politica repressiva vietnamita rischia di compromettere gli scambi commerciali. A Washington, in occasione della visita di Triet, sono previste manifestazioni contro la campagna di oppressione dei dissidenti vietnamiti. In giornata è poi previsto l’incontro del presidente vietnamita con il capo di Stato americano, George Bush. Secondo anticipazioni di stampa, il capo della Casa Bianca chiarirà la necessità di rispettare i diritti umani per far proseguire la cooperazione tra i due Stati .

    - La Corea del Nord è pronta a chiudere il reattore nucleare di Yongbyon: lo ha riferito oggi il negoziatore americano, Christopher Hill durante la visita a Pyongyang. Hill ha fatto anche sapere che riprenderanno “il prima possibile” i colloqui tra due Coree, Russia, Cina, Giappone e Stati Uniti. La chiusura del reattore atomico nordcoreano era una delle condizioni dell'accordo, raggiunto lo scorso febbraio a Pechino, dalle delegazioni dei 6 Paesi che partecipano ai negoziati. In cambio, erano stati promessi alla Corea del Nord aiuti umanitari e finanziari. Il dialogo sullo smantellamento nucleare nordcoreano era però stato sospeso in seguito al congelamento, da parte statunitense, di 25 milioni di dollari, in una Banca di Macao.

    - Si terrà, oggi in India, una manifestazione per i diritti umani e contro le crescenti persecuzioni dei cristiani. All’iniziativa parteciperanno persone provenienti da varie zone del Paese asiatico e diversi rappresentanti della comunità cristiana. Il servizio di Maria Grazia Coggiola:


    L’aumento della violenza continua a preoccupare la minoranza cristiana in India. Dopo la manifestazione organizzata a New Delhi tre settimane fa, le associazioni cristiane scendono di nuovo in piazza, questa volta a Bangalore, nel sud del Paese. Il Global Council of Indian Christians, un gruppo in cui è anche presente la conferenza dei vescovi cattolici indiani, ha organizzato per oggi una marcia per i diritti umani con la partecipazione di numerosi attivisti e personalità. L’obiettivo è quello di far sentire la voce della comunità cristiana e sollevare l’attenzione sugli episodi di aggressione e di violenza degli ultimi mesi, in particolare contro pastori protestanti da parte di gruppi radicali indù. A esprimere preoccupazione per le leggi anticonversioni, introdotte in numerosi Stati indiani per l’aumento della violenza anticristiana e per il crescente fondamentalismo, è stato anche l’arcivescovo di Bangalore, mons. Bernard Moras, secondo il quale il governo ha il dovere di proteggere e riconoscere i diritti della minoranza cristiana. (Da New Delhi, per la Radio Vaticana, Maria Grazia Coggiola)

    - Crisi politica ucraina in primo piano ieri all’incontro, vicino Mosca, tra il presidente russo Vladimir Putin e il primo ministro di Kiev, Viktor Yanukovich. Ce ne parla Giuseppe D’Amato:


    “Voi non avete opposizione, tutti sono al potere, non riesco a comprendere”, così Valdimir Putin al premier russo Victor Yanukovich. Questa situazione, ha spiegato il primo ministro ucraino, si è venuta a creare perché non sono state completate le riforme costituzionali. La fase di impasse politica, seguita ai decreti presidenziali di scioglimento della Rada di inizio aprile, si è risolta con la convocazione di elezioni parlamentari anticipate il 30 settembre. La cosa più importante, ha segnalato Yanukovich, è che le forze politiche sono rimaste all’interno della legalità; le consultazioni saranno trasparenti e oneste. Putin si è augurato che l’Ucraina risolva i suoi problemi politici e che il volume dell’interscambio bilaterale aumenti. L’ex repubblica sovietica rimane il principale partner di Mosca nella CSI. Nelle stesse ore, il presidente filo-occidentale Yushenko ha incontrato a Bruxelles i capi della diplomazia europea. (Per la Radio Vaticana, Giuseppe D’Amato)

    - Cinque morti e decine di feriti: è il bilancio dell’esplosione di una bomba nel mercato di Mogadiscio, capitale della Somalia. L’attentatore, ieri nell’ora di punta, ha lanciato l’ordigno in mezzo alla folla ed è fuggito. Secondo fonti locali, l’obiettivo dell’attacco sarebbe stata una pattuglia di polizia, che rispondendo al fuoco ha ucciso altre tre persone. Le truppe somale e gli alleati etiopici hanno setacciato la zona per individuare cellule terroristiche che si nascondono in città. A sud della capitale somala, almeno sei soldati sono rimasti uccisi inoltre in seguito a scontri dalle dinamiche ancora poche chiare. Sul versante politico, intanto, il primo ministro Ali Gedi, parteciperà il 28 giugno alla riunione del consiglio di Sicurezza dell’ONU e chiederà l’invio in Somalia di caschi blu. (A cura di Amedeo Lomonaco e Beatrice Bossi)
     Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LI No. 173

     

     
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