RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno LI  n. 16  - Testo della trasmissione di martedì 16  gennaio 2007

 

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Benedetto XVI nomina il nuovo nunzio in Sudan: è mons. Leo Boccardi, 53 anni, molisano, finora rappresentante permanente della Santa Sede presso l’AIEA e l’OSCE. L’attenzione del Papa per il Sudan, in particolare per il Darfur. Ai nostri microfoni la testimonianza del vescovo di Rumbek, mons. Cesare Mazzolari

 

Il saluto del Papa al primo Congresso panafricano sull’evangelizzazione, al via oggi in Tanzania

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Il pellegrinaggio di solidarietà dei vescovi europei e statunitensi in Terra Santa. Ce ne parla il patriarca Latino di Gerusalemme, Michel Sabbah

 

La gratitudine per il generoso servizio dei religiosi e in particolare delle suore nel messaggio della CEI per l’11.ma Giornata mondiale della vita consacrata: interviste con mons. Giancarlo Maria Bregantini e con suor Maria Trigila

 

Dal Vertice di Cebu, nelle Filippine, Asia e Oceania progettano il rilancio economico dei due continenti: il commento dell’economista Mario Deaglio

 

I matrimoni misti, una realtà complessa da affrontare con la dovuta preparazione da parte degli sposi e senza pregiudizi da parte della società: ai nostri microfoni, Franco Pittau

 

50 anni fa moriva il grande direttore d’orchestra Arturo Toscanini. Interviste con Roman Vlad, Pietro Melograni e Emanuela di Castelbarco

 

CHIESA E SOCIETA’:

Il direttore esecutivo del PAM, James Morris, ricevuto ieri in udienza privata da Benedetto XVI, ringrazia il Papa “per il suo costante impegno al fianco di quanti vivono in condizioni disperate”

 

Grande partecipazione, ieri a Kinshasa, nella Repubblica Democratica del Congo, alle esequie solenni dell’arcivescovo della città, cardinale Frédéric Etsou-Nzabi-Bamungwabi

 

Otto vescovi messicani e statunitensi riuniti alla frontiera per dire “no” al muro tra i due Paesi, definito “Barriera della vergogna”

 

I vescovi del Venezuela pubblicano il documento finale della loro 87.ma Assemblea plenaria

 

Il presidente dei vescovi USA, mons. William Skylstad, sottolinea la “responsabilità morale” degli Stati Uniti ad aiutare il popolo iracheno “a vivere in sicurezza e dignitosamente”

 

Joaquín Navarro-Valls, portavoce vaticano per oltre 20 anni, nominato presidente del Consiglio d’amministrazione dell’Università Campus bio-medico di Roma

 

Attenzione al mondo dell’immigrazione nel seminario sul “Primo annuncio”, promosso a Roma dalla Conferenza episcopale italiana

 

24 ORE NEL MONDO:

Il popolare tedesco Hans-Gert Poettering  eletto  nuovo presidente del Parlamento europeo

 

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

16 gennaio 2007

 

IL PAPA NOMINA IL NUOVO NUNZIO IN SUDAN:

E’ MONS. LEO BOCCARDI, 53 ANNI, MOLISANO, FINORA RAPPRESENTANTE PERMANENTE DELLA SANTA SEDE PRESSO L'AIEA E L’OSCE. L’ATTENZIONE DI BENEDETTO XVI

PER IL SUDAN, IN PARTICOLARE PER IL DARFUR. AI NOSTRI MICROFONI,

LA TESTIMONIANZA DEL VESCOVO DI RUMBEK, MONS. CESARE MAZZOLARI

 

         Il Papa ha nominato il nuovo nunzio apostolico in Sudan: si tratta di mons. Leo Boccardi, finora rappresentante permanente della Santa Sede presso l’Agenzia Internazionale dell’Energia Atomica (AIEA) e presso l’Organizzazione per la Sicurezza e Cooperazione in Europa (OSCE), e osservatore permanente della Santa Sede presso l’Organizzazione delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Industriale e presso l’Ufficio delle Nazioni Unite a Vienna, elevato in pari tempo alla sede titolare di Bitetto, con dignità di arcivescovo. Mons. Boccardi è nato 53 anni fa a San Martino in Pensilis, in provincia di Campobasso. Ordinato sacerdote nel 1979 è entrato nel Servizio diplomatico della Santa Sede nel 1987, prestando inizialmente la propria opera presso le Rappresentanze Pontificie in Uganda, Papua Nuova Guinea, Belgio, e presso la Sezione per i Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato. Parla correntemente anche il francese, lo spagnolo, e l’inglese.

 

Benedetto XVI ha più volte manifestato la propria attenzione per il Sudan, e in particolare per il dramma del Darfur dove la popolazione locale, in gran parte animista, sta subendo le tragiche conseguenze dello scontro tra la guerriglia e l’esercito del governo centrale di Khartoum, arabo e musulmano. Si contano a migliaia i morti, i profughi e le violazioni dei diritti umani. “La comunità internazionale – ha detto l’8 gennaio nel discorso al Corpo Diplomatico – sembra impotente da ormai quattro anni, malgrado le iniziative destinate ad alleviare le popolazioni provate e a dare una soluzione politica”. Il Papa ha invitato tutti “ad agire con determinazione: non possiamo accettare – ha sottolineato – che tanti innocenti continuino a soffrire e a morire”. Sulla situazione nel Darfur, ascoltiamo la testimonianza di mons. Cesare Mazzolari, vescovo di Rumbek, nel sud Sudan. L’intervista è di  Antonella Villani:

 

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R. – E’ ancora una situazione disastrosa, insostenibile, perché non sembra che si possa arrivare ad un vero trattato di pace che permetta l’invio di soccorsi. Nel resto del Paese, invece, c’è molta più tranquillità. La guerra è terminata al sud, ma c’è molta irrequietezza per una certa insoddisfazione di quello che la pace ha portato in questi due anni ormai. Si aspettavano risultati migliori nella ricostruzione delle strutture base e nell’aiuto alla gente nei settori della salute, dell’educazione…

 

D. – Ma nel Paese potrà mai regnare una pace duratura, viste le divisoni etniche e religiose?

 

R. – Noi continuiamo a sperare in questa pace, ma dovremo conquistarla. E’ una conquista difficile, a causa all’estrema povertà e al fatto che la pace, almeno nel sud, è arrivata, ma non eravamo pronti, non avevamo risorse umane sufficienti per lo sviluppo, per una buona amministrazione, per una vera condivisione dei beni del Paese.

 

D. – Quanto possono fare le organizzazioni internazionali?

 

R. – Vengono con capacità di aiuto abbastanza rilevanti, però, in questo momento, ci troviamo a dover affrontare un mercato nero spaventoso. Il povero non riesce più ad andare al mercato e a portare a casa il cibo per i figli, perchè il costo del cibo e delle cose essenziali per la vita è aumentato a dismisura. Paradossalmente proprio per l’aiuto internazionale e per le nuove disponibilità finanziarie offerte dalla comunità internazionale, i prezzi sono arrivati alle stelle.

 

D. – Tra l’altro, questa terra è forse una delle più difficili per il confronto con l’islam. Quanto può fare la Chiesa per mantenere questo dialogo di pace?

 

R. – Abbiamo cercato il più possibile di mantenere la serenità, con tutta la popolazione sfollata che dal nord sta venendo al sud, allestendo scuole improvvisate e strutture sanitarie di emergenza. Penso che continuiamo ad essere la voce più costante che richiama i leader alla pace, ad una distribuzione equa delle risorse, che molte volte si perdono o nella corruzione o nel nepotismo. La Chiesa parla chiaramente del dovere di soddisfare le aspettative della popolazione, che a questo punto non si vede appagata nelle sue speranze.

 

D. – A questo punto il suo appello qual è?

 

R. – Che l’impegno per la pace nel Darfur sia sempre più al centro dell’attenzione della comunità internazionale, perché se non termineranno le violenze sarà coinvolto tutto il Sudan.

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SIATE “PROMOTORI ZELANTI DEL GENUINO SPIRITO MISSIONARIO TRA LA GENTE”:

COSÌ, BENEDETTO XVI, NEL TELEGRAMMA, A FIRMA DEL SEGRETARIO DI STATO,

CARDINALE TARCISIO BERTONE, AI PARTECIPANTI AL PRIMO CONGRESSO PANAFRICANO SULL’EVANGELIZZAZIONE, AL VIA OGGI IN TANZANIA

- A cura di padre Joseph Ballong -

 

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Essere “promotori zelanti del genuino spirito missionario tra la gente”, “così che la Chiesa in Africa e Madagascar possa continuare a giocare pienamente la sua parte nel piano di Dio per la salvezza della razza umana”: è questo l’incoraggiamento di Benedetto XVI nel telegramma, a firma del segretario di Stato, cardinale Tarcisio Bertone, indirizzato al presidente del Simposio dei vescovi di Africa e Madagascar (SECAM), l’arcivescovo di Abuja, John Onaiyekan, riuniti da oggi a Dar-es-Salaam, in Tanzania, per il primo Congresso panafricano sull’evangelizzazione. Nel messaggio, letto dal cardinale Ivan Dias, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, Benedetto XVI “prega affinché, mentre le Chiese locali rinnovano il loro impegno nell’importante missione dell’evangelizzazione, i vescovi siano attenti alla formazione appropriata dei candidati alla vita sacerdotale e consacrata, sorvegliando la qualità dell’insegna-mento umano, spirituale e intellettuale che essi ricevono”.

 

I lavori del Congresso, in corso fino al 22 gennaio, si sono aperti con una cerimonia solenne, presieduta dal primo ministro della Repubblica di Tanzania, Edward Ngoyayi Lowassa. Prima di lui, il presidente della Conferenza episcopale di Tanzania e arcivescovo di Dodoma, mons. Jude Thaddaeus Ruwa’ichi, ha espresso le sue parole di caloroso benvenuto. Successivamente, il cardinale Polycarp Pengo, arcivescovo di Dar-es-Salaam, il nunzio apostolico, mons. Joseph Chennoth, e il presidente del SECAM ed arcivescovo di Abuja, in Nigeria, mons. John Onaiyekan, hanno insieme sottolineato l’importanza di questo Congresso, che deve identificare le sfide della Chiesa in Africa ed affrontarle, quindi, alla luce del Vangelo. Nel suo discorso di benvenuto il primo ministro ha, anzitutto, sottolineato l’importanza del ruolo della Chiesa nella promozione umana, sociale e sanitaria delle popolazioni africane, chiedendo tra l’altro alla Chiesa di proseguire in questo suo impegno, specialmente riguardo alla lotta contro l’AIDS, il cui tasso di infezione in Africa è pari al 7 per cento della popolazione dai 15 ai 49 anni, in un Paese che conta 1.300.000 ammalati di AIDS. “Questa situazione – ha dichiarato ancora il primo ministro – esige un intervento immediato di tutte le parti della Chiesa, del governo, del settore privato e delle società civili. Riconosco – ha proseguito il primo ministro - che avete già fatto molto in questo campo, ma rimane ancora molto da fare. Vi ringrazio di quanto avete fatto, ma vi chiedo ancora un ulteriore sforzo in questo campo. Lancio anche un appello, affinché possiate aiutare le popolazioni a cambiare i comportamenti”.

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NOMINATO IL NUOVO VESCOVO DI MENDE, IN FRANCIA

 

Il Santo Padre ha nominato vescovo di Mende, in Francia, padre François Jacolin, dell’Istituto dei "Missionnaires de La Plaine", finora vicario episcopale di Bourges e parroco della parrocchia di "La Résurrection" a Châteauroux nella medesima arcidiocesi. Padre François Jacolin è nato il 25 aprile 1950 a Fontainebleau, nella diocesi di Meaux. Ha compiuto gli studi classici presso il Seminario minore di Neuvy-sur-Barangeon nell’arcidiocesi di Bourges. Dopo gli studi universitari, ha conseguito la Licenza e la "Maîtrise" in Lettere classiche e ha insegnato per cinque anni a Bourges. Nel 1977 è entrato nel Seminario francese a Roma, frequentando i corsi di Teologia presso la Pontificia Università Gregoriana, dove ha ottenuto la Licenza in Teologia con specializzazione in Teologia biblica. E’ stato ordinato sacerdote il 4 aprile 1982 per l’arcidiocesi di Bourges. Entrato dopo l’ordinazione sacerdotale nella Congregazione dei "Missionnaires de La Plaine et de Sainte Thérèse" della diocesi di Luçon, ha fatto la professione perpetua il 30 settembre 1987.

 

 

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Servizio vaticano - Un articolo di Umberto Santarelli dal titolo “Un’analisi condotta con lucida ragionevolezza”: il discorso di Benedetto XVI al Corpo Diplomatico.

 

Servizio estero - In evidenza l’Iraq: sdegno nel mondo per le esecuzioni avvenute a Baghdad.

 

Servizio culturale - Un articolo di Giovanni Velocci dal titolo “John Henry Newman e la filosofia”: considerazioni su “Il Quaderno filosofico”, “I Sermoni universali” e la “Grammatica dell'assenso”.

Per l’“Osservatore libri” un articolo di Marco Testi dal titolo “Restituire dignità artistica ad autori a lungo ignorati”: “Poeti del Novecento”, un’antologia che riscopre liriche di grande interesse.  

 

Servizio italiano - In primo piano la tragedia nello Stretto di Messina.

 

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

16 gennaio 2007

 

IN CORSO LA VISITA DEI VESCOVI EUROPEI E STATUNITENSI IN TERRA SANTA

- Intervista col patriarca Latino di Gerusalemme Michel Sabbah -

 

Prosegue in Israele e nei Territori palestinesi il pellegrinaggio del Coordinamento delle Conferenze episcopali a sostegno della Terra Santa: si tratta di un organismo che riunisce membri del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa, della Commissione degli Episcopati della Comunità Europea e vescovi degli Stati Uniti. I presuli hanno avuto incontri a Gerusalemme, Betlemme e Gaza. Oggi è stata la volta di Nazareth: al centro degli appuntamenti odierni è stata la situazione della famiglia che nell’attuale contesto politico risulta spesso lacerata. Ma sulla visita dei vescovi europei e statunitensi ascoltiamo il patriarca Latino di Gerusalemme Michel Sabbah, al microfono di Rabih Abi Abdallah:

 

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R. – Abbiamo rivolto l’invito ai vescovi europei e statunitensi per poter riflettere insieme ai capi di quelle Chiese sulla presenza e sull’avvenire dei cristiani in Terra Santa. Si tratta di un modo per manifestare la solidarietà delle Chiese del mondo alla Chiesa madre di Gerusalemme. Speriamo che si possa arrivare con i fatti ad un certo metodo di azione per riuscire a garantire la presenza cristiana, malgrado il piccolo numero che si riduce sempre più a causa proprio dell’instabilità generale che c’è all’interno dei Territori Palestinesi, a Betlemme e in modo particolare a Gerusalemme. C’è una situazione tale che, comunque, ci incoraggia e che delinea un avvenire un po’ più chiaro, anche se certamente per lungo tempo rimarranno le difficoltà odierne. Noi siamo molto grati ai vescovi che si sono impegnati ad essere qui per passare con noi questa settimana. Hanno così avuto l’occasione di visitare le diverse comunità ecclesiali; hanno incontrato, ascoltato e parlato con la gente. Hanno poi avuto anche incontri ufficiali con il primo ministro israeliano e con il presidente palestinese. Incontri, questi, che hanno permesso anche di affrontare e discutere sulla situazione generale e sull’instabilità politica dell’area, ma soprattutto ha permesso di discutere sulla possibilità di arrivare ad una situazione di pace. Si è cercato anche di provare a risolvere alcuni problemi concreti della vita quotidiana della Chiesa, come la difficoltà di movimento sia dei fedeli che dei pastori stessi. Ci sono, infatti, dei religiosi, soprattutto coloro che hanno documenti palestinesi, che hanno quasi una impossibilità di movimento e non riescono quasi ad assolvere ai loro incarichi e compiti religiosi. C’è poi un altro punto fondamentale che abbiamo discusso e che riguarda la riunificazione delle famiglie. Ci sono, infatti, famiglie composte magari dallo sposo israeliano e la sposa palestinese o addirittura di cittadinanza straniera, ma una legge israeliana impedisce a queste famiglie di vivere insieme. Si è parlato di 17 mila casi, di cui circa il 12 per cento è rappresentato da cristiani. Questo è stato un tema che si è discusso e che forse torneremo ad affrontare anche con i responsabili israeliani per vedere come poter risolvere questo punto che coinvolge anche la dimensione dei diritti umani.

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INCENTRATO SUL SIGNIFICATO DEL DONO DEI RELIGIOSI E DELLE RELIGIOSE

 A SERVIZIO DELLA FAMIGLIA, IL MESSAGGIO DELLA CEI

PER L’11.MA GIORNATA MONDIALE DELLA VITA CONSACRATA

- Interviste con mons. Giancarlo Maria Bregantini e con suor Maria Trigila -

 

E’ necessario incoraggiare l’opera di tutti quei consacrati che si offrono al servizio delle famiglie. E’ quanto sottolinea la Commissione episcopale per il clero e la vita consacrata nel messaggio per l’11.ma Giornata mondiale della vita consacrata, che ricorrerà il 2 febbraio prossimo, Festa della Presentazione del Signore. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

 

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La consacrazione – sottolinea il messaggio - ha la sua origine in famiglia, nell’offrirsi quotidiano dei genitori per i figli e nella loro capacità di trasmettere la fede. Le famiglie ricevono poi doni preziosi da religiosi e religiose impegnati nei vari contesti educativi, nell’accompagnamento ai giovani nelle parrocchie, nell’assistenza agli ammalati e nel sostegno agli anziani. L’offerta della famiglie alla realtà della consacrazione diventa quindi dono prezioso per le famiglie. Ma nella società di oggi, in questo mondo che cambia così freneticamente, quale significato ha l’opera dei consacrati? Ascoltiamo il vescovo di Locri–Gerace, mons. Giancarlo Maria Bregantini, membro della Commissione episcopale per il clero e la vita consacrata:

 

R. – Ha una duplice testimonianza. Da una parte, la presenza, dall’altra, l’intercessione e la preghiera. Con la presenza c’è solidarietà, c’è vicinanza e le lacrime sono asciugate; c’è sostegno, c’è individuazione di obiettivi tenaci e decisi. Ad esempio, nel sud, i religiosi sono una forza contro la mafia. Dall’altra, queste presenze testimoniano che il cielo rende bella la terra. La terra senza cielo è fango, ma la terra con il cielo è giardino. I religiosi hanno il compito, da una parte di indicare il cielo - la vita contemplativa - e dall’altra di aiutarci a coltivare la terra, la vita attiva. Questo è il dono grande che ci fanno i consacrati.

 

Si deve riconoscere e incoraggiare – si legge poi nel messaggio - l’opera di tutti quei consacrati, in particolare le religiose, che si offrono instancabilmente al servizio delle famiglie. Ma quale esperienza hanno religiose e religiosi della realtà della famiglia? Risponde suor Maria Trigila, religiosa salesiana:

 

R. – La religiosa vive la famiglia, anzitutto, all’interno della propria scelta vocazionale e poi a livello educativo. Oggi le famiglie sono quelle agenzie educative più sole, perché si ritrovano in un contesto socio-culturale, che in vari versanti le sta isolando e le sta minando. Allora, l’apporto della vita religiosa alle famiglie consiste nell’accompagnare i genitori nell’educazione dei giovani. La religiosa è attenta ai segni dei tempi e, quindi, a quello di cui oggi la famiglia ha bisogno, facendosene carico per portarlo in altre agenzie educative o, addirittura, a livello istituzionale. L’aiuto, quindi, della vita religiosa alle famiglie passa dalla suora stessa, ma anche attraverso quei collaboratori laici che lavorano in seno alla famiglia religiosa.

 

Tra i doni della vita consacrata c’è quello della testimonianza. I consacrati – conclude il messaggio – “riescono ad annunciare che, in questo mondo che perde spesso i suoi punti di riferimento, la salvezza è ancora presente e viene da Dio attraverso il Suo Figlio”.

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DAL VERTICE DI CEBU, NELLE FILIPPINE,

LA RISCOSSA ECONOMICA DI ASIA E OCEANIA

- Intervista con Mario Deaglio -

 

Intesa sulla lotta al terrorismo, patto sulla sicurezza energetica, accordo sulla creazione entro il 2015 di una zona di libero scambio commerciale. Sono i risultati del vertice di Cebu, nelle Filippine, che ha riunito i leader dell’ASEAN, l'Associazione dei Paesi del Sudest asiatico con quelli di Cina, India, Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda. I delegati di 16 Stati – che rappresentano metà della popolazione mondiale - si sono pure accordati per trasformare la loro organizzazione in una sorta di Unione Europea asiatica. Sentiamo Chiaretta Zucconi:

 

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Sigla di intesa sulla lotta al terrorismo, volta a contrastare soprattutto la minaccia del fondamentalismo islamico, patto sulla sicurezza energetica e sulla creazione entro il 2015 di una zona di libero scambio commerciale. I leader dei 16 Paesi, che rappresentano metà della popolazione mondiale, si sono anche accordati sulla necessità di delineare le linee guida di una carta in cui per la prima volta si affronta il concetto di trasformazione dell’ASEAN in una sorta di Unione Europea asiatica, con capacità decisionali proprie. Grande successo, dunque, di un Vertice in cui si è parlato ancora timidamente di democrazia, ma molto invece della necessità di ridurre i consumi di carburante di origine fossile e di tagliare le emissioni gas serra. Un piano, questo, che prevede la costruzione di una rete elettrica regionale e condutture di gas naturale al fine di limitare la dipendenza della regione dal greggio del Medio Oriente. Il piatto forte del Summit è stato quello relativo alla costituzione di un’area di libero scambio tra Cina ed ASEAN, la più grande del mondo, che apra le porte ai settori bancari, immobiliari, della sanità, dei trasporti, dell’impiantistica, dell’edilizia. Una ASEAN da cui esce rafforzato il drago cinese, ma che ha permesso anche il riavvicinamento tra Cina e Giappone. Si parla già della visita del premier cinese a Tokyo in aprile, durante il summit Giappone, Cina e Sud Corea, che hanno presentato un fronte unito contro la Nord Corea, sollecitando Pyongyang a porre fine alle ambizioni nucleari e a concentrarsi, invece, sul rafforzamento delle relazioni commerciali con i suoi vicini.

 

Per la Radio Vaticana, Chiaretta Zucconi. 

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Gli accordi raggiunti in questi giorni sono un “passo avanti particolarmente lungo verso l’unione economica”: è l’opinione dell’economista Mario Deaglio, in particolare docente di economia internazionale all’Università di Torino. Nell’intervista di Fausta Speranza, spiega le conseguenze per il resto del mondo:

 

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R. – Quest’area economica oggi è quella che contribuisce maggiormente alla crescita mondiale. Sta scoprendo se stessa, sta scoprendo la propria centralità, relega di più tutti gli altri a livello di periferia. Noi ci sentiamo ancora il centro del mondo. Noi europei, in particolare, siamo diventati una periferia dell’economia mondiale. Ancora di più dopo questi accordi.

 

D. – E in quale direzione bisognerebbe muoversi, secondo lei?

 

R. – Non è che abbiamo delle scelte facili. Dobbiamo prendere atto che questi Paesi stanno facendo la più grande evoluzione pacifica che ci sia stata almeno negli ultimi 50 anni, ma probabilmente per molto più tempo. Stanno cioè costruendo un futuro di crescita economica in maniera estremamente pragmatica, con una sorta di rispetto reciproco, senza una chiara leadership, a parte la Cina che sta sempre dietro alle quinte e in qualche modo è il punto di riferimento. Ma i Paesi dell’ASEAN sicuramente non hanno un leader chiaro fra di loro, eppure le barriere si stanno abbattendo, il reddito cresce a livelli notevoli, da miracolo economico. Per oltre 500 milioni di persone ci sono prospettive di una vita migliore, di una vita sicuramente decente. La nostra influenza su quell’area è praticamente inesistente.

 

D. – Professore, parliamo di potenzialità. Il fatto che l’Unione Europea adesso raccolga praticamente mezzo miliardo di persone, può avere un peso?

 

R. – Questo ha sicuramente un peso. Tenga presente che mezzo miliardo di persone sono una dimensione minima per poter stare sul gioco mondiale. Tenga presente che la Cina ha un miliardo e 400 milioni di persone. L’India ha un miliardo di persone. L’ASEAN, che fa gli accordi, ha oltre 500 milioni di persone. Insomma, di fronte a queste cifre e al loro sviluppo futuro, noi riusciamo a galleggiare stando tutti assieme, ma possiamo fare poco di più. Come potenza economica espressa da queste cifre, la nostra è molto scarsa.

 

D. – Guardando agli Stati Uniti, anche gli Stati Uniti devono interrogarsi?

 

R. – Senz’altro sì. Gli Stati Uniti sono partiti all’inizio di questa fase della globalizzazione, all’incirca agli inizi degli anni ’90, con una chiara leadership mondiale. Questa leadership si sta erodendo sia in campo politico-militare, dove non c’è più un’egemonia stretta degli Stati Uniti sugli altri Paesi, sia in campo economico, in quanto appunto queste formazioni, queste grandi aggregazioni regionali che stanno avvenendo in tutto il mondo, finiscono per ridurre il loro spazio di azione, lo spazio di azione delle loro grandi società, alle quali si affiancano appunto le grandi società di questi Paesi.

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I MATRIMONI MISTI, UNA REALTA’ COMPLESSA DA AFFRONTARE

CON LA DOVUTA PREPARAZIONE DA PARTE DEGLI SPOSI

E SENZA PREGIUDIZI DA PARTE DELLA SOCIETA’

- Intervista con Franco Pittau -

        

“La realtà delle migrazioni non va mai vista soltanto come un problema ma anche e soprattutto come una grande risorsa per il cammino dell’umanità”. Lo ha ricordato Benedetto XVI all’Angelus, domenica scorsa. Parole che aiutano a comprendere con equilibrio un fenomeno complesso come quello dei matrimoni misti, una realtà in crescita anche in Italia, come documenta un rapporto dell’ISTAT. Dal ’92 al 2004 gli sposalizi tra coniugi di diversa nazionalità sono aumentati da poco più del 3 per cento ad oltre il 10 per cento. Come leggere questo dato? Fabio Colagrande lo ha chiesto a Franco Pittau, coordinatore del Dossier statistico sull’immigrazione, a cura della Caritas e della Fondazione Migrantes:

 

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R. – La lettura è di un fenomeno in evoluzione, senza esagerarne la portata, perché nello stesso periodo la popolazione degli emigrati è triplicata. Quindi, in proporzione non è che ci sia stato questo enorme sviluppo. Ma, io penso che il fenomeno dei matrimoni misti sia ancora all’alba della sua evoluzione. Il grosso si vedrà in seguito, perchè senz’altro, man mano che gli emigrati si stabiliranno di più in Italia, saranno più portati a sposarsi con cittadini o cittadine italiani e probabilmente anche a sposarsi con altri gruppi di immigrati che si sono stabiliti da noi.

 

D. – Facendo una comparazione con altri Paesi europei, si tratta di dati rilevanti?

 

R. – No, come avviene per la cittadinanza, per la quale noi abbiamo un ritmo di acquisizione tre volte inferiore alla media europea, così anche per i matrimoni misti non si può dire che il fenomeno in Italia sia consolidato e arrivato al suo pieno sviluppo.

 

D. – Renzo Guolo, commentando la notizia su “La Repubblica” scrive: “L’Italia cambia, ma cambia più di quanto se ne rendano conto i politici o i mass media”. E’ d’accordo?

 

R. – Sono completamente d’accordo. Purtroppo, però, non è una constatazione positiva. Il ritmo delle immigrazioni in Italia è superiore agli stessi Stati Uniti, il Paese di maggiore immigrazione del mondo, e non si può dire che noi abbiamo un ritmo di comprensione del fenomeno migratorio, delle sue aspettative, dei meccanismi di soluzione, che sia adeguato. Ci sono dei rituali un po’ stanchi. Ci sono pregiudizi ideologici. Ci sono interessi elettorali. Non ci siamo abituati ad affrontare in una maniera trasversale i problemi, che non sono di un partito o di uno schieramento politico, ma sono di tutta la società.

 

D. – Ma una coppia mista, Pittau, è una coppia più fragile?

 

R. – Se ben preparata, no. Purtroppo, bisogna insistere sulla preparazione. Ricordo che un documento dei vescovi che insisteva sulla preparazione venne preso molto male, come se si facessero delle avvertenze di pericolosità ad ogni costo. Nel mondo di oggi anche la scelta del matrimonio è basata molto sulle emozioni, che sono un aspetto meraviglioso e che ci deve essere. Allora, bisognerebbe pensare alla diversità culturale, alla diversità religiosa e non ultimo bisognerebbe pensare anche alle diversità del Paese di origine, perchè alcuni progetti migratori, non moltissimi, ma una certa quota, sono temporanei. Quindi, il protagonista, ad un certo punto, vuole tornare nel suo Paese, dove le leggi non sono uguali a quelle che ci sono in Italia.

 

D. – Ma Pittau, sposare un italiano o un’italiana non è spesso una scorciatoia per ottenere la cittadinanza?

 

R. – Sì, ci sono anche questi casi, che sono difficilmente quantificabili. Tutti sappiamo, però, che esistono. Adesso nella nuova legge sulla cittadinanza, se verrà approvata nel testo proposto, c’è anche una misura restrittiva, in larga misura comprensibile, che vuole evitare il mercimonio dei matrimoni a questo fine. Il matrimonio è una scelta d’amore, una scelta di vita, non deve essere fatta solo per ottenere la cittadinanza italiana.

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SI APRONO OGGI LE CELEBRAZIONI INTERNAZIONALI PER ARTUTO TOSCANINI

IL MONDO DELLA CULTURA RICORDA IL GRANDE DIRETTORE D’ORCHESTRA

A 50 ANNI DALLA SCOMPARSA

- Intervista con Roman Vlad, Pietro Melograni ed Emanuela di Castelbarco -

        

Oggi il mondo della cultura ricorda il grande direttore d’orchestra Arturo Toscanini a 50 anni dalla scomparsa, avvenuta a New York il 16 gennaio del 1957. Si apre un anno di celebrazioni internazionali promosse dall’omonimo Comitato, sotto l’Alto patronato del Presidente della Repubblica, tra cui una campagna nelle scuole italiane promossa dal Ministero della Pubblica Istruzione; una rassegna cinematografica sugli italiani nel mondo, che coinvolgerà Italia, Stati Uniti e Israele; una mostra sul rapporto tra il Maestro Toscanini e la Fondazione Don Carlo Gnocchi, con tavole illustrate dalle Edizioni San Paolo; seminari storici patrocinati dal Senato della Repubblica.

 

Dopo un’anticipazione dell’Opera di Roma, questa sera alle ore 19 l’omaggio del Teatro alla Scala di Milano, con la Sinfonia “Eroica” di Beethoven eseguita dall’Orchestra Filarmonica diretta da Daniel Baremboim; mentre l’anno toscaniniano sarà chiuso da un Concerto alla Fenice di Venezia con la Filarmonica di Israele, che Toscanini per primo diresse nel 1936. Il servizio di A.V.:

 

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(musica)

 

Libertà di lettura e rigore interpretativo, teatralità nella musica ma mai nel gesto. Così il musicologo Roman Vlad, presidente del Comitato Internazionale delle Celebrazioni Toscaniniane, ricorda la figura del Maestro:

 

“Lui non era teatrale, ma non rendeva la musica meno efficace e meno teatrale. La rendeva essenziale. Era un grande direttore non soltanto di opere da concerto, ma di teatro, di Wagner, di Verdi soprattutto, di Puccini, di Strauss. Rendeva la teatralità della musica, ma non la teatralità della propria persona”.

 

Toscanini fu contrapposto all’altro grande direttore d’orchestra dell’epoca, il tedesco Wilhelm Furtwängler, non solo per ragioni artistiche ma anche per le diverse scelte politiche:

 

Veniva contrapposto da critici, come per esempio Adorno, che diceva che Toscanini dirigeva in modo aerodinamico. Sembrava dirigere in modo rigoroso, quadrato e asciutto, ma faceva dei “rubati” talmente esatti, talmente felici, che non ce se ne accorgeva. Questa è la sua grandezza. Le scelte politiche di Furtwängler sono state molto dibattute. Lui è rimasto in Germania e pensava di poter servire dall’interno. La storia gli ha dato torto in questo senso”.

 

Lo storico Pietro Melograni, autore di una biografia di Toscanini, ritrae oltre alla statura musicale dell’artista anche lo spessore morale dell’uomo:

 

“Lui si è sempre battuto contro le dittature, sia quella di Hitler, sia quella di Mussolini. Tra l’altro lasciò l’Italia per motivi politici nel 1938, per protestare contro le leggi razziali. Un genero di Toscanini era Horovitz, un pianista ebreo famosissimo. Lui tenne però sempre molto separata la musica dalla politica. Non ci furono commistioni. Da questo punto di vista fu ammirevole”.

 

Arturo Toscanini fu anche il primo artista “mediatico” e “globalizzato” della storia, grazie alle storiche registrazioni con la NBC Symphony Orchestra di New York:

 

“Lavorava in tutta Europa, in tutto il mondo, in America. Lì è diventato un grande fenomeno di massa. Grazie alla radio passò a dieci milioni di ascoltatori. Divenne un mito e soprattutto avvicinò alla musica classica un pubblico che prima non si era avvicinato. Quindi, Toscanini fece questa operazione culturale encomiabilissima e va ricordato anche per questo”. 

 

Il ricordo più intimo e affettuoso è affidato alla nipote del Maestro, Emanuela di Castelbarco:

 

“Era modesto e schivo. Amava avere amici a casa, ma non amava uscire. Era comunque un nonno affettuoso e simpatico. Siamo stati separati dalla guerra e poi l’ho rivisto nel ’45. Loro sono andati via nel ’38 e lui è tornato nel ’46 alla riapertura della Scala, che era stata distrutta dai bombardamenti”.

 

(musica)

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CHIESA E SOCIETA’

16 gennaio 2007

 

IL DIRETTORE ESECUTIVO DEL PAM, JAMES MORRIS, RICEVUTO IERI IN UDIENZA

PRIVATA DA BENEDETTO XVI, RINGRAZIA IL PAPA “PER IL SUO COSTANTE IMPEGNO

PERSONALE E PER QUELLO DELLA CHIESA CATTOLICA

A FIANCO DI QUANTI VIVONO IN CONDIZIONI DISPERATE”

 

ROMA. = “Desidero ringraziare Sua Santità per il suo costante impegno personale e per quello della Chiesa cattolica a fianco di quanti vivono in condizioni disperate. Il mondo sviluppato deve fare di più per aiutare gli oltre 850 milioni di persone che non hanno di che sfamarsi”: è quanto afferma James Morris, direttore esecutivo del Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite (PAM), in un comunicato diffuso ieri, dopo essere stato ricevuto in udienza privata da Benedetto XVI. Morris ha ricordato “l’aiuto straordinario che viene dato al PAM dalle organizzazioni cattoliche”, citando, in particolare, “le tristi e terribili realtà di fame e denutrizione che colpiscono in particolare i bambini – ne muoiono 18.000 ogni giorno –  e il quadruplicarsi, negli ultimi anni, dei disastri ambientali – dal terremoto in Pakistan, ai cicli di siccità e inondazioni che sperimenta attualmente il Corno d’Africa e che sono una delle principali cause  moltiplicatrici della fame nel mondo”. “La guida spirituale, morale e materiale di Papa Benedetto XVI e della Chiesa cattolica – ha aggiunto il direttore esecutivo del PAM – rappresenta una speranza reale per restituire un futuro a milioni di bambini”. “Sono davvero grato – ha concluso – per il loro sostegno attivo, per l’incoraggiamento pieno di fede e, in particolare, per la speciale attenzione che Sua Santità rivolge a quanti vivono in condizioni a rischio e sono più vulnerabili. Il suo spirito sostiene tutti noi”.  (R.M.)

 

 

GRANDE PARTECIPAZIONE, IERI A KINSHASA, NELLA REPUBBLICA DEMOCRATICA

DEL CONGO, ALLE ESEQUIE SOLENNI DELL’ARCIVESCOVO DELLA CITTÀ,

CARDINALE FRÉDÉRIC ETSOU-NZABI-BAMUNGWABI, SCOMPARSO IL 6 FEBBRAIO SCORSO DOPO UNA LUNGA MALATTIA

 

KINSHASA. = Migliaia di fedeli, oltre 20 mila secondo alcune stime, si sono raccolti ieri nella Cattedrale ‘Notre Dame du Congo’ di Kinshasa per rendere l’ultimo omaggio all’arcivescovo della città, cardinale Frédéric Etsou-Nzabi-Bamungwabi, scomparso all’età di 76 anni lo scorso 6 febbraio a Lovanio, in Belgio, dopo una lunga malattia. “Il feretro è stato deposto accanto alla tomba del suo predecessore, il cardinale Joseph-Albert Malula” scomparso nel 1989: lo ha raccontato alla MISNA un giornalista di Radio Elikya, l’emittente diocesana fondata dallo stesso arcivescovo sette anni fa. Il cardinale Etsou “era un uomo di pace, che ha voluto l’unità nella Chiesa e nel suo Paese”, ha affermato durante l’omelia il cardinale Christian Wiyghan Tumi, arcivescovo di Duala, in Camerun, che ha presieduto i solenni funerali alla presenza di decine di vescovi e sacerdoti, tra cui il presidente della Conferenza episcopale congolese, mons. Laurent Monsengwo Pasinya. L’incaricato d’affari della Nunziatura apostolica ha letto nella Cattedrale il messaggio di cordoglio inviato da Benedetto XVI lo scorso 8 gennaio all’ausiliare di Kinshasa, mons. Daniel Nlandu Mayi, in cui il Papa definisce il cardinale Etsou “un figlio eminente dell’Africa”, che “ha servito Cristo e la sua Chiesa”. Personalità politiche di primo piano hanno partecipato alle esequie: dal presidente appena rieletto, Joseph Kabila, al suo omologo della vicina Repubblica del Congo, Denis Sassou-Nguesso, ai presidenti di Senato e Assemblea nazionale, esponenti di altre confessioni religiose. Domenica, circa 80 mila fedeli avevano partecipato a una celebrazione in memoria del defunto arcivescovo allo ‘Stadio dei Martiri’ di Kinshasa, in una cerimonia concelebrata da 44 vescovi e 550 sacerdoti. (R.M.)

 

 

NELLA GIORNATA DEL MIGRANTE E DEL RIFUGIATO DI DOMENICA SCORSA,

OTTO VESCOVI MESSICANI E STATUNITENSI RIUNITI ALLA FRONTIERA PER DIRE ‘NO’

AL MURO TRA I DUE PAESI, DEFINITO “BARRIERA DELLA VERGOGNA”

 

MATAMOROS. = Hanno benedetto la “Croce del Migrante” issata sulle rive del Rio Bravo, alla frontiera tra il Messico e gli Stati Uniti, tornando a criticare con forza la costruzione delmuro’ tra i due Paesi, “una barriera della vergogna”. Così, otto vescovi messicani e statunitensi hanno celebrato domenica la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato, accompagnati da centinaia di fedeli che hanno depositato piccole croci di legno ai piedi del monumento e sparso fiori nelle acque del fiume in memoria dei migranti morti nel disperato tentativo di varcare la frontiera. Inaugurando la seconda ‘Casa del migrante’ nella località di Matamoros, padre Francisco Gallardo López, coordinatore per i migranti della diocesi locale, citato dall’agenzia Misna, ha sottolineato la necessità di “ricordare che di fronte a Dio siamo tutti migranti nel nostro cammino spirituale”. Gli ha fatto eco il vescovo messicano mons. Alonso Gerardo Garza Treviño, sottolineando che “è dovere di ogni cattolico, dare cibo a chi ha fame, acqua a chi ha sete e vestiti a chi è nudo” e avvertendo che ilmuro’ “rischia di danneggiare le relazioni tra i due Paesi”. (R.M.)

 

 

“QUALUNQUE SIA IL REGIME POLITICO, ESSO DEVE AVERE COME CENTRO

LA PERSONA UMANA E I SUOI DIRITTI, E DEVE PROMUOVERE I VALORI DEMOCRATICI": COSÌ, I VESCOVI DEL VENEZUELA,

NEL DOCUMENTO FINALE DELLA LORO 87.MA ASSEMBLEA PLENARIA

- A cura di Luis Badilla -

 

CARACAS. = “Tempo di dialogo per costruire insieme”: è il titolo del documento conclusivo dell’87.ma Assemblea plenaria dei vescovi del Venezuela, conclusasi sabato scorso. In riferimento alla realtà del Paese, dopo la terza rielezione del presidente Hugo Chávez, i presuli scrivono: “Si è aperta una nuova tappa nella storia politica del Paese e non soltanto per la rielezione presidenziale ma anche per le proposte circa un nuovo modello politico e sociale chiamato Socialismo del secolo XXI”. “Quello che, in definitiva, interessa tutti – aggiungono, con le parole della lettera del dicembre scorso al capo di Stato – è che la proposta politica di governare sia una via di trasformazione aperta alla trascendenza e alla religione; che promuova l’inclusione di tutti i venezuelani attraverso il dialogo e la convinzione; che ribadisca i diritti inalienabili dell’uomo già consacrati dalla Costituzione del 1999 e, in particolare, aliena nella stessa misura dal capitalismo selvaggio e dall’ideologia marxista e stalinista, i cui risultati sono stati negativi nei Paesi in cui è stata applicata”. “Inoltre – continuano i vescovi venezuelani – qualunque sia il regime politico, esso deve avere come centro la persona umana e i suoi diritti, promuovendo i valori democratici e, tra questi, uno molto importante è la preservazione della proprietà privata e della sua funzione sociale”. La Conferenza episcopale ribadisce di essere “un corpo di pastori e profeti che, senza pretese di leadership politica, annuncia i principi e i criteri del Vangelo e del Magistero ecclesiastico, e allo stesso tempo, denuncia le decisioni e le misure che colpiscono negativamente il popolo”. “Ci sono situazioni – si legge nel documento - sulle quali i vescovi non possono tacere e verità sulle quali continueranno ad insistere: la centralità della persona; i diritti umani, il pluralismo politico di fronte al pensiero unico e all’esclusione per ragioni ideologiche o per qualunque altro motivo; l’educazione pluralista, aperta alla trascendenza e alla religione; la lotta contro la povertà, la disoccupazione, l’insicurezza giuridica e sociale e la violenza; la libertà di espressione e il diritto all’informazione; la richiesta di una risposta positiva alla situazione inumana dei nostri fratelli privati della libertà e di quanti si sentono perseguitati”.

 

 

DA GERUSALEMME, IL PRESIDENTE DELLA CONFERENZA EPISCOPALE STATUNITENSE, MONS. SKYLSTAD, SOTTOLINEA LA “RESPONSABILITA’ MORALE” DEGLI STATI UNITI

AD AIUTARE IL POPOLO IRACHENO “A VIVERE IN SICUREZZA E DIGNITOSAMENTE”

 

WASHINGTON. = Ogni futuro intervento o iniziativa politica degli Stati Uniti in  Iraq “dovrebbe essere valutato alla luce della responsabilità morale della nostra Nazione volta ad aiutare gli iracheni a vivere in sicurezza e dignitosamente”. Ad affermarlo è il presidente della Conferenza episcopale degli Stati Uniti, mons. William Stephen. Skylstad, in una nota diffusa da Gerusalemme, dove si trova in questi giorni insieme alla delegazione del Coordinamento delle Conferenze episcopali a sostegno della Terra Santa. Secondo mons. Skylstad, la nuova strategia per l’Iraq annunciata dal presidente Bush la settimana scorsa, o qualsiasi proposta alternativa, deve rispondere a un interrogativo morale di fondo: “Come favorire una transizione responsabile in quel Paese?”. Le tappe di questa transizione – afferma il presule – sono: garantire livelli minimi di sicurezza; realizzare accordi e istituzioni che aiutino a superare le attuali divisioni; ridurre la violenza; allargare la partecipazione; promuovere la libertà religiosa e quella dei diritti umani, oggi gravemente compromessi in Iraq. Mons. Skylstad ricorda le obiezioni della Santa Sede all’intervento militare in Iraq anche per le sue possibili conseguenze irreparabili e, “alla luce degli attuali sviluppi”, ribadisce il sostegno della Conferenza episcopale al coinvolgimento di tutta la comunità internazionale nella ricerca di una soluzione. Sollecita inoltre un impegno più deciso degli Stati Uniti nella pacificazione di tutto il Medio Oriente. Di qui, anche il reiterato appello alle forze politiche del Paese a lavorare insieme con uno spirito bi-partisan: “Questo dialogo civile è tanto più urgente in questo momento di confronto in cui la Nazione è chiamata a prendere decisioni importanti”. (L.Z.)

 

 

JOAQUÍN NAVARRO-VALLS, PORTAVOCE VATICANO PER OLTRE 20 ANNI,

NOMINATO PRESIDENTE DEL CONSIGLIO D’AMMINISTRAZIONE

DELL’UNIVERSITÀ CAMPUS BIO-MEDICO DI ROMA

 

ROMA. = Joaquín Navarro-Valls, direttore della Sala stampa vaticana per oltre 20 anni, è il nuovo presidente dell’Advisory Board (Consiglio d'amministrazione) dell’Università Campus Bio-Medico di Roma. “L’integrazione di base tra i risultati delle scienze positive e la riflessione antropologica – ha dichiarato Navarro-Valls, citato dall’agenzia SIR - è l’idea che mi ha trascinato in questa nuova attività professionale. Sappiamo tutto sull’essere umano, sui processi biochimici e la biomeccanica del suo organismo, ma potremmo ancora non sapere chi è questo essere umano”. Nata nel 1993, l’Università Campus Bio-Medico di Roma, che offre cinque corsi di laurea nell'ambito delle scienze mediche, il prossimo settembre si trasferirà nella nuova sede di Trigoria, dove sono in fase di completamento il nuovo policlinico e il polo di ricerca in biomedicina e bioingegneria. (R.M.)

 

 

ATTENZIONE AL MONDO DELL’IMMIGRAZIONE NEL SEMINARIO SUL “PRIMO ANNUNCIO”, PROMOSSO  A ROMA DALLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

 

ROMA. = “Dire Dio ai cercatori di Dio”: è questa, secondo mons. Bruno Forte, presidente della Commissione episcopale per la dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi, la risposta della comunità dei credenti “di fronte al crescente processo di secolarizzazione ed alla diffusa ignoranza dei contenuti della fede cristiana, ma anche dinanzi al bisogno mai spento e sempre ritornante di conoscere il Dio biblico e il senso che la fede in Lui schiude alla vita e alla storia”. Introducendo il seminario sul “primo annuncio”, in corso a Roma per iniziativa della citata Commissione CEI, mons. Forte ha osservato che “non basta trasmettere la fede a chi già in qualche modo la vive; occorre rivolgersi anche in modo adeguato a chi non crede e tuttavia cerca il volto di Dio, o a chi pur credendo avverte il bisogno di conoscere meglio Colui in cui crede o di poter dare ragione ad altri della propria speranza”. Da parte sua – riferisce l’agenzia SIR – mons. Walther Ruspi, direttore dell’Ufficio catechistico nazionale della CEI, ha sottolineato che “il mondo dell’immigrazione sta costringendo le comunità cristiane ad aprirsi al primo annuncio per coloro che non hanno conosciuto Gesù, dentro tutta una serie di problemi che chiamano in causa il rapporto tra la Chiesa e lo Stato”. “Oggi – ha fatto presente il relatore – sono aumentate le difficoltà soprattutto per gli immigrati senza permesso di soggiorno”. Sul piano sociale e politico, secondo mons. Ruspi, è ”urgente” che anche i cristiani, con la loro “coscienza”, contribuiscano a combattere “le situazioni di palesi ingiustizie in cui gli immigrati sono collocati per il lavoro, l’alloggio e i diritti fondamentali”. Solo in questo modo, ha concluso il direttore dell’Ufficio CEI, “il primo annuncio diventa forza di cambiamento e di conversione di tutta la comunità cristiana”. (R.M.)

 

 

 

 

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24 ORE NEL MONDO

16 gennaio 2007

 

- A cura di Fausta Speranza -

        

Ancora bombe in pieno centro a Baghdad. Almeno quattro i morti, tra cui due poliziotti, nel quartiere di Karrada. Attentato con una moto-bomba pure nei pressi di una moschea sunnita: 15 le vittime. Intanto, l’Ufficio delle Nazioni Unite a Baghdad rende noto che nel 2006 sono rimasti uccisi nelle violenze irachene 34.452 civili. Il responsabile dell’ONU per i diritti umani in Iraq, Gianni Magazzeni, ha detto in una conferenza stampa che nello stesso anno sono rimaste ferite 36 mila persone. Secondo la stessa fonte, rispetto a settembre ed ottobre scorsi, negli ultimi due mesi vi sarebbe stato un piccolo decremento delle vittime. In novembre e dicembre inoltre sono stati uccisi 6.376 civili, 4.731 dei quali a Baghdad.

 

A proposito delle esecuzioni in Iraq, l’Alto commissario dell’ONU per i diritti umani Louise Arbour, ha espresso il rammarico per le esecuzioni di Barzan Ibrahim al-Tikriti e Awad Hamad al-Bandar al-Sad’un, accusati di crimini contro l’umanità per la strage di Dujail. Amnesty International ha parlato di “una brutale violazione del diritto alla vita e di un’ulteriore opportunità persa per gli iracheni di veder rispondere del proprio operato i responsabili dei crimini commessi sotto il regime di Saddam  Hussein”. Da parte sua, la gran Bretagna ha precisato: “Siamo contrari alla pena di morte, ma si tratta di una decisione presa da un governo sovrano”.

 

La Siria e l’Iraq troveranno presto un accordo per la consegna alle autorità irachene di ex ufficiali del deposto regime di Saddam Hussein rifugiatisi in Siria dalla primavera 2003. Lo ha detto oggi Fakhri Karim, rappresentante a Damasco del presidente iracheno Jalal Talabani, commentando i primi risultati della visita di quest'ultimo nella capitale siriana, in corso da domenica. 

 

Il segretario di Stato americano, Condoleezza Rice ripone grande fiducia nel prossimo vertice a tre con il primo ministro israeliano Ehud Olmert e con il presidente palestinese Abu Mazen, concordato ieri a Gerusalemme. Secondo il segretario di Stato americano - oggi in Arabia Saudita e Kuwait - i colloqui, che dovrebbero svolgersi entro 3-4 settimane, potrebbero segnare il rilancio delle trattative di pace fra israeliani e palestinesi. Intanto ha creato agitazione negli ambienti politici a Gerusalemme la notizia, riportata questa mattina in prima pagina dal quotidiano Haaretz, di contatti segreti informali fra Israele e la Siria, di cui sarebbero stati a conoscenza i rispettivi governi, che si sarebbero svolti dal 2004 al 2006 e avrebbero portato l’anno scorso ad un primo protocollo informale d’intesa. L’informazione è stata smentita dall’ufficio del premier israeliano Ehud Olmert e a Damasco da fonti del ministero degli Esteri.

 

Un ordigno è esploso a Kabul durante un’operazione di bonifica di un’autovettura sospetta da parte degli artificieri italiani. Nessun militare è rimasto ferito, ma un robot usato per le operazioni è andato distrutto.

 

Ancora violenze in Nigeria. Un gruppo di uomini armati ha ucciso quattro capi tribali locali e altre otto persone, in un attacco all’imbarcazione che li trasportava lungo un fiume nel Delta del Niger. L’attacco ha però caratteristiche anomale rispetto a quelli ricorrenti nella zona contro istallazioni di compagnie petrolifere, che si concludono spesso con il sequestro di operatori stranieri. Nel Delta del Niger - lo ricordiamo - sono tuttora nelle mani dei loro rapitori 3 tecnici italiani, uno libanese e 5 lavoratori cinesi.

 

Di fronte al Parlamento spagnolo riunito in seduta plenaria il premier Jose Luís Rodríguez Zapatero ha rilanciato il tema della pace nei Paesi Baschi, dopo il drammatico attentato del 30 dicembre scorso, ed ha invitato tutte le forze politiche ad unirsi per rispondere alla sfida del terrorismo con la fermezza della legge e della democrazia. Un appello immediatamente respinto dall'opposizione di centrodestra che vede nella proposta uno stratagemma politico per nascondere “il fallimento” della politica di Zapatero. Il servizio è di Ignazio Arregui.

 

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Rodríguez Zapatero ha dichiarato che ritiene indispensabile un consenso generale in favore della pace, con la partecipazione di tutti i partiti parlamentari e non solo come stabilito in un accordo, firmato negli anni scorsi, tra il partito popolare e quello socialista. “Comunque – ha detto – con la violenza non è mai conciliabile il dialogo e nell’agenda del negoziato non ci saranno mai questioni politiche”, ma – ha aggiunto – di essere determinato a tentare tutte le vie possibili pur di raggiungere il grande obiettivo della pace. Il leader dell’opposizione, Mariano Rajoy, ha sferrato un duro attacco per il fallimento del suo processo di pace. “Con l’ETA – ha detto – non è ammissibile alcun dialogo” ed ha aggiunto che si è trattato di un errore che il Parlamento spagnolo abbia dato al governo il benestare per possibili contatti con l’ETA. L’unica politica ragionevole è quella che porta alla sconfitta del gruppo terrorista. Dopo il dibattito parlamentare, che ha confermato l’impossibilità per adesso di un’intesa tra il governo e l’opposizione. Il governo avrà ora un incontro con i politici per la ricerca di un consenso per la pace e contro il terrorismo.

 

Per la Radio Vaticana, Ignazio Arregui.

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Si torna a parlare del caso Litvinenko, l’ex agente del KGB morto a Londra nelle scorse settimane a seguito di un avvelenamento da polonio 210. Gli investigatori britannici che stanno indagando sul caso hanno ora chiesto di tornare in Russia per proseguire l’inchiesta. Gli inquirenti di Mosca, da parte loro, hanno annunciato di voler interrogare nella capitale britannica il magnate russo Berezovsky, che vive in esilio a Londra.

 

Con 450 voti sui 689 voti validi (715 i totali), il popolare tedesco Hans-Gert Poettering è stato eletto, al primo turno, nuovo presidente del Parlamento per i prossimi due anni e mezzo. La sua elezione è frutto di un accordo siglato ad inizio legislatura tra i due principali gruppi del Parlamento che prevedeva una staffetta tra un presidente socialista e uno popolare. Il presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano, ha inviato ad Hans-Gert Poettering un messaggio in cui scrive: “Sono sicuro che lei guiderà con chiarezza e coerenza l’attività del Parlamento Europeo nell’interesse della causa di un’Europa più profondamente unita attorno ai principi e agli obbiettivi fissati concordemente nel Trattato Costituzionale”.

 

Il parlamento nepalese ha approvato ieri la nuova Costituzione, aprendo la via all’ingresso dei ribelli maoisti nell’Assemblea. I membri del vecchio Parlamento hanno approvato la Costituzione ad interim che traghetterà il Paese verso le nuove elezioni previste a giugno. Il nuovo Parlamento, che sarà composto da 330 membri, vedrà anche la partecipazione, per la prima volta, dei ribelli maoisti, 73 in tutto, ma non dei leader politici che lavoreranno insieme per indire delle nuove elezioni. Maria Grazia Coggiola:

 

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Il Nepal ha ufficialmente voltato pagina e probabilmente darà anche l’addio alla monarchia, come previsto dagli accordi di pace - siglati a novembre – 83 rappresentanti dei ribelli maoisti hanno fatto il loro ingresso nel Parlamento provvisorio di Katmandu. Rappresentano ora la seconda forza politica e in alleanza con il partito comunista nepalese hanno la maggioranza dell’Assemblea. La nuova Costituzione ad interim, che è stata varata ieri, prevede più poteri al primo ministro e resterà in vigore fino a quando un’Assemblea costituente, votata dal popolo probabilmente a giugno, non redigerà una nuova Carta Costituzionale. Secondo alcuni commentatori, data l’affluenza dei partiti comunisti monarchici, il Nepal potrebbe adottare un sistema politico repubblicano. Difficile dire se la transizione dei maoisti da movimento guerrigliero a partito politico avverrà senza incidenti di percorso. Un elemento fondamentale, voluto dalla Comunità internazionale, sarà il processo di disarmo. Già da oggi osservatori delle Nazioni Unite sono al lavoro nell’est del Paese per ispezionare le basi dei ribelli e definire le modalità del disarmo. I maoisti contano su una milizia di circa 30 mila uomini e controllano larga parte del regno himmalayano. Le armi saranno depositati in specifici contenitori. Secondo gli accordi anche l’esercito nepalese dovrà consegnare un numero uguale di armi e munizioni in una caserma di Katmandu e sempre sotto la sorveglianza dell’ONU.

 

Per la Radio Vaticana, Maria Grazia Coggiola.

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Nuove rivelazioni sullo stato di salute del leader cubano Fidel Castro. Secondo il quotidiano spagnolo El Pais, Castro sarebbe in “gravi condizioni”, dopo tre operazioni non riuscite. Al momento sarebbe in atto un’infezione all’intestino degenerata in peritonite. Il giornale, citando fonti ospedaliere e diplomatiche, riferisce che, quando fu operato in luglio, Castro soffriva di diverticolite, che aveva causato un’emorragia.

 

Si sta avvicinando un reale cambiamento d’epoca. Così il neopresidente dell’Ecuador, Rafael Correa, ieri nel suo discorso di insediamento a Quito. Lotta alla corruzione, fine del liberalismo e revisione del debito estero – che supera i 10 miliardi di dollari – sono i punti cardine del suo programma. Il servizio di Maurizio Salvi:

 

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Nel suo discorso di investitura Correa ha assicurato che si sta avvicinando non un’epoca di cambiamenti, ma un reale cambiamento di epoca. Il capo dello Stato, ascoltato attentamente da una decina di colleghi latino-americani e dall’iraniano Mahmoud Ahmadinejad, ha quindi dichiarato la lotta alla corruzione, decretato la fine del liberalismo nel Paese ed annunciato l’intenzione di rinegoziare il debito estero che supera i 10 miliardi di dollari. La cerimonia è stata una nuova occasione per vedere tutti insieme i leader di Paesi come Cuba, Venezuela, Bolivia, Nicaragua ed Ecuador che sono impegnati ad unire gli sforzi per rendere la vita ‘difficile’ agli Stati Uniti nel sub-continente americano. E su questo ‘treno’ cerca anche di salire Ahmadinejadal suo secondo viaggio in America Latina in quattro mesi, interessato fra l’altro a consolidare uncartello’ del petrolio, di cui l’Ecuador è buon produttore.

 

Dall’America Latina, Maurizio Salvi, ANSA, per la Radio Vaticana.

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In Italia quattro persone sono morte ieri sera nello scontro tra un aliscafo di linea e un mercantile presso lo scalo del porto di Messina. A bordo del primo mezzo c’erano 151 passeggeri, quasi tutti pendolari, e sei membri dell’equipag-gio. Una settantina i feriti, alcuni dei quali in modo grave. Secondo la Capitaneria di porto, non è escluso che nello specchio d’acqua dov’è avvenuto l’incidente ci fosse una terza nave.

 

Tre scosse di terremoto in cinque settimane sono state registrate nei pressi di Basilea, nel nord della Svizzera, a causa dei lavori per la realizzazione di una vasta centrale geotermica.  L’ultima scossa, di magnitudo 3,2 sulla scala Richter, risale alla notte scorsa e si è verificata nello stesso punto delle scosse dell’8 dicembre 2006 e del 6 gennaio 2007, ha indicato il servizio sismologico svizzero. Trasportato dall’acqua, il calore verrebbe poi utilizzato per fornire elettricità a 10.000 utenze domestiche e per riscaldarne 2.700.

 

La Russia ha fornito all’Iran, come da contratto, complessi missilistici antiaerei Tor-1M: lo ha detto il ministro della Difesa russo, Serghei Ivanov, in una conferenza stampa riferita dall’agenzia Interfax. “Abbiamo fornito complessi a breve raggio”, ha precisato il ministro: “Rispettiamo le regole internazionali e sviluppiamo la cooperazione tecnico-militare con questo Paese. Se all’Iran servono armi difensive, siamo pronti a cooperare”. 

 

 

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