RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno L n. 263 - Testo della trasmissione di mercoledì 20 settembre 2006
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Domani l’esecuzione capitale di tre cattolici in Indonesia
nonostante l’appello di Benedetto XVI : secondo Amnesty International il processo non è stato equo
Golpe militare in Thailandia: l’esercito promette
nuove elezioni tra un anno
20 settembre 2006
STIMA
E RISPETTO DEL PAPA VERSO L’ISLAM,
PER UN
DIALOGO COSTRUTTIVO MA ANCHE
AUTOCRITICO,
CHE
VEDA I VALORI DELLA PACE E DELLA GIUSTIZIA
PREVALERE
SU OGNI FORMA DI VIOLENZA: LO HA AFFERMATO BENEDETTO XVI
ALL’UDIENZA
GENERALE IN PIAZZA SAN PIETRO,
DEDICATA
AL RECENTE VIAGGIO APOSTOLICO IN BAVIERA
Benedetto XVI riconferma il suo “rispetto profondo per le
grandi religioni e, in particolare, per i musulmani”, con i quali la Chiesa è
impegnata a “difendere e promuovere insieme, per tutti gli uomini, la giustizia
sociale, i valori morali, la pace e la libertà”. E’ questo uno dei passaggi
centrali del discorso con il quale il Papa è tornato questa mattina,
nell’udienza generale in Piazza San Pietro, sulla vicenda che ha visto il mondo
islamico reagire con veemenza al suo discorso pronunciato nell’Università di
Ratisbona, il 12 settembre scorso. Ma tutta l’udienza è stata dedicata dal
Pontefice ai ricordi del recente viaggio apostolico in Baviera, occasione - ha
affermato – per “ribadire il dovere” di annunciare Cristo “senza attenuazioni,
ma in modo integrale e chiaro”. Il servizio di Alessandro De Carolis.
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Cristianesimo e islam possono dialogare in modo “positivo”
perché hanno a cuore i medesimi valori che formano l’architrave della
convivenza umana: pace, giustizia, libertà. Se poi questo dialogo riesce ad
essere anche “autocritico”, se ne avvantaggia il rispetto reciproco e la
“ragionevolezza” che deve “guidare nella trasmissione della fede”, lungi da ogni
forma di violenza. Davanti a 40 mila fedeli, e sotto l’occhio di telecamere
internazionali particolarmente attente, tra cui la tv araba Al Jazeera,
Benedetto XVI è tornato con la memoria sui luoghi e le persone che hanno
costellato il suo recente viaggio in Baviera, ma più ancora sull’escalation di
indignazione montata nel mondo musulmano, all’indomani del suo discorso
pronunciato all’Università di Ratisbona.
La prolusione tenuta nel suo vecchio ateneo è
rimasta nel cuore di Benedetto XVI come “un’esperienza particolarmente bella”.
Avevo scelto di parlare sul rapporto tra fede e ragione, spiega nel modo più
ampio che la catechesi del mercoledì gli consente rispetto all’Angelus. Un
argomento, aggiunge, di grande “drammaticità e attualità” che, nel corso di quella
trattazione, tocca ad un certo punto il nodo del rapporto tra religione e
violenza, attraverso l’ormai ben nota citazione di quel dialogo
islamo-cristiano del XIV secolo, che vede tra i protagonisti l’imperatore
bizantino Manuele II Paleologo:
“Questa citazione,
purtroppo, ha potuto prestarsi ad essere fraintesa. Per il lettore attento del
mio testo, però, risulta chiaro che non volevo in nessun modo far mie le parole
negative pronunciate dall'imperatore medievale in questo dialogo e che il loro
contenuto polemico non esprime la mia convinzione personale. La mia intenzione
era ben diversa: partendo da ciò che Manuele II successivamente dice in modo
positivo, con una parola molto bella, circa la ragionevolezza che deve guidare
nella trasmissione della fede, volevo spiegare che non religione e violenza, ma
religione e ragione vanno insieme”.
(applausi)
La scelta di parlare del rapporto tra fede e ragione, ha
osservato dunque Benedetto XVI, fu calibrata in base alla circostanza – la
missione svolta dall’Università – e non dettata da altre intenzioni:
“Volevo invitare al
dialogo della fede cristiana col mondo moderno ed al dialogo di tutte le
culture e religioni. Spero che in diverse occasioni della mia visita - per esempio,
quando a Monaco ho sottolineato quanto sia importante rispettare ciò che per
gli altri è sacro - sia apparso con chiarezza il mio rispetto profondo per le
grandi religioni e, in particolare, per i musulmani, che 'adorano l’unico Dio' e con i
quali siamo impegnati a 'difendere e
promuovere insieme, per tutti gli uomini, la giustizia sociale, i valori
morali, la pace e la libertà'”.
Quell’invito al dialogo, lanciato dall’Università di
Regensburg, il Papa lo ha fatto riecheggiare oggi, con rinnovato vigore, tra le
colonne del Bernini, riproponendolo in maniera quasi incalzante in inglese,
francese, tedesco, spagnolo e polacco e accompagnandolo con un auspicio che
vale come un invito alla distensione:
“Confido quindi che, dopo le reazioni del primo momento, le mie parole
nell'Università di Regensburg
possano costituire una spinta e un incoraggiamento a un dialogo positivo, anche
autocritico, sia tra le religioni come tra la ragione moderna e la fede dei
cristiani”.
(Applausi)
La folla ha condiviso con ripetuti applausi la nuova
spiegazione offerta da Benedetto XVI di una vicenda che per giorni è rimbalzata
da un punto all’altro del pianeta con un imprevedibile effetto-domino. Ma per
il Papa, l’udienza generale di oggi è stata soprattutto il luogo della sintesi
per i tanti spunti ecclesiali offerti dal suo viaggio bavarese. In particolare,
ha sottolineato il Pontefice:
“Ho ricordato a
tutti che esiste una ‘debolezza d’udito’ nei confronti di Dio di cui si soffre
specialmente oggi. E’ compito di noi, cristiani in un mondo secolarizzato, proclamare
e testimoniare a tutti il messaggio di speranza che la fede ci offre: in Gesù
crocifisso Iddio, Padre misericordioso, ci chiama ad essere suoi figli e a superare
ogni forma di odio e di violenza per contribuire al definitivo trionfo
dell’amore”.
Un compito che il Papa ha inteso sollecitare anche a
livello ecumenico, durante la celebrazione dei Vespri nel Duomo di Ratisbona,
concelebrata con rappresentanti luterani e ortodossi:
“E’ stata una
provvidenziale occasione per pregare insieme, perché si affretti la piena unità
fra tutti i discepoli di Cristo e per ribadire il dovere di proclamare la
nostra fede in Gesù Cristo senza attenuazioni, ma in modo integrale e chiaro e
soprattutto col nostro comportamento di amore sincero”.
I saluti finali - prima del consueto, lungo giro di
congedo di Benedetto XVI tra i pellegrini – hanno visto il Pontefice
soffermarsi, tra l’altro, sulla rivolta sociale e politica esplosa in Ungheria.
“Con preoccupazione – ha detto il Papa ai pellegrini magiari - seguo le notizie
che giungono” dal Paese europeo. “Prego il Signore che tutte le parti trovino
una soluzione giusta e pacifica”. Un saluto particolare, Benedetto XVI lo ha
indirizzato anche alle Carmelitane Missionarie e alle Congregazioni dei Sacri
Cuori, impegnate nei rispettivi capitoli generali, nonché ai rappresentanti
dela Banca di Credito Cooperativo Mediocràti e ai partecipanti al Congresso
nazionale forense.
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E dopo le chiarificazioni del Papa si vanno gradualmente
stemperando le polemiche suscitate in
questi giorni da una errata
interpretazione delle sue parole all’Università di Ratisbona. Ma l’invito di
Benedetto XVI ad ampliare gli orizzonti di una ragione che non escluda Dio, può
avviare una nuova stagione per un dialogo più vero tra le culture e le religioni?
Luca Collodi lo ha chiesto al teologo mons. Piero Coda:
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R. – Questa situazione così difficile, paradossalmente può
trasformarsi in una occasione di approfondimento dell’autentico significato del
dialogo. Il dialogo non è ‘buonismo’; il dialogo – dice Benedetto XVI – va
radicato nel nostro rapporto con Dio. Il Concilio Vaticano II dice che Dio si
comunica a noi trattandoci come amici, dialogando con noi, per pura grazia.
Ecco: anche noi, per testimoniare Cristo, siamo chiamati a comportarci nel
rapporto con i nostri fratelli e le nostre sorelle, con questa apertura, non
deflettendo di un millimetro dalla nostra identità, ma proprio in forza della
nostra identità, testimoniando la novità di Gesù che è la novità dell’amore. Il
rapporto con l’islam, così come con le altre religioni, va investito di questa
luce. Ecco, a me sembra che questo sia il grande richiamo che ci viene da
Benedetto XVI. Il dialogo, anche con l’islam, è certamente possibile; non è
facile, come ogni dialogo non è facile …
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ASSENSO
DEL PAPA ALL’ELEZIONE DEL VESCOVO AUSILIARE DI KOTTAYAM
Il Santo Padre ha concesso il Suo assenso all’elezione
canonicamente fatta dal Sinodo dei Vescovi della Chiesa Siro-Malabarese,
riunitosi il 21 agosto 2006, del rev. Jose Pandarassery, finora sincello
dell’arcieparchia di Kottayam per la regione di Malabar, in India, a vescovo
ausiliare di Kottayam, assegnandogli
“LE POLITICHE DI SVILUPPO SIANO CENTRATE SULLA PERSONA UMANA”:
COSI’, AI NOSTRI MICROFONI,
L’ARCIVESCOVO CELESTINO MIGLIORE
Nel mondo contemporaneo sono innumerevoli le “gravi
realtà” che affliggono molti dei Paesi in via di sviluppo: non solo fame e
guerra, ma anche degrado ecologico, debito estero, problemi sanitari a partire dall’Aids.
Di fronte a questo scenario, l’osservatore permanente della Santa Sede all’ONU,
mons. Celestino Migliore, è intervenuto lunedì scorso al Palazzo di Vetro di
New York all’incontro di verifica sul Programma di aiuto ai Paesi meno
sviluppati ed ha sollecitato nei loro confronti un nuovo “impeto di
solidarietà”. Il presule ha sottolineato, tra l’altro, la necessità che le
politiche di sviluppo siano centrate sulla persona umana. Ascoltiamo lo stesso mons. Migliore al
microfono di Alessandro De Carolis:
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R. - Centrare lo sviluppo sulla persona, significa pensare
programmi, piani di azione o di investimento intesi a rendere le persone
protagonisti e responsabili del proprio sviluppo.
D. – La grande maggioranza dei Paesi in via di sviluppo
soffrono a causa di conflitti o di situazioni di instabilità sociale. Come può
la comunità internazionale aiutare questi Paesi ad emergere?
R. – Oggi, in campo internazionale, si registra una
crescente difficoltà a mettersi d’accordo anche sulle questioni più ovvie e lo
sviluppo non fa eccezione. C’è chi chiede solamente di aumentare l’aiuto
internazionale, c’è chi pensa invece che occorra una cooperazione bilaterale
così da monitorare più strettamente l’effettiva capacità di buon uso degli
aiuti. C’è chi crede che lo sviluppo si possa raggiungere speditamente mediante
la liberalizzazione del commercio o l’esportazione della tecnologia della
scienza. Il risultato di questo dibattito ha visto ultimamente l’ONU insistere
perché i Paesi rispettino gli impegni presi ad evolvere il ben noto 0,7 per cento
del prodotto nazionale lordo e i programmi di sviluppo e lo 0,15 - 0,20 per
cento ai Paesi meno avanzati. Allo stesso tempo l’ONU incoraggia vari programmi
regionali intesi a coniugare sviluppo con diritti umani, democrazia, lotta alla
corruzione; basti pensare al nuovo “partenariato” per lo sviluppo dell’Africa e
il NEPAD, o al meccanismo di controllo paritario africano. Pochi mesi fa è
stata anche avviata la commissione per il mantenimento della pace in quei Paesi
reduci da conflitti e suscettibili di ripiombare nella guerra.
D. - Nel suo discorso ha anche chiesto uno sforzo
eccezionale della comunità internazionale per sviluppare medicine accessibili
ai Paesi in via di sviluppo con un riferimento particolare alla lotta contro
l’AIDS. Quali prospettive intravede su questo fronte?
R. – L’Organizzazione Mondiale per il Commercio si è
attivata tre anni fa ed ha aperto la possibilità per contratti bilaterali che
favoriscono l’importazione di farmaci a prezzi accessibili. Tuttavia, ancora le
ultime due assisi internazionali sull’AIDS – quella di New York in giugno e
quella di Toronto in agosto – hanno lamentato forti remore e ritardi su questo
punto. Nel campo della lotta all’AIDS c’è forse bisogno di avviare una campagna
sul modello di quella condotta anni fa per il debito estero: cominciando dai
Paesi maggiormente colpiti dalla pandemia e con scarsissime risorse per farvi
fronte, fare un massiccio investimento a tutti i livelli per aiutare questi
Paesi ad organizzarsi con sistemi efficaci di prevenzione di cura. Questa
costituirebbe una tappa fondamentale per affrontare il problema a livello
mondiale.
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L’IMPORTATE
MISSIONE SVOLTA DALL’AIEA NEL PROMUOVERE LA NON PROLIFERAZIONE E IL DISARMO
NUCLEARI, SOTTOLINEATA DA MONS. PIETRO PAROLIN,
INTERVENUTO
A NOME DELLA SANTA SEDE, ALLA 50.MA SESSIONE
DELL’AGENZIA
INTERNAZIONALE PER L’ENERGIA ATOMICA, A VIENNA
-
Servizio di Roberta Gisotti -
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“Un punto di riferimento
insostituibile per la cooperazione internazionale nell’uso dell’energia
nucleare a scopi pacifici e per lo sviluppo”: tale è rimasta l’AIEA a cinquant’anni
dalla sua fondazione, ottemperando al suo mandato imperniato su “tre pilastri”:
“tecnologia, sicurezza e verifica”. Cosi mons. Pietro Parolin, sottosegretario
per i rapporti con gli Stati, capo della delegazione vaticana, alla 50ma
Conferenza generale dell’Agenzia, aperta lunedì nella capitale austriaca.
Il servizio reso dall’AIEA “nel
promuovere la non proliferazione nucleare e nel contribuire al processo di
disarmo atomico merita la più alta lode”, ha aggiunto mons. Parolin, ricordando
che
La pace è “la più alta aspirazione
di tutta l’umanità”, aspirazione che guerre e terrorismo hanno sfortunatamente
minacciato e affossato in molte parti,
ha osservato mons. Parolin, auspicando un serio dialogo internazionale
“per creare in Medio Oriente una regione libera da armi di distruzione di massa
e armi nucleari”; riferendosi infine ai negoziati sul programma nucleare in
Iran, ha ribadito la ferma convinzione “che le recenti difficoltà possano e
debbano essere superate attraverso canali diplomatici”, eliminando “tutti gli
elementi che oggettivamente impediscono la reciproca fiducia”.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Servizio vaticano - L'udienza generale, durante la
quale Benedetto XVI ha ripercorso le tappe salienti del suo viaggio apostolico
in Germania.
Servizio estero - Nazioni Unite: la crisi
mediorientale al centro della 61.ma Assemblea generale.
Servizio culturale - In evidenza un articolo
di Marco Impagliazzo dal titolo “Un capillare strumento di lavoro che fa
parlare documenti e fonti”: il volume “Pio XI. Il Papa dei Patti Lateranensi e
dell'opposizione ai totalitarismi” di Yves Chiron.
Servizio italiano - In rilievo la vicenda Telecom.
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20 settembre 2006
CRISTIANI,
MUSULMANI ED EBREI IERI IN CAMPIDOGLIO, A ROMA,
PER PRESENTARE
“Conoscersi e convivere”: questo il titolo della rivista
interreligiosa che uscirà a gennaio 2007 e che è stata presentata ieri al
Campidoglio a Roma. All’incontro erano presenti esponenti di religione
cristiana, musulmana ed ebraica. Dopo le polemiche sul discorso del Papa
all’Università di Ratisbona, quindi, la presentazione della rivista ha assunto
un significato ben più rilevante. Ce ne parla Isabella Piro:
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Doveva essere un incontro a carattere prettamente
culturale, quello che si è svolto nell’Aula Giulio Cesare del Campidoglio di
Roma per presentare “Conoscersi e convivere”, la nuova rivista interreligiosa
promossa dal Comune della Capitale. Ma dopo gli ultimi fatti di cronaca, la
compresenza di esponenti religiosi cristiani, musulmani ed ebrei ha trasformato
l’incontro in una prima prova concreta di dialogo sulla via della pace. Occasioni
come queste, ha detto il sindaco di Roma, Veltroni, parlando per primo, servono
ad indicare che nessun uomo può alzare la mano sull’altro in nome della
religione. Parole che hanno fatto eco al messaggio del presidente della
Repubblica Napolitano, letto in apertura, in cui si affermano i principi della
convivenza, della solidarietà e dell’azione comune per la pace.
Particolarmente significativo l’intervento di Abdallah
Redouane, segretario del Centro culturale islamico di Roma. Esprimendo
soddisfazione per l’appello al dialogo lanciato dal Papa all’Angelus di
domenica scorsa, Redouane ha poi commentato così le polemiche degli ultimi
giorni sul discorso del Papa all’Università di Ratisbona:
“Il Papa ha espresso il suo rammarico ed ha invitato ad un
dialogo franco e sincero. Noi, nel Centro islamico culturale d’Italia, abbiamo
accolto con soddisfazione l’appello di Benedetto XVI e non risparmieremo alcuni
sforzo per la via di questo dialogo. Per quanto ci riguarda, consideriamo tale
capitolo come chiuso, al fine di riprendere il cammino di un dialogo sereno,
nel rispetto reciproco. Invitiamo tutti, ed in particolare i musulmani
d’Italia, ad impegnarsi a tutti i livelli in questo dialogo con le altre
religioni e con le istituzioni”.
Da osservatori esterni delle vicende degli ultimi giorni,
ha detto nel suo discorso il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, gli ebrei
possono dire di aver assistito, metaforicamente, a prove tecniche di
trasmissione, ossia di dialogo tra il mondo cristiano e quello islamico. Ed
essendo prove tecniche, è normale che ci sia qualche interferenza e incomprensione:
“Ciò che è successo può essere interpretato come il
tentativo di due mondi – quello della Chiesa post-conciliare e quello
dell’islam – di parlare. E quando ci sono le ‘prove tecniche di trasmissione’,
non è che alla prima volta il risultato è buono. Il risultato che va colto è
che esiste da entrambe le parti una grande volontà di dialogo. E’ questa
volontà di dialogo che va presa, riaffermata, sostenuta”.
La via alternativa alla violenza è il dialogo, che passa
attraverso il riconoscimento delle differenze. L’altro deve essere compreso
nella sua identità, rispettato ed amato. Lo ha ribadito il cardinale Paul
Poupard, presidente dei Pontifici Consigli della cultura e per il dialogo
interreligioso, presente anche lui a quest’incontro, che rappresenta un passo avanti
sulla via della pace:
“L’importanza del gesto che ha avuto luogo in Campidoglio,
che è la casa di tutti, e che dimostra l’impegno di tutti per una convivenza
pacifica, fatta di conoscenza reciproca: conoscersi e condividere, conoscersi per condividere, facendo questo dialogo
inter-culturale e inter-religioso. E’ questa la particolarità e insieme
l’universalità di questo dialogo”.
E al termine dell’incontro, un’emozione ha percorso l’aula
Giulio Cesare quando i rappresentanti delle 3 religioni si sono stretti
pubblicamente la mano.
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SONO
CONVINTA DEL DIALOGO TRA ISLAM E OCCIDENTE
E NON
CREDO NELLO SCONTRO TRA CIVILTA’:
L’OPINIONE DEL PREMIO NOBEL IRANIANO, SHIRIN
EBADI,
CHE
PRESENTA A ROMA IL SUO LIBRO “IL MIO IRAN”
-
Intervista con l’autrice -
“Una questione che si è conclusa con le parole di
Benedetto XVI”. Non c’è alcuno strascico di tipo polemico in Shirin Ebadi,
l’avvocatessa iraniana Premio Nobel per la pace del 2003, diventata nel mondo
un’icona per la difesa dei diritti delle donne. A Roma, in questi giorni, per
la presentazione del suo libro “Il mio Iran”, edito dalla Sperling&Kupfer,
la Ebadi ha accettato di commentare le vicende che hanno visto in questi giorni
molte personalità musulmane, opporsi con toni duri alle parole di Benedetto
XVI. Il Premio Nobel ha ribadito però di credere nel dialogo tra le culture e
non nello scontro di civiltà. Alessandro De Carolis l’ha incontrata:
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R. – Ringrazio Sua Santità perché ha spiegato il
significato delle sue parole, che non aveva intenzione di offendere il nostro
profeta Maometto: lo ringrazio di cuore e credo che la questione finisca qui.
D. – Episodi come questa vicenda, però, possono
scoraggiare persone che credono si possa parlare di dialogo tra mondo
occidentale e islam. Lei, da musulmana, crede o no allo scontro di civiltà?
R. – Io credo veramente nel dialogo tra le religioni e non
sono assolutamente favorevole allo scontro tra civiltà. E poi, questo genere di
scontro e questo tipo di integralismo, non appartiene soltanto ai musulmani:
esiste in molte società e in molte civiltà e religioni.
D. – Nel suo libro, lei scrive che tra il ’98 e il ’99 il
suo Paese visse uno straordinario momento di libertà di stampa e di opinione,
ribattezzato “la primavera di Teheran”. Come descriverebbe ora il suo Paese,
che proprio oggi il suo presidente rappresenta dalla tribuna dell’’ONU?
R. – Io ho scritto nel mio libro che questa primavera
della libertà non è stata molto lunga: è stata anzi molto breve e chiaramente
adesso la situazione è molto più difficile. La libertà ha tempi ancora più
duri, nel nostro Paese.
D. – Lei nel 2003 è stata Premio Nobel per la pace. Ma da
sei anni è anche sulla lista dei condannati a morte, nel suo Paese. Come riesce
a conciliare la responsabilità sociale che comporta il suo essere difensore dei
diritti umani, con la consapevolezza e la paura che qualcuno un giorno
potrebbe, per lo stesso motivo, farle del male?
R. – Il dovere di chi difende i diritti umani è ancora più
importante in una società in cui vengono violati tali diritti. Ma se credi
nella strada che stai percorrendo, se credi di avere intrapreso la strada
giusta, allora con più sicurezza prendi i tuoi passi e vai avanti. D’altronde,
io sono una credente, sono musulmana. E questo mi dà maggiore sicurezza: mi dà
la forza di andare avanti.
D. – Il suo nome, oggi, è diventato sinonimo di tutela dei
diritti, della donna in particolare. Come valuta lo stato di questi diritti
oggi nel suo Paese, e in cosa consiste il suo lavoro in loro difesa?
R. – Io penso che uomini e donne siano uguali. Solo che
l’interpretazione sbagliata a questo dato di fatto nella nostra religione
islamica ha fatto sì che le donne, nel nostro Paese, siano discriminate. Quello
che sto facendo io, il mio lavoro, consiste nel presentare una giusta
interpretazione proprio a partire dall’islam: una giusta interpretazione di ciò
che è stato capito male.
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20 settembre 2006
DOMANI
MATTINA A NAIROBI, IN KENYA, I FUNERALI DI SUOR
LEONELLA SGORBATI,
LA
MISSIONARIA DELLA CONSOLATA UCCISA DOMENICA A MOGADISCIO, IN SOMALIA
- A
cura di Roberta Moretti -
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NAIROBI. = Si terranno domani mattina a Nairobi, in Kenya,
alle nove ora italiana, i funerali di suor Leonella Sgorbati, la missionaria
della Consolata di origine piacentina, uccisa domenica a Mogadiscio, in
Somalia, con sette colpi di pistola. Contemporaneamente, il superiore generale
dei Missionari della Consolata, padre Achilleo Fiorentini, celebrerà una Messa
di suffragio nella Casa Generalizia delle missionarie a Nepi, in provincia di
Roma. Sarà rispettata la volontà della religiosa di essere sepolta in Kenya,
dove aveva vissuto 30 anni. Le spoglie di suor Leonella riposeranno nel
cimitero della Famiglia Consolatina a Nazareth, una località nei pressi di
Nairobi. Intanto, le forze di sicurezza delle Corti Islamiche, che da giugno
controllano buona parte della Somalia, hanno già arrestato uno dei due
assassini della missionaria. Fermati anche altri due uomini, che sarebbero testimoni
dell’omicidio. E stamani, in Italia, la Camera dei deputati ha ricordato suor
Leonella con un minuto di silenzio. “Noi possiamo solo lavorare per il bene e
per la pace, adoperandoci per l’avvento del Regno nel quale il perdono avrà il
sopravvento sulle forze dell’egoismo, dell’odio e sulla sete di potere”: così
scriveva suor Leonella in una lettera di auguri inviata nel Natale del 1996
alle missionarie della diocesi di Piacenza-Bobbio, dove era nata nel 1940.
Parole che rievocano quelle pronunciate prima di morire: “Perdono, perdono, perdono”.
Parole che, dice la superiora generale delle Missionarie della Consolata, suor
Gabriella Bono, in un’intervista al quotidiano Avvenire, “sono diventate un
dono, un’eredità per noi, per il popolo somalo e per tutta la Chiesa”. La madre
generale annuncia una veglia di preghiera, sabato prossimo a Nepi alle ore
21.00, “per ottenere dal Signore la riconciliazione e la pace tra i popoli”.
“Questo voleva suor Leonella – spiega – e questo abbiamo detto anche al Santo
Padre, esprimendogli tutta la nostra vicinanza, perché immaginiamo che anche lui
stia soffrendo particolarmente”. “In questi giorni, infatti – aggiunge – molti
mezzi di comunicazione hanno strumentalizzato le parole del Papa
(all’Università di Ratisbona, lo scorso 12 settembre - ndr),
collegandole agli avvenimenti di Mogadiscio”. Ieri – lo ricordiamo – in un
telegramma di cordoglio a firma del segretario di Stato, il cardinale Tarcisio
Bertone, indirizzato alle Missionarie della Consolata, Benedetto XVI aveva
auspicato “che il sangue versato da una così fedele discepola del Vangelo” diventasse
“seme di speranza per costruire un’autentica fraternità tra i popoli nel
rispetto delle reciproche convinzioni religiose”. Ed è significativo, in questo
senso, come suor Leonella, nella sua
attività di fondatrice e insegnante di una scuola professionale per infermieri
a Mogadiscio, si fosse a poco a poco “guadagnata il rispetto di tutti,
musulmani compresi”. “Anzi – racconta suor Gabriella Boni – anche quando c’era
un dubbio diceva sempre: ‘Leggi il Corano, vai a vedere cosa dice il Profeta su
questo problema’. Così promuoveva il dialogo interreligioso”. Perdono, perdono,
perdono. “Sì – afferma la madre generale – noi vogliamo ripartire da quelle tre
parole. Vogliamo fare nostro il perdono di Suor Leonella. E domenica scorsa, a
Messa – ha concluso – la prima intenzione di preghiera è stata per gli
assassini, affinché il Signore tocchi il loro cuore. Lui conosce la via”.
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IL
PRESIDENTE DELL’EPISCOPATO STATUNITENSE, MONS. WILLIAM
STEPHEN SKYLSTAD, ESORTA AMNESTY INTERNATIONAL A RESPINGERE LA RECENTE PROPOSTA
DI
INSERIRE L’ABORTO TRA I DIRITTI UMANI: “IN QUESTO MODO,
RISCHIEREBBE
DI SMINUIRE LA SUA MERITATA CREDIBILITÀ MORALE”
WASHINGTON.
= Se Amnesty International abbandonerà la sua posizione neutrale sull’aborto,
minaccerà i bambini non nati e metterà in discussione la sua fama di organizzazione
a difesa dei diritti umani: questo, in sintesi, l’avvertimento del presidente
della Conferenza episcopale statunitense, mons. William Stephen Skylstad, in
una lettera indirizzata al segretario generale di Amnesty, Irene Khan, e
pubblicata venerdì sul sito internet della Conferenza episcopale.
L’organizzazione sta infatti valutando la proposta di inserire l’aborto tra i diritti
umani. “Un tragico errore”, secondo mons. Skylstad, che ha esortato Amnesty a
non “diluire o sviare la sua missione, adottando una posizione che molti
considerano fondamentalmente incompatibile con un pieno impegno per i diritti
umani e che dividerà profondamente quanti lavorano per difendere i diritti
umani”. Amnesty “rischierebbe di sminuire la sua ben meritata credibilità morale”
e “ciò dividerebbe molto probabilmente i suoi membri, molti dei quali sono
cattolici, e altri che difendono i diritti dei bambini non nati”. L’aborto non
è considerato un diritto umano nel diritto internazionale, ha sottolineato il
presule, e sia la Convenzione sui Diritti del Bambino, che la Dichiarazione
sulla Clonazione Umana – entrambe delle Nazioni Unite – sostengono il principio
della dignità del bambino non nato. “Il diritto alla vita è fondamentale – ha osservato
– è ‘il diritto ad avere diritti’, e la sua integrità dipende dall’essere
riconosciuti nella famiglia umana, nonostante la razza, l’età o la condizione”.
“Questa – conclude – non è una peculiarità dell’insegnamento cattolico, ma un’intuizione
della tradizione del ‘diritto naturale’ che ha portato a molti progressi nel
sostenere la dignità umana”. (R.M.)
I
VESCOVI PERUVIANI DICONO “NO” ALLA PROPOSTA DI
INTRODURRE
NEL
PAESE LA PENA CAPITALE NEI CASI DI VIOLENZA CARNALE E OMICIDIO
DI MINORENNI:
“LA SOLUZIONE – AFFERMANO – VA CERCATA NELLA PREVENZIONE”
LIMA. =
“Nessuno può disporre direttamente della propria vita e di quella altrui, senza
tener conto del rischio che corre di erigersi a padrone della vita che appartiene
solo a Dio, unico Signore della vita”: così, i vescovi del Perù, in una dichiarazione
pubblicata nei giorni scorsi, in merito alla proposta di introdurre nel Paese
una riforma costituzionale che permetta l’applicazione della pena di morte nei
casi di violenza carnale e omicidio di minorenni. Richiamando il Vangelo e il
testo costituzionale, i presuli ribadiscono “il primato e l’inviolabilità della
vita umana” e il dovere dello Stato di proteggerla, anche attraverso “un
sistema giudiziario capace di applicare le pene stabilite, che consentano, con
efficacia, di riparare il disordine introdotto, diffondere l’ordine pubblico e
la sicurezza delle persone e contribuire a correggere il colpevole”. “La pena
di morte – aggiungono – secondo molte esperienze, a volte si risolve in una
vendetta”, “che non ripara alcun danno e non sradica alcun male”. Molto più
urgente è, secondo i vescovi peruviani, indirizzare la riflessione “sul come
sia stato possibile che in Perù si sia arrivati a un tale punto di degrado nel
rispetto della persona e degli autentici valori della nostra società”. Degrado
che “ha permesso l’avanzamento della cultura del relativismo, dell’edonismo,
dell’erotismo sfrenato e della promiscuità e che, ovviamente, non rispetta né
difende l’innocenza dei più piccoli e dei più deboli”. “La soluzione –
affermano i presuli – va cercata nella prevenzione, nella formazione delle
persone e in una vera educazione sessuale e non in una semplice informazione”.
E concludono: “Chiediamo a tutte le autorità competenti, e agli attori sociali
a non far diventare una questione così complessa come la pena capitale in un
affare politico e a non dimenticare tutte le componenti giuridiche, etiche e
morali che la questione racchiude”. (R.M.)
OLTRE
3,6 MILIONI DI PERSONE, TRA CUI 800 MILA BAMBINI,
SONO STATI COLPITI
DALLA
CARESTIA IN NIGER. L’ONG SPAGNOLA, MANOS UNIDAS,
LANCIA
UNA CAMPAGNA DI AIUTI ALIMENTARI
ABUJA. = Per far fronte alla durissima carestia che in
Niger ha colpito 3,6 milioni di persone, tra cui 800 mila bambini affetti da
malnutrizione acuta, l’ONG cattolica spagnola, Manos Unidas, ha lanciato una
campagna di aiuti alimentari, destinata fornire miglio, mais, tapioca e fagioli
alla popolazione del Paese africano. Questa carestia va a sommarsi ad una delle
situazioni più drammatiche del continente: il Niger ha il terzo tasso di natalità
più alto del mondo, così come quello di mortalità generale e infantile; un
bambino su quattro non arriva a compiere i cinque anni e molti di quelli che
sopravvivono subiscono lesioni irrecuperabili a causa della malnutrizione. La
media di vita non supera i 42 anni e il Paese conta uno dei redditi pro capite
più bassi al mondo. Inoltre, i cambiamenti climatici mettono a rischio la resa
dei raccolti e l’approssimarsi della stagione umida favorisce il diffondersi di
malaria, diarree e malattie endemiche. (M.G.)
RILANCIARE
LE AREE RURALI DELL’AFRICA SUB-SAHARIANA PER
BLOCCARE LA CRESCITA INDISCRIMINATA DEI CENTRI URBANI, DOVE OLTRE IL 70 PER CENTO
DELLA
POPOLAZIONE VIVE IN BIDONVILLE: CON QUESTO INTENTO, È IN CORSO
A NAIROBI,
IN KENYA, IL IV VERTICE SULL’URBANIZZAZIONE ‘AFRICACITIES’
NAIROBI. = Le società tradizionali a base rurale
dell’Africa sub-sahariana rischiano di scomparire se, come previsto, oltre la
metà dei loro 700 milioni di abitanti migrerà nelle aree metropolitane entro il
2030: a lanciare l’allarme, sono i quattro mila delegati riuniti in questi
giorni a Nairobi, in Kenya, per il IV Vertice ‘Africacities’,
sull’urbanizzazione e gli obiettivi di sviluppo del millennio fissati dalle
Nazioni Unite. Secondo Anna Tibaijuka, direttore esecutivo del Programma
dell’ONU per gli insediamenti umani (HABITAT), nel 2030 la popolazione urbana
africana supererà quella europea e le autorità “non sono in grado di tenere il
passo di questa crescita”. “Perciò – ha sottolineato il presidente del Kenya,
Mwai Kibaki – c’è urgente bisogno di re-indirizzare la nostra strategia per lo
sviluppo urbano nelle aree rurali”, per alleggerire la pressione sulle grandi
aree metropolitane, dove oltre il 72 per cento della popolazione vive in
bidonville. (M.G.)
LA
TEOLOGIA DEVE AVVALERSI DELLA RAGIONE IN TUTTA LA
SUA AMPIEZZA PER DAR
VITA
AD UNA RIFLESSIONE CHE SI APRA AL DIALOGO CON LE ALTRE RELIGIONI: COSÌ IL
RETTORE DELLA LATERANENSE, MONS. RINO FISICHELLA, ALL’APERTURA STAMANI
A ROMA
DI UN SEMINARIO DI STUDI SULL’INSEGNAMENTO DELLA TEOLOGIA OGGI
- A
cura di Tiziana Campisi -
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ROMA. =
“I cristiani sono interpellati a motivare con argomentazione profonda la verità
della loro professione di fede”: mons. Rino Fisichella, rettore della
Pontificia Università Lateranense, ha chiarito con queste parole il senso della
riflessione teologica, aprendo stamani a Roma il seminario di studi “Insegnare
teologia oggi”. Il presule ha ricordato che da quando, nei primi secoli, i cristiani
hanno cominciato a spiegare con la ragione la loro fede, hanno trovato alcuni
interlocutori che anziché porsi in ascolto hanno reagito con violenza. Tale
violenza è frutto dell’orgoglio che oscura la ragione, ha detto mons. Fisichella,
e che ancora oggi dà vita a “nuove e sempre più subdole forme di violenza nei
confronti della fede”. Il rettore della Lateranense ha voluto commentare a tal
proposito le polemiche che sono state sollevate dopo il discorso tenuto da
Benedetto XVI all’Università di Ratisbona. “La citazione di un dibattito
antico, tipico del confronto apologetico – ha specificato il presule – ha
suscitato reazioni sproporzionate per la violenza e strumentali per un nuovo
attacco alla Chiesa cattolica e al suo Magistero, nel voler imporre una visione
del vivere civile e sociale alla luce dell’intolleranza”. La pluralità delle
religioni invece deve stimolare ad una riflessione più ampia, ha affermato
mons. Fisichella che ha concluso il suo intervento citando le parole del Papa
all’Università di Regensburg: “Il coraggio di aprirsi all’ampiezza della
ragione, non il rifiuto della sua grandezza: è questo il programma con cui una
teologia impegnata nella riflessione sulla fede biblica, entra nella disputa
presente”.
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20 settembre 2006
- A cura di Amedeo Lomonaco -
In Indonesia sono ore di angoscia per la sorte dei tre
cristiani condannati alla pena capitale. Il presidente indonesiano non sembra
intenzionato a concedere la grazia e appare anche poco probabile l’ipotesi di
un ulteriore rinvio dell’esecuzione, fissata per domani. Il nostro servizio:
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L’unica speranza della comunità cristiana - scrive
l’Agenzia Fides - è che il presidente indonesiano conceda la grazia. La Chiesa
indonesiana ha accolto la notizia “con disappunto e sconcerto” anche perché –
spiega ancora la Fides – verrebbe violata con un’eventuale esecuzione la
legislazione vigente secondo cui la pena, dopo la domanda di grazia, si deve
considerare sospesa fino al pronunciamento del capo di Stato. I tre cristiani,
che hanno già ricevuto la notifica ufficiale dell’esecuzione, sono ritenuti responsabili del massacro di 200 musulmani a Poso, uno degli
episodi più gravi degli scontri interreligiosi che tra il 1998 ed il 2001 hanno
causato oltre 2000 morti.
Ma gli imputati, che avrebbero chiesto di essere fucilati in pubblico, negano
di aver pianificato la strage e, secondo l’Organizzazione Amnesty
International, “non hanno beneficiato di un processo equo”. Per diverse
organizzazioni non governative il processo è stato viziato, inoltre, da procedure
illegali: alcuni testimoni non sono stati ascoltati e diverse prove non sono
state accettate dai tribunali. Per chiedere la salvezza dei tre cristiani il
Papa ha lanciato un appello, lo scorso 11 agosto, al quale era seguito un
rinvio dell’esecuzione. Tre vescovi indonesiani, presenti a Roma per un
seminario di formazione, hanno partecipato infine ad una veglia di preghiera
promossa dalla Comunità di Sant’Egidio.
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In Thailandia è stato deposto, nella notte, il premier
Thaksin Shinawatra con un colpo di Stato incruento compiuto da una cinquantina
di militari fedeli al re, Bhumibol Adulyadej, e guidati da un ex capo delle
Forze armate. Nel Paese è stata proclamata la legge marziale e i golpisti hanno
annunciato che le elezioni legislative slitteranno di un anno. Entro due
settimane, ha poi reso noto la giunta militare responsabile del colpo di Stato,
sarà nominato un nuovo primo ministro. Il servizio di Maria Grazia Coggiola:
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I militari che hanno rovesciato il governo di Thaksin
Shinawatra hanno promesso di ripristinare la democrazia entro un anno. Il
generale Sonthi Boonyaratglin, che ieri ha preso controllo a Bangkok, ha detto
di voler nominare un nuovo primo ministro nelle prossime due settimane. Nel
frattempo, darà l’incarico ad un’Assemblea costituente di riscrivere la Carta
costituzionale e di indire le elezioni politiche per l’ottobre del prossimo
anno. Ha poi aggiunto che la monarchia tailandese non ha avuto nessun ruolo
nella presa del potere avvenuta, finora, senza spargimento di sangue. “Non c’è
nessuno alle nostre spalle”, ha detto Sonthi, un pluridecorato considerato
vicino al re Bhumibol Adulyadej. E’ stata – ha aggiunto - una
decisione autonoma presa due settimane fa perché così voleva il popolo e a
causa dell’incapacità del governo. Secondo agenzie di stampa il primo ministro,
Thaksin Shinawatra, avrebbe lasciato New York dove si trovava per l’Assemblea
generale delle Nazioni Unite e sarebbe ora diretto a Londra. Thaksin era
diventato impopolare per le accuse di corruzione e per la sanguinosa
repressione della guerriglia musulmana nel sud del Paese.
Per la Radio Vaticana, Maria Grazia Coggiola.
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In Giappone, il conservatore e
nazionalista Shinzo Abe è stato eletto stamani a grande maggioranza leader del
Partito liberal democratico, al potere nel Paese nipponico. Secondo diversi sondaggi, è adesso sempre molto probabile, la prossima
settimana, una sua elezione a primo ministro al posto dell’attuale premier
uscente, Junichiro
Koizumi. Shinzo
Abe ha già promesso di forgiare un’alleanza ancor più stretta con gli
Stati Uniti e di migliorare i rapporti con Corea del Sud e Cina. Le relazioni
del governo di Tokyo con gli esecutivi di Seul e Pechino si sono raffreddate,
infatti, dopo la recente visita di Koizumi ad un mausoleo di guerra, dove si
trovano generali nipponici responsabili di crimini durante il secondo conflitto
mondiale.
Aperti i seggi nello Yemen per le elezioni
presidenziali ma sull’esito non sembrano esserci dubbi: il capo di Stato
uscente, Abdallah Saleh, è già dato come vincitore. Si vota anche per eleggere
i consiglieri municipali.
Militari
tedeschi saranno inviati in Medio Oriente, per la prima volta dalla fine della
Seconda Guerra Mondiale, nell'ambito della missione dell’ONU in Libano. Lo ha
deciso il Parlamento tedesco con 442 voti a favore e 152 contrari. Si tratta,
soprattutto, di militari di marina. Le prime navi partiranno domani e impiegheranno
circa dieci giorni per arrivare davanti alle coste del Libano.
Il primo
ministro dell'Autorità Nazionale Palestinese, Ismail Haniyeh, ha respinto le
tre condizioni poste dal quartetto per il Medio Oriente – Russia, Stati Uniti,
ONU e Unione Europea – in cambio della ripresa del flusso di finanziamenti
all’amministrazione palestinese. Le condizioni sono: la cessazione delle
violenze, il riconoscimento dell’esistenza di Israele e l’accettazione degli
accordi siglati in passato con lo Stato ebraico. Nei territori palestinesi,
intanto, un palestinese è rimasto ucciso da soldati israeliani nel nord della
Striscia di Gaza.
Ancora scontri, in Ungheria, tra polizia e centinaia di
dimostranti che si sono radunati, nella notte, nei pressi
della sede del partito socialista chiedendo le dimissioni del primo ministro.
Le proteste, iniziate lunedì scorso, hanno causato finora il ferimento di oltre
200 persone, tra le quali più di 100 agenti. I disordini sono scoppiati in
seguito alla diffusione di un nastro audio, registrato dopo le elezioni di
aprile vinte dal partito socialista, nel quale il primo ministro ungherese
ammette che “il governo non ha fatto nulla nella legislatura precedente e di
aver mentito per un anno e mezzo o due sulle reali condizioni del Paese”.
L’intricata
questione nucleare iraniana, la grave crisi in Libano, il sanguinoso conflitto israelo-palestinese
hanno caratterizzato, ieri, i lavori della 61.ma Assemblea generale dell’ONU,
in corso a New York. Alla riunione, dopo il discorso pronunciato dal segretario
generale delle Nazioni Unite Kofi Annan, sono intervenuti anche il presidente
americano, George Bush, e il capo di Stato iraniano, Mahmoud Ahmadinejad. Il servizio, da New York, di
Paolo Mastrolilli:
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Il segretario generale Kofi Annan, tenendo il suo ultimo
intervento davanti al “Parlamento del mondo”, ha detto che è necessario
affrontare e risolvere la questione palestinese perché nessun conflitto ha lo
stesso valore simbolico. Annan, che a dicembre terminerà il suo secondo
mandato, ha aggiunto che la pace sarà impossibile fino a quando questo problema
non sarà superato, e ciò comprometterà anche le opportunità di porre fine ai
conflitti in Iraq e in Afghanistan. Il presidente Bush ha dichiarato che nel
mondo è in corso una sfida ideologica per la libertà tra i terroristi che
cercano di dirottare la religione islamica a scopi politici e il resto della
comunità internazionale che difende i principi della tolleranza. Il capo della
Casa Bianca ha chiarito che gli Stati Uniti rispettano la religione musulmana
ma si opporranno con ogni mezzo a chi la sfrutterà per colpirli. Bush ha definito
un successo gli interventi in Iraq e Afghanistan perché hanno portato alla
creazione di governi eletti, e ha chiesto di non abbandonare Baghdad nello
sforzo per costruire una Nazione libera. Quindi, ha sollecitato l’Iran ad
abbandonando l’ambizione di costruire armi nucleari e la Siria ad interrompere
i rapporti con Hamas ed Hezbollah, accusati di voler destabilizzare la regione.
Il presidente iraniano, Mahmoud Ahmadinejad, ha risposto accusando Washington
di fomentare la guerra e sostenendo che il programma atomico del suo Paese è
pacifico. Prima di arrivare a New York, aveva dichiarato che rispetta il Papa e
che le sue parole sull’islam pronunciate a Ratisbona sono state fraintese.
Da New York, per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.
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Nuove tragedie in impianti minerari: in
Kazakhstan è di 32 morti il bilancio, ancora provvisorio, di un’esplosione
avvenuta stamani in una miniera di carbone. Un altro grave incidente si
registra anche in Ucraina, dove 13 persone sono morte per una deflagrazione che
ha devastato una miniera.
In Italia, venti
ordinanze di custodia cautelare sono state eseguite dai carabinieri
nell’ambito dell’inchiesta sulle intercettazioni illegali e sul settore security di Telecom Pirelli di cui si
occupa la Procura di Milano. In particolare, tra gli arrestati, vi sarebbero
numerosi pubblici ufficiali e una decina fra agenti e militari in servizio
nelle forze dell’ordine. L’accusa è di associazione a delinquere finalizzata
alla corruzione e alla rivelazione del segreto d’ufficio.
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