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SOMMARIO del 14/06/2007
Lo sviluppo dei popoli deve fondarsi su una visione globale della persona umana: così il Papa nell’udienza al Consiglio della Fondazione Populorum Progressio per l'America Latina
◊ Nasceva 15 anni fa, per volontà di Giovanni Paolo II, la Fondazione “Populorum Progressio”, dal nome dell’enciclica firmata da Paolo VI e della quale ricorre quest’anno il 40.mo anniversario. Stamani, il Papa ha ricevuto, nella Sala del Concistoro in Vaticano, il Consiglio di amministrazione dell’istituzione, che opera in favore dei popoli più bisognosi dell’America Latina e dei Caraibi. Il servizio di Roberta Gisotti:
Questa Fondazione - ha ricordato Benedetto XVI - “è frutto della grande sensibilità che Giovanni Paolo II dimostrava per gli uomini e le donne che più soffrono nella nostra società”. Parole di vivo apprezzamento per il lavoro svolto il Papa ha rivolto al Consiglio di amministrazione dell’organismo, guidato dal suo presidente, l’arcivescovo Paul Josef Cordes. La Fondazione, posta sotto la responsabilità del Pontificio Consiglio Cor Unum, è infatti dedicata a promuovere “iniziative specifiche” nei Paesi latinoamericani e caraibici, “in aiuto delle popolazioni indigene, contadine e afroamericane”. “Giovanni Paolo II - ha spiegato il Papa - pensava a quei popoli che minacciati nei propri costumi ancestrali da una cultura postmoderna, possono vedere distrutte le proprie tradizioni, così aperte ad accogliere la verità del Vangelo”. Questa missione “tanto significativa”, ha raccomandato Benedetto XVI, deve proseguire poggiando su due caratteristiche della Fondazione.
“En primer lugar, el desarrollo de los pueblos debe tener como principio …”
In primo luogo - ha osservato il Santo Padre - “lo sviluppo dei popoli deve avere come principio pastorale una visione antropologica globale della persona umana”, come cita lo Statuto della Fondazione, tenendo in conto l’aspetto sociale e materiale della vita, così come l’annuncio della fede, la quale dà all’uomo il sentimento pieno del suo essere”, perché “sovente la vera povertà dell’uomo è la mancanza di speranza, l’assenza di un Padre che dia senso alla propria esistenza”. Seconda caratteristica, “l’esemplarità del metodo di lavoro”, dove il Consiglio di amministrazione è composto dai vescovi delle diverse aree del continente latinoamericano, ponendo quindi le decisioni “nelle mani di quanti conoscono bene i problemi di quelle popolazioni e le loro necessità concrete”. Si evita cosi “un certo paternalismo, sempre umiliante per i poveri e che frena le loro iniziative”, e si garantisce che la totalità dei fondi arrivi ai più bisognosi “senza disperdersi” in lungaggini burocratiche.
Richiamando, infine, quanto già espresso nel recente viaggio pastorale ad Aparecida, in Brasile, Benedetto XVI ha evidenziato che la Chiesa in America Latina, pure di fronte ad enormi sfide come la secolarizzazione, la proliferazione delle sette e l’indigenza di tanti fratelli, è la "Chiesa della speranza", “che sente la necessità di lottare in favore della dignità di ogni uomo, di una vera giustizia e contro la miseria dei nostri simili”.
Altre udienze
◊ Benedetto XVI ha ricevuto nel corso della mattinata un gruppo di presuli della Conferenza episcopale slovacca, in visita ad Limina.
Nella Solennità del Sacro Cuore di Gesù di domani, la Chiesa prega per la santificazione del clero. Intervista con l'arcivescovo Mauro Piacenza
◊ Si celebra domani, nella Solennità del Sacro Cuore di Gesù, la Giornata della santificazione del clero. Un appuntamento voluto da Giovanni Paolo II nel 1995. Questa Giornata ha come significato la presa di coscienza da parte di tutto il popolo di Dio della insostituibilità del sacerdozio. Ma perché si fa coincidere questa ricorrenza con la solennità del Sacro Cuore di Gesù? Giovanni Peduto lo ha chiesto al segretario della Congregazione per il Clero, l’arcivescovo Mauro Piacenza:
R. - Il cuore, noi sappiamo, che è il simbolo dei sentimenti. Come noi vediamo riprodotto il cuore in un quadro, pensiamo immediatamente all’amore, al palpitare dei sentimenti. Il Cuore di Gesù è il simbolo, il punto di attribuzione proprio della sua carità pastorale verso le anime. Quando guardiamo a quel Cuore pensiamo alla frase “Venite a me, voi tutti che siete affaticati e stanchi. Io vi ristorerò”. Allora il sacerdote, da una parte, si sente amato ed accolto come amico: “Non vi chiamerò più servi, ma amici”, dice Gesù ai suoi sacerdoti e ai suoi apostoli. Il sacerdote, allora, si sente compreso anche nei momenti della sua solitudine o nel dramma della difficoltà di comunicare i valori ad una società secolarizzata. Dall’altra parte, per il sacerdote è una scuola, e cioè è la scuola per poter essere inondato di quella carità pastorale per essere lui stesso rifugio delle anime. La presenza stessa del sacerdote, il vederlo - e per questo è importante anche che lo si veda esternamente nel suo abito e nel suo conseguente contegno - deve essere un segno: le persone, vedendo passare un sacerdote, dovrebbero sentire questo senso di paternità, di accoglienza, di comprensione, di rifugio e questo per tutti, in tutte le condizioni. Direi allora che è anche una scuola particolare per essere dei buoni confessori, per amministrare la misericordia di Dio.
D. - Quale figura di prete si aspetta oggi la comunità cristiana?
R. - Direi una figura di prete molto diversa da quella che i mezzi di comunicazione sociale in genere presentano: viene infatti presentato quasi come uno "yuppy". Il sacerdote che ci si attende è soprattutto l’uomo di Dio e questo ho dovuto constatarlo anche quando per tanti anni sono stato insegnante di religione in alcuni licei. Io ho sempre visto che i ragazzi possono anche ridere, scherzare, dare una pacca sulla spalla all’insegnante di religione, al sacerdote, ma quando cercano veramente il prete, cercano l’uomo di Dio. Cercano cioè un uomo alla Santo Curato d’Ars, alla San Giovanni Bosco, ognuno naturalmente con il suo carattere, con le proprie caratteristiche, ma l’uomo sicuramente intriso della presenza di Dio. Quando si diceva del Santo Curato d’Ars, si diceva: “Chi sei andato a vedere?”. La risposta era: “Sono andato a vedere Dio in un uomo”. Io credo che anche i laicisti, anche le persone più lontane nelle pieghe riposte del loro cuore, quando si parla di prete, quando dovessero aprirgli l’animo, cercano un uomo di Dio.
D. - Quali sfide si trovano davanti i sacerdoti oggi?
R. - Certamente, quelle stesse sfide che indica spesso il Santo Padre e cioè quella della secolarizzazione, quella del relativismo, quella del cosiddetto pensiero debole, che è purtroppo molto forte nella sua debolezza proprio perché è molto diffuso nella cultura di massa, veicolato anche dai mezzi di comunicazione. Penso all’indifferentismo, e quando io dico "irenismo" intendo dire proprio una sorta di "buonismo" generale, per cui tutto va bene. Allora non si vede sufficientemente la necessità assoluta e non relativa di nostro Signore Gesù Cristo come Redentore dell’uomo. Io credo che le insidie della cultura contemporanea siano queste: una tolleranza intollerante, che tollera tutto eccetto che la verità e la proposta della verità. Non si può pretendere che tutti siano in questa dimensioni della verità oggettiva, ma che la cerchino come l’aspirazione più profonda dell’uomo. C’è questo coacervo di linee relativistiche, anche una cultura vagamente new age, vagamente teista. La ricerca di valori, tutto sommato c’è, ma si tratta di valori in senso vago e non il valore che è Gesù Cristo: Via, Verità e Vita. Questo supporto culturale, piuttosto materialistico, è però in contraddizione, perché allo stesso tempo si cerca grande spiritualità ed è quello che l’uomo di Dio, il sacerdote, deve dare. Vediamo, però, materialismo, secolarismo e quasi irrisione dei grandi valori. Invece, c’è bisogno di questo: il sacerdote che non va dietro al mondo, ma deve essere pieno di Dio perché il mondo vada dietro a lui e quindi dietro a Dio. Un sacerdote che deve, quindi, saper affrontare queste sfide con una grande pienezza di amore di Dio e di passione per la missione.
D. - Un sacerdote santo fa i fedeli santi: è reale l’interattività tra il livello spirituale del clero e quello dei fedeli?
R. - In effetti, c’è una interazione, c’è una interdipendenza. Più il sacerdote è santo e più quanti sono oggetto della sua cura e stanno attorno a lui sul territorio - pensiamo al parroco, al viceparroco, oppure ai Movimenti e alle Associazioni - certamente c’è, a cerchi concentrici, una diffusione di bontà, di santità. In fondo, è come la fonte di calore: se c’è un calorifero in una stanza e il calorifero è incandescente, la stanza diventa tiepida. Io vorrei dire, concludendo, che è bene che i fedeli siano stimolati a pregare per i loro sacerdoti e a pretendere questa testimonianza dai loro sacerdoti. Ma devono avere anch'essi molta comprensione, essendo cioè loro stessi, direi, capaci di favorire la santificazione dei sacerdoti affinché, al loro contatto, il sacerdote si senta provocato nel cercare sempre di più l’imitazione di Cristo. Mi permetto di concludere anche dicendo che c’è sempre una strada maestra: l’affidamento totale alla Santa Vergine. Certamente, Colei che dentro di sé ha accolto la vita, perché adombrata dallo Spirito Santo ha generato Cristo nel tempo ed ha quindi plasmato il Corpo di Gesù sacerdote, sia Lei a plasmare nei sacerdoti i tratti del suo Figlio Gesù.
La Pontificia Università Urbaniana ha conferito una Laurea honoris causa al primate ortodosso di Cipro, Chrisostomos II, che sabato sarà ricevuto dal Papa
◊ Sono giorni pieni di impegni quelli del primate della Chiesa ortodossa di Cipro, Sua Beatitudine Chrisostomos II, arcivescovo di Nuova Giustiniana e tutta Cipro. Dopo l'incontro di ieri con il presidente della Conferenza episcopale italiana, l'arcivescovo di Genova, Angelo Bagnasco, il primate ortodosso è stato l'ospite d'onore questa mattina della cerimonia svoltasi alla Pontificia Università Urbaniana di Roma, durante la quale l'ateneo gli ha conferito una "Laurea honoris causa" in Missiologia. Il capo della Chiesa ortodossa cipriota ha tenuto una lectio magistralis alla presenza, fra gli altri, del gran cancelliere dell'Urbaniana, il cardinale Ivan Dias, e del rettore, mons. Ambrogio Spreafico.
“Verso questo mondo, spogliato dal senso della sacralità e spinto all’agnosticismo laico - ha detto nel suo intervento Chrisostomos II, riferito dall'Agenzia SIR - la Chiesa lancia il suo messaggio: l’uomo deve vivere con il sacro ed il divino. Questo può essere raggiunto tramite la divina liturgia, una prassi mistica, allo stesso tempo umana e sovrannaturale”. “La Chiesa - ha proseguito - è perennemente in espansione in quanto cattolica e mira a incorporare tutti. Suo scopo è di mettere in atto il comandamento di Cristo ai discepoli, ‘andate e ammaestrate le nazioni’". Secondo il primate ortodosso di Cipro - che è in visita ufficiale presso la Santa Sede e sabato prossimo sarà ricevuto in udienza da Benedetto XVI - scopo principale della missione “è assicurare la partecipazione attiva dei fedeli alla ‘divina liturgia’, al centro della quale si trova l’Eucarestia. Essa ci insegna ad allargare i nostri orizzonti e la nostra visione, a parlare la lingua dell’amore nonostante differenze e contrasti”. E’ questo, ha concluso, il messaggio che “la Chiesa ortodossa invia al mondo tramite la divina liturgia” ed è questo il motivo per cui “anche se permane una dissacrazione e secolarizzazione della vita specie nelle società occidentali, si assiste ad un aumento dei giovani alla liturgia ortodossa”.
Mons. Tomasi all'ONU di Ginevra: il valore della solidarietà sia parte integrante delle politiche lavorative, per strappare uomini e donne alla miseria e restituire loro la dignità
◊ “Mentre il mondo si misura con un globalizzazione che aumenta la ricchezza ma è ingiusta nella sua distribuzione”, la solidarietà deve orientare le politiche lavorative e formative sia nazionali che internazionali, per ridurre la crescente percentuale di miseria che grava su molte aree del pianeta. E’ la disamina fatta dall’arcivescovo Silvano Tomasi, rappresentante permanente della Santa Sede alle Nazioni Unite di Ginevra, intervenuto ieri alla 96.ma sessione della Conferenza internazione sul lavoro. I particolari del suo intervento nel servizio di Alessandro De Carolis:
“Con i circa 195 milioni di uomini e donne impossibilitati a trovare un lavoro durante lo scorso anno, e con un miliardo e 400 mila persone che hanno un lavoro pagato non abbastanza da consentirgli di superare la soglia della povertà di 2 dollari al giorno, la responsabilità della comunità internazionale e dei governi è messa a dura prova sia nel creare un ambiente economico in grado di offrire delle opportunità, sia di favorire la disponibilità di un lavoro dignitoso”. I numeri rendono impietoso lo scenario tracciato dall’arcivescovo Silvano Tomasi. Gran parte della tensione e dei conflitti “che tormentano la nostra società - ha osservato il rappresentante pontificio all’ONU di Ginevra - è radicato nella mancanza di lavoro o in impieghi che difettano di dignitose condizioni di lavoro o in stipendi inadeguati ai bisogni dell’esistenza, oltre che in rapporti economici ingiusti”. E queste difficoltà, ha proseguito mons. Tomasi, si comprendo meglio se inserite in un sistema internazionale pesantemente condizionato, fra l’altro, dall’invecchiamento della popolazione e dal “divario fra le professionalità di cui si ha bisogno e un sistema di istruzione incapace di formare le persone con le conoscenze idonee” alle esigenze di campi come quello economico, tecnologico e comunicativo, che più di altri hanno fatto registrare cambiamenti decisivi.
Nell’analizzare il quadro dei mutamenti lavorativi, mons. Tomasi ha ribadito la posizione della Santa Sede per un sistema di politiche lavorative eque e rispettose dei diritti dei singoli che consentano di sradicare alla base le “vecchie e nuove forme di discriminazione” che pesano sulle fasce di lavoratori più povere. “Il lavoro, l'impresa e l'arena globale degli investimenti finanziari, del commercio e della produzione - ha affermato fra l’altro mons. Tomasi - dovrebbero essere radicati su uno sforzo creativo, cooperativo, basato su norme a servizio della persona umana, di ogni uomo e donna, e della loro uguaglianza di dignità e diritti". "È la dimensione umana di lavoro – ha asserito - che deve essere valorizzata e protetta”, grazie al valore della solidarietà che rimane "cruciale ed indispensabile” poiché - ha concluso il presule - il “nuovo orizzonte” della domanda sociale è ora la persona umana, protagonista “di uno sviluppo integrale che è il nuovo nome di pace”.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ Servizio vaticano - "La 'Chiesa della speranza' sente il bisogno di lottare contro la miseria a favore della dignità di ogni uomo e di una vera giustizia": Benedetto XVI ai partecipanti alla riunione del Consiglio di Amministrazione della Fondazione Autonoma Pontificia "Populorum Progressio" per l'America Latina.
Servizio estero - In evidenza il Libano: Beirut insanguinata da un'altra strage.
Servizio culturale - Un articolo di Marco Testi dal titolo "La cultura comprensibile a tutti": a settant'anni dalla morte di Antonio Gramsci riproposti da Einaudi i "Quaderni del carcere".
Servizio italiano - In rilievo il tema delle pensioni.
Il Premio Nobel per la Pace, Shimon Peres, e’ il nuovo presidente dello Stato d’Israele. A Gaza infuriano gli scontri tra militanti palestinesi di Hamas e al-Fatah
◊ E' sempre più drammatica la situazione nei Territori palestinesi, mentre Hamas ha quasi completato il controllo su Gaza e a Ramallah il presidente Abu Mazen ha convocato riunioni di emergenza dei vertici dell'OLP e di al-Fatah nell’eventualità di dover sciogliere il governo di unità nazionale guidato da Hamas. Nella tarda mattinata, Abu Mazen ha ordinato alle sue forze di rispondere con determinazione al fuoco del movimento radicale. In cinque giorni di combattimenti, sono rimasti uccisi oltre 90 palestinesi, mentre i feriti sono centinaia. Roberta Moretti:
La decisione sulla sorte del governo sarà presa da Abu Mazen a conclusione dei colloqui in corso a Ramallah sulla gravissima crisi in atto. Da parte sua, l'OLP ha autorizzato il presidente dell'ANP a dichiarare la Striscia di Gaza "distretto ribelle" e a sciogliere l'esecuitivo. Intanto, è sempre incandescente la situazione sul campo: miliziani di Hamas sono riusciti a conquistare la sede della Sicurezza preventiva di Gaza City, roccaforte delle forze di al-Fatah, che negli scontri hanno perso almeno 14 uomini. Una bandiera verde del movimento radicale è stata issata sul tetto dell’edificio, che Hamas vuole trasformare in un centro religioso per la diffusione dell'Islam. E mentre continuano i violenti combattimenti nel cosiddetto "quadrilatero" della città, composto dai centri nevralgici della Sicurezza, è graduale il ritorno alla calma nel resto della Striscia, dove diverse zone sono passate sotto controllo di Hamas. Proseguono, intanto, senza successo, i tentativi diplomatici per porre fine agli scontri. Un portavoce di Hamas ha affermato che il movimento radicale si oppone decisamente all'invio di forze internazionali a Gaza”, come proposto dal segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-Moon. Le truppe straniere - ha avvertito Hamas - sarebbero considerate alla stregua di una “forza di occupazione”. Il cancelliere tedesco e presidente di turno dell’Unione Europea, Angela Merkel, ha lanciato un pressante appello alle fazioni opposte a cessare immediatamente le ostilià.
Scenario diverso in Israele, che saluta l'elezione a presidente del Premio Nobel per la Pace, Shimon Peres, che entrerà in carica il prossimo luglio. “Il nuovo presidente porta con sé una lunga storia di negoziati”, ha detto in un’intervista all'Agenzia SIR il nunzio apostolico in Israele, mons. Antonio Franco. In politica dal 1959, Peres è stato collaboratore di Ben Gurion, attento conoscitore del programma nucleare israeliano, promotore del trattato di pace di Oslo del 1993. Ma non sono mancate le sconfitte politiche. Nel ‘96, dopo l'assassinio di Yitzhak Rabin, Peres perse le elezioni politiche, vinte dall'avversario Benyamin Netanyahu del Partito Likud. Poi fu sconfitto nel 2000 nella corsa alla presidenza, vinta da Moshe Katsav, attualmente dimissionario. Ma, con Shimon Peres presidente, cosa cambia per Israele? Giada Aquilino ne ha parlato con la professoressa Marcella Emiliani, docente di Sviluppo politico del Medio Oriente all’Università di Bologna:
R. - Israele, in questo momento, è in un grave deficit di leadership, soprattutto a livello di premier. Chiaramente, con Peres alla presidenza si vogliono rafforzare le istituzioni in un periodo in cui c’è da valutare una offerta di pace - che è stata fatta con la mediazione saudita - da parte dei Paesi arabi e soprattutto in un momento in cui a Gaza, e purtroppo anche in Cisgiordania, comincia a dilagare una forma strisciante di guerra civile, che fa un numero di morti sempre maggiore giorno dopo giorno. C’è bisogno di carisma e l’unico personaggio carismatico sulla scena politica israeliana al momento è Peres. E’ un segnale forte, che viene dato soprattutto alla comunità internazionale, perché innanzitutto può mandare segnali alla Lega Araba di disponibilità da parte di Israele. Poi ha tutti i canali giusti per poter conferire con gli Stati Uniti e con il Congresso, che ha una linea completamente diversa da quella del presidente Bush. Infine, in ballo ora, nonostante le convulsioni libanesi, c’è una proficua ripresa dei colloqui tra Israele e Siria per la restituzione delle alture del Golan.
D. - Non a caso, con la pace di Oslo alle spalle, di Peres è stata ricordata la “lunga storia di negoziati che porta con sé”. Lo ha detto il nunzio apostolico, mons. Franco. Dalla popolazione come viene percepita questa figura?
R. - Peres, in Israele, è una figura che paradossalmente non ha un successo clamoroso. Israele, proprio perché intriso di una profonda sindrome della sicurezza, ha continuato ormai da due decenni ad affidare la premiership - non la presidenza della Repubblica - ad ex generali. La carica alla presidenza della Repubblica, come carica sopra le parti, può però consentire a Peres di liberare la sua infinita esperienza di mediazione locale e internazionale.
Al via il tribunale ONU in Cambogia che giudicherà i crimini dei khmer rossi, durante il regime di Pol Pot
◊ Sono passati oltre 30 anni dall’epoca di terrore nella Cambogia dominata dal regime ultramaoista dei khmer rossi di Pol Pot. I crimini lì perpetrati tra il 1975 ed il 1979 restano una delle pagine più brutali e sanguinose della storia. Oltre un milione e mezzo di persone morirono di stenti, di fame, di malattie, o uccise. L’intero paese divenne un campo di lavoro forzato con milioni di schiavi. Oggi la giustizia inizia il suo percorso: dopo mesi di trattative magistrati cambogiani e internazionali hanno adottato il regolamento che darà l’avvio al Tribunale di Phnom Pen, istituito dal governo cambogiano e dall’ONU per giudicare i responsabili dei crimini commessi. Francesca Sabatinelli ha intervistato Isidoro Palumbo, avvocato, docente di diritto internazionale dei conflitti armati:
R. - Questo è un Tribunale nazionale internazionalizzato con l’intervento delle Nazioni Unite, che fanno da garanti della legalità, legittimità e giustizia dell’attività processuale. E’ importante questo, perché non è, soprattutto, un Tribunale calato dall’alto, non è un tribunale imposto. Si è scelta una strada più lunga, ma, secondo me, più proficua anche per l’ordinamento internazionale, che è quella della collaborazione tra singolo Stato e Nazioni Unite. Tuttavia, non dobbiamo dimenticare che ci sono dei punti deboli, perché ci troviamo di fronte ad un sistema giudiziario come quello cambogiano che è alquanto carente, permeabile alla corruzione, all’influenza politica, con la prevalenza di magistrati locali. Adesso, comunque, bisogna che questo Tribunale abbia la possibilità di lavorare.
D. - Già nelle prossime settimane si potrebbe partire con la formulazione dei primi capi di accusa. Chi sono i khmer rossi che andranno alla sbarra?
R. - I khmer rossi che andranno alla sbarra saranno coloro i quali, innanzitutto, sono sopravvissuti a questo lungo periodo di tempo - perchè noi stiamo parlando di reati dal ’75 al ’79 - e soprattutto sono i responsabili politici militari del governo di Pol Pot. La maggior parte è tuttora in libertà. Quindi, si farà una giustizia con estremo ritardo. Si parla di persone che hanno 76 o 80 anni.
D. - A suo giudizio, come coinvolgerà questo processo la società cambogiana di oggi?
R. - Penso che la generazione che ha vissuto direttamente questo genocidio diventi sempre più marginale, come numeri e come percentuali. Vedo invece l’attività delle Camere penali cambogiane come una grande occasione a livello internazionale e questo può far solo bene al governo cambogiano e al popolo cambogiano.
D. – C’è un riscatto della memoria?
R. – Un riscatto della memoria attraverso un giudizio il più possibile imparziale dei responsabili di quell’eccidio. Penso che siano gli stessi cambogiani che lo chiedono, perché è arrivato il momento per chiudere con il passato, per affrontare questo XXI secolo a pieno titolo nell’ambito della comunità internazionale.
In tutto il mondo si celebra la Giornata dei donatori di sangue: nel sud del pianeta, i poveri vendono il proprio sangue in cambio di denaro
◊ “Sangue sicuro per maternità sicure”. E’ questo il tema scelto quest’anno per la Giornata mondiale della donazione di sangue che si celebra oggi. In prima linea nel venire incontro alla crescente domanda di sangue e lotta per eliminare la compravendita di questo bene prezioso l’AVIS, l’associazione italiana dei donatori che da 80 anni combatte donare gratuitamente sangue a tutti, senza alcuna discriminazione. Antonella Villani ha chiesto al presidente Andrea Tieghi quanto è importante avere a disposizione il sangue per mamme e neonati:
R. - La prima preoccupazione del donatore è proprio quella della sicurezza del sangue donato, soprattutto per i più deboli. La campagna di quest’anno mira, quindi, alla salvaguardia delle vita del neonato e della mamma è veramente fondamentale. Abbiamo bisogno di affinare i mezzi di ricerca per arrivare ad un sangue sempre più sicuro.
D. - Qual è la situazione, nel mondo, a livello di donazione di sangue?
R. - Somiglia molto a quella economica: nella parte più ricca del mondo abbiamo anche la maggiore disponibilità di sangue donato da donatori volontari e periodici. Nel sud del mondo, abbiamo invece una situazione tragica perché, in molti casi, il sangue viene venduto da parte di quelle persone che hanno soltanto questa risorsa per poter sbarcare il lunario. Non c’è, infatti, in questa parte del mondo una cultura di donazione e non c’è una sensibilità: non è stata creata da parte dei Ministeri della Salute locali una forte campagna di associazionismo dei volontari del sangue. Quest’anno siamo stati in Argentina per creare una associazione di volontari, perché - malgrado sia il Paese che ha il secondo PIL mondiale - il problema del sangue non è all’altezza dei problemi sociali che ha quel Paese: vale a dire che il sangue donato da donatori volontari è circa l’8 per cento, mentre il restante è rappresentato da donazioni di amici e parenti e, in molti casi, si tratta anche di donazioni pagate.
D. - Qiali sono i Paesi dove il sangue scarseggia sia per qualità che per quantità?
R. - Basta vedere la mappa dei Paesi più poveri, partendo dalle zone dell’India, dove abbiamo una situazione veramente catastrofica. In molti casi, c’è l’obbligatorietà della donazione da parte dei militari (questo è il caso, ad esempio, della Cina). Noi siamo per una donazione volontaria, che permetta a tutti di avere questo preziosissimo elemento che ci permette di salvare i nostri ammalati, di salvare tante vite umane. Anche in America Latina abbiamo delle situazioni abbastanza disperate, però sta crescendo - e questo fortunatamente anche in Africa - una nuova leva di associazioni giovani, che fanno parte anche della nostra Federazione internazionale di donatori, che vuole superare questa situazione. Questo ci fa ben sperare per il futuro.
D. - Nel sud del mondo c’è anche il problema delle malattie, AIDS e malaria…
R. - Soprattutto l’Africa ha una situazione terribile e si fa fatica a creare gruppi di donatori, perché la diffusione dell’AIDS è veramente endemica. I ragazzi che si avvicinano alla donazione sono già malati ed abbiamo, quindi, secondo il nostro punto di vista di solidarietà internazionale: vale a dire quei Paesi ricchi - come il nostro - che dal punto di vista della solidarietà sociale, dal punto di vista della donazione dovrebbero allestire un programma di cooperazione internazionale, ordinato dai rispettivi governi, in modo tale da poter offrire una parte delle donazioni liberamente fatte alle nazioni più povere. Al contempo, però, occorre fare campagne e noi abbiamo fatto un recente Protocollo in Marocco per aumentare la donazione volontaria nei vari Paesi, cercando di sollecitare gli studenti e quindi per poter contare su una donazione autonoma e su una autosufficienza nazionale.
D. - E’ quindi possibile rendere un giorno il sangue un bene a disposizione di tutti coloro che ne hanno bisogno, ovunque si trovino...
R. - Noi siamo convinti di sì. E’ chiaro che, però, serve l’aiuto di tutti.
Il macrocosmo in crescita delle sette religiose, da sempre al vaglio attento della Chiesa: un'analisi del fenomeno
◊ Le sette religiose sono un fenomeno in preoccupante espansione in tutto il mondo. Ieri all'Udienza Generale il Papa salutando i membri del Gruppo Ricerca e Informazione Socio-Religiosa ha ribadito l’importante impegno ecclesiale del GRiS, teso a presentare ai cristiani i pericoli connessi con la diffusione delle sette e dei movimenti religiosi alternativi. In Italia la polizia di Stato con la SAS, Squadra anti sette, lotta costantemente per liberare adulti e giovani caduti nella maglie di santoni e manipolatori. Insieme ad analisti, investigatori, psicologi anche don Aldo Bonaiuto dell'Associazione Papa Giovanni XXIII che ribadisce la necessità di segnalare al numero verde 800228866 ogni caso sospetto. Il servizio di Massimiliano Menichetti:
Guru, santoni, ciarlatani, manipolatori: è la realtà delle sette. Strutture diversissime, composte da poche persone fino ad arrivare a centinaia di adepti e in alcuni casi migliaia, con alla base lo stesso scopo: irretire chi è più fragile, isolarlo, manipolarlo, ottenendone la sottomissione; spesso ammantandosi di spiritualità e sacro. Aldo Buonaiuto, responsabile del Settore anti-Sette della Comunità Giovanni XXIII, attiva in 27 Paesi nel mondo:
R. - Le sette non hanno nulla a che vedere con il mondo religioso, casomai abusano del mondo del sacro, della spiritualità. Nascono con una finalità deviata, a sfondo - diciamo - "criminogeno", perché quando va bene come minimo c’è la truffa e comunque c’è sempre il raggiungimento di un profitto a danno di un altro.
D. - Ma come opera una setta e perché si aderisce?
R. - Tante, troppe storie partono proprio da uno stato di solitudine. Ci sono persone che devono affrontare da sole grandi problemi della vita, come momenti di grande sconforto, problemi di salute o anche problemi economici. E questi gruppi settari, di vario genere, sono pronti a focalizzare la persona da avvicinare, che è in uno stato di debolezza.
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Per il mondo giovanile, la realtà è ancora più complessa: specialmente il mondo preadolescenziale ed adolescenziale è sempre alla ricerca del contatto con il soprannaturale, ci si avventura, si gioca. E lì le sette approfittano di questa realtà facilmente reclutabile.
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I giovani, infatti, sono spesso vittime delle cosiddette “sette adoratrici del male” ed anche qui c’è il ribaltamento del significato di bene e di amore, il tutto ad appannaggio della disintegrazione dell’uomo. Ancora don Aldo:
R. - Le sette vogliono sempre far passare il male per il bene. Qui ci troviamo dinanzi al mondo denominato “acido giovanile”: l’esaltazione della morte, della violenza, di tutto ciò che è macabro viene presentato come un qualcosa di buono. Se noi non ci devastiamo, non ci divertiamo: queste sono le loro formule spaventose ed infernali.
Sette che fanno leva sui bisogni di chi è fragile o assecondano pericolose derive e in questo universo ci sono anche le "psico-sette":
R. - Le "psico-sette" mettono in atto una manipolazione mentale, provocando delle vere e proprie forme di schiavitù psicologia e quando poi la persona non serve più o diventa un pericolo, perché dubita della setta stessa, queste realtà sanno mettere in atto delle tecniche che possono indurre la persona anche al suicidio.
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Una volta che si è entrati in una setta è difficile uscirne. Ma come può avvenire una tale manipolazione? Anna Maria Giannini, docente di Psicologia Generale all’Università “La Sapienza” di Roma:
R. - Si induce a comportamenti che portano addirittura all’isolamento da tutto il sistema di riferimento: suggestioni e persuasioni, fino anche ad arrivare a riti complessi che a volte comportano sacrifici animali, sacrifici umani, ritualità veramente inquietanti e che - proprio per le loro caratteristiche - finiscono per convincere sempre di più la persona irretita che non ha alcuna possibilità.
Grazie all’amore dei parenti, degli amici, delle persone care e al sostegno psicologico di professionisti si riesce ad uscire da una setta, ma inevitabilmente si è deboli e diventa necessario un sostegno nel tempo. Ancora la prof.ssa Giannini:
R. - La convergenza di più operatività deve seguire il processo di fuoriuscita da questo meccanismo per più tempo, fino a che la persona non abbia raggiunto un completo recupero da un punto di vista psicologico, che consenta in qualche modo di non ricadere di nuovo vittima del fenomeno.
In Italia il fenomeno delle sette è talmente esteso e preoccupante che la Polizia di Stato ha dato vita alla SAS, la Squadra anti sette. La SAS interviene su segnalazione e in presenza di reati. Il fenomeno delle sette però non è solamente italiano. Ancora don Aldo Bonaiuto…
R. - In questo momento, in America Latina c’è un coinvolgimento delle sette nella società che è spaventoso, ma anche in Europa - soprattutto in questi ultimi 10 anni - e specialmente in Italia, in Spagna, in Portogallo ed anche nell’Est europeo.
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Di fronte alle tante derive che il mondo presenta, Benedetto XVI, nel suo ultimo viaggio in Brasile, ha esortato la Chiesa ad un’azione forte di evangelizzazione, così da rispondere ai bisogni primari dell’individuo. Ancora don Aldo:
R. - In fondo, questa ricerca che l’uomo vive, anche in modo sbagliato, indicata il bisogno di trovare una risposta del senso della vita, del sacro, di Dio. E, come dicevamo inizialmente, le sette se ne approfittano. Noi dobbiamo, quindi, impegnarci ad essere più responsabili; dobbiamo accompagnare, evangelizzare e soprattutto testimoniare la nostra fede.
Dopo le dichiarazioni del calciatore brasiliano, Ricardo Kakà, si rinnova l’attenzione per il valore della castità prima del matrimonio
◊ “Io e mia moglie abbiamo deciso di arrivare casti al matrimonio”: hanno suscitato ampia eco le dichiarazioni del 25.enne calciatore brasiliano, Ricardo Kakà. In un’intervista al settimanale Vanity Fair, il fuoriclasse del Milan ha sottolineato che tale scelta deriva dalla convinzione che, come insegna la Bibbia, “il vero amore si raggiunge solo con le nozze”. Le parole di Kakà, un esempio per molti giovani soprattutto nel suo Paese, hanno dunque messo l’accento sulla castità come valore e non come restrizione alla libertà della coppia. Ecco la riflessione del prof. Mario Binasco, docente al Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per studi su Matrimonio e Famiglia, intervistato da Alessandro Gisotti:
R. - Questo è un fatto che ha avuto certo impatto soprattutto perché, mi sembra, ha come risvegliato l’opinione, la gente, da un torpore tutto sommato conformistico. C’è una certa rassegnazione anche al fatto che la vita e il mondo va e deve andare in un certo modo. Kaka afferma di prendere sul serio - e credo che questo sia il punto fondamentale - certe esigenze e certe dimensioni dell’esperienza umana, quindi anche rispetto ai rapporti d’amore, ai rapporti sessuali che vanno decisamente al di là del modo ridotto con cui normalmente nella nostra società questi vengono concepiti.
D. - Dunque, anche dalla vicenda personale di Kaka, un giovane calciatore multimilionario, si può in fondo cogliere che la castità può essere vissuta non come privazione ma - come ha detto il Papa, peraltro recentemente - come baluardo di speranze future …
R. - Esatto. E ad esempio, anche il fatto della ricchezza, della bellezza, del successo credo siano fattori che possono colpire molto. Significa che non si può attribuire a povertà culturale o a soggezione - per esempio a delle situazioni di mancanza di soddisfazioni, eccetera - questo tipo di scelta così affermata e anche rivendicata come qualcosa di estremamente positivo, perché in quell’intervista Kaka dice appunto che la castità è stata fonte acnhe di un certo tipo di bellezza e di soddisfazione nel rapporto con la moglie. Credo che la frase del Papa “baluardo di speranze future” cada assolutamente a proposito, nel senso che la concezione che ci viene imposta di consumo dell’eros nella nostra società esclude radicalmente l’idea di futuro. E’ una pratica, è una concezione dell’amore e dell’eros che riduce al godimento presente - e per di più inflitto, obbligatorio in realtà, se andiamo bene a vedere - e dunque non scelto.
D. - Nel suo viaggio apostolico in Brasile - come noto, Ricardo Kaka è brasiliano - Benedetto XVI ha esortato i giovani a rispettarsi reciprocamente anche nell’innamoramento e nel fidanzamento. Una sfida, per i giovani di oggi...
R. - Sì, perché c’è sempre la tentazione umana dell’eros, dell’amore, di scindere dentro la persona del partner - di separare, di staccare dalla persona dell’altro - quel qualcosa che è ciò che in fondo ci dà soddisfazione, piacere, godimento e di considerarlo fuori, avulso, senza nesso con la persona dell’altro, come se si trattasse di tirar via dall’altro quel qualcosa che sarebbe solo soddisfacente, staccandolo dalla persona dell’altro che magari ci offre quel qualcosa, ce lo dà come segno del suo amore. Quindi, se noi lo stacchiamo, prendiamo solo qualcosa dall’altro respingendo, in fondo, l’altro: ecco che, in questo senso, si può dire che noi non rispettiamo l’altro nella sua realtà.
"Nel nome dell’uno e unico Dio fermate la violenza": l'appello dei leader religiosi della Terra Santa perché cessino gli scontri a Gaza
◊ Appello dei patriarchi e dei capi delle Chiese cristiane di Gerusalemme perchè cessino a Gaza tutti gli scontri sanguinosi. “Nel nome dell’uno e unico Dio, così come nel nome di ogni palestinese colpito, molti dei quali continuano a morire, chiediamo ai nostri fratelli dei movimenti Fatah e Hamas di ascoltare la voce della ragione, della verità e della saggezza” scrivono i leader religiosi. Nel messaggio chiedono il ritorno al “sentiero del dialogo” per “tentare di superare con la comprensione le divergenze”. “Vorremmo evidenziare che ciò che entrambe le parti hanno in comune è più grande delle loro differenze – si legge ancora nell’appello – La causa nazionale e per il territorio deve essere più grande di ogni altra considerazione”. “Chiediamo urgentemente ad entrambi i movimenti - concludono i leader cristiani - di deporre le armi” per porre fine all’occupazione “in maniera pacifica, basata sui fondamenti nazionali e sul diritto internazionale, così da garantire libertà a tutta la popolazione unita, con uno Stato palestinese indipendente con capitale Gerusalemme”. In un’intervista all’agenzia SIR, padre Pierre Grech, segretario generale della Conferenza dei vescovi latini nelle regioni arabe (Celra), spiega che in queste ore nella Striscia di Gaza, “la popolazione è attanagliata dal terrore e fortemente provata da condizioni di estrema indigenza. Serve fermare gli scontri per portare aiuto”. E da Gaza giunge anche l’appello di don Manuel Musallam, parroco della Chiesa della Sacra Famiglia che invita i fratelli di Fatah e di Hamas a porre fine ai conflitti. A pubblicarlo è il Juthouruna Youth Forum di Betlemme. Padre Musallam chiede di mettere da parte i fucili e di ricordarsi che i fedeli di Dio sono misericordiosi. “Fermate la violenza in nome del Corano e del Vangelo – ha detto – tornate alla vera fratellanza, cercate di aiutare i bisognosi, date da mangiare agli affamati, cercate di perdonare. Dite no alla guerra e sì all’unità”. Don Musallam ha aggiunto che le chiese e scuole cristiane sono aperte a tutti coloro che cercano il dialogo, invitando ad aver cura dei bambini che soffrono e di quanti vivono nella paura. (T.C.)
Le migrazioni al centro dell’incontro dei segretari generali delle Conferenze episcopali d’Europa, al via oggi a Minsk, in Bielorussia
◊ Da oggi a lunedì, si riuniscono a Minsk, in Bielorussia, i segretari generali delle 34 Conferenze episcopali d’Europa. All’incontro – riferisce il quotidiano Avvenire – partecipano anche il nunzio apostolico in Bielorussia, l’arcivescovo Martin Vidović, e il segretario generale della Commissione degli episcopati della Comunità Europea (COMECE), mons. Noel Treanor. Tema centrale dell’incontro, le migrazioni: verrà analizzata la situazione nei vari Paesi europei, cercando di mettere a fuoco i nodi problematici e le conseguenze per la pastorale delle Chiese. Altri argomenti all’ordine del giorno saranno la situazione della chiesa cattolica in Bielorussia; la collaborazione tra le Conferenze episcopali in Europa in ambiti pastorali urgenti come i mass-media, la responsabilità per il creato, i rapporti con i musulmani, il rapporto dell’Europa con l’Africa, la pastorale vocazionale; le questioni legate all’ecumenismo, in vista dell’incontro in programma a Sibiu, in Romania, dal 4 al 9 settembre 2007; il processo di unificazione europea a 50 anni dai Trattati di Roma. Il 15 giugno i segretari delle Conferenze episcopali incontreranno il metropolita di Minsk e Slutsk, Filaret. (R.M.)
Si apre domani a Gniezno, in Polonia, la VII Assemblea dei cristiani europei
◊ “Uomo - La via per l’Europa. Come rendere il nostro mondo più umano?”: a questo tema è dedicata la VII Assemblea dei cristiani europei, che si aprirà, domani a Gniezno, in Polonia, cui parteciperanno 250 organismi europei di diverse confessioni e comunità religiose, uomini di cultura, politici, operatori dei media. Tra gli altri interverranno il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato vaticano, il capo dello Stato polacco Lech Kaczynski, Hans Gert Poettering, presidente del Parlamento europeo, Joaquin Navarro Valls, già direttore della Sala Stampa Vaticana, il rabbino Irvin Greenberg, presidente del Consiglio direttivo del Museo dell’Olocausto a Washington e presidente dell’organizzazione “Jewish Life Network”. Gli organizzatori, oltre a valorizzare “la dimensione Ecumenica dell’Assemblea”, vogliono favorire “il dialogo con i rappresentanti delle religioni non cristiane”. Gli incontri di Gniezno, spiegano i promotori all'agenzia SIR, “dovrebbero contribuire al consolidamento, tra i membri delle organizzazioni cristiane europee, di un attivo atteggiamento evangelizzatore, aperto alle problematiche europee e al dialogo ecumenico ed interreligioso”. L’Assemblea, quindi, “è chiamata a testimoniare la responsabilità dei cristiani per l’Europa contemporanea, sottolineando il ruolo del cristianesimo quale fattore importante della crescita del vecchio continente”. (R.P.)
Presentato oggi il XXVIII Meeting per l'amicizia fra i popoli in programma a Rimini dal 19 al 25 agosto
◊ “La verità è il destino per il quale siamo stati fatti”: è il tema del XXVIII "Meeting per l'amicizia fra i popoli", che si svolgerà a Rimini dal 19 al 25 agosto 2007. Nell'arco di circa trent'anni, con le sue 400 mostre, tremila conferenze e cinquemila personaggi, l'incontro è ormai un evento sociale dai grandi numeri. "Il messaggio fondamentale che il Meeting vuole dare - ha spiegato Giancarlo Cesana, leader di Comunione e liberazione, il Movimento che da sempre promuove l’evento - è che la verità esiste, è vivibile e rende la vita migliore, tanto è vero che questa manifestazione dura ormai da 28 anni ed è sempre più coinvolgente". Sarà il cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, a celebrare la Messa di apertura il 19 agosto. Seguiranno centinaia di incontri attraverso i quali si cercherà di scoprire in che modo perseguire la ricerca della verità nei settori dell’economia, della cultura, della letteratura. Si metteranno a fuoco temi che spaziano dalla genetica ai rapporti con l’islam e le altre religioni e quest’anno, in modo particolare, si intende porre una continuità con il movimento scaturito dal Family Day del 12 maggio scorso. "E’ un programma ricchissimo dal punto di vista culturale - dice Eugenia Roccella già portavoce del Family Day - la verità scientifica, la verità dell’esperienza umana, la verità della condizione umana, sono tutti temi sui quali assolutamente è importante discutere e sui quali si può trovare un larghissimo incontro tra laici e cattolici, fra credenti e non credenti. Non è una questione che appartienga solo al mondo cattolico, la verità, appartiene a tutti". (A cura di Fabio Brenna)
I cristiani dell'India protestano contro la norma che vieta di professare fedi non indù
◊ Contro il divieto di professare fedi non indù a Tirumala, in India, la Federazione di tutte le Chiese dell’Andhra Pradesh (Apfc) vuole presentare un ricorso legale perché vengano garantiti i diritti costituzionali. In una dichiarazione, padre Anthoniraj Thumma, segretario dell’Apfc, scrive l’agenzia AsiaNews, definisce la decisione delle autorità civili “contro i diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione” discriminante contro i non indù ai quali verrebbe negata “non solo la libertà religiosa, ma anche la libertà di movimento e il diritto alla propria vita e ai mezzi di sostentamento, specie ai cristiani già oggetto di discriminazioni nella zona”. Il 24 maggio il governatore dell’AP, Rameshwar Thakur, ha emanato un’ordinanza che proibisce la propagazione di altre religioni nei luoghi di culto e di preghiera di Tirumala e in altri templi indù. Per i trasgressori sono previsti il carcere o gravi multe. Il primo ministro dell’Andhra Pradesh, il cristiano Y S Rajasekhar Reddy, il 9 giugno ha giustificato la norma con la volontà di rispettare i sentimenti della popolazione e di salvaguardare la legge e l’ordine dal pericolo di scontri religiosi. Ha anche detto che nella prossima sessione del parlamento ciò sarà oggetto di un disegno di legge. (T.C.)
Disagi in Sudafrica per lo sciopero degli impiegati pubblici. I vescovi chiedono che vengano assicurati i servizi fondamentali
◊ Le gravi ripercussioni sociali dello sciopero nel settore pubblico in Sudafrica preoccupano i vescovi del Paese. La protesta è nata in seguito al mancato accordo sugli aumenti salariali. Il governo ha proposto un incremento del 7,25 per cento mentre i sindacati che in un primo tempo reclamavano il 12 per cento, sono scesi al 10. In un comunicato firmato da mons. Buti Joseph Tlhagale, arcivescovo di Johannesburg e presidente della Southern African Catholic Bishops’ Conference, SACBC, riferisce l’agenzia Fides, l’episcopato scrive che “gli impiegati pubblici sono un elemento vitale nella gestione di qualsiasi Stato e devono essere trattati con la dignità e il rispetto che meritano. A questo proposito, il dibattito sull’aumento del salario a livello del Parlamento e dell’Esecutivo e il rifiuto di pagare un giusto salario negli altri settori dello Stato, pone un serio problema morale”. “La nostra Costituzione – precisano i vescovi – sostiene il diritto democratico allo sciopero, ma solo come ultima risorsa, quando tutte le possibilità di negoziato sono esaurite. Il fatto che vi siano stati 8 mesi di negoziato prima dell’inizio dello sciopero, il primo giugno, pone la questione se i negoziati siano stati fatti in buona fede”. La Conferenza episcopale denuncia “l’aumento delle intimidazioni” nelle scuole e negli ospedali. Episodi, affermano i vescovi, che “ci preoccupano molto come Chiesa. Impedire ai bambini di andare a scuola e abbandonare le persone malate sono azioni che non possono essere condonate. Chiediamo dunque che lo sciopero si svolga in modo legale”. L’episcopato lancia anche un appello perché “coloro che sono decisi a molestare e a intimidire i non scioperanti” desistano “dai loro atti di bullismo”. “Alcune persone hanno perso la vita durante lo sciopero dei servizi di sicurezza e dei bus – si legge ancora nel comunicato dei vescovi – ed esiste una responsabilità morale per queste morti. Il diritto di sciopero non deve mettere in pericolo la vita delle persone, in particolare negli ospedali, dove deve essere sempre presente personale adeguato”. La Conferenza episcopale conclude il messaggio chiedendo alle parti coinvolte “di tornare al tavolo negoziale e trovare un compromesso il più rapidamente possibile”. A causa dello sciopero, il più grave dal 1994, diverse scuole private sono state costrette a chiudere per le intimidazioni ricevute. Sono bloccati inoltre i servizi municipali e privati, i lavoratori del comparto si sono infatti fermati in segno di solidarietà con i loro colleghi statali. Fermi pure tribunali e trasporti pubblici, l’immondizia non viene raccolta, gli ospedali non accolgono i pazienti e non assicurano un’assistenza adeguata ai degenti. (T.C.)
Allarme ONU: un quinto della popolazione del Lesotho rischia la morte per fame a causa della siccità
◊ Quasi un quinto degli oltre due milioni di abitanti del Lesotho, in Africa, rischia la morte per fame. L’allarme è lanciato da due enti dell’ONU: il Food and Agricolture Organization (FAO) e il Programma Mondiale Alimentare (PAM). Circa 400 mila abitanti del Paese, secondo le stime delle Nazioni Unite, hanno bisogno, per sopravvivere, di 30 mila tonnellate di cereali e di 7 mila tonnellate di altri generi alimentari. Temperature elevate e scarse piogge hanno provocato enormi danni alle coltivazioni. La siccità di quest’anno è ritenuta – secondo l’agenzia MISNA – la più grave dell’ultimo trentennio. La situazione risulta essere particolarmente grave per le famiglie il cui sostentamento dipende esclusivamente dall’agricoltura. (B.B.)
I futuri 498 beati della Chiesa cattolica morti in Spagna nel ‘900 sono martiri della persecuzione religiosa e non della guerra civile. Lo sottolinea un dossier dell'Ufficio delle Cause dei Santi
◊ I 498 futuri beati della chiesa cattolica non sono “martiri della guerra civile spagnola”, ma della “persecuzione religiosa”. A sottolinearlo è un dossier dell’Ufficio per le Cause dei Santi e dell’Ufficio Informazioni della Conferenza Episcopale Spagnola. “Le guerre hanno caduti – si legge nel documento – le repressioni politiche hanno vittime. Solo le persecuzioni religiose hanno martiri. Non diciamo, quindi, - prosegue il testo - martiri della guerra civile, perché non sarebbe esatto a livello cronologico e tecnico”. La beatificazione dei 498 martiri della persecuzione religiosa avrà luogo il 28 ottobre a Roma. Tra i perseguitati ci sono 2 vescovi, 24 sacerdoti diocesani, 462 membri di Istituti di Vita Consacrata, un diacono, un suddiacono, un seminarista e 7 laici. Tutti hanno perso la vita tra il 1934 e il 1937. “La beatificazione contribuirà – conclude il documento, riportato dall’agenzia Zenit – a non dimenticare il grande segno di speranza che rappresenta la testimonianza dei martiri”. (B.B.)
L’Aiuto alla Chiesa che Soffre quest’anno non pubblicherà il “Rapporto annuale sulla libertà religiosa” per mancanza di fondi
◊ Il “Rapporto annuale sulla libertà religiosa nel mondo”, quest’anno non potrà essere pubblicato. Troppo alto il costo da sostenere per l’associazione Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS), che ne sostiene le spese. “Ma l’iniziativa non scomparirà – sostiene il direttore dell’ACS Italia, Attilio Tamburrini – probabilmente se ne prenderà carico la direzione internazionale”. Il rapporto, sostiene l’agenzia SIR, è un documento utilizzato da giornalisti e studiosi per conoscere le persecuzioni, le limitazioni o le aperture nei confronti della religione cristiana. L’ACS dispone di diversi uffici in tutto il mondo e sono milioni i donatori che ogni anno, grazie alle loro offerte, permettono il finanziamento delle missioni nei Paesi dove il cristianesimo è contrastato. (B.B.)
Domani, a Trento, la presentazione del "Pellegrinaggio dei giovani alla croce dell'Adamello"
◊ Sarà presentato domani, a Trento, il "Pellegrinaggio dei giovani alla croce dell'Adamello", iniziativa che quest'anno si inserisce nel cammino dell'Agorà dei giovani italiani, il triennio pastorale che avrà come primo appuntamento l'incontro con Benedetto XVI a Loreto l'1 e 2 settembre 2007, e nel percorso verso "Sydney2008". L'iniziativa del pellegrinaggio alla Croce dedicata a Giovanni Paolo II, riferisce l'Agenzia Sir, insieme al seminario residenziale dell'Agorà dei giovani che conclude i moduli di formazione per i capi-equipe dei volontari, sarà illustrata nell'ambito dei tradizionali "Incontri del venerdì", organizzati dalla Provincia autonoma di Trento. Ad illustrare l’iniziativa, oltre alle istituzioni comunali e provinciali saranno Faustino Pedretti, presidente del comitato per il pellegrinaggio dei giovani, don Marco Saiano, incaricato diocesano per la pastorale giovanile, don Domenico Pompili, direttore dell'Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali della Cei. (R.P.)
Atmosfera incandescente in Libano. Un’autobomba sul lungomare di Beirut ha ucciso il deputato antisiriano, Walid Eido. Una decina in tutto le vittime dell’attentato
◊ Tensione altissima in Libano, dopo l’attentato di ieri sul lungomare di Beirut, costato la vita al deputato anti-siriano Walid Ido, a suo figlio e ad altre 8 persone. Decretata in tutto il Paese una giornata di lutto nazionale, mentre è unanime la condanna nel mondo. Intanto, l’intera area mediorientale è in preda a una pericolosa destabilizzazione. E’ come se “il mondo arabo stesse affrontando la prima grande guerra”, questo il titolo della recente analisi di Alberto Negri, inviato speciale de "Il Sole 24 Ore". La riflessione del giornalista intervistato da Giancarlo La Vella:
R.- Forse è in atto, a 40 anni dalla disfatta araba del ’67, una sorta di prima guerra mondiale del Medio Oriente allargato, quella fascia che va dal Mediterraneo fino al Golfo Persico e al Caucaso. In questa area, sono in atto tutta una serie di conflitti, alcuni dei quali sono sotto gli occhi di tutti, ma perfino difficili da descrivere, talmente sono intricati, attorcigliati tra di loro gli eventi.
D. – Ci sono, tra le varie crisi, dei collegamenti, secondo te?
R. – Certo, sicuramente ci sono dei collegamenti. Lo rilevava credo, con molta precisione, l’inviato dell’ONU in Libano, Larsen, il quale ha una lunga esperienza in questa regione, e secondo il quale ormai tutti questi conflitti sono tra di loro interconnessi. Ma se vogliamo proprio individuare un punto di svolta, questo è stata sicuramente il conflitto in Iraq, che ha scatenato il conflitto tra sciiti e sunniti e che, in qualche modo, oggi, percorre in un modo o nell’altro quasi tutta la regione.
D. – Secondo molti, alla base di tutto, c’è la non soluzione della questione palestinese. Risolvendo questo problema si potrebbe poi pian piano portare stabilità in tutta la regione?
R. – Credo che non si possa trovare una soluzione per tutti i problemi. Sarebbe già importante cercare di risolverne uno. Ma, come abbiamo visto già negli anni precedenti, attaccare un problema e cercare di risolverlo è molto difficile. Che cosa si può fare allora? Cercare di non creare altri problemi. La guerra in Iraq ha creato altri problemi in questa regione, che si sono accumulati a quelli più antichi, e aggiungerne degli altri diventerebbe in qualche modo esiziale. - In Iraq, tre moschee sunnite sono state attaccate e bruciate stamani da uomini armati a sud di Baghdad, il giorno dopo che sospetti militanti legati ad Al Qaeda hanno fatto saltare in aria i due minareti della moschea sciita di Samarra, già peraltro danneggiata nel febbraio 2006. Intanto, un giornalista dell’agenzia di stampa irachena "Aswat al Iraq", Aref Ali Flayeh, è rimasto ucciso nell'esplosione di ordigno nella cittadina di Khalis, a Nord di Baghdad.
- L’Iran ormai padroneggia il processo di arricchimento dell’uranio ed è troppo tardi anche solo per prendere in considerazione l'ipotesi di sospendere questo lavoro, come chiede l'ONU. Lo ha detto l'ambasciatore iraniano presso l'AIEA, Ali Asghar Soltanieh, minacciando un’ulteriore riduzione della collaborazione con l'Agenzia internazionale per l'energia atomica, qualora le Nazioni Unite imponessero nuove sanzioni su Teheran.
- Ha preso il via stamani il "disgelo" di alcuni fondi della Corea del Nord: si tratta di conti bancari congelati per decisione americana a Macao. Gli Stati Uniti, infatti, avevano fatto bloccare nel settembre del 2005 circa 25 milioni di dollari di conti correnti intestati a Pyongyang, affermando che si trattava di denaro proveniente dal riciclaggio. La misura era stata presa come sanzione contro il programma nucleare nordcoreano. - L'installazione in Europa di alcuni componenti dello scudo spaziale americano e la missione in Afghanistan. Sono questi i temi più importanti nell'agenda del Consiglio dei ministri della difesa della NATO, che si è aperto questa mattina a Bruxelles. Il vertice, che tenterà di trovare una soluzione alle due problematiche, proseguirà fino a domani.
- Il cancelliere tedesco e presidente di turno dell’Unione Europea, Merkel, ha detto al Bundestag che “non c’è ancora una soluzione” sulla questione della costituzione UE. L’Unione non ha ancora una posizione unica in vista del vertice del 21-22 giugno a Bruxelles e, secondo la Merkel, sarebbe accettabile “solo qualcosa che aiuti l'Europa a funzionare”. Intanto, si rafforza la convergenza franco-spagnola, mentre il presidente francese, Sarkozy, è oggi a Varsavia per perorare il progetto di Trattato. Domani sarà la volta del premier spagnolo, Zapatero.
- Due militari turchi sono stati uccisi in scontri con il PKK nella Turchia orientale: si tratta di un maggiore e un soldato di leva. Dall'inizio del 2007, sono oltre 50 i militari turchi uccisi per mine o scontri a fuoco con l’organizzazione separatista curda.
- Ci spostiamo in Africa. Continua la serie di violenze e scontri in Somalia, poche ore dopo il fallimento del secondo tentativo di avviare una conferenza di pace, ancora una volta rimandata. Militanti islamici somali, questa mattina, hanno ucciso un responsabile locale a Mogadiscio e hanno sferrato, durante la notte, un altro attacco contro militari etiopici. Quest’ultimo episodio, in cui è rimasto ucciso un civile, è stato uno dei più violenti delle ultime settimane.
- Sudafrica paralizzato dallo sciopero generale che ieri ha bloccato anche Johannesburg. Migliaia di lavoratori hanno marciato per solidarietà con gli impiegati pubblici contro le politiche economiche del presidente Thabo Mbeki. Le mobilitazioni in ospedali, scuole e uffici sono cominciate il primo giugno, con gravi ripercussioni sui servizi ai cittadini.
- La polizia della provincia centrale cinese dell'Henan ha liberato 217 persone, tra cui 29 bambini, che venivano tenuti in condizioni di semischiavitù in fabbriche di mattoni. Lo ha riferito l’agenzia Nuova Cina.
- Un uomo di 29 anni è morto per influenza aviaria a Sumatra, facendo salire a 80 il bilancio delle vittime della malattia in Indonesia. Lo ha detto il capo della commissione per il controllo dell'aviaria. (Panoramica internazionale a cura di Roberta Moretti)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LI No. 165
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