RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno L n. 270 - Testo della trasmissione di mercoledì 27 settembre 2006
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Stanziati dagli Stati
Uniti altri 70 miliardi di dollari per le operazioni militari in Iraq e
Afghanistan. Pubblicato, ieri, il Rapporto dell’intelligence americana sul conflitto iracheno.
27 settembre 2006
L’AUSPICIO
DI BENEDETTO XVI NELL’ODIERNA GIORNATA MONDIALE DEL TURISMO:
CHE
SIA “UNA PORTA
APERTA ALLA PACE E ALLA CONVIVENZA ARMONIOSA”
ALL’UDIENZA
GENERALE, IL PAPA PORTA L’ESEMPIO DELL’APOSTOLO TOMMASO,
I CUI
DUBBI CI CONFORTANO NELLE NOSTRE INSICUREZZE
Il turismo è “un fenomeno sociale
di grande rilevanza nel mondo contemporaneo”. Così il Papa è tornato a
commentare dopo il messaggio di ieri l’odierna Giornata mondiale del turismo,
al termine dell’udienza generale dedicata all’apostolo San Tommaso, stamane in
piazza San Pietro, affollata da migliaia di
fedeli e turisti. Il servizio di Roberta Gisotti.
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Occasione di incontro e scambio
tra i popoli e le persone, il turismo non solo vacanza fine a se stessa.
Benedetto XVI nei saluti agli oltre 30 mila pellegrini di tutto il mondo,
premiati da una radiosa giornata di sole settembrino, si è soffermato su un
tema certamente rilevante sul piano socio-economico ma anche etico, in tempi di
crescente globalizzazione:
“Auspico che il turismo promuova sempre più il dialogo e il reciproco
rispetto delle culture, diventando così una porta aperta alla pace e alla
convivenza armoniosa.”
Proseguendo nel ciclo di catechesi
dedicate agli Apostoli, il Papa ha parlato oggi di Tommaso perché “formi la
nostra fede, rafforzi la speranza e riaccenda l’amore”, lui determinato nel
seguire il Maestro, fino a volerne condividere “la prova suprema della morte”,
quando Gesù si reca a Betania per resuscitare Lazzaro; lui che chiede
spiegazioni a Gesù nell’Ultima Cena, esprimendo “la pochezza della nostra
capacità di comprendere” e al tempo stesso ponendosi “nell’atteggiamento
fiducioso” di chi attende “luce e forza da chi è in grado di donarle”; lui
incredulo sulla Resurrezione di Cristo, che poi reagirà “con la più splendida
professione di fede di tutto il Nuovo Testamento”, esclamando “Mio Signore e
mio Dio”. “Tommaso – ha spiegato il Santo Padre citando Sant’Agostino - ‘vedeva
e toccava l’uomo, ma confessava la sua fede in Dio, che non vedeva né
toccava’”. Da qui l’importanza per tutti noi dell’apostolo Tommaso:
“Primo, perché ci conforta nelle nostre insicurezze; secondo, perché ci
dimostra che ogni dubbio può approdare a un esito luminoso oltre ogni
incertezza; e, infine, perché le parole rivolte a lui da Gesù ci ricordano il
vero senso della fede matura e ci incoraggiano a proseguire, nonostante la
difficoltà, sul nostro cammino di adesione a Lui”.
Ha ricordato ancora Benedetto XVI
che nel nome di Tommaso vennero scritti gli Atti ed il Vangelo di Tommaso,
“ambedue apocrifi ma comunque importanti – ha detto - per lo studio delle
origini cristiane”. Inoltre il Papa ha ricordato che, secondo un’antica
tradizione, Tommaso evangelizzò prima
Prima di accomiatarsi, il Santo
Padre – rivolto ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli - ha richiamato
l’esempio di carità offerto da San Vincenzo de Paoli, di cui ricorre oggi la
memoria.
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TAVOLA
ROTONDA ALLA RADIO VATICANA SUI VALORI ETICI E SPIRITUALI DEL TURISMO, IN
OCCASIONE DELLA GIORNATA MONDIALE DEDICATA AL SETTORE
-
Intervista con il cardinale Renato Raffaele Martino -
E’ importante che si sviluppi una
“persuasiva opera di educazione ai valori del turismo”, così da rendere questo
importante fenomeno di massa un’autentica risorsa in grado di arricchire, non
solo economicamente, le popolazioni. E’ l’auspicio espresso nel messaggio
scritto da Benedetto XVI in occasione della Giornata mondiale del Turismo, che
si celebra oggi. Ad impegnarsi particolarmente perché arte e natura possano
essere uno strumento di evangelizzazione è il Centro turistico giovanile che,
ispirandosi alla concezione cristiana dell’uomo e della vita, promuove e
realizza progetti educativi nei settori del turismo giovanile e sociale, del
tempo libero, dell’ambiente e del volontariato culturale. E questa mattina,
nella Sala Marconi della nostra emittente, si è svolta una tavola rotonda
dedicata agli aspetti etici e culturali del turismo. Ma come far sì che esso
diventi fonte di arricchimento spirituale, come auspicato anche stamani da
Benedetto XVI all’udienza generale? Tiziana Campisi lo ha chiesto al cardinale
Renato Raffaele Martino, presidente del Pontificio Consiglio per la Pastorale
dei migranti e degli itineranti, presente alla tavola rotonda:
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R. – Bisogna vedere
l’atteggiamento con cui uno fa turismo o si fa turista: questa disposizione
interiore può capovolgere in bene o in male l’azione turistica. Se si va in
luogo per arricchirsi non solo culturalmente ma anche umanamente, venendo a
contatto con popoli e persone di altra cultura, allora è un arricchimento, ma
se si va poi con altri intenti allora può essere un problema sia personale che
per i posti e le popolazioni visitate.
D. – Il messaggio di Benedetto XVI
in riferimento alla Giornata di oggi dice di educare ai valori del turismo…
R. – Sì, proprio imparare ad
essere un turista decente, imparare ad apprezzare i valori che sono propri dei
Paesi che visitiamo. Il turismo è un’apertura e allora bisogna essere disposti
a questa apertura umana e culturale. Solo così possiamo arricchirci noi e
valorizzare queste risorse naturali, storiche, di cultura che si trovano nei
luoghi e nei Paesi visitati.
D. - Come educare a questi valori
del turismo?
R. - Questa educazione deve venire
dalle famiglie. Quando una famiglia visita qualche luogo insieme con i figli,
con i bambini e i giovani, allora questa educazione deve venire dai genitori
stessi.
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FRATERNITA’
E RECIPROCA ACCOGLIENZA AI LAVORI DELLA COMMISSIONE MISTA
PER IL
DIALOGO TEOLOGICO TRA CATTOLICI E ORTODOSSI,
RIPRESI
DOPO SEI ANNI SUL TEMA DELLA COMUNIONE
-
Intervista con il cardinale Walter Kasper -
Si sono conclusi lunedì scorso, a
Belgrado, in un clima di reciproca e rinnovata accoglienza, i lavori della nona
Sessione plenaria della Commissione mista internazionale per il Dialogo teologico
tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa. Tema: la Teologia della
comunione. A guidare la delegazione cattolica è stato il cardinale Walter
Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’unità dei
cristiani. A lui, Giovanni Peduto ha chiesto i temi del confronto e se vi siano
stati dei passi avanti nel dialogo con gli ortodossi:
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R. – Un passo avanti sta già nel
fatto che la Commissione si sia potuta riunire nuovamente, dopo una
interruzione di sei anni. Erano presenti tutte le Chiese ortodosse. I lavori si
sono svolti in una atmosfera amichevole, positiva e costruttiva. Il tema
riguardava la Chiesa come comunione. Abbiamo lasciato da parte il tema
dell’uniatismo, che ci ha bloccato per circa 10 anni, ed abbiamo invece affronta
il tema della Chiesa come comunione e i fondamenti sono già nella prima fase
del dialogo. E’ stato preparato un documento dalla Conferenza di Mosca,
composta da circa 90 membri, sul rapporto tra conciliarietà ed autorità a
livello locale, regionale e, infine, universale. Penso che abbiamo trovato
molti punti di contatto, anche se ci sono evidentemente delle difficoltà, che
sono ben conosciute. Ma poiché abbiamo discusso in un’atmosfera serena e
positiva abbiamo la speranza che si possa ora avanzare.
D. – Una parola in più, eminenza,
proprio sul contesto nel quale si è svolto l’incontro?
R. – Si trattava di un invito
della Chiesa ortodossa e noi abbiamo trovato un’ospitalità inattesa, molto
sorprendente. Hanno fatto veramente del loro meglio per preparare questo
incontro. Tutto questo contesto era molto positivo. Abbiamo celebrato la
Liturgia ortodossa, alla quale noi siamo stati presenti, ed una Liturgia
cattolica, alla quale loro sono stati presenti. Abbiamo visitato insieme un
monastero. Tutto è andato molto bene. Siamo stati ricevuti anche dal presidente
della Repubblica di Serbia e dal primo ministro. I lavori si sono iniziati
nella Cappella del Patriarca Pavle, che ci ha salutati e ci ha promesso le sue
preghiere. Tutto si è svolto veramente in una atmosfera ottima.
D. – Eminenza, come guarda la
Chiesa cattolica ai contrasti con il Patriarcato di Mosca e il Patriarcato
ecumenico di Costantinopoli? Cosa può dirci a riguardo di tale argomento?
R. - È
importante ribadire che la Sessione plenaria della Commissione mista
internazionale per il Dialogo Teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa
ortodossa nel suo insieme si è svolta in un'atmosfera generalmente fraterna,
positiva e costruttiva. Per questo motivo sono ancora più stupito della
pubblica protesta del rappresentante della Chiesa ortodossa russa, il vescovo
di Vienna ed Austria, Hilarion, diramata dall’Agenzia di stampa Interfax e
relativa ad una questione di procedura. Sorprende in special modo che il
rappresentante ortodosso russo si sia soffermato su un singolo punto di una
discussione che implica molte questioni di grande importanza e difficoltà per
il dialogo. La questione sollevata dal vescovo Hilarion si riferisce al modo di
comprendere l'ordine tradizionale (taxis)
tra le Chiese ortodosse, secondo il quale la Sede di Costantinopoli gode di un
primato d'onore tra di esse. La questione è interortodossa, e non costituisce
un argomento di discussione tra cattolici ed ortodossi. La parte cattolica ha
esplicitamente dichiarato che non desiderava intervenire in tale controversia
interna. In effetti, la Commissione non poteva decidere in merito alla sostanza
della questione. Essa è stata affrontata soltanto dal punto di vista
procedurale, ed unicamente nel senso di come sia possibile sormontarla. Tale
posizione è stata espressamente spiegata alla delegazione ortodossa russa, ciò
che rende difficilmente comprensibile la sua pubblica protesta. La Commissione
ha deciso di riunirsi ancora il prossimo anno per continuare il dialogo. Ci
auguriamo che nel frattempo si giunga ad una soluzione delle differenze
esistenti a livello ortodosso. Se la questione restasse aperta, provocherebbe
infatti una permanente difficoltà per il dialogo internazionale cattolico -
ortodosso.
D. –
Ci sono quindi delle prossime tappe nel dialogo cattolico ortodosso?
R. –
Sì, abbiamo deciso che la prossima sessione si terrà nell’ottobre del 2006.
Questa volta sarà la Chiesa cattolica a rivolgere l’invito per la prossima
sessione, che sarà in Italia, anche se non sappiamo ancora dove si svolgerà.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Servizio vaticano -
Catechesi e cronaca dell'udienza generale.
Servizio estero - Iraq:
a Baquba colpi di mortaio sterminano un'intera famiglia.
Servizio culturale - Un
articolo di Susanna Paparatti dal titolo “La ricerca dei confini del reale
nell'avanguardia italiana degli Anni Cinquanta”: la mostra “Una natura altra.
Natura, materia, paesaggio: 1950-1962” a Marsala.
Servizio italiano - Il
cordoglio in tutto il Paese per la morte del soldato italiano in Afghanistan.
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27 settembre 2006
RIENTRA
IN ITALIA IL CORPO DEL SOLDATO UCCISO IN AFGHANISTAN,
DOVE NON SI ARRESTANO
GLI ATTACCHI DEI TALEBANI
CONTRO LE FORZE DELLA
COALIZIONE
- Intervista con padre
Giuseppe Moretti -
In Afghanistan, un kamikaze, a bordo di un’auto-bomba, si è
fatto saltare in aria nei pressi di una caserma della polizia afghana, a
Kandahar, nel sud del Paese. Lo hanno riferito fonti locali precisando che
l’azione terroristica non ha provocato vittime. Il vero obiettivo sarebbe
stato, secondo prime ricostruzioni, un convoglio di soldati canadesi in
transito a poca distanza. L’attacco giunge all’indomani dell’attentato contro
una colonna di blindati italiani, costato la vita al caporalmaggiore Giorgio
Langella, la cui salma giungerà in serata a Cuneo, sua città natale. Ma i talebani continuano ad
avere un grosso seguito tra la popolazione afghana? Luca Collodi lo ha chiesto a
padre Giuseppe Moretti, religioso Barnabita, responsabile dal 2002 della
missione cattolica in Afghanistan:
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R. – Talvolta la gente, di fronte
alla mancata realizzazione delle promesse, ha una certa empatia, una certa
nostalgia. Credo che questo sia semplicemente un’espressione tipica di chi
rimpiange il passato, perché non ottiene dal presente quello che si
aspetterebbe. Ma credo che nessuno, nessuno voglia tornare ai tempi cupi della
presenza talebana. Le donne stanno gradualmente reinserendosi nella società,
sono tornate a scuola. Ci sono anche dei settori di lavoro delle donne. I
bambini sono tornati a giocare con gli aquiloni, sono tornati a scuola. No, non
direi che c’è una vera nostalgia. Credo che ci sia quello che si dice in tutti
i Paesi: “Si stava meglio, quando si stava peggio”. Sono frasi che si dicono in
certe momenti di delusione o di stanchezza.
D. – Padre Moretti, la società
civile afghana come percepisce le truppe della NATO che sono in Afghanistan:
come invasori o come truppe che possono riportare una normalità e una
democrazia nel Paese?
R. – La stragrande maggioranza
della popolazione le vede proprio in questo secondo aspetto
e quindi sotto una aspetto positivo. Hanno la consapevolezza che, senza questa
presenza, saremmo ancora nel caos. La presenza del contingente internazionale
ha proprio questa funzione: aiutare il Paese a camminare verso la libertà,
verso la democrazia. E’ chiaro anche che i militari hanno una loro
funzione. C’è poi la responsabilità dei
politici e delle diplomazia. A mio avviso, quello che potrebbe essere un
pericolo nell’interpretarli come invasori o conquistatori è se questa loro
presenza dovesse diventare sine die.
Occorre che ci sia un termine, perché è chiaro che, altrimenti, quell’allergia
storica che gli afghani hanno verso lo straniero, e in particolare verso lo
straniero militare, non può essere curata semplicemente dicendo che questo
contingente internazionale non ha invaso o non ha tentato di invadere, come è
stato in tempi passati con l’Unione Sovietica. Per il momento, la popolazione
legge questa presenza in modo positivo, anche perché riceve molto da questa
presenza.
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FU
IL SANTO CHE DIEDE VITA A DIVERSE OPERE DI CARITÀ
PER
OFFRIRE AIUTO AI POVERI: LA CHIESA RICORDA OGGI SAN VINCENZO DE’ PAOLI,
LA
CUI OPERA CONTINUA ATTRAVERSO L’IMPEGNO DELLA FAMIGLIA VINCENZIANA
-
Intervista con padre Giuseppe Guerra -
Ispirandosi
al suo apostolato, oggi sono 7 le istituzioni - tra Congregazioni religiose e
comunità - che portano avanti la missione di San Vincenzo de’ Paoli. Vissuto
tra il ‘500 e il ‘600, la Chiesa ne fa memoria oggi come il Santo che si è
dedicato particolarmente ai poveri. Ma che cosa caratterizza il carisma della
famiglia vincenziana? Tiziana Campisi lo ha chiesto al procuratore generale
della Compagnia della Missione di San Vincenzo de’ Paoli, padre Giuseppe
Guerra:
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R. – Il carisma, l’originalità di
San Vincenzo è stato quello di organizzare la carità. L’impegno di oggi è
quello di rispondere ai nuovi meccanismi – perversi, purtroppo – in cui si
genera la povertà. Come disse Papa Paolo VI nella famosa enciclica Populorum progressio, il progresso ha
fatto fare tanti passi avanti nel benessere, nella ricchezza, ma ha fatto anche
progredire purtroppo e paradossalmente anche la povertà. Quali sono questi
meccanismi che generano la povertà? A livello strutturale, questo è l’impegno
dei Vincenziani oggi: capire anzitutto quali siano tali meccanismi e poi con la
denuncia, con l’atteggiamento costruttivo, l’impegno, cercare di disinnescare
questi meccanismi per un mondo più giusto e per avvicinarci di più ad un mondo
di pace e di giustizia.
D. – Questo sguardo costantemente
rivolto al povero e al bisognoso, che cosa insegna al cristiano?
R. – Una frase famosa di San
Vincenzo è che i poveri sono i nostri maestri e i nostri padroni: sembra un po’
paradossale, questa affermazione, perché noi pensiamo di essere noi i maestri
dei poveri e pensiamo di essere noi i promotori di solidarietà. Invece, San
Vincenzo ci ha insegnato a vedere nella persona del povero l’immagine di Gesù,
perché Gesù ha detto: “Qualsiasi cosa farete al più piccolo, l’avrete detto a
me”. Quindi, il povero ci rivela il volto di Gesù, e in questo diventa nostro
maestro e nostro padrone perché, in concreto ci fa scoprire come raggiungere
Gesù. Noi non abbiamo altro modo che incontrarlo nei nostri fratelli,
soprattutto in quelli più poveri.
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LA NUOVA PRODUZIONE TELEVISIVA
DEDICATA A GIOVANNI PAOLO II,
PRODOTTA DA RAITRE, PRESENTATA IN
ANTEPRIMA AL 58.MO PRIX ITALIA,
IN CORSO A VENEZIA. IMMAGINI
INEDITE RACCONTANO
LA STORIA DEL “PAPA VENUTO DA
LONTANO”
Si
discute di servizio pubblico e mass media oggi, a Venezia, nell’ambito della
58.ma edizione del Prix Italia, il concorso
internazionale che da moltissimi anni premia le opere di maggior qualità
televisive, radiofoniche e web prodotte nel mondo. Da sempre occasione per
mostrare in anteprima i nuovi programmi, ieri sera al Prix Italia è stata presentata
da Raitre una nuova pagina televisiva dedicata a Giovanni Paolo II. Sequenze
ancora mai viste, scovate in Polonia e in Italia, saranno al centro di un nuovo
capitolo della serie “La Grande Storia”, diretto da Luigi Bizzarri e
intitolato “Giovanni Paolo II, la storia di Karol Wojtyla”. Ce ne parla la
nostra inviata a Venezia, Laura De Luca:
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Immagini totalmente inedite tratte
dagli archivi storici polacchi, ma anche riprese dall’archivio dell’Istituto
Luce, ci regalano la Polonia degli anni Venti, quella di Karol bambino. La
Polonia che ha appena riconquistato i suoi territori all’Unione Sovietica, la
Polonia del maresciallo Pilsudski, e poi quella famosa Polonia
delle cave di pietra che fino a ieri avevamo soltanto immaginato, con le facce
brunite degli operati. E ancora, la Polonia invasa da nazisti, prima, e poi dai
comunisti, il ghetto di Varsavia in fiamme, le processioni clandestine, le
chiese bruciate e quelle drammatiche colonne di profughi con i volti disperati
che passano di fronte ai cadaveri ammucchiati dei prigionieri uccisi.
Un documentario, questo, che ci
regala attimi di emozione autentica attraverso dei fotogrammi fuggenti, con
personaggi storici, come il cardinale Sapieha, quello che avviò Karol Wojtyla
al sacerdozio, o come padre Massimiliano Kolbe, ripreso proprio poche ore prima
del suo internamento nei lager. O ancora, un giovanissimo cardinale Wyszinski, di Karol Wojtyla arcivescovo e poi cardinale.
Ma questo nuovo capitolo de “La
Grande Storia” ci offre pure immagini mai viste: eccolo in processione
all’inizio del Concilio, a fianco di Paolo VI, prossimo alla nomina
cardinalizia. Poi, all’aeroporto di Fiumicino, prima del Conclave, da cui
sarebbe uscito Papa. Dunque, dei filmati inediti che collocano Karol Wojtyla proprio
nel cuore del XX secolo e che mostrano anche la sua precocissima vocazione a
viaggiare, ma soprattutto la sua infaticabile attività apostolica. Preziose
testimonianze dagli amici di infanzia all’autista polacco, da mons. Stanislaw –
oggi arcivescovo di Cracovia – al cardinale Silvestrini completano questo
quadro insolito ma profondamente radicato nella storia di un Pontificato
decisivo.
All’anteprima veneziana, al Teatro
Goldoni, era presente, oltre al direttore di RAI 3, Paolo Ruffini, lo stesso
cardinale Achille Silvestrini, e alla domanda “Cosa rimarrà delle celebrazioni,
delle evocazioni, dei memoriali in onore di Giovanni Paolo II”, ha risposto:
“Il suo sorriso, che è rimasto immutato dagli anni duri delle persecuzioni,
delle sofferenze giovanili fino alla morte”.
Da Venezia, Laura De Luca, Radio
Vaticana.
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ARTISTI E CANTANTI RIUNITI A
LAMPEDUSA, TERRA DI SBARCHI DEI CLANDESTINI,
PER SENSIBILIZZARE SUL PROBLEMA
DELL’IMMIGRAZIONE
ALLA QUARTA EDIZIONE DEL FESTIVAL
MUSICALE O’SCIA’”
- Ai nostri microfoni Claudio
Baglioni, Laura Boldrini e Ricardo Noury -
“Nessun uomo è un’isola, ogni
respiro è un uomo”: è questo lo slogan della quarta edizione di “O’ Scia’”, la
rassegna musicale gratuita a favore dei migranti, in programma a Lampedusa, dal
domani a sabato prossimo. Tre giorni di musica e dibattiti per accendere i
riflettori sul problema dell’immigrazione e dare voce ai bisogni degli
extracomunitari. Il servizio di Isabella Piro:
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Annunciare l’importanza dei diritti
umani, denunciare la loro violazione, non rinunciare mai ad essi. Il festival
di “O’Scia’” ha questo obiettivo, per far sì che l’isola di Lampedusa, tragico
teatro di sbarchi clandestini, diventi davvero il simbolo di una nuova vita per
i disperati che vi approdano ogni giorno. Trentadue gli artisti sul palco, tra
cui Riccardo Cocciante, Loredana Bertè e Massimo Ranieri. Ognuno con la
consapevolezza che l’arte ha un compito importante, come spiega il direttore
artistico del Festival, il cantante Claudio Baglioni:
“Una canzone non dico che potrà
cambiare la vita, ma la potrà cantare quando la vita diventerà migliore, perchè
ha l’universalità dalla sua parte, mette insieme le persone. Vinicius De
Morales, che oltre che poeta era
diplomatico, diceva: “Amico, la vita è l’arte dell’incontro”. Bisogna
incontrarsi, perché se uno non si incontra mai avrà sempre paura e diffidenza”.
Umanizzare un fenomeno ostico e
difficile da raccontare come quello dell’immigrazione: a questo serve “O’
Scia’”. Ma di cosa hanno più bisogno gli immigrati che sbarcano a Lampedusa?
Laura Boldrini, dell’Alto Commissariato Onu per i rifugiati:
“Bisogno di sentirsi al sicuro
finalmente, per rifarsi una vita per avere un futuro. In questo, l’Italia è
ancora carente: mancano i fondi adeguati per consentire questo processo e anche
per fare in modo che poi queste persone possano mettere a disposizione anche le
proprie esperienze, le proprie capacità. Perché molto spesso i rifugiati sono
persone che hanno molto da dare, però debbono essere messi in condizione di
farlo”.
Giunta alla sua quarta edizione,
la rassegna di “O’ Scia’” vede quest’anno l’adesione di Amnesty International.
Proprio sull’isola siciliana, l’associazione varerà nel 2007 il progetto
“Lampedusa, terra di diritti umani”, che prevede la costruzione di campi scuola
per i giovani e di una radio locale. Riccardo Noury, portavoce di Amnesty
Italia:
“Noi vogliamo che Lampedusa non
sia conosciuta in Europa come il luogo in cui si verificano violazioni di
diritti umani, come il luogo in cui si scontrano gli ultimi e i penultimi della
terra, laddove gli ultimi sono immigranti che arrivano, e i penultimi sono dei
cittadini europei assolutamente dimenticati. Deve essere un luogo in cui è
bello vivere: in poche parole. un investimento sui diritti umani”.
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27 settembre 2006
PREOCCUPAZIONE DEI VESCOVI DEL CILE PER LA
CRESCITA DEL CONSUMO DI DROGA NEL PAESE, SOPRATTUTTO FRA DONNE E BAMBINI. “OCCORRE
TROVARE RISPOSTE EFFICACI
– AFFERMANO – AVENDO
SEMPRE COME PUNTO DI RIFERIMENTO ULTIMO LA PERSONA”
- A cura di
Luis A. Badilla -
BOGOTA’.= “Nel Cile di oggi, il
problema della droga colpisce moltissime persone, famiglie e quartieri. Questa situazione,
che ci è piombata addosso quasi senza accorgercene, ci sfida a trovare risposte
efficaci, avendo sempre come punto di riferimento ultimo la persona”: è quanto
affermano i vescovi del Cile, che in un comunicato pubblicato lunedì scorso
esprimono preoccupazione per la
diffusione del flagello della droga nel Paese, sottolineando l’urgenza di
trovare soluzioni comuni. La Chiesa cilena, “come Madre”, si sente
“interpellata per la situazione che vivono migliaia di bambini, giovani,
adulti, uomini e donne, che patiscono le conseguenze del consumo della droga”.
La persona che fa uso della droga, affermano i presuli, “perde la sua libertà,
soffre profondamente e alla fine è costretta a nascondere il suo dolore” e
perciò si “colloca in un contesto di povertà ed esclusione, aumentando così la
sua desolazione”. Per questo, occorre avere uno sguardo più ricco di umanità,
fornendo alle migliaia di persone coinvolte dal problema “proposte di soluzioni
incentrate sulle loro condizioni di esclusione, sulla qualità della loro vita e
sulla mancanza di opportunità di crescita”. Inoltre, notano, “il problema
dell'’abuso nelle droghe si esprime, con più forza di prima, nelle donne e nei
bambini senza fissa dimora e che vivono per strada”. Per questo, i vescovi
cileni sollecitano “investimenti dello Stato, dei privati e di tutta la società
per aumentare le risorse indirizzate ai settori di maggiore povertà, al fine di
migliorare la qualità dell’educazione, creare canali reali di partecipazione
nelle comunità ed offrire abitazioni degne e di qualità ai fratelli”. I presuli
richiamano l’attenzione sulla complessità della questione, invitando a
guardare, oltre che al narcotraffico, anche al “microtraffico”, e cioè a coloro
che più che essere ritenuti trafficanti, in realtà, vanno considerati come
vittime. E’ questa prospettiva che caratterizza l’azione della Chiesa, non solo
nelle parrocchie, ma anche nelle comunità di recupero e, più ampiamente, nei
suoi piani pastorali. Gli sforzi vanno centrati sia sulla prevenzione, che sulla
riabilitazione, ma anche nella ricerca urgente di nuovi interventi tecnici e
pastorali, per passare dalla riduzione dei danni al ricupero definitivo.
L’intero fenomeno, secondo i presuli cileni, va comunque inserito in politiche
sociali capaci di dare risposte ai bisogni basici di una buona parte della
popolazione, dall’infanzia alla vecchiaia, passando per la qualità
dell’educazione e per gli alloggi, senza dimenticare l’umanità dei quartieri,
il lavoro e le opportunità per tutti. “Il problema della droga – concludono –
può trovare una soluzione, solo se ci chiediamo: ‘Perché tante persone fanno
uso di droga e di alcol? Cosa cercano e cosa ci vogliono dire?’. E’ urgente
dare ascolto a queste persone. Occorre conoscere le loro opinioni, le loro
inquietudini, gioie e dolori”.
SEGNI DI
VIOLENZA, NON RICONDUCIBILI ALLA FUCILAZIONE, SUI CORPI DEI TRE
CATTOLICI GIUSTIZIATI LA SETTIMANA
SCORSA IN INDONESIA: I
LEGALI DELLE FAMIGLIE CHIEDONO UNA SECONDA AUTOPSIA E PARTONO PER EUROPA E
STATI UNITI PER
SOTTOPORRE IL CASO AGLI ORGANI DI GIUSTIZIA INTERNAZIONALI
PALU. = Particolari
raccapriccianti dimostrerebbero un accanimento contro i corpi dei tre cattolici
indonesiani fuciati a Palu, nelle isole Sulawesi, lo scorso 22 settembre come responsabili degli scontri interreligiosi del
2000 a Poso. Come riferisce AsiaNews, i familiari e i loro avvocati hanno
richiesto una seconda autopsia per accertare se Fabianus Tibo, Dominggus da
Silva e Marinus Riwu siano stati vittime di “violenze” perpetrate dal plotone
subito prima o immediatamente dopo l’esecuzione capitale. Polizia e autorità
giudiziarie negano che si sia verificato ogni tipo di abuso. I legali del
gruppo PADMA, che ha curato gli interessi dei tre, denunciano invece la
presenza sui cadaveri di ferite non riconducibili alla fucilazione stessa.
Inoltre, i tre avrebbero i segni di 5 spari nel petto, invece che uno solo.
Nella loro richiesta di ripetere l’autopsia, i familiari dei tre sono
appoggiati dalla Commissione ONU per i diritti umani, dalla Corte suprema internazionale
e dall’Unione Europea. Il fatto che il procuratore di Palu abbia voluto dare
sepoltura ai tre in tutta fretta, senza concedere nemmeno funerali religiosi,
dà maggior credito alle ipotesi che la fucilazione non sia avvenuta secondo le
procedure legali. “Non ci saremmo mai aspettati una cosa simile – ha detto uno
degli avvocati del PADMA, Stephen Roy Rening – ora bisogna fare chiarezza:
potremo essere di fronte a violazioni non solo della legge nazionale, che
regola le fucilazioni, ma anche della legge internazionale”. "Non avendo
più fiducia nel sistema giudiziari indonesiano – conclude il legale – non ci
resta che denunciare il caso agli organi internazionali di competenza”.
Alcuni membri del PADMA sono già in partenza per l’Europa e gli Stati Uniti.
(R.M.)
I VESCOVI FILIPPINI CONFERMANO FRODI ELETTORALI NELLE PRESIDENZIALI DEL
2004, VINTE DA GLORIA
MACAPAGAL ARROYO: SECONDO UN’INDAGINE DELLA COMMISSIONE EPISCOPALE DEL PAESE,
SAREBBERO STATI SOTTRATTI IN MODO
ILLEGALE ALMENO 600 MILA VOTI A FERNANDO POE JR
Manila. = L’ex attore Fernando Poe jr, candidato alle
presidenziali filippine del 2004, è stato defraudato di almeno 600 mila voti
nel corso delle elezioni che hanno visto vincere l’attuale presidente, Gloria
Macapagal Arroyo: è quanto emerge da un Rapporto della Commissione episcopale
delle Filippine, preparato lo scorso maggio e reso pubblico ieri. Il vescovo
emerito di Novaliches, mons. Teodoro C. Bacani, citato dall’agenzia del PIME,
AsiaNews, spiega che i dati rilevati “non danno la vittoria politica a Poe”.
“Il rapporto – precisa – dice solo che il candidato è stato vittima di una
massiccia frode elettorale”. Sugli autori di tale frode, il vescovo afferma
“che è improbabile che il responsabile sia il presidente Arroyo, ma piuttosto
persone vicine a lei”. Secondo mons. Bacani, le accuse di frode sono “la base
su cui poggia lo scontento nazionale”. (R.M.)
ATTACCATA
PER LA SECONDA VOLTA IN TRE GIORNI LA CHIESA CALDEA DELLO “SPIRITO SANTO” A MOSUL, IN
IRAQ. “NON VEDO MOLTA LUCE NELL’ORIZZONTE
IRACHENO”,
HA AFFERMATO IL VESCOVO AUSILIARE DI BAGHDAD,
MONS. SHLEMON WARDUNI,
INVITANDO A “RICERCARE LA PACE CON
I FEDELI ISLAMICI”
MOSUL.=
Secondo attacco in tre giorni ad una parrocchia caldea di
Mosul. Nel mirino degli aggressori è ancora una volta la chiesa
dello Spirito Santo: ieri mattina un gruppo di uomini ha sparato contro
l’edificio alcuni colpi di bazooka a distanza, mentre un ordigno è esploso
davanti ad uno dei portoni esterni, inutilizzato, della chiesa. Lo hanno
riferito ad AsiaNews fonti
locali, secondo cui non si registrano morti o feriti. Le fonti aggiungono
che si potrebbe trattare della stessa formazione armata che la mattina di
domenica aveva scaricato sulla chiesa almeno 80 colpi d’arma da fuoco,
provocando solo lievi danni come finestre rotte. “Stiamo vivendo un
periodo particolarmente critico e pericoloso – ha affermato il vescovo
ausiliare di Baghdad, Shlemon Warduni, raggiunto telefonicamente dall’agenzia
SIR – la speranza è che non si perda di vista il dialogo con i fratelli
musulmani, con i quali abbiamo vissuto tanti anni in amicizia”. “Non vogliamo
distruggere tutto quello che di buono è stato costruito in passato – ha
aggiunto – serve cooperazione e preghiera perché il Dio unico doni pace al
nostro Paese”. Quanto alle ragioni di questa esplosione di violenza, il presule
ha affermato che “esse sono molteplici ed affondano nella realtà veramente
complicata in cui versa l’Iraq di oggi. Il mondo è così cattivo e ci ha messo
in questa condizione. Non vedo molta luce nell’orizzonte iracheno”. “L’invito
che rivolgo a tutte le nostre comunità e ai fedeli musulmani – ha concluso – è
quello di pregare per ricercare la pace e il riavvicinamento con i fedeli
islamici”. (R.M.)
A CAUSA DELLA
POLITICA DEL FIGLIO UNICO, IN CINA AUMENTA
LO SQUILIBRIO
FRA I SESSI: OGNI 100 FEMMINE NASCONO 121
MASCHI. LO RILEVA UNO STUDIO DELL’ACCADEMIA CINESE PER LE SCIENZE SOCIALI
PECHINO.= In Cina, aumenta lo
squilibrio tra i sessi: lo rende noto l’Accademia Cinese per le scienze
sociali, che in un Rapporto presenta le conseguenze della severa politica sulle
nascite imposta dal governo di Pechino dal 1979. Rispetto al 1982, quando la
proporzione era di 109 maschi ogni 100 femmine, nel 2004, il
rapporto è passato a 121 maschi ogni 100
femmine. Infatti, con la diffusione delle tecnologie pre-natale, i genitori
conoscono in anticipo il sesso del nascituro e, in molti casi, decidono di
portare a termine solo le gravidanze che garantiscono un figlio maschio. Altri,
invece, soprattutto nelle campagne, continuano a procreare fino all’arrivo del
figlio maschio, ma non registrano le femmine
all’anagrafe per non incorrere nelle pesanti tasse imposte alle famiglie con
due o più figli. (M.G.)
SONO QUASI 100 LE LINGUE PARLATE IN PERU’, TRA CUI IL TAUSHIRO,
PARLATO DA
UN SOLO PERUVIANO: È QUANTO EMERGE DA UNA RICERCA
DELL’INSTITUTO LINGÜÍSTICO DE VERANO (ILV), DAL TITOLO: “PUEBLOS DEL
PERU’ ”
LIMA. = Sono almeno 93 le lingue parlate in Perù, alcune
in pericolo di estinzione, di cui 26 di origine Quechua, l’idioma più diffuso
dopo lo spagnolo: lo rivela l’indagine “Pueblos del Perú”, frutto di 60 anni di
lavoro da parte dell’ONG Instituto Lingüístico de Verano (ILV), che opera in 80
Paesi per tutelare la cultura orale dei gruppi etnici. “La lingua evolve
sempre, non è mai statica, anche nei centri abitati più isolati. Il primo modo
di preservarla è riconoscerla”, ha spiegato Abraham Kop, dell’ILV, citato
dall’agenzia MISNA. Kop ha stilato per la prima volta dizionari e libri di
testo per oltre una ventina di idiomi. Tra questi anche il Taushiro, parlato da
un solo peruviano, l’unico superstite di una cultura annientata da epidemie e
migrazioni, originaria della zona nordoccidentale di confine con l’Ecuador.
Talvolta, l’enorme varietà di dialetti ha reso difficile, se non impossibile,
anche la comunicazione tra persone appartenenti allo stesso ceppo linguistico:
è il caso, secondo Kop, del Quechua parlato nel centro del Paese, spesso
incomprensibile alle popolazioni che lo usano nel nord. “Porre fine
all’analfabetismo è certamente una priorità – ha osservato Kop - ma prima
occorre insegnare ai peruviani a leggere e scrivere nella lingua nativa e solo
in seguito introdurre lo spagnolo. Se si perde una lingua, si perde una
cultura”. (R.M.)
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27 settembre 2006
- A cura di Amedeo Lomonaco e Marco Guerra
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“Il conflitto in Iraq è diventato
una causa celebre per i terroristi, alimentando un profondo risentimento per il
coinvolgimento degli Stati Uniti nel mondo islamico e coltivando sostenitori
della Jihad globale”: è uno dei severi giudizi contenuti nell’ultimo Rapporto
dell’intelligence americana, che il
presidente Bush ha reso pubblico ieri, dopo che alcuni giornali ne avevano anticipato i contenuti. Il capo
della Casa Bianca ha deciso questa mossa inusuale perché le parti del documento
divulgate criticavano l’intervento in Iraq, proprio alla vigilia delle elezioni
parlamentari di novembre. Il testo integrale, in effetti, segnala i successi
ottenuti nella lotta contro Al Qaeda, ma sottolinea pure che il fenomeno del
terrorismo si è allargato a tutto il mondo attraverso la formazione di tante
cellule indipendenti che ora minacciano gli interessi americani ovunque.
Sull’Iraq, poi, il Rapporto aggiunge che quel conflitto sta formando una nuova
generazione di leader e di militanti terroristi. L’intervento nel Golfo Persico
e la sfida contro
Da New York, per la Radio
Vaticana, Paolo Mastrolilli.
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E la guerra contro il terrorismo è
uno dei temi al centro dell’incontro previsto questa sera, a Washington, tra il
presidente americano, George Bush, e i capi di Stato afgano, Hamid Karzai, e
pakistano, Pervez Musharraf. I massimi rappresentanti di Afghanistan e Pakistan
non hanno nascosto, nelle ultime ore, alcune divergenze: Karzai ha chiesto ieri
al governo di Islamabad di chiudere le scuole religiose islamiche integraliste
che, a suo dire, diffondono “la cultura dell’odio”. Musharraf, invece, ha accusato
stamani il presidente afghano di anteporre il proprio interesse personale a
quello della nazione. Il capo di Stato pakistano ha anche dichiarato che prima
o poi Islamabad riconoscerà Israele. “Ma farlo oggi – ha aggiunto – sarebbe un
suicidio politico”.
Israele, intanto, attende una
serie di chiarimenti di carattere operativo dai vertici della forza di
interposizione dell’ONU in Libano, l’UNIFIL, per completare il proprio ritiro
dal Paese dei cedri. E’ quanto riferisce il quotidiano israeliano ‘Haaretz’,
precisando che l’operazione di rimpatrio dei militari dello Stato ebraico
potrebbe subire un nuovo rinvio. Il ministro della Difesa, Amir Peretz, ha
dichiarato intanto che l’aviazione israeliana continuerà a sorvolare il Libano
anche dopo il ritiro delle truppe.
Il capo negoziatore iraniano per
il nucleare, Ali Larijani, e il rappresentante per la politica estera
dell’Unione Europea, Javier Solana, si incontreranno nel pomeriggio a Berlino.
Lo ha riferito la televisione di Stato iraniana.
Nei Territori palestinesi, un raid
israeliano nella città di Rafah ha causato la morte di una ragazzina di 14 anni
ed il ferimento di diversi bambini. Obiettivo dell’azione era una casa che,
secondo fonti israeliane, nascondeva un tunnel usato per il contrabbando di
armi con l’Egitto. Un tribunale militare israeliano ha ordinato, intanto, il
rilascio di Nasser al-Shaer, vice primo ministro dell'Autorità nazionale
palestinese, arrestato da truppe dello Stato ebraico oltre un mese fa nella sua
abitazione in Cisgiordania.
Primo gennaio 2007: nasce l’Europa a 27. E’ questa la data che
sancirà l’ingresso, per Romania e Bulgaria, nell’Unione Europea. Lo ha
confermato
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La Commissione Europea ha ritenuto
che tutti i progressi compiuti da Sofia e Bucarest siano sufficienti per non
rinviare l’adesione. L’adesione – ha detto il presidente della Commissione,
José Manuel Barroso – marcherà un successo storico. Il via libera definitivo
dovrà essere dato, però, dai capi di Stato e di governo degli attuali Stati
membri al Consiglio europeo informale, che avrà luogo il 20 ottobre a Lati, in
Finlandia. Non solo: l’adesione di Romania e Bulgaria deve essere ancora
ratificata dai Parlamenti di quattro Stati: Francia, Germania, Danimarca e
Belgio. Per il resto, l’ingresso di Romania e Bulgaria vedrà delle limitazioni,
soprattutto per l’accesso al mercato del lavoro. Particolarmente rigide saranno
Gran Bretagna, Svezia e Irlanda. Sofia e Bucarest hanno comunque ancora molto
da fare. La prima, anzitutto sul fronte del crimine organizzato e della
corruzione, che raggiunge lo Stato e il sistema giudiziario.
Da Bruxelles, per la Radio
Vaticana, Giovanni Del Re, AKI.
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Gordon
Brown è un “egregio servitore di questo Paese”. “Senza Brown il Partito
laburista non avrebbe vinto le ultime tre elezioni”. Lo ha detto il premier
britannico, Tony Blair, che ieri ha parlato per l’ultima volta a Manchester da
presidente dei laburisti, indicando il suo successore, il cancelliere dello
Scacchiere, Gordon Brown. Blair ha poi esortato il partito all’unità e a
concentrarsi sulle riforme economiche per vincere le prossime elezioni del
2007. Nel suo discorso, il premier ha anche difeso la stretta alleanza con gli
Stati Uniti e gli interventi militari in Iraq e Afghanistan.
Il primo ministro socialista ungherese, Ferenc Gyurcsany,
ha presentato stamani le sue scuse pubbliche per aver mentito sul programma
elettorale di rigore economico, sottolineando tuttavia la necessità di
perseguirlo. "Noi pensiamo che il coraggio di fare delle scelte sia più
importante che parlarne”, ha dichiarato il premier nel decimo giorno di
proteste nel Paese.
Zambia, “oasi di pace”. È la
definizione che i vescovi del Paese africano adottano alla vigilia delle locali
elezioni presidenziali, legislative e amministrative in programma domani. In
una lettera, resa nota dall’Agenzia MISNA, i presuli incoraggiano i circa 4 milioni
di elettori a recarsi “in gran numero alle urne”, per salvaguardare la
democrazia africana. Iniziata in modo pacato, la campagna elettorale per la
carica presidenziale ha progressivamente assunto toni più accesi. Nei sondaggi,
risulta in testa il presidente uscente, Levi Mwanawasa, in corsa per un secondo
mandato, seguito dal candidato dell’opposizione, Michael Sata, e dall’uomo
d’affari, Hakainde Hichilema, nuovo volto della politica zambiana. Ma che
elezioni saranno quelle di domani? Giada Aquilino lo ha chiesto a Raffaello
Zordan, redattore della rivista dei missionari comboniani ‘Nigrizia’:
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R. – La traiettoria che sta
prendendo questo Paese dell’Africa subsahariana è quella di arrivare ad una
democrazia compiuta. Il multipartitismo - e quindi il gioco democratico - in
Zambia esiste dal 1991. Siamo di fronte ad una democrazia giovane e bene hanno
fatto i vescovi a sottolineare il fatto che l’esercizio democratico venga preso
sul serio dalla popolazione, per stabilire chi governerà il Paese. Sono in
ballo non solo la poltrona presidenziale, ma anche il rinnovo del Parlamento e
delle amministrazioni comunali. È dunque un appuntamento importante. Ma ci si
arriva con tutta una serie di problemi: l’opposizione e la società civile
chiedono da anni, sicuramente da quando è stato eletto questo presidente nel
2001, che venga riformata
D. – Queste votazioni erano state
inizialmente previste per novembre. Il presidente, invece, le ha anticipate a
fine settembre: cosa lo ha spinto?
R. – Lui ha tutto l’interesse a
chiudere la partita elettorale. Si sente in vantaggio rispetto all’opposizione.
Dice che ha ridotto praticamente a zero il debito estero del Paese: qui ci sono
molti dubbi, andrebbe verificato. Era un debito di oltre sette miliardi di
dollari: appare difficile che sia stato portato a zero in questi anni. Poi, non
dimentichiamo che, se guardiamo l’Indice di sviluppo umano,
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Le autorità della Costa d’Avorio
hanno chiesto all’Estonia di trattenere la nave-cisterna che la notte tra il 19
e il 20 agosto avrebbe scaricato sostanze tossiche davanti a Abidjan, capitale
della Costa d'Avorio, causando la morte di 8 persone e intossicandone altre
80.000. In una lettera inviata al ministro dell’Ambiente estone, il giudice a
capo della commissione d’inchiesta di Abidjan, Fatoumata Diakite, ha chiesto
che vengano prese “le misure necessarie” per impedire alla nave estone di
prendere il largo.
“La Somalia sta quasi morendo, lo possiamo vedere. Lo
sappiamo da 16 anni”. Così si è rivolto all’Assemblea generale dell’ONU, a New
York, il ministro degli Esteri del Kenya, Raphael Tuju. L’accorato appello è
proseguito con la richiesta di un intervento umanitario che, secondo l’esponete
di Nairobi, aiuterebbe di più e costerebbe meno rispetto ad un’operazione
militare. Tuju ha poi detto che
Nuova strage di clandestini nelle
acque del Mediterraneo. Ieri, sei immigrati hanno perso la vita per il
naufragio del barcone che li stava trasportando dalle coste turche all’isola
greca di Chios. I 34 sopravvissuti, recuperati dalla guardia costiera turca,
sostengono però di essere stati gettati in mare da un’imbarcazione greca, dopo
aver raggiunto le coste elleniche. Immediata la smentita di Atene, secondo cui
non ci sono stati clandestini ricacciati da Chios. Sempre nell’Egeo, un’altra
imbarcazione con 60 immigrati è stata intercettata e scortata fino a Syros
dalle autorità greche. Sbarchi anche in Puglia, dove 20 bengalesi, entrati
clandestinamente, sono stati trovati lungo un tratto di costa della provincia
di Lecce.
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