RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno L  n. 270 - Testo della trasmissione di mercoledì 27  settembre 2006

 

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

L’udienza generale dedicata all’apostolo Tommaso, “esemplare – ha detto Benedetto XVI – nel seguire Gesù”. L’auspicio del Papa perché il turismo – che oggi celebra la sua Giornata Mondiale – sia veicolo di dialogo e pace tra le culture

 

Tavola rotonda alla Radio Vaticana, sui valori etici e spirituali del turismo, in occasione della Giornata mondiale dedicata al settore: intervista con il cardinale Renato Raffaele Martino

 

Al primo incontro dopo sei anni, grande spirito di fraternità e di reciproca accoglienza riscontrato ai lavori della Commissione mista per il dialogo teologico tra cattolici e ortodossi, conclusisi a Belgrado: ne parla, ai nostri microfoni, il cardinale Walter Kasper

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Rientra in Italia il corpo del soldato ucciso in Afghanistan. Non si arrestano gli attacchi dei talebani contro le forze della coalizione. La testimonianza di padre Giuseppe Moretti

 

San Vincenzo de’ Paoli, l’uomo che nel Seicento organizzò la carità verso i poveri. La Chiesa lo ricorda oggi, attraverso l’impegno della Famiglia vincenziana. Con noi, padre Giuseppe Guerra

 

La nuova produzione televisiva di Raitre dedicata a Giovanni Paolo II presentata in anteprima al 58.mo Prix Italia, in corso a Venezia. Immagini inedite raccontano la storia Papa Wojtyla

 

Artisti e cantanti riuniti a Lampedusa, terra di sbarchi dei clandestini, per sensibilizzare sul problema dell’immagine alla IV Edizione della rassegna musicale “O’scià”: ai nostri microfoni, Claudio Baglioni, Laura Boldrini e Riccardo Noury

 

CHIESA E SOCIETA’:

Preoccupazione dei vescovi del Cile per la crescita del consumo di droga nel Paese, soprattutto fra donne e bambini.

 

Segni di violenza, non riconducibili alla fucilazione, sui corpi dei tre cattolici giustiziati la settimana scorsa in Indonesia: i legali delle famiglie chiedono una seconda autopsia e partono per Europa e Stati Uniti per sottoporre il caso agli organi di giustizia internazionali

 

Attaccata per la seconda volta in tre giorni la Chiesa caldea dello “Spirito Santo” a Mosul, in Iraq. Il vescovo ausiliare di Baghdad, Shlemon Warduni: ricerchiamo la pace con i fedeli islamici

 

A causa della politica del figlio unico, in Cina aumenta lo squilibrio fra i sessi: ogni 100 femmine nascono 121 maschi: lo rileva uno studio dell’Accademia cinese per le scienze sociali

 

Sono quasi 100 le lingue parlate in Perù, tra cui il Taushiro, parlato da un solo peruviano: è quanto emerge da una ricerca dell’Instituto Lingüístico de Verano, dal titolo: “Pueblos del Perù”

 

24 ORE NEL MONDO:

Stanziati dagli Stati Uniti altri 70 miliardi di dollari per le operazioni militari in Iraq e Afghanistan. Pubblicato, ieri, il Rapporto dell’intelligence americana sul conflitto iracheno.

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

27 settembre 2006

 

 

L’AUSPICIO DI BENEDETTO XVI NELL’ODIERNA GIORNATA MONDIALE DEL TURISMO:

CHE SIA  “UNA PORTA APERTA ALLA PACE E ALLA CONVIVENZA ARMONIOSA”

ALL’UDIENZA GENERALE, IL PAPA PORTA L’ESEMPIO DELL’APOSTOLO TOMMASO,

I CUI DUBBI CI CONFORTANO NELLE NOSTRE INSICUREZZE

 

Il turismo è “un fenomeno sociale di grande rilevanza nel mondo contemporaneo”. Così il Papa è tornato a commentare dopo il messaggio di ieri l’odierna Giornata mondiale del turismo, al termine dell’udienza generale dedicata all’apostolo San Tommaso, stamane in piazza San Pietro, affollata da migliaia di  fedeli e turisti. Il servizio di Roberta Gisotti.

 

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Occasione di incontro e scambio tra i popoli e le persone, il turismo non solo vacanza fine a se stessa. Benedetto XVI nei saluti agli oltre 30 mila pellegrini di tutto il mondo, premiati da una radiosa giornata di sole settembrino, si è soffermato su un tema certamente rilevante sul piano socio-economico ma anche etico, in tempi di crescente globalizzazione: 

 

“Auspico che il turismo promuova sempre più il dialogo e il reciproco rispetto delle culture, diventando così una porta aperta alla pace e alla convivenza armoniosa.”

 

Proseguendo nel ciclo di catechesi dedicate agli Apostoli, il Papa ha parlato oggi di Tommaso perché “formi la nostra fede, rafforzi la speranza e riaccenda l’amore”, lui determinato nel seguire il Maestro, fino a volerne condividere “la prova suprema della morte”, quando Gesù si reca a Betania per resuscitare Lazzaro; lui che chiede spiegazioni a Gesù nell’Ultima Cena, esprimendo “la pochezza della nostra capacità di comprendere” e al tempo stesso ponendosi “nell’atteggiamento fiducioso” di chi attende “luce e forza da chi è in grado di donarle”; lui incredulo sulla Resurrezione di Cristo, che poi reagirà “con la più splendida professione di fede di tutto il Nuovo Testamento”, esclamando “Mio Signore e mio Dio”. “Tommaso – ha spiegato il Santo Padre citando Sant’Agostino - ‘vedeva e toccava l’uomo, ma confessava la sua fede in Dio, che non vedeva né toccava’”. Da qui l’importanza per tutti noi dell’apostolo Tommaso:

        

Primo, perché ci conforta nelle nostre insicurezze; secondo, perché ci dimostra che ogni dubbio può approdare a un esito luminoso oltre ogni incertezza; e, infine, perché le parole rivolte a lui da Gesù ci ricordano il vero senso della fede matura e ci incoraggiano a proseguire, nonostante la difficoltà, sul nostro cammino di adesione a Lui”.

 

Ha ricordato ancora Benedetto XVI che nel nome di Tommaso vennero scritti gli Atti ed il Vangelo di Tommaso, “ambedue apocrifi ma comunque importanti – ha detto - per lo studio delle origini cristiane”. Inoltre il Papa ha ricordato che, secondo un’antica tradizione, Tommaso evangelizzò prima la Siria e la Persia, spingendosi poi fino all’India. “In questa prospettiva missionaria” l’auspicio del Papa, perché Tommaso “corrobori sempre più la nostra fede”.

 

Prima di accomiatarsi, il Santo Padre – rivolto ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli - ha richiamato l’esempio di carità offerto da San Vincenzo de Paoli, di cui ricorre oggi la memoria.

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TAVOLA ROTONDA ALLA RADIO VATICANA SUI VALORI ETICI E SPIRITUALI DEL TURISMO, IN OCCASIONE DELLA GIORNATA MONDIALE DEDICATA AL SETTORE

- Intervista con il cardinale Renato Raffaele Martino -

 

E’ importante che si sviluppi una “persuasiva opera di educazione ai valori del turismo”, così da rendere questo importante fenomeno di massa un’autentica risorsa in grado di arricchire, non solo economicamente, le popolazioni. E’ l’auspicio espresso nel messaggio scritto da Benedetto XVI in occasione della Giornata mondiale del Turismo, che si celebra oggi. Ad impegnarsi particolarmente perché arte e natura possano essere uno strumento di evangelizzazione è il Centro turistico giovanile che, ispirandosi alla concezione cristiana dell’uomo e della vita, promuove e realizza progetti educativi nei settori del turismo giovanile e sociale, del tempo libero, dell’ambiente e del volontariato culturale. E questa mattina, nella Sala Marconi della nostra emittente, si è svolta una tavola rotonda dedicata agli aspetti etici e culturali del turismo. Ma come far sì che esso diventi fonte di arricchimento spirituale, come auspicato anche stamani da Benedetto XVI all’udienza generale? Tiziana Campisi lo ha chiesto al cardinale Renato Raffaele Martino, presidente del Pontificio Consiglio per la Pastorale dei migranti e degli itineranti, presente alla tavola rotonda:

 

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R. – Bisogna vedere l’atteggiamento con cui uno fa turismo o si fa turista: questa disposizione interiore può capovolgere in bene o in male l’azione turistica. Se si va in luogo per arricchirsi non solo culturalmente ma anche umanamente, venendo a contatto con popoli e persone di altra cultura, allora è un arricchimento, ma se si va poi con altri intenti allora può essere un problema sia personale che per i posti e le popolazioni visitate.

 

D. – Il messaggio di Benedetto XVI in riferimento alla Giornata di oggi dice di educare ai valori del turismo…

 

R. – Sì, proprio imparare ad essere un turista decente, imparare ad apprezzare i valori che sono propri dei Paesi che visitiamo. Il turismo è un’apertura e allora bisogna essere disposti a questa apertura umana e culturale. Solo così possiamo arricchirci noi e valorizzare queste risorse naturali, storiche, di cultura che si trovano nei luoghi e nei Paesi visitati.

 

D. - Come educare a questi valori del turismo?

 

R. - Questa educazione deve venire dalle famiglie. Quando una famiglia visita qualche luogo insieme con i figli, con i bambini e i giovani, allora questa educazione deve venire dai genitori stessi.

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FRATERNITA’ E RECIPROCA ACCOGLIENZA AI LAVORI DELLA COMMISSIONE MISTA

PER IL DIALOGO TEOLOGICO TRA CATTOLICI E ORTODOSSI,

RIPRESI DOPO SEI ANNI SUL TEMA DELLA COMUNIONE

- Intervista con il cardinale Walter Kasper -

 

Si sono conclusi lunedì scorso, a Belgrado, in un clima di reciproca e rinnovata accoglienza, i lavori della nona Sessione plenaria della Commissione mista internazionale per il Dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa. Tema: la Teologia della comunione. A guidare la delegazione cattolica è stato il cardinale Walter Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’unità dei cristiani. A lui, Giovanni Peduto ha chiesto i temi del confronto e se vi siano stati dei passi avanti nel dialogo con gli ortodossi:

 

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R. – Un passo avanti sta già nel fatto che la Commissione si sia potuta riunire nuovamente, dopo una interruzione di sei anni. Erano presenti tutte le Chiese ortodosse. I lavori si sono svolti in una atmosfera amichevole, positiva e costruttiva. Il tema riguardava la Chiesa come comunione. Abbiamo lasciato da parte il tema dell’uniatismo, che ci ha bloccato per circa 10 anni, ed abbiamo invece affronta il tema della Chiesa come comunione e i fondamenti sono già nella prima fase del dialogo. E’ stato preparato un documento dalla Conferenza di Mosca, composta da circa 90 membri, sul rapporto tra conciliarietà ed autorità a livello locale, regionale e, infine, universale. Penso che abbiamo trovato molti punti di contatto, anche se ci sono evidentemente delle difficoltà, che sono ben conosciute. Ma poiché abbiamo discusso in un’atmosfera serena e positiva abbiamo la speranza che si possa ora avanzare.

 

D. – Una parola in più, eminenza, proprio sul contesto nel quale si è svolto l’incontro?

 

R. – Si trattava di un invito della Chiesa ortodossa e noi abbiamo trovato un’ospitalità inattesa, molto sorprendente. Hanno fatto veramente del loro meglio per preparare questo incontro. Tutto questo contesto era molto positivo. Abbiamo celebrato la Liturgia ortodossa, alla quale noi siamo stati presenti, ed una Liturgia cattolica, alla quale loro sono stati presenti. Abbiamo visitato insieme un monastero. Tutto è andato molto bene. Siamo stati ricevuti anche dal presidente della Repubblica di Serbia e dal primo ministro. I lavori si sono iniziati nella Cappella del Patriarca Pavle, che ci ha salutati e ci ha promesso le sue preghiere. Tutto si è svolto veramente in una atmosfera ottima.

 

D. – Eminenza, come guarda la Chiesa cattolica ai contrasti con il Patriarcato di Mosca e il Patriarcato ecumenico di Costantinopoli? Cosa può dirci a riguardo di tale argomento?

 

R. - È importante ribadire che la Sessione plenaria della Commissione mista internazionale per il Dialogo Teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa nel suo insieme si è svolta in un'atmosfera generalmente fraterna, positiva e costruttiva. Per questo motivo sono ancora più stupito della pubblica protesta del rappresentante della Chiesa ortodossa russa, il vescovo di Vienna ed Austria, Hilarion, diramata dall’Agenzia di stampa Interfax e relativa ad una questione di procedura. Sorprende in special modo che il rappresentante ortodosso russo si sia soffermato su un singolo punto di una discussione che implica molte questioni di grande importanza e difficoltà per il dialogo. La questione sollevata dal vescovo Hilarion si riferisce al modo di comprendere l'ordine tradizionale (taxis) tra le Chiese ortodosse, secondo il quale la Sede di Costantinopoli gode di un primato d'onore tra di esse. La questione è interortodossa, e non costituisce un argomento di discussione tra cattolici ed ortodossi. La parte cattolica ha esplicitamente dichiarato che non desiderava intervenire in tale controversia interna. In effetti, la Commissione non poteva decidere in merito alla sostanza della questione. Essa è stata affrontata soltanto dal punto di vista procedurale, ed unicamente nel senso di come sia possibile sormontarla. Tale posizione è stata espressamente spiegata alla delegazione ortodossa russa, ciò che rende difficilmente comprensibile la sua pubblica protesta. La Commissione ha deciso di riunirsi ancora il prossimo anno per continuare il dialogo. Ci auguriamo che nel frattempo si giunga ad una soluzione delle differenze esistenti a livello ortodosso. Se la questione restasse aperta, provocherebbe infatti una permanente difficoltà per il dialogo internazionale cattolico - ortodosso.

 

D. – Ci sono quindi delle prossime tappe nel dialogo cattolico ortodosso?

 

R. – Sì, abbiamo deciso che la prossima sessione si terrà nell’ottobre del 2006. Questa volta sarà la Chiesa cattolica a rivolgere l’invito per la prossima sessione, che sarà in Italia, anche se non sappiamo ancora dove si svolgerà.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Servizio vaticano - Catechesi e cronaca dell'udienza generale.

 

Servizio estero - Iraq: a Baquba colpi di mortaio sterminano un'intera famiglia.

 

Servizio culturale - Un articolo di Susanna Paparatti dal titolo “La ricerca dei confini del reale nell'avanguardia italiana degli Anni Cinquanta”: la mostra “Una natura altra. Natura, materia, paesaggio: 1950-1962” a Marsala.

 

Servizio italiano - Il cordoglio in tutto il Paese per la morte del soldato italiano in Afghanistan.  

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

27 settembre 2006

 

RIENTRA IN ITALIA IL CORPO DEL SOLDATO UCCISO IN AFGHANISTAN,

DOVE NON SI ARRESTANO GLI ATTACCHI DEI TALEBANI

CONTRO LE FORZE DELLA COALIZIONE

- Intervista con padre Giuseppe Moretti -

 

In Afghanistan, un kamikaze, a bordo di un’auto-bomba, si è fatto saltare in aria nei pressi di una caserma della polizia afghana, a Kandahar, nel sud del Paese. Lo hanno riferito fonti locali precisando che l’azione terroristica non ha provocato vittime. Il vero obiettivo sarebbe stato, secondo prime ricostruzioni, un convoglio di soldati canadesi in transito a poca distanza. L’attacco giunge all’indomani dell’attentato contro una colonna di blindati italiani, costato la vita al caporalmaggiore Giorgio Langella, la cui salma giungerà in serata a Cuneo, sua città natale.  Ma i talebani continuano ad avere un grosso seguito tra la popolazione afghana? Luca Collodi lo ha chiesto a padre Giuseppe Moretti, religioso Barnabita, responsabile dal 2002 della missione cattolica in Afghanistan:

 

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R. – Talvolta la gente, di fronte alla mancata realizzazione delle promesse, ha una certa empatia, una certa nostalgia. Credo che questo sia semplicemente un’espressione tipica di chi rimpiange il passato, perché non ottiene dal presente quello che si aspetterebbe. Ma credo che nessuno, nessuno voglia tornare ai tempi cupi della presenza talebana. Le donne stanno gradualmente reinserendosi nella società, sono tornate a scuola. Ci sono anche dei settori di lavoro delle donne. I bambini sono tornati a giocare con gli aquiloni, sono tornati a scuola. No, non direi che c’è una vera nostalgia. Credo che ci sia quello che si dice in tutti i Paesi: “Si stava meglio, quando si stava peggio”. Sono frasi che si dicono in certe momenti di delusione o di stanchezza.

 

D. – Padre Moretti, la società civile afghana come percepisce le truppe della NATO che sono in Afghanistan: come invasori o come truppe che possono riportare una normalità e una democrazia nel Paese?

 

R. – La stragrande maggioranza della popolazione le vede proprio in questo secondo aspetto e quindi sotto una aspetto positivo. Hanno la consapevolezza che, senza questa presenza, saremmo ancora nel caos. La presenza del contingente internazionale ha proprio questa funzione: aiutare il Paese a camminare verso la libertà, verso la democrazia. E’ chiaro anche che i militari hanno una loro funzione.  C’è poi la responsabilità dei politici e delle diplomazia. A mio avviso, quello che potrebbe essere un pericolo nell’interpretarli come invasori o conquistatori è se questa loro presenza dovesse diventare sine die. Occorre che ci sia un termine, perché è chiaro che, altrimenti, quell’allergia storica che gli afghani hanno verso lo straniero, e in particolare verso lo straniero militare, non può essere curata semplicemente dicendo che questo contingente internazionale non ha invaso o non ha tentato di invadere, come è stato in tempi passati con l’Unione Sovietica. Per il momento, la popolazione legge questa presenza in modo positivo, anche perché riceve molto da questa presenza.

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FU IL SANTO CHE DIEDE VITA A DIVERSE OPERE DI CARITÀ

PER OFFRIRE AIUTO AI POVERI: LA CHIESA RICORDA OGGI SAN VINCENZO DE’ PAOLI,

LA CUI OPERA CONTINUA ATTRAVERSO L’IMPEGNO DELLA FAMIGLIA VINCENZIANA

- Intervista con padre Giuseppe Guerra -

 

Ispirandosi al suo apostolato, oggi sono 7 le istituzioni - tra Congregazioni religiose e comunità - che portano avanti la missione di San Vincenzo de’ Paoli. Vissuto tra il ‘500 e il ‘600, la Chiesa ne fa memoria oggi come il Santo che si è dedicato particolarmente ai poveri. Ma che cosa caratterizza il carisma della famiglia vincenziana? Tiziana Campisi lo ha chiesto al procuratore generale della Compagnia della Missione di San Vincenzo de’ Paoli, padre Giuseppe Guerra:

 

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R. – Il carisma, l’originalità di San Vincenzo è stato quello di organizzare la carità. L’impegno di oggi è quello di rispondere ai nuovi meccanismi – perversi, purtroppo – in cui si genera la povertà. Come disse Papa Paolo VI nella famosa enciclica Populorum progressio, il progresso ha fatto fare tanti passi avanti nel benessere, nella ricchezza, ma ha fatto anche progredire purtroppo e paradossalmente anche la povertà. Quali sono questi meccanismi che generano la povertà? A livello strutturale, questo è l’impegno dei Vincenziani oggi: capire anzitutto quali siano tali meccanismi e poi con la denuncia, con l’atteggiamento costruttivo, l’impegno, cercare di disinnescare questi meccanismi per un mondo più giusto e per avvicinarci di più ad un mondo di pace e di giustizia.

 

D. – Questo sguardo costantemente rivolto al povero e al bisognoso, che cosa insegna al cristiano?

 

R. – Una frase famosa di San Vincenzo è che i poveri sono i nostri maestri e i nostri padroni: sembra un po’ paradossale, questa affermazione, perché noi pensiamo di essere noi i maestri dei poveri e pensiamo di essere noi i promotori di solidarietà. Invece, San Vincenzo ci ha insegnato a vedere nella persona del povero l’immagine di Gesù, perché Gesù ha detto: “Qualsiasi cosa farete al più piccolo, l’avrete detto a me”. Quindi, il povero ci rivela il volto di Gesù, e in questo diventa nostro maestro e nostro padrone perché, in concreto ci fa scoprire come raggiungere Gesù. Noi non abbiamo altro modo che incontrarlo nei nostri fratelli, soprattutto in quelli più poveri.

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LA NUOVA PRODUZIONE TELEVISIVA DEDICATA A GIOVANNI PAOLO II,

PRODOTTA DA RAITRE, PRESENTATA IN ANTEPRIMA AL 58.MO PRIX ITALIA,

IN CORSO A VENEZIA. IMMAGINI INEDITE RACCONTANO

LA STORIA DEL “PAPA VENUTO DA LONTANO”

 

         Si discute di servizio pubblico e mass media oggi, a Venezia, nell’ambito della 58.ma edizione del Prix Italia, il concorso internazionale che da moltissimi anni premia le opere di maggior qualità televisive, radiofoniche e web prodotte nel mondo. Da sempre occasione per mostrare in anteprima i nuovi programmi, ieri sera al Prix Italia è stata presentata da Raitre una nuova pagina televisiva dedicata a Giovanni Paolo II. Sequenze ancora mai viste, scovate in Polonia e in Italia, saranno al centro di un nuovo capitolo della serie “La Grande Storia”, diretto da Luigi Bizzarri e intitolato “Giovanni Paolo II, la storia di Karol Wojtyla”. Ce ne parla la nostra inviata a Venezia, Laura De Luca:

 

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Immagini totalmente inedite tratte dagli archivi storici polacchi, ma anche riprese dall’archivio dell’Istituto Luce, ci regalano la Polonia degli anni Venti, quella di Karol bambino. La Polonia che ha appena riconquistato i suoi territori all’Unione Sovietica, la Polonia del maresciallo Pilsudski, e poi quella famosa Polonia delle cave di pietra che fino a ieri avevamo soltanto immaginato, con le facce brunite degli operati. E ancora, la Polonia invasa da nazisti, prima, e poi dai comunisti, il ghetto di Varsavia in fiamme, le processioni clandestine, le chiese bruciate e quelle drammatiche colonne di profughi con i volti disperati che passano di fronte ai cadaveri ammucchiati dei prigionieri uccisi.

 

Un documentario, questo, che ci regala attimi di emozione autentica attraverso dei fotogrammi fuggenti, con personaggi storici, come il cardinale Sapieha, quello che avviò Karol Wojtyla al sacerdozio, o come padre Massimiliano Kolbe, ripreso proprio poche ore prima del suo internamento nei lager. O ancora, un giovanissimo cardinale Wyszinski, di Karol Wojtyla arcivescovo e poi cardinale.

 

Ma questo nuovo capitolo de “La Grande Storia” ci offre pure immagini mai viste: eccolo in processione all’inizio del Concilio, a fianco di Paolo VI, prossimo alla nomina cardinalizia. Poi, all’aeroporto di Fiumicino, prima del Conclave, da cui sarebbe uscito Papa. Dunque, dei filmati inediti che collocano Karol Wojtyla proprio nel cuore del XX secolo e che mostrano anche la sua precocissima vocazione a viaggiare, ma soprattutto la sua infaticabile attività apostolica. Preziose testimonianze dagli amici di infanzia all’autista polacco, da mons. Stanislaw – oggi arcivescovo di Cracovia – al cardinale Silvestrini completano questo quadro insolito ma profondamente radicato nella storia di un Pontificato decisivo.

 

All’anteprima veneziana, al Teatro Goldoni, era presente, oltre al direttore di RAI 3, Paolo Ruffini, lo stesso cardinale Achille Silvestrini, e alla domanda “Cosa rimarrà delle celebrazioni, delle evocazioni, dei memoriali in onore di Giovanni Paolo II”, ha risposto: “Il suo sorriso, che è rimasto immutato dagli anni duri delle persecuzioni, delle sofferenze giovanili fino alla morte”.

 

Da Venezia, Laura De Luca, Radio Vaticana.

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ARTISTI E CANTANTI RIUNITI A LAMPEDUSA, TERRA DI SBARCHI DEI CLANDESTINI,

PER SENSIBILIZZARE SUL PROBLEMA DELL’IMMIGRAZIONE

ALLA QUARTA EDIZIONE DEL FESTIVAL MUSICALE O’SCIA’”

- Ai nostri microfoni Claudio Baglioni, Laura Boldrini e Ricardo Noury -

 

“Nessun uomo è un’isola, ogni respiro è un uomo”: è questo lo slogan della quarta edizione di “O’ Scia’”, la rassegna musicale gratuita a favore dei migranti, in programma a Lampedusa, dal domani a sabato prossimo. Tre giorni di musica e dibattiti per accendere i riflettori sul problema dell’immigrazione e dare voce ai bisogni degli extracomunitari. Il servizio di Isabella Piro:

 

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Annunciare l’importanza dei diritti umani, denunciare la loro violazione, non rinunciare mai ad essi. Il festival di “O’Scia’” ha questo obiettivo, per far sì che l’isola di Lampedusa, tragico teatro di sbarchi clandestini, diventi davvero il simbolo di una nuova vita per i disperati che vi approdano ogni giorno. Trentadue gli artisti sul palco, tra cui Riccardo Cocciante, Loredana Bertè e Massimo Ranieri. Ognuno con la consapevolezza che l’arte ha un compito importante, come spiega il direttore artistico del Festival, il cantante Claudio Baglioni:

 

“Una canzone non dico che potrà cambiare la vita, ma la potrà cantare quando la vita diventerà migliore, perchè ha l’universalità dalla sua parte, mette insieme le persone. Vinicius De Morales, che oltre che poeta era  diplomatico, diceva: “Amico, la vita è l’arte dell’incontro”. Bisogna incontrarsi, perché se uno non si incontra mai avrà sempre paura e diffidenza”.

 

Umanizzare un fenomeno ostico e difficile da raccontare come quello dell’immigrazione: a questo serve “O’ Scia’”. Ma di cosa hanno più bisogno gli immigrati che sbarcano a Lampedusa? Laura Boldrini, dell’Alto Commissariato Onu per i rifugiati:

 

“Bisogno di sentirsi al sicuro finalmente, per rifarsi una vita per avere un futuro. In questo, l’Italia è ancora carente: mancano i fondi adeguati per consentire questo processo e anche per fare in modo che poi queste persone possano mettere a disposizione anche le proprie esperienze, le proprie capacità. Perché molto spesso i rifugiati sono persone che hanno molto da dare, però debbono essere messi in condizione di farlo”.

 

Giunta alla sua quarta edizione, la rassegna di “O’ Scia’” vede quest’anno l’adesione di Amnesty International. Proprio sull’isola siciliana, l’associazione varerà nel 2007 il progetto “Lampedusa, terra di diritti umani”, che prevede la costruzione di campi scuola per i giovani e di una radio locale. Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia:

 

“Noi vogliamo che Lampedusa non sia conosciuta in Europa come il luogo in cui si verificano violazioni di diritti umani, come il luogo in cui si scontrano gli ultimi e i penultimi della terra, laddove gli ultimi sono immigranti che arrivano, e i penultimi sono dei cittadini europei assolutamente dimenticati. Deve essere un luogo in cui è bello vivere: in poche parole. un investimento sui diritti umani”.

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CHIESA E SOCIETA’

27 settembre 2006

 

PREOCCUPAZIONE DEI VESCOVI DEL CILE PER LA CRESCITA DEL CONSUMO DI DROGA NEL PAESE, SOPRATTUTTO FRA DONNE E BAMBINI. “OCCORRE TROVARE RISPOSTE EFFICACI

– AFFERMANO – AVENDO SEMPRE COME PUNTO DI RIFERIMENTO ULTIMO LA PERSONA”

- A cura di Luis A. Badilla -

 

BOGOTA’.= “Nel Cile di oggi, il problema della droga colpisce moltissime persone, famiglie e quartieri. Questa situazione, che ci è piombata addosso quasi senza accorgercene, ci sfida a trovare risposte efficaci, avendo sempre come punto di riferimento ultimo la persona”: è quanto affermano i vescovi del Cile, che in un comunicato pubblicato lunedì scorso esprimono preoccupazione per la diffusione del flagello della droga nel Paese, sottolineando l’urgenza di trovare soluzioni comuni. La Chiesa cilena, “come Madre”, si sente “interpellata per la situazione che vivono migliaia di bambini, giovani, adulti, uomini e donne, che patiscono le conseguenze del consumo della droga”. La persona che fa uso della droga, affermano i presuli, “perde la sua libertà, soffre profondamente e alla fine è costretta a nascondere il suo dolore” e perciò si “colloca in un contesto di povertà ed esclusione, aumentando così la sua desolazione”. Per questo, occorre avere uno sguardo più ricco di umanità, fornendo alle migliaia di persone coinvolte dal problema “proposte di soluzioni incentrate sulle loro condizioni di esclusione, sulla qualità della loro vita e sulla mancanza di opportunità di crescita”. Inoltre, notano, “il problema dell'’abuso nelle droghe si esprime, con più forza di prima, nelle donne e nei bambini senza fissa dimora e che vivono per strada”. Per questo, i vescovi cileni sollecitano “investimenti dello Stato, dei privati e di tutta la società per aumentare le risorse indirizzate ai settori di maggiore povertà, al fine di migliorare la qualità dell’educazione, creare canali reali di partecipazione nelle comunità ed offrire abitazioni degne e di qualità ai fratelli”. I presuli richiamano l’attenzione sulla complessità della questione, invitando a guardare, oltre che al narcotraffico, anche al “microtraffico”, e cioè a coloro che più che essere ritenuti trafficanti, in realtà, vanno considerati come vittime. E’ questa prospettiva che caratterizza l’azione della Chiesa, non solo nelle parrocchie, ma anche nelle comunità di recupero e, più ampiamente, nei suoi piani pastorali. Gli sforzi vanno centrati sia sulla prevenzione, che sulla riabilitazione, ma anche nella ricerca urgente di nuovi interventi tecnici e pastorali, per passare dalla riduzione dei danni al ricupero definitivo. L’intero fenomeno, secondo i presuli cileni, va comunque inserito in politiche sociali capaci di dare risposte ai bisogni basici di una buona parte della popolazione, dall’infanzia alla vecchiaia, passando per la qualità dell’educazione e per gli alloggi, senza dimenticare l’umanità dei quartieri, il lavoro e le opportunità per tutti. “Il problema della droga – concludono – può trovare una soluzione, solo se ci chiediamo: ‘Perché tante persone fanno uso di droga e di alcol? Cosa cercano e cosa ci vogliono dire?’. E’ urgente dare ascolto a queste persone. Occorre conoscere le loro opinioni, le loro inquietudini, gioie e dolori”.

 

 

SEGNI DI VIOLENZA, NON RICONDUCIBILI ALLA FUCILAZIONE, SUI CORPI DEI TRE

CATTOLICI GIUSTIZIATI LA SETTIMANA SCORSA IN INDONESIA: I LEGALI DELLE FAMIGLIE CHIEDONO UNA SECONDA AUTOPSIA E PARTONO PER EUROPA E STATI UNITI PER

SOTTOPORRE IL CASO AGLI ORGANI DI GIUSTIZIA INTERNAZIONALI

PALU. = Particolari raccapriccianti dimostrerebbero un accanimento contro i corpi dei tre cattolici indonesiani fuciati a Palu, nelle isole Sulawesi, lo scorso 22 settembre come responsabili degli scontri interreligiosi del 2000 a Poso. Come riferisce AsiaNews, i familiari e i loro avvocati hanno richiesto una seconda autopsia per accertare se Fabianus Tibo, Dominggus da Silva e Marinus Riwu siano stati vittime di “violenze” perpetrate dal plotone subito prima o immediatamente dopo l’esecuzione capitale. Polizia e autorità giudiziarie negano che si sia verificato ogni tipo di abuso. I legali del gruppo PADMA, che ha curato gli interessi dei tre, denunciano invece la presenza sui cadaveri di ferite non riconducibili alla fucilazione stessa. Inoltre, i tre avrebbero i segni di 5 spari nel petto, invece che uno solo. Nella loro richiesta di ripetere l’autopsia, i familiari dei tre sono appoggiati dalla Commissione ONU per i diritti umani, dalla Corte suprema internazionale e dall’Unione Europea. Il fatto che il procuratore di Palu abbia voluto dare sepoltura ai tre in tutta fretta, senza concedere nemmeno funerali religiosi, dà maggior credito alle ipotesi che la fucilazione non sia avvenuta secondo le procedure legali. “Non ci saremmo mai aspettati una cosa simile – ha detto uno degli avvocati del PADMA, Stephen Roy Rening – ora bisogna fare chiarezza: potremo essere di fronte a violazioni non solo della legge nazionale, che regola le fucilazioni, ma anche della legge internazionale”. "Non avendo più fiducia nel sistema giudiziari indonesiano – conclude il legale – non ci resta che denunciare il caso agli organi internazionali di competenza”.  Alcuni membri del PADMA sono già in partenza per l’Europa e gli Stati Uniti. (R.M.)

 

I VESCOVI FILIPPINI CONFERMANO FRODI ELETTORALI NELLE PRESIDENZIALI DEL 2004, VINTE DA GLORIA MACAPAGAL ARROYO: SECONDO UN’INDAGINE DELLA COMMISSIONE EPISCOPALE DEL PAESE, SAREBBERO STATI SOTTRATTI IN MODO ILLEGALE ALMENO 600 MILA VOTI A FERNANDO POE JR

Manila. = L’ex attore Fernando Poe jr, candidato alle presidenziali filippine del 2004, è stato defraudato di almeno 600 mila voti nel corso delle elezioni che hanno visto vincere l’attuale presidente, Gloria Macapagal Arroyo: è quanto emerge da un Rapporto della Commissione episcopale delle Filippine, preparato lo scorso maggio e reso pubblico ieri. Il vescovo emerito di Novaliches, mons. Teodoro C. Bacani, citato dall’agenzia del PIME, AsiaNews, spiega che i dati rilevati “non danno la vittoria politica a Poe”. “Il rapporto – precisa – dice solo che il candidato è stato vittima di una massiccia frode elettorale”. Sugli autori di tale frode, il vescovo afferma “che è improbabile che il responsabile sia il presidente Arroyo, ma piuttosto persone vicine a lei”. Secondo mons. Bacani, le accuse di frode sono “la base su cui poggia lo scontento nazionale”. (R.M.)

                                                                                                                                          

ATTACCATA PER LA SECONDA VOLTA IN TRE GIORNI LA CHIESA CALDEA DELLO “SPIRITO SANTO” A MOSUL, IN IRAQ. “NON VEDO MOLTA LUCE NELL’ORIZZONTE IRACHENO”,

 HA AFFERMATO IL VESCOVO AUSILIARE DI BAGHDAD, MONS. SHLEMON WARDUNI,

INVITANDO A “RICERCARE LA PACE CON I FEDELI ISLAMICI”

MOSUL.= Secondo attacco in tre giorni ad una parrocchia caldea di Mosul. Nel mirino degli aggressori è ancora una volta la chiesa dello Spirito Santo: ieri mattina un gruppo di uomini ha sparato contro l’edificio alcuni colpi di bazooka a distanza, mentre un ordigno è esploso davanti ad uno dei portoni esterni, inutilizzato, della chiesa. Lo hanno riferito ad AsiaNews fonti locali, secondo cui non si registrano morti o feriti.  Le fonti aggiungono che si potrebbe trattare della stessa formazione armata che la mattina di domenica aveva scaricato sulla chiesa almeno 80 colpi d’arma da fuoco, provocando solo lievi danni come finestre rotte. “Stiamo vivendo un periodo particolarmente critico e pericoloso – ha affermato il vescovo ausiliare di Baghdad, Shlemon Warduni, raggiunto telefonicamente dall’agenzia SIR – la speranza è che non si perda di vista il dialogo con i fratelli musulmani, con i quali abbiamo vissuto tanti anni in amicizia”. “Non vogliamo distruggere tutto quello che di buono è stato costruito in passato – ha aggiunto – serve cooperazione e preghiera perché il Dio unico doni pace al nostro Paese”. Quanto alle ragioni di questa esplosione di violenza, il presule ha affermato che “esse sono molteplici ed affondano nella realtà veramente complicata in cui versa l’Iraq di oggi. Il mondo è così cattivo e ci ha messo in questa condizione. Non vedo molta luce nell’orizzonte iracheno”. “L’invito che rivolgo a tutte le nostre comunità e ai fedeli musulmani – ha concluso – è quello di pregare per ricercare la pace e il riavvicinamento con i fedeli islamici”. (R.M.)

 

A CAUSA DELLA POLITICA DEL FIGLIO UNICO, IN CINA AUMENTA LO SQUILIBRIO

 FRA I SESSI: OGNI 100 FEMMINE NASCONO 121 MASCHI. LO RILEVA UNO STUDIO DELL’ACCADEMIA CINESE PER LE SCIENZE SOCIALI

 

PECHINO.= In Cina, aumenta lo squilibrio tra i sessi: lo rende noto l’Accademia Cinese per le scienze sociali, che in un Rapporto presenta le conseguenze della severa politica sulle nascite imposta dal governo di Pechino dal 1979. Rispetto al 1982, quando la proporzione era di 109 maschi ogni 100 femmine, nel 2004, il rapporto è passato a 121 maschi ogni 100 femmine. Infatti, con la diffusione delle tecnologie pre-natale, i genitori conoscono in anticipo il sesso del nascituro e, in molti casi, decidono di portare a termine solo le gravidanze che garantiscono un figlio maschio. Altri, invece, soprattutto nelle campagne, continuano a procreare fino all’arrivo del figlio maschio, ma non registrano le femmine all’anagrafe per non incorrere nelle pesanti tasse imposte alle famiglie con due o più figli. (M.G.)

 

SONO QUASI 100 LE LINGUE PARLATE IN PERU’, TRA CUI IL TAUSHIRO,

PARLATO DA UN SOLO PERUVIANO: È QUANTO EMERGE DA UNA RICERCA DELL’INSTITUTO LINGÜÍSTICO DE VERANO (ILV), DAL TITOLO: “PUEBLOS DEL PERU’ ”

 

LIMA. = Sono almeno 93 le lingue parlate in Perù, alcune in pericolo di estinzione, di cui 26 di origine Quechua, l’idioma più diffuso dopo lo spagnolo: lo rivela l’indagine “Pueblos del Perú”, frutto di 60 anni di lavoro da parte dell’ONG Instituto Lingüístico de Verano (ILV), che opera in 80 Paesi per tutelare la cultura orale dei gruppi etnici. “La lingua evolve sempre, non è mai statica, anche nei centri abitati più isolati. Il primo modo di preservarla è riconoscerla”, ha spiegato Abraham Kop, dell’ILV, citato dall’agenzia MISNA. Kop ha stilato per la prima volta dizionari e libri di testo per oltre una ventina di idiomi. Tra questi anche il Taushiro, parlato da un solo peruviano, l’unico superstite di una cultura annientata da epidemie e migrazioni, originaria della zona nordoccidentale di confine con l’Ecuador. Talvolta, l’enorme varietà di dialetti ha reso difficile, se non impossibile, anche la comunicazione tra persone appartenenti allo stesso ceppo linguistico: è il caso, secondo Kop, del Quechua parlato nel centro del Paese, spesso incomprensibile alle popolazioni che lo usano nel nord. “Porre fine all’analfabetismo è certamente una priorità – ha osservato Kop - ma prima occorre insegnare ai peruviani a leggere e scrivere nella lingua nativa e solo in seguito introdurre lo spagnolo. Se si perde una lingua, si perde una cultura”. (R.M.)

 

 

 

 

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24 ORE NEL MONDO

27 settembre 2006

 

- A cura di Amedeo Lomonaco e Marco Guerra -

 

In Iraq, almeno quattro donne irachene e quattro presunti militanti di Al Qaeda sono rimasti uccisi in seguito ad un’operazione militare americana compiuta, stamani, nella città sunnita di Baquba. Negli Stati Uniti, intanto, è stato approvato in via definitiva un disegno di legge che stanzia ulteriori 70 miliardi di dollari da destinare, quasi totalmente, ad operazioni militari in Iraq e in Afghanistan. Il disegno di legge vieta, tra l’altro, di investire il denaro per costruire basi militari permanenti in territorio iracheno o per esercitare una qualunque forma di controllo sul settore petrolifero nel Paese arabo. Vasta eco ha poi ricevuto il Rapporto dei Servizi segreti americani sulla guerra in Iraq. Sui passi principali di questo testo, ascoltiamo il servizio di Paolo Mastrolilli:

 

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“Il conflitto in Iraq è diventato una causa celebre per i terroristi, alimentando un profondo risentimento per il coinvolgimento degli Stati Uniti nel mondo islamico e coltivando sostenitori della Jihad globale”: è uno dei severi giudizi contenuti nell’ultimo Rapporto dell’intelligence americana, che il presidente Bush ha reso pubblico ieri, dopo che alcuni giornali ne    avevano anticipato i contenuti. Il capo della Casa Bianca ha deciso questa mossa inusuale perché le parti del documento divulgate criticavano l’intervento in Iraq, proprio alla vigilia delle elezioni parlamentari di novembre. Il testo integrale, in effetti, segnala i successi ottenuti nella lotta contro Al Qaeda, ma sottolinea pure che il fenomeno del terrorismo si è allargato a tutto il mondo attraverso la formazione di tante cellule indipendenti che ora minacciano gli interessi americani ovunque. Sull’Iraq, poi, il Rapporto aggiunge che quel conflitto sta formando una nuova generazione di leader e di militanti terroristi. L’intervento nel Golfo Persico e la sfida contro la Jihad globale sono diventati gli argomenti scottanti degli ultimi giorni in America: ieri, anche il presidente pakistano Musharraf, che stasera sarà ospite di Bush a cena, ha dichiarato che l’intervento a Baghdad ha reso il mondo meno sicuro. Il capo della Casa Bianca ha ricevuto il leader afghano Karzai e ha difeso la sua strategia, sostenendo che se non ci fosse stato l’Iraq i terroristi avrebbero trovato un’altra scusa per attaccare. Lo scontro riguarda la strategia generale adottata contro l’estremismo islamico.

 

Da New York, per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.

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E la guerra contro il terrorismo è uno dei temi al centro dell’incontro previsto questa sera, a Washington, tra il presidente americano, George Bush, e i capi di Stato afgano, Hamid Karzai, e pakistano, Pervez Musharraf. I massimi rappresentanti di Afghanistan e Pakistan non hanno nascosto, nelle ultime ore, alcune divergenze: Karzai ha chiesto ieri al governo di Islamabad di chiudere le scuole religiose islamiche integraliste che, a suo dire, diffondono “la cultura dell’odio”. Musharraf, invece, ha accusato stamani il presidente afghano di anteporre il proprio interesse personale a quello della nazione. Il capo di Stato pakistano ha anche dichiarato che prima o poi Islamabad riconoscerà Israele. “Ma farlo oggi – ha aggiunto – sarebbe un suicidio politico”.

 

Israele, intanto, attende una serie di chiarimenti di carattere operativo dai vertici della forza di interposizione dell’ONU in Libano, l’UNIFIL, per completare il proprio ritiro dal Paese dei cedri. E’ quanto riferisce il quotidiano israeliano ‘Haaretz’, precisando che l’operazione di rimpatrio dei militari dello Stato ebraico potrebbe subire un nuovo rinvio. Il ministro della Difesa, Amir Peretz, ha dichiarato intanto che l’aviazione israeliana continuerà a sorvolare il Libano anche dopo il ritiro delle truppe.

 

Il capo negoziatore iraniano per il nucleare, Ali Larijani, e il rappresentante per la politica estera dell’Unione Europea, Javier Solana, si incontreranno nel pomeriggio a Berlino. Lo ha riferito la televisione di Stato iraniana. La Germania è impegnata da mesi, insieme con i 5 Paesi membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, nella ricerca di una soluzione alla crisi nucleare iraniana. L’ultimatum imposto dal Consiglio di Sicurezza all’Iran per esigere la sospensione dei processi di arricchimento dell’uranio è scaduto invano lo scorso 31 agosto.

 

Nei Territori palestinesi, un raid israeliano nella città di Rafah ha causato la morte di una ragazzina di 14 anni ed il ferimento di diversi bambini. Obiettivo dell’azione era una casa che, secondo fonti israeliane, nascondeva un tunnel usato per il contrabbando di armi con l’Egitto. Un tribunale militare israeliano ha ordinato, intanto, il rilascio di Nasser al-Shaer, vice primo ministro dell'Autorità nazionale palestinese, arrestato da truppe dello Stato ebraico oltre un mese fa nella sua abitazione in Cisgiordania.

 

Primo gennaio 2007: nasce l’Europa a 27. E’ questa la data che sancirà l’ingresso, per Romania e Bulgaria, nell’Unione Europea. Lo ha confermato la Commissione Europea con un rapporto presentato ieri a Strasburgo dal presidente, Josè Manuel Barroso. Da Bruxelles, Giovanni Del Re:

 

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La Commissione Europea ha ritenuto che tutti i progressi compiuti da Sofia e Bucarest siano sufficienti per non rinviare l’adesione. L’adesione – ha detto il presidente della Commissione, José Manuel Barroso – marcherà un successo storico. Il via libera definitivo dovrà essere dato, però, dai capi di Stato e di governo degli attuali Stati membri al Consiglio europeo informale, che avrà luogo il 20 ottobre a Lati, in Finlandia. Non solo: l’adesione di Romania e Bulgaria deve essere ancora ratificata dai Parlamenti di quattro Stati: Francia, Germania, Danimarca e Belgio. Per il resto, l’ingresso di Romania e Bulgaria vedrà delle limitazioni, soprattutto per l’accesso al mercato del lavoro. Particolarmente rigide saranno Gran Bretagna, Svezia e Irlanda. Sofia e Bucarest hanno comunque ancora molto da fare. La prima, anzitutto sul fronte del crimine organizzato e della corruzione, che raggiunge lo Stato e il sistema giudiziario. La Romania dovrà provvedere, poi, a creare un’agenzia anti-corruzione e riformare il sistema giudiziario. Ma, soprattutto, i due Paesi dovranno migliorare il controllo e la distribuzione degli aiuti comunitari. I finanziamenti, ha avvertito il commissario all’Allargamento, Olli Rehn, potranno essere interrotti o annullati se la Commissione riscontrerà casi di irregolarità, frodi o pratiche di corruzione. Si tratta di un monito molto chiaro.

 

Da Bruxelles, per la Radio Vaticana, Giovanni Del Re, AKI.

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Gordon Brown è un “egregio servitore di questo Paese”. “Senza Brown il Partito laburista non avrebbe vinto le ultime tre elezioni”. Lo ha detto il premier britannico, Tony Blair, che ieri ha parlato per l’ultima volta a Manchester da presidente dei laburisti, indicando il suo successore, il cancelliere dello Scacchiere, Gordon Brown. Blair ha poi esortato il partito all’unità e a concentrarsi sulle riforme economiche per vincere le prossime elezioni del 2007. Nel suo discorso, il premier ha anche difeso la stretta alleanza con gli Stati Uniti e gli interventi militari in Iraq e Afghanistan.

 

 Il primo ministro socialista ungherese, Ferenc Gyurcsany, ha presentato stamani le sue scuse pubbliche per aver mentito sul programma elettorale di rigore economico, sottolineando tuttavia la necessità di perseguirlo. "Noi pensiamo che il coraggio di fare delle scelte sia più importante che parlarne”, ha dichiarato il premier nel decimo giorno di proteste nel Paese.

 

Zambia, “oasi di pace”. È la definizione che i vescovi del Paese africano adottano alla vigilia delle locali elezioni presidenziali, legislative e amministrative in programma domani. In una lettera, resa nota dall’Agenzia MISNA, i presuli incoraggiano i circa 4 milioni di elettori a recarsi “in gran numero alle urne”, per salvaguardare la democrazia africana. Iniziata in modo pacato, la campagna elettorale per la carica presidenziale ha progressivamente assunto toni più accesi. Nei sondaggi, risulta in testa il presidente uscente, Levi Mwanawasa, in corsa per un secondo mandato, seguito dal candidato dell’opposizione, Michael Sata, e dall’uomo d’affari, Hakainde Hichilema, nuovo volto della politica zambiana. Ma che elezioni saranno quelle di domani? Giada Aquilino lo ha chiesto a Raffaello Zordan, redattore della rivista dei missionari comboniani ‘Nigrizia’:

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R. – La traiettoria che sta prendendo questo Paese dell’Africa subsahariana è quella di arrivare ad una democrazia compiuta. Il multipartitismo - e quindi il gioco democratico - in Zambia esiste dal 1991. Siamo di fronte ad una democrazia giovane e bene hanno fatto i vescovi a sottolineare il fatto che l’esercizio democratico venga preso sul serio dalla popolazione, per stabilire chi governerà il Paese. Sono in ballo non solo la poltrona presidenziale, ma anche il rinnovo del Parlamento e delle amministrazioni comunali. È dunque un appuntamento importante. Ma ci si arriva con tutta una serie di problemi: l’opposizione e la società civile chiedono da anni, sicuramente da quando è stato eletto questo presidente nel 2001, che venga riformata la Costituzione attraverso un’Assemblea costituente. Il presidente Mwanawasa ha rifiutato questa idea e ha proposto una road-map per arrivare alla revisione della Costituzione che però - nei suoi piani - dovrebbe trovare sbocco nel 2008, quindi dopo una sua eventuale riconferma per altri cinque anni alla presidenza.

 

D. – Queste votazioni erano state inizialmente previste per novembre. Il presidente, invece, le ha anticipate a fine settembre: cosa lo ha spinto?

 

R. – Lui ha tutto l’interesse a chiudere la partita elettorale. Si sente in vantaggio rispetto all’opposizione. Dice che ha ridotto praticamente a zero il debito estero del Paese: qui ci sono molti dubbi, andrebbe verificato. Era un debito di oltre sette miliardi di dollari: appare difficile che sia stato portato a zero in questi anni. Poi, non dimentichiamo che, se guardiamo l’Indice di sviluppo umano, la Zambia è al 166.mo posto su 177 Paesi, il che significa.      Un’ aspettativa di vita inferiore a 40 anni, tasso di alfabetizzazione degli adulti al 67 per cento, iscrizione scolastica primaria, secondaria e universitaria a meno del 50 per cento dei giovani, e Prodotto interno lordo, quindi reddito pro capite, a meno di 900 dollari l’anno.

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Sfiorata una strage aerea in Kirghizistan: un Tupolev si è scontrato, in fase di decollo, con un velivolo militare americano parcheggiato, secondo le autorità kirghize, “nel posto sbagliato”. L’incidente, fortunatamente, non ha provocato vittime. Nonostante l’impatto e gravi danni riportati ad un’ala, il comandante del Tupolev è riuscito, infatti, a controllare i comandi.

 

Le autorità della Costa d’Avorio hanno chiesto all’Estonia di trattenere la nave-cisterna che la notte tra il 19 e il 20 agosto avrebbe scaricato sostanze tossiche davanti a Abidjan, capitale della Costa d'Avorio, causando la morte di 8 persone e intossicandone altre 80.000. In una lettera inviata al ministro dell’Ambiente estone, il giudice a capo della commissione d’inchiesta di Abidjan, Fatoumata Diakite, ha chiesto che vengano prese “le misure necessarie” per impedire alla nave estone di prendere il largo.

 

“La Somalia sta quasi morendo, lo possiamo vedere. Lo sappiamo da 16 anni”. Così si è rivolto all’Assemblea generale dell’ONU, a New York, il ministro degli Esteri del Kenya, Raphael Tuju. L’accorato appello è proseguito con la richiesta di un intervento umanitario che, secondo l’esponete di Nairobi, aiuterebbe di più e costerebbe meno rispetto ad un’operazione militare. Tuju ha poi detto che la Somalia,  dopo la presa di potere delle corti islamiche, costituisce un pericolo non solo per i Paesi confinanti ma per il mondo. Intanto, il Programma alimentare mondiale (PAM) fa sapere che in Kenya sono aumentati i profughi provenienti dalla Somalia: questo potrebbe comportare una riduzione delle razioni di cibo.

 

Nuova strage di clandestini nelle acque del Mediterraneo. Ieri, sei immigrati hanno perso la vita per il naufragio del barcone che li stava trasportando dalle coste turche all’isola greca di Chios. I 34 sopravvissuti, recuperati dalla guardia costiera turca, sostengono però di essere stati gettati in mare da un’imbarcazione greca, dopo aver raggiunto le coste elleniche. Immediata la smentita di Atene, secondo cui non ci sono stati clandestini ricacciati da Chios. Sempre nell’Egeo, un’altra imbarcazione con 60 immigrati è stata intercettata e scortata fino a Syros dalle autorità greche. Sbarchi anche in Puglia, dove 20 bengalesi, entrati clandestinamente, sono stati trovati lungo un tratto di costa della provincia di Lecce.

 

 

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