Logo 50Radiogiornale Radio Vaticana
Redazione +390669883674 | +390669883998 | e-mail: sicsegre@vatiradio.va

SOMMARIO del 20/06/2007

Il Papa e la Santa Sede

  • Chi va verso Dio si avvicina agli uomini: lo ha detto il Papa all'udienza generale parlando di Sant'Atanasio. Appello per il sostegno dei rifugiati
  • "Le anime degli amici di Dio riposano nella pace del suo cuore": così il Papa alle esequie del cardinale Felici, celebrate in San Pietro
  • Nomine
  • Il contributo della Polonia all'identità cristiana dell'Europa: intervista con il cardinale Bertone appena rientrato da un viaggio nella terra di Papa Wojtyla
  • Dalla ROACO appello a sostenere i cristiani in Iraq e Turchia
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Mons. Tomasi: nuove speranze per un accordo sulla proibizione delle bombe a grappolo
  • Giornata del rifugiato: aumentano i profughi nel mondo. Sono 10 milioni
  • L'impegno dei missionari del PIME al fianco dei disabili in Camerun
  • Chiesa e Società

  • Mons. Giordano: l’Europa sente l’esigenza di “una nuova luce”
  • Il “meticciato di civiltà e culture”, tema dell’Incontro annuale del Centro studi Oasis, che si apre oggi a Venezia
  • L’arcivescovo di Città del Messico, il cardinale Rivera Carrera, contro il disegno di legge, al vaglio all’Assemblea federale, che contempla l’”eutanasia passiva”
  • La Chiesa della Repubblica Dominicana chiede il disarmo della popolazione: “Ogni giorno una sequenza di vittime, cui purtroppo ci stiamo abituando”
  • L’esercito filippino avrebbe avvistato padre Giancarlo Bossi in un villaggio nei pressi di Nunungan, nella provincia di Lanao del Norte
  • Mons. Ntamwana eletto nuovo presidente dei vescovi dell’Africa centrale
  • Epidemia di morbillo in Nigeria: 60 bambini morti in pochi giorni
  • Rapporto UNICEF sul traffico di minori in Africa orientale e australe: solo Mozambico e Sudafrica si impegnano per combattere il fenomeno
  • Rinviato al 25 giugno il processo per l’omicidio di Serge Maheshe, il giornalista di Radio Okapi, ucciso in nella Repubblica Democratica del Congo
  • La Chiesa della Cambogia lavora per la ricostruzione del sistema scolastico, distrutto dai Khmer Rossi
  • Per “una nuova evangelizzazione dell’India”, il cardinale Toppo, arcivescovo di Ranchi, ha convocato un incontro con i rappresentanti del Cammino neocatecumenale
  • In migliaia a Bologna, alla Messa “di riparazione” presieduta dall’arcivescovo Caffarra, per la bestemmia rivolta alla Vergine nel titolo di una mostra in cartello quest’estate
  • Offende la fede cristiana: con questa motivazione il patriarcato di Venezia chiede che non venga rappresentato il balletto “Messiah Game”
  • 24 Ore nel Mondo

  • In Iraq 30 ribelli uccisi in un'offensiva americana. Il vescovo di Kirkuk boccia il piano di una enclave cristiana nel nord Iraq
  • Il Papa e la Santa Sede



    Chi va verso Dio si avvicina agli uomini: lo ha detto il Papa all'udienza generale parlando di Sant'Atanasio. Appello per il sostegno dei rifugiati

    ◊   Doppio saluto, questa mattina, per Benedetto XVI alle decine di migliaia di pellegrini di cinque continenti radunatisi in Vaticano per l’udienza generale. Il Papa si è dapprima intrattenuto brevemente con i fedeli assiepati nella Basilica Vaticana per poi spostarsi in Aula Paolo VI, dove ha svolto la catechesi su un altro dei grandi testimoni del cristianesimo delle origini: il vescovo Sant’Atanasio di Alessandria. Benedetto XVI ha poi concluso l’udienza con un appello per i rifugiati di tutto il mondo, in coincidenza con la Giornata mondiale loro dedicata. Il servizio di Alessandro De Carolis:

     
    Nel mondo contemporaneo attraversato dal relativismo religioso ed etico, la coerenza al messaggio di Cristo, che resta incrollabile davanti ad attacchi o emarginazioni, è un valore che ha nelle vite dei Santi duemila anni di modelli di riferimento. Uno di essi è senza dubbio Sant’Atanasio di Alessandria, vissuto agli inizi del IV secolo, presentato dal Papa come uno dei “padri della Chiesa antica più importanti e venerati”, un “modello di ortodossia”. Con i moltissimi pellegrini che, causa il gran caldo che in questi giorni grava su Roma, sono stati distribuiti tra l’Aula Paolo VI e la Basilica Vaticana, Benedetto XVI ha rivisitato la vita di Sant’Atanasio, emblematica delle difficoltà che colpirono la Chiesa dei primi tempi e del coraggio con il quale innumerevoli testimoni difesero la causa del Vangelo. Atanasio in particolare, ha ricordato il Pontefice, fu il “più importante e tenace avversario dell’eresia ariana, che allora minacciava la fede in Cristo, minimizzandone la divinità, secondo una tendenza - ha commentato il Papa - ricorrente nella storia e che vediamo in atto in diversi modi anche oggi”. Il Concilio di Nicea del 325, al quale il giovane Atanasio prese parte, ribadì che Gesù, il Figlio, è “della stessa sostanza” del Padre, è Dio da Dio. E su questo principio, Atanasio combatté duramente l’eresia e fondò la sua predicazione:
     
    "L’idea fondamentale di tutta la lotta teologica di sant’Atanasio era proprio quella che Dio è accessibile. Non è un Dio secondario, è il Dio vero, e tramite la nostra comunione con Cristo noi possiamo unirci realmente a Dio. Egli è divenuto realmente 'Dio con noi' (...) Sì, fratelli e sorelle! Abbiamo tanti motivi di gratitudine verso sant’Atanasio. La sua vita, come quella di Antonio e di innumerevoli altri santi, ci mostra che 'chi va verso Dio non si allontana dagli uomini, ma si rende invece ad essi veramente vicino'”.
     
    La battaglia contro Ario - al quale vicende extraecclesiali restituirono credibilità - costò un lungo esilio a Sant’Atanasio, che in quel periodo si avvicinò al monachesimo. E qusto aspetto, ha ricordato Benedetto XVI, diede ulteriore fama al vescovo esule che divenne amico del grande eremita sant'Antonio abate, al punto da scriverne una fortunatissima biografia, definita dal Papa “un best seller dell’antica letteratura cristiana”. La “Vita di Antonio”, questo il titolo dell’opera “contribuì molto - ha affermato il Pontefice – alla diffusione del monachesimo in Oriente e Occidente”. Anche se gli eremiti, scrisse Atanasio, “agiscono nel segreto e vogliono restare nascosti” tuttavia, ha citato il Papa:

     
    “Il Signore li mostra a tutti come una lucerna, perché quanti sentono parlare di loro sappiano che è possibile seguire i comandamenti e prendano coraggio nel percorrere il cammino della virtù”.

     
    Un cammino che Benedetto XVI ha tradotto in solidarietà e sostegno quando ha lanciato un forte appello in coincidenza con la Giornata Mondiale del Rifugiato indetta dall’ONU:

     
    “Accogliere i rifugiati e dar loro ospitalità è per tutti un doveroso gesto di umana solidarietà, affinché essi non si sentano isolati a causa dell’intolleranza e del disinteresse. Per i cristiani è, inoltre, un modo concreto di manifestare l’amore evangelico. Auspico di cuore che a questi nostri fratelli e sorelle duramente provati dalla sofferenza siano garantiti l’asilo e il riconoscimento dei loro diritti, e invito i responsabili delle Nazioni ad offrire protezione a quanti si trovano in così delicate situazioni di bisogno”.
     
    Infine, dopo aver rivolto saluti particolari alla delegazione del Parlamento della Federazione Russa, ai cappellani del Sovrano Militare Ordine di Malta e aver ricordanto il “mirabile esempio di austerità e purezza evangelica” offerto da San Luigi Gonzaga - del quale domani la Chiesa fa memoria - Benedetto XVI ha voluto concludere, parlando in polacco, con un pensiero riguardante i giovani che si accingono alle vacanze estive:

     
    “Niech ten czas odpoczynku…
    Che questo tempo di riposo vi avvicini ancora di più a Dio: vi auguro che torniate dalle ferie arricchiti ed imbelliti spiritualmente. A tutti voi qui presenti, alle vostre famiglie, ai bambini ed ai giovani, una benedizione di cuore. Sia lodato Gesù Cristo".

    inizio pagina

    "Le anime degli amici di Dio riposano nella pace del suo cuore": così il Papa alle esequie del cardinale Felici, celebrate in San Pietro

    ◊   Con un rito solenne e commosso in San Pietro, Benedetto XVI ha presieduto ieri le esequie del cardinale Angelo Felici, scomparso tre giorni fa a Roma, all’età di 87 anni. Nella sua omelia, il Papa ha ricordato la vita del porporato, a lungo al servizio della Santa Sede, prima in veste di diplomatico, poi di prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi e quindi di presidente della Pontificia Commissione "Ecclesia Dei". Il servizio di Isabella Piro.


    (canto ‘Requiem aeternam’)

     
    “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno” (Gv 6,54): è stato il Vangelo di Giovanni a tracciare le linee guida dell’omelia di Benedetto XVI per lo scomparso cardinale Felici. Rendendogli l’ultimo saluto “con sentimenti di affetto e di fervida riconoscenza” – ha detto il Papa – vogliamo confessare intensamente la consapevolezza della Risurrezione:

     
    “(…) la consapevolezza che nell’Eucaristia siamo misteriosamente resi partecipi della morte e risurrezione del Signore, credendo fermamente che Dio prepara per i suoi servi buoni e fedeli il premio della vita che non avrà mai fine. E’ questa la fede che ha guidato la lunga e feconda esistenza sacerdotale del cardinale Felici.”
     
    Il Santo Padre ha quindi ripercorso la vita del porporato, divenuto sacerdote nel 1942, non ancora ventitreenne. Servitore fedele della Sede Apostolica e stretto collaboratore del Successore di Pietro, il cardinale Felici ricoprì molti incarichi, tra cui quello di pro-nunzio apostolico nei Paesi Bassi e di rappresentante pontificio in Portogallo. Gli ultimi anni della sua esistenza terrena, lo videro invece prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, fino al ’95, e quindi, fino al 2000, presidente della Pontificia Commissione "Ecclesia Dei". Per descrivere il suo operato, Benedetto XVI ha citato le parole che Giovanni Paolo II scrisse al porporato in occasione del suo 50° anniversario di sacerdozio e 25° di episcopato, ponendo in rilievo il suo scrupoloso senso del dovere:

     
    “Il suo ministero episcopale – affermava il Papa – è stato tutto dedicato al bene dei fedeli, alla missione benefica dei Romani Pontefici e della Sede Apostolica. Vogliamo ora rendere grazie al Signore per l’abbondante messe di frutti apostolici che egli, con l’aiuto della grazia divina, ha potuto raccogliere nei vari ambiti della sua illuminata e preziosa attività pastorale e diplomatica.”
     
    “Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio”, è scritto nel Libro della Sapienza, e Benedetto XVI lo ha ricordato, invitando tutti i fedeli ad avere fiducia nel “Dio della Vita”:

     
    “Sì, le anime degli amici di Dio riposano nella pace del suo cuore. Questa certezza, che sempre dobbiamo alimentare, ci sia costante ammonimento a restare vigili nell’orazione e a perseverare umilmente e fedelmente nel lavoro a servizio della Chiesa.”
     
    Prima di affidare il cardinale Felice a Maria, “Madre tenera e premurosa”, il Papa ha ricordato che, tra le carte del porporato, è stata trovata un’immaginetta della Mater Salvatoris, recante, sul retro, un’invocazione scritta dallo stesso cardinal Felici:

     
    “'In Te, o Signore, ho sperato, e nella tua Santissima Madre; che io non sia confuso in eterno'. Quante volte egli avrà ripetuto le parole di questa preghiera scritta di suo pugno in previsione dell’ultima partenza!”
     
    Parole che possiamo considerare – ha concluso il Papa - come “il testamento spirituale che il cardinale Felici ci lascia: parole che, meglio di ogni altra considerazione, quest’oggi ci aiutano a riflettere e a pregare.”

     (canto ‘Redemptor meus’)

    inizio pagina

    Nomine

    ◊   Il Santo Padre ha accettato la rinuncia all’ufficio di ausiliare dell’arcidiocesi di Cincinnati, negli USA, presentata da mons. Carl K. Moeddel, in conformità ai canoni 411 e 401 § 2 del Codice di Diritto Canonico.

    In Brasile, il Papa ha nominato vescovo ausiliare dell’eparchia di São João Batista em Curitiba degli Ucraini il rev. Daniel Kozelinski Netto, del clero della medesima eparchia, assegnandogli la sede titolare di Eminenziana. Il rev. Daniel Kozelinski Netto è nato il 18 febbraio 1952 a Colonia Paraiso, Bom Sucesso, nello Stato del Paraná ed è stato ordinato presbitero il 10 febbraio 1980. Studi: Filosofia: Studium OSBM (Curitiba) e Pontificia Università Urbaniana (Roma); Teologia: Pontificia Università Urbaniana (Roma) e Studium Theologicum Claretianum (Curitiba); Baccalaureato in Pastorale Giovanile e Catechetica alla Pontificia Università Salesiana (Roma) nel giugno 2006. Attività e incarichi: 1980: coadiutore presso la parrocchia della Cattedrale eparchiale "São João Batista"; 1980-1983: parroco della parrocchia "São José" a Dorizon e formatore nel Seminario eparchiale minore; 1983-1986: parroco della parrocchia "Sagrado Coração de Jesus" e rettore del Seminario eparchiale minore; 1986-1990: rettore del Seminario eparchiale maggiore "São Josafat"; 1990-2000: parroco della cattedrale eparchiale "São João Batista" a Curitiba; 2000-2003: parroco della parrocchia "São José" a Cantagalo, Paranà; 2004-2006: studente a Roma presso la Pontificia Università Salesiana. Dal 2006: in servizio pastorale a Mallet, Paraná.

    inizio pagina

    Il contributo della Polonia all'identità cristiana dell'Europa: intervista con il cardinale Bertone appena rientrato da un viaggio nella terra di Papa Wojtyla

    ◊   Il cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone è appena tornato dalla Polonia dove ha partecipato in questi giorni al VII Convegno di Gniezno sul tema “L’uomo, via dell’Europa. Come rendere il nostro mondo più umano”. Il convegno, che si è svolto dal 15 al 17 giugno, ha visto la partecipazione dei leader di oltre 250 organizzazioni cristiane di tutta l’Europa. Il porporato ha poi visitato altre due città polacche: Danzica e Swidnica. Giovanni Peduto, gli ha chiesto, al suo rientro a Roma, di parlarci di questo viaggio. Iniziamo dal Convegno di Gniezno:


    R. – Sono stato invitato a tenere – in certo modo – la prolusione in questo Convegno che, come è stato giustamente detto, comprendeva rappresentanti di molte organizzazioni cristiane e non solo cattoliche, e quindi anche con la presenza di esponenti delle diverse confessioni religiose. Era presente anche qualche musulmano. Io ho parlato dell’Uomo, via dell’Europa ed ho presentato una visione antropologica tipicamente cristiana, ricordando la grande affermazione di Papa Giovanni Paolo II, che l’uomo è la via della Chiesa, l’uomo, ogni uomo; in quanto il Figlio di Dio incarnato si è unito ad ogni uomo. Ho parlato non solo della visione, del progetto uomo secondo Dio, perché l’uomo e la donna sono stati creati ad immagine e somiglianza di Dio. Nel pomeriggio del primo giorno c’è stata una bella tavola rotonda degli esponenti delle varie confessioni cristiane proprio sull’uomo-immagine di Dio. Non dobbiamo deturpare, non dobbiamo dimenticare questa peculiare identità della persona umana. Ho parlato anche delle sfide che vengono contrapposte all’antropologia umana e cristiana dal mondo moderno e soprattutto dalla scienza. Purtroppo i problemi cruciali vengono all’inizio della vita dell’uomo e alla conclusione della vita dell’uomo e vengono soprattutto attraverso la biogenetica, attraverso le manipolazioni genetiche, che distruggono e che manipolano l’uomo, rendendolo non un soggetto personale e degno del massimo rispetto e della massima stima, ma un oggetto da sperimentazione. Nella mia relazione mi sono soffermato proprio su queste problematiche ed ho dato anche delle indicazioni, perché la scienza moderna riprenda un contatto profondo e costante con l’etica e con il progetto di Dio: scienza e fede, scienza ed etica.

     
    D. – Dopo la tappa di Gniezno, il suo viaggio è proseguito in Polonia...

     
    R. – Sì, ho toccato altre due città molto significative: l’una Danzica, la città dalla quale è purtroppo incominciata l’invasione della Polonia ed è cominciata – si può dire – la II Guerra Mondiale nel 1939; e l’altra, la piccola città di Swidnica, che è l’ultima delle diocesi create per volontà di Giovanni Paolo II in Polonia. A Danzica ho celebrato la Messa nella Gdansk-Zaspa, che è la grande piazza dove Giovanni Paolo II celebrò la Messa, 20 anni fa, nel 1987 davanti ai lavoratori di Danzica. Era presente anche Walesa, fondatore di Solidarnosc- ricordiamo che a Danzica c’è stata infatti la grande manifestazione, l’avventura di Solidarnosc davanti ai cantieri navali. Tutti noi – i più anziani – siamo stati testimoni di questa avventura coraggiosa degli operai di Danzica. Sono stato a pregare proprio davanti alle tre Croci che ricordano il sacrificio di una quarantina di operai. La svolta di Solidarnosc ha segnato la ricostruzione direi morale del popolo polacco, chiamato a libertà, chiamato ad essere un vero popolo e non più schiavo o dei russi o dei tedeschi, ma con una sua propria identità ed una sua propria autonomia. Ho celebrato la Messa davanti ai rappresentanti del mondo del lavoro ed ho tenuto un’omelia centrata proprio sul tema del lavoro, richiamando gli insegnamenti di Giovanni Paolo II. Al Convegno a Gniezno era presente il presidente della Repubblica polacca, mentre a Danzica era naturalmente presente Walesa, insieme ai grandi capi di Solidarnosc. Sono stato poi a Swidnica, che è una piccola diocesi, piccola poi relativamente perché ha circa 600 mila abitanti, dove ho incontrato soprattutto i giovani, il mondo giovanile della regione, con grande entusiasmo, ricordando l’amore e la missione che Giovanni Paolo II ha assegnato ai giovani, soprattutto attraverso le Giornate mondiali della Gioventù. Ho poi celebrato nella cattedrale per tutta la popolazione una Messa veramente partecipata e straordinaria.

     
    D. – Eminenza, quale Polonia si è trovato davanti? la Polonia cattolica che si stringeva a Giovanni Paolo II o una Polonia che si va secolarizzando come sta avvenendo in tanti altri Paesi, con particolare riguardo ai giovani a cui lei ha già accennato?

     
    R. – Devo dire che la Polonia che ho incontrato io nelle varie città è certamente una Polonia credente, una Polonia caratterizzata da una forte religione popolare: quindi anche le rappresentanze delle varie regioni erano in costume, con i simboli della loro identità locale, ma anche della loro fede religiosa e delle loro devozioni. Una popolazione che all’unisono prega e canta: è ancora impressionante vedere la partecipazione dei giovani e degli adulti. Devo dire che ho trovato una Polonia che non soffre l’inverno demografico dell’Europa, di cui ha parlato Papa Benedetto XVI: era pieno di bambini e proprio nell’ultima tappa, che ho avuto in una piccola località, ho trovato tanti bambini ed anche una banda composta da ragazzi, che allietava i nostri incontri. Sempre durante l’ultima tappa ho incontrato i malati, c’erano 1.500 malati e circa 4.000 persone, con una schiera di buoni samaritani che si prendono cura dei malati, dei portatori di handicap. Moltissime quindi iniziative profondamente ispirate al precetto evangelico della carità, che realizzano l’invito di Cristo “andate e curate gli infermi”. Anche questo rappresenta un segno di una Polonia viva, di una Polonia piena e ricca di fede e ricca anche di iniziative caritative. I giovani - ho incontrato anche loro - erano presenti nei vari incontri che ho citato, ma anche a Gniezno. Giovani anche professionalmente preparati. Nella diocesi di Swidnica, ho visto dei giovani ricchi di entusiasmo, ho rivisto un po’ l’entusiasmo delle Giornate della Gioventù. Era il primo incontro che la nuova diocesi faceva con i giovani e naturalmente io ho parlato in polacco soltanto per brevi tratti: ho cercato di prepararmi ed ho cercato di imitare il nostro Papa Benedetto XVI. Erano pieni di entusiasmo e di buona volontà anche per la realizzazione di progetti concreti di educazione alla fede e di testimonianza cristiana. Ho incontrato i seminaristi delle varie diocesi, con i quali ho avuto un bel dialogo. Devo dire che i seminari sono ancora molto ricchi di vocazioni, a differenza dei nostri seminari dell’Europa occidentale.

     
    D. – Passiamo ora ad un altro rapporto: Polonia ed Europa. Eminenza, possiamo parlare di una vocazione della Polonia in seno alla Comunità Europea?

     
    R. – Credo di sì. Anzi io credo che questi Paesi, i Paesi dell’antico impero sovietico, i Paesi a profonda e radicata ed incancellabile tradizione cristiana, hanno una grande vocazione nell’Europa di oggi, questa nostra Europa che è un po’ alienata proprio dalle sue origini e non vuole tenere più conto delle sue radici cristiane. Proprio questi Paesi mi sembra che portino un contributo positivo, una identità cristiana dell’Europa. Ho saputo che proprio Sarkozy è volato in Europa e vedo che anche la Francia sta cambiando orientamento e posizione anche su questo tema. Questa è una cosa bella, perché una sana laicità può essere perfettamente compatibile con il riconoscimento delle proprie radici, delle proprie origini cristiane e della propria identità cristiana.

    inizio pagina

    Dalla ROACO appello a sostenere i cristiani in Iraq e Turchia

    ◊   Termina oggi in Vaticano l'Assemblea semestrale della ROACO, la Riunione delle Opere di Aiuto alle Chiese Orientali: durante i lavori il patriarca di Baghdad dei Caldei Emmanuel III Delly ha lanciato un accorato appello a sostenere i cristiani in Iraq. ascoltiamolo al microfono di Jamal Ward del programma arabo della nostra emittente:


    R. – Ho chiesto a tutti di pregare per noi e di fare qualcosa che faccia risvegliare la coscienza del mondo, chiedendo alle Conferenze episcopali di tutto il mondo di fare qualcosa per gli iracheni. Questo, insieme alla preghiera e al risveglio delle coscienze, per difendere i diritti umani dei loro confratelli in Iraq. Noi abbiamo compiuto il nostro dovere nei confronti della nostra Patria, l’Iraq, ma chiediamo ora anche il rispetto dei nostri diritti. Ognuno di noi sente la propria responsabilità davanti al Signore di difendere il suo confratello e questo non soltanto dal punto di vista religioso, ma anche come Figlio di Dio. Questo è il mio grido, che rivolgo a tutto il mondo, a tutte le istituzioni, all’ONU, all’UE, al Consiglio di Sicurezza, alla FAO, affinché anche loro gridino al mondo che gli iracheni devono vedere i loro diritti rispettati, tutti, musulmani e cristiani. Ora in Iraq i diritti umani non sono rispettati.
     E la situazione per i cristiani è difficile anche in Turchia, come ha spiegato stamani nel suo intervento all'Assemblea della ROACO l’arcivescovo di Izmir, l’antica Smirne, mons. Ruggero Franceschini, presidente della Conferenza episcopale turca. Giovanni Peduto lo ha intervistato:

     

     
    R. – E’ una situazione un po’ – diciamo – peggiorata. Successivamente alla visita di Benedetto XVI si era ottenuta una certa amicizia, un legame forte; attualmente la prossimità delle elezioni, che si terranno il prossimo 22 luglio, e il rinnovamento del Parlamento e l’elezione del presidente della Repubblica, hanno certamente creato un clima di tensione enorme, che ha portato a scontri: ci sono anche scontri fisici. Noi ci auguriamo che il Paese possa trovare una linea laica, che raccolga e rispetti tutte le entità religiose presenti nel Paese. Ma il pericolo c’è, il pericolo cioè di un fondamentalismo islamico, che è il pericolo peggiore; ma c’è anche un altro pericolo, quello cioè di un colpo di Stato.

     
    D. – Come mai questo pericolo di un colpo di Stato?

     
    D. - Perché se non verrà rispettata la laicità dello Stato così come aveva voluto Atatürk, l’esercito – forse – potrebbe intervenire: questo l’ha già detto apertamente. I cristiani sono, quindi, molto “guardati”. E’ anche vero che poi noi non possiamo certo schierarci da una parte o dall’altra, ma diciamo soltanto che chi predica la violenza otterrà la violenza. Nelle Moschee, purtroppo, oggigiorno si predica soltanto la violenza, soltanto la violenza…. Troveranno lo scontro ... è questo purtroppo è un male: un male per loro, così come per noi, perché tutto quello che era stato creato in tanti anni, i buoni rapporti che avevamo con loro rischiano ora di essere un po’ dimenticati. E questo perché si pensa che noi siamo dalla parte dell’esercito. Invece noi siamo per la libertà di ciascuno e, quindi, siamo per la loro libertà e per la nostra.

    inizio pagina

    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Servizio vaticano - "Rifugiati: garantire l'asilo e il riconoscimento dei loro diritti". All'udienza generale l'appello di Benedetto XVI per la giornata Mondiale promossa dalle Nazioni Unite perchè "non venga meno l'attenzione verso quanti sono stati costretti a fuggire dai loro Paesi".

    Servizio estero - In evidenza l'Iraq con un articolo dal titolo "La crudele logica della rappresaglia continua a seminare lutti".

    Servizio culturale - Un articolo di Giuseppe degli Agosti dal titolo "La singolare capacità di assimilare i diversi stimoli della scuola e della vita": alla Cittadella della Cultura di Crema la mostra "Luigi Manini (1848-1936) - Architetto e scenografo, pittore e fotografo".

    Servizio italiano - In rilievo il tema delle pensioni.

    inizio pagina

    Oggi in Primo Piano



    Mons. Tomasi: nuove speranze per un accordo sulla proibizione delle bombe a grappolo

    ◊   Dopo molti fallimenti si apre qualche speranza sulla via del disarmo. E’ riunito a Ginevra il Gruppo di 25 esperti governativi istituito nel 2005 dall’Assemblea generale dell’ONU per contrastare la proliferazione di armi convenzionali. All’ordine del giorno la messa al bando delle cosiddette bombe a grappolo, armi micidiali per le popolazioni coinvolte nei conflitti. Roberta Gisotti ha intervistato l’arcivescovo Silvano Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite a Ginevra, intervenuto ieri alla seduta inaugurale del Gruppo che resterà riunito fino a venerdì prossimo:


    R. – C’è la volontà di arrivare a un negoziato serio che obblighi gli Stati a ridurre, eventualmente eliminare, questo tipo di arma che fa così tanto danno alle popolazioni civili e che lascia vittime molto numerose in vari Paesi del mondo. Allora, la proposta che è in corso è di arrivare ad un nuovo protocollo obbligatorio sulla proibizione o restrizione dell’uso di certe armi convenzionali e con effetti indiscriminati.

     
    D. – Quale ruolo sta giocando la Santa Sede nel negoziato?

     
    R. – La Santa Sede ribatte la sua posizione di proteggere anzitutto la popolazione civile, di eliminare questo tipo di arma e di sostenere il cammino che sta facendo la Comunità internazionale per arrivare a uno strumento che obblighi gli Stati a eliminare queste bombe a grappolo. Davanti alla posizione della Santa Sede c’è un consenso anche di molti altri Paesi, anche se ancora non tutti, e si preferisce agire dentro le strutture normali della Conferenza del disarmo del gruppo degli Stati che hanno sottoscritto questa convenzione e, se si può, cercare di spingere - attraverso anche delle attività parallele come si è fatto negli ultimi mesi con una conferenza a Oslo, un'altra a Lima e una prossima conferenza che si farà a Ginevra con 60, 70 Stati che vi partecipano - anche i grandi Paesi ad unirsi in questo sforzo per arrivare a trovare una soluzione positiva.

     
    D. – A dire la verità, la Santa Sede ha lamentato in più di un’occasione che le trattative sul disarmo, nelle varie sedi in cui è portato avanti, segnano il passo...

    R. – Sì, la conferenza del disarmo non ha prodotto da anni delle conclusioni operative efficaci, però su questo punto specifico, contro l’uso indiscriminato di bombe a grappolo, si sta rafforzando sia un’opinione pubblica sostenuta da Organizzazioni non governative e da Stati, sia un cammino concreto per arrivare a uno strumento giuridico che possa veramente obbligare a cambiare rotta, a limitare o favorire una moratoria per arrivare eventualmente all’eliminazione completa di questo tipo di armi.

    inizio pagina

    Giornata del rifugiato: aumentano i profughi nel mondo. Sono 10 milioni

    ◊   Le persone allontanate dalla propria terra necessitano di rifugio e di tutela giuridica. E’ l’appello del segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, che nel suo messaggio, in occasione dell’odierna Giornata mondiale del rifugiato, ha lamentato come nei Paesi più ricchi l’inasprimento delle politiche in materia di immigrazione trascuri la sofferenza di tante persone. Intanto oggi nel corso di una conferenza a Roma l’ACNUR, l’agenzia dell’ONU per i rifugiati, ha puntato il dito contro l’intolleranza che spesso accoglie il rifugiato. Eugenio Bonanata:


    Iraq e Afghanistan, ma anche Sudan e Somalia. Partono da qui le storie drammatiche dei circa 10 milioni di rifugiati nel mondo. Persone che, spinte da guerre, povertà e calamità naturali, lasciano case ed affetti nella speranza di una vita migliore. E sono proprio loro i protagonisti di questa giornata e di questa conferenza che, alla presenza di esponenti di governo e della società civile, ha presentato testimonianze di diversi richiedenti asilo. Si è parlato soprattutto di intolleranza. Perché oggi, sull’onda delle preoccupazioni sulla sicurezza, nelle società più sviluppate i rifugiati sono spesso vittime di sentimenti ostili, che talvolta degenerano in razzismo e xenofobia. Oltre all’intolleranza che li ha costretti alla fuga, i rifugiati si trovano dunque ad affrontare nuove forme di esclusione: in questo quadro è ancora più difficile parlare di integrazione. Si tratta di persone che non hanno scelto queste condizioni e che - ricorda il numero uno del Palazzo di Vetro, Ban Ki-moon – devono essere aiutate. Anche il messaggio dell’ACNUR è forte: “l’intolleranza ti isola”, questo infatti il titolo della campagna di sensibilizzazione lanciata durante l’incontro che ha visto anche l’assegnazione della prima edizione del premio “Per Mare. Al coraggio di chi salva vite umane”. Si tratta di un premio in denaro destinato agli equipaggi di tre motopescherecci che nel 2006 hanno messo a repentaglio la propria vita per soccorrere migranti vittime di naufragi.

    inizio pagina

    L'impegno dei missionari del PIME al fianco dei disabili in Camerun

    ◊   Dei 650 milioni di disabili nel mondo, l’82 per cento vive nei Paesi in via di sviluppo. La quasi totalità non gode di appropriati servizi di base e riabilitativi, non ha un impiego e, tra i minori, pochi hanno la possibilità di ricevere un’educazione scolastica. Varie le risposte in questo ambito dei missionari del Pontificio Istituto Missioni Estere. Fra di esse c’è quella di padre Danilo Fenaroli che dal 1990 vive a pochi chilometri da Maroua, città dell’estremo nord del Camerun, dove 10 anni fa ha fondato il "Centro Betlemme" che assiste 160 bambini con difficoltà mentali e motorie. Antonella Villani gli ha chiesto che cosa vuol dire essere diversamente abili in questa nazione africana:


    R. - Qui, chi ha un handicap fisico riesce a conquistarsi il suo spazio. E’ abbastanza autonomo ed alcuni riescono anche a lavorare, vendono anche piccole cose. Per quanto riguarda invece l’handicap mentale, purtroppo non vengono considerati come persone, vengono incatenati e relegati ai margini del villaggio.

     
    D. - Ricorda il suo primo impatto con questa realtà?

     
    R. - E’ stato quello che ha cambiato un po’ la mia vita di missionario. Prima visitavo i villaggi, facevo una certa attività pastorale e quindi mi occupavo della catechesi, della celebrazione eucaristica ed anche di un certo tipo di sviluppo. Mi è poi capitato di trovarmi in un villaggio e di sentire un bambino che piangeva: ho insistito per vedere chi fosse e alla fine mi hanno portato verso la fine del villaggio, in una capanna di paglia, piena di buchi, dove entrava anche l’acqua. Ho visto una donna incatenata, con il suo bambino piccolino. Di fronte a questa situazione, ho chiesto il perché e mi hanno detto che era violenta, che avevano paura che fosse posseduta dal demonio. Ho parlato poi al capo del villaggio, il quale mi ha detto che se volevo portarla via, lo potevo fare, perché loro non la volevano tenere al villaggio libera. Ho allora tagliato le catene e me la sono portata in missione. Questo l'ho fatto per altre decine e decine di persone che erano incatenate.

     
    D. - Di qui la sua decisione di aprire un centro...

     
    R. - Nella mia idea non c'era quella di creare un centro solo per handicappati mentali, perché allora saremmo stati veramente un ghetto. Abbiamo ospitato un po’ di tutto: orfani, handicappati mentali e fisici, e insieme laboratori di sviluppo, asilo, scuole, in modo che la gente venisse.

     
    D. - Qui che tipo di assistenza offrite?

     
    R. - Un’accoglienza calorosa. Queste persone si sentono a casa. Certo, quando hanno le crisi fanno un po’ paura, ma riusciamo a gestirli. Facciamo quello possiamo, offrendo quello che c’è. Abbiamo dei fisioterapisti che ci aiutano e a volte vengono anche dei dottori dall’Italia. Vengono ortopedici per fare delle operazioni, vengono anche degli psichiatri. Cerchiamo di offrire tutto quello che può essere utile loro. Cerchiamo anche di fare qualcosa per gli autistici: si dice faccia molto bene la ippoterapia e così abbiamo anche cinque cavalli. Penso però che la cosa migliore sia proprio questa accoglienza calorosa, che li cambia immediatamente.

     
    D. - A che tipo di integrazione possono arrivare, soprattutto i disabili mentali?

     
    R. - Essere integrati nel villaggio è difficile. Noi operiamo anche nei villaggi e quando incontriamo queste persone, nonostante spieghiamo al capo del villaggio e alla famiglia stessa come può essere gestito un bambino, spesso è una certa mentalità che vince. Vince purtroppo la mentalità della paura, vince quella mentalità che dice che porti sfortuna al villaggio. L’integrazione, dunque, cominciamo a viverla soltanto all’interno del Centro. Abbiamo dei bambini orfani che portano in giro anche i bambini con difficoltà, che li aiutano, che li fanno giocare. Mi ricordo che quando stavamo costruendo il Centro - perché certo non è nato tutto di colpo, ma ovviamente un po’ alla volta - c’erano anche i muratori che dicevano: “Ma perchè tutte queste belle costruzioni per questi handicappati che in fondo non valgono niente?”. Ma anche loro, piano piano, vedendoli spesso, alla fine del lavoro li chiamavano, gli davano le caramelle. Qualcosa si smuove, ma piano piano.

     
    D. - A questo punto, qual è il suo sogno?

     
    R. - Che questo centro aiuti soprattutto i villaggi a gestire le loro emarginazioni, che ci siano centri soltanto a sostegno, magari di alcune attività tecniche, e che il villaggio almeno non li rifiuti. E’ da circa quattro anni che, fortunatamente, di catene se ne vedono meno. E questo anche perché hanno un punto di riferimento, che siamo noi e ci chiedono spesso come affrontare un problema. Questo permette già un sguardo diverso, anche perché noi siamo lì.

    inizio pagina

    Chiesa e Società



    Mons. Giordano: l’Europa sente l’esigenza di “una nuova luce”

    ◊   Un continente “in ricerca”, che “comincia a sentire l’esigenza di dover riaccendere una nuova luce proprio quando tutto attorno sembra illuminato”. Questa è l’Europa delineata da mons. Aldo Giordano, segretario generale del Consiglio delle Conferenze Episcopali d'Europa (CCEE), nel suo intervento alla 57.ma Settimana di aggiornamento pastorale, in corso a Triuggio, in provincia di Milano, sul tema: “Cinquant’anni dopo, dov’è la missione? Dalla missione popolare di Milano alle forme di missione quotidiana nei nuovi areopaghi”. In tale contesto – ha spiegato mons. Giordano, citato dall’agenzia SIR – “un primo passo dell’evangelizzazione” consiste nell’ “ascoltare, fare emergere, sostenere questa nuova ricerca”, che ruota attorno a tre questioni di fondo: la “ricerca del vero”, “del bello” e “del buono”. Ma, da parte della Chiesa cattolica, “quale via intraprendere” in un futuro segnato sempre più dal pluralismo religioso? “La via del Dio crocifisso e risorto” è la risposta, secondo il presule, che ha aggiunto: “Gesù morto e risorto è la verità” e “il primo contributo che le Chiese possono dare all’Europa e alla sua cultura è questa verità, cioè il Cristianesimo stesso, il Vangelo”. Il rapporto “tra verità e amore o tra identità e dialogo” è una questione cruciale, ha precisato mons. Giordano, ricordando come in Europa vi sia “una particolare esperienza di collaborazione ecumenica”, come quella, ormai decennale, tra la Conferenza delle Chiese d’Europa (KEK) e il CCEE. “Il dialogo – ha affermato il presule – non è un’altra cosa dalla verità” e, anzi, “è il luogo dell’accadere della verità stessa”. “Se Gesù crocifisso, abbandonato e risorto, è il libro completamente aperto, la verità pienamente rivelata – ha concluso – possiamo finalmente scorgere lo scioglimento di questo nodo cruciale. In lui troviamo la coincidenza della verità e dell’amore, dell’identità e del dialogo”. (R.M.)

    inizio pagina

    Il “meticciato di civiltà e culture”, tema dell’Incontro annuale del Centro studi Oasis, che si apre oggi a Venezia

    ◊   Oggi e domani, si incontra a Venezia il Comitato scientifico del Centro internazionale studi e ricerche Oasis (www.oasiscenter.eu), che lavora sui temi del dialogo tra religioni e culture, in particolare tra cristiani e musulmani, pubblicando una rivista semestrale in quattro edizioni bilingui. “Mentre nel mondo si moltiplicano gli appelli per salvare i cristiani ‘in via di estinzione’ o perseguitati in Paesi islamici – si legge in una nota del Centro, ripresa dall’agenzia SIR – mentre alcuni media lanciano campagne di solidarietà nei confronti di chi non può professare liberamente la propria fede, Oasis” prosegue “il suo cammino di studio e incontro aperto alle sfide poste dall’attualità”. Al centro dei lavori di quest’anno, l’approfondimento del “meticciato di civiltà e culture”, tema introdotto anni fa dal cardinale Angelo Scola, Patriarca di Venezia, e “tratto distintivo della ricerca compiuta da Oasis”, si legge ancora nel comunicato. Composto da personalità provenienti da tutto il mondo, in particolare da Indonesia, Pakistan, India, Libano, Palestina, Arabia, Iraq, Tunisia, il Comitato scientifico internazionale si riunisce una volta l’anno, alternativamente a Venezia e in un Paese del Medio Oriente. (R.M.)

    inizio pagina

    L’arcivescovo di Città del Messico, il cardinale Rivera Carrera, contro il disegno di legge, al vaglio all’Assemblea federale, che contempla l’”eutanasia passiva”

    ◊   Una cosa è l’eutanasia, un’altra “il morire bene”: è quanto ha affermato il cardinale Norberto Rivera Carrera, arcivescovo primate del Messico, in merito al disegno di legge che contempla “l’eutanasia passiva”, presentato questo fine settimana dai deputati del Partito della Rivoluzione Democratica (PRD) nel Distretto Federale di Città del Messico. L’iniziativa, come nel caso di quella che ha favorito la depenalizzazione dell’aborto nella capitale messicana, è stata accolta da altre correnti politiche come una risposta del governo locale, di orientamento laicista, al pensiero cattolico, che difende la vita dal momento del concepimento fino alla morte naturale. Come riferisce l’agenzia Zenit, la normativa, se approvata, permetterebbe ai malati in fase terminale di rinunciare a ogni cura medica o, se non sono in condizioni di decidere, che un parente di primo grado lo faccia al posto loro. Il cardinale Rivera Carrera ha confermato la sua opposizione all’eutanasia, pur ribadendo che la Chiesa è contraria al cosiddetto “accanimento terapeutico”. La Chiesa – ha aggiunto il porporato – “non accetta la condanna a morte che molti subiscono, qualunque sia la loro situazione, incluso un assassino o un narcotrafficante”. Il porporato ha voluto fare riferimento alla pena di morte che rischia, nel caso di decisione favorevole da parte della corte federale statunitense, il capo di un “cartello” di narcotrafficanti di Tijuana, Francisco Javier Arellano Félix, catturato negli Stati Uniti un anno fa. Nel disegno di legge, che è stato inoltrato oggi all’Assemblea legislativa del Distretto federale, si stipula che ci sarà protezione giuridica per i medici. (R.M.)

    inizio pagina

    La Chiesa della Repubblica Dominicana chiede il disarmo della popolazione: “Ogni giorno una sequenza di vittime, cui purtroppo ci stiamo abituando”

    ◊   “Per la pace e il disarmo”: è questo il tema che ha accompagnato domenica scorsa, presso la Cattedrale di Santo Domingo, le celebrazioni per il 15.mo anniversario della Fondazione dei Professionisti per lo Sviluppo della Repubblica Dominicana (FUNDEPRO-RD). Presente – riferisce l’agenzia Fides – anche l’arcivescovo della città, il cardinale Nicolás de Jesús López Rodríguez, cui la Fondazione ha consegnato un riconoscimento per l’appoggio e l’accompagnamento dato ai professionisti dominicani nel loro lavoro per una società migliore e più giusta. Durante l’incontro, è stata celebrata l’Eucaristia, presieduta da padre Luis Rosario Peña, coordinatore della Pastorale giovanile della Conferenza episcopale dominicana. Il sacerdote ha definito immorale il fatto che lo Stato tragga profitti dalle licenze per la detenzione delle armi, “perché nessuna persona, fisica o morale, può riscuotere fondi per qualcosa che essenzialmente è stato fabbricato per uccidere”. “Oltre a essere segno di odio, inimicizia e rifiuto degli altri – ha aggiunto padre Peña – le armi sono un ostacolo per la pace”. Secondo il sacerdote, “le armi non risolvono i problemi, ma li aggravano, e quanta più gente acquista armi al fine di difendersi, più gravi e tragici saranno gli avvenimenti nel futuro, e più incontrollabile sarà il trasporto e la detenzione delle armi”. “C’è ancora tempo per frenare il pazzo armarsi che si fa largo nella società e che ogni giorno lascia una sequela di vittime, cui purtroppo ci stiamo abituando”, ha affermato ancora padre Peña. “Le armi dividono gli esseri umani tra amici e nemici – ha concluso – ed è un criterio falso, perché tutti gli esseri umani sono stati creati per vivere in pace, in armonia e per amarsi”. (R.M.)

    inizio pagina

    L’esercito filippino avrebbe avvistato padre Giancarlo Bossi in un villaggio nei pressi di Nunungan, nella provincia di Lanao del Norte

    ◊   Padre Giancarlo Bossi, il missionario del Pontificio Istituto Missioni Estere (Pime) rapito il 10 giugno scorso a Mindanao, nelle Filippine, sarebbe stato avvistato da alcuni soldati dell’esercito filippino, in un villaggio nei pressi di Nunungan, nella provincia di Lanao del Norte. Lo afferma il generale Mohammad Ben Dolorfino, anche se i missionari del Pime della casa regionale di Zamboanga non hanno conferme dell’avvistamento. Secondo il militare, padre Bossi è stato visto insieme a 13 uomini, presumibilmente i suoi rapitori, nel villaggio di Sapad. Il missionario è stato descritto come “stanco, ma fisicamente sano”. L’esercito, ha aggiunto il generale Dolorfino, “si sta impegnando per creare un cordone umano intorno alla zona. E’ ora molto importante immobilizzare il gruppo”. La zona in cui sarebbe tenuto prigioniero il sacerdote, conclude il generale, è “montuosa e piena di vegetazione: inoltre, le piogge ed il vento di questi giorni rendono difficile ogni contatto con il gruppo. I rapitori sono del posto e sanno come muoversi”. Intanto i confratelli di padre Giancarlo Bossi hanno aperto un blog, un diario virtuale su Internet, per raccogliere messaggi e preghiere da tutto il mondo e fornire notizie su quanto sta succedendo in questi giorni a Payao, la città in cui il sacerdote italiano svolgeva il suo ministero. Secondo i missionari, che hanno anche ricevuto la visita dell’ambasciatore italiano Rubens Anna Fedele, i rapitori di padre Bossi potrebbero essere persone legate alla locale malavita, forse ingaggiate da altri che nell’ombra stanno progettando qualcosa per sfruttare l’ostaggio. I confratelli del sacerdote rapito, riferisce l’agenzia AsiaNews scrivono che il Milf, il Moro Islamic Liberation Front, ha una fittissima rete di informatori sul campo, ma che nessun oggetto di padre Bossi è ancora passato tra le loro mani. Padre Giovanni Sandalo, superiore provinciale nelle Filippine del Pime, a capo delle attività di ricerca di padre Bossi, ha spiegato che l’assenza di informazioni certe a 10 giorni di distanza dal rapimento, fa pensare ad un sequestro anomalo. Il religioso, scrive l’agenzia MISNA, ha anche smentito le voci sulla richiesta di un riscatto diffuse dalla stampa e dalla radio locale. “I rapitori solitamente lasciano una lettera di identificazione e di rivendicazioni – ha detto – in questo caso devono essere alle prime armi o avere calcolato male i tempi degli spostamenti: probabilmente sono in fuga e stanno cercando di mettersi al sicuro prima di avviare le trattative”. (T.C.)

    inizio pagina

    Mons. Ntamwana eletto nuovo presidente dei vescovi dell’Africa centrale

    ◊   Mons. Simon Ntamwana, vescovo di Gitega, in Burundi, è il nuovo presidente dell’Associazione delle Conferenze episcopali dell’Africa centrale (ACEAC): l’annuncio è stato comunicato a Kinshasa, capitale della Repubblica Democratica del Congo, al termine dei lavori dei rappresentanti dell’ACEAC, composta da vescovi e arcivescovi di Congo, Rwanda e Burundi. Mons. Ntamwana, che succede a mons. Nicolas Djomo Lola, della diocesi congolese di Tshumbe, si è detto “felice” di questo nuovo incarico, ma soprattutto “felice di vedere che la regione sta vivendo un momento di speranza, con svolte importanti nella vita politica”. L’obiettivo della Chiesa cattolica – ha aggiunto il nuovo presidente dell’ACEAC, parlando a Radio Elikya – “è fare in modo che l’intesa e il perdono superino le violenze. La guerra non è una soluzione ai problemi della nostra regione”. Durante i lavori dei rappresentanti dell’Associazione – riferisce l’agenzia MISNA – sono state individuate le linee guida dell’impegno ecclesiastico nel prossimo periodo, basate sui valori del dialogo, della riconciliazione, del perdono e dell’aiuto alla popolazione. I nuovi due vice presidenti dell’ACEAC sono, mons. Jean-Pierre Tafunga, vescovo di Uvira, in Sud-Kivu, nella Repubblica Democratica del Congo, e mons. Augustin Misago, vescovo di Gikongoro, in Rwanda. (R.M.)

    inizio pagina

    Epidemia di morbillo in Nigeria: 60 bambini morti in pochi giorni

    ◊   In Nigeria, almeno 60 bambini, di età compresa tra i cinque mesi e i 12 anni, sono morti e 400 sono stati contagiati da una virulenta epidemia di morbillo, che da alcuni giorni sta interessando lo Stato nord-orientale di Borno, non lontano dalla frontiera con Ciad e Niger. Lo riporta la stampa locale, sulla base dei bilanci diffusi dalle autorità amministrative e sanitarie della zona di Maiduguri, capoluogo dello Stato, dove è in corso una vera e propria emergenza sanitaria. Nella zona – riferisce l’agenzia MISNA – la malattia del morbillo viene chiamata “il virus del Sahel alla fine della stagione secca”, riferendosi all’ormai iniziata stagione delle piogge. Secondo le autorità locali, le zone più colpite sono quelle di Konduga, Maiduguri, Damboa, Jere e Bama. Nella sola giornata di lunedì, gli ospedali di Konduga hanno registrato il decesso di 25 bambini. Tuttavia, le amministrazioni delle zone interessate sottolineano che i bilanci diffusi in queste ore sono assolutamente parziali e probabilmente in difetto, visto che sono in molti, soprattutto nelle zone rurali più remote, quelli che impiegano giorni per raggiungere un presidio sanitario. Le autorità dello Stato hanno creato una squadra speciale incaricata di controllare e circoscrivere l’epidemia, per evitare che si diffonda ulteriormente. (R.M.)

    inizio pagina

    Rapporto UNICEF sul traffico di minori in Africa orientale e australe: solo Mozambico e Sudafrica si impegnano per combattere il fenomeno

    ◊   L’Africa orientale e quella australe correrebbero il rischio di diventare i principali serbatoi continentali del traffico di minori: lo sostiene l’UNICEF, in un Rapporto presentato a Nairobi, in Kenya, che invita a un’azione urgente di contrasto. Nel documento – riferisce l’agenzia MISNA – si sottolinea che le due regioni sono prevalentemente povere, con un turismo ancora in fase di sviluppo, e ‘ospitano’ oltre otto milioni di minori orfani, perché i genitori di molti sono morti di AIDS. In questo contesto, sarebbero numerosi i piccoli impiegati in lavori domestici e in altre attività violente e illegali. Dei 20 Paesi dell’Africa australe e orientale, 11 hanno ratificato il protocollo che punta a prevenire e reprimere il traffico di esseri umani, in particolare quello di donne e bambini, ma per il momento – conclude l’UNICEF – solo Mozambico e Sudafrica hanno fatto qualche passo in avanti, adottando una specifica legislazione nazionale. (R.M.)

    inizio pagina

    Rinviato al 25 giugno il processo per l’omicidio di Serge Maheshe, il giornalista di Radio Okapi, ucciso in nella Repubblica Democratica del Congo

    ◊   È stato rinviato al 25 giugno il processo ai presunti responsabili della morte di Serge Maheshe, il giornalista di Radio Okapi ucciso la settimana scorsa a Bukavu, nella provincia sudorientale congolese del Sud Kivu. Accusati dell’omicidio, due militari dell’esercito, che avrebbero sparato al giornalista mentre passeggiava. Ai funerali, sabato scorso, hanno partecipato almeno 5 mila persone. Come riferisce l’agenzia Fides, Radio Okapi è patrocinata dalle Nazioni Unite e dal 2003 lavora per la costruzione del processo di pace nella Repubblica Democratica del Congo. Ma il Sud Kivu rimane ancora fortemente instabile, nonostante 5 anni fa la guerra civile fosse ufficialmente finita. Massacri, sequestri, saccheggi e stupri da parte di diversi gruppi armati sono all’ordine del giorno. Poche settimane fa, le Forze democratiche di Liberazione del Rwanda (FDLR), un gruppo armato di ribelli hutu rwandesi, hanno ucciso circa 30 persone e ferito altre 20, durante l’attacco a due villaggi a pochi chilometri da Bukavu. La popolazione civile è costretta a scappare e a cercare rifugio in zone più sicure. L’alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (ACNUR) ha affermato che, negli ultimi tre mesi, circa 123 mila congolesi sono fuggiti dalle loro case. (B.B.)

    inizio pagina

    La Chiesa della Cambogia lavora per la ricostruzione del sistema scolastico, distrutto dai Khmer Rossi

    ◊   La ricostruzione del sistema scolastico in Cambogia, completamente distrutto dalla sanguinosa dittatura dei Khmer Rossi (1975-79) e da un ventennio di guerra civile, è da più di 15 anni una delle aree di maggiore impegno della Chiesa locale. Lo conferma all’agenzia Ucan, padre Olivier Schmitthausler, direttore della Commissione per l’educazione del vicariato apostolico di Phnom Penh, spiegando che “l’educazione dei bambini e dei giovani è una priorità per la Chiesa cambogiana, che sta cercando di migliorare le sue strategie educative a tutti i livelli”. Dai primi anni ‘90, la Chiesa collabora attivamente con le autorità e la società civile, gestendo scuole di ogni ordine e grado, che offrono non solo un’istruzione di base, ma anche una solida formazione ai valori e alla cultura Khmer. Tra gli obiettivi prioritari, quello di rendere l’istruzione più accessibile alle fasce sociali svantaggiate. Per questo, sono state aperte in diverse città le “Case degli studenti”, destinate soprattutto a ragazzi provenienti dalle campagne, per permettere loro di proseguire gli studi. Attualmente, se ne contano 16 in tutto il Paese. Nella stessa direzione, si muove l’apertura di scuole di educazione primaria nelle aree rurali, dove l’analfabetismo è ancora molto diffuso. Tra le scuole gestite da ordini religiosi, spicca l’Istituto professionale Don Bosco di Phnom Penh, il primo a essere aperto dalla Chiesa dopo la fine della guerra nel 1991, che diploma ogni anno una cinquantina di studenti. (L.Z.)

    inizio pagina

    Per “una nuova evangelizzazione dell’India”, il cardinale Toppo, arcivescovo di Ranchi, ha convocato un incontro con i rappresentanti del Cammino neocatecumenale

    ◊   Diffondere una nuova evangelizzazione nello Stato indiano dello Jharkhand e in tutto il Paese: è lo scopo dell’incontro organizzato con i responsabili in India del Cammino Neocatecumenale, dal cardinale Telesphore Placidus Toppo, arcivescovo di Ranchi. Al meeting, in corso a Ranchi fino a domani, partecipano 6 vescovi e 300 sacerdoti. Ad AsiaNews, il cardinale Toppo ha detto che “il Cammino Neocatecumenale è un nuovo modo di evangelizzare nello Jharkhand e questo porterà unità tra i sacerdoti della regione, tra la gente, i vescovi e la Chiesa universale”. “Come tribale – ha affermato il porporato – posso dire che le comunità  neocatecumenali vivono come i tribali e questo è importante, perché la pastorale dell’evangelizzazione deve fare riferimento ai valori presenti nelle culture locali”. “Purtroppo – ha continuato – negli anni la Chiesa dello Jharkhand e di molti altri luoghi dell’India si è preoccupata più che altro della pastorale dei Sacramenti e ha finito per ritualizzarsi”. “Ciò è triste”, secondo il porporato, “perché tra tante difficoltà del mondo contemporaneo, la Chiesa deve essere il segno della luce luminosa della Risurrezione e questo è possibile solo con una Chiesa vibrante, che mostri segni di amore e unità”. “Il mio desiderio pastorale – ha concluso il cardinale Toppo – è che la Chiesa dello Jharkhand possa intraprendere questa avventura con la guida di Gesù Cristo ed essere luce, sale e lievito per la Chiesa in India”. (R.M.)

    inizio pagina

    In migliaia a Bologna, alla Messa “di riparazione” presieduta dall’arcivescovo Caffarra, per la bestemmia rivolta alla Vergine nel titolo di una mostra in cartello quest’estate

    ◊   “Siamo venuti al santuario mariano portando nel cuore il peso di un insulto grave e pubblico fatto in questa città alla nostra Madre celeste. Siamo venuti per chiedere perdono e per riparare a una bestemmia che ha rivestito la particolare gravità dell’avvallo oggettivo (la responsabilità e le intenzioni le giudichi il Signore) anche di istituzioni pubbliche”. Lo ha detto il cardinale Carlo Caffarra, arcivescovo di Bologna, durante la Santa Messa celebrata ieri nella Basilica di San Luca, come preghiera di riparazione per gli oltraggi di cui è stata recentemente oggetto la Vergine Maria Madre di Dio. In particolare, per una mostra dal titolo blasfemo, prevista nel cartellone estivo di un quartiere cittadino, che aveva ricevuto il patrocinio di Comune, Regione e Ministero delle politiche giovanili. Una ferita profonda, che ha spinto l’arcivescovo a convocare i fedeli per un gesto straordinario, cui hanno risposto in migliaia: giovani, parrocchie, associazioni e movimenti, famiglie con bambini. “E’ stata un’ingiustizia commessa nei confronti della nostra città”, ha ribadito il porporato. Fino a quando – si è chiesto – “si continuerà a degradarne la bellezza? Fino a quando si continuerà a sfregiarne la grandezza? Fino a quando si continuerà a umiliarne l’onore?”. “Non posso non elevare la mia voce – ha aggiunto – perché nessuno più eviti di porre alla propria coscienza grandi domande: quale città vogliamo lasciare in eredità alle giovani generazioni? Quale immagine di uomo vogliamo lasciare come loro ideale? Riparare significa anche riedificare: su quali fondamenta? Si può forse edificare sul nulla?”. Al termine della Celebrazione, il cardinale Caffarra ha ringraziato i partecipanti: “Voi – ha detto – siete il vero volto della città”. (A cura di Stefano Andrini)

    inizio pagina

    Offende la fede cristiana: con questa motivazione il patriarcato di Venezia chiede che non venga rappresentato il balletto “Messiah Game”

    ◊   Il patriarcato di Venezia ha chiesto la sospensione dello spettacolo “Messiah Game”, il balletto del coreografo tedesco Felix Ruckert che rivisita in chiave sadomasochistica e pornografica la Passione di Cristo, in programma alla Biennale Danza di Venezia il 27 e 28 giugno. In una nota il patriarcato scrive che lo spettacolo, già sopeso a Strasburgo, ha una “esplicita intenzione provocatoria ed offensiva delle fede cristiana” e che la scelta di portarlo in scena “non ha tenuto in considerazione il contesto sociale e culturale, veneziano e internazionale, che conta una rilevante presenza di cristiani per i quali un tale spettacolo risulta oggettivamente offensivo”. Per il patriarcato, inoltre, “l’identificazione degli intenti provocatori e offensivi con la libertà di espressione sembra nascondere un’incapacità di trovare e proporre nuovi linguaggi artistici che rispondono realmente alla sensibilità contemporanea”. Secondo Ismael Ivo, direttore della Biennale Danza, “il pubblico deve farsi un giudizio proprio di un prodotto artistico” mentre la Lega cattolica antidiffamazione definisce il balletto “un gravissimo attentato contro i milioni di cattolici italiani, ma soprattutto contro la divina Persona del Salvatore”. Per il pastore evangelico Claudio Zappalà, commissario aggiunto alla 52.ma Biennale d'arte contemporanea, "Messiah Game" è una lettura delle ultime ore di Gesù in chiave "autolesionistica e pornografiaca" e chiede "alle Istituzioni di marchiare senza esitazione alcuna, questo spettacolo blasfemo, ritirando ogni forma di sostegno, patrocinio e finanziamento alla Biennale Danza e chiede a quest'ultima "di annullare definitivamente lo spettacolo, prendendo le dovute distanze da chi usa l'arte - ammesso che si possa chiamare tale un'orgia feticista - come alibi per vilipendiare impunemente il Dio dei cristiani". Per sensibilizzare l’opinione pubblica la Lega cattolica antidiffamazione ha anche lanciato un appello perché lo spettacolo venga annullato, il documento può essere sottoscritto sul sito www.cadl.it. (T.C.)

    inizio pagina

    24 Ore nel Mondo



    In Iraq 30 ribelli uccisi in un'offensiva americana. Il vescovo di Kirkuk boccia il piano di una enclave cristiana nel nord Iraq

    ◊   In Iraq prosegue l’offensiva americana contro militanti di Al Qaeda: secondo fonti militari statunitensi sono rimasti uccisi almeno 30 ribelli nei pressi di Baquba, a nord di Baghdad. E’ salito inoltre ad almeno 87 morti il bilancio dell’attentato di ieri nella capitale irachena contro una moschea sciita. Ha incassato, intanto, una nuova bocciatura, il piano di una zona autonoma assira in Iraq. Mons. Shlemon Warduni, vescovo ausiliare di Baghdad, all’Agenzia Sir ha parlato di “progetto non idoneo”. Il piano prevede che i cristiani trovino rifugio nella piana di Ninive, zona ai confini con la regione semiautonoma del Kurdistan, che di fatto diverrebbe una enclave cristiana. “Vivendo a contatto con i nostri fratelli musulmani – ha aggiunto mons. Warduni - potremo dare la nostra testimonianza di vita”. Stessa posizione è stata espressa da mons. Louis Sako, vescovo caldeo di Kirkuk. Il presule sottolinea come le speranze della comunità cristiana in Iraq siano tutte orientate al dialogo e al pluralismo. Ma sentiamo proprio mons. Louis Sako, nell’intervista di Salvatore Sabatino:


    R. – Abbiamo vissuto sempre insieme con gli altri. La storia irachena è mista: ci sono cristiani, musulmani, caldei, curdi, arabi. Ci sono musulmani moderati e sono senz’altro la maggioranza. Anche in Medio Oriente, questo fondamentalismo crede che non ci sia altra soluzione se non quella di creare Stati musulmani. E questo perché, in realtà, loro non sono capaci di integrarsi in una società moderna caratterizzata dal pluralismo. E’ meglio allora appoggiare questi musulmani moderati, che sono bravi e vogliono anche il dialogo, una convivenza pacifica. Anche l’Occidente deve chiedere a questi Stati di fare in modo di rispettare i diritti umani. Questa è l’unica soluzione. Creare, quindi, delle aree per piccoli gruppi è una cosa inaccettabile.

     
    D. – Cosa può fare la comunità cristiana per incoraggiare la cultura del pluralismo, di cui lei parla?

    R. – Io credo – ed è quello che ho sempre chiesto – che sia necessario fare una riunione dell’assemblea dei vescovi cattolici, insieme anche ai vescovi ortodossi, convocando esperti cristiani e non, per cercare di preparare un documento ben equilibrato e, quindi, presentarlo in modo tale da avere un discorso politico ben preparato, che rappresenti tutti e che salvi il mosaico iracheno.

     
    D. – Come vede il futuro della comunità cristiana in Iraq? Come la immagina nel prossimo futuro?

     
    R. – Sinceramente nel corso della nostra storia, abbiamo avuto problemi. Siamo una Chiesa martire. Questo è un po’ il nostro carisma. Abbiamo, però, trovato anche modi per vivere insieme. Tocca a noi aprire le braccia, cercando un dialogo con tutti i gruppi. E questo per cercare di salvare la nostra esistenza.

    - In Turchia, intanto, il primo ministro Tayyip Erdogan ha dichiarato ieri che il governo di Ankara è pronto ad autorizzare, in caso di necessità, operazioni militari nel Kurdistan iracheno contro ribelli del partito comunista turco (PKK). Secondo diversi osservatori, i separatisti curdi iracheni avrebbero condotto diverse azioni terroristiche in Turchia. Ed è sempre più intricata, poi, la questione dello status di Kirkuk che dovrà essere definito, in futuro, con un referendum. Con la consultazione si deciderà l’eventuale autonomia della ricca città petrolifera del Kurdistan. Il governo di Ankara teme che una regione curda autonoma in Iraq possa innescare nuove mire indipendentiste anche in Turchia.

    - Nei Territori Palestinesi, teatro nei giorni scorsi di sanguinosi scontri tra miliziani di Hamas e Al Fatah, i soldati dello Stato ebraico hanno ucciso 4 militanti di movimenti fondamentalisti islamici. Le truppe israeliane continuano intanto a dispiegarsi nella Striscia di Gaza, quasi interamente controllata da miliziani di Hamas. Violenze si registrano anche in Cisgiordania, dove due integralisti palestinesi sono stati uccisi all’alba nel corso di un blitz condotto da un’unità speciale israeliana.

    - In Libano sembra imminente la conclusione della battaglia, in corso da un mese, tra esercito governativo e guerriglieri di Fatah al Islam nel campo profughi palestinese di Nahar al Bared. I vertici delle forze armate stanno infatti vagliando un piano presentato dalla Lega degli ulema palestinesi, che di fatto prevede lo smantellamento delle milizia di Fatah al Islam. Si stima che le vittime degli scontri nel campo profughi siano stati finora più di cento. Tra queste, ci sono diversi civili.

    - Si è aperto oggi a Tripoli, in Libia, il processo di appello sulla sentenza di condanna a morte nei confronti delle infermiere bulgare e del medico palestinese accusati di aver volontariamente contaminato oltre 400 bambini con il virus dell’AIDS. Gli imputati si sono sempre proclamati innocenti.

    - Nello Sri Lanka, militari delle forze governative hanno ucciso, nelle ultime 24 ore, almeno 70 ribelli Tamil. Lo ha rivelato un portavoce militare precisando che 30 guerriglieri sarebbero morti in seguito a scontri avvenuti in una zona orientale del Paese. L’esercito sostiene, poi, di aver conquistato tre basi degli insorti e di aver avviato la bonifica di numerosi campi minati. Altri 40 insorti sono rimasti uccisi durante scontri navali nel nord dello Sri Lanka. Si stima che dal 2005, da quando si è arenato il processo di pace tra ribelli e governo, siano morte oltre 5 mila persone. Tra queste, più di 600 sono civili.

    - La fase di stallo nei negoziati sulla questione nucleare nordcoreana sembra vicina ad un punto di svolta: l’inviato americano, Christopher Hill, ha dichiarato che i colloqui a sei per lo smantellamento del programma atomico del governo di Pyongyang potrebbero riprendere a luglio. Il passo successivo sarà poi quello di rispettare l’accordo dello scorso 13 febbraio raggiunto a Pechino dalle delegazioni delle due Coree, Stati Uniti, Russia, Cina e Giappone. L’intesa prevede la chiusura del reattore nucleare di Yongbyon in cambio di aiuti umanitari e finanziari alla Corea del Nord. E’ stato anche risolto un nodo particolarmente intricato: sono stati restituiti infatti alla Corea del Nord oltre 25 milioni di dollari, precedentemente congelati in una banca di Macao perché ritenuti di provenienza sospetta.

    - In Thailandia, la commissione elettorale ha annunciato che si terranno 19 agosto il referendum sulla nuova Costituzione ed il 25 novembre le legislative per eleggere il nuovo Parlamento. L’ex primo ministro Thaksin Shinawatra, deposto lo scorso mese di settembre con un golpe militare, ha ricevuto intanto l’ordine di presentarsi davanti alla polizia thailandese. E’ accusato di aver nascosto ingenti risorse al fisco.

    - Il presidente del Kazakhstan, Nursultan Nazarbayev, ha sciolto il Parlamento e indetto nuove elezioni per il prossimo 18 agosto. Lo ha annunciato oggi lo stesso capo di Stato kazako, nel corso di una riunione con i membri del partito presidenziale di Nur-Otan. Ieri un gruppo di deputati dell'ex Repubblica sovietica aveva presentato un appello, firmato da 50 parlamentari su 77, con la richiesta di scioglimento di una delle camere del Parlamento. L'accusa è di ostacolare la politica riformista del governo.

    - Sempre critica la situazione nel Ciad orientale, dove oltre 150 mila persone sono fuggite dalle loro abitazioni a causa di ripetuti e mortali assalti delle formazioni ribelli al governo di N'Djamena e per violenze di altre formazioni armate. Raggruppati in campi dove la sicurezza non è mai garantita, gli sfollati interni al Ciad vivono in alloggi improvvisati, privi di cibo, acqua e accesso alle cure. La denuncia arriva da Medici Senza Frontiere, che segnala come tale emergenza si affianchi a quella dei 200mila rifugiati giunti in Ciad dal vicino Darfur. Ce ne parla Duccio Staderini, capo missione di Medici Senza Frontiere in Ciad, intervistato da Giada Aquilino:


    R. – I profughi del Darfur sono presenti in Ciad ormai da quasi quattro anni. Si trovano in una situazione in cui sono assistiti, vivono in appositi campi in condizioni estreme, con un accesso all’acqua limitato. E anche se si riesce a mantenere un livello nutrizionale sotto controllo, non si può dire che la loro situazione sia invidiabile. Con il tempo, poi, specialmente a livello psicologico e di salute mentale, abbiamo registrato uno sviluppo di patologie generate da uno psico-trauma iniziale. E, proprio perché sono trascorsi degli anni, assistiamo all’emergere di nuove realtà: per esempio, cominciamo ad occuparci dei diabetici e di patologie croniche.

     
    D. – Nei campi di sfollati interni, invece, la situazione qual è?

     
    R. – Questa popolazione si è spostata recentemente, nell’ultimo anno e mezzo, in seguito a razzie lungo la frontiera, ma anche per dinamiche intra-ciadiane, che si vanno a mescolare alla ribellione contro il governo. Tali sfollati sono sparsi su territori più vasti, ai quali per noi è difficile accedere, anche per motivi di sicurezza.

     
    D. – Una delle emergenze più grandi è costituita dalle epidemie…

     
    R. – Il Ciad, che è tra i Paesi più poveri del mondo ed è tra i più colpiti dal fenomeno della corruzione, è nella cosiddetta “cintura della meningite”: si assiste ad epidemie cicliche annuali o biennali, che possono essere davvero micidiali. Poi è diffuso il colera, che è la malattia dei poveri o “delle mani sporche”. E c’è la malaria, che è anche la prima causa di mortalità del Paese.

    - Si è concluso con un nulla di fatto il vertice di New York tra i rappresentanti del governo marocchino e quelli del Fronte Polisario saharawi. L’incontro era stato promosso dalle Nazioni Unite, che speravano in uno sblocco delle trattative sul futuro status del Sahara Occidentale, occupato dal Marocco nel 1979. Ma le divergenze non sono state appianate e la disputa resta irrisolta. Il Fronte Polisario chiede che sia rispettato il diritto all’autodeterminazione attraverso un referendum. Le autorità marocchine, invece, sono favorevoli all’organizzazione di una consultazione popolare che preveda l’autonomia del Sahara occidentale. Secondo molti osservatori è comunque una buona notizia il fatto che delegazioni delle due parti si siano sedute intorno ad uno stesso tavolo. (Panoramica internazionale a cura di Amedeo Lomonaco e Beatrice Bossi)

     

      Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LI No. 171

     
    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sulla home page del sito www.radiovaticana.va/italiano

    inizio pagina