RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno LI n. 22 - Testo della trasmissione di lunedì 22 gennaio 2007
IL PAPA E LA SANTA SEDE:
Siglato
protocollo addizionale al concordato tra la Santa Sede e lo Stato libero di Baviera
Dal
Papa il cardinale Jean-Louis Tauran
per la presentazione del papiro Bodmer XIV-XV
OGGI IN PRIMO PIANO:
Scomparso
a 94 anni l’Abbé Pierre,
icona di carità e solidarietà: ce ne parla Graziano Zoni
CHIESA E SOCIETA’:
Almeno 67 morti e 110 feriti: ennesima strage a
Baghdad in un duplice attentato
22 gennaio 2007
IL
MONTENEGRO SIA LUOGO PRIVILEGIATO PER L’ECUMENISMO ED OFFRA
IL SUO
CONTRIBUTO ALLA COSTRUZIONE DELL’EUROPA: COSI’, BENEDETTO XVI NELL’UDIENZA DI
STAMANI AL PRIMO AMBASCIATORE DELLA REPUBBLICA
MONTENEGRINA
PRESSO LA SANTA SEDE, DOPO LO STABILIMENTO
DELLE
RELAZIONI DIPLOMATICHE DEL 6 DICEMBRE SCORSO
Il Montenegro continui ad essere un luogo privilegiato dell’incontro
ecumenico: è l’esortazione rivolta da Benedetto XVI all’ambasciatore della
Repubblica montenegrina, Antun Sbutega,
ricevuto stamani per la presentazione delle Lettere credenziali. L’udienza
riveste un significato particolare: l’ambasciatore Sbutega
è, infatti, il primo rappresentante dello Stato del Montenegro ad essere
ricevuto dal Papa, dopo lo stabilimento delle relazioni diplomatiche con
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“Ogni cattolico è ben cosciente delle prerogative dello
Stato, ma al tempo stesso è altrettanto conscio dei propri doveri nei confronti
degli imperativi evangelici”. E’ il richiamo del Papa nel discorso
all’ambasciatore montenegrino. Intervento nel quale ha messo l’accento sulla
caratteristica del Montenegro quale “luogo privilegiato di quell’incontro
ecumenico che è da tutti auspicato”. D’altro canto, ha rilevato, “anche
l’incontro tra cristiani e musulmani ha trovato in Montenegro realizzazioni
convincenti”. “Occorre proseguire su questa strada”, ha aggiunto. Una strada
sulla quale la Chiesa si augura che tutti convergano nell’impegno di unire gli
sforzi a servizio della “nobiltà dell’essere umano”.
Proprio in questo impegno, è stata la sua riflessione, la
Chiesa vede “una parte significativa della sua missione a servizio dell’uomo
nella sua interezza di pensiero, di azione, di progettazione, nel rispetto
delle tradizioni che identificano una terra come tale”. Una parte importante
del discorso, il Papa l’ha dunque dedicata al rapporto in Montenegro tra la
comunità cattolica e gli ortodossi, incoraggiando la prosecuzione di “un
dialogo fraterno con l’Ortodossia, tanto presente e viva nel Paese”. Anche
oggi, ha rilevato, “occorre approfondire tale atteggiamento costruttivo” per
servire questo popolo che, “con grande apertura d’animo”, guarda
contemporaneamente “sia ad Oriente che ad Occidente, ponendosi come ponte tra
l’una e l’altra realtà”. In piena cordialità, è stato il suo auspicio, “è
possibile stabilire quelle intese che vanno a beneficio del Paese e della comunità
cattolica, senza minimamente ledere i legittimi diritti di altre comunità
religiose”. Una via, “imboccata dall’Europa odierna”, che il Montenegro “intende
percorrere con tanta speranza”.
Il Pontefice si è detto certo che “il Montenegro non
mancherà di dare il proprio attivo apporto sia nell’ambito civile, quanto in
quello politico, sociale, culturale e religioso” in campo europeo. Ancora, ha
auspicato che nel Montenegro si rafforzi lo “stato di
diritto nei vari ambiti della vita pubblica”, mediante l’adozione di
“provvedimenti che garantiscano l’effettivo godimento” dei diritti previsti
dalle leggi fondamentali dello Stato. Uno sforzo che promuoverà la “crescita
nei cittadini della fiducia sociale”, traducendosi anche in una “generale
maturazione della cultura della legalità”.
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Nato a Kotor, nel 1949,
l’ambasciatore Antun Sbutega
è sposato ed ha tre figli. E’ stato preside del Dipartimento economico
dell’Università di Podgorica dal 1977 al 1991, anno
in cui è emigrato in Italia con la famiglia. Tra il 1994 e il 2006 ha prestato
servizio presso
DA BENEDETTO XVI, PRESULI DELLA CONFERENZA
EPISCOPALE ITALIANA PROVENIENTI DALLA REGIONE EMILIA ROMAGNA IN VISITA AD LIMINA
- Con
noi, il cardinale Carlo Caffarra -
Questa mattina, Benedetto XVI ha ricevuto in Vaticano
presuli della Conferenza episcopale italiana provenienti della Regione Emilia
Romagna in visita ad Limina.
Secondo i dati dell’archivio dell’Istituto per il
sostentamento del clero, aggiornati al 28 febbraio 2006, la regione
ecclesiastica Emilia Romagna comprende 4.1143.051 abitanti distribuiti in 15
diocesi. Le parrocchie sono circa 2700, oltre 2.300 i sacerdoti secolari, 807
quelli regolari e 353 i diaconi permanenti.
In particolare, la diocesi di Bologna ha poco più di 900 mila abitanti.
Sono 405 le parrocchie, 425 i sacerdoti secolari, 275 quelli regolari e 98 i
diaconi permanenti. Ma cosa è cambiato in questi anni nel territorio?
Massimiliano Menichetti lo ha chiesto all’arcivescovo di Bologna, il cardinale
Carlo Caffarra:
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R. – A me sembra che dei cambiamenti “radicali” non ci
siano stati, ma è continuato quel processo di secolarizzazione che un po’
caratterizza la nostra società italiana e che qui, nella nostra regione, direi
che è particolarmente intenso. Dall’altra parte, però, si è molto approfondita
la missione e la presenza della Chiesa nel suo impegno di evangelizzare il
popolo emiliano-romagnolo, di educare nella fede.
D. – Quali sono le urgenze che vive la regione e quali,
invece, i punti di forza?
R. – Le urgenze, a mio giudizio, si riducono
sostanzialmente ad una sola: quella di rinforzare nella fede, nel Signore Gesù,
questo popolo cristiano; e i punti di forza sui quali tutti i vescovi stanno
insistendo sono la catechesi, specialmente delle generazioni giovanili, la cura
dell’istituto matrimoniale e familiare e, devo dire per ciò che ci riguarda più
direttamente, anche una grande cura del momento propriamente liturgico della
vita della Chiesa.
D. – Sconfiggere il secolarismo, educare nella fede:
questa è una grande sfida che stanno affrontando molte parrocchie dell’Emilia-Romagna, anche con ottimi risultati. Secondo lei, è
così?
R. – Io penso di sì. Grazie a Dio, ci sono forti
espressioni di questa presenza cristiana nella nostra comunità regionale, direi
proprio a tutti i livelli della vita della persona umana.
D. – L’Emilia Romagna, l’anno scorso, è stata al centro di
una forte polemica per aver dato il via libera
all’utilizzo della pillola abortiva RU486 negli ospedali. Quest’anno, la
regione discuterà il disegno di legge che mira ad estendere i diritti di
famiglia anche alle coppie di fatto o ai cosiddetti “amici solidali”. In
sintesi: vita e famiglia sono diventate una frontiera per la Chiesa, per la pastorale?
R. – Non c’è alcun dubbio che siano una frontiera, “la”
frontiera in un certo senso. Sono i punti in cui si ha il confronto più forte,
lo scontro più forte fra la proposta cristiana, una proposta ragionevole, circa
l’uomo, e questa cultura della morte, come la chiamava Giovanni Paolo II che,
avendo sconnesso l’esercizio della libertà dalla verità circa il bene, conduce
a vere e proprie devastazioni della dignità dell’uomo.
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SIGLATO
PROTOCOLLO ADDIZIONALE AL CONCORDATO
TRA LA SANTA SEDE E LO STATO LIBERO DI BAVIERA
- A
cura di Alessandro Gisotti -
Nella storica cornice del “Palazzo Principe Carlo” di
Monaco di Baviera è stato firmato, venerdì scorso, un Protocollo Addizionale al
Concordato con la Baviera del 29 marzo 1924, che regola alcune questioni
riguardanti l’insegnamento della teologia sia nelle Facoltà di Teologia
Cattolica delle università statali sia in altri Centri di istruzione della
Baviera. Per la Santa Sede ha firmato il nunzio apostolico in Germania, mons. Erwin Josef Ender,
mentre per lo Stato Libero di Baviera, ha siglato l’accordo il
ministro-presidente Edmund Stoiber.
In particolare, il documento stabilisce nuove norme per le
Facoltà di Teologia Cattolica delle Università di Bamberga
e di Passavia, che rimarranno quiescenti per quindici
anni a partire dall’entrata in vigore dell’accordo. Durante tale periodo,
entrambe le istituzioni continueranno ad esistere come Istituti di Teologia
Cattolica.
IN
UDIENZA DAL SANTO PADRE IL CARDINALE JEAN-LOUIS TAURAN
PER
- A
cura di Giovanni Peduto -
In fine mattinata il cardinale Jean-Louis Tauran, archivista e
bibliotecario di Santa Romana Chiesa, ha presentato al Pontefice il Papiro Bodmer XIV-XV, dell’inizio del III secolo, contenente ampi
frammenti dei Vangeli di Luca e di Giovanni.
Questo papiro, conservato
finora a Cologny, presso Ginevra, dalla Fondazione Bodmer, cui apparteneva, è stato donato alla Biblioteca
Apostolica Vaticana. E’ uno dei più importanti testimoni del testo del Nuovo
Testamento, di immenso valore critico e storico.
Stamattina il papiro è stato
presentato a Papa Benedetto XVI dal cardinale Tauran,
accompagnato dal prefetto della Biblioteca Apostolica Vaticana, il vescovo
Raffaele Farina; dal donatore Frank Hanna e dalle altre persone che hanno consentito l’arrivo
del papiro alla Biblioteca Vaticana.
LA SETTIMANA DI PREGHIERA PER L’UNITA’ DEI CRISTIANI:
IL PUNTO SUL DIALOGO
DELLA
CHIESA CATTOLICA CON LE CHIESE BATTISTA E RIFORMATA
E CON
IL CONSIGLIO ECUMENICO DELLE CHIESE
-
Intervista con mons. John Radano -
“Superare le divisioni in
epoche passate”. Ancora una volta, Benedetto XVI ha espresso ieri all’Angelus
un auspicio di comunione sullo sfondo della Settimana di preghiera per l’unità
dei cristiani, che si concluderà giovedì prossimo. In seno al dicastero
pontificio dedicato a questo aspetto, mons. John
Radano si occupa del dialogo ecumenico su tre diversi fronti: con l’Alleanza
Mondiale Battista, con l’Alleanza Mondiale delle Chiese Riformate e con il
Consiglio Ecumenico delle Chiese, particolarmente con
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R. - Con l’Alleanza Mondiale
Battista abbiamo cominciato una seconda fase di conversazione internazionale.
La prima si è conclusa 17 anni fa. Il tema della seconda fase è “
D. - E per quanto concerne il
dialogo con l’Alleanza Mondiale delle Chiese Riformate, quali novità ci sono?
R. - Nel 2006, per la prima
volta, c’è stata una visita ufficiale a Roma da parte di una delegazione
guidata dal presidente, insieme al segretario generale ed altri tre membri
dell’Alleanza Mondiale delle Chiese Riformate. Questa è stata la prima volta
che l’Alleanza ha mandato una sua delegazione ufficiale, che ha avuto un
incontro con il Santo Padre ed una riunione al nostro Pontificio Consiglio e al
Pontificio Consiglio per
D. - Nel dialogo tra Chiesa
cattolica e Consiglio Ecumenico delle Chiese, lei segue in maniera particolare
i rapporti con
R. -
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Servizio vaticano - "L'ecumenismo è un
ascoltarsi e parlarsi": Benedetto XVI guida l'Angelus domenicale nel cuore
della Settimana di preghiera per l'Unità dei Cristiani e ricorda che l'anelito
ecumenico è un'esperienza profonda ed un compito che tutti possono svolgere.
Il discorso del Papa al primo ambasciatore del
Montenegro. Nell'occasione il Santo Padre ha sottolineato la necessità di una
giusta considerazione delle obiettive esigenze della pratica religiosa di
ciascuno.
Servizio estero - In evidenza l'Iraq: ancora una
carneficina a Baghdad.
Servizio culturale - Un articolo di Susanna Paparatti dal titolo "Una pittura rivoluzionaria,
sanguigna e impulsiva che catalizzò l'attenzione di generazioni di
giovani": novantasei dipinti della "schola"
del Caravaggio in mostra al Palazzo Chigi di Ariccia.
Per la rubrica "Approfondimenti" due
pagine dedicate al dibattito sulla presunta "crisi dei
classici". I titoli portanti sono: "La povertà di chi non sa
guardare indietro"; "Ma il malato esiste
davvero?".
Servizio italiano - Governo: tre tavoli; liberalizzazioni
in arrivo. Incontro a Palazzo Chigi con i sindacati.
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22 gennaio 2007
COMMOZIONE
IN FRANCIA E NEL MONDO PER LA SCOMPARSA DELL’ABBÉ PIERRE,
FONDATORE
DELLA COMUNITA’ EMMAUS CHE DA 60 ANNI ACCOGLIE E ASSISTE
I PIU’ POVERI DI OGNI PARTE DEL MONDO
-
Intervista con Graziano Zoni -
Tutta la Francia è “colpita al cuore”: con queste
parole il presidente Jacques Chirac
ha espresso il cordoglio dei propri connazionali per la morte dell’Abbé Pierre, una delle personalità
del cattolicesimo francese e internazionale al cui nome e alla cui opera è
legata da quasi 60 anni un’intensa attività caritativa. Il religioso si è
spento la notte scorsa, all’età di 94 anni,
nell’ospedale Val de Grace di Parigi dove era stato
ricoverato il 15 gennaio. Grande il dolore della Chiesa francese, che ha
affidato i sentimenti suscitati dalla morte dell’Abbé
Pierre a un comunicato dei vescovi nel quale si
riconosce, nella figura del religioso, “la generosità, la solidarietà,
l’attenzione per i più diseredati”. Ripercorriamo allora qualche tappa della
vita dell’Abbé Pierre in
questo servizio di Alessandro De Carolis:
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(musica)
C’è San Francesco dietro la decisione di farsi sacerdote
di Henri Antoine Groués, che il mondo imparerà a conoscere come l’Abbé Pierre. Un viaggio ad Assisi
che compie a 16 anni lo spinge qualche tempo dopo ad emulare il Poverello, lasciando i beni terreni per inseguire quelli
dell’anima. Originario di Lione, dove nasce il 5 agosto 1912, Henri Antoine sceglie la filosofia
e la teologia che studia per sette anni nel convento di clausura dei Cappuccini
di Lione. Ma quel riparo fatto di preghiera e sacro isolamento non sarà il
segno distintivo della sua vita. Divenuto sacerdote nel 1938, lascia per motivi
di salute il convento e pochi anni dopo, quando la seconda Guerra mondiale
incendia l’Europa e il nazismo travolge la Francia, il
30.enne Henri
Antoine mostra la tempra che lo sorreggerà più tardi
nella sua straordinaria missione di carità. E’ il 1942 quando
si trasforma in guida alpina che aiuta, a rischio della vita, ebrei e polacchi
a valicare Alpi e Pirenei. Tra quelle montagne nasce la storia dell’Abbè Pierre, uomo votato alla
solidarietà.
Nel 1948, il suo amore per gli ultimi mette la prima
pietra. Il primo nucleo della Comunità Emmaus, da lui
fondata, è ospitato da una vecchia casa di Neuilly Plaisance, alla periferia di Parigi, abitata da orfani, i
futuri uomini - dice - di una “società più umana”. Le strade
di Francia prima e del mondo poi cominciano a popolarsi di
“stracciaioli”, i primi costruttori di una pietà capace di fermarsi fra gli
invisibili delle città: barboni, senzatetto, disperati. Così lo stesso Abbé Pierre ricorda uno di quei
momenti, in un’intervista ai nostri microfoni di sette anni fa:
“
A Boulevard Sébastopole, nel
cuore di Parigi, a poche centinaia di metri dal Théatre
du Châtelet, avevamo
raccolto un’anziana donna agonizzante. Credevamo che fosse un
mucchio stracci. I miei compagni mi avevano detto: ‘Padre,
aspetti, ci sono degli stracci da raccogliere’. Noi
passavamo le notti per le strade a distribuire coperte e cibo
alle persone che dormivano sui marciapiedi: l’inverno precedente, a Parigi,
aveva fatto fino a -15, -18 gradi. Quando ci siamo fermati vicino a questo
mucchio di stracci, ci siamo accorti che era una donna anziana, che stava
agonizzando. L’abbiamo raccolta e trasportata al commissariato di polizia, dove
sapevamo che ci sarebbe stato un po’ di calore... Quando
siamo arrivati, era morta. Su di sé non aveva – quando
i poliziotti l’hanno perquisita – altro che una sola carta: era la “carta blu”,
come si chiama in Francia, dell’ufficiale giudiziario che la mattina del giorno
prima l’aveva cacciata di casa perché era in ritardo con l’affitto della
mansarda nella quale viveva”.
L’esperienza di Emmaus è
contagiosa. L’Abbé Pierre
viaggia nei continenti e con lui il suo carisma di amore. “Servire e far
servire per primi i più sofferenti è la sorgente della vera Pace” è uno dei
suoi motti. La Comunità arriva a radicarsi in 50 Paesi del mondo. Nel 1981, la Francia lo insignisce con la Legion
d’Onore; nel 1991 ottiene il Premio Balzan per la
Pace. Libri e film parlano di lui e dei suoi discepoli. A un libro Abbé Pierre, ormai anziano e
malato ma sempre attivo, affida nel 2005 una confessione su aspetti delicati
della sua vita privata e su altri argomenti come il celibato sacerdotale. Un
libro che termina con una semplice e schietta “lettera a Dio”, citata
all’inizio della dichiarazione della Conferenza episcopale francese, firmata
dal presidente, il cardinale arcivescovo di Bordeaux, Pierre
Ricard: “Padre - scrive l’Abbé
Pierre – attendo dopo così lungo tempo di vivere alla
vostra totale presenza che è, non ne ho mai dubitato, malgrado tutto, l’Amore”.
(musica)
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La morte dell’Abbé Pierre ha suscitato un’ondata di commozione prima di tutto
nelle numerose case della Comunità Emmaus sparse nel
mondo. Alessandro De Carolis ha raccolto la testimonianza
del presidente di Emmaus Italia, Graziano Zoni:
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R. - Lui, negli ultimi anni, quando non poteva più fare
quello che avrebbe voluto, sia per il movimento sia per le realtà di
ingiustizia e di esclusione che ci sono nel mondo, aveva incominciato a
concludere tutti i suoi pensieri nelle nostre riunioni dicendoci:
“Continuiamo”. Ultimamente, diceva anche: “Continuate”. Ecco: la sua consegna,
il suo testamento, è chiaro.
D. - C’è un “prima” e un “dopo” in un movimento, in una
comunità, quando scompare il fondatore. Come vede il presente e il futuro della
Comunità Emmaus?
R. - In un Movimento così ampio e presente in 50 Paesi,
con diversità culturali, storiche eccetera, qualche cambiamento può darsi che
ci sia. Prima era lui, sicuramente, il “collante” che
univa e ammorbidiva gli inevitabili conflitti di un movimento così grande.
Adesso, spetta a noi, soprattutto in chi ha maggiori responsabilità, svolgere
questo ruolo.
D. - Che ricordo conserva dell’Abbé
Pierre?
R. - Mi è difficile scegliere tra i tanti. Il momento che
ricordo molto bene è quello del mio primo incontro con lui, a Palazzo Vecchio,
a Firenze. Era il marzo 1971 e lui rientrava dal Bangladesh, che nasceva allora
dopo la guerra con l’India. Lui rientrò e lanciò l’idea dei Comitati cittadini
di gemellaggio con i villaggi del Bangladesh. Tenne una conferenza a Palazzo Vecchio,
a Firenze, e il fatto di guardarci negli occhi - quei suoi occhi che
penetravano nel profondo - è stato un tutt’uno con
l’impegnarmi nel Movimento. E da lì, ho svolto quello che anche lui mi ha
chiesto, sia in Italia che fuori, via via nel corso
di questi 35 anni.
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Elezioni in Serbia: in vantaggio gli ultra
nazionalisti ma è possibile
un governo con i democratici filo
occidentali. Sullo sfondo,
il futuro
status del Kossovo e il cammino europeo del paese balcanico
- Con noi Luca Zenoni
-
Alle elezioni politiche di ieri in Serbia sono in
vantaggio gli ultranazionalisti che, secondo i primi dati ufficiali, hanno
ottenuto il 28,5% dei consensi. A seguire il Partito democratico del presidente,
Boris Tadic, che raddoppia i voti e arriva al 22,9%.
Terzo, con il 17%, il Partito democratico serbo (DSS) del premier Kostunica. Nessuna delle forze in campo ha la possibilità
di governare autonomamente, dunque, in attesa dei
risultati definitivi, previsti per i prossimi giorni, si discute delle
possibili alleanze che vedono in una posizione privilegiata proprio i democratici
serbi di Kostunica. Ne è convinto Luca Zenoni, redattore del sito ‘Osservatorio sui Balcani’, intervistato da Eugenio Bonanata:
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R. – L’ipotesi più accreditata è quella di una coalizione
tra il Partito democratico, il Partito democratico della Serbia - quindi Tadic e Kostunica – con il G17+,
che è un partito di economisti con tendenze liberiste che hanno ottenuto circa
19 mandati, sempre in base ai risultati preliminari. Non sarà facile dar vita
al nuovo governo, perché, oltre tutto, il partito di Kostunica
né in campagna elettorale né in queste ore ha dichiarato con chi deciderà,
appunto, di entrare in coalizione. Si mantiene cioè una sorta di riserva, anche
per svolgere quel suo ruolo di ‘giocatore centrale’
nella composizione del nuovo esecutivo.
D. – Il vero fatto importante è che prima della formazione
del nuovo esecutivo, arriverà il pronunciamento dell’ONU sul nuovo status del Kosovo, che vuole l’indipendenza dalla Serbia. Allora,
vediamo come influirà questo pronunciamento:
R. – Ci si attende per fine mese, alcuni analisti hanno
parlato del 26 gennaio, la proposta di Martti Ahtisaari, che è il negoziatore
dell’ONU per la questione del Kosovo, ed entro quella
data dovrebbero essere anche resi noti i risultati definitivi delle elezioni. E
quindi si ha tempo un mese per la formazione del nuovo governo. Bisogna vedere
come i partiti reagiranno al piano proposto da Ahtisaari.
Sappiamo che il partito democratico e il partito democratico della Serbia,
quindi Tadic e Kostunica,
hanno espresso la propria riluttanza ad accettare un’indipendenza del Kosovo, anche se con modalità differenti: diciamo che il
partito di Kostunica è più di stampo conservatore,
rimane su posizioni più rigide, mentre lascia aperta la possibilità anche di un
tipo di indipendenza forse condizionata, di autonomia sostanziale, il partito
di Tadic. L’unico partito che si è dichiarato
assolutamente favorevole all’indipendenza è il partito di Cedomir
Jovanovic, la coalizione LDP / GSS, il partito
socialdemocratico che ha ottenuto il 5 per cento.
D. – I vertici europei, sia il presidente di turno UE Frank-Walter Steinmeier che
l’Alto Rappresentante, Solana, si sono detti
fiduciosi per il risultato della componente democratica che potrà portare
R. – Ma, sicuramente sì; da un lato c’è il riavvio dei
negoziati per l’accordo di associazione e di stabilizzazione che è il primo
passo importante per
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PRUDENZA E FERMEZZA NECESSARIE NELL’AFFRONTARE I
MATRIMONI
TRA
CATTOLICI E MUSULMANI: LO RICORDA UNA NOTA DEI VESCOVI ITALIANI,
GIA’
PUBBLICATA UN ANNO FA, ALLA LUCE DI IMPLICAZIONI ESISTENZIALI E RELIGIOSE
-
Intervista con mons. Domenico Mogavero -
Dibattito aperto nella società italiana sui
temi dell’immigrazione, alla ricerca di equilibri politici, sociali e culturali
capaci di governare un fenomeno in crescita, che comprende anche la realtà dei
matrimoni misti anch’essi in aumento, come rivela un rapporto dell’Istat. Da qui l’utilità di fare memoria di una Nota
pubblicata dalla Conferenza episcopale italiana, circa un anno fa, nel dicembre
2005, su “I matrimoni tra cattolici e musulmani in Italia”. Documento anche
criticato laddove i vescovi raccomandano “prudenza” e “fermezza” nel
considerare le implicazioni esistenziali ed ecclesiali di queste unioni. Ma
perché
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R. – Perché è il caso che presenta più aspetti
problematici. Non bisogna dimenticare che questo atteggiamento di fermezza e di
prudenza, e che sostanzialmente sconsiglia le unioni tra cattolici e musulmani,
è condiviso moltissimo anche dalle autorità religiose musulmane, proprio perchè
le due religioni hanno una tendenza ad essere religioni esclusive. Sono,
infatti, religioni salvifiche e a loro modo si presentano come religioni che,
in qualche maniera, dettano legge per il presente e per il futuro. Un esempio è
il problema dell’educazione dei figli. Il coniuge cattolico si impegna, nel
caso in cui chieda e riceva la dispensa per contrarre matrimonio - senza la dispensa il matrimonio sarebbe nullo – a salvaguardare
non solo la propria fede, ma anche ad impegnarsi ad educare cattolicamente e a
battezzare nella Chiesa cattolica tutti i figli che nascono. Questa esigenza è
uguale anche nell’altro coniuge, per cui
inevitabilmente con tutta la buona volontà, con tutta l’intelligenza e con
tutta la capacità di dialogo su questo punto, non è difficile che intervengano
frizioni e problemi.
D. – Di fronte ai dati che dimostrano come il fenomeno sia
crescente, da un punto di vista sociologico inarrestabile,
è il caso di ribadire i principi di questa Nota?
R. – Sì, proprio perché l’esito dell’unione stessa non è
facilmente scontato e prevedibile. Innanzitutto, perché c’è una differenza,
quando il coniuge cattolico è l’uomo o quando il coniuge cattolico è la donna.
La situazione della donna crea qualche problema in più. Secondo, perchè le
situazioni variano nel caso in cui i due determinino
di restare in Italia, o quantomeno in Occidente, oppure se prevedano di
rientrare nella patria del coniuge musulmano, perchè in quel caso lì
evidentemente non ci sono alcune tutele legislative e giuridiche che vengono garantite
in ogni modo nel Paese occidentale. Altro elemento è il fatto che queste coppie
non possono pensare che la loro unione, così particolare, possa seguire
l’andamento comune di tutti i matrimoni. Il problema non è solo all’inizio, ma
è soprattutto dopo, quando la coppia ha bisogno di un sostegno nell’affrontare
e risolvere i nodi fondamentali che man mano si vanno presentando. Su questo
punto direi che il nodo della fede sia da tenere in grandissima considerazione,
perchè c’è una tendenza a sminuire il valore della cosiddetta professione di
fede che viene richiesta al coniuge cattolico,
soprattutto maschio, che è previa alla concessione di tutte le autorizzazioni
per celebrare il matrimonio. L’accettazione della professione di fede musulmana
è un atto formale, per il quale il cattolico esce dalla comunione visibile
della Chiesa. E per rientrare c’è bisogno di un itinerario al contrario, nel
quale evidentemente tutto ciò che è stato compiuto deve essere sanzionato in un
certo modo. Il ritorno deve comportare un atto esplicito di riconciliazione con
la comunità e quindi di rifiuto di tutti quegli atteggiamenti e di quelle
scelte che sono contrarie all’appartenenza alla comunità visibile della Chiesa.
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22 gennaio 2007
PER RISOLLEVARSI, L’AFRICA
PUNTI SU COOPERAZIONE, FORMAZIONE
E
COMUNICAZIONE: COSÌ, NEL DOCUMENTO FINALE DEL PRIMO CONGRESSO
PANAFRICANO SULL’EVANGELIZZAZIONE, CONCLUSOSI
NEI
GIORNI SCORSI IN TANZANIA
- A cura di Roberta Moretti -
DAR-ES-SALAAM. = “Come una famiglia,
l’Africa ha bisogno di risollevarsi dalle sfide imposte dalle guerre, dai
conflitti di ogni sorta, dalla cronica gestione economica sbagliata delle risorse,
dalla pandemia di HIV/AIDS, dall’odio, dalla negativa immagine di sé, dal tribalismo, dall’etnocentrismo,
dalla corruzione, dall’appro-priazione indebita, dal malgoverno”: è quanto affermano
i membri del Simposio delle Conferenze episcopali dell’Africa e del Madagascar
(SECAM), nel documento finale del primo Congresso panafricano
sull’evangelizzazione in Africa, conclusosi lo scorso 18 gennaio a Dar-es-Salaam, in Tanzania.
L’evento è stato seguito dalla 14.ma Assemblea
plenaria del SECAM che si è conclusa ieri. Durante il Congresso, in
preparazione al secondo Sinodo africano, è stato sottolineato il ruolo centrale
di Giovanni Paolo II e del Primo Sinodo africano nel denunciare l’allarmante
situazione dell’Africa e nel portare il messaggio di speranza di Gesù Cristo.
Il SECAM ha evidenziato poi “l’importanza primaria delle moderne tecnologie
dell’informazione e della comunicazione”. “La proclamazione della Buona Novella
– si legge nel messaggio – deve fare buon uso di esse
nel portare Gesù Cristo, il Comunicatore per eccellenza, la verità e la vita, a
tutti gli uomini e donne del nostro tempo”. Durante il Congresso è emerso,
inoltre, come in alcuni Paesi le minoranze cristiane non possano
esprimere liberamente la loro fede. “La loro testimonianza – ha aggiunto il
SECAM – spinge le nostre Chiese a insistere sul rispetto della libertà
religiosa e a portare avanti la testimonianza di vita e di amore nella loro
missione evangelizzatrice”. Quindi, l’appello ai “fratelli e sorelle di fede
islamica a capire che evangelizzazione non significa proselitismo, ma una
libera proposta dell’amore di Dio manifestato in Gesù Cristo”. Per quanto riguarda poi la preparazione al secondo Sinodo Africano,
il SECAM ha deciso di “intensificare la formazione di tutti i membri del Popolo
di Dio: sacerdoti, religiosi e specialmente il laicato, la cui missione è
essenzialmente essere presenti nel cuore delle realtà contemporanee: cultura,
famiglia, lavoro, economia, politica”. Infine, il riferimento alla
cooperazione tra il SECAM e il Consiglio delle Conferenze episcopali europee
(CCEE), il cui segretario generale, mons. Aldo Giordano, ha partecipato ai
lavori del Congresso, proponendo un piano di solidarietà. La stessa necessità
di cooperazione è stata espressa anche in un documento della Conferenza
episcopale degli Stati Uniti. Ma “questo tipo di solidarietà e comunione”, si
legge nel documento, “deve essere praticata anche nello stesso Consiglio di
tutte le Chiese dell’Africa (AACC).
“L’EUROPA
VISTA DALL’AFRICA” TRA I TEMI AFFRONTATI STAMANI A NAIROBI,
IN
KENYA, NEL TERZO GIORNO DI LAVORI DEL VII WORLD SOCIAL FORUM
- A
cura di Marina Piccone -
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NAIROBI. = I diritti delle donne nelle situazioni di
post-conflitto, dialogo Asia-Africa sugli obiettivi
di sviluppo del Millennio, cooperazione internazionale e immigrazione sono
alcuni dei seminari che si sono svolti questa mattina a Nairobi, in Kenya, nel
terzo giorno di lavori del VII World Social Forum. Ci sono
stati anche due incontri tenuti da organismi italiani: la CGIL, che ha discusso
di povertà, e la “Tavola della pace”, sul tema “L’Europa vista dall’Africa:
proposte di giustizia e di pace”. A questo incontro era presente anche
il vice ministro agli Esteri, Patrizia Sentinelli.
“Non dobbiamo pensare a noi come a coloro che hanno capito l’Africa – ha detto – ma anzi: dobbiamo imparare dai movimenti sociali
africani, in particolare dalle donne. Non possiamo ancora parlare di società
civile organizzata, ma ci sono tanti movimenti che lavorano per i loro diritti
e noi abbiamo l’obbligo di ascoltarli. Siamo qui – ha aggiunto – per esprimere
la convinzione che l’Europa e il mondo devono eliminare la politica di
sfruttamento delle risorse di questo Paese che porta solo a conflitti
devastanti, e anche le politiche di aiuto allo sviluppo che impoveriscono
sempre di più l’Africa”. Nell’incontro della CGIL si è parlato tra l’altro
della campagna del Millennio delle Nazioni Unite che si è prefissata otto
importanti obiettivi entro il 2015. Tra questi, l’eliminazione della povertà,
l’istruzione primaria per tutti e la riduzione della mortalità infantile.
Nessuno di questi – si è detto – sarà raggiungibile se si continua con le
politiche neo-liberiste dei Paesi del Nord del mondo, che determinano un sempre
maggiore impoverimento dei Paesi in via di sviluppo.
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RILASCIATO IN PAKISTAN,
DOPO 18 MESI DI CARCERE, SHAHBAZ MASIH KAKA,
CRISTIANO DISABILE
ACCUSATO DI BLASFEMIA E CONDANNATO A 25 ANNI DI PRIGIONE
FAISALABAD.
= L’Alta Corte di Lahore, in Pakistan, ha rilasciato
il 19 gennaio scorso Shahbaz Masih
Kaka, disabile mentale di fede cristiana, condannato
a 25 anni di carcere da una Corte di Faisalabad che
lo aveva ritenuto colpevole di blasfemia. Lo rende noto l’agenzia AsiaNews, secondo cui i giudici di Lahore
hanno riconosciuto l’uomo non colpevole e ne hanno ordinato la scarcerazione
immediata, dopo 18 mesi di detenzione. Khalil Tahir, l’avvocato difensore, spiega ad AsiaNews che “già nel corso
del primo processo, la difesa aveva presentato diverse prove che scagionavano Masih dall’accusa di blasfemia, ma il giudice Shahid Rafiq si era inginocchiato
davanti alle pressioni della comunità islamica e, il 25 settembre del 2004, lo
aveva condannato ad una pena severissima”. “Avevamo inoltre presentato prove e
certificati medici a sostegno dell’infermità mentale – aggiunge
– ma questi sono stati ignorati del tutto”. Masih era
stato arrestato nel giugno del 2001 con l’accusa di aver strappato alcune
pagine del Corano nel cortile di una scuola islamica. Un religioso musulmano, Qari Mohammed Rafiq,
lo aveva portato alla locale stazione di polizia dove aveva testimoniato di
averlo visto calpestare i fogli davanti ai ragazzi della scuola. Il pubblico
ministero l’aveva incriminato secondo i termini della Legge sulla blasfemia,
che prevede l’ergastolo per chiunque dissacri i testi sacri dell’Islam. La testimonianza
è stata in seguito smontata dalla difesa, che ne ha
provato l’inattendibilità. Ora, conclude l’avvocato, “la prima cosa da fare è
ricoverare Shabhas in un ospedale: dopo che avrà
ricevuto le cure necessarie, potrà tornare a casa”. (R.M.)
LA CHIESA
CINGALESE INVITA I FEDELI A PRENDERE COME MODELLO IL BEATO JOSEPH VAZ, APOSTOLO
DELLO SRI LANKA. “HA RESO POSSIBILE LA RINASCITA DELLA NOSTRA CHIESA
DALLE SUE STESSE CENERI DURANTE LA PERSECUZIONE DEI COLONIZZATORI”
COLOMBO. = La Chiesa cingalese ha invitato
tutti i cattolici, laici e religiosi, ad avere come modello, “in questo periodo
così critico” per il Paese, il beato Joseph Vaz, “apostolo dello Sri Lanka”. La festa del beato missionario, il 16 gennaio
scorso, è stata occasione perché mons. Joseph Vianney Fernando, presidente della Conferenza episcopale e
vescovo di Kandy, chiedesse alla comunità di pregare
per “l’atteso miracolo della canonizzazione” e di non dimenticare colui che “ha
reso possibile la rinascita” della Chiesa locale “dalle sue stesse ceneri”,
come riferiscono AsiaNews e Zenit. “Quest’anno
celebriamo la festa del Beato Vaz in un momento di
grave crisi nazionale, specialmente per quanto riguarda il processo di pace”,
ha affermato il presule. “Vaz è il modello per tutti
noi, non solo per il suo imparagonabile zelo missionario, ma anche nel modo in
cui ha servito tutte le comunità, senza distinzioni”, ha aggiunto. Originario
dello Stato indiano di Goa, dove nacque nel 1651,
quando la zona era di dominio portoghese, Joseph Vaz fu ordinato sacerdote nel 1676 nella Congregazione di
San Filippo Neri. Si recò come missionario in Sri Lanka, da dove gli Olandesi della Compagnia delle Indie
avevano espulso i missionari e minacciato di morte qualsiasi sacerdote che venisse sorpreso nell’isola. Clandestinamente, il beato
missionario portò il suo aiuto ai cattolici del luogo e arrivò fino alla
capitale, Colombo. Tradusse il Vangelo in tamil e in
cingalese. Morì a Kandy il 16 gennaio 1711 e venne beatificato da Giovanni Paolo II il 21 gennaio
del 1995 a Colombo. Ed è tra queste due date, il 16 e il 21 gennaio, che le
parrocchie dello Sri Lanka
festeggiano annualmente il beato. Mons. Fernando ha
anche chiesto ai sacerdoti di citare il nome di Joseph
Vaz nella preghiera eucaristica. “Non possiamo
dimenticare la missione compiuta da Vaz - ha concluso
– che ha reso possibile la rinascita della nostra Chiesa dalle sue stesse
ceneri durante la persecuzione dei colonizzatori”. (R.M.)
SODDISFAZIONE
DELLA CHIESA TEDESCA PER IL SUCCESSO DELL’INIZIATIVA
“QUI
INIZIA IL FUTURO: MATRIMONIO E FAMIGLIA”, GIUNTA AL TERZO E ULTIMO ANNO
COLONIA. =
La famiglia basata sul matrimonio “è tuttora il miglior fondamento per una vita
riuscita del rapporto di coppia e nella solidarietà tra generazioni”: lo ha
ribadito il cardinale Georg Maximilian
Sterzinsky, arcivescovo di Berlino, intervenendo a
Colonia alla celebrazione della Domenica delle Famiglie, che il 14 gennaio
scorso ha aperto il terzo e ultimo anno dell’iniziativa della Chiesa tedesca
“Qui inizia il futuro: matrimonio e famiglia”. “La Chiesa vuole
incoraggiare iniziative a favore del matrimonio”, che non è affatto
un’istituzione anacronistica, ma la cui tutela interessa sempre meno i
politici, ha affermato il porporato, che presiede la Commissione episcopale per
il matrimonio e la famiglia. Di qui, la necessità di “un grande lavoro di
persuasione per sottolineare il contributo positivo del matrimonio al bene
comune”. Come riferisce l’agenzia SIR, il cardinale Sterzinsky
ha rilevato con soddisfazione la buona riuscita dell’iniziativa triennale, in
particolare per quello che riguarda il coordinamento degli operatori della
pastorale familiare, lodando le iniziative delle singole diocesi e la “buona
collaborazione con il Comitato centrale dei cattolici tedeschi (ZDK)”. Ha
quindi ribadito che “la Chiesa cattolica continuerà ad impegnarsi per le
necessità del matrimonio e della famiglia” e ha sottolineato, tra gli obiettivi
primari, la creazione di una rete per tutte le attività nel settore. Tra gli
eventi principali in programma per il 2007, una conferenza internazionale sulla
famiglia, prevista nel periodo dell’incontro dei ministri per la Famiglia
dell'UE del 14 maggio prossimo. (L.Z.)
ACQUA POTABILE PER
32 MILIONI DI CONTADINI CINESI ENTRO IL 2010:
E’ L’IMPEGNO PRESO DAL GOVERNO DI
PECHINO PER CONTRASTARE GLI EFFETTI DELL’INQUINAMENTO INDUSTRIALE
PECHINO.=
Il governo di Pechino si è impegnato a versare 6,4 miliardi di yuan all’anno per garantire, entro
il 2010, acqua potabile a 32 milioni di contadini. Lo ha annunciato nei giorni
scorsi Wang Shucheng,
ministro cinese per le Risorse Idriche. Secondo i dati ufficiali, nel 2004 non
avevano accesso all’acqua potabile oltre 320 milioni di contadini, ovvero, il
34% della popolazione agricola, e di questi, 190 milioni bevevano
acqua contenente sostanze tossiche prodotte dagli scarichi industriali.
“Centinaia di migliaia di cinesi soffrono di varie malattie per il consumo di
acqua non potabile”, ha dichiarato Wang. L’intervento
rientra nel piano quinquennale iniziato nel 2006 per dare acqua potabile a 160
milioni di contadini. Esperti fanno notare, però, che Pechino non ha impedito
l’aumento dell’inquinamento di vari corsi d’acqua, soprattutto per gli scarichi
industriali. Attualmente, il 90% dei fiumi e dei laghi è contaminato, specie
nel nord del Paese, con oltre il 70% delle acque dei fiumi
Giallo, Huai e Hai. Secondo gli esperti, per
proteggere le risorse naturali, è necessario un rigido controllo sugli scarichi
industriali a costo di rallentare lo sviluppo economico. Tao Jianhua, esperto di Ingegneria ambientale dell’università
di Tianjin, ha affermato che dando troppa importanza
alla crescita economica e troppo poca all’ambiente, i governi locali non
capiscono la necessità di uno “sviluppo coordinato”, che preservi le risorse
naturali. (A.D.F.)
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22 gennaio 2007
- A cura di
Eugenio Bonanata -
Ennesima strage in Iraq: è salito a 67 morti e 110 feriti
il bilancio del duplice attentato compiuto questa mattina in un mercatino
dell’usato nel centro di Baghdad, Lo ha detto il vice ministro della Sanità
iracheno citato dall’emittente tv Al Arabiya. In
questo quadro – secondo gli osservatori – il presidente statunitense Bush si prepara a ribadire la nuova strategia in Iraq nel
suo discorso di domani sullo stato dell’Unione. Proprio oggi, intervistato dal
quotidiano ‘Usa Today’, il capo della Casa Bianca ha
ribadito che non esistono calendari per il ritiro delle truppe statunitensi dal
Paese del Golfo.
Un incontro “fruttuoso” ma senza accordi specifici sulla
formazione di un governo palestinese di unità nazionale. Questo il risultato
dell’atteso colloquio di ieri sera a Damasco tra il presidente dell’Autorità
palestinese, Abu Mazen, e
il leader di Hamas in esilio, Khaled Meshaal. Rassicuranti i toni utilizzati nella conferenza
stampa finale: Abu Mazen ha
parlato infatti della ripresa dei negoziati entro “due
settimane”, mentre Meshaal ha ribadito che il dialogo
resta “l’unico modo per risolvere le nostre differenze politiche”.
Sul fronte israeliano il ministro della difesa Amir Peretz si è detto pronto ad
intavolare negoziati di pace “con qualsiasi forza palestinese che riconosca Israele e anche se
si tratta di Hamas”. Nel corso di una conferenza a Herzliya,
a nord di Tel Aviv, Peretz ha detto che serve una
nuova strada diplomatica nei rapporti con i palestinesi e ha annunciato anche
la presentazione all’esecutivo israeliano di un nuovo piano di pace.
Sempre tesa la situazione in Afghanistan, dove dai vertici
militari della NATO giunge la conferma della
recrudescenza delle violenze rispetto allo scorso anno. E mentre si chiede un
altro anno di tempo per stabilizzare la situazione, in Italia domani si vota
per il rifinanziamento della missione nel Paese
asiatico. Secondo molti esperti, se gli italiani riducessero il loro impegno
militare in Afghanistan, sarebbe un enorme successo per i talebani. Salvatore
Sabatino ne ha parlato con la professoressa Maria Grazia Enardu,
docente di Storia e relazioni internazionali presso l’Università di Firenze:
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R. – Io credo che i talebani, come tutto l’Afghanistan,
pensi e giochi sul lungo periodo, sull’idea che lo straniero, l’intruso si
sfianchi. Si sfiancherà da solo perché non potrà mai controllare né il
territorio né la cultura di questo Paese. L’Afghanistan, in un mondo che parla
tanto di globalizzazione, è una sorta di isola
impenetrabile, sia per ragioni tecniche sia per ragioni militari, ma anche per
ragioni culturali. Se in Europa o in Occidente noi capissimo questo,
cominceremmo a capire come funziona questo Paese.
D. – Secondo molti, gli afghani sono disillusi. E’ stato
confermato pure dal rapporto ONU dello scorso dicembre. Come risollevare,
allora, le sorti di questo Paese?
R. – La strada migliore è la più difficile, cioè cercare
di dare strumenti di cultura ai giovani e soprattutto alle ragazze. Bisogna
partire dalla base, il ché richiede un investimento diffuso, una capacità di
permanenza sul territorio cocciuta, testarda, contro tutti
gli ostacoli, e un tempo lunghissimo ...
D. – E il futuro, invece, in Afghanistan, come lo vede?
R. – Nel lungo periodo lo vedo bene perché è vero che ci
sono grandissimi ostacoli, però inevitabilmente la cultura crescerà, crescerà
anche con le tecnologie di internet, perché oggi può veramente arrivare con
pochi mezzi ... Quindi, prima o poi cambierà. Però i
tempi sono veramente lunghi, perché è una società difficile, radicata e con un
suo fortissimo modello.
D. – Modello che è stato voluto
fortissimamente dai talebani. Secondo lei, quel periodo ha influito fortemente
sulla cultura afghana?
R. – Sì e no, perché prima ancora dei talebani c’è stato
un regime che veniva considerato filo-sovietico, il
che era anche vero, ma era un regime in cui – per fare l’esempio più noto – le
donne avevano grande libertà, grandissima rispetto a quella che hanno oggi!
Quindi, c’è un passato, un passato che le signore di 50 e 60 anni ricordano,
che può essere più che recuperato, re-interpretato per le nuovissime generazioni
che oggi letteralmente vanno o non vanno a scuola: è su questo, sulla scuola,
che dobbiamo fare l’Afghanistan!
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Almeno tre morti e numerosi feriti: è il bilancio ancora
parziale di una violenta manifestazione antietiopica svoltasi stamane a Mogadiscio, repressa a colpi d'arma da fuoco da
truppe di Addis Abeba e polizia governativa. La notizia, segnalata da
testimoni, non è tuttavia confermata da fonti ufficiali. Intanto, mentre oggi
il Consiglio dei ministri degli Esteri della UE ha esortato le parti a trovare
un accordo, i servizi segreti del Kenya hanno fatto sapere che uno dei massimi
dirigenti delle Corti islamiche si è consegnato alle autorità.
In Guinea, sette manifestanti sono stati uccisi dalle
forze dell’ordine in un quartiere di Conakry, nel
13mo giorno di uno sciopero generale proclamato nel Paese. Salgono così a 17 le
vittime dall’inizio delle manifestazioni.
In Cina, ha ucciso sette operaie l’incendio esploso ieri
mattina all’interno di una fabbrica illegale tessile di Gongming.
Secondo testimoni - riporta l’agenzia Asia News - le operaie non sono riuscite
a fuggire dalle fiamme perché sia le porte che le finestre erano state chiuse
dall’esterno. Persino i pompieri sono riusciti ad entrare nello stabile solo dopo
30 minuti. Non è la prima volta che la pratica di chiudere i lavoratori
all’interno dei dormitori delle fabbriche provoca morte in Cina.
Continua a perdere combustibile la nave portacontainer Napoli, arenata davanti alle coste del Devon, nella Manica. Tuttavia, secondo l’agenzia marittima
e della guardia costiera britannica, la chiazza oleosa, allungatasi per otto
chilometri, si sta disperdendo e non sembra porre per il momento particolari
problemi ambientali.
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