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SOMMARIO del 07/08/2007

Il Papa e la Santa Sede

  • Il cardinale Martino porta all'Uganda il messaggio di pace e di solidarietà del Papa
  • Leggendo il “Gesù di Nazaret” si può incontrare la persona di Benedetto XVI: così, il teologo Nicola Bux sul libro del Papa
  • Portare nel mondo marittimo l'umanesimo cristiano della Speranza: così il documento finale del Congresso mondiale dell'Apostolato del Mare
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Alluvioni in Asia: aiuti difficili per milioni di sfollati
  • Emergenza incendi in Italia: stamani la quinta vittima, un uomo di 80 anni. Mons. Bregantini pensa alla scomunica per i piromani
  • Al via ad Assisi, l'Incontro francescano europeo sul tema: "Va', Francesco, ripara la mia ... Europa"
  • Chiesa e Società

  • Elezioni a Giakarta: la Chiesa teme l'introduzione della legge islamica
  • La Chiesa ortodossa russa ricorda le vittime del Grande Terrore staliniano
  • L’episcopato della Bolivia ricorda i 182 anni dell’indipendenza nazionale. Preoccupazione per le divisioni nel Paese
  • Crisi agricola in Zimbabwe: ogni giorno, mille persone attraversano il confine con la Zambia per procurarsi beni di prima necessità
  • In Sudan, oltre 60 morti e 30 mila abitazioni distrutte per le inondazioni
  • Costa d’Avorio: il surriscaldamento terrestre starebbe dimezzando i raccolti
  • 24 Ore nel Mondo

  • Alta tensione tra Russia e Georgia: Tbilisi denuncia la violazione del proprio spazio aereo. Mosca nega ogni responsabilità

  • Il Papa e la Santa Sede



    Il cardinale Martino porta all'Uganda il messaggio di pace e di solidarietà del Papa

    ◊   Si è conclusa oggi la missione in Uganda del cardinale Renato Raffaele Martino, che ha portato a queste popolazioni africane il messaggio di pace e di solidarietà di Benedetto XVI. Il presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, giunto nella capitale Kampala venerdì scorso, ha celebrato stamani la Messa conclusiva nella cattedrale di Gulu, nel nord del Paese. Lo ha accompagnato nella sua missione padre Giulio Albanese. Ascoltiamo quanto ci riferisce:


    Alla presenza di una nutrita assemblea di fedeli, il porporato – rivolgendosi durante la sua omelia in particolare ai vescovi concelebranti, mons. John Baptist Odama, e il presidente della Conferenza episcopale ugandese, mons. Ssekamanya – ha ricordato che la pace è un dono di Dio, ma è anche una responsabilità condivisa da tutte le Chiese e dal popolo di Dio. Ora che non si combatte più nel Nord Uganda, occorre però creare le condizioni affinché vengano sanate le ferite causate dall’odio e dalla violenza. Da questo punto di vista, una speciale attenzione deve essere rivolta al recupero degli ex “baby soldiers”, i ragazzi costretti ad imbracciare un tempo il fucile e che come noto si sono macchiati di crimini indicibili. “Questa gioventù bruciata dalla storia deve essere redenta da Cristo”, ha detto il porporato. Alle comunità parrocchiali, agli organismi non governativi, alla società civile in senso lato, spetta il compito di accompagnare le giovani vittime perché quanto è avvenuto in questi anni nel Nord Uganda non si ripeta mai più. (Per la Rado Vaticana, Giulio Albanese, Gulu, Uganda)

    Ma sentiamo lo stesso cardinale Martino, raggiunto telefonicamente da Sergio Centofanti, proprio mentre stava per partire in aereo da Gulu:


    R. – Vado via pieno di speranza, perché confrontando le due visite – quella fatta nel 2003 e quella fatta in questi giorni – mentre prima c’era disperazione e pessimismo, oggi c’è un negoziato di pace che va avanti. L’atmosfera che ho respirato in questi giorni, anche nei campi degli sfollati, è veramente positiva ... molti vogliono tornare a casa, nelle loro terre ... E’ un’atmosfera veramente di speranza e di pace, e sono veramente felice di aver potuto portare, a nome del Santo Padre, la sua solidarietà e la sua benedizione.

     
    D. – Come è stato accolto questo messaggio che ha portato a nome del Papa?

     
    R. – Eh!! Non può immaginare quanta gioia abbia portato! I vescovi sono stati sempre con me e quindi hanno portato la presenza di tutta la Chiesa in questa zona che si avvia verso una situazione di pace e di riconciliazione.

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    Leggendo il “Gesù di Nazaret” si può incontrare la persona di Benedetto XVI: così, il teologo Nicola Bux sul libro del Papa

    ◊   Come sottolineato nei giorni scorsi alla nostra emittente dal direttore della Libreria Editrice Vaticana, don Giuseppe Costa, il libro di Benedetto XVI, “Gesù di Nazaret” si conferma, a quattro mesi dalla pubblicazione, ancora in testa alle classifiche di vendita. Un libro frutto di una ricerca profonda sulla figura di Gesù a cui si possono accostare tanto studiosi di teologia quanto semplici fedeli. Per una riflessione sulla cifra di quest’opera, Alessandro Gisotti ha intervistato il teologo don Nicola Bux, vicepreside dell’Istituto ecumenico “San Nicola” della Pontificia Università San Tommaso:


    R. - E’ un libro in cui ho individuato come una chiave che definisco così: e' un libro in cui c'è la Rivelazione, cioè il “togliere il velo” a Dio – perché in fin dei conti è un libro che aiuta a conoscere Dio, perché Gesù è venuto al mondo essenzialmente per rivelare Dio come Padre. E’ un libro che aiuta a capire questo e a continuare, direi, a viverlo in concreto oggi, perché non dimentichiamo che questa Parola di Gesù ancora oggi la si può ascoltare nell’ambiente vivo della liturgia, cioè del culto della Chiesa. In questo senso, la cifra di lettura è questa: cioè, è un libro in cui la Rivelazione – la Rivelazione che Gesù ha fatto di Dio – diventa liturgia, diventa “adorazione”. Perché, in fin dei conti, conoscere Gesù significa adorare Dio, essere condotti, guidati ad adorare Dio.

     
    D. – Benedetto XVI tiene a sottolineare che non c’è cesura tra il Gesù storico e il Gesù della fede. Una necessità forse ancor più sentita oggi, visto il proliferare di “inchieste” – pseudo-inchieste a volte – sulla figura di Gesù ...

     
    R. – Questa dicotomia, che poi è diventata, alla fine, una cesura tra il Gesù cosiddetto della storia, che sarebbe quello a cui immediatamente si attinge leggendo i Vangeli, e quello della fede, è stata al centro di tanta bibliografia, di tanta letteratura negli ultimi due secoli e mezzo. Diciamo pure che anche la teologia cattolica, che fino ad un certo punto era rimasta indenne, ha subito questa impostazione un po’ tipica del protestantesimo liberale; e ancora oggi si possono leggere sulle riviste teologiche cattoliche articoli di questo tipo. Che naturalmente – a mio modesto avviso – non colgono nel segno, mentre il libro del Papa aiuta proprio a capire che, semplicemente, lasciandosi guidare dal Gesù dei Vangeli, si scopre pian piano il mistero di questa persona che non era solo umana, ma era anche divina. E quindi, ancora una volta il Gesù dei Vangeli è la manifestazione della venuta di Dio nel mondo che ha preso la nostra carne. Questo è un po’ l’itinerario, il percorso del "Gesù di Nazaret" del Santo Padre.

     
    D. – Benedetto XVI sta scrivendo il secondo volume su Gesù di Nazaret. Ecco: lei conosce da tanti anni Joseph Ratzinger. Il Papa ama scrivere; ama molto scrivere, e lo fa con uno spirito di servizio, di offerta ai fedeli ...

     
    R. – Sì, perché lo scrivere è in qualche modo l’aprire il proprio cuore agli altri e il manifestare in qualche modo il pensiero con tutte le sfaccettature che esso possiede, la delicatezza che esso ha. Oserei dire che il pensiero del Santo Padre è talmente delicato, talmente ricco che si manifesta anche nella sua persona, molto attenta a tutti e a tutto. Leggendo un po’ il libro Gesù di Nazaret, in un certo senso si può in controluce incontrare anche la stessa persona del Santo Padre, che è una persona molto umile, molto attenta all’uomo ma nello stesso tempo che attraverso questa umiltà manifesta tutta la certezza della fede, che Gesù Cristo è venuto a comunicare venendo nel mondo.

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    Portare nel mondo marittimo l'umanesimo cristiano della Speranza: così il documento finale del Congresso mondiale dell'Apostolato del Mare

    ◊   La Speranza è l’ancora sicura e ferma dell’anima e per i cristiani è Gesù: è quanto si legge nel documento finale del XXII Congresso mondiale dell’Apostolato del Mare, sul tema “In solidarietà con la Gente del Mare, testimoni di Speranza, con la Parola di Dio, la Liturgia e la Diakonia”, che si è svolto a Gdynia, in Polonia, dal 24 al 29 giugno. Il testo, divulgato dal Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti che ha promosso il congresso, invita quanti sono impegnati nell’Apostolato del Mare ad introdurre nel mondo marittimo un “umanesimo cristiano della Speranza” attraverso la presenza e la testimonianza nelle comunità marittime e della pesca.

    Durante il congresso sono stati forniti alcuni dati: si stima, per la sola marina mercantile, che i marittimi siano oltre 1.2 milioni, la maggior parte dei quali sono cattolici. Per quanto riguarda la pesca, il numero di persone che lavorano in questo settore è valutato in 41 milioni. Il 90% del commercio mondiale si effettua via mare. Si tratta, pertanto, di un settore vastissimo, ma anche di una delle professioni più pericolose al mondo, che registra di frequente perdita di vite umane. Da considerare anche il dramma di migliaia di immigrati che attraversano il mare in cerca di una vita migliore: sono oltre 8.000 i “boat-people” africani che, a partire dal 1988, hanno perso la vita nella sola traversata del Mediterraneo per raggiungere le coste europee.

    L’Apostolato del Mare, Opera ecclesiale che conta 110 centri per marittimi e cappellanie in quasi tutti i grandi porti del mondo - prosegue il documento finale - si sforza di edificare la pace, nella giustizia, nella libertà, nella verità e nella solidarietà, si legge ancora nel documento, per questo vuole rinnovare l’impegno a favore della promozione umana, dell’evangelizzazione che sia “nuova nell’ardore, nei metodi e nell’espressione”. Particolare rilievo viene dato dall’Apostolato del Mare al dialogo interreligioso che richiede, sottolinea il Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, il rispetto della dignità di ogni persona, per questo è necessario che i cristiani “si sforzino di conoscere meglio e apprezzare i fedeli delle altre religioni, affinché questi ultimi, a loro volta, possano conoscere e apprezzare la dottrina e la vita cristiana”. “L’Apostolato del Mare, in quanto Opera cattolica, deve costruire relazioni sincere, di amicizia e rispettose nei confronti dei seguaci di altre religioni”, precisa il documento che ricorda anche l’importante ruolo delle donne nel portare la Lieta Novella a bordo delle navi, nelle associazioni delle mogli e delle famiglie dei marittimi a terra.

    Sottolineando l’importanza di progetti ed iniziative per la formazione e l’assistenza ai marittimi, inoltre, il documento evidenzia la necessità di creare legami tra l’Apostolato del Mare e le comunità parrocchiali, di promuovere il volontariato e la pastorale nelle navi da crociera. Infine come responsabilità fondamentali dell’Apostolato del Mare vengono riconosciuti: la proclamazione della parola di Dio, la celebrazione dei Sacramenti e il servizio verso tutti, specialmente verso i più poveri. (T.C.)

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Servizio vaticano - Un articolo dal titolo "San Francesco, l'Europa e le nuove generazioni": si inaugura ad Assisi l'"European Franciscan Meeting 2007".

    Servizio estero - Un articolo di Gabriele Nicolò dal titolo "Iniziative umanitarie per aiutare le popolazioni del Sud-Est asiatico colpite dalle alluvioni": l'impegno della Caritas italiana in stretta collaborazione con gli organismi locali.

    Servizio culturale - Un articolo di Angelo Marchesi dal titolo "Libro dei sogni di mezza estate": riflessioni e proposte per il futuro della scuola italiana.

    Per l' "Osservatore libri" un articolo di Paolo Miccoli dal titolo "L'Uomo e il Sacro": pubblicato il secondo volume delle "Opere complete" di Julien Ries.

    Servizio italiano - In rilievo la situazione nel Centro-Sud investito dagli incendi.

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    Oggi in Primo Piano



    Alluvioni in Asia: aiuti difficili per milioni di sfollati

    ◊   Sono almeno 10 milioni i bambini che hanno bisogno di aiuti e assistenza nelle zone di Bangladesh, Nepal, India e Pakistan colpite dalle recenti alluvioni. Complessivamente i morti sono oltre 1600 a partire da giugno. Sono inoltre difficili le operazioni di soccorso a causa della precarietà di molte vie di comunicazione. Si teme anche che possano diffondersi epidemie fra i milioni di sfollati costretti ad abbandonare le loro case. La situazione è particolarmente grave in India. Ascoltiamo, al microfono di Antonella Palermo, Eleonora Albanese, coordinatrice in India della Caritas italiana, raggiunta telefonicamente nello Stato del Tamil Nadu:


    R. - La situazione è piuttosto allarmante, perché tutta la zona nordorientale dell’India ed i bacini che confinano con il Bangladesh e con il Nepal sono straripati, a causa degli otto fiumi maggiori che non hanno potuto reggere la portata dei monsoni di questi due ultimi mesi. Si tratta, quindi, di una situazione difficile da gestire: ci sono milioni di persone che si sono dovute spostare a causa degli allagamenti e degli smottamenti del territorio e sono quindi milioni le persone a cui bisogna cercare di dare soccorso e a cui bisogna provvedere dal punto di vista sia sanitario che di alloggio. Questa naturalmente è una situazione comune sia in Bangladesh che nel nord dell’India, mentre un po’ meno grave sembra prospettarsi la situazione in Nepal.

     
    D. – Queste popolazioni, che pare – almeno dalle immagini che ci vengono restituite sui giornali e in televisione – non abbiano nulla e soprattutto non abbiano più nulla da mangiare, dove si reca e cosa fa?

     
    R. – Ci sono dei coordinamenti per far fronte all’emergenza di queste persone nelle maggiori città dei diversi Stati indiani. Ad esempio per il nordest dell’India ci sono dei centri di raccolta delle popolazioni che dai diversi villaggi vengono spostate per trovare un riparo ed una situazione più confortevole rispetto a quella delle loro zone di origine. Chiaramente il problema del trasporto è abbastanza grande, in quanto - vista la situazione geografica - ci sono territori agricoli che sono stati completamente sommersi, le capanne sono raggiunte fino al tetto dall’acqua: si tratta, quindi, di spostarsi spesso con piccole imbarcazioni e non certo di facile accesso ai veicoli a quattro ruote in molte delle zone che sono state colpite dalle alluvioni.

     
    D. – E’ vero che sembra – a memoria – essere una delle alluvioni più gravi degli ultimi 30-40 anni?

     
    R. – Sicuramente è vero. Tuttavia quest’anno sono state superate tutte le soglie di sicurezza che normalmente vengono definite per far fronte all’emergenza dei monsoni ed i territori coperti dall’acqua raggiungono quasi il 40 per cento rispetto al 20 per cento dell'anno scorso.

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    Emergenza incendi in Italia: stamani la quinta vittima, un uomo di 80 anni. Mons. Bregantini pensa alla scomunica per i piromani

    ◊   E’ ancora emergenza incendi in Italia. Dopo la morte, ieri a Lappano, in Calabria, di un giovane militare in licenza che tentava di spegnere un rogo nei pressi della sua abitazione, stamani a Panni, nel Foggiano, la Forestale ha scoperto il cadavere di un pensionato di 80 anni, deceduto forse nel tentativo di spegnere le fiamme. Si tratta della quinta vittima di un’estate di fuoco, che è già costata la vita, nei giorni scorsi, al pilota di un Canadair caduto con il suo velivolo in Abruzzo e ai due anziani morti nel rogo del Gargano. Per una riflessione sul fenomeno degli incendi, che stamani continuano a divampare in particolare in Calabria, ascoltiamo, al microfono di Luca Collodi, il vescovo di Locri-Gerace, mons. Giancarlo Maria Bregantini:


    R. – C'è anzitutto una amarezza crescente e poi il senso di inadeguatezza che si respira di fronte a questi fatti. Ma c’è poi l’amarezza e la condivisione del dolore di queste famiglie coinvolte nel lutto di queste fiamme. Mi permetterei però di dire che accanto a questo ci debba essere un duplice atteggiamento. Prima di tutto quello di condanna gravissima da parte della Chiesa e della comunità cristiana nei confronti di chi osa fare questo danno gravissimo alla natura, perché è un delitto infame quello di accendere e bruciare un bosco. Io dico che va perseguito con la stessa intensità con cui la Chiesa attacca coloro che violano la vita nel grembo della madre. Io oserei parlare di scomunica: è ovviamente un discorso che va approfondito, ma certamente è un atto gravissimo contro la vita della natura, dei boschi e di tutto quello che Dio ci ha donato. Ma ritengo che anche la realtà del sud debba anche attrezzarsi meglio, perché accanto alla condanna ci deve essere anche l’organizzazione di uno strumento intelligente e soprattutto capillare di difesa. Vorremmo lanciare questa proposta: creare in ogni comunità dei gruppi di giovani formati, attrezzati, accompagnati, preparati tecnicamente ed anche finanziati, che rappresentino la possibilità di avere subito una risposta in loco, e non a distanza magari di 50 chilometri o con l’ausilio di elicotteri, così che al primo accenno di fumo possa muoversi la stessa comunità. Questo è il punto di riferimento che oserei dire: ancora una volta la realtà tragica degli incidenti ci chiede una comunità capace di partecipare, di sentire il territorio come proprio e la terra come sposa e quindi non può essere né violata né abbandonata, come dice proprio la Bibbia.

     
    D. – Nonostante il grande impegno dello Stato italiano, attraverso la Protezione Civile, i Vigili del Fuoco, la Forestale, i volontari e con tutti quanti coloro che operano nel settore degli incidenti, c’è la sensazione che lo Stato stia perdendo questa battaglia…

     
    R. – Io non credo che sia questa la sensazione. La sensazione è che dobbiamo scuotere le coscienze delle persone. Più ancora che l’intervento dello Stato, che è necessario ma è consequenziale, dobbiamo primariamente dalla lezione triste degli incidenti ricavare una grande domanda: che amore abbiamo noi per la terra dove Dio ci ha messo? E a chi vedendo un incendio dico di non limitarsi solo a fare il 115 – che è pure molto importante – ma anche di fermarsi per vedere se, essendo appena agli inizi, può fare qualcosa per spegnerlo. Questo è il senso. Sarebbe grandissimo se poi sul luogo la comunità si sveglia, suona la campana a martello, fa accorrere la gente ed interviene. Questo è il discorso. Noi dobbiamo arrivare ad una coscientizzazione e non soltanto ad una militarizzazione del territorio.

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    Al via ad Assisi, l'Incontro francescano europeo sul tema: "Va', Francesco, ripara la mia ... Europa"

    ◊   Un migliaio di giovani sta raggiungendo in queste ore Assisi per il Meeting europeo francescano che, organizzato dall’Unione dei Frati Minori dell’Europa, si apre questo pomeriggio. “Va, Francesco, ripara la mia…Europa”: questo il tema dell’incontro che si concluderà il 12 agosto e che, attraverso momenti di preghiera e di catechesi, dibattiti culturali e visite ai luoghi legati a San Francesco e Santa Chiara, vuole far conoscere le radici francescane del Vecchio Continente e il contributo del carisma francescano alla evangelizzazione dell’Europa e al rinnovamento della Chiesa. Tiziana Campisi ha chiesto a fra Pasqualino Massone, uno degli organizzatori del Meeting, come è stata pensata questa iniziativa:


    R. – Francesco era un cristiano che voleva vivere il Vangelo ed ha contribuito indubbiamente a realizzare le radici anche dell’Europa, quella in cui viviamo. Allora si è pensato di riproporre l’ideale di San Francesco facendo conoscere la sua esperienza. Il Papa è venuto qui da poco, è venuto il 17 giugno, ed ha lasciato un messaggio ai giovani, invitandoli a riscoprire la figura di Francesco come esempio, come portatore di felicità, la felicità che si realizza incontrando il Signore. A tutte queste persone che verranno qui in questi giorni, da oggi pomeriggio, vorremmo riproporre questa figura, perché possa aiutarli a riscoprire la bellezza del vivere cristiano, la bellezza del Vangelo e dell’incontro con Gesù.

     
    D. - Su quali argomenti inviterete in particolare i giovani a riflettere?

     
    R. – Nella giornata di domani cercheremo di riscoprire le origini di Francesco. Ci sarà, quindi, il "Calendimaggio" dei giovani di Assisi, che rappresenteranno - attraverso costumi medievali e gare - l’ambientazione storica dell'epoca di Francesco, un ragazzo come tanti che è vissuto nel 1200. La seconda tappa sarà quella della conversione: attraverso la visita soprattutto dei santuari di San Damiano e dell’Eremo delle Carceri, sempre qui ad Assisi, cercheremo di scoprire quali sono state le tappe fondamentali della vita di Francesco, quelle cioè che lo hanno portato a scegliere il Vangelo, piuttosto che continuare a vivere come aveva fatto fino ad allora e quindi molto comodamente, perché Francesco era figlio di commercianti, era molto ricco e disponeva delle ricchezze del mondo come tanti di noi oggi. La terza tappa sarà la santità e quindi le due grandi basiliche di Assisi, quella di Santa Chiara e quella di San Francesco, ci aiuteranno a capire come la Chiesa abbia voluto portare ad esempio Francesco e Chiara ai giovani di sempre nel mondo. La quarta tappa sarà dedicata alla figura di Santa Chiara, la cui festa ricorre l’11 agosto. Proprio in quella data cercheremo insieme di conoscere questa Santa, che è stata così vicina a Francesco e che ha custodito anche il carisma francescano. Il 12 agosto, giornata conclusiva, vivremo un momento di grande festa nella nostra Basilica di Santa Maria degli Angeli e il nostro ministro generale darà il mandato a tutti i giovani che parteciperanno a questo incontro, affinché possano portare nei loro Paesi, nelle loro città, la testimonianza di quello che hanno vissuto, di quello che hanno incontrato e della figura di Francesco e Chiara.

     
    D. – Voi Frati Minori, cosa vorreste mettere nello zaino di tutti i ragazzi che si raduneranno ad Assisi, perché possano portarlo via nella loro vita?

     
    R. – Francesco è un Santo molto scomodo, perché se gli si pone la domanda “Sei felice?”, Francesco risponde sicuramente di sì, ma risponde anche che questa felicità non è una felicità effimera e non è soltanto una gioia che passa, ma è la felicità di aver incontrato il Signore, il Signore Gesù Cristo. Vorremmo allora che tutti i ragazzi che partecipano a questa iniziativa possano, tornando a casa, dire che hanno incontrato Gesù, di aver quindi incontrato la felicità fatta Persona.

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    Chiesa e Società



    Elezioni a Giakarta: la Chiesa teme l'introduzione della legge islamica

    ◊   In Indonesia, le elezioni di domani per la carica di governatore a Giakarta preoccupano le minoranze etniche e religiose: a lanciare l’allarme è la Commissione per l’apostolato dei laici dell’arcidiocesi della capitale (KAJ), secondo cui, nella possibile vittoria del partito Prosperous and Justice Party (PKS), di ispirazione islamica, le minoranze vedono profilarsi l’erosione dei principi di unità nazionale e di laicità su cui si basa l’Indonesia, e l’avvicinarsi dello Stato islamico. In una lettera indirizzata agli abitanti della città e ripresa da AsiaNews, il KAJ avverte che il PKS, “pur non rivelando le sue intenzioni in modo aperto, sta portando avanti una politica mirante all’introduzione della sharia nel Paese”. Il KAJ mette in guardia da “gruppi e partiti musulmani della destra radicale, che a livello nazionale chiedono l’applicazione della legge islamica”, che in alcuni casi, a livello locale (come ad Aceh), è già stata applicata. Si tratta – prosegue il testo – di una “violazione politica” dei principi base della Costituzione stessa, che si basa sul pluralismo. Il KAJ sostiene che la chiusura di chiese domestiche e le violenze dell’Islamic Defender Front (FPI, vicino al PKS) contro alcuni locali notturni a Giakarta vadano visti come “passi preliminari” per edificare uno Stato islamico. Per evitare la graduale applicazione della sharia, la Commissione per l’apostolato dei laici di Giakarta invita i cattolici della città a votare le formazioni politiche che “continuano a dichiarare fedeltà ai valori della Pancasila (i cinque principi guida del Paese, presenti nel preambolo della Costituzione) e dell’unità nazionale”. (R.M.)

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    La Chiesa ortodossa russa ricorda le vittime del Grande Terrore staliniano

    ◊   Chiese e monasteri ortodossi in tutta Mosca pregheranno domani per le vittime del Grande Terrore, in occasione del 70.mo anniversario dell’avvio delle esecuzioni di massa avvenute nel biennio 1937-1938 nel poligono di Butovo, nei pressi della capitale russa. In questo luogo – riferisce l’agenzia del PIME, AsiaNews – ai tempi di Stalin l’Nkvd, la polizia segreta, fucilava e seppelliva i “nemici del popolo”, in questo caso soprattutto sacerdoti, religiosi e laici di tutte le fedi: ortodossi, cattolici, ebrei, musulmani e armeni. La Fondazione pubblica St. Andrew’s Flag, impegnata in progetti di educazione religiosa, ha organizzato per l’occasione il progetto “Sotto la stella della Madre di Dio”. L’iniziativa prevede di portare una grande croce lignea in processione via fiume dalle isole Solovki a Butovo, due dei tanti “Golgota russi”, con la benedizione del Patriarca di Mosca, Alessio II. L’arcipelago Solovki è stato luogo di deportazione per gli oppositori dell'ideologia comunista e nel 1923 vi venne creato il primo nucleo di quello che poi sarebbe diventato noto col nome di Gulag, il sistema di lager staliniani. Secondo i dati parziali emersi dagli archivi della Lubjanka, a Butovo, in soli 14 mesi, sono state uccise 20.675 persone. In tutto, secondo stime ufficiose, il Grande Terrore fece oltre 700 mila morti. (R.M.)

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    L’episcopato della Bolivia ricorda i 182 anni dell’indipendenza nazionale. Preoccupazione per le divisioni nel Paese

    ◊   “La cosa più importante in questo momento è aprire i nostri cuori per ascoltare il fratello, per conoscerlo meglio, per amarlo e per dargli la mano della riconciliazione. Tutto ciò ci darà la pace sociale vera che tutti desideriamo vivere”: sono le parole di mons. Jesús Juárez Párraga, segretario generale della Conferenza episcopale della Bolivia, che domenica scorsa a El Alto ha presieduto la Santa Messa di commemorazione del 182.mo anniversario dell'indipendenza nazionale e della nascita della Repubblica. A nome dei vescovi boliviani, mons. Juárez Párraga ha parlato di due “pericolosi virus che minacciano il cuore dei cittadini della Bolivia: un’esasperata suscettibilità e una grave sfiducia reciproca”. “E’ proprio la parola di Dio ciò che più ci può aiutare in un’ora come questa, piena di problemi, difficoltà e disaccordi”, ha sottolineano il presule, riferendosi alle discordie esistenti sia nella società, sia nell’Assemblea Costituente, che fra poco dovrebbe chiudere i suoi lavori per dare al Paese una nuova Costituzione. “La Chiesa proclama, propone e difende quei valori di cui oggi la Bolivia ha bisogno – ha spiegato mons. Juárez Párraga – sono i valori del Vangelo e di Gesù, che ci insegna la pace vera, quella del cuore, e la riconciliazione sincera, quella tra fratelli figli del medesimo Padre. E’ questa – ha aggiunto – la strada per un’autentica convivenza civile”. E ha concluso: “In quest’ora, chiediamo al Signore che faccia di noi strumenti di pace, amore, perdono e solidarietà”. La Bolivia, come molte altre nazioni della regione, si sta preparando alla celebrazione del bicentenario dell’indipendenza. Pochi giorni fa, i governi di Argentina, Bolivia, Ecuador, Messico, Paraguay, Venezuela e Cile hanno firmato un “Carta comune” per commemorare questa ricorrenza, che per ora è stata celebrata soltanto da Haiti (1804 - 2004). L’intento è sottolineare il bisogno di cooperazione e integrazione tra i popoli. (L.B.)

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    Crisi agricola in Zimbabwe: ogni giorno, mille persone attraversano il confine con la Zambia per procurarsi beni di prima necessità

    ◊   Sarebbe salito di recente da una media di 60 a circa mille il numero dei cittadini dello Zimbabwe che attraversa ogni giorno il varco doganale di Livingstone, cittadina turistica vicina alle turistiche cascate Victoria, per recarsi nella confinante Zambia a comprare beni di prima necessità come mais, farina, latte e pane. Anche Sudafrica e Botswana segnalano situazioni simili. Come riferisce l’agenzia MISNA, la crisi che da tempo attanaglia lo Zimbabwe potrebbe essere sul punto di causare anche una carestia; già da tempo, enti dell’ONU hanno avvisato che circa un quarto della popolazione (quattro milioni di persone) potrebbe essere presto a rischio alimentare. Harare ha annunciato che il prossimo raccolto di grano sarà il peggiore degli ultimi anni, ben al di sotto delle 78 mila tonnellate dello scorso anno, anche a causa dell’insufficienza di energia elettrica disponibile per i lavori agricoli. I coltivatori delle regioni settentrionali del Sudafrica, al confine con lo Zimbabwe, sarebbero giunti al punto di vigilare regolarmente sui loro raccolti per difenderli dal saccheggio di migranti clandestini. Dopo aver atteso per 20 anni l’aiuto economico concordato nel 1979 con Londra e mai erogato, nel 2000, il governo del presidente Mugabe (che dal 1964 al 1979 aveva guidato la cosiddetta “bush war”) ha attuato una controversa riforma agraria. Oltre il 70% delle terre coltivabili era detenuto dallo 0.6% della popolazione, i coloni bianchi, presenti dal tempo in cui il Paese era ancora chiamato Rhodesia del Sud ed era amministrato dall’inglese Ian Smith, noto per le sue politiche razziste e separatiste. Affidate a ex-combattenti, le terre ridistribuite non sono state più coltivate a dovere, sia per scarsa competenza tecnica, sia per l’impossibilità di procurarsi fertilizzanti e attrezzature agricole tacitamente embargate dal resto del mondo. Già nel 2003, la produzione agricola di quello che era chiamato “il granaio d’Africa” si era ridotta di due terzi rispetto agli anni ‘90. (R.M.)

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    In Sudan, oltre 60 morti e 30 mila abitazioni distrutte per le inondazioni

    ◊   Le inondazioni che imperversano da un mese in Sudan a causa delle piogge torrenziali hanno causato 64 morti, 335 feriti e distrutto oltre 30 mila abitazioni, interessando complessivamente quasi mezzo milione di persone. Lo ha reso noto ieri l'Ufficio di coordinamento affari umanitari dell’ONU (OCHA). Tali inondazioni, più precoci e gravi del previsto, con straripamenti di corsi d'acqua e piene improvvise, hanno inoltre comportato gravi problemi sanitari, con circa 640 casi di dissenteria acuta, di cui almeno 39 mortali. “Quattro settimane dopo che piogge torrenziali hanno cominciato a devastare diverse regioni del Sudan – si legge in un comunicato dell’OCHA – le Nazioni Unite e i loro partner hanno prestato aiuto a quasi mezzo milione di persone”. Secondo David Gressly, coordinatore umanitario delle Nazioni Unite in Sudan, “se le inondazioni continueranno con la stessa violenza, la situazione si deteriorerà considerevolmente”. (R.M.)

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    Costa d’Avorio: il surriscaldamento terrestre starebbe dimezzando i raccolti

    ◊   In Costa d’Avorio, la produzione agricola di “tipo pluviale”, come cacao, cotone e riso, è diminuita del 50% negli ultimi 10 anni: lo ha reso noto il direttore del Centro nazionale di ricerca agronomica (CNRA), Yo Tiémoko, durante un incontro sul riscaldamento del pianeta, tenuto nei giorni scorsi ad Abidjan. Come riferisce l’agenzia MISNA, Tiémoko ha sottolineato che “il cambiamento climatico ha gravemente colpito tutte le produzioni agricole, con punte oltre il 50%”, mettendo a rischio la futura sicurezza alimentare, se non verranno adottati opportuni provvedimenti. Tiémoko ha anche precisato che la quantità di piogge sempre più scarse e la loro ripartizione sempre più irregolare nel corso dell’anno sono gli elementi che maggiormente colpiscono il settore agricolo. “Gli agricoltori sono disorientati – ha spiegato – non riescono a far coincidere le loro pratiche agricole tradizionali con il periodo giusto”. Secondo il direttore del CNRA, “la deforestazione e l’industrializzazione aggravano le irregolarità climatiche, provocando siccità, desertificazione e inondazioni, portando a situazioni di povertà duratura”. La coltivazione del cacao, in cui la Costa d’Avorio è prima al mondo con il 40% dell'intero mercato, è alla base della sopravvivenza di sei milioni di ivoriani su una popolazione totale di 15 milioni. (R.M.)

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    24 Ore nel Mondo



    Alta tensione tra Russia e Georgia: Tbilisi denuncia la violazione del proprio spazio aereo. Mosca nega ogni responsabilità
     

    ◊   Sono sempre più difficili i rapporti, già molto tesi, tra Russia e Georgia: il ministero dell’Interno georgiano ha denunciato la violazione del proprio spazio aereo da parte di due aerei militari russi. Secondo le autorità georgiane, è stato anche lanciato un missile, che fortunatamente non ha provocato vittime. La Russia ha negato ogni suo coinvolgimento nella vicenda. Il nostro servizio:


    Il raid sarebbe avvenuto ieri sera nei pressi di un villaggio vicino alla regione separatista dell’Ossezia del Sud, provincia autonoma georgiana da anni in lotta per la secessione e il ricongiungimento all’Ossezia del Nord, appartenente invece alla Federazione russa. In un campo di granoturco sono stati rinvenuti resti di un missile. Il governo georgiano ha subito convocato l’ambasciatore russo in Georgia ma la Russia ha già negato ogni responsabilità. E’ stata avanzata anche un’altra ipotesi: secondo il presidente dell’Ossezia del Sud è stata l’aviazione georgiana ad aver sganciato il missile per screditare la Russia. Le relazioni tra Mosca e Tblisi sono tese da tempo: recentemente, il Cremlino ha accusato il governo georgiano di offrire protezione ai ribelli indipendentisti della Cecenia. Secondo la Georgia, ex Repubblica sovietica, sono invece le autorità russe ad appoggiare le operazioni di guerriglia dei separatisti dell’Ossezia del Sud. Un’altra recente causa di attrito tra i due Paesi è stato l’arresto, avvenuto lo scorso mese di ottobre, di 4 ufficiali russi accusati di spionaggio dal governo di Tblisi. In seguito a questa crisi, risolta dopo lunghe trattative, la Russia aveva anche deciso di sospendere temporaneamente i collegamenti stradali, ferroviari, aerei e marittimi con la Georgia. Molti di questi provvedimenti sono stati revocati ma le relazioni bilaterali tra i due Stati sono sempre più difficili e la presunta violazione dello spazio aereo georgiano costituisce un nuovo motivo di frizione.

    Questa nuova crisi interessa solo Russia e Georgia o rischia di coinvolgere anche altre Repubbliche ex sovietiche? Stefano Leszczynski lo ha chiesto a Fulvio Scaglione, vice-direttore di “Famiglia Cristiana” ed esperto dell’area ex sovietica:


    R. – Io credo che a questo punto faccia parte di un quadro molto più ampio: da un lato, c’è il quadro del Caucaso che è in perenne subbuglio, un subbuglio che il sentimento russo - se non proprio la politica ufficiale - considera in parte endemico, ma in parte anche provocato. Si vede dietro la mano soprattutto degli Stati Uniti per quanto riguarda la Georgia, dove peraltro ci sono in effetti centinaia di consiglieri militari americani. Per quanto riguarda altre iniziative come l’oleodotto che dall’Azerbaigian, facendo appunto tappa in Georgia, arriva fino in Turchia il quadro, invece, è più particolare per i rapporti tra Russia e Georgia. La Russia, si sa, anima da molti anni una fronda anche militare, anche separatista, nei confronti della Georgia, proprio perché ritiene che il Caucaso vada tenuto a bada anche con le maniere forti per evitare una disgregazione progressiva dell’influenza russa.

     
    D. – Quanto è pericolosa la Georgia per il sistema strategico russo, considerato l’avvicinamento georgiano agli Stati Uniti, il desiderio di entrare nell’Unione Europea ...

     
    R. – Non credo che la Georgia spaventi la Russia tanto per queste prospettive dell’ingresso nell’Unione Europea, nella NATO, che mi sembrano piuttosto aleatorie, ma piuttosto proprio per il suo ruolo strategico in una zona strategica per la Russia. L’atteggiamento della Russia nei confronti della Georgia è – fatte le debite proporzioni – lo stesso che la Russia ha avuto nei confronti della Cecenia: non sono permesse né infiltrazioni straniere né un eccessivo allontanamento dagli interessi strategici russi.

     
    D. – E’ possibile che un “caso-Cecenia” si ripeta oggi, con una qualsiasi di queste repubbliche ex-sovietiche?

     
    R. – No. Io credo che un caso Cecenia non si possa ripetere, anche perché il mondo è molto più allertato rispetto a situazioni di questo genere: la comunità internazionale è più attenta.

    - Si prospettano nuovi sviluppi in Libano dopo le elezioni di domenica nella regione cristiana del Metn, a nord di Beirut, e nella stessa capitale. Nel voto suppletivo, un seggio è andato all’esponente filosiriano, Camille Khoury, e uno al candidato antisiriano, Mohammad Amin Itani. Gli elettori cristiani si sono trovati divisi nel seguire le indicazioni dell'ex presidente Amin Gemayel, leader dei cristiani antisiriani, e del generale Michel Aoun, vicino a Damasco, che ha stretto un’alleanza con il movimento Hezbollah. Ma proprio tale intesa può aver inciso sulla compagine di Aoun che, pure essendosi affermata nel Metn, ha però subito una perdita in termini di voti? Risponde l’inviato speciale ed editorialista del "Corriere della Sera", Antonio Ferrari, intervistato da Giada Aquilino:


    R. – Sicuramente ha inciso. E’ pur vero che la maggioranza maronita nel Metn, regione storicamente vicina alla famiglia Gemayel, ha votato per l’ex presidente Amin Gemayel. E’ anche vero, comunque, che per Aoun hanno votato pure le minoranze greco-ortodossa e armena. Bisogna però ricordare che quel seggio del Metn prima era del figlio di Amin Gemayel, Pierre, ex ministro, assassinato nel novembre scorso. Quindi, pur avendo perso qualche consenso nella comunità maronita, il generale Aoun è comunque riuscito - con il suo candidato Khoury - a conquistare un seggio che era della maggioranza. Quel seggio è importante perché il Libano è alla vigilia delle elezioni presidenziali e quindi anche un voto in più sarà fondamentale per l’elezione del nuovo capo dello Stato. Non dimentichiamo che l’ex generale Aoun è uno dei candidati e forse, con questi risultati, potrebbe addirittura essere il più forte.

     
    D. – Aoun si è, dunque, candidato per le presidenziali. Per quanto riguarda invece i candidati vicini all’attuale governo?

     
    R. – Bisognerà vedere quali saranno i numeri e quale sarà la situazione al momento del voto per il presidente della Repubblica. Se ci dovesse essere un rimpasto governativo per cercare di allargare l’esecutivo - per esempio anche a forze che oggi stanno all’opposizione, creando quindi le condizioni per un governo di unità nazionale - forse sarebbe più semplice ottenere un consenso anche sul presidente. Ma se le cose continueranno così, la situazione potrebbe creare non soltanto una spaccatura, ma qualcosa di molto peggio. Anche perché la partita libanese coinvolge direttamente le due potenze ‘problematiche’ della regione, cioè l’Iran, sostenitrice degli Hezbollah sciiti e la Siria, alleata dell’Iran. E ciò potrebbe quindi portare ad una situazione di estrema tensione, con rischi di degenerazione.

    - Nei Territori Palestinesi, due bambini sono morti per lo scoppio di un razzo che avrebbe probabilmente dovuto colpire il sud di Israele. In Cisgiordania, poi, dure proteste hanno caratterizzato l’evacuazione di due abitazioni di coloni ad Hebron. Sul versante politico, intanto, alimenta nuove speranze l’incontro di ieri tra il premier israeliano, Ehud Olmert, ed il presidente palestinese, Abu Mazen. Il nostro servizio:

    Nella Striscia di Gaza, due fratellini sono morti a causa dello scoppio di un razzo, trovato vicino alla loro abitazione. I due bambini stavano probabilmente giocando con l’ordigno rimasto inesploso. L'area dove è avvenuta la disgrazia, a poca distanza dal confine con Israele, è solitamente utilizzata dagli estremisti palestinesi per gli attacchi con razzi o mortai, contro lo Stato ebraico. La cittadina palestinese di Hebron, in Cisgiordania, è stata poi teatro di nuovi scontri tra manifestanti ultranazionalisti e forze di sicurezza israeliane impegnate nell'evacuazione di due abitazioni di coloni. In base a un accordo firmato nel 1997 dall’allora primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, e dal defunto presidente palestinese, Yasser Arafat, l’80 per cento delle truppe israeliane si ritirò da Hebron nel 1997. Ma nella città vivono ancora circa 700 coloni. In questo difficile contesto non mancano comunque segnali di speranza, soprattutto dopo il primo colloquio tra il premier israeliano ed il presidente palestinese, avvenuto ieri in una città della Cisgiordania, a Gerico. Olmert ha detto che il governo di Israele è pronto ad allargare il negoziato con i palestinesi alle “questioni fondamentali”, quali il futuro di Gerusalemme e la questione dei profughi palestinesi. L’auspicio è che i negoziati possano finalmente portare alla creazione di uno Stato palestinese che viva in pace e sicurezza al fianco di Israele.

    - Situazione di crisi per il governo iracheno del premier sciita, Nouri Al Maliki: dopo le dimissioni, mercoledì scorso, di sei ministri sunniti del "Fronte della concordia". Altri quattro membri dell’esecutivo hanno annunciato che non parteciperanno più alle riunioni governative. Questa mattina il premier è giunto ad Ankara per un’attesa visita di un giorno. In agenda temi importanti, come la presenza di campi dei ribelli curdi del Pkk in Nord Iraq.

    - In Afghanistan, i talebani avrebbero accettato di liberare le donne del gruppo di 21 cittadini sudcoreani, sequestrati lo scorso 19 luglio, in cambio della liberazione delle mogli di alcuni combattenti. Il presidente afghano, Hamid Karzai, che ieri ha incontrato a Camp David il capo di Stato americano, George W. Bush, ha eslcuso qualsiasi concessione ai talebani e ai guerriglieri di Al Qaeda in Afghanistan.

    - Un nuovo focolaio di afta epizootica è stato confermato nella contea inglese del Surrey. Secondo quanto annunciato dalle autorità britanniche, il virus è stato identificato nella zona di Normandy, non lontano dalla fattoria dove, due giorni fa, diversi bovini erano risultati positivi al test.

    - Non ha ancora ricevuto conferme ufficiali la notizia della presunta liberazione di Ingrid Betancourt, dell'ex candidata presidenziale franco-colombiana rapita nel 2002 dai guerriglieri delle FARC. La notizia del rilascio della Betancourt è stata diffusa da una nota giornalista venezuelana, Patricia Poleo, ma i familiari e le autorità colombiane hanno riferito di non avere informazioni al riguardo. Anche fonti del governo francese hanno smentito la notizia.

    - Scontri a Timor Est dopo la nomina del nuovo primo ministro, Xanana Gusmao. A protestare sono stati gruppi di giovani sostenitori del Fronte rivoluzionario del Timor Orientale Indipendente (Fretlin), partito uscito vincitore dalle consultazioni elettorali di un mese fa. La polizia è intervenuta con lacrimogeni e proiettili di gomma. Nonostante il partito di Gusmao, il Congresso nazionale per la ricostruzione di Timor, abbia ottenuto solo 18 seggi in Parlamento, si è aggiudicato la maggioranza grazie alle alleanze con altri tre partiti minori. Accantonata l’ipotesi di un governo di unità nazionale, il presidente Jose Ramos-Horta ha quindi deciso di nominare primo ministro Xanana Gusmao, ex presidente di Timor Est ed eroe della lotta contro l’occupazione indonesiana del Paese dal 1975 al 1999.

    - Sono iniziati oggi negoziati in Corea del Nord, a Panmunjom, per il disarmo nucleare del Paese. Nei prossimi due giorni prenderanno parte alle trattative delegazioni delle due Coree, di Stati Uniti, Russia, Cina e Giappone. A febbraio la Corea del Nord aveva accettato il ritorno di ispettori dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica in cambio di aiuti e concessioni diplomatiche. Alla vigilia del confronto, un incidente ha coinvolto i soldati stanziati al confine tra le due Coree. Secondo un portavoce di Seul, i militari della Corea del Sud avrebbero risposto ai colpi sparati dalle forze della Corea del Nord verso un posto di guardia sudcoreano, nella zona smilitarizzata che divide i due Stati. Non ci sono stati feriti, ma la Commissione per l’armistizio militare dell’ONU, che supervisiona il cessate il fuoco, ha riferito che intende svolgere delle indagini sull’accaduto.

    - Il ministro della Difesa giapponese, Yuriko Koike, partirà oggi alla volta degli Stati Uniti per incontrare il segretario di Stato americano, Condoleeza Rice, ed il vice presidente, Dick Cheney. Koike, prima donna a diventare ministro della Difesa nella storia giapponese, è stata nominata lo scorso mese in seguito alle polemiche dimissioni del suo predecessore. È un momento delicato per le relazioni tra i due Stati. Dopo la sconfitta elettorale dello schieramento del premier giapponese, Shinzo Abe, il nuovo partito di maggioranza della Camera alta del Parlamento ha dichiarato che si opporrà al prolungamento oltre novembre delle operazioni militari giapponesi nell’Oceano Indiano per rifornire le navi da guerra della coalizione statunitense. Intanto, in Giappone, una squadra di esperti dell’ONU sta ispezionando l’impianto nucleare di Kashiwazaki-Kariwa, colpito da un violento terremoto il mese scorso.

    - Il Regno Unito ha chiesto agli Stati Uniti il rilascio di 5 prigionieri, detenuti nel carcere di Guantanamo, attraverso una lettera inviata dal ministro degli Esteri britannico al segretario di Stato americano. I detenuti nel Regno Unito godevano dello status di rifugiati o avevano ottenuto il permesso di soggiorno. È la prima volta che il governo britannico si impegna per la liberazione di persone che sono state solo residenti del Regno Unito. Nel campo di prigionia americano a Cuba sono rinchiusi sospetti terroristi.

    - Conclusi ieri ad Arusha, in Tanzania, i colloqui tra le 8 fazioni ribelli del Sudan per tentare di porre fine alla lunga guerra civile nel Darfur. Tra gli impegni adottati, una piattaforma comune di intenti per incontrare nei prossimi mesi il governo sudanese. (Panoramica internazionale a cura di Amedeo Lomonaco e Valentina Fizzotti)

     Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LI No. 219

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