RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno L  n. 327 - Testo della trasmissione di giovedì 23 novembre 2006

 

 

Sommario

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Fraterno incontro in Vaticano tra Benedetto XVI e il Primate anglicano Rowan Williams: con noi l’arcivescovo di Canterbury

 

In migliaia a Beirut al funerale di Pierre Gemayel, il ministro ucciso martedì. In un messaggio, Benedetto XVI invoca “la solidarietà di tutti i libanesi”. Intervista con mons. Béchara Raï

 

Il dolore del Papa per la sciagura mineraria in Polonia che ha causato la morte di 23 minatori

 

Iniziata oggi con l’udienza del Papa ai presuli dell’Abruzzo-Molise la visita ad Limina dei vescovi italiani. Ce ne parla mons. Carlo Ghidelli

 

“Un episodio da non sopravvalutare”: così padre Federico Lombardi sull’occupazione del Museo di Santa Sofia a Istanbul da parte di manifestanti contrari alla visita del Papa in Turchia

 

Al via oggi in Vaticano la Conferenza internazionale del Pontificio Consiglio per la pastorale della salute, sul tema delle malattie infettive: intervista con il cardinale Javier Lozano Barragán

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Si chiude domani a Novara la mostra “Disabili all’università”, promossa dalla Comunità di Sant’Egidio per finanziare i progetti di terapia dell’AIDS in Africa. Intervista con Daniela Sironi

 

CHIESA E SOCIETA’:

Messico: i vescovi preoccupati per il clima di tensione che sta vivendo il Paese

 

Secondo l’ONU la diffusione dell’Aids ha raggiunto in Africa livelli allarmanti

 

Il Centro internazionale di Assisi per la pace tra i popoli consegna a Salerno al cardinale Renato Raffaele Martino il premio pellegrino della pace

 

Costretta a chiudere, a causa di minacce ed estorsioni, la Caritas di Mosul

 

24 ORE NEL MONDO:

In Iraq, attaccato da miliziani il ministero della Sanità

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

23 novembre 2006

 

 

FRATERNO INCONTRO IN VATICANO TRA BENEDETTO XVI E IL PRIMATE ANGLICANO

 ROWAN WILLIAMS: AL CENTRO DEL COLLOQUIO GLI SVILUPPI POSITIVI

 DEL DIALOGO ECUMENICO E LE NUOVE DIFFICOLTA’

IN TEMA DI MORALE E MINISTERO ORDINATO

- Intervista con l’arcivescovo Rowan Williams -

 

Il Papa ha ricevuto questa mattina il Primate della Comunione anglicana, arcivescovo di Canterbury, Rowan Williams. Sempre stamane, il Primate ha avuto anche un momento di preghiera in San Pietro, un colloquio con il Segretario di Stato, cardinale Tarcisio Bertone, e la Celebrazione dell'Ora Media nella cappella Redemptoris Mater. Sulle parole del Papa e sulla dichiarazione congiunta firmata con il Primate anglicano Williams, il servizio di Fausta Speranza:

 

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Parole di ringraziamento per tutto il positivo vissuto negli ultimi 40 anni, dall’incontro tra Paolo VI e l’arcivescovo Ramsey che segnò l’avvio del dialogo dopo secoli di incomprensioni. E poi l’attenzione particolare per i “recenti sviluppi” e le possibili scelte che la Comunione anglicana è chiamata a fare nel prossimo futuro. Tutto ciò è al centro delle parole del Papa al Primate anglicano, con la consapevolezza dichiarata che “molte negative influenze e pressioni cadono sui cristiani e sulle comunità cristiane”, specialmente nel “secolarizzato mondo occidentale”.

 

Benedetto XVI auspica “una piena e visibile unità” quale obiettivo, e sottolinea che bisogna rendere grazie a Dio per i passi fatti, ricordando le amichevoli e buone relazioni tra anglicani e cattolici in molti luoghi, che hanno creato quello che definisce “un contesto nuovo”. E il Papa poi guarda alle difficoltà:

 

Over the last three years you have spoken openly …”

 

Negli ultimi tre anni – dichiara il Papa – si è “parlato apertamente delle tensioni e delle difficoltà” nell’ambito della Comunione anglicana. Ricorda i “recenti sviluppi in particolare riguardo il ministero ordinato e alcuni insegnamenti morali” che – afferma il Papa – toccano le relazioni interne al mondo anglicano ma anche le relazioni con la Chiesa cattolica.

 

Il Papa sottolinea che le scelte che la Comunione anglicana farà su queste questioni, che sono attualmente materia di dibattito interno, sono di vitale importanza per la predicazione del Vangelo nella sua integrità:

 

“Your current discussions will shape the future of our relations.”

 

Aggiungendo che dunque “daranno forma al futuro delle relazioni” con i cattolici. In definitiva, l’invito a continuare il dialogo, nella consapevolezza che “il mondo ha bisogno della nostra testimonianza e della forza che viene dalla proclamazione senza divisioni del Vangelo”.

 

Per quanto riguarda l’intervento del Primate, c’è innanzitutto un’affermazione:

 

“Only a firm foundation of friendship in Christ will enable us …”

 

Soltanto un fermo fondamento dell’amicizia in Cristo – ha affermato - ci permetterà di essere onesti gli uni con gli altri circa le difficoltà. Si trovano, poi, parole di ringraziamento e apprezzamento per l’incontro nella sede di San Pietro; il ricordo di Giovanni Paolo II e un particolare estremamente significativo: l’anello che porto – afferma – è quello che Paolo VI consegnò all’arcivescovo Ramsey e la Croce è quella ricevuta in dono da Giovanni Paolo II. Simboli dell’impegno a “lavorare insieme per la piena unità della famiglia cristiana”. Il primate sottolinea di essere venuto “con spirito fraterno” e ricorda di essere stato toccato dal fatto che Benedetto XVI all’inizio del suo Pontificato ha sottolineato l’importanza dell’ecumenismo.

 

C’è poi la dichiarazione comune firmata stamane con il Papa. Anche lì il richiamo allo storico incontro tra Paolo VI e l’arcivescovo Michael Ramsey. E poi l’affermazione che ci sono “molte aree di testimonianza e servizio” in cui si può operare sempre più insieme, con un impegno comune tra cattolici e anglicani per “la ricerca della pace in Terra Santa” e contro la “minaccia del terrorismo”.  “Il vero ecumenismo – si legge – va al di là del dialogo teologico: tocca le vite spirituali e la comune testimonianza”. Il tutto – si legge – mentre si ribadisce che l’attuale comunione è “reale ma imperfetta”.

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In 40 anni il dialogo ecumenico tra cattolici e anglicani ha registrato sviluppi positivi e nuove difficoltà. C’è chi ha parlato anche di una sorta di “crisi” del dialogo. A questo proposito, ieri pomeriggio, Philippa Hitchen ha intervistato lo stesso Primate anglicano Rowan Williams:

 

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R. – I wouldn’t at all characterize it as “crisis”; i’d characterize it …

Non direi che è una “crisi”. Direi piuttosto – come ha detto qualche volta il cardinale Murphy O’Connor – che si è raggiunto una sorta di piattaforma. Ho passato la mattinata a ragionare del futuro del nostro dialogo, e abbiamo chiarito con la maggior chiarezza possibile che non esiste alcuna interruzione del processo di dialogo e che la speranza non si è affievolita. Quindi: non credo sia una “crisi”; ci troviamo di fronte delle sfide, ma mi sembra che stiamo procedendo nel dialogo con grande entusiasmo.

 

D. – Eppure, molte persone hanno l’impressione che il grande entusiasmo, nato sulla scia del Concilio Vaticano II, in qualche modo manchi ai rapporti attuali. Come potrebbe essere possibile recuperare quello spirito positivo?

 

R. – I think perhaps in the wake of the Council, the first round of expectations …

Penso che sulla scia del Concilio, le aspettative iniziali siano state forse un po’ troppo alte: l’unità visibile da raggiungere nel corso della nostra vita, e che probabilmente mai si verificherà! Penso invece che l’entusiasmo che dobbiamo recuperare sia in due ambiti. Uno è quello che il Pontificio Consiglio oggi definirebbe “ecumenismo fondamentale”, cioè ritrovare la nostra identità comune di fronte alla cultura secolarizzata che ci circonda: noi, in quanto depositari della Rivelazione, sappiamo cosa dobbiamo condividere con la società in cui viviamo. Il secondo ambito è comprendere più profondamente cosa praticamente possiamo fare per rispondere alle necessità del mondo, come possiamo spendere le nostre risorse per far fronte all’immensa crisi dell’umanità nei nostri giorni. Ce n’è abbastanza per recuperare l’entusiasmo!

 

D. – Eppure, se guardiamo agli ostacoli che esistono in questo dialogo, uno di questi è la disponibilità – all’interno della Chiesa anglicana d’Inghilterra – a conferire l’ordinazione episcopale alle donne: all’inizio di quest’anno, il cardinale Kasper aveva detto che una decisione di questo tipo avrebbe generato un ostacolo praticamente insormontabile nella ricerca della piena unità, come finora l’avevamo intesa …

 

R. – We’ve heard that and taken it very seriously, I think. …

Ne abbiamo preso atto e lo consideriamo in termini molto seri. Al tempo stesso, nella Chiesa d’Inghilterra stiamo conseguendo un processo di riflessione teologica a lungo termine su questo argomento. Una parte di questo processo è improntato alla nostra dedizione alla teologia del ministero ordinato, che è stato esplicitato nei documenti dell’ARCIC. Ma io credo che sia estremamente importante che noi procediamo nella riflessione. Qualunque sia la decisione alla quale si possa giungere – e penso che il cardinale Kasper possa essere d’accordo – qualsiasi decisione si prenda, noi abbiamo comunque un linguaggio comune con il quale discuterla e che si fonda sugli accordi che abbiamo già raggiunto.

 

D. – Lei ha portato un dono speciale a Benedetto XVI: ce ne vuole parlare?

 

R. – We wondered quite a long time about what a sort of gift we might present, but …

Ci siamo domandati a lungo quale tipo di dono avremmo potuto portargli, poi abbiamo optato per qualche cosa che simboleggiasse non soltanto i rapporti tra la Chiesa cattolico-romana e quella anglicana, ma anche il più ampio mondo cristiano nel quale viviamo: questo mondo nel quale anche le Chiese dell’Est hanno un ruolo. Abbiamo quindi chiesto ad un giovane artista russo, pittore di icone, di realizzare un’icona speciale, commissionata appositamente, che raffigurasse il Cristo tra San Gregorio Magno e Sant’Agostino di Canterbury.

 

D. – Qui a Roma voi avete parlato di San Benedetto e della sua Regola come una sorta di traccia per la coesistenza pacifica nell’Europa contemporanea multiculturale: vuole condividere con noi alcune delle vostre riflessioni?

 

R. – The ideas I was trying to elaborate speaking about Saint Benedict …

Le considerazioni che intendevo elaborare nel parlare di San Benedetto erano incentrati su tre punti fondamentali. Uno è che la Regola benedettina parte dal presupposto che una vita culturale e individuale sana è tale se in essa c’è il tempo per il lavoro – lavoro produttivo –, per la conoscenza di sé e per la lode; e che ogni cultura che riservi tanta importanza alla vita produttiva e di acquisizione di beni, nella quale non ci sia più tempo per lo studio e la conoscenza di sé e nemmeno il tempo per rendere lode a Dio è una cultura che cade al di sotto del livello umano. Il secondo concetto che volevo elaborare era quello dell’obbedienza e la maniera molto sottile in cui la Regola di San Benedetto descrive come l’abate, la figura che rappresenta l’autorità nel monastero, debba essere egli stesso modello di obbedienza a Dio e di obbedienza, in un certo senso, alla comunità: in ascolto delle necessità della comunità e pronto a rispondere alle stesse. Dobbiamo quindi meditare su come l’autorità è esercitata nella società e, in generale, in Europa. Che sia un’autorità veramente in ascolto e pronta a rispondere alle reali necessità, ma anche aperta a Dio. Il terzo punto: la Regola di San Benedetto afferma che nella comunità benedettina ciascuno ha la dignità di portare il proprio contributo, attraverso il proprio lavoro, le proprie capacità particolari, la propria presenza e la propria esperienza. Questo, credo, possa essere un messaggio importante per le società che si trovano ad affrontare il problema delle minoranze, dei migranti, alla ricerca di una via per cui tutte le voci trovino ascolto e armonia all’interno della società. Ecco perché ritengo che la Regola sia un documento estremamente attuale per l’Europa e per ciascuno di noi.

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MIGLIAIA DI PERSONE A BEIRUT PER IL FUNERALE DI PIERRE GEMAYEL, IL MINISTRO CRISTIANO UCCISO MARTEDI’ SCORSO IN UN ATTENTATO. IN UN MESSAGGIO LETTO

 DURANTE LA CERIMONIA, BENEDETTO XVI INVOCA

 ''LA SOLIDARIETA' DI TUTTI I  LIBANESI''

- Con noi mons. Béchara Raï -

 

Un “atto inqualificabile”: Benedetto XVI stigmatizza così l’assassinio del giovane ministro libanese, il cristiano maronita Pierre Gemayel di cui stamani sono state celebrate le esequie nella cattedrale di San Giorgio a Beirut. Il Papa ha inviato un telegramma letto durante il rito funebre celebrato dal cardinale Nasrallah Sfeir, Patriarca di Antiochia dei Maroniti. Nel messaggio, il Papa invoca “la solidarietà di tutti i libanesi”. “Noi tutti – scrive il Papa – siamo duramente provati da un atto inqualificabile e chiedo al Signore di accogliere nella dimora del suo Regno colui che si e' impegnato nella vita pubblica al servizio del suo Paese e dei suoi fratelli libanesi”. Al popolo del Libano, chiede dunque “un rinnovato impegno per la costruzione” di un Paese “autonomo e sempre più fraterno, preoccupandosi di assicurare una partecipazione attiva di tutte le sue componenti nella società nazionale”. Alle esequie di Gemayel, ucciso in un agguato martedì scorso, hanno partecipato migliaia di persone. Tra questi, i maggiori leader politici libanesi, il premier Fuad Sinora, il druso antisiriano Walid Jumblatt al filosiriano Nabih Berri, presidente del Parlamento. Ma torniamo alle parole del Papa che già ieri all’udienza generale aveva parlato di “forze oscure” che vogliono distruggere il Libano. Stefano Leszczynski ha intervistato mons. Béchara Raï, vescovo di Byblos dei Maroniti.

 

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R. – Il popolo libanese è molto grato al Santo Padre per questo suo indirizzo. La sua parola è stata molto confortante per i libanesi e per la famiglia dell’assassinato, il ministro Gemayel. L’importante è che il Santo Padre abbia accennato a delle forze oscure. Ci sono realmente, infatti, delle forze oscure, che da 31 anni stanno distruggendo il Libano. Comunque, in Libano, il popolo è più che mai unito e solidale. E l’appello alla calma, alla preghiera, rivolto dal padre del ministro, l’ex presidente della Repubblica, Gemayel, ha creato un’atmosfera di calma e di pace.

 

D. – Come vive la comunità dei cristiani, in Libano, questa difficile situazione politica?

 

R. – Tutti i leader politici e religiosi del Libano, musulmani e cristiani, hanno detto che questa strage, questa catastrofe, colpisce tutti noi. Il ministro Gemayel è considerato come un figlio da tutte le nostre famiglie, cristiane e musulmane.

 

D. – La presenza internazionale in Libano, con il contingente UNIFIL, secondo lei ha contribuito ad una relativa calma nella situazione o è ancora insufficiente come misura internazionale?

 

R. – La loro presenza nel sud ha fatto sì che Hezbollah non sia in diretto contatto con Israele. Per questo noi siamo molto grati alla presenza di queste forze internazionali, perchè stanno aiutando molto in questo campo.

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IL DOLORE DEL PAPA PER LA SCIAGURA MINERARIA IN POLONIA

CHE HA CAUSATO LA MORTE DI 23 MINATORI

 

Il Papa ha espresso il suo profondo dolore per la sciagura avvenuta martedì scorso nella miniera di carbone di Halemba, in Polonia, nella quale 23 minatori sono morti. In un telegramma, a firma del cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone, inviato all’arcivescovo di Katowice Damian Zimoń, il Pontefice affida le anime dei defunti “alla misericordia di Dio, chiedendo di accogliere l’offerta della loro fatica e della vita e di introdurli nella Sua gloria”.  Quindi “con una cordiale preghiera abbraccia le famiglie dei morti” e tutti coloro che piangono la loro scomparsa. La tragedia è avvenuta a causa dell’esplosione di grisù, che ha sviluppato una temperatura di circa 1.500 gradi centigradi nelle gallerie a un migliaio di metri di profondità, mentre i minatori stavano chiudendo un pozzo danneggiato durante un incidente analogo. La Conferenza episcopale polacca ha espresso il proprio cordoglio per la sciagura. I vescovi, si legge nel messaggio, pregano “affinché il sacrificio, reso mentre svolgevano un servizio per gli altri, possa essere accolto da Cristo”. I presuli hanno espresso infine “vicinanza e solidarietà alle famiglie dei minatori scomparsi e alle loro comunità ecclesiali di provenienza”. Intanto, il presidente polacco Lech Kaczyński ha decretato tre giorni di lutto nazionale per la tragedia, una tra le più gravi degli ultimi decenni.

 

 

INIZIATA OGGI CON L’UDIENZA DEL PAPA AI PRESULI DELL’ABRUZZO-MOLISE

 LA VISITA AD LIMINA DEI VESCOVI ITALIANI, CHE IMPEGNERA’, FINO A PRIMAVERA,

I PASTORI DELLE 16 REGIONI ECCLESIASTICHE DELLA CHIESA ITALIANA.

AI NOSTRI MICROFONI, LE ASPETTATIVE DEL PRESIDENTE

 DELL’EPISCOPATO ABRUZZESE-MOLISANO, MONS. CARLO GHIDELLI

 

Benedetto XVI ha ricevuto, stamani in udienza, un primo gruppo di vescovi della Conferenza episcopale abruzzese-molisana. Si tratta dell’atto d’inizio della visita ad Limina dei presuli italiani, che si prolungherà fino a primavera. La regione ecclesiastica Abruzzo-Molise è una delle sedici in cui è suddivisa la Chiesa cattolica italiana. Conta circa un milione e mezzo di abitanti, affidati alla cura pastorale di undici vescovi e 942 sacerdoti secolari. Le parrocchie distribuite sul territorio sono 1059. Giovanni Paolo II si è recato in Abruzzo 7 volte e 2 in Molise. Dal canto suo, Benedetto XVI ha visitato la terra abruzzese lo scorso primo settembre quando si è recato in pellegrinaggio al Santuario di Manoppello, vicino Chieti. Una visita che il Papa ha ricordato ieri in Piazza San Pietro, salutando proprio i presuli abruzzesi e molisani presenti all’udienza generale. Per conoscere quali siano le aspettative dell’episcopato, Alessandro Guarasci ha intervistato l’arcivescovo di Lanciano-Ortona, Carlo Ghidelli, presidente della Conferenza episcopale abruzzese-molisana:

 

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R. – Ci aspettiamo soprattutto una rinascita, una ripresa della vita diocesana, l’apertura delle parrocchie alla diocesi e delle varie diocesi alla realtà regionale, alla Conferenza episcopale regionale. Siamo convinti che più si allarga la comunione e più essa diventa anche intensa quindi ci aspettiamo dal Papa anche uno stimolo ad aprire le parrocchie alla diocesi e le diocesi alla regione. Poi, evidentemente, una ripresa della vita cristiana perché siamo sicuri che il Papa ci dirà una parola speciale di cui cercheremo di far tesoro e comunicarla il più possibile anche agli altri.

 

D. – La società italiana è interessata da un forte movimento di secolarizzazione. Questo lo riscontrate anche nella vostra regione e soprattutto quali iniziative mettete in campo per contrastarlo?

 

R. – Lo riscontriamo certamente anche qui sia pure, forse, a “scoppio ritardato”. Noi mettiamo in atto la pastorale ordinaria, niente di straordinario: cerchiamo di coltivare le nostre singole diocesi con tutto lo “sprint” pastorale di cui siamo capaci, cercando soprattutto di mettere a fuoco i problemi principali. Soprattutto i problemi legati al lavoro, sia per la carenza di occupazione, sia per il troppo alto numero di infortuni sul lavoro. Questo ci fa soffrire non poco. Abbiamo poi anche il problema dell’immigrazione. E abbiamo anche qualche problema di droga; desideriamo poter immettere nel tessuto sociale delle nostre singole regioni, sia l’Abruzzo sia il Molise, quel fermento evangelico di vita cristiana autentica che possa dare sintomi di una rinascita.

 

D. – La vostra è una regione che guarda ad est, dunque portata in qualche modo, naturalmente, al dialogo…

 

R. – Sì, noi siamo aperti all’est tant’è che spero si superino alcune difficoltà per quanto riguarda i famosi Giochi del Mediterraneo che dovrebbero essere ospitati qui a Pescara. Vorremmo approfittare anche di questa occasione per lanciare veramente ponti verso l’altra sponda del mare. Non vogliamo però solo esportare, vogliamo anche importare e siamo convinti che da quei Paesi, anche se sono in una situazione di sottosviluppo materiale, ci possa venire invece qualche aiuto dal punto di vista spirituale. Anche l’aspetto ecumenico ci interessa in questo senso perché tra l’ortodossia e il cattolicesimo si possono instaurare anche rapporti più intensi e più frequenti.

 

D. – Trovate difficoltà nell’applicare la vostra pastorale familiare? Insomma, le famiglie continuano ad essere praticanti?

 

R. – Come percentuale della frequenza delle chiese, noi siamo tra le regioni migliori d’Italia, forse anche la migliore in assoluto. Abbiamo un’alta percentuale di frequenza domenicale. Per quanto riguarda invece il problema delle famiglie, dobbiamo anche noi accusare il colpo e ci sono tante, tantissime famiglie che si stanno disgregando con troppa facilità. Quasi certamente, dipende dalla insufficiente preparazione alla celebrazione del matrimonio e poi forse c’è anche l’influsso delle famiglie di provenienza che sono probabilmente le famiglie dei “tempi della contestazione” che non hanno saputo creare nei loro figli un plafond direi, di formazione cristiana autentica.

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ALTRE UDIENZE E NOMINE

              

Il Papa riceverà questo pomeriggio in udienza i dirigenti e i dipendenti dei Musei Vaticani.

 

Il Santo Padre ha nominato Consigliere della Pontificia Commissione per l’America Latina il cardinale Ivan Dias, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli.

 

 

“UN EPISODIO DA NON SOPRAVVALUTARE”: E’ IL COMMENTO DI PADRE LOMBARDI ALL’OCCUPAZIONE DEL MUSEO DI SANTA SOFIA A ISTANBUL DA PARTE DI UN GRUPPO

DI MANIFESTANTI CONTRARI ALLA VISITA DEL PAPA IN TURCHIA

 

"Un episodio che ha dimensioni limitate e che non deve essere sopravvalutato". E’ il commento del direttore della Sala Stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi, riguardo al tentativo di occupazione, ad Istanbul, dell’ex Basilica di Santa Sofìa, poi moschea e oggi museo, compiuto ieri da alcune decine di manifestanti contrari alla visita del Papa in Turchia che inizierà tra 5 giorni.  La polizia ha fermato 39 persone che si sono dichiarate membri di un movimento giovanile nazionalista. Padre Lombardi  ha sottolineato che “questi fatti non alimentano particolari preoccupazioni anche se danno dispiacere” e ha ribadito  la fiducia “nell'ospitalità assicurata dalle autorità turche". Cresce intanto l’attesa della piccola comunità cristiana per l’arrivo del Papa: si tratta di circa 130 mila persone su 70 milioni di abitanti, al 99% musulmani. Uomini e donne che continuano a testimoniare con coraggio il Vangelo in una terra che in 2000 anni di storia ha dato numerosi santi alla Chiesa. Ascoltiamo in proposito il servizio di Sergio Centofanti.

 

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L’Asia Minore è una terra ricca di santi: primo fra tutti San Paolo, nato a Tarso, in Cilicia,  morto martire a Roma, e i suoi discepoli San Timoteo, vescovo di Efeso, anch’egli morto martire, lapidato, e San Luca evangelista. Toccante la storia del contrasto tra il ricco Filemone e lo schiavo Onesimo, abituato a rubare. San Paolo converte entrambi: Onesimo è affrancato dalla schiavitù. Diventano vescovi e martiri.  Altro vescovo e martire di questa terra è Sant’Ignazio di Antiochia, innamorato di Cristo e della Chiesa insiste sulla centralità dell’Eucaristia. Durante la persecuzione dell’imperatore Traiano nel 107 viene condotto a Roma per essere divorato dalle belve. Celebri le sue parole: “Sono frumento di Dio e sarò macinato dai denti delle fiere per divenire pane puro di Cristo. Supplicate Cristo per me, perché per opera di queste belve io divenga ostia per il Signore”. Sempre del secondo secolo è Sant’Ireneo, nato a Smirne, diventato poi vescovo di Lione. Dinanzi al pullulare delle eresie afferma la necessità dell’unità della fede in comunione col vescovo di Roma. Fa sentire la sua voce tra due correnti opposte: i fanatici montanisti, che predicavano una fede irrazionale votata al martirio a tutti i costi, e i razionalisti gnostici che pretendevano di essere salvati attraverso una conoscenza individuale del divino, una sorta di filo diretto con Dio senza mediazioni umane. Parla con franchezza: muore martire. Nasce a Smirne anche San Policarpo, amico di Ireneo. Ormai 86enne viene condotto sul patibolo nello stadio della città durante una persecuzione. Il governatore romano di Smirne cerca di salvarlo, gli implora di rinnegare la fede. Ma Policarpo grida ad alta voce davanti a tutti: “Sono cristiano”. E viene ucciso. Il  quarto secolo è l’epoca dei grandi Santi della Cappadocia: San Gregorio Nazianzeno e San Gregorio di Nissa, mistici e teologi. E poi San Basilio Magno, che distribuisce i suoi beni ai poveri, per condurre vita monastica nel deserto. Forti i suoi moniti ai ricchi: “se non nutri colui che sta morendo di fame, tu l’hai ucciso!”. Grande difensore dei poveri e dei deboli è stato anche San Giovanni Crisostomo, Patriarca di Costantinopoli, celebre per la sua capacità oratoria. Punta il dito contro lo sfarzo del clero del tempo dicendo: “Vuoi onorare il Corpo di Cristo? Non permettere che sia oggetto di disprezzo nelle sue membra, cioè nei poveri. Che vantaggio può avere Cristo se la mensa del sacrificio è piena di vasi d’oro, mentre poi muore di fame nella persona del povero? Prima sazia l’affamato e solo dopo orna l’altare con quello che riamane”. Questo gli  procura dei nemici fino al punto di essere costretto all’esilio. Ma la fede di San Giovanni Crisostomo non vacilla: “Anche se tutto il mondo è sconvolto – affermava – non temo nulla: né morte, né esilio, né confisca di beni, perché Gesù è la mia sicurezza e la mia difesa. Lui è la mia roccia”.

 

La storia dei santi di questa terra continua lungo i secoli, spesso sconosciuta o dimenticata. Si arriva al 5 febbraio scorso quando don Andrea Santoro, sacerdote fidei donum, uomo del dialogo e della pace, viene ucciso mentre è in preghiera nella Chiesa di Santa Maria a Trebisonda. La madre di don Andrea perdona l’assassino.

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Accompagnerà il Papa in Turchia anche il cardinale Ignace Moussa I Daoud prefetto della Congregazione per le Chiese orientali. In proposito, il porporato ha rilasciato questa dichiarazione a Giovanni Peduto:

 

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“Sono lieto di tornare in Turchia al seguito del Santo Padre Benedetto XVI, dopo il mio pellegrinaggio del maggio 2004 per il 25° anniversario della visita del compianto Papa Giovanni Paolo II. Ad Antiochia, la prima sede di Pietro e del Vescovo S. Ignazio, di cui porto il nome dalla mia elezione a Patriarca Siro-cattolico di Antiochia, ho celebrato in rito e lingua siriaca, quella parlata da Gesù. La Turchia vanta una speciale memoria della Madre del Signore, degli Apostoli, dei Padri. E’ la terra di insigni sedi patriarcali e dei grandi Concilii. E’ stata il luogo privilegiato di incarnazione della fede cristiana. In essa il cristianesimo ha accolto in sé culture e sensibilitá diverse che lo hanno distinto lungo i secoli dando origine a quella fioritura di teologie e di riti che ne fanno tuttora un fenomeno pluralista. Tradizioni millenarie sono ancora vive: in Turchia sono rappresentati tutti i riti cristiani, ad eccezione soltanto dei riti copto, siromalabarese e malankarese. La Chiesa cattolica ha una fisionomia composita che si riflette nella conferenza episcopale. Di essa fanno parte tre vescovi latini, due vescovi armeni cattolici, un vicario patriarcale siro-cattolico ed un vicario patriarcale caldeo. In Anatolia c’è un delegato per i maroniti, e sono presenti anche i greco-cattolici. Ma l'assenza di luoghi di culto al di fuori dei grandi centri e l’enorme estensione delle circoscrizioni ecclesiastiche impedisce statistiche complete. Un leggero incremento è prodotto da cattolici, prevalentemente tedeschi che, avendo acquistato abitazioni sulla costa egea, risiedono stabilmente in Turchia o altri che vi rimangono per lavoro. I vescovi danno un numero di cattolici che oscilla attorno alle 30.000 unità. Sembra sia definitivamente passato il tempo del progressivo calo della presenza cattolica. L'auspicio é che la Turchia, culla del cristianesimo, resti terra di fraterno dialogo tra le religioni e le culture”.

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DA OGGI A SABATO PROSSIMO IN VATICANO

LA CONFERENZA INTERNAZIONALE DEL PONTIFICIO CONSIGLIO

PER LA PASTORALE DELLA SALUTE,

SUGLI ASPETTI PASTORALI DELLA CURA DELLE MALATTIE INFETTIVE

- Intervista con il cardinale Javier Lozano Barragán -

 

          Si svolge in Vaticano - nell’Aula Nuova del Sinodo - da oggi a sabato prossimo, la XXI Conferenza internazionale del Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute, sul tema ‘Gli aspetti pastorali della cura delle malattie infettive’. Obiettivo dell’iniziativa è quello di divulgare il magistero ecclesiale sugli aspetti spirituali e morali che riguardano quanti soffrono a causa di queste malattie e di manifestare la sollecitudine della Chiesa verso i malati. Per una riflessione sulla dimensione globale delle malattie infettive, Giovanni Peduto ha intervistato il presidente del dicastero vaticano, il cardinale Javier Lozano Barragán:

 

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R. – In un tempo recente si pensava che queste malattie riguardassero soltanto i Paesi sottosviluppati. Ma, dato che i virus ed i microbi non hanno, in realtà, frontiere e questo lo possiamo ormai notare ovunque, le malattie infettive rappresentano ormai una delle cause più frequenti della morte nel mondo. Si tratta, perciò, di un qualcosa di molto esteso e di cui dobbiamo aver cura, perché soltanto così riusciamo ad adempiere il mandato del Signore, che ci ha inviato a curare i malati.

 

D. – Eminenza, in questo campo cosa può fare la Chiesa?

 

R. – Di fatto ha tanti centri di cura, 113 mila centri di salute nel mondo, dove si curano tutte queste malattie. Non possiamo certo dire cosa la Chiesa potrà fare nel futuro, ma possiamo certamente dire cosa sta facendo nel presente. La Conferenza internazionale che teniamo ogni anno non viene fatta per suscitare l’azione della Chiesa, ma per illuminarla ancora di più e renderla più proficua e più efficace.

 

D. – Quando si parla di curare le malattie si parla ovviamente anche di farmaci e molti di questi hanno oggi costi così elevati…

 

R. – Purtroppo, sì. L’accordo di Doha è di alcuni anni fa. L’Organizzazione Mondiale del Commercio non è che non stia rispondendo, ma il problema è che la lobby delle compagnie farmaceutiche degli Stati Uniti ha fatto pressione in tal senso affinché non si arrivi alla ratifica di questi accordi di Doha, soprattutto di quello che si chiama Trips, nel quale si evidenziava come alcuni farmaci non dovessero essere soggetti a brevetti. Questo è certamente un argomento più esteso ed anche più complicato, ma bisogna dire che queste compagnie farmaceutiche, queste lobby hanno praticamente fatto in modo che alcuni medicinali non siano fruibili in tanti Paesi praticando dei prezzi altissimi anche per i Paesi poveri. La conseguenza di tutto questo è che tante persone nel mondo muoiono per la mancanza di medicinali. Questo è un appello molto forte che oggi lanciamo, affinché non ci siano traffici sul dolore umano.

 

D. – Eminenza una sua parola di speranza per quanti sono colpiti dalle malattie infettive?

 

R. – Che sappiano che il Santo Padre è sempre al loro fianco, che si preoccupa di tutti quanti loro mediante questo Pontificio Consiglio, ha una cura speciale per loro e che siamo loro accanto specificatamente con la Fondazione del Buon Samaritano, che è stata fondata da Giovanni Paolo II e confermata da Benedetto XVI, e destinata proprio alla cura dei malati meno protetti del mondo. Adesso ci stiamo occupando dei malati di AIDS, ma con l’AIDS viene anche la tubercolosi, viene la malaria, viene l’epatite e tante altre malattie e molte delle quali sono proprio di tipo infettivo. Noi continueremo a fare del nostro meglio per portare avanti il lavoro di questa Fondazione e fare in modo che questa Fondazione sia sempre più forte, permettendoci così di soccorrere un numero sempre maggiore di malati.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Servizio vaticano - La visita dell'Arcivescovo di Canterbury al Papa.

 

Servizio estero - Libano: imponente partecipazione di popolo ai funerali di Pierre Gemayel a Beirut. Una commissione dell'ONU parteciperà alle indagini sull'omicidio.

 

Servizio culturale - Un articolo di Marco Impagliazzo dal titolo "Il malinteso senso del 'nuovo' ": in un volume gli scritti di Paolo VI sul Concilio Vaticano II.

 

Servizio italiano - In primo piano il tema della finanziaria.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

23 novembre 2006

 

 

 

SI CHIUDE DOMANI A NOVARA LA MOSTRA “DISABILI ALL’UNIVERSITA’”

PROMOSSA DALLA COMUNITA’ DI SANT’EGIDIO CON L’OBIETTIVO DI FINANZIARE

 I PROGETTI DI TERAPIA DELL’AIDS IN AFRICA

- Intervista con Daniela Sironi -

 

“Disabili all’Università”: è questo il titolo di una mostra in corso a Novara, presso l’Università del Piemonte Orientale, che si chiude domani. L’esposizione, promossa dalla Comunità di Sant’Egidio, è costituita interamente da opere realizzate da artisti disabili. Tema dell’iniziativa è l’Africa: natura, popoli, guerre e pace, povertà, aspettative. Ma qual è il messaggio che si vuole lanciare con quest’iniziativa? Ada Serra lo ha chiesto a Daniela Sironi, responsabile della Comunità di Sant’Egidio a Novara:

 

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R. - Innanzitutto, l’idea di portare i disabili all’università, che in genere è interdetta a loro non tanto per le barriere architettoniche ma perché, trattandosi di disabili mentali, difficilmente hanno accesso alle strutture universitarie. Una grande mostra di pittura perché i disabili possano insegnare a tutti la forza dei valori umani e la forza di una ricchezza interiore che rende gli umani tali. Ci sembra che sia decisivo, per la formazione dei giovani, l’incontro con la disabilità nella sua grande ricchezza e profondità umana. Una mostra di pittura perché anche chi non può parlare può esprimersi pienamente attraverso una creazione artistica.

 

D. - Perché l’Africa come tema dell’iniziativa?

 

R. – In questa mostra si uniscono due debolezze: quella dei disabili, evidente e che non si può nascondere, e quella dell’Africa, che è un continente abbandonato e la cui debolezza non si può nascondere. Noi crediamo che nell’amicizia, due debolezze che si incontrano diventano una forza. Gran parte delle opere che sono state prodotte dai disabili sono state vendute e il ricavato della vendita viene utilizzato per finanziare un progetto di terapia dell’AIDS, il progetto “Dream” della Comunità di Sant’Egidio. Per questo, come dicono anche i disabili: “anche noi possiamo dire che non c’è nessuno così debole da non poter aiutare chi è più debole di lui”.

 

D. – Come si concretizza l’impegno della comunità di Sant’Egidio a favore della disabilità?

 

R. – Devo dire che è una storia di amicizia, una storia d’amore che dura da oltre 30 anni, attraverso l’incontro con migliaia di disabili in tutta Europa, ma oggi anche in altri continenti del mondo. I disabili hanno dei luoghi di incontro, le case di Pulcinella, in cui possono incontrarsi, fare festa, vivere insieme la vita quotidiana e imparare a dipingere.

 

D. – Riflettendo sulla vicenda del video sul ragazzo affetto da sindrome di Down, picchiato a Torino, come educare le nuove generazioni all’accoglienza e al rispetto dei disabili?

 

R. – Io credo che questo sia un tema decisivo. I disabili nella scuola possono essere una grande occasione per una grande lezione di umanità per tutti. Credo che la sfida della scuola sia decisiva a partire proprio dai disabili. I saperi non sono sufficienti quando non sono coniugati con un profondo senso di umanità e i disabili dentro la scuola sono esattamente maestri di questo, con le loro domande ma anche con le loro offerte di umanità.

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CHIESA E SOCIETA’

23 novembre 2006

 

 

MESSICO: I VESCOVI PREOCCUPATI PER IL CLIMA DI TENSIONE CHE STA VIVENDO

IL PAESE DOPO LE ULTIME ELEZIONI E PER GLI SCONTRI NELLO STATO DI OAXACA

 

CITTÀ DEL MESSICO. = I vescovi del Messico hanno espresso in un documento la loro forte preoccupazione per i conflitti sociali e politici post-elettorali che si stanno verificando nel Paese. “La pace non è soltanto l’assenza di guerra bensì uno stato di vita che permette di vivere in armonia con Dio, con gli altri e con sé stessi” scrivono i presuli nel messaggio pubblicato al termine della 82.ma Assemblea plenaria, durante la quale, tra l’altro, sono state rinnovate le cariche per il prossimo triennio. L’episcopato, in particolare, ha richiamato l’attenzione su quanto sta accadendo da mesi nello Stato di Oaxaca e su altre dolorose realtà che colpiscono la società messicana, come “il deleterio potere dei narcotrafficanti, la crudeltà dei loro crimini nonché l’insicurezza sociale che la violenza ha generato in tutto il Paese”. Tra le cause di questi fenomeni la Conferenza episcopale denuncia la crescente “mancanza di rispetto per la legge e per le istituzioni e, soprattutto, l’assenza di valori morali, universali e perenni, come la verità, il bene, la giustizia, il rispetto e la promozione della persona e dei diritti umani”. In tale contesto, i presuli, ancora una volta, esortano “tutti gli attori sociali”, partiti politici e cittadini, “a non esacerbare le differenze, ad allontanarsi da ogni tipo di violenza, a non incentivare i conflitti e a privilegiare il dialogo, favorendo il raggiungimento di accordi e sapendo offrire anche il perdono”. Circa la realtà che attualmente il Messico sta vivendo, i vescovi affermano che si devono affrontare i nuovi tempi “senza atteggiamenti estremisti di antagonismo”. Viene poi riaffermata la necessità di “costruire una Nazione più unita e più giusta” e di perfezionare la democrazia “che è in discussione” e che “richiede solidi fondamenti morali e giuridici”. I presuli considerano pure fondamentale promuovere un vero sviluppo integrale nell’ordine economico, che consenta a tutti di condurre “una vita degna e soddisfacente”. Fra le priorità nelle quali tutti devono impegnarsi, i vescovi segnalano: l’educazione, la lotta alla povertà, la sicurezza pubblica e, soprattutto, l’onestà e la trasparenza. Infine i vescovi tornano ad alzare la loro voce contro il muro eretto alla frontiera con gli Stati Uniti, perché ritengono non risolva i problemi dell’immigrazione, e lanciano un appello perché venga stipulato “un accordo migratorio con gli Stati Uniti che si esprima in una legislazione giusta”. (L.B. – T.C.)

 

 

LA DIFFUSIONE DELL’AIDS HA RAGGIUNTO IN AFRICA LIVELLI ALLARMANTI E NELL’AREA SUB-SAHARIANA 24,5 MILIONI DI PERSONE CONVIVONO CON LA MALATTIA.

I VESCOVI AFRICANI: OCCORRE RESPONSABILIZZARE DI PIÙ LA GENTE E COINVOLGERE LA COMUNITÀ INTERNAZIONALE

 

ACCRA. = La diffusione dell’AIDS e del virus HIV e le condizioni che ne permettono la propagazione in Africa hanno raggiunto livelli allarmanti. In un messaggio per la Giornata Mondiale dell’AIDS, che si celebra il 1° dicembre, il Simposio delle Conferenze Episcopali di Africa e Madagascar (SECAM), scrive l’agenzia Fides, sottolinea che “le statistiche da sole riportano una storia devastante”. Secondo il rapporto di quest’anno dell’UNAIDS (l’organizzazione delle Nazioni Unite per la lotta all’AIDS), 24,5 milioni di persone, su una popolazione totale di 774 milioni dell’Africa sub-sahariana, convivono con il virus HIV e l’AIDS. Quasi tutti i Paesi del sub-continente hanno una percentuale d’infezione di gran lunga superiore all’1 per cento, la soglia oltre la quale si parla di epidemia, e il tasso medio di diffusione tra la popolazione dai 15 ai 49 anni è del 6,1 per cento. Mons. John Onaiyekan, arcivescovo di Abuja e presidente del Simposio dice che “nonostante i validi sforzi educativi, molte persone rimangono ignoranti sul problema dell’AIDS o persistono nel negarne l’esistenza”. “Nonostante una maggiore disponibilità di cure – spiega il presule – sempre più persone muoiono. Nonostante i servizi offerti, troppe persone sieropositive e malate vivono ancora in condizioni disperate che annientano le loro condizioni di vita”. Di fronte a questa situazione drammatica, i vescovi, “riecheggiando l’insegnamento di Papa Benedetto XVI”, incoraggiano “ognuno a considerare le cause profonde della pandemia, che non sono solo mediche. Un approccio che tenga solo conto della sanità pubblica è necessario ma non sufficiente”. L’episcopato ribadisce che, rivolgendosi la missione della Chiesa alla persona, in tutte le dimensione della vita, occorre rivitalizzare la speciale responsabilità sui forti valori morali della società. “Le problematiche sociali e il Vangelo sono inseparabili - ha osservato il presidente del SECAM - non è sufficiente offrire alle persone solo conoscenze, capacità, abilità, competenze tecniche e strumenti. Come ricorda Papa Benedetto XVI, occorre anche e soprattutto la cura amorosa”. Mons. Onaiyekan è soddisfatto per l’attenzione dimostrata dalla comunità internazionale alla tragedia della pandemia, ma ricorda, citando Giovanni Paolo II, che “le promesse fatte ai poveri sono debiti che devono essere pagati, gli impegni presi devono essere onorati in un tempo ragionevole”. Dal canto suo, si afferma nel messaggio, la Chiesa ribadisce il suo impegno ad educare e pregare senza tregua. “Continueremo a sfidare i nostri fedeli di ogni età e di ogni condizione – concludono i vescovi – ad esercitare la loro responsabilità personale e comunitaria”. (T.C.)

 

 

IL CENTRO INTERNAZIONALE DI ASSISI PER LA PACE TRA I POPOLI CONSEGNA OGGI

A SALERNO AL CARDINALE RENATO RAFFAELE MARTINO IL PREMIO “PELLEGRINO

DELLA PACE”, RISERVATO A PERSONALITÀ DI RILIEVO MONDIALE PER OPERE

IN FAVORE DELL’AMICIZIA E DELLA SOLIDARIETÀ INTERNAZIONALE

 

SALERNO. = Il prestigioso “bronzo di Norberto”, simbolo del riconoscimento internazionale ‘Pellegrino della Pace’, viene consegnato oggi a Salerno al cardinale Renato Raffaele Martino, presidente dei Pontifici Consigli della Giustizia e della Pace e della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti. Ad iniziativa del Centro internazionale di Assisi per la pace tra i popoli, il riconoscimento viene attribuito ogni anno (si tratta attualmente della XVIII edizione) a personalità che abbiano lavorato intensamente per favorire l’amicizia e la solidarietà tra i popoli. Nel 1988 è stato attribuito a Michail Gorbaciov e negli anni seguenti, tra gli altri, a: Pérez de Cuellar, segretario generale dell’ONU; Giovanni Paolo II; Luciano Pavarotti; Helmut Kohl; Madre Teresa di Calcutta, Ernesto Olivero, Francesco Paolo Fulci, Kofi Annan, Bill Gates e Fatos Nano. Nella sua città natale, in un giorno per lui significativo, quello del 74.mo compleanno, il cardinale Renato Raffaele Martino viene premiato per i decenni di infaticabile attività, prima come nunzio apostolico, poi come rappresentante della Santa Sede per 16 anni alle Nazioni Unite - per la sua attiva partecipazione in particolare alle Conferenze internazionali dell’ONU - ed ora come presidente dei due dicasteri vaticani in special modo impegnati nella promozione della giustizia e della pace, nonché dell’aiuto solidale e fraterno a migranti e itineranti, soprattutto rifugiati e sfollati e studenti esteri in situazioni di disagio. Il conferimento del premio, alla presenza delle massime autorità civili e religiose della città e della provincia, avverrà nella chiesa dell’Immacolata, dove 60 anni fa il giovane Renato Raffaele Martino vestì l’abito di terziario francescano, iniziando il lungo cammino di “pellegrino della pace” sulle orme del Poverello d’Assisi. (P.S.)

 

 

COSTRETTA A CHIUDERE, A CAUSA DI MINACCE ED ESTORSIONI,

LA CARITAS DI MOSUL. DALL’INIZIO DELLA GUERRA IN IRAQ OFFRIVA AIUTO SOPRATTUTTO AI SENZATETTO

 

MOSUL. = La Caritas di Mosul, in Iraq, chiude i battenti. In seguito alle continue intimidazioni e alle insistenti richieste di versare denaro per finanziare un gruppo islamico locale, la struttura ha sospeso le sue attività. A raccontarlo all’agenzia AsiaNews è una delle operatrici, costrette a lasciare la città per paura di ritorsioni. La donna, che ha chiesto l’anonimato, ha lavorato come ricercatrice sociale presso l’organismo della Chiesa cattolica dal 1995 fino a settembre scorso. “I primi del mese – ricorda – il nostro responsabile ha ricevuto una telefonata a casa da un gruppo islamico che non si è identificato con un nome. Prima hanno cominciato a recitare un brano dal Corano, dopo hanno chiesto del denaro per sostenere la resistenza all’occupazione americana dell’Iraq”. “Noi – continua la donna - abbiamo cercato di spiegare che come Caritas non abbiamo fondi per le nostre attività, se non le donazioni dei fedeli, che ci aiutano a sostenere solo i più bisognosi”. Mentre le minacce si facevano più insistenti il direttore ha detto loro che la Caritas poteva dare solo 1 milione di denari iracheni, ma non di più. “Naturalmente non era sufficiente e ci hanno chiesto di aumentare la somma, ma dopo l’ennesimo rifiuto da parte nostra si sono convinti e hanno accettato l’offerta; non abbiamo avuto scelta, ma il Centro ha dovuto chiudere, in queste condizioni era impossibile continuare”. La Caritas di Mosul, che dall’inizio della guerra non aveva mai interrotto le sue attività, si occupava soprattutto dei senza tetto e il 90 per cento del suo lavoro interessava la popolazione musulmana. Il lavoro della Caritas continua comunque a Baghdad, nei villaggi cristiani della provincia di Niniveh e nel Kurdistan. (T.C.)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

23 novembre 2006

 

 

- A cura di Amedeo Lomonaco e Ada Serra -

 

In Iraq, almeno 30 miliziani hanno attaccato la sede del ministero della Sanità. Lo riferiscono fonti locali aggiungendo che l’assalto ha causato diverse vittime. Sempre a Baghdad, le forze americane hanno ucciso quattro civili iracheni durante un’operazione condotta tra le strade di un quartiere sciita per liberare un soldato statunitense preso in ostaggio da un gruppo di ribelli. Nella capitale la polizia ha poi trovato, nella notte, altri trenta cadaveri di iracheni torturati. E’ stata smentita, intanto, la notizia di una visita a sorpresa in Iraq del vicepresidente americano Cheney.

 

In Medio Oriente, cinque palestinesi – tre militanti e due civili - sono stati uccisi stamani nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania da soldati israeliani. Un’altra incursione dei militari dello Stato ebraico si è verificata a Beit Lahiya, dove è rimasto ucciso un giovane palestinese di 19 anni. Intanto, il governo israeliano ha autorizzato il proseguimento della pressione militare sulla Striscia di Gaza, includendo tra le misure anche le ‘uccisioni mirate’. Non è comunque prevista, almeno in questa fase, una massiccia offensiva dell’esercito.

 

L’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA) ha respinto la richiesta di assistenza dell’Iran per la costruzione di un reattore nucleare ad acqua pesante ad Arak, a 200 chilometri da Teheran. La decisione è stata presa questa mattina dal Consiglio dei governatori, riunito a Vienna in Assemblea plenaria. Il motivo del rifiuto, che in ogni caso potrà essere rivisto in futuro, è legato al timore che nell’impianto l’energia nucleare non sia prodotta a fini civili. Poco prima dell’annuncio da Vienna, il ministro degli Esteri iraniano, Manouchehr Mottaki, aveva affermato: “uno dei doveri dell’AIEA è dare il suo aiuto. Se ce lo daranno lo apprezzeremo altrimenti andremo avanti da soli”.

 

In Pakistan, cristiani, indù, sikh e rappresentanti di altre fedi hanno manifestato contro l’approvazione di una legge accusata di revocare decreti talebani. Lo riferisce l’Agenzia AsiaNews precisando che la marcia di protesta è avvenuta domenica scorsa in una provincia pachistana nord orientale al confine con l’Afghanistan. Il controverso disegno di legge istituisce la figura di una sorta di garante religioso chiamato a vigilare sull’aderenza dei cittadini ai valori islamici e alla sharia.

 

In Indonesia, si moltiplicano le denunce all’agenzia governativa che gestisce i fondi per la ricostruzione delle province devastate dallo tsunami del 26 dicembre del 2004. Secondo varie fonti, è stata spesa solo una minima parte dei fondi a disposizione. Lo scorso agosto, sono state denunciate gravi irregolarità e casi di corruzione in almeno 5 dei maggiori progetti. La magistratura, intanto, sta esaminando le denunce e la procura sta studiando alcuni casi di funzionari pubblici, accusati di aver aumentato i costi per potersi appropriare di parte dei fondi. Nella sola provincia di Aceh e nella zona circostante, lo tsunami ha causato oltre 167 mila morti, 37 mila dispersi, oltre 500 mila sfollati e ingenti danni.

 

In Olanda appare scontata la riconferma del premier uscente, Jan Peter Balkenende, dopo le elezioni politiche di ieri: il suo partito dei cristiano-democratici ha conquistato, infatti, la maggioranza relativa ottenendo 41 seggi su 150. Lo ha reso noto la commissione elettorale dell’Aja precisando che è stato scrutinato quasi il 97 per cento dei voti. Le elezioni hanno fatto anche registrare il netto calo di laburisti e liberali che hanno ottenuto, rispettivamente, 32 e 22 seggi. Hanno invece riportato chiari successi i socialisti, con 26 seggi, e il partito della Libertà di estrema destra, che ha conquistato 9 seggi. Dai risultati delle elezioni di ieri in Olanda emerge poi l’affermazione di un fronte anti immigrazione, fortemente critico nei confronti dei flussi migratori provenienti dal mondo islamico. Sulle ragioni di tale risultato, Giada Aquilino ha intervistato Marc Leijendekker, responsabile delle pagine di opinione del quotidiano NRC Handelsblad di Rotterdam:

 

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R. – L’appoggio della gente c’è ed è stato ancora più grande del previsto. Evidentemente c’è ancora un risentimento abbastanza forte, per quanto riguarda i cambiamenti degli ultimi 20 anni, dovuti all’afflusso massiccio di gente proveniente soprattutto dalla Turchia e dal Marocco. Questo risultato è evidente soprattutto nelle grandi città, con le scuole che vedono una maggioranza di persone non nate in Olanda o che non parlano bene l’olandese, con problemi di cultura, di trattamento diverso delle donne. C’è una parte consistente degli olandesi che si oppone a tali cambiamenti. Ma, per fortuna, c’è una parte ancora più grande che dice: “La situazione sta cambiando. Dobbiamo dialogare e vedere cosa possiamo fare per vivere meglio insieme”.

 

D. - Nessun partito ha la maggioranza assoluta. Quanto ci vorrà per formare il nuovo governo?

 

R. – E’ molto difficile dirlo. Abbiamo avuto in questi anni un governo tra i cristiano democratici e i liberali. Adesso i liberali hanno perso. Sarebbe logico, dunque, un governo tra i cristiano democratici e i partiti della sinistra. Durante la campagna, però, gli attacchi reciproci sono stati abbastanza feroci, abbastanza forti. Ci vuole allora un po’ di tempo per guarire e dopo si vedrà se vincerà il senso del realismo – perché non ci sembrano essere altre soluzioni – o questo risentimento sarà troppo forte per arrivare ad un esecutivo tra questi due grandi schieramenti.

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Radici storiche dello schiavismo, gestione dei flussi immigratori, diritto dei popoli a spostarsi: sono questi i temi affrontati dal leader libico Muhammar Gheddafi, nel discorso tenuto ieri sera, al primo vertice Unione Europea - Unione Africana su immigrazione e sviluppo. L’incontro, in corso da ieri a Tripoli, è finalizzato alla promozione di un partenariato strategico fra Paesi d’origine, transito e destinazione dei migranti. A margine dell’incontro, proseguono intanto i colloqui tra Italia e Libia sul progetto ‘Frontex’, un accordo bilaterale per il pattugliamento misto delle coste.

        

L’ipotesi di una guerra tra l’esercito etiope e le corti islamiche, che controllano gran parte della Somalia, rischia di diventare una drammatica realtà. Nella regione, dove la tensione è alta anche tra Ciad e Sudan, è sempre più grave, poi, la situazione umanitaria della martoriata regione sudanese del Darfur. Il nostro servizio:

 

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Diventa sempre più reale l’incubo di una guerra tra esercito etiope e guerriglieri islamici: il premier dell’Etiopia ha annunciato che il suo Paese è pronto ad un conflitto contro le milizie fedeli alle corti islamiche somale. Il primo ministro ha spiegato che è fallito ogni tentativo di instaurare il dialogo con il movimento integralista. Per questo, ha aggiunto, sono stati completati i preparativi per affrontare eventuali ostilità. Sull’altro versante, le milizie islamiche che controllano Mogadiscio e gran parte del centro e del sud della Somalia, hanno già dichiarato la ‘jihad’ contro l’Etiopia, accusata di aver schierato le proprie truppe a protezione del governo transitorio somalo, insediato a Baidoa. Alle minacce sono già seguiti i primi scontri: domenica scorsa, sei soldati etiopi sono morti in seguito ad un attacco sferrato da guerriglieri delle corti islamiche. Il rischio di una guerra regionale rende ancora più critica anche la drammatica situazione umanitaria nel vicino Darfur, dove ogni giorno muoiono, secondo l’ultimo rapporto dell’UNICEF, 80 bambini sotto i 5 anni. Nel testo l’organizzazione umanitaria sottolinea che nonostante gli aiuti, gli appelli e le pressioni internazionali, donne e bambini continuano ad essere vittime di violenze. Attualmente, almeno 4 milioni di persone - circa due terzi della popolazione del Darfur - subiscono direttamente le conseguenze di questa tragedia: di queste, 2 milioni vivono in circa 700 campi di sfollati. A completare l’inquietante quadro di questa martoriata zona d’Africa c’è, infine, il recente annuncio dell’esecutivo del Ciad di voler inviare proprie truppe nella Repubblica Centrafricana per fermare le offensive dei ribelli appoggiati, secondo N’Djamena, dal governo sudanese.

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Un ostaggio britannico, due sequestratori e un soldato nigeriani uccisi. E’ il tragico epilogo del blitz condotto ieri da forze speciali della Nigeria per liberare sette tecnici petroliferi rapiti lunedì scorso. In Nigeria, ottavo produttore mondiale di petrolio, molti ribelli fanno parte del cosiddetto ‘Movimento di emancipazione del delta del Niger’, che chiede al presidente Obasanjo una distribuzione più equa dei proventi del greggio.

 

In Mauritania, almeno un milione di persone si è recato alle urne domenica scorsa per le elezioni parlamentari, le prime dopo il colpo di Stato dell'agosto 2005. Per il Paese africano si tratta della prima tappa verso la democrazia, un processo avviato dalla giunta militare al potere che culminerà con le elezioni presidenziali previste per il marzo 2007. Lo scrutinio è cominciato subito dopo la chiusura dei seggi sotto la sorveglianza di oltre 500 osservatori internazionali e della Mauritania. I risultati provvisori dovrebbero arrivare già entro stasera.

 

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