RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno LI n. 9 - Testo della trasmissione di martedì 9 gennaio 2007
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
All’insegna
della solidarietà le iscrizioni alla GMG di Sydney 2008
Nuove vittime della febbre
della Rift Valley in Kenya:
l’ultimo bilancio è di 74 morti
Il neo segretario generale
dell’ONU, Ban Ki-moon, pone
tra le priorità del suo mandato il dramma del Darfur, la crisi mediorientale e
la questione nucleare
9 gennaio 2007
LA
SFIDA DI UN MONDO PIU’ GIUSTO E IN PACE, TRA POPOLI E CONTINENTI,
NEL
DISCORSO DI BENEDETTO XVI AL CORPO DIPLOMATICO PRESSO LA SANTA SEDE:
UNA
RIFLESSIONE DEL CARDINALE SEGRETARIO DI STATO, TARCISIO BERTONE
-
Interviste con il porporato e con Sergio Marelli -
Un mondo con risorse distribuite in modo equanime, con gli
Stati ricchi solidali verso i più poveri, con diritti riconosciuti per tutti,
in cui la pace sia forte e rispettata e non “fragile e derisa”. Non ha
disegnato un’utopia, Benedetto XVI, con il suo discorso di ieri al Corpo Diplomatico
accreditato presso la Santa Sede, ma un progetto praticabile, a patto che Paesi
e singole persone accettino di cambiare i propri “modi
di vita”. Il Papa è stato chiaro: lo scandalo “inaccettabile” della fame, ma
ciò vale anche per l’origine di molti conflitti, “richiama - ha affermato - l’urgenza
di eliminare le cause strutturali delle disfunzioni dell’economia mondiale e di
correggere i modelli di crescita che sembrano incapaci di garantire il rispetto
dell’ambiente e uno sviluppo umano integrale per oggi e soprattutto per domani”.
Benedetto XVI ha parlato di una sfida che, in sostanza,
riguarda la difesa dei valori e la promozione dei popoli: sfida che inizia
dallo stesso mondo ecclesiale, come ribadisce il cardinale segretario di Stato,
Tarcisio Bertone, nell’intervista concessa a Giovanni Peduto:
**********
R. – Come il Papa ha rilevato, le grandi sfide possiamo
riconoscerle sia all’interno della Chiesa e sia ad extra. All’interno della Chiesa è sempre vivo il problema del
rapporto tra il particolare e l’universale. E quindi, la necessità di rafforzare
la comunione tra il centro della Chiesa universale, che è la Santa Sede, che è
la sede del Vicario di Cristo, con tutte le indicazioni del suo Magistero così
chiaro, così illuminante, con le realtà delle Chiese particolari.
D. – Eminenza, la pace è l’assillo costante di tutti i
Pontefici, quelli del secolo appena trascorso, e Benedetto XVI ne ha fatto un
tema prioritario anche nel suo discorso al Corpo Diplomatico ...
R. – La Chiesa è promotrice della pace e abbiamo visto,
abbiamo sentito con quanta passione e quanta puntualità il Papa sia intervenuto
a proposito dei conflitti locali proprio nel discorso al Corpo Diplomatico.
Dice: “Constatiamo in primo luogo che la pace è spesso fragile e anche derisa”.
Il Papa ha osato dire queste parole. Nonostante tutti gli sforzi, nonostante
gli sforzi della Chiesa, delle Chiese locali che si fanno a volte mediatrici
per la soluzione dei conflitti locali che insanguinano soprattutto il
continente africano e nonostante gli sforzi delle organizzazioni
internazionali, la pace è fragile. Quindi, il problema della pace è un problema
per il quale la Chiesa non cessa di attivare tutte le sue energie e tutte le
vie possibili: accanto alle vie tipicamente diplomatiche con i rappresentanti
della Santa Sede sparsi in ogni Paese del mondo e presso le organizzazioni
internazionali, le vie culturali, le vie della preghiera, le vie spirituali, le
vie della convivenza, dell’amicizia tra gruppi, tra persone, tra famiglie ... Quindi, il creare legami e percorsi di riconciliazione per
aumentare le possibilità, le prospettive di pace vera e duratura.
D. – La fame nel mondo, la sperequazione tra Nord e Sud
del mondo, interpellano drammaticamente ancora la Chiesa, oggi …
R. – Il Papa, proprio nel discorso al Corpo Diplomatico,
ha messo al primo punto questo problema quando scrive:
“All’inizio dell’anno siamo invitati a dare uno sguardo alla situazione
internazionale, e tra le questioni essenziali come non pensare ai milioni di
persone, specialmente donne e bambini, che mancano di acqua, di cibo, di
tetto?”. Quindi, il Papa fa appello alla solidarietà, alla più equa
distribuzione dei beni della terra, perché la terra è ricca di risorse, è ricca
di beni ma purtroppo molte volte sono distribuiti in
maniera ingiusta. E il Papa fa appello proprio a rinnovate misure economiche di
aggiustamento strutturale, perché certe strutture sono veramente nefaste. Allora,
bisogna correggere le strutture, bisogna correggere il commercio, la
distribuzione dei beni, lo scambio delle materie prime con gli altri beni che
favoriscono lo sviluppo dei popoli.
D. – Eminenza, non ultimo, anzi, prioritario rimane sempre
il problema della libertà religiosa conculcata ancora oggi in tanti posti del
mondo ...
R. – Il Papa ha messo al centro – lo ricordiamo – del
messaggio per la pace la persona umana, e ha messo insieme i diritti umani e il
diritto di libertà religiosa. Secondo la convinzione della Chiesa, la
tradizione del Magistero della Chiesa, il diritto di libertà religiosa è il
pilastro che sostiene tutti gli altri diritti umani. Se si
viola il diritto di libertà religiosa, ne vengono dappresso danneggiati gli
altri diritti umani. E purtroppo, in diversi Paesi il diritto di libertà
religiosa non si esprime secondo il quadro giuridico nel quale dovrebbe
esprimersi ogni persona, ogni gruppo sociale e quindi ogni comunità. Il Santo
Padre – io ricordo anche nei colloqui in Turchia – ha ribadito questo diritto
di libertà religiosa e lo ha ribadito anche in senso ecumenico, perché la
Chiesa cattolica non rivendica il diritto di libertà religiosa solo per i
cattolici, per le minoranze cattoliche, ma per tutti: per i cristiani,
naturalmente, ma anche per gli appartenenti alle altre religioni del mondo.
Anche, questo va nella linea di una promozione dei diritti di tutti.
D. – Quali frutti porteranno i viaggi compiuti da
Benedetto XVI nel 2006?
R. – Io penso a tre viaggi in modo particolare, senza
voler trascurare nulla: il viaggio in Germania, il viaggio in Spagna, per il
grande incontro delle famiglie, il viaggio in Turchia. Li aveva preceduti il
viaggio in Polonia che per il Papa è stato anche un
momento di ringraziamento – e lo
sottolineiamo proprio in questo momento in cui
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Gli appelli e le valutazioni contenute nel discorso di
Benedetto XVI si prestano a molteplici riflessioni da parte di chi, nella
realizzazione di un mondo migliore, è impegnato quotidianamente in prima linea.
E’ il caso della FOCSIV, la Federazione di 60 organizzazioni non governative
cristiane di volontariato, impegnate nel Sud del mondo. Fabio Colagrande ne ha
sentito il direttore, Sergio Marelli:
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R. – La cosa interessante è rappresentata in qualche modo
dalle soluzioni e dalle ricette che il Santo Padre propone per bandire dal
pianeta questo scandalo della fame, a partire dalla rimozione stessa delle
cause strutturali e cioè sottolineando il fatto che la fame non è tanto una
carenza di alimenti e di cibo, ma derivante da scelte politiche
e strutturali non mirate all’adozione di misure che invece sarebbero assolutamente
nella possibilità di esserlo. E in seconda battuta, è altrettanto importante il
fatto che occorra anche cambiare, come afferma il Papa, gli stili di vita.
Diciamo che si tratta di un appello a delle scelte e a delle responsabilità
degli individui e di ognuno di noi.
D. – Il Papa ha auspicato la ripresa dei negoziati
commerciali di Doha. Vogliamo ricordare cosa sono e
perché si sono interrotti?
R. – Quello che è chiamato il “Doha Development
Round”, cioè
il giro dei negoziati per favorire lo sviluppo attraverso le misure
commerciali, è in una fase di empasse
proprio perché nessuno - e in particolare i Paesi ricchi - vuole rinunciare a quelle prerogative,
a quei meccanismi che consentono loro di trarre grande beneficio dallo
sfruttamento delle risorse e del commercio: in particolare, delle materie
agricole di provenienza dei Paesi poveri.
D. – Benedetto XVI ha ricordato che sono state lanciate
diverse iniziative importanti nel quadro dello sviluppo, ma ciò non deve far sì
che i Paesi sviluppati smettano in qualche modo di continuare a dare il loro
contributo?
R. – Il Santo Padre ricorda che ci sono degli impegni
internazionali che devono essere mantenuti, a partire da quella famosa
destinazione dello 0,7 per cento del prodotto interno lordo di ogni Paese
donatore, e cioè dei Paesi ricchi, che deve essere destinato per gli aiuti ai
Paesi in via di sviluppo e per la cooperazione internazionale. Un obiettivo che
sappiamo ben lontano dall’essere raggiunto, perché la media mondiale si attesta
grosso modo alla metà e cioè verso lo 0,35 per cento.
D. – C’è però una maggiore presa
di coscienza della comunità internazionale, ha detto il Papa, nei confronti di
questa enorme sfida del nostro tempo…
R. – Sì, forse perché, con grande fatica, comincia a
passare questo concetto che noi da tempo sosteniamo e cioè che senza garantire
i diritti e senza garantire una vita dignitosa a tutti gli esseri umani del
pianeta, si mette a repentaglio anche il futuro delle nostre società ricche.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Servizio vaticano - Una pagina
dedicata alla celebrazione dell’Epifania nelle diocesi italiane.
Servizio estero - Iraq: diffuso
un nuovo video dell’esecuzione di Saddam Hussein.
Servizio culturale - Una
riflessione di Armando Rigobello dal titolo “La
società italiana e la cultura cattolica”.
Per l’“Osservatore libri”, un
articolo di Gaetano Vallini dal titolo “Un monumento
alla verità storica provata e inconfutabile”: completata dall’UTET l’edizione
in cinque volumi della “Storia della Shoah”.
Servizio italiano - In primo
piano il tema degli incidenti stradali.
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9 gennaio 2007
“UNA
CHIESA VIVA E CORAGGIOSA”: IL CARDINALE TARCISIO BERTONE
SI SOFFERMA SUL DIFFICILE MOMENTO PER LA COMUNITA’ CATTOLICA POLACCA.
ANCORA
OGGI, AVVERTE, VEDIAMO LE TRACCE DEI REGIMI CHE L’HANNO MARTORIATA
- Con
noi, Luigi Geninazzi -
La Chiesa polacca è una “Chiesa viva, una Chiesa
coraggiosa”: è quanto, dunque, sottolineato ai nostri microfoni, dal cardinale
segretario di Stato, Tarcisio Bertone. Il porporato ribadisce che la Chiesa di
Polonia “è fedele, anche se ha vissuto” dei “momenti di incertezza, dei momenti
anche di compromesso e in cui è stata vittima”. Pensando alla difficile
situazione che sta vivendo la comunità cattolica polacca, dopo le dimissioni di
mons. Stanislaw Wielgus, il
cardinale Bertone afferma che la Polonia è “una
nazione che ha sofferto durante tutta la storia per gli opposti estremismi e
gli opposti regimi che l’hanno martoriata; ne vediamo le tracce ancora oggi”.
Per una riflessione su quanto sta accadendo in Polonia, Alessandro Gisotti ha
intervistato l’inviato di Avvenire,
Luigi Geninazzi, profondo conoscitore della realtà polacca:
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R. – L’effetto, devo confessare, è stato di stupore.
Subito dopo c’è stata l’idea che ovviamente questa vicenda dovesse
concludersi con la sua rinuncia, non perché mons. Wielgus
fosse una persona indegna. E’ una persona di grandi qualità, è un pastore amato
dai suoi fedeli, ma aveva passato il confine, firmando un impegno a collaborare
con un regime ateo e anticristiano, proprio il contrario di quello che chiedeva
al suo clero il primate cardinale Wyszynsky.
D. - “La Chiesa polacca dovrebbe “restare sempre quella voluta dal
cardinale Wyszynsky”. Queste sono parole pronunciate
da Giovanni Paolo II all’inizio degli anni ’90, proprio
quando era in corso la transizione dal regime comunista ad un regime
democratico e di libertà. Cosa intendeva allora Karol Wojtyla? Come leggere
oggi quelle parole?
R. – Quelle parole sono state pronunciate durante una cena
e ovviamente non sono ufficiali. Erano state riferite da un mio amico vescovo
polacco. Ovviamente a quell’epoca, Wojtyla si
riferiva alla dura battaglia – dobbiamo ricordarcelo – che la Chiesa polacca dopo
il trionfo della vittoria sul comunismo aveva dovuto affrontare il montare del
secolarismo e del laicismo. Non si riferiva certo alla problematica sorta in
questi ultimi mesi in Polonia, con i dossier sui presunti collaborazionisti,
dentro e fuori la Chiesa. E’ chiaro, però, che quella frase contiene
un’indicazione: la Chiesa di Wyszynsky, la Chiesa
polacca dell’ultimo mezzo secolo deve continuare ad essere così, cioè una
Chiesa a cui tutto il popolo, non solo i credenti, fa
riferimento per avere ispirazione e trarre ispirazione per la sua resistenza
morale, per la sua vita quotidiana, per la sua dignità.
D. – Il caso Wielgus ha messo in
evidenza un uso spregiudicato di dossier di cui non è peraltro facile
verificare sempre la veridicità. C’è un disegno dietro a questo attacco al
clero polacco?
R. – Sì, dobbiamo constatare che c’è un fatto paradossale.
La lustracja,
cioè questa verifica sul passato, condotta in base agli archivi dei servizi
segreti comunisti, è stata lanciata dal governo conservatore ed era stata
fatta, per pulire l’amministrazione pubblica da tanti personaggi ancora legati
al vecchio mondo. E dobbiamo constatare che – questo è l’effetto paradossale,
l’effetto boomerang – non si hanno notizie di grandi personalità legate al mondo
comunista, che sono state vittima di un attacco mediatico,
epurate dei loro posti, come invece è avvenuto con alcune personalità del
sindacato Solidarnosc e, soprattutto,
con grande risonanza sui mass media ovviamente, con alcune personalità ecclesiastiche.
Forse questo istituto della memoria nazionale dovrebbe ridarsi delle regole più
trasparenti e più corrette, perché altrimenti si scatenerebbe davvero una
guerra di tutti contro tutti.
D. – Benedetto XVI, visitando la Polonia,
nel maggio scorso ha anche avuto modo di rivolgersi al clero polacco con un
discorso, mostrando particolare attenzione alle difficoltà che stava vivendo,
che sta vivendo…
R. – Sì, aveva dato un criterio guida, molto chiaro,
dicendo che bisognava vagliare con molta attenzione le accuse che vengono formulate, perché ovviamente i dossier dei servizi
segreti comunisti non sono infallibili, anzi possono essere inquinati. E questa
indicazione è stata ripresa dalla Conferenza episcopale polacca che,
nell’agosto di quest’anno, ha fissato in un memorandum delle regole guida
precise, fino ad arrivare – vorrei citare proprio il passo – a dire che “un
esponente del clero che ammette di aver collaborato con i servizi segreti
comunisti dovrà decidere assieme ai suoi superiori come riparare ed espiare lo
scandalo pubblico e in alcuni casi sarà probabilmente necessario che coloro i
quali ricoprono un ufficio nella Chiesa pensino se non sia il caso di
dimetterlo da questo incarico”.
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POTREBBERO
ESSERE MOLTE LE VITTIME IN CONSEGUENZA
DEL
RAID AEREO AMERICANO,
IERI
POMERIGGIO NEL SUD DELLA SOMALIA, CONTRO LEADER DI AL
QAEDA
-
Intervista con Maurizio Simoncelli -
Un Ac-130 statunitense ha colpito ieri nel tardo
pomeriggio un piccolo villaggio nel sud della Somalia
dove secondo fonti di intelligence avevano trovato rifugio leader di al Qaeda.
Il servizio di Fausta Speranza:
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La missione, che sembra aver provocato moltissimi morti,
ha ottenuto l'esplicita approvazione del presidente del governo provvisorio
somalo, Abdullahi Yusuf. I
leader di al Qaeda obiettivi del raid sarebbero leader
del terrorismo islamico fuggiti da Mogadiscio lo scorso 28 dicembre quando
corti e milizie islamiche dovettero abbandonare la capitale somala sotto
l’incalzare delle truppe etiopiche, e di quelle fedeli al governo legittimo.
Non e' chiaro se siano stati uccisi. I due obiettivi principali erano due
leader ritenuti responsabili degli attentati che nel '98 fecero saltare in aria
contemporaneamente le ambasciate USA a Nairobi, in Kenya, e a Dar-es-Salaam, in Tanzania.
Il presidente ad interim somalo, Yusuf,
da Mogadiscio, dove e' arrivato ieri per la prima volta da
quando e' stato eletto, nell'ottobre del 2004, ha dichiarato in tarda
mattinata che gli americani hanno il diritto di attaccare i terroristi di al
Qaeda in tutti il mondo: e che di questa strategia fa parte l'incursione
effettuata ieri nel sud del Paese. L'aereo USA era partito dalla base di Gibuti, mentre si apprende che la grande portaerei 'Eisenhower' si e' avvicinata alle coste somale, così che i
suoi jet siano a distanza utile per operare eventuali altre missioni contro
basi di al Qaeda in Somalia. L’intervento degli Stati
Uniti ha per teatro un Paese che sta vivendo una precaria e difficilissima
situazione che va ben oltre i confini della Somalia,
come spiega, Maurizio Simoncelli, esperto di
geopolitica dei conflitti:
R. – Non possiamo parlare solo di Somalia, ma dobbiamo
parlare anche di Corno d’Africa e questo perché si comprende inevitabilmente
Etiopia, Eritrea e in parte anche il Sudan ed il Kenya e quindi i Paesi
confinanti. La questione è decisamente molto più complessa. Ricordiamo che già
oltre dieci anni fa ci fu un primo tentativo delle Nazioni Unite di intervenire
con la famosa missione “Restore Hope”
che fallì dopo 3-4 anni e nel ’95 fu ritirata. Non si riuscì a dar corpo ad uno
Stato vero e proprio, che per tanti anni è stato in
mano ai vari signori della guerra.
Negli ultimi anni le milizie delle corti islamiche avevano preso piede grazie
proprio alla corruzione, alla violenza, all’anarchia che questi vari signori della guerra avevano messo in
piedi e grazie anche al sostegno degli Stati Uniti che in questi signori della guerra vedevano un utile bastione contro un
eventuale sviluppo dell’integralismo islamico.
D. – Restando dietro queste quinte e quindi gli Stati
Uniti da una parte, che combattono il fondamentalismo islamico, e chi invece
dall’altra parte?
R. – Avevamo Paesi come l’Iran, l’Arabia Saudita e
all’interno di tutto questo non dimentichiamo che ci sono i signori della guerra che in questo
momento appoggiano l’intervento etiopico, appoggiano almeno apparentemente il
governo legale seppur debolissimo. Ma proprio questa debolezza intrinseca del
governo legale somalo, una volta riuscito a sconfiggere il governo integralista
islamico, potrebbe permettere proprio ai signori
della guerra di riprendere la loro forza, la loro presenza e la loro
capacità di gestire una serie di territori che si erano
praticamente divisi e spartiti come fossero stati dei signori medievali
della nostra antica storia dei secoli passati.
D. – Dopo l’occupazione delle Corti islamiche, il ritiro e
dunque il rientro del governo riconosciuto come legittimo, sembra di capire che
questa normalizzazione è molto precaria. E’ così?
R. – E’ assolutamente precaria. Ai confini con il Kenya,
le Corti islamiche si stanno preparando per un intervento come è stato già, tra
l’altro, chiaramente detto. L’Unione Africana, come vediamo, non ha ancora
deciso l’invio di un corpo di spedizione internazionale. E purtroppo la
tragedia del Corno d’Africa non sembra destinata, nell’immediato, a risolversi.
D. – In che modo, secondo lei, con quale peso la guerra ad Al Qaeda da parte degli Stati Uniti si intreccia con
tutta questa situazione di precaria normalizzazione?
R. - Come dice la parola stessa, integralismo islamico
nasce da un elemento in primo luogo religioso e quindi da una cultura e da un
modo di essere. Un intervento di tipo militare o proprio come oggi un
bombardamento aereo su un villaggio, perché si riteneva che lì ci fosse un
rappresentante di Al Qaeda, ha colpito però tutta la
popolazione. Ecco questo tipo di interventi non fanno altro, purtroppo, che aggravare
le situazioni e non certo a risolverle.
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IL
VENEZUELA DIVENTERA’ UNA REPUBBLICA SOCIALISTA: LO HA
AFFERMATO
IL
PRESIDENTE CHAVEZ ANNUNCIANDO UNA CAMPAGNA DI NAZIONALIZZAZIONI
“Tutto quello che è
privatizzato sarà nazionalizzato”, in particolare nei settori dell'energia
elettrica e della telefonia: è quanto ha affermato ieri il presidente del
Venezuela Hugo Chavez
durante la cerimonia del giuramento dei nuovi 12 ministri che lo accompagneranno
nel suo terzo mandato, che comincia formalmente domani, dopo la rielezione nel
dicembre scorso. Confermata la svolta socialista. Il servizio di Luis Badilla:
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Chavez dunque ha annunciato che intende
procedere a un vasto programma di nazionalizzazioni. Poi ha precisato che
presenterà un testo di legge in base al quale il Parlamento gli affiderà poteri
speciali, tali tra l’altro da consentirgli di assumere il controllo dei settori
strategici dell’economia. Inoltre il presidente ha dichiarato di voler
riformare ulteriormente “in profondità” la Costituzione, per andare verso una
“Repubblica socialista del Venezuela”, in sostituzione dell’attuale “Repubblica
bolivariana del Venezuela”.
“Andiamo verso il socialismo, e niente e nessuno potrà
impedirlo”, ha sottolineato. Chavez - al potere dal
1999 e che giurerà domani per il suo terzo mandato presidenziale, con scadenza
nel 2013 - ha annunciato inoltre di voler utilizzare la legge-quadro per porre
fine al controllo delle raffinerie della Cintura petrolifera dell’Orinoco da parte delle compagnie straniere, tra cui
l’americana Exxon e la francese Total. Chavez, inoltre, ha affermato che “niente e nessuno” gli
impedirà di non rinnovare la concessione a “Radio Caracas Television”,
un canale indipendente che accusa di “golpismo”,
annunciando che denuncerà al mondo “quel ragazzino” – sue testuali parole - del
segretario generale dell’Organizzazione degli Stati Americani (OSA), il cileno
José Miguel Insulza, che lo
ha criticato per tale passo.
Il presidente venezuelano ha invitato anche il cardinale Jorge Urosa, arcivescovo di Caracas,
che gli ha chiesto di non chiudere l’emittente, a “fare il suo mestiere”. Riferendosi
agli interventi prima del presidente della Conferenza episcopale venezuelana
mons. Ubaldo Santana, arcivescovo di Maracaibo, e poi
del cardinale Urosa, ha accusato la gerarchia
cattolica di “dire barbarie”, ora difendendo l’indifendibile”. “Raccomando a
questi vescovi di leggere Marx, Lenin e di leggere nella Bibbia il Discorso
della montagna per conoscere le linee del socialismo”, ha aggiunto. “Noi
andiamo verso il socialismo e nessuno potrà evitarlo”, ha sentenziato. Dal 7
gennaio i vescovi del Venezuela si trovano riuniti per la 87.ma
Assemblea ordinaria dell’episcopato locale e si attende per le prossime ore un
pronunciamento.
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SI
APRONO STASERA AL TEATRO DELL’OPERA DI ROMA
A 50
ANNI DALLA SCOMPARSA DEL GRANDE DIRETTORE D’ORCHESTRA
-
Intervista con Francesco Ernani e Gianluigi Gelmetti -
Si aprono ufficialmente stasera le celebrazioni per i cinquant’anni dalla scomparsa di Arturo Toscanini
(morto negli Stati Uniti il 16 gennaio 1957), con un concerto lirico-sinfonico con cui il Teatro dell’Opera di Roma
ricorda il connubio artistico con il grande direttore d’orchestra. Dalla Carmen di Bizet,
con la quale Toscanini debuttò al Costanzi
nel 1892, alla Traviata
di Giuseppe Verdi, dal Tristano e
Isotta di Wagner alla Bohème di Puccini: opere che segnarono le tappe di un successo
internazionale che l’Italia poté nuovamente salutare, dopo l’esilio americano,
solo con la fine del Fascismo e della Guerra. A.V. ha intervistato il
sovrintendente Francesco Ernani e il direttore musicale Gianluigi Gelmetti, sul podio questa sera.
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D. – Sovrintendente Ernani, Toscanini
torna idealmente al Teatro dell’Opera di Roma. Quale fu il suo rapporto con il
“Costanzi”?
R. – L’archivio storico del teatro riporta la sua prima
produzione d’opera al 1892 con la Camen e allora i critici musicali scrissero: ‘Si tratta di un direttore di talento eccezionale che farà
una grande carriera’. Poi, quando diresse il Falstaff, già
affermato – aveva 44 anni – ha fatto vedere come
si deve dirigere l’ultimo capolavoro verdiano. E poi,
un importantissimo concerto nel 1914, dove Toscanini
diresse parte di Butterfly
e tutta I pagliacci
con Caruso. I giornali dell’epoca scrissero come una sua direzione fosse
particolare nella scelta dei timbri, nella vibratilità del timbro. E direi che
anche questo rappresenta una memoria importante per chi, nell’Opera di Roma,
oggi si trova a guidare il Teatro, a perseguire gli ideali dell’alta musica.
D. – Qual è l’eredità di Toscanini
per la musica, per i teatri d’opera in Italia e anche per lei, personalmente?
R. – Nel mio periodo di lavoro alla Scala – sono stato 11
anni – ho avuto la fortuna di leggere e approfondire gli atti della
costituzione del primo ente autonomo in Italia dopo la difficoltà di portare
avanti le stagioni d’opera a Milano. Il sindaco di Milano, Caldara,
chiamò Toscanini: e le regole – sia sul piano
artistico, sia sul piano organizzativo – sono regole che molti dovrebbero
studiare ancora oggi, perché il teatro d’opera ha un’esigenza che le componenti
interne che ne formano il patrimonio tangibile e intangibile, funzionino nel
modo migliore. Toscanini lo seppe fare: io ho cercato
– modestamente – di seguire la sua lezione, la difesa del valore artistico di
un’istituzione chiamata ad erogare un servizio culturale per la comunità.
D. – Maestro Gelmetti, lei ha un ascendenza diretta con Arturo Toscanini.
Qual è l’eredità musicale che ha ricevuto da Toscanini,
anche attraverso il suo maestro, Ferrara?
R. – Il rigore. Il rigore assoluto, non concedere nulla
all’esteriorità, agli effetti facili, cosa che purtroppo oggi va per la
maggiore. Toscanini, nonostante sia stato il primo
direttore mediatico, se vogliamo, molto utilizzato dai media, in realtà è stato un uomo di un rigore assoluto.
Questa è la vera tradizione: Toscanini e Ferrara sono
stati due anelli grandi. Noi, indegnamente, cercheremo di raccogliere questo
messaggio e di portarlo avanti agli altri allievi. Questa è una delle ragioni
anche per cui insegno: per far sì che questa catena
non si spezzi!
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Il concerto, sotto l’Alto Patronato del presidente della
Repubblica, l’egida della presidenza del Senato e con il patrocinio dei
ministeri della Pubblica Istruzione e delle Comunicazioni, in collaborazione
con il Comitato Internazionale per le Celebrazioni, sarà trasmesso da Rai Tre
il 16 gennaio 2007 alle ore 12.45.
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9 gennaio 2007
“I PELLEGRINI DEL MONDO INTERO
DEVONO
POTER AVERE ACCESSO A GERUSALEMME”:
FORTE
APPELLO PER UN NUOVO STATUS SOVRANAZIONALE DELLA CITTA’ SANTA, NELL’ANNUALE
SALUTO DEL GRAN MAESTRO, FRA’ ANDREW BERTIE,
AI
DIPLOMATICI ACCREDITATI PRESSO L’ORDINE DI MALTA
- A
cura di Adriano Monti Buzzetti -
ROMA. = “Uno statuto speciale, garantito sul piano
internazionale” per Gerusalemme, “città delle tre religioni che è allo stesso tempo patria di due popoli”. A chiederlo, in sintonia
con le analoghe richieste della Santa Sede, è il Gran Maestro dell’Ordine di
Malta, Fra’ Andrew Bertie,
che stamani ha accolto a Villa Malta sul colle Aventino gli ambasciatori dei 96
Paesi accreditati presso l’Ordine, per il tradizionale incontro all’inizio del
nuovo anno. “I pellegrini del mondo intero devono poter avere accesso a
Gerusalemme”, ha ribadito il capo del millenario Ordine sovrano, annunciando
poi di voler personalmente condurre un prossimo pellegrinaggio internazionale
in Terra Santa nell’ottobre prossimo. L’udienza ai professionisti della
diplomazia, radunati sotto le volte della splendida chiesa di Santa Maria del
Priorato, capolavoro del Piranesi, ha come d’abitudine fornito al Gran Maestro l’occasione per uno
sguardo agli ultimi sviluppi dell’attualità internazionale. Tra le
sottolineature preoccupate di Fra’ Bertie, l’uccisione di operatori dei mass-media in zone di
guerra, il traffico di esseri umani fiorente anche in Europa, ma soprattutto il
pericolo strisciante di uno scontro tra culture religioni. Tra i motivi di
speranza, invece, il recente viaggio di Benedetto XVI in Turchia, definito “un
avvenimento straordinario che resterà nella storia della Chiesa e
dell’umanità”. La relazione del Gran Maestro si è quindi incentrata su un’ampia
disamina delle iniziative umanitarie promosse dall’Ordine in tutto il mondo. Dalle bidonville di Nairobi al Vietnam, dalle rovine di New
Orleans al Darfur sudanese, dalla Romania al Pakistan ed in mille altri scenari
critici del pianeta gli oltre 11 mila operatori
dell’Ordine – medici, infermieri, collaboratori volontari – si dedicano
all’assistenza di sieropositivi, lebbrosi, profughi, orfani e di tutti coloro
che soffrono, in coerente fedeltà allo spirito di servizio degli antichi cavalieri Ospitalieri.
“L’attività umanitaria” – ha osservato Fra’ Bertie – “è diventata improvvisamente d’attualità, ‘alla moda’, troppo spesso
strumentalizzata al servizio di interessi politici o economici”, mentre al
contempo l’impegno di tipo missionario “si sta trasformando in un’attività di
tipo imprenditoriale progressivamente secolarizzata”. Di qui la fondamentale
differenza tra le altre organizzazioni umanitarie e l’Ordine di Malta: un
sodalizio religioso i cui membri vivono la propria fede cristiana “non come
strumento di evangelizzazione o di proselitismo, ma come modo di vivere al
servizio degli altri, dei poveri e degli ammalati, in uno spirito di umanità
autentico che riconosce l’immagine di Dio nell’uomo che soffre, a prescindere
dalla razza, dall’origine o dalla religione”.
UN
VERTICE DEI CAPI DI STATO E GOVERNO PER DISCUTERE
DI
QUESTIONI AMBIENTALI URGENTI: LO HA CHIESTO IL MASSIMO RESPONSABILE ONU
NELLA LOTTA AI CAMBIAMENTI CLIMATICI, YVO DE
BOER,
AL
NUOVO SEGRETARIO GENERALE DELLE NAZIONI UNITE,
- A
cura di Roberta Gisotti -
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NEW YORK/PARIGI. = Circa 135 milioni di persone rischiano
di dover emigrare per cause ambientali. E’ la desertificazione la più grave
emergenza degli ultimi decenni, secondo il Programma per l’ambiente dell'ONU (UNEP),
non solo per le caratteristiche quasi irreversibili del fenomeno ma per le
conseguenze dirette su intere popolazioni. A forte rischio di inaridire è il 40
per cento delle terre emerse, mentre il 70 per cento dei terreni coltivati in
aree semiaride o vicine ai deserti è già degradato. Nei Paesi più poveri infatti - specie in
Africa - la necessità di soddisfare le
esigenze vitali di popolazioni in crescita determina una pressione sempre maggiore
sulle risorse naturali, specie idriche. Allarme anche per i Paesi mediterranei abitati
dal 7 per cento della popolazione mondiale, che salirà a circa 525 milioni
entro il 2025, di cui quasi 100 milioni nelle città costiere. A fronte di ciò il
bacino del Mediterraneo, tra i 25 siti mondiali per la biodiversità,
è stato colpito negli ultimi anni da preoccupanti eventi, oltre che siccità,
alluvioni e aumento della temperatura. Già oggi, 30 milioni di ettari di terra
lungo le rive del Mediterraneo sono colpiti da desertificazione, soprattutto in
Spagna, Portogallo, Italia e Grecia. ''Spero che il
segretario generale delle Nazioni Unite farà di tale questione la sua priorità
e che convocherà rapidamente un vertice di capi di Stato e di governo”, ha
detto a Parigi il segretario generale della Convenzione ONU sul cambiamento
climatico (UNFCC), Yvo de Boer,
atteso la prossima settimana al Palazzo di Vetro a New York, dove incontrerà il
sudcoreano Ban Ki-moon.
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OGGI PER LE VIE DI MANILA, NELLA FILIPPINE,
TRADIZIONALE PROCESSIONE
PER
DI DEVOZIONE POPOLARE,
CUI PARTECIPANO OGNI ANNO
DECINE DI MIGLIAIA DI FEDELI DI OGNI PARTE DEL PAESE
MANILA. = Sono iniziati ieri a Manila nelle
Filippine - riferisce l’agenzia “Asia News” - i festeggiamenti del “Nazareno
nero”, manifestazione di devozione popolare, che affonda le sue radici in
oltre quattro secoli fa. Ieri,
L’ISCRIZIONE
ALLA GMG 2008 STABILITA A SECONDA DELEL POSSIBILITA’:
“IL COSTO DEL PACCHETTO È DETERMINATO
IN
BASE AL REDDITO PRO CAPITE DI OGNI NAZIONE”
ROMA. = É all’insegna della solidarietà la quota di
iscrizione alla prossima Giornata mondiale dei giovani di Sydney 2008. Il
comitato organizzatore – riferisce l’agenzia SIR - ha reso noto i prezzi dei
tre pacchetti per i giovani pellegrini interessati alla manifestazione, che si
terrà in Australia dal 15 al 20 luglio dell’anno prossimo. Le quote partono da
un massimo di 395 dollari australiani, aud, (pari a
237 euro circa), per coloro che provengono dai Paesi più ricchi, fino ad un minimo
di 50 aud (30 euro) previsti per i ragazzi originari
delle Nazioni più povere. La quota di iscrizione, ovviamente, non comprende il
costo del viaggio per e dall’Australia. “I prezzi – spiega il comitato - sono
stati studiati per far sì che i più benestanti contribuiscano a sostenere le
spese della GMG08 e ad aiutare i più poveri”. “Il costo del pacchetto è
determinato, infatti, in base al reddito pro capite di ogni Nazione, secondo le
stime della Banca mondiale”. É stato fissato inoltre un Fondo di solidarietà a
favore dei pellegrini dell’Oceania che hanno un reddito medio-basso
o basso. Il Comitato ha inoltre assicurato che i visti per i giovani regolarmente
registrati saranno esenti da tasse governative e che non vi saranno restrizioni
al numero di visti emessi per ciascun Paese. Le iscrizioni per i gruppi
apriranno alla fine del mese di marzo del 2007 mentre
le quelle individuali saranno possibili dalla metà del 2007. (A.D.F.)
NUOVE
VITTIME DELLA RIFT VALLEY IN KENYA:
L’ULTIMO
BILANCIO È DI 74 MORTI E DI OLTRE 200 CASI DI CONTAGIO.
LA
FEBBRE SI PROPAGA ANCHE NELLE ZONE COSTIERE DEL PAESE
NAIROBI.
= È salito a 74 il numero dei morti e ad oltre 200 quello dei contaminati.
Questi i tragici effetti della Rift Valley, la febbre letale che in tre settimane ha causato
una vera epidemia nella zona nord-occidentale del Kenya. Un bilancio ancora
provvisorio e destinato a salire se non si adotteranno le misure necessarie per
combatterne la diffusione. I primi casi di contagio risalgono a un mese e mezzo
fa nel nord-est del Paese ma ora, il focolaio comincia
ad estendersi anche nelle aree costiere. Sono stati registrati infatti decessi anche a Garissa,
capitale della provincia nord-orientale del Kenya. Il virus sembra scatenarsi
dalle punture di zanzare che creano pustole purulente sul bestiame. Mangiare
carne di questi animali puo' essere una delle tante cause di infezione. Le autorità, che
ne hanno già messo al bando la macellazione, stanno cercando di bloccare gli
spostamenti del bestiame, e di accentuare le misure di profilassi. Già presente
nello Stato africano dal 1997, la Rift Valley si diffuse in seguito alle inondazioni e causò la
morte di centinaia di persone. Da allora, un’equipe di esperti di salute
animale della FAO, insieme ai funzionari dell’Organizzazione Mondiale della
Sanità (OMS), collaborano alle attività di preparazione, comunicazione,
sorveglianza e risposta alla malattia. (A.D.F.)
DA OGGI IN RETE IL PERIODICO
“DIALOGHI” ALL’INDIRIZZO WWW.DIALOGHI.NET.
UN’INIZIATIVA
DEL CENTRO STUDIO DELL’AZIONE CATTOLICA ITALIANA
PER
CONTRIBUIRE AL PROGETTO CULTURALE DELLA CHIESA
ROMA.= Il periodico “Dialoghi” è
disponibile da oggi anche in Rete all’indirizzo www.dialoghi.net. Il sito, gestito dal Centro
studi dell’Azione Cattolica, offre agli utenti uno spazio attraverso cui confrontarsi e
contribuire al Progetto culturale della Chiesa italiana. L’iniziativa ha come
obiettivi principali quelli di rilanciare i temi sollevati nel corso del IV
Convegno ecclesiale nazionale di Verona e di preparare la prossima Settimana Sociale,
in programma a Pisa dal 18 al 21 ottobre 2007. La rivista on line è composta da due sezioni, la prima dedicata all’attualità con
editoriali, interviste e un blog, la seconda, di tipo
documentale, con una bibliografia, una emerografia e
uno spazio dedicato alle citazioni del magistero. (A.D.F.)
E’ UNA
DONNA, ASHA ROSE MIGIRO, 50 ANNI,
ATTUALE MINISTRO DEGLI ESTERI DELLA TANZANIA,
IL NUOVO VICESEGRETARIO GENERALE DELLE NAZIONI
UNITE
NEW YORK. = Asha Rose Migiro, attuale ministro degli Esteri della Tanzania, 50
anni, è stata eletta nuovo vice Segretario generale delle Nazioni Unite.
"Attraverso il servizio prestato in diversi settori, Asha
Rose Migiro ha dato prova di notevoli capacità manageriali
e di un'ampia esperienza in materia socio-economica e di sviluppo", ha
affermato il nuovo segretario generale dell’ONU, Ban Ki-moon, spiegando che
intende delegare a lei molto del lavoro amministrativo e di gestione "in
base ad una chiara linea di autorità che garantisca che il Segretariato funzioni
in maniera più efficace ed efficiente". Apprezzamenti per la scelta sono
giunti da Salim Ahmed Salim, inviato speciale dell'Unione Africana nella regione
sudanese del Darfur. La signora Migiro, che sarà la
donna più alta in grado e la seconda tra tutti gli alti funzionari delle
Nazioni Unite, è stata in passato ministro per lo Sviluppo, le Pari opportunità
e la gioventù, prima di guidare il Ministero degli Affari esteri e della Cooperazione
internazionale del proprio Paese dal gennaio 2006. Asha
Rose Migiro sostituisce nella carica Mark Malloch Brown,
che era stato nominato nell'aprile 2006. (R.G.)
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9 gennaio 2007
- A cura di
Fausta Speranza -
Un impiegato iracheno dell’UNICEF è stato ucciso a colpi
d’arma da fuoco ieri a Baghdad. L’impiegato Janan Jabero aveva 52 anni, lavorava nei programmi di
riabilitazione e ricostruzione delle scuole in Iraq, in particolare nel Kurdistan.
In Iraq, l’UNICEF impiega 87 persone, di nazionalità irachena. Il personale internazionale
è basato ad Amman, in Giordania. Sempre nella capitale, violenti combattimenti
sono proseguiti incessanti per il quarto giorno consecutivo nel quartiere
sunnita di Haifa-Alaui, fra gli insorti sunniti e
l’esercito iracheno. Molte strade di accesso al quartiere di Haifa, roccaforte degli insorti, sono state bloccate dai
militari. E c’è da dire che un gruppo di pellegrini iracheni sunniti di
ritorno, questa mattina, dalla Mecca a bordo di un pullman sono stati bloccati
alla frontiera dell’Iraq e condotti dalla polizia in un luogo segreto. Si
tratta di oltre 40 persone, tra cui almeno quattro anziani sheikh,
abitanti del quartiere al Ameriyah di Baghdad. Il ministro
degli interni, Jawad al Polani,
ha detto che i pellegrini vengono attualmente sottoposti
a controlli di routine e presto potranno proseguire il loro viaggio di ritorno
a Baghdad.
Cinque membri delle brigate Ezzedin
al-Qassam, braccio armato di Hamas, sono stati
brevemente rapiti stamane nel nord della Striscia di
Gaza. Altri tre membri della ‘Forza di pronto intervento’
del ministero degli Interni (vicina a Hamas) sono stati feriti da spari nella
stessa zona. Secondo Hamas è probabile che gli attacchi siano stati condotti da
miliziani di al-Fatah. Stamane un
portavoce di al-Fatah ha negato che i suoi miliziani
progettino di attentare alla vita dei dirigenti di Hamas, affermando che sono
state malintese dichiarazioni rilasciate da un dirigente del suo movimento, Mohammed Dahlan, durante un
recente comizio nello stadio di calcio di Gaza. Awad
ha aggiunto che la ‘Forza di pronto intervento’ è
allo stato attuale illegale e deve essere inquadrata nelle forze di sicurezza
palestinesi: ossia, deve rientrare sotto l’autorità del presidente Abu Mazen. Hamas ha respinto con determinazione richieste in tal senso giunte nei giorni
scorsi da Abu Mazen.
Restando in Medio Oriente, rappresentanti siriani e
israeliani s’incontreranno allo stesso tavolo di Madrid a partire da giovedì
prossimo per discutere delle possibilità di riaprire i negoziati di pace tra i
due Paesi. Lo hanno confermato oggi all’ANSA gli organizzatori della conferenza
internazionale ‘Madrid+15’ per la pace in Medio Oriente, cui parteciperanno
tutti i Paesi della regione e che si terrà nella capitale spagnola dal 10 al 12
gennaio, dopo quindici anni dagli storici incontri. Ai tavoli di Madrid
siederanno nomi eccellenti della diplomazia e della politica: da Terje Roed-Larsen a Javier Solana, da Amr Moussa a Benita Ferrero-Waldner, da Miguel Angel Moratinos a Hubert Vedrine. Oltre a siriani e
israeliani, ci saranno rappresentanti egiziani, giordani, libanesi,
palestinesi, statunitensi e russi. L’Arabia Saudita, invitata, non ha però
inviato alcun suo delegato.
Centinaia di sostenitori dell’opposizione filo siriana
libanese si sono riunite questa mattina a Beirut davanti agli uffici delle
tasse del ministero delle Finanze per protestare contro il piano di riforme
economiche approvato dal governo la settimana scorsa. Il numero dei
manifestanti è però ampiamente minore del previsto, considerato che
l’iniziativa era stata indetta dalla confederazione
sindacale (CTU), con il sostegno del movimento islamico Hezbollah. Nel
pomeriggio la partecipazione potrebbe però aumentare,
sulla scia dell’intensificazione delle proteste annunciata, ieri, dalle forze
di opposizione che intende rinnovare gli sforzi per indurre il governo del
premier Fuad Siniora alle dimissioni. Siniora ha fino
ad ora resistito ad un sit-in
in corso da oltre sei settimane davanti alla sede del governo nel centro di
Beirut, organizzato proprio per indurlo a dimettersi. La manifestazione di oggi
è stata indetta dal CTU per protestare contro le riforme economiche che il
governo presenterà alla conferenza internazionale dei Paesi donatori in
programma a Parigi dal 25 gennaio.
La Commissione europea ha definito “inaccettabile” che per
motivi bilaterali un fornitore di petrolio come la Russia ne interrompa
l’erogazione ed ha convocato per giovedì mattina una riunione del gruppo di
esperti. Lo ha annunciato il portavoce del commissario all’Energia, Andris Piebalgs, sottolineando
che la Bielorussia è “soltanto un Paese di transito”. Gli
approvvigionamenti dall’oleodotto Druzhba sono stati
interrotti a partire da domenica notte, a causa di una disputa tra Russia e
Bielorussia, provocando conseguenze per altri Paesi europei. I Paesi coinvolti
sono Polonia e Germania a Nord e Ucraina, Repubblica slovacca, Ungheria e
Repubblica ceca a Sud.
“La positiva
prosecuzione del negoziato di adesione fra Unione Europea e Turchia rappresenta
un interesse strategico per l’Unione e uno stimolo per Ankara a consolidare le
riforme avviate e a mettere in atto tutte le misure
necessarie al pieno rispetto delle regole comunitarie, così da adempiere
integralmente alle condizioni richieste per l’adesione”. E’ quanto ha detto il
presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano, dopo il colloquio con
il presidente della Repubblica turca Ahmet Necdet Sezer, in visita di Stato
in Italia.
La Nigeria ha perso nel 2006 entrate per quasi
570 miliardi di naira (circa 4,4 miliardi di dollari)
a causa della riduzione della produzione di petrolio provocata dai disordini
nella regione del Delta del Niger. Il dato viene reso
noto dal ministro delle Finanze, Nenadi Usman, mentre
militanti armati tengono attualmente in ostaggio nella zona quattro dipendenti
dell'ENI – tre italiani e un libanese – rapiti il 7 dicembre scorso, e cinque
cinesi, sequestrati la scorsa settimana.
La signora Usman in una conferenza stampa ha
dichiarato che “all’inizio del secondo trimestre 2006 c’è stata una perdita di
produzione di 600 mila barili di petrolio al giorno”,
dovuta principalmente ai disordini nel Delta del Niger.
Il nuovo governo di
centro destra della Repubblica Ceca, guidato dal leader della destra liberale Ods Mirek Topolanek,
è stato nominato ufficialmente questa mattina a Praga dal presidente Vaclav Klaus. Il nuovo governo è
composto da 17 ministri dei tre partiti della
coalizione di centro destra, formata dai Civici democratici (ODS), i Popolari
(KDU-CSL) e dai Verdi. A partire dalla nomina il governo ha 30 giorni di tempo
per chiedere la fiducia ai deputati. La Repubblica ceca è senza un governo
stabile a partire dalle elezioni parlamentari del giugno 2006.
Per il terzo giorno
consecutivo la capitale del Bangladesh, Dacca, è
stata sconvolta da scontri tra i rappresentanti dei partiti di opposizione e la
polizia bengalese. Le tensioni sono sorte in vista
delle elezioni elettorali che si terranno a fine mese.
I partiti d’opposizione riuniti nell’Awami League chiedono il rinvio delle consultazioni e maggiori
garanzie per il loro corretto svolgimento. Nessuna concessione, invece, da
parte del presidente Iajuddin che si appresta ad
istituire la legge marziale nel Paese. Su questa crisi politica, Stefano
Leszczynski ha raccolto il commento di un padre missionario in Bangladesh, il
cui nome omettiamo per motivi di sicurezza.
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R. – si tratta di uno scontro fra due schieramenti: quello
che è al governo e quello rappresentato dalle opposizioni, alle quali si è aggiunta
però anche una sezione del partito principale che era al governo, che si chiama
BNP-Bangladesh National
Party, che si è scandalizzata per la troppa corruzione e per i troppi soldi che
sono stati presi da alcuni rappresentanti del partito al governo, compreso il
primo ministro.
D. – Ci sono state della manifestazioni
ed anche il blocco dei trasporti. La polizia sembra puntare su una legge da
Stato marziale. E’ così la situazione?
R. – Coloro che erano al potere hanno messo tutta la gente
che era loro fedele sia in posti amministrativi che all’interno della polizia e
del sistema giudiziario. Così facendo, possono, comunque vadano le elezioni,
riusciranno a far girare la ruota dalla loro parte. Questo ovviamente non sta
bene ai partiti di opposizione e in particolare al Awami
League che, nel 2001, ha avuto più voti come singolo
partito – il 41 per cento – ma che ha avuto soltanto 60 seggi contro i 180
seggi della coalizione che ha poi governato. Ci sono stati brogli elettorali
ammessi da tutti. L’opposizione, quindi, non ci sta ad andare incontro ad
un’altra sconfitta, già programmata.
D. – Nonostante l’appello del segretario generale delle
Nazioni Unite, la tensione potrebbe salire ulteriormente in vista delle
elezioni?
R. – Sì, perché nessuna delle due parti vuole cedere!
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Medio Oriente e Darfur, diritti
umani, sviluppo e riforma dell’ONU. Sono queste le priorità indicate dal nuovo
segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, nell’intervento di esordio che ha pronunciato ieri
a New York davanti al Consiglio di Sicurezza. Il servizio di Paolo Mastrolilli:
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La riunione aveva come tema le
minacce alla pace e alla sicurezza internazionale. Ban,
dopo aver salutato i nuovi membri come l’Italia, ha spiegato quali sono i temi
su cui intende focalizzare il suo lavoro per rilanciare l’approccio
multilaterale e consolidare le crescenti missioni di peacekeeping. Medio
Oriente significa affrontare tutte le crisi della regione, dal conflitto israelo-palestinese alla nuova missione in Libano. I
problemi, però, riguardano anche l’Afghanistan e l’Iraq, in
attesa del discorso di domani in cui il presidente americano annuncerà l’invio
di altri soldati, e l’Iran contro cui il Consiglio di Sicurezza ha imposto
sanzioni affinché rinunci al suo programma nucleare. Ban
si è impegnato ad intervenire nel Darfur e, a fine gennaio, andrà al vertice
dell’Unione Africana per incontrare il presidente al-Bashir
e convincerlo ad accettare la forza di pace già approvata dal Palazzo di Vetro.
L’ex ministro degli Esteri di Seul conta di svolgere un ruolo importante anche
verso la Corea del Nord favorendo la ripresa delle trattative a sei, dopo il
primo test atomico, e lavorando per il disarmo. Il segretario generale ha
parlato poi dei diritti umani, promettendo di rimetterli al centro dell’agenda
del Palazzo di Vetro. Quindi, ha sollecitato l’applicazione degli obiettivi
stabiliti nel Vertice del Millennio, perché lo sviluppo e la lotta alle
malattie come l’AIDS sono fondamentali per garantire la stabilità e combattere
anche il terrorismo. Ha infine ribadito l’intenzione di fare da ponte tra Paesi
ricchi e poveri, spiegando che nessuno può risolvere da solo tutti i problemi
del mondo.
Da New York, per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.
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Violenti incidenti sono scoppiati a Cochabamba,
capoluogo dell’omonimo dipartimento boliviano, dove ingenti forze di polizia
hanno cercato di disperdere a colpi di lacrimogeni e pallottole di gomma un
folto gruppo di contadini, simpatizzanti del presidente Evo Morales,
guidati dall’oppositore Manfred Reyes
Villa. 10 manifestanti sono stati arrestati e alcuni sono rimasti feriti. Il
ministro dell’Interno, Alicia Munoz,
ha destituito il capo della polizia locale, attribuendo la reazione dei
manifestanti “alla violenta repressione” messa in atto contro di loro. Reyes Villa, eletto governatore lo scorso dicembre, è uno
dei politici dell’opposizione che più strenuamente punta sulle autonomie
regionali nel confronto col governo centrale.
Le autorità cinesi potrebbero condurre nuove operazioni
contro i separatisti islamici uighuri nella provincia
occidentale dello Xinjiang, dopo il raid che venerdì
scorso ha provocato 19 morti. “Continueremo ad
adottare misure severe contro le attività criminali dei gruppi terroristici,
con attacchi anche preventivi se necessario”, ha spiegato un portavoce della
polizia, Wu Heping. Nella
provincia, che confina con l’Afghanistan e il Pakistan, dopo i diciassette
arresti della settimana scorsa si stanno ora cercando altri membri del Movimento
islamico per il Turkestan orientale. Il movimento
separatista, considerato legato ai Taleban afghani, è
sospettato di avere addestrato un migliaio di terroristi in appositi campi
grazie anche al sostegno di al Qaida
e di essere responsabile, fino al 2001, di almeno 200 attentati, nei quali
hanno perso la vita 160 persone. Oggi gli uighuri
sono circa il 47 per cento dei 17 milioni di abitanti della regione, la cui
struttura etnica è stata sconvolta una massiccia emigrazione dei cinesi “han” verificatasi negli ultimi decenni.
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