RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno L  n. 263 - Testo della trasmissione di mercoledì 20  settembre 2006

 

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Profondo rispetto per l'Islam e impegno al dialogo, anche autocritico, con tutte le religioni e culture: così oggi all'udienza generale il Papa che ribadisce: le mie parole all’Università di Ratisbona purtroppo sono state fraintese: il commento del teologo mons. Piero Coda

 

“Le politiche di sviluppo siano centrate sulla persona umana”: così, ai nostri microfoni, l’arcivescovo Celestino Migliore

 

L’importante missione svolta dall’AIEA nel promuovere la non proliferazione e il disarmo nucleari sottolineata da mons. Pietro Parolin alla 50.ma sessione dell’AIEA a Vienna

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Cristiani, ebrei e musulmani ieri insieme al Campidoglio, a Roma, per presentare la rivista interreligiosa “Conoscersi e convivere” che uscirà a gennaio 2007

 

Sono convinta del dialogo tra Islam ed Occidente e non credo nello scontro tra civiltà: così ai nostri microfoni l’avvocatessa iraniana e Premio Nobel per la pace Shirin Ebadi, che ha presentato  a Roma il suo libro “Il mio Iran”

 

CHIESA E SOCIETA’:

Domani mattina a Nairobi, in Kenya, i funerali di suor Leonella Sgorbati, la missionaria della Consolata uccisa domenica a Mogadiscio, in Somalia

 

Il presidente dell’episcopato statunitense, mons. William Stephen Skylstad, esorta Amnesty International a respingere la recente proposta di inserire l’aborto tra i diritti umani: “in questo modo, rischierebbe di sminuire la sua meritata credibilità morale”

 

I vescovi peruviani dicono “no” alla proposta di introdurre nel Paese la pena capitale nei casi di violenza carnale e omicidio di minorenni: “La soluzione – affermano – va cercata nella prevenzione”

 

Oltre 3,6 milioni di persone, tra cui 800 mila bambini, colpiti dalla carestia in Niger. L’ONG spagnola, Manos Unidas, lancia una campagna di aiuti alimentari

 

Rilanciare le aree rurali dell’Africa Sub-Sahariana: con questo intento, è in corso a Nairobi, in Kenya, il IV Vertice sull’urbanizzazione

 

Mons. Rino Fisichella ha aperto stamani a Roma un seminario di studi sull’insegnamento della teologia oggi

 

24 ORE NEL MONDO:

Domani l’esecuzione capitale di tre cattolici in Indonesia nonostante l’appello di Benedetto XVI : secondo Amnesty  International il processo non è stato equo

 

Golpe militare in Thailandia: l’esercito promette nuove elezioni tra un anno

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

20 settembre 2006

 

STIMA E RISPETTO DEL PAPA VERSO L’ISLAM,

PER UN DIALOGO COSTRUTTIVO  MA ANCHE AUTOCRITICO,

CHE VEDA I VALORI DELLA PACE E DELLA GIUSTIZIA

PREVALERE SU OGNI FORMA DI VIOLENZA: LO HA AFFERMATO BENEDETTO XVI

ALL’UDIENZA GENERALE IN PIAZZA SAN PIETRO,

DEDICATA AL RECENTE VIAGGIO APOSTOLICO IN BAVIERA

 

Benedetto XVI riconferma il suo “rispetto profondo per le grandi religioni e, in particolare, per i musulmani”, con i quali la Chiesa è impegnata a “difendere e promuovere insieme, per tutti gli uomini, la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà”. E’ questo uno dei passaggi centrali del discorso con il quale il Papa è tornato questa mattina, nell’udienza generale in Piazza San Pietro, sulla vicenda che ha visto il mondo islamico reagire con veemenza al suo discorso pronunciato nell’Università di Ratisbona, il 12 settembre scorso. Ma tutta l’udienza è stata dedicata dal Pontefice ai ricordi del recente viaggio apostolico in Baviera, occasione - ha affermato – per “ribadire il dovere” di annunciare Cristo “senza attenuazioni, ma in modo integrale e chiaro”. Il servizio di Alessandro De Carolis.

 

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Cristianesimo e islam possono dialogare in modo “positivo” perché hanno a cuore i medesimi valori che formano l’architrave della convivenza umana: pace, giustizia, libertà. Se poi questo dialogo riesce ad essere anche “autocritico”, se ne avvantaggia il rispetto reciproco e la “ragionevolezza” che deve “guidare nella trasmissione della fede”, lungi da ogni forma di violenza. Davanti a 40 mila fedeli, e sotto l’occhio di telecamere internazionali particolarmente attente, tra cui la tv araba Al Jazeera, Benedetto XVI è tornato con la memoria sui luoghi e le persone che hanno costellato il suo recente viaggio in Baviera, ma più ancora sull’escalation di indignazione montata nel mondo musulmano, all’indomani del suo discorso pronunciato all’Università di Ratisbona.

 

La prolusione tenuta nel suo vecchio ateneo è rimasta nel cuore di Benedetto XVI come “un’esperienza particolarmente bella”. Avevo scelto di parlare sul rapporto tra fede e ragione, spiega nel modo più ampio che la catechesi del mercoledì gli consente rispetto all’Angelus. Un argomento, aggiunge, di grande “drammaticità e attualità” che, nel corso di quella trattazione, tocca ad un certo punto il nodo del rapporto tra religione e violenza, attraverso l’ormai ben nota citazione di quel dialogo islamo-cristiano del XIV secolo, che vede tra i protagonisti l’imperatore bizantino Manuele II Paleologo:

 

“Questa citazione, purtroppo, ha potuto prestarsi ad essere fraintesa. Per il lettore attento del mio testo, però, risulta chiaro che non volevo in nessun modo far mie le parole negative pronunciate dall'imperatore medievale in questo dialogo e che il loro contenuto polemico non esprime la mia convinzione personale. La mia intenzione era ben diversa: partendo da ciò che Manuele II successivamente dice in modo positivo, con una parola molto bella, circa la ragionevolezza che deve guidare nella trasmissione della fede, volevo spiegare che non religione e violenza, ma religione e ragione vanno insieme”.

 

(applausi)

 

La scelta di parlare del rapporto tra fede e ragione, ha osservato dunque Benedetto XVI, fu calibrata in base alla circostanza – la missione svolta dall’Università – e non dettata da altre intenzioni:

 

“Volevo invitare al dialogo della fede cristiana col mondo moderno ed al dialogo di tutte le culture e religioni. Spero che in diverse occasioni della mia visita - per esempio, quando a Monaco ho sottolineato quanto sia importante rispettare ciò che per gli altri è sacro - sia apparso con chiarezza il mio rispetto profondo per le grandi religioni e, in particolare, per i musulmani, che 'adorano l’unico Dio' e con i quali siamo impegnati a 'difendere e promuovere insieme, per tutti gli uomini, la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà'”.

 

Quell’invito al dialogo, lanciato dall’Università di Regensburg, il Papa lo ha fatto riecheggiare oggi, con rinnovato vigore, tra le colonne del Bernini, riproponendolo in maniera quasi incalzante in inglese, francese, tedesco, spagnolo e polacco e accompagnandolo con un auspicio che vale come un invito alla distensione:

 

“Confido quindi che, dopo le reazioni del primo momento, le mie parole nell'Università di Regensburg possano costituire una spinta e un incoraggiamento a un dialogo positivo, anche autocritico, sia tra le religioni come tra la ragione moderna e la fede dei cristiani”.

 

(Applausi)              

 

La folla ha condiviso con ripetuti applausi la nuova spiegazione offerta da Benedetto XVI di una vicenda che per giorni è rimbalzata da un punto all’altro del pianeta con un imprevedibile effetto-domino. Ma per il Papa, l’udienza generale di oggi è stata soprattutto il luogo della sintesi per i tanti spunti ecclesiali offerti dal suo viaggio bavarese. In particolare, ha sottolineato il Pontefice:

 

“Ho ricordato a tutti che esiste una ‘debolezza d’udito’ nei confronti di Dio di cui si soffre specialmente oggi. E’ compito di noi, cristiani in un mondo secolarizzato, proclamare e testimoniare a tutti il messaggio di speranza che la fede ci offre: in Gesù crocifisso Iddio, Padre misericordioso, ci chiama ad essere suoi figli e a superare ogni forma di odio e di violenza per contribuire al definitivo trionfo dell’amore”.

 

Un compito che il Papa ha inteso sollecitare anche a livello ecumenico, durante la celebrazione dei Vespri nel Duomo di Ratisbona, concelebrata con rappresentanti luterani e ortodossi:

 

“E’ stata una provvidenziale occasione per pregare insieme, perché si affretti la piena unità fra tutti i discepoli di Cristo e per ribadire il dovere di proclamare la nostra fede in Gesù Cristo senza attenuazioni, ma in modo integrale e chiaro e soprattutto col nostro comportamento di amore sincero”.

 

I saluti finali - prima del consueto, lungo giro di congedo di Benedetto XVI tra i pellegrini – hanno visto il Pontefice soffermarsi, tra l’altro, sulla rivolta sociale e politica esplosa in Ungheria. “Con preoccupazione – ha detto il Papa ai pellegrini magiari - seguo le notizie che giungono” dal Paese europeo. “Prego il Signore che tutte le parti trovino una soluzione giusta e pacifica”. Un saluto particolare, Benedetto XVI lo ha indirizzato anche alle Carmelitane Missionarie e alle Congregazioni dei Sacri Cuori, impegnate nei rispettivi capitoli generali, nonché ai rappresentanti dela Banca di Credito Cooperativo Mediocràti e ai partecipanti al Congresso nazionale forense.

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E dopo le chiarificazioni del Papa si vanno gradualmente stemperando le polemiche suscitate in  questi giorni  da una errata interpretazione delle sue parole all’Università di Ratisbona. Ma l’invito di Benedetto XVI ad ampliare gli orizzonti di una ragione che non escluda Dio, può avviare una nuova stagione per un dialogo più vero tra le culture e le religioni? Luca Collodi lo ha chiesto al teologo mons. Piero Coda:

 

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R. – Questa situazione così difficile, paradossalmente può trasformarsi in una occasione di approfondimento dell’autentico significato del dialogo. Il dialogo non è ‘buonismo’; il dialogo – dice Benedetto XVI – va radicato nel nostro rapporto con Dio. Il Concilio Vaticano II dice che Dio si comunica a noi trattandoci come amici, dialogando con noi, per pura grazia. Ecco: anche noi, per testimoniare Cristo, siamo chiamati a comportarci nel rapporto con i nostri fratelli e le nostre sorelle, con questa apertura, non deflettendo di un millimetro dalla nostra identità, ma proprio in forza della nostra identità, testimoniando la novità di Gesù che è la novità dell’amore. Il rapporto con l’islam, così come con le altre religioni, va investito di questa luce. Ecco, a me sembra che questo sia il grande richiamo che ci viene da Benedetto XVI. Il dialogo, anche con l’islam, è certamente possibile; non è facile, come ogni dialogo non è facile …

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ASSENSO DEL PAPA ALL’ELEZIONE DEL VESCOVO AUSILIARE DI KOTTAYAM

 

Il Santo Padre ha concesso il Suo assenso all’elezione canonicamente fatta dal Sinodo dei Vescovi della Chiesa Siro-Malabarese, riunitosi il 21 agosto 2006, del rev. Jose Pandarassery, finora sincello dell’arcieparchia di Kottayam per la regione di Malabar, in India, a vescovo ausiliare di Kottayam, assegnandogli la Sede titolare di Castello di Ripa. Il rev. Jose Pandarassery è nato il 18 aprile 1961 ad Ettumanoor, nel distretto di Kottayam, nel Kerala, ed è stato ordinato sacerdote il 28 dicembre 1987. Come titoli accademici possiede un “Bachelor of Arts” e la Licenza in Diritto Canonico conseguita all’ Università della Santa Croce a Roma. Mons. Pandarassery ha svolto diversi incarichi in arcieparchia: vice-parroco ad Areekara, vicario di Chakkupallam e Kattapana; direttore spirituale presso il Seminario Minore Diocesano; cancelliere aggiunto e giudice del Tribunale dell’eparchia; rettore del Seminario Minore dell’eparchia; direttore della Commissione per le vocazioni e vicario foraneo di Edakkatt. Prima della sua elezione all’episcopato è stato sincello per la Regione Malabar dell’arcieparchia.

 

 

“LE POLITICHE DI SVILUPPO SIANO CENTRATE SULLA PERSONA UMANA”:

COSI’, AI NOSTRI MICROFONI, L’ARCIVESCOVO CELESTINO MIGLIORE

 

Nel mondo contemporaneo sono innumerevoli le “gravi realtà” che affliggono molti dei Paesi in via di sviluppo: non solo fame e guerra, ma anche degrado ecologico, debito estero, problemi sanitari a partire dall’Aids. Di fronte a questo scenario, l’osservatore permanente della Santa Sede all’ONU, mons. Celestino Migliore, è intervenuto lunedì scorso al Palazzo di Vetro di New York all’incontro di verifica sul Programma di aiuto ai Paesi meno sviluppati ed ha sollecitato nei loro confronti un nuovo “impeto di solidarietà”. Il presule ha sottolineato, tra l’altro, la necessità che le politiche di sviluppo siano centrate sulla persona umana.  Ascoltiamo lo stesso mons. Migliore al microfono  di Alessandro De Carolis:

 

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R. - Centrare lo sviluppo sulla persona, significa pensare programmi, piani di azione o di investimento intesi a rendere le persone protagonisti e responsabili del proprio sviluppo.

 

D. – La grande maggioranza dei Paesi in via di sviluppo soffrono a causa di conflitti o di situazioni di instabilità sociale. Come può la comunità internazionale aiutare questi Paesi ad emergere?

 

R. – Oggi, in campo internazionale, si registra una crescente difficoltà a mettersi d’accordo anche sulle questioni più ovvie e lo sviluppo non fa eccezione. C’è chi chiede solamente di aumentare l’aiuto internazionale, c’è chi pensa invece che occorra una cooperazione bilaterale così da monitorare più strettamente l’effettiva capacità di buon uso degli aiuti. C’è chi crede che lo sviluppo si possa raggiungere speditamente mediante la liberalizzazione del commercio o l’esportazione della tecnologia della scienza. Il risultato di questo dibattito ha visto ultimamente l’ONU insistere perché i Paesi rispettino gli impegni presi ad evolvere il ben noto 0,7 per cento del prodotto nazionale lordo e i programmi di sviluppo e lo 0,15 - 0,20 per cento ai Paesi meno avanzati. Allo stesso tempo l’ONU incoraggia vari programmi regionali intesi a coniugare sviluppo con diritti umani, democrazia, lotta alla corruzione; basti pensare al nuovo “partenariato” per lo sviluppo dell’Africa e il NEPAD, o al meccanismo di controllo paritario africano. Pochi mesi fa è stata anche avviata la commissione per il mantenimento della pace in quei Paesi reduci da conflitti e suscettibili di ripiombare nella guerra.

 

D. - Nel suo discorso ha anche chiesto uno sforzo eccezionale della comunità internazionale per sviluppare medicine accessibili ai Paesi in via di sviluppo con un riferimento particolare alla lotta contro l’AIDS. Quali prospettive intravede su questo fronte?

 

R. – L’Organizzazione Mondiale per il Commercio si è attivata tre anni fa ed ha aperto la possibilità per contratti bilaterali che favoriscono l’importazione di farmaci a prezzi accessibili. Tuttavia, ancora le ultime due assisi internazionali sull’AIDS – quella di New York in giugno e quella di Toronto in agosto – hanno lamentato forti remore e ritardi su questo punto. Nel campo della lotta all’AIDS c’è forse bisogno di avviare una campagna sul modello di quella condotta anni fa per il debito estero: cominciando dai Paesi maggiormente colpiti dalla pandemia e con scarsissime risorse per farvi fronte, fare un massiccio investimento a tutti i livelli per aiutare questi Paesi ad organizzarsi con sistemi efficaci di prevenzione di cura. Questa costituirebbe una tappa fondamentale per affrontare il problema a livello mondiale.

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L’IMPORTATE MISSIONE SVOLTA DALL’AIEA NEL PROMUOVERE LA NON PROLIFERAZIONE E IL DISARMO NUCLEARI, SOTTOLINEATA DA MONS. PIETRO PAROLIN,

INTERVENUTO A NOME DELLA SANTA SEDE, ALLA 50.MA SESSIONE

DELL’AGENZIA INTERNAZIONALE PER L’ENERGIA ATOMICA, A VIENNA

- Servizio di Roberta Gisotti -  

 

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“Un punto di riferimento insostituibile per la cooperazione internazionale nell’uso dell’energia nucleare a scopi pacifici e per lo sviluppo”: tale è rimasta l’AIEA a cinquant’anni dalla sua fondazione, ottemperando al suo mandato imperniato su “tre pilastri”: “tecnologia, sicurezza e verifica”. Cosi mons. Pietro Parolin, sottosegretario per i rapporti con gli Stati, capo della delegazione vaticana, alla 50ma Conferenza generale dell’Agenzia, aperta lunedì nella capitale austriaca.

                  

Il servizio reso dall’AIEA “nel promuovere la non proliferazione nucleare e nel contribuire al processo di disarmo atomico merita la più alta lode”, ha aggiunto mons. Parolin, ricordando che la Santa Sede è stata nel 1957 tra i fondatori dell’Agenzia specializzata dell’ONU, che conta oggi 140 Paesi membri. Ma ancora molte sono le sfide da affrontare per il futuro, in particolare - ha detto il rappresentante vaticano - la mancata applicazione del Trattato di non proliferazione nucleare e dei relativi obblighi di sicurezza, una “pietra angolare” per il disarmo e lo sviluppo di applicazioni pacifiche dell’energia atomica. “L’umanità merita – ha raccomandato mons. Parolin – non meno che la piena cooperazione di tutti gli Stati in questa importante materia”. Ha quindi invitato a rispettare i Protocolli addizionali e gli Accordi di sicurezza messi a punto dall’AIEA, che certamente rafforzeranno “la fiducia nell’uso pacifico dell’energia nucleare”. Quest’anno - ha ricordato – ricorre il 20mo anniversario del terribile disastro di Chernobyl, un monito ad aumentare la sicurezza negli impianti. Poi un appello a sottoscrivere il Trattato per il bando totale degli esperimenti nucleari (CTBC), che da 10 anni aspetta di entrare in vigore, poiché non tutti i 44 Paesi che hanno programmi nucleari civili vi hanno aderito: Corea del Nord, India e Pakistan non lo hanno ancora firmato, mentre Stati Uniti, Cina, Iran, Israele, Egitto, Indonesia, Colombia devono ratificarlo.

                  

La pace è “la più alta aspirazione di tutta l’umanità”, aspirazione che guerre e terrorismo hanno sfortunatamente minacciato e affossato in molte parti,  ha osservato mons. Parolin, auspicando un serio dialogo internazionale “per creare in Medio Oriente una regione libera da armi di distruzione di massa e armi nucleari”; riferendosi infine ai negoziati sul programma nucleare in Iran, ha ribadito la ferma convinzione “che le recenti difficoltà possano e debbano essere superate attraverso canali diplomatici”, eliminando “tutti gli elementi che oggettivamente impediscono la reciproca fiducia”.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Servizio vaticano - L'udienza generale, durante la quale Benedetto XVI ha ripercorso le tappe salienti del suo viaggio apostolico in Germania.

 

Servizio estero - Nazioni Unite: la crisi mediorientale al centro della 61.ma Assemblea generale.

 

Servizio culturale - In evidenza un articolo di Marco Impagliazzo dal titolo “Un capillare strumento di lavoro che fa parlare documenti e fonti”: il volume “Pio XI. Il Papa dei Patti Lateranensi e dell'opposizione ai totalitarismi” di Yves Chiron.

 

Servizio italiano - In rilievo la vicenda Telecom.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

20 settembre 2006

 

 

CRISTIANI, MUSULMANI ED EBREI IERI IN CAMPIDOGLIO, A ROMA,

 PER PRESENTARE LA RIVISTA INTERRELIGIOSA “CONOSCERSI E CONVIVERE

 

“Conoscersi e convivere”: questo il titolo della rivista interreligiosa che uscirà a gennaio 2007 e che è stata presentata ieri al Campidoglio a Roma. All’incontro erano presenti esponenti di religione cristiana, musulmana ed ebraica. Dopo le polemiche sul discorso del Papa all’Università di Ratisbona, quindi, la presentazione della rivista ha assunto un significato ben più rilevante. Ce ne parla Isabella Piro:

 

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Doveva essere un incontro a carattere prettamente culturale, quello che si è svolto nell’Aula Giulio Cesare del Campidoglio di Roma per presentare “Conoscersi e convivere”, la nuova rivista interreligiosa promossa dal Comune della Capitale. Ma dopo gli ultimi fatti di cronaca, la compresenza di esponenti religiosi cristiani, musulmani ed ebrei ha trasformato l’incontro in una prima prova concreta di dialogo sulla via della pace. Occasioni come queste, ha detto il sindaco di Roma, Veltroni, parlando per primo, servono ad indicare che nessun uomo può alzare la mano sull’altro in nome della religione. Parole che hanno fatto eco al messaggio del presidente della Repubblica Napolitano, letto in apertura, in cui si affermano i principi della convivenza, della solidarietà e dell’azione comune per la pace.

 

Particolarmente significativo l’intervento di Abdallah Redouane, segretario del Centro culturale islamico di Roma. Esprimendo soddisfazione per l’appello al dialogo lanciato dal Papa all’Angelus di domenica scorsa, Redouane ha poi commentato così le polemiche degli ultimi giorni sul discorso del Papa all’Università di Ratisbona:

 

“Il Papa ha espresso il suo rammarico ed ha invitato ad un dialogo franco e sincero. Noi, nel Centro islamico culturale d’Italia, abbiamo accolto con soddisfazione l’appello di Benedetto XVI e non risparmieremo alcuni sforzo per la via di questo dialogo. Per quanto ci riguarda, consideriamo tale capitolo come chiuso, al fine di riprendere il cammino di un dialogo sereno, nel rispetto reciproco. Invitiamo tutti, ed in particolare i musulmani d’Italia, ad impegnarsi a tutti i livelli in questo dialogo con le altre religioni e con le istituzioni”.

 

 

Da osservatori esterni delle vicende degli ultimi giorni, ha detto nel suo discorso il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, gli ebrei possono dire di aver assistito, metaforicamente, a prove tecniche di trasmissione, ossia di dialogo tra il mondo cristiano e quello islamico. Ed essendo prove tecniche, è normale che ci sia qualche interferenza e incomprensione:

 

“Ciò che è successo può essere interpretato come il tentativo di due mondi – quello della Chiesa post-conciliare e quello dell’islam – di parlare. E quando ci sono le ‘prove tecniche di trasmissione’, non è che alla prima volta il risultato è buono. Il risultato che va colto è che esiste da entrambe le parti una grande volontà di dialogo. E’ questa volontà di dialogo che va presa, riaffermata, sostenuta”.

 

La via alternativa alla violenza è il dialogo, che passa attraverso il riconoscimento delle differenze. L’altro deve essere compreso nella sua identità, rispettato ed amato. Lo ha ribadito il cardinale Paul Poupard, presidente dei Pontifici Consigli della cultura e per il dialogo interreligioso, presente anche lui a quest’incontro, che rappresenta un passo avanti sulla via della pace:

 

“L’importanza del gesto che ha avuto luogo in Campidoglio, che è la casa di tutti, e che dimostra l’impegno di tutti per una convivenza pacifica, fatta di conoscenza reciproca: conoscersi e condividere, conoscersi per condividere, facendo questo dialogo inter-culturale e inter-religioso. E’ questa la particolarità e insieme l’universalità di questo dialogo”.

 

E al termine dell’incontro, un’emozione ha percorso l’aula Giulio Cesare quando i rappresentanti delle 3 religioni si sono stretti pubblicamente la mano.

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SONO CONVINTA DEL DIALOGO TRA ISLAM E OCCIDENTE

E NON CREDO NELLO SCONTRO TRA CIVILTA’:

 L’OPINIONE DEL PREMIO NOBEL IRANIANO, SHIRIN EBADI,

CHE PRESENTA A ROMA IL SUO LIBRO “IL MIO IRAN”

- Intervista con l’autrice -

 

“Una questione che si è conclusa con le parole di Benedetto XVI”. Non c’è alcuno strascico di tipo polemico in Shirin Ebadi, l’avvocatessa iraniana Premio Nobel per la pace del 2003, diventata nel mondo un’icona per la difesa dei diritti delle donne. A Roma, in questi giorni, per la presentazione del suo libro “Il mio Iran”, edito dalla Sperling&Kupfer, la Ebadi ha accettato di commentare le vicende che hanno visto in questi giorni molte personalità musulmane, opporsi con toni duri alle parole di Benedetto XVI. Il Premio Nobel ha ribadito però di credere nel dialogo tra le culture e non nello scontro di civiltà. Alessandro De Carolis l’ha incontrata:

 

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R. – Ringrazio Sua Santità perché ha spiegato il significato delle sue parole, che non aveva intenzione di offendere il nostro profeta Maometto: lo ringrazio di cuore e credo che la questione finisca qui.

 

D. – Episodi come questa vicenda, però, possono scoraggiare persone che credono si possa parlare di dialogo tra mondo occidentale e islam. Lei, da musulmana, crede o no allo scontro di civiltà?

 

R. – Io credo veramente nel dialogo tra le religioni e non sono assolutamente favorevole allo scontro tra civiltà. E poi, questo genere di scontro e questo tipo di integralismo, non appartiene soltanto ai musulmani: esiste in molte società e in molte civiltà e religioni.

 

D. – Nel suo libro, lei scrive che tra il ’98 e il ’99 il suo Paese visse uno straordinario momento di libertà di stampa e di opinione, ribattezzato “la primavera di Teheran”. Come descriverebbe ora il suo Paese, che proprio oggi il suo presidente rappresenta dalla tribuna dell’’ONU?

 

R. – Io ho scritto nel mio libro che questa primavera della libertà non è stata molto lunga: è stata anzi molto breve e chiaramente adesso la situazione è molto più difficile. La libertà ha tempi ancora più duri, nel nostro Paese.

 

D. – Lei nel 2003 è stata Premio Nobel per la pace. Ma da sei anni è anche sulla lista dei condannati a morte, nel suo Paese. Come riesce a conciliare la responsabilità sociale che comporta il suo essere difensore dei diritti umani, con la consapevolezza e la paura che qualcuno un giorno potrebbe, per lo stesso motivo, farle del male?

 

R. – Il dovere di chi difende i diritti umani è ancora più importante in una società in cui vengono violati tali diritti. Ma se credi nella strada che stai percorrendo, se credi di avere intrapreso la strada giusta, allora con più sicurezza prendi i tuoi passi e vai avanti. D’altronde, io sono una credente, sono musulmana. E questo mi dà maggiore sicurezza: mi dà la forza di andare avanti.

 

D. – Il suo nome, oggi, è diventato sinonimo di tutela dei diritti, della donna in particolare. Come valuta lo stato di questi diritti oggi nel suo Paese, e in cosa consiste il suo lavoro in loro difesa?

 

R. – Io penso che uomini e donne siano uguali. Solo che l’interpretazione sbagliata a questo dato di fatto nella nostra religione islamica ha fatto sì che le donne, nel nostro Paese, siano discriminate. Quello che sto facendo io, il mio lavoro, consiste nel presentare una giusta interpretazione proprio a partire dall’islam: una giusta interpretazione di ciò che è stato capito male.

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CHIESA E SOCIETA’

20 settembre 2006

 

 

DOMANI MATTINA A NAIROBI, IN KENYA, I FUNERALI DI SUOR LEONELLA SGORBATI,

LA MISSIONARIA DELLA CONSOLATA UCCISA DOMENICA A MOGADISCIO, IN SOMALIA

- A cura di Roberta Moretti -

 

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NAIROBI. = Si terranno domani mattina a Nairobi, in Kenya, alle nove ora italiana, i funerali di suor Leonella Sgorbati, la missionaria della Consolata di origine piacentina, uccisa domenica a Mogadiscio, in Somalia, con sette colpi di pistola. Contemporaneamente, il superiore generale dei Missionari della Consolata, padre Achilleo Fiorentini, celebrerà una Messa di suffragio nella Casa Generalizia delle missionarie a Nepi, in provincia di Roma. Sarà rispettata la volontà della religiosa di essere sepolta in Kenya, dove aveva vissuto 30 anni. Le spoglie di suor Leonella riposeranno nel cimitero della Famiglia Consolatina a Nazareth, una località nei pressi di Nairobi. Intanto, le forze di sicurezza delle Corti Islamiche, che da giugno controllano buona parte della Somalia, hanno già arrestato uno dei due assassini della missionaria. Fermati anche altri due uomini, che sarebbero testimoni dell’omicidio. E stamani, in Italia, la Camera dei deputati ha ricordato suor Leonella con un minuto di silenzio. “Noi possiamo solo lavorare per il bene e per la pace, adoperandoci per l’avvento del Regno nel quale il perdono avrà il sopravvento sulle forze dell’egoismo, dell’odio e sulla sete di potere”: così scriveva suor Leonella in una lettera di auguri inviata nel Natale del 1996 alle missionarie della diocesi di Piacenza-Bobbio, dove era nata nel 1940. Parole che rievocano quelle pronunciate prima di morire: “Perdono, perdono, perdono”. Parole che, dice la superiora generale delle Missionarie della Consolata, suor Gabriella Bono, in un’intervista al quotidiano Avvenire, “sono diventate un dono, un’eredità per noi, per il popolo somalo e per tutta la Chiesa”. La madre generale annuncia una veglia di preghiera, sabato prossimo a Nepi alle ore 21.00, “per ottenere dal Signore la riconciliazione e la pace tra i popoli”. “Questo voleva suor Leonella – spiega – e questo abbiamo detto anche al Santo Padre, esprimendogli tutta la nostra vicinanza, perché immaginiamo che anche lui stia soffrendo particolarmente”. “In questi giorni, infatti – aggiunge – molti mezzi di comunicazione hanno strumentalizzato le parole del Papa (all’Università di Ratisbona, lo scorso 12 settembre - ndr), collegandole agli avvenimenti di Mogadiscio”. Ieri – lo ricordiamo – in un telegramma di cordoglio a firma del segretario di Stato, il cardinale Tarcisio Bertone, indirizzato alle Missionarie della Consolata, Benedetto XVI aveva auspicato “che il sangue versato da una così fedele discepola del Vangelo” diventasse “seme di speranza per costruire un’autentica fraternità tra i popoli nel rispetto delle reciproche convinzioni religiose”. Ed è significativo, in questo senso, come suor  Leonella, nella sua attività di fondatrice e insegnante di una scuola professionale per infermieri a Mogadiscio, si fosse a poco a poco “guadagnata il rispetto di tutti, musulmani compresi”. “Anzi – racconta suor Gabriella Boni – anche quando c’era un dubbio diceva sempre: ‘Leggi il Corano, vai a vedere cosa dice il Profeta su questo problema’. Così promuoveva il dialogo interreligioso”. Perdono, perdono, perdono. “Sì – afferma la madre generale – noi vogliamo ripartire da quelle tre parole. Vogliamo fare nostro il perdono di Suor Leonella. E domenica scorsa, a Messa – ha concluso – la prima intenzione di preghiera è stata per gli assassini, affinché il Signore tocchi il loro cuore. Lui conosce la via”.

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IL PRESIDENTE DELL’EPISCOPATO STATUNITENSE, MONS. WILLIAM STEPHEN SKYLSTAD, ESORTA AMNESTY INTERNATIONAL A RESPINGERE LA RECENTE PROPOSTA

DI INSERIRE L’ABORTO TRA I DIRITTI UMANI: “IN QUESTO MODO,

RISCHIEREBBE DI SMINUIRE LA SUA MERITATA CREDIBILITÀ MORALE”

 

WASHINGTON. = Se Amnesty International abbandonerà la sua posizione neutrale sull’aborto, minaccerà i bambini non nati e metterà in discussione la sua fama di organizzazione a difesa dei diritti umani: questo, in sintesi, l’avvertimento del presidente della Conferenza episcopale statunitense, mons. William Stephen Skylstad, in una lettera indirizzata al segretario generale di Amnesty, Irene Khan, e pubblicata venerdì sul sito internet della Conferenza episcopale. L’organizzazione sta infatti valutando la proposta di inserire l’aborto tra i diritti umani. “Un tragico errore”, secondo mons. Skylstad, che ha esortato Amnesty a non “diluire o sviare la sua missione, adottando una posizione che molti considerano fondamentalmente incompatibile con un pieno impegno per i diritti umani e che dividerà profondamente quanti lavorano per difendere i diritti umani”. Amnesty “rischierebbe di sminuire la sua ben meritata credibilità morale” e “ciò dividerebbe molto probabilmente i suoi membri, molti dei quali sono cattolici, e altri che difendono i diritti dei bambini non nati”. L’aborto non è considerato un diritto umano nel diritto internazionale, ha sottolineato il presule, e sia la Convenzione sui Diritti del Bambino, che la Dichiarazione sulla Clonazione Umana – entrambe delle Nazioni Unite – sostengono il principio della dignità del bambino non nato. “Il diritto alla vita è fondamentale – ha osservato – è ‘il diritto ad avere diritti’, e la sua integrità dipende dall’essere riconosciuti nella famiglia umana, nonostante la razza, l’età o la condizione”. “Questa – conclude – non è una peculiarità dell’insegnamento cattolico, ma un’intuizione della tradizione del ‘diritto naturale’ che ha portato a molti progressi nel sostenere la dignità umana”. (R.M.)

 

 

I VESCOVI PERUVIANI DICONO “NO” ALLA PROPOSTA DI INTRODURRE

NEL PAESE LA PENA CAPITALE NEI CASI DI VIOLENZA CARNALE E OMICIDIO

DI MINORENNI: “LA SOLUZIONE – AFFERMANO – VA CERCATA NELLA PREVENZIONE”

                                                                          

LIMA. = “Nessuno può disporre direttamente della propria vita e di quella altrui, senza tener conto del rischio che corre di erigersi a padrone della vita che appartiene solo a Dio, unico Signore della vita”: così, i vescovi del Perù, in una dichiarazione pubblicata nei giorni scorsi, in merito alla proposta di introdurre nel Paese una riforma costituzionale che permetta l’applicazione della pena di morte nei casi di violenza carnale e omicidio di minorenni. Richiamando il Vangelo e il testo costituzionale, i presuli ribadiscono “il primato e l’inviolabilità della vita umana” e il dovere dello Stato di proteggerla, anche attraverso “un sistema giudiziario capace di applicare le pene stabilite, che consentano, con efficacia, di riparare il disordine introdotto, diffondere l’ordine pubblico e la sicurezza delle persone e contribuire a correggere il colpevole”. “La pena di morte – aggiungono – secondo molte esperienze, a volte si risolve in una vendetta”, “che non ripara alcun danno e non sradica alcun male”. Molto più urgente è, secondo i vescovi peruviani, indirizzare la riflessione “sul come sia stato possibile che in Perù si sia arrivati a un tale punto di degrado nel rispetto della persona e degli autentici valori della nostra società”. Degrado che “ha permesso l’avanzamento della cultura del relativismo, dell’edonismo, dell’erotismo sfrenato e della promiscuità e che, ovviamente, non rispetta né difende l’innocenza dei più piccoli e dei più deboli”. “La soluzione – affermano i presuli – va cercata nella prevenzione, nella formazione delle persone e in una vera educazione sessuale e non in una semplice informazione”. E concludono: “Chiediamo a tutte le autorità competenti, e agli attori sociali a non far diventare una questione così complessa come la pena capitale in un affare politico e a non dimenticare tutte le componenti giuridiche, etiche e morali che la questione racchiude”. (R.M.)

 

 

OLTRE 3,6 MILIONI DI PERSONE, TRA CUI 800 MILA BAMBINI, SONO STATI COLPITI

DALLA CARESTIA IN NIGER. L’ONG SPAGNOLA, MANOS UNIDAS,

LANCIA UNA CAMPAGNA DI AIUTI ALIMENTARI

 

ABUJA. = Per far fronte alla durissima carestia che in Niger ha colpito 3,6 milioni di persone, tra cui 800 mila bambini affetti da malnutrizione acuta, l’ONG cattolica spagnola, Manos Unidas, ha lanciato una campagna di aiuti alimentari, destinata fornire miglio, mais, tapioca e fagioli alla popolazione del Paese africano. Questa carestia va a sommarsi ad una delle situazioni più drammatiche del continente: il Niger ha il terzo tasso di natalità più alto del mondo, così come quello di mortalità generale e infantile; un bambino su quattro non arriva a compiere i cinque anni e molti di quelli che sopravvivono subiscono lesioni irrecuperabili a causa della malnutrizione. La media di vita non supera i 42 anni e il Paese conta uno dei redditi pro capite più bassi al mondo. Inoltre, i cambiamenti climatici mettono a rischio la resa dei raccolti e l’approssimarsi della stagione umida favorisce il diffondersi di malaria, diarree e malattie endemiche. (M.G.)

 

 

RILANCIARE LE AREE RURALI DELL’AFRICA SUB-SAHARIANA PER BLOCCARE LA CRESCITA INDISCRIMINATA DEI CENTRI URBANI, DOVE OLTRE IL 70 PER CENTO

DELLA POPOLAZIONE VIVE IN BIDONVILLE: CON QUESTO INTENTO, È IN CORSO

A NAIROBI, IN KENYA, IL IV VERTICE SULL’URBANIZZAZIONE ‘AFRICACITIES’

 

NAIROBI. = Le società tradizionali a base rurale dell’Africa sub-sahariana rischiano di scomparire se, come previsto, oltre la metà dei loro 700 milioni di abitanti migrerà nelle aree metropolitane entro il 2030: a lanciare l’allarme, sono i quattro mila delegati riuniti in questi giorni a Nairobi, in Kenya, per il IV Vertice ‘Africacities’, sull’urbanizzazione e gli obiettivi di sviluppo del millennio fissati dalle Nazioni Unite. Secondo Anna Tibaijuka, direttore esecutivo del Programma dell’ONU per gli insediamenti umani (HABITAT), nel 2030 la popolazione urbana africana supererà quella europea e le autorità “non sono in grado di tenere il passo di questa crescita”. “Perciò – ha sottolineato il presidente del Kenya, Mwai Kibaki – c’è urgente bisogno di re-indirizzare la nostra strategia per lo sviluppo urbano nelle aree rurali”, per alleggerire la pressione sulle grandi aree metropolitane, dove oltre il 72 per cento della popolazione vive in bidonville. (M.G.)

 

 

LA TEOLOGIA DEVE AVVALERSI DELLA RAGIONE IN TUTTA LA SUA AMPIEZZA PER DAR

VITA AD UNA RIFLESSIONE CHE SI APRA AL DIALOGO CON LE ALTRE RELIGIONI: COSÌ IL RETTORE DELLA LATERANENSE, MONS. RINO FISICHELLA, ALL’APERTURA STAMANI

A ROMA DI UN SEMINARIO DI STUDI SULL’INSEGNAMENTO DELLA TEOLOGIA OGGI

- A cura di Tiziana Campisi -

 

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ROMA. = “I cristiani sono interpellati a motivare con argomentazione profonda la verità della loro professione di fede”: mons. Rino Fisichella, rettore della Pontificia Università Lateranense, ha chiarito con queste parole il senso della riflessione teologica, aprendo stamani a Roma il seminario di studi “Insegnare teologia oggi”. Il presule ha ricordato che da quando, nei primi secoli, i cristiani hanno cominciato a spiegare con la ragione la loro fede, hanno trovato alcuni interlocutori che anziché porsi in ascolto hanno reagito con violenza. Tale violenza è frutto dell’orgoglio che oscura la ragione, ha detto mons. Fisichella, e che ancora oggi dà vita a “nuove e sempre più subdole forme di violenza nei confronti della fede”. Il rettore della Lateranense ha voluto commentare a tal proposito le polemiche che sono state sollevate dopo il discorso tenuto da Benedetto XVI all’Università di Ratisbona. “La citazione di un dibattito antico, tipico del confronto apologetico – ha specificato il presule – ha suscitato reazioni sproporzionate per la violenza e strumentali per un nuovo attacco alla Chiesa cattolica e al suo Magistero, nel voler imporre una visione del vivere civile e sociale alla luce dell’intolleranza”. La pluralità delle religioni invece deve stimolare ad una riflessione più ampia, ha affermato mons. Fisichella che ha concluso il suo intervento citando le parole del Papa all’Università di Regensburg: “Il coraggio di aprirsi all’ampiezza della ragione, non il rifiuto della sua grandezza: è questo il programma con cui una teologia impegnata nella riflessione sulla fede biblica, entra nella disputa presente”.

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24 ORE NEL MONDO

20 settembre 2006

 

- A cura di Amedeo Lomonaco -

 

In Indonesia sono ore di angoscia per la sorte dei tre cristiani condannati alla pena capitale. Il presidente indonesiano non sembra intenzionato a concedere la grazia e appare anche poco probabile l’ipotesi di un ulteriore rinvio dell’esecuzione, fissata per domani. Il nostro servizio:

 

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L’unica speranza della comunità cristiana - scrive l’Agenzia Fides - è che il presidente indonesiano conceda la grazia. La Chiesa indonesiana ha accolto la notizia “con disappunto e sconcerto” anche perché – spiega ancora la Fides – verrebbe violata con un’eventuale esecuzione la legislazione vigente secondo cui la pena, dopo la domanda di grazia, si deve considerare sospesa fino al pronunciamento del capo di Stato. I tre cristiani, che hanno già ricevuto la notifica ufficiale dell’esecuzione, sono ritenuti responsabili del massacro di 200 musulmani a Poso, uno degli episodi più gravi degli scontri interreligiosi che tra il 1998 ed il 2001 hanno causato oltre 2000 morti. Ma gli imputati, che avrebbero chiesto di essere fucilati in pubblico, negano di aver pianificato la strage e, secondo l’Organizzazione Amnesty International, “non hanno beneficiato di un processo equo”. Per diverse organizzazioni non governative il processo è stato viziato, inoltre, da procedure illegali: alcuni testimoni non sono stati ascoltati e diverse prove non sono state accettate dai tribunali. Per chiedere la salvezza dei tre cristiani il Papa ha lanciato un appello, lo scorso 11 agosto, al quale era seguito un rinvio dell’esecuzione. Tre vescovi indonesiani, presenti a Roma per un seminario di formazione, hanno partecipato infine ad una veglia di preghiera promossa dalla Comunità di Sant’Egidio.

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In Thailandia è stato deposto, nella notte, il premier Thaksin Shinawatra con un colpo di Stato incruento compiuto da una cinquantina di militari fedeli al re, Bhumibol Adulyadej, e guidati da un ex capo delle Forze armate. Nel Paese è stata proclamata la legge marziale e i golpisti hanno annunciato che le elezioni legislative slitteranno di un anno. Entro due settimane, ha poi reso noto la giunta militare responsabile del colpo di Stato, sarà nominato un nuovo primo ministro. Il servizio di Maria Grazia Coggiola:

 

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I militari che hanno rovesciato il governo di Thaksin Shinawatra hanno promesso di ripristinare la democrazia entro un anno. Il generale Sonthi Boonyaratglin, che ieri ha preso controllo a Bangkok, ha detto di voler nominare un nuovo primo ministro nelle prossime due settimane. Nel frattempo, darà l’incarico ad un’Assemblea costituente di riscrivere la Carta costituzionale e di indire le elezioni politiche per l’ottobre del prossimo anno. Ha poi aggiunto che la monarchia tailandese non ha avuto nessun ruolo nella presa del potere avvenuta, finora, senza spargimento di sangue. “Non c’è nessuno alle nostre spalle”, ha detto Sonthi, un pluridecorato considerato vicino al re Bhumibol Adulyadej. E’ stata – ha aggiunto - una decisione autonoma presa due settimane fa perché così voleva il popolo e a causa dell’incapacità del governo. Secondo agenzie di stampa il primo ministro, Thaksin Shinawatra, avrebbe lasciato New York dove si trovava per l’Assemblea generale delle Nazioni Unite e sarebbe ora diretto a Londra. Thaksin era diventato impopolare per le accuse di corruzione e per la sanguinosa repressione della guerriglia musulmana nel sud del Paese.

 

Per la Radio Vaticana, Maria Grazia Coggiola.

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In Giappone, il conservatore e nazionalista Shinzo Abe è stato eletto stamani a grande maggioranza leader del Partito liberal democratico, al potere nel Paese nipponico. Secondo diversi sondaggi, è adesso sempre molto probabile, la prossima settimana, una sua elezione a primo ministro al posto dell’attuale premier uscente, Junichiro Koizumi. Shinzo Abe ha già promesso di forgiare un’alleanza ancor più stretta con gli Stati Uniti e di migliorare i rapporti con Corea del Sud e Cina. Le relazioni del governo di Tokyo con gli esecutivi di Seul e Pechino si sono raffreddate, infatti, dopo la recente visita di Koizumi ad un mausoleo di guerra, dove si trovano generali nipponici responsabili di crimini durante il secondo conflitto mondiale.

 

Aperti i seggi nello Yemen per le elezioni presidenziali ma sull’esito non sembrano esserci dubbi: il capo di Stato uscente, Abdallah Saleh, è già dato come vincitore. Si vota anche per eleggere i consiglieri municipali.

 

Militari tedeschi saranno inviati in Medio Oriente, per la prima volta dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, nell'ambito della missione dell’ONU in Libano. Lo ha deciso il Parlamento tedesco con 442 voti a favore e 152 contrari. Si tratta, soprattutto, di militari di marina. Le prime navi partiranno domani e impiegheranno circa dieci giorni per arrivare davanti alle coste del Libano.

Il primo ministro dell'Autorità Nazionale Palestinese, Ismail Haniyeh, ha respinto le tre condizioni poste dal quartetto per il Medio Oriente – Russia, Stati Uniti, ONU e Unione Europea – in cambio della ripresa del flusso di finanziamenti all’amministrazione palestinese. Le condizioni sono: la cessazione delle violenze, il riconoscimento dell’esistenza di Israele e l’accettazione degli accordi siglati in passato con lo Stato ebraico. Nei territori palestinesi, intanto, un palestinese è rimasto ucciso da soldati israeliani nel nord della Striscia di Gaza.

 

Ancora scontri, in Ungheria, tra polizia e centinaia di dimostranti che si sono radunati, nella notte, nei pressi della sede del partito socialista chiedendo le dimissioni del primo ministro. Le proteste, iniziate lunedì scorso, hanno causato finora il ferimento di oltre 200 persone, tra le quali più di 100 agenti. I disordini sono scoppiati in seguito alla diffusione di un nastro audio, registrato dopo le elezioni di aprile vinte dal partito socialista, nel quale il primo ministro ungherese ammette che “il governo non ha fatto nulla nella legislatura precedente e di aver mentito per un anno e mezzo o due sulle reali condizioni del Paese”.

 

L’intricata questione nucleare iraniana, la grave crisi in Libano, il sanguinoso conflitto israelo-palestinese hanno caratterizzato, ieri, i lavori della 61.ma Assemblea generale dell’ONU, in corso a New York. Alla riunione, dopo il discorso pronunciato dal segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan, sono intervenuti anche il presidente americano, George Bush, e il capo di Stato iraniano, Mahmoud Ahmadinejad. Il servizio, da New York, di Paolo Mastrolilli:

 

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Il segretario generale Kofi Annan, tenendo il suo ultimo intervento davanti al “Parlamento del mondo”, ha detto che è necessario affrontare e risolvere la questione palestinese perché nessun conflitto ha lo stesso valore simbolico. Annan, che a dicembre terminerà il suo secondo mandato, ha aggiunto che la pace sarà impossibile fino a quando questo problema non sarà superato, e ciò comprometterà anche le opportunità di porre fine ai conflitti in Iraq e in Afghanistan. Il presidente Bush ha dichiarato che nel mondo è in corso una sfida ideologica per la libertà tra i terroristi che cercano di dirottare la religione islamica a scopi politici e il resto della comunità internazionale che difende i principi della tolleranza. Il capo della Casa Bianca ha chiarito che gli Stati Uniti rispettano la religione musulmana ma si opporranno con ogni mezzo a chi la sfrutterà per colpirli. Bush ha definito un successo gli interventi in Iraq e Afghanistan perché hanno portato alla creazione di governi eletti, e ha chiesto di non abbandonare Baghdad nello sforzo per costruire una Nazione libera. Quindi, ha sollecitato l’Iran ad abbandonando l’ambizione di costruire armi nucleari e la Siria ad interrompere i rapporti con Hamas ed Hezbollah, accusati di voler destabilizzare la regione. Il presidente iraniano, Mahmoud Ahmadinejad, ha risposto accusando Washington di fomentare la guerra e sostenendo che il programma atomico del suo Paese è pacifico. Prima di arrivare a New York, aveva dichiarato che rispetta il Papa e che le sue parole sull’islam pronunciate a Ratisbona sono state fraintese.

 

Da New York, per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.

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Nuove tragedie in impianti minerari: in Kazakhstan è di 32 morti il bilancio, ancora provvisorio, di un’esplosione avvenuta stamani in una miniera di carbone. Un altro grave incidente si registra anche in Ucraina, dove 13 persone sono morte per una deflagrazione che ha devastato una miniera.

 

In Italia, venti ordinanze di custodia cautelare sono state eseguite dai carabinieri nell’ambito dell’inchiesta sulle intercettazioni illegali e sul settore security di Telecom Pirelli di cui si occupa la Procura di Milano. In particolare, tra gli arrestati, vi sarebbero numerosi pubblici ufficiali e una decina fra agenti e militari in servizio nelle forze dell’ordine. L’accusa è di associazione a delinquere finalizzata alla corruzione e alla rivelazione del segreto d’ufficio.

 

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