RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno LI  n. 22  - Testo della trasmissione di lunedì 22 gennaio 2007

 

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Il Montenegro sia luogo privilegiato per l’ecumenismo ed offra il suo contributo alla costruzione dell’Europa: così, Benedetto XVI nell’udienza al primo ambasciatore della Repubblica montenegrina presso la Santa Sede

 

In visita ad Limina, presuli della Conferenza episcopale italiana provenienti dalla Regione Emilia Romagna. Ai nostri microfoni l’arcivescovo Carlo Caffarra

 

Siglato protocollo addizionale al concordato tra la Santa Sede e lo Stato libero di Baviera

 

Dal Papa il cardinale Jean-Louis Tauran per la presentazione del papiro Bodmer XIV-XV

 

La Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani: il punto sul dialogo della Chiesa cattolica con le Chiese battista e riformata e con il Consiglio ecumenico delle chiese. Con noi mons. John Radano

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Scomparso a 94 anni l’Abbé Pierre, icona di carità e solidarietà: ce ne parla Graziano Zoni

 

In Serbia molti i consensi agli ultranazionalisti, ma sembra profilarsi un governo di coalizione fra le tre maggiori forze moderate favorevoli all'integrazione con l’Europa. Intervista con Maria Grazia Enardu

 

Prudenza e fermezza necessarie nell’affrontare i matrimoni tra cattolici e musulmani: lo ricorda una nota dei vescovi italiani, già pubblicata un anno fa. Con noi mons. Domenico Mogavero  

 

CHIESA E SOCIETA’:

L’Africa punti su cooperazione, formazione e comunicazione: così, nel documento finale del primo Congresso panafricano sull’evangelizzazione, conclusosi nei giorni scorsi in Tanzania

 

“L’Europa vista dall’Africa” tra i temi affrontati stamani a Nairobi, nel terzo giorno di lavori del World Social Forum

 

Rilasciato in Pakistan, dopo 18 mesi di carcere, Shahbaz Masih Kaka, cristiano disabile accusato di blasfemia e condannato a 25 anni di prigione

 

La Chiesa cingalese invita i fedeli a prendere come modello il beato Joseph Vaz, apostolo dello Sri Lanka. “Ha reso possibile la rinascita della nostra Chiesa dalle sue stesse ceneri durante la persecuzione dei colonizzatori

 

Soddisfazione della Chiesa tedesca per il successo dell’iniziativa “Qui inizia il futuro: matrimonio e famiglia”, giunta al terzo e ultimo anno

 

Acqua potabile per 32 milioni di contadini cinesi entro il 2010: è l’impegno preso dal governo di Pechino per contrastare gli effetti dell’inquinamento industriale

 

24 ORE NEL MONDO:

Almeno 67 morti e 110 feriti: ennesima strage a Baghdad in un duplice attentato 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

22 gennaio 2007

 

 

IL MONTENEGRO SIA LUOGO PRIVILEGIATO PER L’ECUMENISMO ED OFFRA

IL SUO CONTRIBUTO ALLA COSTRUZIONE DELL’EUROPA: COSI’, BENEDETTO XVI NELL’UDIENZA DI STAMANI AL PRIMO AMBASCIATORE DELLA REPUBBLICA

MONTENEGRINA PRESSO LA SANTA SEDE, DOPO LO STABILIMENTO

DELLE RELAZIONI DIPLOMATICHE DEL 6 DICEMBRE SCORSO

 

Il Montenegro continui ad essere un luogo privilegiato dell’incontro ecumenico: è l’esortazione rivolta da Benedetto XVI all’ambasciatore della Repubblica montenegrina, Antun Sbutega, ricevuto stamani per la presentazione delle Lettere credenziali. L’udienza riveste un significato particolare: l’ambasciatore Sbutega è, infatti, il primo rappresentante dello Stato del Montenegro ad essere ricevuto dal Papa, dopo lo stabilimento delle relazioni diplomatiche con la Santa Sede il 6 dicembre 2006. Sull’udienza di stamani, il servizio di Alessandro Gisotti:

 

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“Ogni cattolico è ben cosciente delle prerogative dello Stato, ma al tempo stesso è altrettanto conscio dei propri doveri nei confronti degli imperativi evangelici”. E’ il richiamo del Papa nel discorso all’ambasciatore montenegrino. Intervento nel quale ha messo l’accento sulla caratteristica del Montenegro quale “luogo privilegiato di quell’incontro ecumenico che è da tutti auspicato”. D’altro canto, ha rilevato, “anche l’incontro tra cristiani e musulmani ha trovato in Montenegro realizzazioni convincenti”. “Occorre proseguire su questa strada”, ha aggiunto. Una strada sulla quale la Chiesa si augura che tutti convergano nell’impegno di unire gli sforzi a servizio della “nobiltà dell’essere umano”.

 

Proprio in questo impegno, è stata la sua riflessione, la Chiesa vede “una parte significativa della sua missione a servizio dell’uomo nella sua interezza di pensiero, di azione, di progettazione, nel rispetto delle tradizioni che identificano una terra come tale”. Una parte importante del discorso, il Papa l’ha dunque dedicata al rapporto in Montenegro tra la comunità cattolica e gli ortodossi, incoraggiando la prosecuzione di “un dialogo fraterno con l’Ortodossia, tanto presente e viva nel Paese”. Anche oggi, ha rilevato, “occorre approfondire tale atteggiamento costruttivo” per servire questo popolo che, “con grande apertura d’animo”, guarda contemporaneamente “sia ad Oriente che ad Occidente, ponendosi come ponte tra l’una e l’altra realtà”. In piena cordialità, è stato il suo auspicio, “è possibile stabilire quelle intese che vanno a beneficio del Paese e della comunità cattolica, senza minimamente ledere i legittimi diritti di altre comunità religiose”. Una via, “imboccata dall’Europa odierna”, che il Montenegro “intende percorrere con tanta speranza”.

 

Il Pontefice si è detto certo che “il Montenegro non mancherà di dare il proprio attivo apporto sia nell’ambito civile, quanto in quello politico, sociale, culturale e religioso” in campo europeo. Ancora, ha auspicato che nel Montenegro si rafforzi lo “stato di diritto nei vari ambiti della vita pubblica”, mediante l’adozione di “provvedimenti che garantiscano l’effettivo godimento” dei diritti previsti dalle leggi fondamentali dello Stato. Uno sforzo che promuoverà la “crescita nei cittadini della fiducia sociale”, traducendosi anche in una “generale maturazione della cultura della legalità”.

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Nato a Kotor, nel 1949, l’ambasciatore Antun Sbutega è sposato ed ha tre figli. E’ stato preside del Dipartimento economico dell’Università di Podgorica dal 1977 al 1991, anno in cui è emigrato in Italia con la famiglia. Tra il 1994 e il 2006 ha prestato servizio presso la Pontificia Opera Missionaria di San Pietro Apostolo, della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli.

 

 

DA BENEDETTO XVI, PRESULI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA PROVENIENTI DALLA REGIONE EMILIA ROMAGNA IN VISITA AD LIMINA

- Con noi, il cardinale Carlo Caffarra -

 

Questa mattina, Benedetto XVI ha ricevuto in Vaticano presuli della Conferenza episcopale italiana provenienti della Regione Emilia Romagna in visita ad Limina.

 

Secondo i dati dell’archivio dell’Istituto per il sostentamento del clero, aggiornati al 28 febbraio 2006, la regione ecclesiastica Emilia Romagna comprende 4.1143.051 abitanti distribuiti in 15 diocesi. Le parrocchie sono circa 2700, oltre 2.300 i sacerdoti secolari, 807 quelli regolari e 353 i diaconi permanenti.  In particolare, la diocesi di Bologna ha poco più di 900 mila abitanti. Sono 405 le parrocchie, 425 i sacerdoti secolari, 275 quelli regolari e 98 i diaconi permanenti. Ma cosa è cambiato in questi anni nel territorio? Massimiliano Menichetti lo ha chiesto all’arcivescovo di Bologna, il cardinale Carlo Caffarra:

 

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R. – A me sembra che dei cambiamenti “radicali” non ci siano stati, ma è continuato quel processo di secolarizzazione che un po’ caratterizza la nostra società italiana e che qui, nella nostra regione, direi che è particolarmente intenso. Dall’altra parte, però, si è molto approfondita la missione e la presenza della Chiesa nel suo impegno di evangelizzare il popolo emiliano-romagnolo, di educare nella fede.

 

D. – Quali sono le urgenze che vive la regione e quali, invece, i punti di forza?

 

R. – Le urgenze, a mio giudizio, si riducono sostanzialmente ad una sola: quella di rinforzare nella fede, nel Signore Gesù, questo popolo cristiano; e i punti di forza sui quali tutti i vescovi stanno insistendo sono la catechesi, specialmente delle generazioni giovanili, la cura dell’istituto matrimoniale e familiare e, devo dire per ciò che ci riguarda più direttamente, anche una grande cura del momento propriamente liturgico della vita della Chiesa.

 

D. – Sconfiggere il secolarismo, educare nella fede: questa è una grande sfida che stanno affrontando molte parrocchie dell’Emilia-Romagna, anche con ottimi risultati. Secondo lei, è così?

 

R. – Io penso di sì. Grazie a Dio, ci sono forti espressioni di questa presenza cristiana nella nostra comunità regionale, direi proprio a tutti i livelli della vita della persona umana.

 

D. – L’Emilia Romagna, l’anno scorso, è stata al centro di una forte polemica per aver dato il via libera all’utilizzo della pillola abortiva RU486 negli ospedali. Quest’anno, la regione discuterà il disegno di legge che mira ad estendere i diritti di famiglia anche alle coppie di fatto o ai cosiddetti “amici solidali”. In sintesi: vita e famiglia sono diventate una frontiera per la Chiesa, per la pastorale?

 

R. – Non c’è alcun dubbio che siano una frontiera, “la” frontiera in un certo senso. Sono i punti in cui si ha il confronto più forte, lo scontro più forte fra la proposta cristiana, una proposta ragionevole, circa l’uomo, e questa cultura della morte, come la chiamava Giovanni Paolo II che, avendo sconnesso l’esercizio della libertà dalla verità circa il bene, conduce a vere e proprie devastazioni della dignità dell’uomo.

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SIGLATO PROTOCOLLO ADDIZIONALE AL CONCORDATO

 TRA LA SANTA SEDE E LO STATO LIBERO DI BAVIERA

- A cura di Alessandro Gisotti -

 

Nella storica cornice del “Palazzo Principe Carlo” di Monaco di Baviera è stato firmato, venerdì scorso, un Protocollo Addizionale al Concordato con la Baviera del 29 marzo 1924, che regola alcune questioni riguardanti l’insegnamento della teologia sia nelle Facoltà di Teologia Cattolica delle università statali sia in altri Centri di istruzione della Baviera. Per la Santa Sede ha firmato il nunzio apostolico in Germania, mons. Erwin Josef Ender, mentre per lo Stato Libero di Baviera, ha siglato l’accordo il ministro-presidente Edmund Stoiber.

 

In particolare, il documento stabilisce nuove norme per le Facoltà di Teologia Cattolica delle Università di Bamberga e di Passavia, che rimarranno quiescenti per quindici anni a partire dall’entrata in vigore dell’accordo. Durante tale periodo, entrambe le istituzioni continueranno ad esistere come Istituti di Teologia Cattolica.

 

 

IN UDIENZA DAL SANTO PADRE IL CARDINALE JEAN-LOUIS TAURAN

PER LA PRESENTAZIONE DEL PAPIRO BODMER XIV-XV

- A cura di Giovanni Peduto -

 

In fine mattinata il cardinale Jean-Louis Tauran, archivista e bibliotecario di Santa Romana Chiesa, ha presentato al Pontefice il Papiro Bodmer XIV-XV, dell’inizio del III secolo, contenente ampi frammenti dei Vangeli di Luca e di Giovanni.

 

Questo papiro, conservato finora a Cologny, presso Ginevra, dalla Fondazione Bodmer, cui apparteneva, è stato donato alla Biblioteca Apostolica Vaticana. E’ uno dei più importanti testimoni del testo del Nuovo Testamento, di immenso valore critico e storico.

 

Stamattina il papiro è stato presentato a Papa Benedetto XVI dal cardinale Tauran, accompagnato dal prefetto della Biblioteca Apostolica Vaticana, il vescovo Raffaele Farina; dal donatore Frank Hanna e dalle altre persone che hanno consentito l’arrivo del papiro alla Biblioteca Vaticana.

 

 

LA SETTIMANA DI PREGHIERA PER L’UNITA’ DEI CRISTIANI: IL PUNTO SUL DIALOGO

DELLA CHIESA CATTOLICA CON LE CHIESE BATTISTA E RIFORMATA

E CON IL CONSIGLIO ECUMENICO DELLE CHIESE

- Intervista con mons. John Radano -

 

“Superare le divisioni in epoche passate”. Ancora una volta, Benedetto XVI ha espresso ieri all’Angelus un auspicio di comunione sullo sfondo della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, che si concluderà giovedì prossimo. In seno al dicastero pontificio dedicato a questo aspetto, mons. John Radano si occupa del dialogo ecumenico su tre diversi fronti: con l’Alleanza Mondiale Battista, con l’Alleanza Mondiale delle Chiese Riformate e con il Consiglio Ecumenico delle Chiese, particolarmente con la Commissione Fede e Costituzione. Giovanni Peduto lo ha intervistato:

 

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R. - Con l’Alleanza Mondiale Battista abbiamo cominciato una seconda fase di conversazione internazionale. La prima si è conclusa 17 anni fa. Il tema della seconda fase è “La Parola di Dio nella vita della Chiesa: Scrittura, tradizione, coinonia”. La prima riunione si è tenuta lo scorso dicembre negli Stati Uniti e il tema affrontato in questa riunione particolare è stato quello dell’Attualità di Cristo, nella Scritture e nella tradizione. Nel corso di questo incontro si sono susseguite relazioni sulla Parola di Dio, sul significato della Parola di Dio, sulla relazione che c’è fra Scrittura e tradizione e, infine, sull’uso della Scrittura nella Chiesa. Questi temi sono stati affrontati e discussi secondo i punti di vista dei battisti e dei cattolici. Credo si sia trattato di una riunione molto interessante e che ha prodotto anche dei buoni risultati. Quella dei battisti è una comunità molto grande: sono circa 42 milioni i battezzati e la comunità globale è composta da 100 milioni di persone. Si tratta veramente di una comunità molto, molto grande. E’ una cosa molto importante quella di avere con loro questa seconda fase di dialogo.

 

D. - E per quanto concerne il dialogo con l’Alleanza Mondiale delle Chiese Riformate, quali novità ci sono?

 

R. - Nel 2006, per la prima volta, c’è stata una visita ufficiale a Roma da parte di una delegazione guidata dal presidente, insieme al segretario generale ed altri tre membri dell’Alleanza Mondiale delle Chiese Riformate. Questa è stata la prima volta che l’Alleanza ha mandato una sua delegazione ufficiale, che ha avuto un incontro con il Santo Padre ed una riunione al nostro Pontificio Consiglio e al Pontificio Consiglio per la Giustizia e la Pace. Mi sembra questo abbia rappresentato, in se stesso, un grande passo avanti. Per quanto riguarda il dialogo internazionale con l’Alleanza mondiale delle Chiese Riformate abbiamo concluso la terza fase. Stiamo ora preparando un rapporto conclusivo su questa terza fase di dialogo. Il tema è stato quello della Chiesa come comunità di testimoni comuni del Regno di Dio. In quest’ultima fase di dialogo, che si è iniziata nel ’98, abbiamo quindi affrontato e discusso questo tema della Chiesa-comunità e abbiamo trovato una convergenza. E questo è veramente molto importante, perché queste diverse posizioni relative alla visione della Chiesa tra cattolici ed altri cristiani rappresentano una importante questione ecumenica. Abbiamo avuto in questo dialogo fra riformati e cattolici la possibilità di trovare una convergenza tra la loro spiegazione e la nostra spiegazione riguardo alla Chiesa. E’ molto importante ora di proseguire ed andare avanti nello studio di altri aspetti relativi alla Chiesa.

 

D. - Nel dialogo tra Chiesa cattolica e Consiglio Ecumenico delle Chiese, lei segue in maniera particolare i rapporti con la Commissione Fede e Costituzione

 

R. - La Commissione Fede e Costituzione ha cominciato una nuova fase, nel giugno scorso, con la riunione della nuova Commissione Fede e Costituzione. Una cosa molto importante da sottolineare è che nel 2007 si celebrano i 25 anni dalla pubblicazione, avvenuta nel 1982, del documento di Fede e Costituzione “Battesimo, Eucaristia e Ministero”. Si tratta di un documento storico, che è stato il risultato di ben 50 anni di studi del Dipartimento Fede e Costituzione, che hanno portato ad una convergenza relativa a questi tre temi, direi una convergenza storica. Non c’è stato un consenso totale riguardo a questi tre sacramenti, ma in questi 25 anni questo documento ha avuto un grande impatto nel mondo ecumenico e viene usato da diverse Chiese nel loro sforzo ed impegno di creare nuove relazioni tra loro. Molto spesso, nella documentazione di questi sforzi di avvicinamento viene spesso citato questo documento “BEM”. Questo documento ha anche avuto un grande impatto nella Chiesa cattolica: ad esempio nell’Enciclica “Ut unum sint”, Giovanni Paolo II ha menzionato Fede e Costituzione ed il relativo documento “Battesimo, Eucaristia e Ministero”, rivalutandone l’importanza. Il mondo ecumenico nel 2007 celebrerà quindi i 25 anni dalla pubblicazione di questo importante documento. Il lavoro della Commissione Fede e Costituzione ha affrontato ed affronta anche altri aspetti teologici che devono essere studiati, come l’antropologia ed altri studi relativi al Battesimo. E’, inoltre, necessario ricordare che ogni anno la Commissione Fede e Costituzione insieme al nostro Pontificio Consiglio prepara tutto il materiale per la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. E’ ormai sin dal 1966 che prepariamo insieme questo materiale. Per noi la collaborazione con la Commissione Fede e Costituzione rappresenta un aspetto molto importante per il dialogo ecumenico.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Servizio vaticano - "L'ecumenismo è un ascoltarsi e parlarsi": Benedetto XVI guida l'Angelus domenicale nel cuore della Settimana di preghiera per l'Unità dei Cristiani e ricorda che l'anelito ecumenico è un'esperienza profonda ed un compito che tutti possono svolgere.  

Il discorso del Papa al primo ambasciatore del Montenegro. Nell'occasione il Santo Padre ha sottolineato la necessità di una giusta considerazione delle obiettive esigenze della pratica religiosa di ciascuno.

 

Servizio estero - In evidenza l'Iraq: ancora una carneficina a Baghdad.

 

Servizio culturale - Un articolo di Susanna Paparatti dal titolo "Una pittura rivoluzionaria, sanguigna e impulsiva che catalizzò l'attenzione di generazioni di giovani": novantasei dipinti della "schola" del Caravaggio in mostra al Palazzo Chigi di Ariccia.  

Per la rubrica "Approfondimenti" due pagine dedicate al dibattito sulla presunta "crisi dei classici". I titoli portanti sono: "La povertà di chi non sa guardare indietro"; "Ma il malato esiste davvero?".  

 

Servizio italiano - Governo: tre tavoli; liberalizzazioni in arrivo. Incontro a Palazzo Chigi con i sindacati.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

22 gennaio 2007

 

 

COMMOZIONE IN FRANCIA E NEL MONDO PER LA SCOMPARSA DELL’ABBÉ PIERRE,

FONDATORE DELLA COMUNITA’ EMMAUS CHE DA 60 ANNI ACCOGLIE E ASSISTE

I PIU’ POVERI DI OGNI PARTE DEL MONDO

- Intervista con Graziano Zoni -

 

Tutta la Francia è “colpita al cuore”: con queste parole il presidente Jacques Chirac ha espresso il cordoglio dei propri connazionali per la morte dell’Abbé Pierre, una delle personalità del cattolicesimo francese e internazionale al cui nome e alla cui opera è legata da quasi 60 anni un’intensa attività caritativa. Il religioso si è spento la notte scorsa, all’età di 94 anni, nell’ospedale Val de Grace di Parigi dove era stato ricoverato il 15 gennaio. Grande il dolore della Chiesa francese, che ha affidato i sentimenti suscitati dalla morte dell’Abbé Pierre a un comunicato dei vescovi nel quale si riconosce, nella figura del religioso, “la generosità, la solidarietà, l’attenzione per i più diseredati”. Ripercorriamo allora qualche tappa della vita dell’Abbé Pierre in questo servizio di Alessandro De Carolis:

 

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(musica)

 

C’è San Francesco dietro la decisione di farsi sacerdote di Henri Antoine Groués, che il mondo imparerà a conoscere come l’Abbé Pierre. Un viaggio ad Assisi che compie a 16 anni lo spinge qualche tempo dopo ad emulare il Poverello, lasciando i beni terreni per inseguire quelli dell’anima. Originario di Lione, dove nasce il 5 agosto 1912, Henri Antoine sceglie la filosofia e la teologia che studia per sette anni nel convento di clausura dei Cappuccini di Lione. Ma quel riparo fatto di preghiera e sacro isolamento non sarà il segno distintivo della sua vita. Divenuto sacerdote nel 1938, lascia per motivi di salute il convento e pochi anni dopo, quando la seconda Guerra mondiale incendia l’Europa e il nazismo travolge la Francia, il 30.enne Henri Antoine mostra la tempra che lo sorreggerà più tardi nella sua straordinaria missione di carità. E’ il 1942 quando si trasforma in guida alpina che aiuta, a rischio della vita, ebrei e polacchi a valicare Alpi e Pirenei. Tra quelle montagne nasce la storia dell’Abbè Pierre, uomo votato alla solidarietà.

 

Nel 1948, il suo amore per gli ultimi mette la prima pietra. Il primo nucleo della Comunità Emmaus, da lui fondata, è ospitato da una vecchia casa di Neuilly Plaisance, alla periferia di Parigi, abitata da orfani, i futuri uomini - dice - di una “società più umana”. Le strade di Francia prima e del mondo poi cominciano a popolarsi di “stracciaioli”, i primi costruttori di una pietà capace di fermarsi fra gli invisibili delle città: barboni, senzatetto, disperati. Così lo stesso Abbé Pierre ricorda uno di quei momenti, in un’intervista ai nostri microfoni di sette anni fa:

 

Nous avions ramasse Boulevard Sébastopole …

A Boulevard Sébastopole, nel cuore di Parigi, a poche centinaia di metri dal Théatre du Châtelet, avevamo raccolto un’anziana donna agonizzante. Credevamo che fosse un mucchio stracci. I miei compagni mi avevano detto:Padre, aspetti, ci sono degli stracci da raccogliere’. Noi passavamo le notti per le strade a distribuire coperte e cibo alle persone che dormivano sui marciapiedi: l’inverno precedente, a Parigi, aveva fatto fino a -15, -18 gradi. Quando ci siamo fermati vicino a questo mucchio di stracci, ci siamo accorti che era una donna anziana, che stava agonizzando. L’abbiamo raccolta e trasportata al commissariato di polizia, dove sapevamo che ci sarebbe stato un po’ di calore... Quando siamo arrivati, era morta. Su di sé non aveva – quando i poliziotti l’hanno perquisita – altro che una sola carta: era la “carta blu”, come si chiama in Francia, dell’ufficiale giudiziario che la mattina del giorno prima l’aveva cacciata di casa perché era in ritardo con l’affitto della mansarda nella quale viveva”.

 

L’esperienza di Emmaus è contagiosa. L’Abbé Pierre viaggia nei continenti e con lui il suo carisma di amore. “Servire e far servire per primi i più sofferenti è la sorgente della vera Pace” è uno dei suoi motti. La Comunità arriva a radicarsi in 50 Paesi del mondo. Nel 1981, la Francia lo insignisce con la Legion d’Onore; nel 1991 ottiene il Premio Balzan per la Pace. Libri e film parlano di lui e dei suoi discepoli. A un libro Abbé Pierre, ormai anziano e malato ma sempre attivo, affida nel 2005 una confessione su aspetti delicati della sua vita privata e su altri argomenti come il celibato sacerdotale. Un libro che termina con una semplice e schietta “lettera a Dio”, citata all’inizio della dichiarazione della Conferenza episcopale francese, firmata dal presidente, il cardinale arcivescovo di Bordeaux, Pierre Ricard: “Padre - scrive l’Abbé Pierre – attendo dopo così lungo tempo di vivere alla vostra totale presenza che è, non ne ho mai dubitato, malgrado tutto, l’Amore”.

 

(musica)

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La morte dell’Abbé Pierre ha suscitato un’ondata di commozione prima di tutto nelle numerose case della Comunità Emmaus sparse nel mondo. Alessandro De Carolis ha raccolto la testimonianza del presidente di Emmaus Italia, Graziano Zoni:

 

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R. - Lui, negli ultimi anni, quando non poteva più fare quello che avrebbe voluto, sia per il movimento sia per le realtà di ingiustizia e di esclusione che ci sono nel mondo, aveva incominciato a concludere tutti i suoi pensieri nelle nostre riunioni dicendoci: “Continuiamo”. Ultimamente, diceva anche: “Continuate”. Ecco: la sua consegna, il suo testamento, è chiaro.

 

D. - C’è un “prima” e un “dopo” in un movimento, in una comunità, quando scompare il fondatore. Come vede il presente e il futuro della Comunità Emmaus?

 

R. - In un Movimento così ampio e presente in 50 Paesi, con diversità culturali, storiche eccetera, qualche cambiamento può darsi che ci sia. Prima era lui, sicuramente, il “collante” che univa e ammorbidiva gli inevitabili conflitti di un movimento così grande. Adesso, spetta a noi, soprattutto in chi ha maggiori responsabilità, svolgere questo ruolo.

 

D. - Che ricordo conserva dell’Abbé Pierre?

 

R. - Mi è difficile scegliere tra i tanti. Il momento che ricordo molto bene è quello del mio primo incontro con lui, a Palazzo Vecchio, a Firenze. Era il marzo 1971 e lui rientrava dal Bangladesh, che nasceva allora dopo la guerra con l’India. Lui rientrò e lanciò l’idea dei Comitati cittadini di gemellaggio con i villaggi del Bangladesh. Tenne una conferenza a Palazzo Vecchio, a Firenze, e il fatto di guardarci negli occhi - quei suoi occhi che penetravano nel profondo - è stato un tutt’uno con l’impegnarmi nel Movimento. E da lì, ho svolto quello che anche lui mi ha chiesto, sia in Italia che fuori, via via nel corso di questi 35 anni.

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Elezioni in Serbia: in vantaggio gli ultra nazionalisti ma è possibile

un governo con i democratici filo occidentali. Sullo sfondo,

 il futuro status del Kossovo e il cammino europeo del paese balcanico

- Con noi Luca Zenoni -

 

Alle elezioni politiche di ieri in Serbia sono in vantaggio gli ultranazionalisti che, secondo i primi dati ufficiali, hanno ottenuto il 28,5% dei consensi. A seguire il Partito democratico del presidente, Boris Tadic, che raddoppia i voti e arriva al 22,9%. Terzo, con il 17%, il Partito democratico serbo (DSS) del premier Kostunica. Nessuna delle forze in campo ha la possibilità di governare autonomamente, dunque, in attesa dei risultati definitivi, previsti per i prossimi giorni, si discute delle possibili alleanze che vedono in una posizione privilegiata proprio i democratici serbi di Kostunica. Ne è convinto Luca Zenoni, redattore del sito ‘Osservatorio sui Balcani’, intervistato da Eugenio Bonanata:

 

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R. – L’ipotesi più accreditata è quella di una coalizione tra il Partito democratico, il Partito democratico della Serbia - quindi Tadic e Kostunica – con il G17+, che è un partito di economisti con tendenze liberiste che hanno ottenuto circa 19 mandati, sempre in base ai risultati preliminari. Non sarà facile dar vita al nuovo governo, perché, oltre tutto, il partito di Kostunica né in campagna elettorale né in queste ore ha dichiarato con chi deciderà, appunto, di entrare in coalizione. Si mantiene cioè una sorta di riserva, anche per svolgere quel suo ruolo di ‘giocatore centrale’ nella composizione del nuovo esecutivo.

 

D. – Il vero fatto importante è che prima della formazione del nuovo esecutivo, arriverà il pronunciamento dell’ONU sul nuovo status del Kosovo, che vuole l’indipendenza dalla Serbia. Allora, vediamo come influirà questo pronunciamento:

 

R. – Ci si attende per fine mese, alcuni analisti hanno parlato del 26 gennaio, la proposta di Martti Ahtisaari, che è il negoziatore dell’ONU per la questione del Kosovo, ed entro quella data dovrebbero essere anche resi noti i risultati definitivi delle elezioni. E quindi si ha tempo un mese per la formazione del nuovo governo. Bisogna vedere come i partiti reagiranno al piano proposto da Ahtisaari. Sappiamo che il partito democratico e il partito democratico della Serbia, quindi Tadic e Kostunica, hanno espresso la propria riluttanza ad accettare un’indipendenza del Kosovo, anche se con modalità differenti: diciamo che il partito di Kostunica è più di stampo conservatore, rimane su posizioni più rigide, mentre lascia aperta la possibilità anche di un tipo di indipendenza forse condizionata, di autonomia sostanziale, il partito di Tadic. L’unico partito che si è dichiarato assolutamente favorevole all’indipendenza è il partito di Cedomir Jovanovic, la coalizione LDP / GSS, il partito socialdemocratico che ha ottenuto il 5 per cento.

 

D. – I vertici europei, sia il presidente di turno UE Frank-Walter Steinmeier che l’Alto Rappresentante, Solana, si sono detti fiduciosi per il risultato della componente democratica che potrà portare la Serbia in Europa. Ecco: tra gli impegni del nuovo esecutivo di Belgrado ci sarà proprio questo?

 

R. – Ma, sicuramente sì; da un lato c’è il riavvio dei negoziati per l’accordo di associazione e di stabilizzazione che è il primo passo importante per la Serbia, per poter avanzare lungo il percorso di integrazione europea. Un percorso che però è condizionato dalla collaborazione con il Tribunale Penale Internazionale. Nel caso di una collaborazione con i radicali, sicuramente non si procederebbe lungo questo cammino, mentre in una coalizione del blocco cosiddetto ‘democratico’ potrebbero esserci più larghe intese; oltretutto, appunto, il partito democratico ha una componente non trascurabile di mandati a favore rispetto anche al partito di Kostunica, che ne ha un po’ meno. Insomma, si giocherà tutto anche su questa questione qui. I posti più gettonati ma che richiederanno più impegno da parte delle forze politiche in campo che formeranno il nuovo esecutivo, saranno sicuramente l’elezione del premier, il ministro della Giustizia e il ministro dell’Interno.

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PRUDENZA E FERMEZZA NECESSARIE NELL’AFFRONTARE I MATRIMONI

TRA CATTOLICI E MUSULMANI: LO RICORDA UNA NOTA DEI VESCOVI ITALIANI,

GIA’ PUBBLICATA UN ANNO FA, ALLA LUCE DI IMPLICAZIONI ESISTENZIALI E RELIGIOSE

- Intervista con mons. Domenico Mogavero -

 

Dibattito aperto nella società italiana sui temi dell’immigrazione, alla ricerca di equilibri politici, sociali e culturali capaci di governare un fenomeno in crescita, che comprende anche la realtà dei matrimoni misti anch’essi in aumento, come rivela un rapporto dell’Istat. Da qui l’utilità di fare memoria di una Nota pubblicata dalla Conferenza episcopale italiana, circa un anno fa, nel dicembre 2005, su “I matrimoni tra cattolici e musulmani in Italia”. Documento anche criticato laddove i vescovi raccomandano “prudenza” e “fermezza” nel considerare le implicazioni esistenziali ed ecclesiali di queste unioni. Ma perché la CEI ha preso in particolare considerazione gli sposalizi tra coniugi cristiani ed islamici? Fabio Colagrande lo ha chiesto a mons. Domenico Mogavero, sottosegretario della CEI:

 

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R. – Perché è il caso che presenta più aspetti problematici. Non bisogna dimenticare che questo atteggiamento di fermezza e di prudenza, e che sostanzialmente sconsiglia le unioni tra cattolici e musulmani, è condiviso moltissimo anche dalle autorità religiose musulmane, proprio perchè le due religioni hanno una tendenza ad essere religioni esclusive. Sono, infatti, religioni salvifiche e a loro modo si presentano come religioni che, in qualche maniera, dettano legge per il presente e per il futuro. Un esempio è il problema dell’educazione dei figli. Il coniuge cattolico si impegna, nel caso in cui chieda e riceva la dispensa per contrarre matrimonio - senza la dispensa il matrimonio sarebbe nullo – a salvaguardare non solo la propria fede, ma anche ad impegnarsi ad educare cattolicamente e a battezzare nella Chiesa cattolica tutti i figli che nascono. Questa esigenza è uguale anche nell’altro coniuge, per cui inevitabilmente con tutta la buona volontà, con tutta l’intelligenza e con tutta la capacità di dialogo su questo punto, non è difficile che intervengano frizioni e problemi.

 

D. – Di fronte ai dati che dimostrano come il fenomeno sia crescente, da un punto di vista sociologico inarrestabile, è il caso di ribadire i principi di questa Nota?

 

R. – Sì, proprio perché l’esito dell’unione stessa non è facilmente scontato e prevedibile. Innanzitutto, perché c’è una differenza, quando il coniuge cattolico è l’uomo o quando il coniuge cattolico è la donna. La situazione della donna crea qualche problema in più. Secondo, perchè le situazioni variano nel caso in cui i due determinino di restare in Italia, o quantomeno in Occidente, oppure se prevedano di rientrare nella patria del coniuge musulmano, perchè in quel caso lì evidentemente non ci sono alcune tutele legislative e giuridiche che vengono garantite in ogni modo nel Paese occidentale. Altro elemento è il fatto che queste coppie non possono pensare che la loro unione, così particolare, possa seguire l’andamento comune di tutti i matrimoni. Il problema non è solo all’inizio, ma è soprattutto dopo, quando la coppia ha bisogno di un sostegno nell’affrontare e risolvere i nodi fondamentali che man mano si vanno presentando. Su questo punto direi che il nodo della fede sia da tenere in grandissima considerazione, perchè c’è una tendenza a sminuire il valore della cosiddetta professione di fede che viene richiesta al coniuge cattolico, soprattutto maschio, che è previa alla concessione di tutte le autorizzazioni per celebrare il matrimonio. L’accettazione della professione di fede musulmana è un atto formale, per il quale il cattolico esce dalla comunione visibile della Chiesa. E per rientrare c’è bisogno di un itinerario al contrario, nel quale evidentemente tutto ciò che è stato compiuto deve essere sanzionato in un certo modo. Il ritorno deve comportare un atto esplicito di riconciliazione con la comunità e quindi di rifiuto di tutti quegli atteggiamenti e di quelle scelte che sono contrarie all’appartenenza alla comunità visibile della Chiesa.

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CHIESA E SOCIETA’

22 gennaio 2007

                  

 

PER RISOLLEVARSI, L’AFRICA PUNTI SU COOPERAZIONE, FORMAZIONE

E COMUNICAZIONE: COSÌ, NEL DOCUMENTO FINALE DEL PRIMO CONGRESSO

 PANAFRICANO SULL’EVANGELIZZAZIONE, CONCLUSOSI

NEI GIORNI SCORSI IN TANZANIA

- A cura di Roberta Moretti -

 

DAR-ES-SALAAM. = “Come una famiglia, l’Africa ha bisogno di risollevarsi dalle sfide imposte dalle guerre, dai conflitti di ogni sorta, dalla cronica gestione economica sbagliata delle risorse, dalla pandemia di HIV/AIDS, dall’odio, dalla negativa immagine di sé, dal tribalismo, dall’etnocentrismo, dalla corruzione, dall’appro-priazione indebita, dal malgoverno”: è quanto affermano i membri del Simposio delle Conferenze episcopali dell’Africa e del Madagascar (SECAM), nel documento finale del primo Congresso panafricano sull’evangelizzazione in Africa, conclusosi lo scorso 18 gennaio a Dar-es-Salaam, in Tanzania. L’evento è stato seguito dalla 14.ma Assemblea plenaria del SECAM che si è conclusa ieri. Durante il Congresso, in preparazione al secondo Sinodo africano, è stato sottolineato il ruolo centrale di Giovanni Paolo II e del Primo Sinodo africano nel denunciare l’allarmante situazione dell’Africa e nel portare il messaggio di speranza di Gesù Cristo. Il SECAM ha evidenziato poi “l’importanza primaria delle moderne tecnologie dell’informazione e della comunicazione”. “La proclamazione della Buona Novella – si legge nel messaggio – deve fare buon uso di esse nel portare Gesù Cristo, il Comunicatore per eccellenza, la verità e la vita, a tutti gli uomini e donne del nostro tempo”. Durante il Congresso è emerso, inoltre, come in alcuni Paesi le minoranze cristiane non possano esprimere liberamente la loro fede. “La loro testimonianza – ha aggiunto il SECAM – spinge le nostre Chiese a insistere sul rispetto della libertà religiosa e a portare avanti la testimonianza di vita e di amore nella loro missione evangelizzatrice”. Quindi, l’appello ai “fratelli e sorelle di fede islamica a capire che evangelizzazione non significa proselitismo, ma una libera proposta dell’amore di Dio manifestato in Gesù Cristo”. Per quanto riguarda poi la preparazione al secondo Sinodo Africano, il SECAM ha deciso di “intensificare la formazione di tutti i membri del Popolo di Dio: sacerdoti, religiosi e specialmente il laicato, la cui missione è essenzialmente essere presenti nel cuore delle realtà contemporanee: cultura, famiglia, lavoro, economia, politica”. Infine, il riferimento alla cooperazione tra il SECAM e il Consiglio delle Conferenze episcopali europee (CCEE), il cui segretario generale, mons. Aldo Giordano, ha partecipato ai lavori del Congresso, proponendo un piano di solidarietà. La stessa necessità di cooperazione è stata espressa anche in un documento della Conferenza episcopale degli Stati Uniti. Ma “questo tipo di solidarietà e comunione”, si legge nel documento, “deve essere praticata anche nello stesso Consiglio di tutte le Chiese dell’Africa (AACC).

 

 

“L’EUROPA VISTA DALL’AFRICA” TRA I TEMI AFFRONTATI STAMANI A NAIROBI,

IN KENYA, NEL TERZO GIORNO DI LAVORI DEL VII WORLD SOCIAL FORUM

- A cura di Marina Piccone -

 

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NAIROBI. = I diritti delle donne nelle situazioni di post-conflitto, dialogo Asia-Africa sugli obiettivi di sviluppo del Millennio, cooperazione internazionale e immigrazione sono alcuni dei seminari che si sono svolti questa mattina a Nairobi, in Kenya, nel terzo giorno di lavori del VII World Social Forum. Ci sono stati anche due incontri tenuti da organismi italiani: la CGIL, che ha discusso di povertà, e la “Tavola della pace”, sul tema “L’Europa vista dall’Africa: proposte di giustizia e di pace”. A questo incontro era presente anche il vice ministro agli Esteri, Patrizia Sentinelli. “Non dobbiamo pensare a noi come a coloro che hanno capito l’Africa – ha detto – ma anzi: dobbiamo imparare dai movimenti sociali africani, in particolare dalle donne. Non possiamo ancora parlare di società civile organizzata, ma ci sono tanti movimenti che lavorano per i loro diritti e noi abbiamo l’obbligo di ascoltarli. Siamo qui – ha aggiunto – per esprimere la convinzione che l’Europa e il mondo devono eliminare la politica di sfruttamento delle risorse di questo Paese che porta solo a conflitti devastanti, e anche le politiche di aiuto allo sviluppo che impoveriscono sempre di più l’Africa”. Nell’incontro della CGIL si è parlato tra l’altro della campagna del Millennio delle Nazioni Unite che si è prefissata otto importanti obiettivi entro il 2015. Tra questi, l’eliminazione della povertà, l’istruzione primaria per tutti e la riduzione della mortalità infantile. Nessuno di questi – si è detto – sarà raggiungibile se si continua con le politiche neo-liberiste dei Paesi del Nord del mondo, che determinano un sempre maggiore impoverimento dei Paesi in via di sviluppo.

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RILASCIATO IN PAKISTAN, DOPO 18 MESI DI CARCERE, SHAHBAZ MASIH KAKA,

CRISTIANO DISABILE ACCUSATO DI BLASFEMIA E CONDANNATO A 25 ANNI DI PRIGIONE

FAISALABAD. = L’Alta Corte di Lahore, in Pakistan, ha rilasciato il 19 gennaio scorso Shahbaz Masih Kaka, disabile mentale di fede cristiana, condannato a 25 anni di carcere da una Corte di Faisalabad che lo aveva ritenuto colpevole di blasfemia. Lo rende noto l’agenzia AsiaNews, secondo cui i giudici di Lahore hanno riconosciuto l’uomo non colpevole e ne hanno ordinato la scarcerazione immediata, dopo 18 mesi di detenzione. Khalil Tahir, l’avvocato difensore, spiega ad AsiaNews che “già nel corso del primo processo, la difesa aveva presentato diverse prove che scagionavano Masih dall’accusa di blasfemia, ma il giudice Shahid Rafiq si era inginocchiato davanti alle pressioni della comunità islamica e, il 25 settembre del 2004, lo aveva condannato ad una pena severissima”. “Avevamo inoltre presentato prove e certificati medici a sostegno dell’infermità mentale – aggiunge – ma questi sono stati ignorati del tutto”. Masih era stato arrestato nel giugno del 2001 con l’accusa di aver strappato alcune pagine del Corano nel cortile di una scuola islamica. Un religioso musulmano, Qari Mohammed Rafiq, lo aveva portato alla locale stazione di polizia dove aveva testimoniato di averlo visto calpestare i fogli davanti ai ragazzi della scuola. Il pubblico ministero l’aveva incriminato secondo i termini della Legge sulla blasfemia, che prevede l’ergastolo per chiunque dissacri i testi sacri dell’Islam. La testimonianza è stata in seguito smontata dalla difesa, che ne ha provato l’inattendibilità. Ora, conclude l’avvocato, “la prima cosa da fare è ricoverare Shabhas in un ospedale: dopo che avrà ricevuto le cure necessarie, potrà tornare a casa”. (R.M.)

 

 

 LA CHIESA CINGALESE INVITA I FEDELI A PRENDERE COME MODELLO IL BEATO JOSEPH VAZ, APOSTOLO DELLO SRI LANKA. “HA RESO POSSIBILE LA RINASCITA DELLA NOSTRA CHIESA DALLE SUE STESSE CENERI DURANTE LA PERSECUZIONE DEI COLONIZZATORI

 

COLOMBO. = La Chiesa cingalese ha invitato tutti i cattolici, laici e religiosi, ad avere come modello, “in questo periodo così critico” per il Paese, il beato Joseph Vaz, “apostolo dello Sri Lanka”. La festa del beato missionario, il 16 gennaio scorso, è stata occasione perché mons. Joseph Vianney Fernando, presidente della Conferenza episcopale e vescovo di Kandy, chiedesse alla comunità di pregare per “l’atteso miracolo della canonizzazione” e di non dimenticare colui che “ha reso possibile la rinascita” della Chiesa locale “dalle sue stesse ceneri”, come riferiscono AsiaNews e Zenit. “Quest’anno celebriamo la festa del Beato Vaz in un momento di grave crisi nazionale, specialmente per quanto riguarda il processo di pace”, ha affermato il presule. “Vaz è il modello per tutti noi, non solo per il suo imparagonabile zelo missionario, ma anche nel modo in cui ha servito tutte le comunità, senza distinzioni”, ha aggiunto. Originario dello Stato indiano di Goa, dove nacque nel 1651, quando la zona era di dominio portoghese, Joseph Vaz fu ordinato sacerdote nel 1676 nella Congregazione di San Filippo Neri. Si recò come missionario in Sri Lanka, da dove gli Olandesi della Compagnia delle Indie avevano espulso i missionari e minacciato di morte qualsiasi sacerdote che venisse sorpreso nell’isola. Clandestinamente, il beato missionario portò il suo aiuto ai cattolici del luogo e arrivò fino alla capitale, Colombo. Tradusse il Vangelo in tamil e in cingalese. Morì a Kandy il 16 gennaio 1711 e venne beatificato da Giovanni Paolo II il 21 gennaio del 1995 a Colombo. Ed è tra queste due date, il 16 e il 21 gennaio, che le parrocchie dello Sri Lanka festeggiano annualmente il beato. Mons. Fernando ha anche chiesto ai sacerdoti di citare il nome di Joseph Vaz nella preghiera eucaristica. “Non possiamo dimenticare la missione compiuta da Vaz - ha concluso – che ha reso possibile la rinascita della nostra Chiesa dalle sue stesse ceneri durante la persecuzione dei colonizzatori”. (R.M.)

 

 

SODDISFAZIONE DELLA CHIESA TEDESCA PER IL SUCCESSO DELL’INIZIATIVA

“QUI INIZIA IL FUTURO: MATRIMONIO E FAMIGLIA”, GIUNTA AL TERZO E ULTIMO ANNO

 

COLONIA. = La famiglia basata sul matrimonio “è tuttora il miglior fondamento per una vita riuscita del rapporto di coppia e nella solidarietà tra generazioni”: lo ha ribadito il cardinale Georg Maximilian Sterzinsky, arcivescovo di Berlino, intervenendo a Colonia alla celebrazione della Domenica delle Famiglie, che il 14 gennaio scorso ha aperto il terzo e ultimo anno dell’iniziativa della Chiesa tedesca “Qui inizia il futuro: matrimonio e famiglia”. “La Chiesa vuole incoraggiare iniziative a favore del matrimonio”, che non è affatto un’istituzione anacronistica, ma la cui tutela interessa sempre meno i politici, ha affermato il porporato, che presiede la Commissione episcopale per il matrimonio e la famiglia. Di qui, la necessità di “un grande lavoro di persuasione per sottolineare il contributo positivo del matrimonio al bene comune”. Come riferisce l’agenzia SIR, il cardinale Sterzinsky ha rilevato con soddisfazione la buona riuscita dell’iniziativa triennale, in particolare per quello che riguarda il coordinamento degli operatori della pastorale familiare, lodando le iniziative delle singole diocesi e la “buona collaborazione con il Comitato centrale dei cattolici tedeschi (ZDK)”. Ha quindi ribadito che “la Chiesa cattolica continuerà ad impegnarsi per le necessità del matrimonio e della famiglia” e ha sottolineato, tra gli obiettivi primari, la creazione di una rete per tutte le attività nel settore. Tra gli eventi principali in programma per il 2007, una conferenza internazionale sulla famiglia, prevista nel periodo dell’incontro dei ministri per la Famiglia dell'UE del 14 maggio prossimo. (L.Z.)

 

 

ACQUA POTABILE PER 32 MILIONI DI CONTADINI CINESI ENTRO IL 2010:

E’ L’IMPEGNO PRESO DAL GOVERNO DI PECHINO PER CONTRASTARE GLI EFFETTI DELL’INQUINAMENTO INDUSTRIALE

 

PECHINO.= Il governo di Pechino si è impegnato a versare 6,4 miliardi di yuan all’anno per garantire, entro il 2010, acqua potabile a 32 milioni di contadini. Lo ha annunciato nei giorni scorsi Wang Shucheng, ministro cinese per le Risorse Idriche. Secondo i dati ufficiali, nel 2004 non avevano accesso all’acqua potabile oltre 320 milioni di contadini, ovvero, il 34% della popolazione agricola, e di questi, 190 milioni bevevano acqua contenente sostanze tossiche prodotte dagli scarichi industriali. “Centinaia di migliaia di cinesi soffrono di varie malattie per il consumo di acqua non potabile”, ha dichiarato Wang. L’intervento rientra nel piano quinquennale iniziato nel 2006 per dare acqua potabile a 160 milioni di contadini. Esperti fanno notare, però, che Pechino non ha impedito l’aumento dell’inquinamento di vari corsi d’acqua, soprattutto per gli scarichi industriali. Attualmente, il 90% dei fiumi e dei laghi è contaminato, specie nel nord del Paese, con oltre il 70% delle acque dei fiumi Giallo, Huai e Hai. Secondo gli esperti, per proteggere le risorse naturali, è necessario un rigido controllo sugli scarichi industriali a costo di rallentare lo sviluppo economico. Tao Jianhua, esperto di Ingegneria ambientale dell’università di Tianjin, ha affermato che dando troppa importanza alla crescita economica e troppo poca all’ambiente, i governi locali non capiscono la necessità di uno “sviluppo coordinato”, che preservi le risorse naturali. (A.D.F.)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

22 gennaio 2007

 

- A cura di Eugenio Bonanata -

        

Ennesima strage in Iraq: è salito a 67 morti e 110 feriti il bilancio del duplice attentato compiuto questa mattina in un mercatino dell’usato nel centro di Baghdad, Lo ha detto il vice ministro della Sanità iracheno citato dall’emittente tv Al Arabiya. In questo quadro – secondo gli osservatori – il presidente statunitense Bush si prepara a ribadire la nuova strategia in Iraq nel suo discorso di domani sullo stato dell’Unione. Proprio oggi, intervistato dal quotidiano ‘Usa Today’, il capo della Casa Bianca ha ribadito che non esistono calendari per il ritiro delle truppe statunitensi dal Paese del Golfo.

 

Un incontro “fruttuoso” ma senza accordi specifici sulla formazione di un governo palestinese di unità nazionale. Questo il risultato dell’atteso colloquio di ieri sera a Damasco tra il presidente dell’Autorità palestinese, Abu Mazen, e il leader di Hamas in esilio, Khaled Meshaal. Rassicuranti i toni utilizzati nella conferenza stampa finale: Abu Mazen ha parlato infatti della ripresa dei negoziati entro “due settimane”, mentre Meshaal ha ribadito che il dialogo resta “l’unico modo per risolvere le nostre differenze politiche”.

 

Sul fronte israeliano il ministro della difesa Amir Peretz si è detto pronto ad intavolare negoziati di pace “con qualsiasi forza palestinese che riconosca    Israele e anche se si tratta di Hamas”. Nel corso di una conferenza a Herzliya, a nord di Tel Aviv, Peretz ha detto che serve una nuova strada diplomatica nei rapporti con i palestinesi e ha annunciato anche la presentazione all’esecutivo israeliano di un nuovo piano di pace.

 

Sempre tesa la situazione in Afghanistan, dove dai vertici militari della NATO giunge la conferma della recrudescenza delle violenze rispetto allo scorso anno. E mentre si chiede un altro anno di tempo per stabilizzare la situazione, in Italia domani si vota per il rifinanziamento della missione nel Paese asiatico. Secondo molti esperti, se gli italiani riducessero il loro impegno militare in Afghanistan, sarebbe un enorme successo per i talebani. Salvatore Sabatino ne ha parlato con la professoressa Maria Grazia Enardu, docente di Storia e relazioni internazionali presso l’Università di Firenze:

 

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R. – Io credo che i talebani, come tutto l’Afghanistan, pensi e giochi sul lungo periodo, sull’idea che lo straniero, l’intruso si sfianchi. Si sfiancherà da solo perché non potrà mai controllare né il territorio né la cultura di questo Paese. L’Afghanistan, in un mondo che parla tanto di globalizzazione, è una sorta di isola impenetrabile, sia per ragioni tecniche sia per ragioni militari, ma anche per ragioni culturali. Se in Europa o in Occidente noi capissimo questo, cominceremmo a capire come funziona questo Paese.

 

D. – Secondo molti, gli afghani sono disillusi. E’ stato confermato pure dal rapporto ONU dello scorso dicembre. Come risollevare, allora, le sorti di questo Paese?

 

R. – La strada migliore è la più difficile, cioè cercare di dare strumenti di cultura ai giovani e soprattutto alle ragazze. Bisogna partire dalla base, il ché richiede un investimento diffuso, una capacità di permanenza sul territorio cocciuta, testarda, contro tutti gli ostacoli, e un tempo lunghissimo ...

 

D. – E il futuro, invece, in Afghanistan, come lo vede?

 

R. – Nel lungo periodo lo vedo bene perché è vero che ci sono grandissimi ostacoli, però inevitabilmente la cultura crescerà, crescerà anche con le tecnologie di internet, perché oggi può veramente arrivare con pochi mezzi ... Quindi, prima o poi cambierà. Però i tempi sono veramente lunghi, perché è una società difficile, radicata e con un suo fortissimo modello.

 

D. – Modello che è stato voluto fortissimamente dai talebani. Secondo lei, quel periodo ha influito fortemente sulla cultura afghana?

 

R. – Sì e no, perché prima ancora dei talebani c’è stato un regime che veniva considerato filo-sovietico, il che era anche vero, ma era un regime in cui – per fare l’esempio più noto – le donne avevano grande libertà, grandissima rispetto a quella che hanno oggi! Quindi, c’è un passato, un passato che le signore di 50 e 60 anni ricordano, che può essere più che recuperato, re-interpretato per le nuovissime generazioni che oggi letteralmente vanno o non vanno a scuola: è su questo, sulla scuola, che dobbiamo fare l’Afghanistan!

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Almeno tre morti e numerosi feriti: è il bilancio ancora parziale di una violenta manifestazione antietiopica svoltasi stamane a Mogadiscio, repressa a colpi d'arma da fuoco da truppe di Addis Abeba e polizia governativa. La notizia, segnalata da testimoni, non è tuttavia confermata da fonti ufficiali. Intanto, mentre oggi il Consiglio dei ministri degli Esteri della UE ha esortato le parti a trovare un accordo, i servizi segreti del Kenya hanno fatto sapere che uno dei massimi dirigenti delle Corti islamiche si è consegnato alle autorità.

 

In Guinea, sette manifestanti sono stati uccisi dalle forze dell’ordine in un quartiere di Conakry, nel 13mo giorno di uno sciopero generale proclamato nel Paese. Salgono così a 17 le vittime dall’inizio delle manifestazioni.

 

In Cina, ha ucciso sette operaie l’incendio esploso ieri mattina all’interno di una fabbrica illegale tessile di Gongming. Secondo testimoni - riporta l’agenzia Asia News - le operaie non sono riuscite a fuggire dalle fiamme perché sia le porte che le finestre erano state chiuse dall’esterno. Persino i pompieri sono riusciti ad entrare nello stabile solo dopo 30 minuti. Non è la prima volta che la pratica di chiudere i lavoratori all’interno dei dormitori delle fabbriche provoca morte in Cina.

 

Continua a perdere combustibile la nave portacontainer Napoli, arenata davanti alle coste del Devon, nella Manica. Tuttavia, secondo l’agenzia marittima e della guardia costiera britannica, la chiazza oleosa, allungatasi per otto chilometri, si sta disperdendo e non sembra porre per il momento particolari problemi ambientali.

 

 

 

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