RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno L n. 327 - Testo
della trasmissione di giovedì 23 novembre
2006
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
Il dolore del Papa per la sciagura mineraria in Polonia che ha causato la morte di 23 minatori
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Messico:
i vescovi preoccupati per il clima di tensione che sta vivendo il Paese
Secondo
l’ONU la diffusione dell’Aids ha raggiunto in Africa livelli allarmanti
Costretta
a chiudere, a causa di minacce ed estorsioni, la Caritas
di Mosul
In Iraq, attaccato da miliziani il ministero della
Sanità
23 novembre 2006
FRATERNO INCONTRO IN VATICANO TRA
BENEDETTO XVI E IL PRIMATE ANGLICANO
ROWAN WILLIAMS: AL CENTRO
DEL COLLOQUIO GLI SVILUPPI POSITIVI
DEL DIALOGO ECUMENICO E LE
NUOVE DIFFICOLTA’
IN TEMA DI MORALE E MINISTERO ORDINATO
- Intervista con l’arcivescovo Rowan
Williams -
Il Papa ha ricevuto questa mattina il
Primate della Comunione anglicana, arcivescovo di Canterbury, Rowan Williams. Sempre stamane,
il Primate ha avuto anche un momento di preghiera in San Pietro, un colloquio
con il Segretario di Stato, cardinale Tarcisio Bertone,
e la
Celebrazione dell'Ora Media
nella cappella Redemptoris Mater.
Sulle parole del Papa e sulla dichiarazione
congiunta firmata con il Primate anglicano Williams, il servizio di Fausta
Speranza:
**********
Parole di ringraziamento per tutto il
positivo vissuto negli ultimi 40 anni, dall’incontro tra Paolo VI e
l’arcivescovo Ramsey che segnò l’avvio del dialogo dopo
secoli di incomprensioni. E poi l’attenzione particolare per i “recenti
sviluppi” e le possibili scelte che la Comunione anglicana è chiamata a fare
nel prossimo futuro. Tutto ciò è al centro delle parole del Papa al Primate
anglicano, con la consapevolezza dichiarata che “molte negative influenze e
pressioni cadono sui cristiani e sulle comunità cristiane”, specialmente nel
“secolarizzato mondo occidentale”.
Benedetto XVI auspica “una piena e
visibile unità” quale obiettivo, e sottolinea che bisogna rendere grazie a Dio
per i passi fatti, ricordando le amichevoli e buone relazioni tra anglicani e
cattolici in molti luoghi, che hanno creato quello che definisce “un contesto
nuovo”.
“Over the last three years you
have spoken openly …”
Negli ultimi tre anni – dichiara il Papa – si è “parlato
apertamente delle tensioni e delle difficoltà” nell’ambito della Comunione
anglicana. Ricorda i “recenti sviluppi in particolare riguardo il ministero ordinato e alcuni insegnamenti morali” che –
afferma il Papa – toccano le relazioni interne al mondo anglicano ma anche le
relazioni con la Chiesa cattolica.
Il Papa sottolinea che le scelte che
la Comunione anglicana farà su queste questioni, che sono attualmente materia
di dibattito interno, sono di vitale importanza per la predicazione del Vangelo
nella sua integrità:
“Your
current discussions will shape the future of our relations.”
Aggiungendo che dunque “daranno forma
al futuro delle relazioni” con i cattolici. In definitiva, l’invito a
continuare il dialogo, nella consapevolezza che “il mondo ha bisogno della
nostra testimonianza e della forza che viene dalla proclamazione senza
divisioni del Vangelo”.
Per quanto riguarda l’intervento del
Primate, c’è innanzitutto
un’affermazione:
“Only a firm foundation of friendship in Christ will
enable us …”
Soltanto un fermo fondamento dell’amicizia in Cristo – ha
affermato - ci permetterà di essere onesti gli uni con
gli altri circa le difficoltà. Si trovano,
poi, parole di ringraziamento e apprezzamento per l’incontro nella sede di San
Pietro; il ricordo di Giovanni Paolo II e un particolare estremamente
significativo: l’anello che porto – afferma – è quello che Paolo VI consegnò
all’arcivescovo Ramsey e la Croce è quella ricevuta
in dono da Giovanni Paolo II. Simboli dell’impegno a “lavorare insieme per la
piena unità della famiglia cristiana”. Il primate sottolinea di essere venuto
“con spirito fraterno” e ricorda di essere stato toccato dal fatto che Benedetto
XVI all’inizio del suo Pontificato ha sottolineato l’importanza
dell’ecumenismo.
C’è poi la dichiarazione comune firmata stamane con il Papa. Anche lì il richiamo allo storico incontro tra Paolo VI e l’arcivescovo Michael
Ramsey. E poi l’affermazione che ci sono “molte aree
di testimonianza e servizio” in cui si può operare sempre più insieme, con un
impegno comune tra cattolici e anglicani per “la ricerca della pace in Terra
Santa” e contro la “minaccia del terrorismo”.
“Il vero ecumenismo – si legge – va al di là del dialogo teologico:
tocca le vite spirituali e la comune testimonianza”. Il tutto – si legge – mentre si ribadisce che l’attuale comunione è “reale
ma imperfetta”.
**********
In 40 anni il dialogo ecumenico tra cattolici e anglicani
ha registrato sviluppi positivi e nuove difficoltà. C’è chi ha parlato anche di
una sorta di “crisi” del dialogo. A questo proposito, ieri pomeriggio, Philippa Hitchen ha intervistato
lo stesso Primate anglicano Rowan Williams:
**********
R. – I wouldn’t at all characterize it as “crisis”;
i’d characterize it …
Non direi che è una “crisi”. Direi piuttosto – come ha
detto qualche volta il cardinale Murphy O’Connor – che si è raggiunto una sorta di piattaforma. Ho
passato la mattinata a ragionare del futuro del nostro dialogo, e abbiamo
chiarito con la maggior chiarezza possibile che non esiste alcuna interruzione
del processo di dialogo e che la speranza non si è affievolita. Quindi: non
credo sia una “crisi”; ci troviamo di fronte delle sfide, ma mi sembra che stiamo
procedendo nel dialogo con grande entusiasmo.
D. – Eppure, molte persone hanno l’impressione che il
grande entusiasmo, nato sulla scia del Concilio Vaticano II, in qualche modo
manchi ai rapporti attuali. Come potrebbe
essere possibile recuperare quello spirito positivo?
R. – I think perhaps in the wake of the Council, the
first round of expectations …
Penso che sulla scia del Concilio, le aspettative iniziali
siano state forse un po’ troppo alte: l’unità visibile da raggiungere nel corso
della nostra vita, e che probabilmente mai si verificherà! Penso invece che
l’entusiasmo che dobbiamo recuperare sia in due ambiti. Uno è quello che il
Pontificio Consiglio oggi definirebbe “ecumenismo fondamentale”, cioè ritrovare
la nostra identità comune di fronte alla cultura secolarizzata che ci circonda:
noi, in quanto depositari della Rivelazione, sappiamo cosa dobbiamo condividere
con la società in cui viviamo. Il secondo ambito è comprendere più
profondamente cosa praticamente possiamo fare per rispondere alle necessità del
mondo, come possiamo spendere le nostre risorse per far fronte all’immensa
crisi dell’umanità nei nostri giorni. Ce n’è abbastanza per
recuperare l’entusiasmo!
D. – Eppure, se guardiamo agli ostacoli che esistono in
questo dialogo, uno di questi è la disponibilità – all’interno della Chiesa
anglicana d’Inghilterra – a conferire l’ordinazione episcopale alle donne:
all’inizio di quest’anno, il cardinale Kasper aveva
detto che una decisione di questo tipo avrebbe generato un ostacolo praticamente
insormontabile nella ricerca della piena unità, come finora l’avevamo intesa …
R. – We’ve heard that and taken it very seriously, I
think. …
Ne abbiamo preso atto e lo consideriamo in termini molto
seri. Al tempo stesso, nella Chiesa d’Inghilterra stiamo conseguendo un
processo di riflessione teologica a lungo termine su questo argomento. Una
parte di questo processo è improntato alla nostra dedizione alla teologia del
ministero ordinato, che è stato esplicitato nei documenti dell’ARCIC. Ma io
credo che sia estremamente importante che noi procediamo nella riflessione.
Qualunque sia la decisione alla quale si possa giungere – e penso che il
cardinale Kasper possa essere d’accordo – qualsiasi
decisione si prenda, noi abbiamo comunque un linguaggio comune con il quale
discuterla e che si fonda sugli accordi che abbiamo già raggiunto.
D. – Lei ha portato un dono speciale a Benedetto XVI: ce
ne vuole parlare?
R. – We wondered quite a long time about what a sort
of gift we might present, but …
Ci siamo domandati a lungo quale tipo di dono avremmo
potuto portargli, poi abbiamo optato per qualche cosa che simboleggiasse
non soltanto i rapporti tra la Chiesa cattolico-romana e quella anglicana, ma
anche il più ampio mondo cristiano nel quale viviamo: questo mondo nel quale
anche le Chiese dell’Est hanno un ruolo. Abbiamo quindi chiesto ad un giovane
artista russo, pittore di icone, di realizzare un’icona speciale, commissionata
appositamente, che raffigurasse il Cristo tra San
Gregorio Magno e Sant’Agostino di Canterbury.
D. – Qui a Roma voi avete parlato di San Benedetto e della
sua Regola come una sorta di traccia per la coesistenza pacifica nell’Europa
contemporanea multiculturale: vuole condividere con
noi alcune delle vostre riflessioni?
R. – The ideas I was trying to elaborate speaking
about Saint Benedict …
Le considerazioni che intendevo elaborare nel parlare di
San Benedetto erano incentrati su tre punti fondamentali. Uno è che la Regola
benedettina parte dal presupposto che una vita culturale e individuale sana è
tale se in essa c’è il tempo per il lavoro – lavoro
produttivo –, per la conoscenza di sé e per la lode; e che ogni cultura che
riservi tanta importanza alla vita produttiva e di acquisizione di beni, nella
quale non ci sia più tempo per lo studio e la conoscenza di sé e nemmeno il
tempo per rendere lode a Dio è una cultura che cade al di sotto del livello
umano. Il secondo concetto che volevo elaborare era quello dell’obbedienza e la
maniera molto sottile in cui la Regola di San Benedetto descrive come l’abate,
la figura che rappresenta l’autorità nel monastero, debba essere egli stesso
modello di obbedienza a Dio e di obbedienza, in un certo senso, alla comunità:
in ascolto delle necessità della comunità e pronto a rispondere alle stesse.
Dobbiamo quindi meditare su come l’autorità è esercitata nella società e, in
generale, in Europa. Che sia un’autorità veramente in ascolto e pronta a
rispondere alle reali necessità, ma anche aperta a Dio. Il terzo punto: la
Regola di San Benedetto afferma che nella comunità benedettina ciascuno ha la
dignità di portare il proprio contributo, attraverso il proprio lavoro, le
proprie capacità particolari, la propria presenza e la propria esperienza.
Questo, credo, possa essere un messaggio importante per le società che si
trovano ad affrontare il problema delle minoranze, dei migranti, alla ricerca
di una via per cui tutte le voci trovino ascolto e
armonia all’interno della società. Ecco perché ritengo che la Regola sia un
documento estremamente attuale per l’Europa e per ciascuno di noi.
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MIGLIAIA DI PERSONE A BEIRUT PER IL FUNERALE DI PIERRE GEMAYEL, IL
MINISTRO CRISTIANO UCCISO MARTEDI’ SCORSO IN UN ATTENTATO. IN UN MESSAGGIO
LETTO
DURANTE
''LA
SOLIDARIETA' DI TUTTI I LIBANESI''
- Con noi mons. Béchara Raï -
Un “atto inqualificabile”: Benedetto XVI stigmatizza così
l’assassinio del giovane ministro libanese, il cristiano maronita Pierre Gemayel di cui stamani
sono state celebrate le esequie nella cattedrale di San Giorgio a Beirut. Il
Papa ha inviato un telegramma letto durante il rito funebre celebrato dal
cardinale Nasrallah Sfeir, Patriarca di Antiochia
dei Maroniti. Nel messaggio, il Papa invoca “la solidarietà di tutti i
libanesi”. “Noi tutti – scrive il Papa – siamo duramente provati da un atto
inqualificabile e chiedo al Signore di accogliere nella dimora del suo Regno
colui che si e' impegnato nella vita pubblica al servizio del suo Paese e dei
suoi fratelli libanesi”. Al popolo del Libano, chiede dunque “un rinnovato
impegno per la costruzione” di un Paese “autonomo e sempre più fraterno,
preoccupandosi di assicurare una partecipazione attiva di tutte le sue
componenti nella società nazionale”. Alle esequie di Gemayel,
ucciso in un agguato martedì scorso, hanno partecipato migliaia di persone. Tra
questi, i maggiori leader politici libanesi, il premier
Fuad Sinora, il druso antisiriano Walid
Jumblatt al filosiriano Nabih Berri, presidente del
Parlamento. Ma torniamo alle parole del Papa che già ieri all’udienza generale aveva parlato di “forze oscure” che vogliono distruggere il
Libano. Stefano Leszczynski ha intervistato mons. Béchara
Raï, vescovo di Byblos dei Maroniti.
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R. – Il popolo libanese è molto grato al Santo Padre per
questo suo indirizzo. La sua parola è stata molto confortante per i libanesi e
per la famiglia dell’assassinato, il ministro Gemayel. L’importante è che il Santo Padre
abbia accennato a delle forze oscure. Ci sono realmente, infatti, delle forze
oscure, che da 31 anni stanno distruggendo il Libano. Comunque, in Libano, il
popolo è più che mai unito e solidale. E l’appello alla calma, alla preghiera,
rivolto dal padre del ministro, l’ex presidente della Repubblica, Gemayel, ha creato
un’atmosfera di calma e di pace.
D. – Come vive la comunità dei cristiani, in Libano,
questa difficile situazione politica?
R. – Tutti i leader politici e religiosi del Libano,
musulmani e cristiani, hanno detto che questa strage, questa catastrofe,
colpisce tutti noi. Il ministro Gemayel è considerato come un figlio da tutte le nostre
famiglie, cristiane e musulmane.
D. – La presenza internazionale in Libano, con il
contingente UNIFIL, secondo lei ha contribuito ad una relativa calma nella
situazione o è ancora insufficiente come misura internazionale?
R. – La loro presenza nel sud ha fatto sì che Hezbollah non sia in diretto contatto con Israele. Per
questo noi siamo molto grati alla presenza di queste forze internazionali,
perchè stanno aiutando molto in questo campo.
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IL DOLORE DEL PAPA PER
CHE HA CAUSATO
Il Papa
ha espresso il suo
profondo dolore per la sciagura avvenuta martedì scorso nella
miniera di carbone di Halemba, in Polonia, nella
quale 23 minatori sono morti. In un telegramma, a firma del cardinale
segretario di Stato Tarcisio Bertone, inviato
all’arcivescovo di Katowice Damian Zimoń, il Pontefice affida le anime dei defunti “alla misericordia di Dio, chiedendo di accogliere
l’offerta della loro fatica e della vita e di introdurli nella Sua
gloria”. Quindi “con una cordiale
preghiera abbraccia le famiglie dei morti” e tutti coloro che piangono la loro
scomparsa. La tragedia è avvenuta a
causa dell’esplosione di grisù, che ha
sviluppato una temperatura di circa
INIZIATA
OGGI CON L’UDIENZA DEL PAPA AI PRESULI DELL’ABRUZZO-MOLISE
LA VISITA AD
LIMINA DEI VESCOVI ITALIANI, CHE IMPEGNERA’, FINO A PRIMAVERA,
I
PASTORI DELLE 16 REGIONI ECCLESIASTICHE DELLA CHIESA ITALIANA.
AI
NOSTRI MICROFONI, LE ASPETTATIVE DEL PRESIDENTE
DELL’EPISCOPATO ABRUZZESE-MOLISANO, MONS. CARLO GHIDELLI
Benedetto XVI ha ricevuto, stamani in udienza, un primo gruppo di vescovi della Conferenza
episcopale abruzzese-molisana. Si tratta dell’atto d’inizio della visita ad Limina dei presuli italiani, che si
prolungherà fino a primavera. La regione ecclesiastica Abruzzo-Molise
è una delle sedici in cui è suddivisa la Chiesa cattolica italiana. Conta circa
un milione e mezzo di abitanti, affidati alla cura pastorale di undici vescovi
e 942 sacerdoti secolari. Le parrocchie distribuite sul territorio sono 1059.
Giovanni Paolo II si è recato in Abruzzo 7 volte e 2 in Molise. Dal canto suo,
Benedetto XVI ha visitato la terra abruzzese lo scorso primo settembre
quando si è recato in pellegrinaggio al Santuario di Manoppello,
vicino Chieti. Una visita che il Papa ha ricordato
ieri in Piazza San Pietro, salutando proprio i presuli abruzzesi e molisani
presenti all’udienza generale. Per conoscere quali siano
le aspettative dell’episcopato, Alessandro Guarasci ha intervistato
l’arcivescovo di Lanciano-Ortona, Carlo Ghidelli, presidente della Conferenza episcopale
abruzzese-molisana:
**********
R. – Ci aspettiamo soprattutto una rinascita, una ripresa
della vita diocesana, l’apertura delle parrocchie alla diocesi e delle varie
diocesi alla realtà regionale, alla Conferenza episcopale regionale. Siamo
convinti che più si allarga la comunione e più essa diventa anche intensa
quindi ci aspettiamo dal Papa anche uno stimolo ad aprire le parrocchie alla
diocesi e le diocesi alla regione. Poi, evidentemente, una ripresa della vita
cristiana perché siamo sicuri che il Papa ci dirà una parola speciale di cui
cercheremo di far tesoro e comunicarla il più possibile anche agli altri.
D. – La società italiana è interessata da un forte
movimento di secolarizzazione. Questo lo riscontrate anche nella vostra regione
e soprattutto quali iniziative mettete in campo per contrastarlo?
R. – Lo riscontriamo certamente anche qui sia pure, forse,
a “scoppio ritardato”. Noi mettiamo in atto la pastorale ordinaria, niente di
straordinario: cerchiamo di coltivare le nostre singole diocesi con tutto lo
“sprint” pastorale di cui siamo capaci, cercando soprattutto di mettere a fuoco
i problemi principali. Soprattutto i problemi legati al lavoro, sia per la
carenza di occupazione, sia per il troppo alto numero di infortuni sul lavoro.
Questo ci fa soffrire non poco. Abbiamo poi anche il problema
dell’immigrazione. E abbiamo anche qualche problema di droga; desideriamo poter
immettere nel tessuto sociale delle nostre singole regioni, sia l’Abruzzo sia il Molise, quel fermento evangelico di vita cristiana
autentica che possa dare sintomi di una rinascita.
D. – La vostra è una regione che guarda ad est, dunque
portata in qualche modo, naturalmente, al dialogo…
R. – Sì, noi siamo aperti all’est tant’è
che spero si superino alcune difficoltà per quanto riguarda i famosi Giochi del
Mediterraneo che dovrebbero essere ospitati qui a Pescara. Vorremmo
approfittare anche di questa occasione per lanciare veramente ponti verso
l’altra sponda del mare. Non vogliamo però solo
esportare, vogliamo anche importare e siamo convinti che da quei Paesi, anche
se sono in una situazione di sottosviluppo materiale, ci possa venire invece
qualche aiuto dal punto di vista spirituale. Anche l’aspetto ecumenico ci
interessa in questo senso perché tra l’ortodossia e il cattolicesimo si possono
instaurare anche rapporti più intensi e più frequenti.
D. – Trovate difficoltà nell’applicare la vostra pastorale
familiare? Insomma, le famiglie continuano ad essere
praticanti?
R. – Come percentuale della frequenza delle chiese, noi
siamo tra le regioni migliori d’Italia, forse anche la migliore in assoluto.
Abbiamo un’alta percentuale di frequenza domenicale. Per quanto riguarda invece
il problema delle famiglie, dobbiamo anche noi accusare il colpo e ci sono
tante, tantissime famiglie che si stanno disgregando con troppa facilità. Quasi
certamente, dipende dalla insufficiente preparazione alla celebrazione del
matrimonio e poi forse c’è anche l’influsso delle famiglie di provenienza che
sono probabilmente le famiglie dei “tempi della contestazione” che non hanno
saputo creare nei loro figli un plafond direi,
di formazione cristiana autentica.
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ALTRE UDIENZE E NOMINE
Il Papa riceverà questo pomeriggio in udienza i dirigenti
e i dipendenti dei Musei Vaticani.
Il Santo Padre ha nominato Consigliere della Pontificia
Commissione per l’America Latina il cardinale Ivan Dias,
prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli.
“UN EPISODIO DA NON SOPRAVVALUTARE”: E’ IL
COMMENTO DI PADRE LOMBARDI ALL’OCCUPAZIONE DEL MUSEO DI SANTA SOFIA A
ISTANBUL DA PARTE DI UN GRUPPO
DI MANIFESTANTI CONTRARI ALLA VISITA DEL PAPA IN TURCHIA
"Un episodio che ha dimensioni limitate e
che non deve essere sopravvalutato". E’ il commento del direttore della
Sala Stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi, riguardo al tentativo di
occupazione, ad Istanbul, dell’ex Basilica di Santa Sofìa,
poi moschea e oggi museo, compiuto ieri da alcune decine di manifestanti
contrari alla visita del Papa in Turchia che inizierà tra 5 giorni. La polizia ha fermato 39 persone che si sono
dichiarate membri di un movimento giovanile nazionalista. Padre
Lombardi ha sottolineato che
“questi fatti non alimentano particolari preoccupazioni anche se danno
dispiacere” e ha ribadito la fiducia
“nell'ospitalità assicurata dalle autorità turche". Cresce intanto
l’attesa della piccola comunità cristiana per l’arrivo del Papa: si tratta di
circa 130 mila persone su 70 milioni di abitanti, al 99% musulmani. Uomini e
donne che continuano a testimoniare con coraggio il Vangelo in una terra che in
2000 anni di storia ha dato numerosi santi alla Chiesa. Ascoltiamo in proposito
il servizio di Sergio Centofanti.
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L’Asia Minore è una terra ricca di santi:
primo fra tutti San Paolo, nato a Tarso, in Cilicia, morto martire a Roma, e i suoi discepoli San
Timoteo, vescovo di Efeso, anch’egli morto martire, lapidato, e San Luca
evangelista. Toccante la storia del contrasto tra il ricco Filemone e lo
schiavo Onesimo, abituato a rubare. San Paolo
converte entrambi: Onesimo è affrancato dalla
schiavitù. Diventano vescovi e martiri. Altro vescovo e martire di questa
terra è Sant’Ignazio di Antiochia,
innamorato di Cristo e della Chiesa insiste sulla centralità dell’Eucaristia.
Durante la persecuzione dell’imperatore Traiano nel
107 viene condotto a Roma per essere divorato dalle
belve. Celebri le sue parole: “Sono frumento di Dio e sarò macinato dai denti
delle fiere per divenire pane puro di Cristo. Supplicate Cristo per me, perché
per opera di queste belve io divenga ostia per il Signore”. Sempre del secondo
secolo è Sant’Ireneo, nato a Smirne, diventato poi
vescovo di Lione. Dinanzi al pullulare delle eresie afferma la necessità
dell’unità della fede in comunione col vescovo di Roma. Fa sentire la sua voce
tra due correnti opposte: i fanatici montanisti, che
predicavano una fede irrazionale votata al martirio a tutti i costi, e i
razionalisti gnostici che pretendevano di essere salvati attraverso una
conoscenza individuale del divino, una sorta di filo diretto con Dio senza
mediazioni umane. Parla con franchezza: muore martire. Nasce a Smirne anche San
Policarpo, amico di Ireneo. Ormai 86enne viene
condotto sul patibolo nello stadio della città durante una persecuzione. Il
governatore romano di Smirne cerca di salvarlo, gli implora di rinnegare la
fede. Ma Policarpo grida ad alta voce davanti a tutti: “Sono cristiano”. E viene ucciso. Il quarto secolo è l’epoca dei grandi
Santi della Cappadocia: San Gregorio Nazianzeno e San Gregorio di Nissa,
mistici e teologi. E poi San Basilio Magno, che distribuisce i suoi beni ai
poveri, per condurre vita monastica nel deserto. Forti i suoi moniti ai ricchi:
“se non nutri colui che sta morendo di fame, tu l’hai
ucciso!”. Grande difensore dei poveri e dei deboli è stato anche San Giovanni
Crisostomo, Patriarca di Costantinopoli, celebre per la sua capacità oratoria.
Punta il dito contro lo sfarzo del clero del tempo dicendo: “Vuoi onorare il
Corpo di Cristo? Non permettere che sia oggetto di disprezzo nelle sue membra,
cioè nei poveri. Che vantaggio può avere Cristo se la mensa del sacrificio è
piena di vasi d’oro, mentre poi muore di fame nella persona del povero? Prima
sazia l’affamato e solo dopo orna l’altare con quello che riamane”. Questo
gli procura dei nemici fino al punto di essere costretto all’esilio. Ma la fede di San Giovanni Crisostomo non vacilla: “Anche se tutto
il mondo è sconvolto – affermava – non temo nulla: né morte, né esilio, né
confisca di beni, perché Gesù è la mia sicurezza e la mia difesa. Lui è
la mia roccia”.
La storia dei santi di questa terra continua
lungo i secoli, spesso sconosciuta o dimenticata. Si arriva al 5 febbraio scorso quando don Andrea Santoro, sacerdote fidei donum, uomo del dialogo e
della pace, viene ucciso mentre è in preghiera nella Chiesa di Santa Maria a
Trebisonda. La madre di don Andrea perdona l’assassino.
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Accompagnerà il Papa in Turchia anche il cardinale Ignace Moussa I Daoud prefetto della Congregazione per le Chiese orientali.
In proposito, il porporato ha rilasciato questa dichiarazione a Giovanni
Peduto:
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“Sono lieto di tornare in
Turchia al seguito del Santo Padre Benedetto XVI, dopo il mio pellegrinaggio
del maggio 2004 per il 25°
anniversario della visita del compianto Papa Giovanni Paolo II. Ad Antiochia, la prima sede di Pietro e del Vescovo S.
Ignazio, di cui porto il nome dalla mia elezione a Patriarca Siro-cattolico di Antiochia, ho
celebrato in rito e lingua siriaca, quella parlata da
Gesù.
**********
DA OGGI A SABATO PROSSIMO IN VATICANO
PER
SUGLI
ASPETTI PASTORALI DELLA CURA DELLE MALATTIE INFETTIVE
-
Intervista con il cardinale Javier Lozano Barragán -
Si svolge
in Vaticano - nell’Aula Nuova del Sinodo - da oggi a sabato prossimo,
**********
R. – In un tempo recente si pensava che queste malattie
riguardassero soltanto i Paesi sottosviluppati. Ma, dato che i virus ed i
microbi non hanno, in realtà, frontiere e questo lo possiamo ormai notare
ovunque, le malattie infettive rappresentano ormai una delle cause più
frequenti della morte nel mondo. Si tratta, perciò, di un qualcosa di molto
esteso e di cui dobbiamo aver cura, perché soltanto così riusciamo ad adempiere il mandato del Signore, che ci ha inviato a
curare i malati.
D. – Eminenza, in questo campo cosa può fare
R. – Di fatto ha tanti centri di cura, 113 mila centri di
salute nel mondo, dove si curano tutte queste malattie. Non possiamo certo dire
cosa
D. – Quando si parla di curare le malattie si parla
ovviamente anche di farmaci e molti di questi hanno oggi costi così elevati…
R. – Purtroppo, sì. L’accordo di Doha
è di alcuni anni fa. L’Organizzazione Mondiale del Commercio non è che non stia
rispondendo, ma il problema è che la lobby delle compagnie farmaceutiche degli
Stati Uniti ha fatto pressione in tal senso affinché non si arrivi alla
ratifica di questi accordi di Doha, soprattutto di
quello che si chiama Trips,
nel quale si evidenziava come alcuni farmaci non dovessero essere soggetti a
brevetti. Questo è certamente un argomento più esteso ed anche più complicato,
ma bisogna dire che queste compagnie farmaceutiche, queste lobby hanno
praticamente fatto in modo che alcuni medicinali non siano fruibili in tanti
Paesi praticando dei prezzi altissimi anche per i Paesi poveri. La conseguenza
di tutto questo è che tante persone nel mondo muoiono per la mancanza di
medicinali. Questo è un appello molto forte che oggi lanciamo, affinché non ci
siano traffici sul dolore umano.
D. – Eminenza una sua parola di speranza per quanti sono
colpiti dalle malattie infettive?
R. – Che sappiano che il Santo Padre è sempre al loro
fianco, che si preoccupa di tutti quanti loro mediante questo Pontificio
Consiglio, ha una cura speciale per loro e che siamo loro accanto
specificatamente con
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Servizio vaticano - La visita dell'Arcivescovo di
Canterbury al Papa.
Servizio estero - Libano: imponente partecipazione
di popolo ai funerali di Pierre Gemayel
a Beirut. Una commissione dell'ONU parteciperà alle indagini sull'omicidio.
Servizio culturale - Un articolo di Marco Impagliazzo dal titolo "Il malinteso senso del 'nuovo' ": in un volume gli scritti di Paolo VI sul
Concilio Vaticano II.
Servizio italiano - In primo piano il tema della
finanziaria.
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23 novembre 2006
SI
CHIUDE DOMANI A NOVARA
PROMOSSA
DALLA COMUNITA’ DI SANT’EGIDIO CON L’OBIETTIVO DI FINANZIARE
I PROGETTI DI TERAPIA DELL’AIDS IN AFRICA
-
Intervista con Daniela Sironi -
“Disabili all’Università”: è questo il titolo di una
mostra in corso a Novara, presso l’Università del Piemonte Orientale, che si
chiude domani. L’esposizione, promossa dalla Comunità di Sant’Egidio,
è costituita interamente da opere realizzate da artisti disabili. Tema
dell’iniziativa è l’Africa: natura, popoli, guerre e pace, povertà,
aspettative. Ma qual è il messaggio che si vuole lanciare con quest’iniziativa?
Ada Serra lo ha chiesto a Daniela Sironi,
responsabile della Comunità di Sant’Egidio a Novara:
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R. - Innanzitutto, l’idea di portare i disabili
all’università, che in genere è interdetta a loro non tanto per le barriere
architettoniche ma perché, trattandosi di disabili mentali, difficilmente hanno
accesso alle strutture universitarie. Una grande mostra di pittura perché i
disabili possano insegnare a tutti la forza dei valori
umani e la forza di una ricchezza interiore che rende gli umani tali. Ci sembra
che sia decisivo, per la formazione dei giovani, l’incontro con la disabilità nella sua grande ricchezza e profondità umana.
Una mostra di pittura perché anche chi non può parlare può esprimersi pienamente
attraverso una creazione artistica.
D. - Perché l’Africa come tema dell’iniziativa?
R. – In questa mostra si uniscono due debolezze: quella
dei disabili, evidente e che non si può nascondere, e quella dell’Africa, che è
un continente abbandonato e la cui debolezza non si può nascondere. Noi
crediamo che nell’amicizia, due debolezze che si incontrano diventano una
forza. Gran parte delle opere che sono state prodotte dai disabili sono state
vendute e il ricavato della vendita viene utilizzato
per finanziare un progetto di terapia dell’AIDS, il progetto “Dream” della
Comunità di Sant’Egidio. Per questo, come dicono
anche i disabili: “anche noi possiamo dire che non c’è
nessuno così debole da non poter aiutare chi è più debole di lui”.
D. – Come si concretizza l’impegno della comunità di Sant’Egidio a favore della disabilità?
R. – Devo dire che è una storia di amicizia, una storia
d’amore che dura da oltre 30 anni, attraverso l’incontro con migliaia di
disabili in tutta Europa, ma oggi anche in altri continenti del mondo. I
disabili hanno dei luoghi di incontro, le case di Pulcinella, in cui possono
incontrarsi, fare festa, vivere insieme la vita quotidiana e imparare a
dipingere.
D. – Riflettendo sulla vicenda del video sul ragazzo
affetto da sindrome di Down, picchiato a Torino, come educare le nuove
generazioni all’accoglienza e al rispetto dei disabili?
R. – Io credo che questo sia un tema decisivo. I disabili
nella scuola possono essere una grande occasione per una grande lezione di
umanità per tutti. Credo che la sfida della scuola sia decisiva a partire
proprio dai disabili. I saperi non sono sufficienti quando
non sono coniugati con un profondo senso di umanità e i disabili dentro la
scuola sono esattamente maestri di questo, con le loro domande ma anche con le
loro offerte di umanità.
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23 novembre 2006
MESSICO:
I VESCOVI PREOCCUPATI PER IL CLIMA DI TENSIONE CHE STA VIVENDO
IL
PAESE DOPO LE ULTIME ELEZIONI E PER GLI SCONTRI NELLO STATO DI OAXACA
CITTÀ DEL MESSICO. = I vescovi del Messico hanno espresso
in un documento la loro forte preoccupazione per i conflitti sociali e politici
post-elettorali che si stanno verificando nel Paese. “La pace non è soltanto
l’assenza di guerra bensì uno stato di vita che permette di vivere in armonia
con Dio, con gli altri e con sé stessi” scrivono i presuli nel messaggio
pubblicato al termine della 82.ma Assemblea plenaria,
durante la quale, tra l’altro, sono state rinnovate le cariche per il prossimo
triennio. L’episcopato, in particolare, ha richiamato l’attenzione su quanto
sta accadendo da mesi nello Stato di Oaxaca e su
altre dolorose realtà che colpiscono la società messicana, come “il deleterio
potere dei narcotrafficanti, la crudeltà dei loro crimini
nonché l’insicurezza sociale che la violenza ha generato in tutto il Paese”.
Tra le cause di questi fenomeni la Conferenza episcopale denuncia la crescente
“mancanza di rispetto per la legge e per le istituzioni e, soprattutto,
l’assenza di valori morali, universali e perenni, come la verità, il bene, la
giustizia, il rispetto e la promozione della persona e dei diritti umani”. In
tale contesto, i presuli, ancora una volta, esortano “tutti gli attori
sociali”, partiti politici e cittadini, “a non esacerbare le differenze, ad
allontanarsi da ogni tipo di violenza, a non incentivare i conflitti e a
privilegiare il dialogo, favorendo il raggiungimento di accordi e sapendo
offrire anche il perdono”. Circa la realtà che attualmente il Messico sta
vivendo, i vescovi affermano che si devono affrontare i nuovi tempi “senza
atteggiamenti estremisti di antagonismo”. Viene poi
riaffermata la necessità di “costruire una Nazione più unita e più giusta” e di
perfezionare la democrazia “che è in discussione” e che “richiede solidi
fondamenti morali e giuridici”. I presuli considerano pure fondamentale
promuovere un vero sviluppo integrale nell’ordine economico, che consenta a tutti di condurre “una vita degna e
soddisfacente”. Fra le priorità nelle quali tutti devono impegnarsi, i vescovi
segnalano: l’educazione, la lotta alla povertà, la sicurezza pubblica e,
soprattutto, l’onestà e la trasparenza. Infine i vescovi tornano ad alzare la
loro voce contro il muro eretto alla frontiera con gli Stati Uniti, perché ritengono
non risolva i problemi dell’immigrazione, e lanciano un appello perché venga stipulato “un accordo migratorio con gli Stati Uniti
che si esprima in una legislazione giusta”. (L.B. – T.C.)
LA
DIFFUSIONE DELL’AIDS HA RAGGIUNTO IN AFRICA LIVELLI
ALLARMANTI E NELL’AREA SUB-SAHARIANA 24,5 MILIONI DI PERSONE CONVIVONO
CON LA MALATTIA.
I
VESCOVI AFRICANI: OCCORRE RESPONSABILIZZARE DI PIÙ LA GENTE E COINVOLGERE LA
COMUNITÀ INTERNAZIONALE
ACCRA. = La diffusione dell’AIDS e del virus HIV e le
condizioni che ne permettono la propagazione in Africa hanno raggiunto livelli
allarmanti. In un messaggio per la Giornata Mondiale dell’AIDS, che si celebra
il 1° dicembre, il Simposio delle Conferenze Episcopali di Africa e Madagascar
(SECAM), scrive l’agenzia Fides, sottolinea che “le statistiche da sole
riportano una storia devastante”. Secondo il rapporto di quest’anno dell’UNAIDS
(l’organizzazione delle Nazioni Unite per la lotta all’AIDS), 24,5 milioni di
persone, su una popolazione totale di 774 milioni dell’Africa sub-sahariana,
convivono con il virus HIV e l’AIDS. Quasi tutti i Paesi del sub-continente
hanno una percentuale d’infezione di gran lunga superiore
all’1 per cento, la soglia oltre la quale si parla di epidemia, e il tasso
medio di diffusione tra la popolazione dai 15 ai 49 anni è del 6,1 per cento. Mons. John Onaiyekan,
arcivescovo di Abuja e presidente del Simposio dice
che “nonostante i validi sforzi educativi, molte persone rimangono ignoranti
sul problema dell’AIDS o persistono nel negarne l’esistenza”. “Nonostante una
maggiore disponibilità di cure – spiega il presule – sempre più persone
muoiono. Nonostante i servizi offerti, troppe persone sieropositive e malate
vivono ancora in condizioni disperate che annientano le loro condizioni di vita”.
Di fronte a questa situazione drammatica, i vescovi, “riecheggiando
l’insegnamento di Papa Benedetto XVI”, incoraggiano “ognuno a considerare le
cause profonde della pandemia, che non sono solo mediche. Un approccio che tenga solo conto della sanità pubblica è necessario ma non
sufficiente”. L’episcopato ribadisce che, rivolgendosi la missione della Chiesa
alla persona, in tutte le dimensione della vita,
occorre rivitalizzare la speciale responsabilità sui
forti valori morali della società. “Le problematiche sociali e il Vangelo sono
inseparabili - ha osservato il presidente del SECAM - non è sufficiente offrire
alle persone solo conoscenze, capacità, abilità, competenze tecniche e
strumenti. Come ricorda Papa Benedetto XVI, occorre anche e soprattutto la cura
amorosa”. Mons. Onaiyekan è
soddisfatto per l’attenzione dimostrata dalla comunità internazionale alla
tragedia della pandemia, ma ricorda, citando Giovanni Paolo II, che “le
promesse fatte ai poveri sono debiti che devono essere pagati, gli impegni
presi devono essere onorati in un tempo ragionevole”. Dal canto suo, si afferma
nel messaggio, la Chiesa ribadisce il suo impegno ad educare e pregare senza
tregua. “Continueremo a sfidare i nostri fedeli di ogni età e di ogni
condizione – concludono i vescovi – ad esercitare la loro responsabilità
personale e comunitaria”. (T.C.)
IL
CENTRO INTERNAZIONALE DI ASSISI PER LA PACE TRA I POPOLI CONSEGNA OGGI
A
SALERNO AL CARDINALE RENATO RAFFAELE MARTINO IL PREMIO “PELLEGRINO
DELLA
PACE”, RISERVATO A PERSONALITÀ DI RILIEVO MONDIALE PER OPERE
IN
FAVORE DELL’AMICIZIA E DELLA SOLIDARIETÀ INTERNAZIONALE
SALERNO. = Il prestigioso “bronzo di Norberto”, simbolo
del riconoscimento internazionale ‘Pellegrino della Pace’,
viene consegnato oggi a Salerno al cardinale Renato
Raffaele Martino, presidente dei Pontifici Consigli della Giustizia e della
Pace e della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti. Ad iniziativa del
Centro internazionale di Assisi per la pace tra i popoli, il riconoscimento viene attribuito ogni anno (si tratta attualmente della
XVIII edizione) a personalità che abbiano lavorato intensamente per favorire
l’amicizia e la solidarietà tra i popoli. Nel 1988 è stato
attribuito a Michail Gorbaciov
e negli anni seguenti, tra gli altri, a: Pérez de Cuellar, segretario generale dell’ONU; Giovanni Paolo II;
Luciano Pavarotti; Helmut Kohl; Madre Teresa di Calcutta, Ernesto Olivero, Francesco
Paolo Fulci, Kofi Annan, Bill Gates
e Fatos Nano. Nella sua città natale, in un
giorno per lui significativo, quello del 74.mo compleanno, il cardinale Renato Raffaele Martino
viene premiato per i decenni di infaticabile attività, prima come nunzio
apostolico, poi come rappresentante della Santa Sede per 16 anni alle Nazioni
Unite - per la sua attiva partecipazione in particolare alle Conferenze
internazionali dell’ONU - ed ora come presidente dei due dicasteri vaticani in
special modo impegnati nella promozione della giustizia e della pace, nonché
dell’aiuto solidale e fraterno a migranti e itineranti, soprattutto rifugiati e
sfollati e studenti esteri in situazioni di disagio. Il conferimento del
premio, alla presenza delle massime autorità civili e religiose della città e
della provincia, avverrà nella chiesa dell’Immacolata, dove 60 anni fa il giovane Renato Raffaele Martino vestì l’abito di terziario
francescano, iniziando il lungo cammino di “pellegrino della pace” sulle orme
del Poverello d’Assisi. (P.S.)
COSTRETTA
A CHIUDERE, A CAUSA DI MINACCE ED ESTORSIONI,
LA
CARITAS DI MOSUL. DALL’INIZIO DELLA GUERRA IN IRAQ OFFRIVA AIUTO SOPRATTUTTO AI
SENZATETTO
MOSUL. = La Caritas di Mosul, in
Iraq, chiude i battenti. In seguito alle continue intimidazioni e alle
insistenti richieste di versare denaro per finanziare un gruppo islamico
locale, la struttura ha sospeso le sue attività. A raccontarlo all’agenzia AsiaNews è una delle operatrici, costrette a lasciare la
città per paura di ritorsioni. La donna, che ha chiesto l’anonimato, ha lavorato
come ricercatrice sociale presso l’organismo della Chiesa cattolica dal 1995
fino a settembre scorso. “I primi del mese – ricorda – il nostro responsabile
ha ricevuto una telefonata a casa da un gruppo islamico che non si è
identificato con un nome. Prima hanno cominciato a recitare un brano dal
Corano, dopo hanno chiesto del denaro per sostenere la resistenza
all’occupazione americana dell’Iraq”. “Noi – continua la donna - abbiamo
cercato di spiegare che come Caritas non abbiamo fondi per le nostre attività,
se non le donazioni dei fedeli, che ci aiutano a sostenere solo i più bisognosi”.
Mentre le minacce si facevano più insistenti il direttore ha detto loro che la
Caritas poteva dare solo 1 milione di denari iracheni, ma non di più.
“Naturalmente non era sufficiente e ci hanno chiesto di aumentare la somma, ma
dopo l’ennesimo rifiuto da parte nostra si sono convinti e hanno accettato
l’offerta; non abbiamo avuto scelta, ma il Centro ha dovuto chiudere, in queste
condizioni era impossibile continuare”. La Caritas di Mosul,
che dall’inizio della guerra non aveva mai interrotto le sue attività, si occupava soprattutto dei senza tetto e il 90 per
cento del suo lavoro interessava la popolazione musulmana. Il lavoro della
Caritas continua comunque a Baghdad, nei villaggi cristiani della provincia di Niniveh e nel Kurdistan. (T.C.)
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23 novembre 2006
- A cura di Amedeo Lomonaco e Ada Serra -
In Iraq, almeno 30 miliziani hanno attaccato
la sede del ministero della Sanità. Lo riferiscono fonti locali aggiungendo che
l’assalto ha causato diverse vittime. Sempre a Baghdad, le forze americane
hanno ucciso quattro civili iracheni durante un’operazione condotta tra le
strade di un quartiere sciita per liberare un soldato statunitense preso in
ostaggio da un gruppo di ribelli. Nella capitale la polizia ha poi trovato,
nella notte, altri trenta cadaveri di iracheni torturati. E’ stata smentita,
intanto, la notizia di una visita a sorpresa in Iraq del vicepresidente
americano Cheney.
In Medio Oriente,
cinque palestinesi – tre militanti e due civili - sono stati uccisi stamani
nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania da soldati
israeliani. Un’altra incursione dei militari dello Stato ebraico si è
verificata a Beit Lahiya,
dove è rimasto ucciso un giovane palestinese di 19 anni. Intanto, il governo
israeliano ha autorizzato il proseguimento della pressione militare sulla
Striscia di Gaza, includendo tra le misure anche le ‘uccisioni mirate’. Non è comunque prevista, almeno in questa fase,
una massiccia offensiva dell’esercito.
L’Agenzia
internazionale per l’energia atomica (AIEA) ha respinto la richiesta di
assistenza dell’Iran per la costruzione di un reattore nucleare ad acqua
pesante ad Arak, a
In Pakistan,
cristiani, indù, sikh e rappresentanti di altre fedi
hanno manifestato contro l’approvazione di una legge accusata di revocare
decreti talebani. Lo riferisce l’Agenzia AsiaNews
precisando che la marcia di protesta è avvenuta domenica scorsa in una
provincia pachistana nord orientale al confine con l’Afghanistan. Il
controverso disegno di legge istituisce la figura di una sorta di garante
religioso chiamato a vigilare sull’aderenza dei cittadini ai valori islamici e
alla sharia.
In Indonesia, si moltiplicano le denunce
all’agenzia governativa che gestisce i fondi per la ricostruzione delle
province devastate dallo tsunami del 26 dicembre del
2004. Secondo varie fonti, è stata spesa solo una minima parte dei fondi a
disposizione. Lo scorso agosto, sono state denunciate gravi irregolarità e casi
di corruzione in almeno 5 dei maggiori progetti. La magistratura, intanto, sta
esaminando le denunce e la procura sta studiando alcuni casi di funzionari
pubblici, accusati di aver aumentato i costi per potersi appropriare di parte dei fondi. Nella sola provincia di Aceh e nella zona circostante, lo tsunami ha causato oltre 167 mila morti, 37 mila dispersi,
oltre 500 mila sfollati e ingenti danni.
In Olanda appare scontata la riconferma del
premier uscente, Jan Peter Balkenende, dopo le elezioni politiche di ieri: il suo
partito dei cristiano-democratici ha conquistato,
infatti, la maggioranza relativa ottenendo 41 seggi su 150. Lo ha reso noto la
commissione elettorale dell’Aja precisando che è
stato scrutinato quasi il 97 per cento dei voti. Le elezioni hanno fatto anche
registrare il netto calo di laburisti e liberali che hanno ottenuto,
rispettivamente, 32 e 22 seggi. Hanno invece riportato chiari successi i
socialisti, con 26 seggi, e il partito della Libertà di estrema destra, che ha conquistato 9 seggi. Dai risultati delle elezioni di
ieri in Olanda emerge poi l’affermazione di un fronte anti
immigrazione, fortemente critico nei confronti dei flussi migratori provenienti
dal mondo islamico. Sulle ragioni di tale risultato, Giada Aquilino ha
intervistato Marc Leijendekker,
responsabile delle pagine di opinione del quotidiano NRC Handelsblad
di Rotterdam:
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R. – L’appoggio della gente c’è ed è stato ancora più
grande del previsto. Evidentemente c’è ancora un risentimento abbastanza forte,
per quanto riguarda i cambiamenti degli ultimi 20 anni, dovuti all’afflusso
massiccio di gente proveniente soprattutto dalla Turchia e dal Marocco. Questo
risultato è evidente soprattutto nelle grandi città, con le scuole che vedono
una maggioranza di persone non nate in Olanda o che non parlano bene
l’olandese, con problemi di cultura, di trattamento diverso delle donne. C’è
una parte consistente degli olandesi che si oppone a tali cambiamenti. Ma, per
fortuna, c’è una parte ancora più grande che dice: “La situazione sta
cambiando. Dobbiamo dialogare e vedere cosa possiamo fare per vivere meglio
insieme”.
D. - Nessun partito ha la maggioranza assoluta. Quanto ci
vorrà per formare il nuovo governo?
R. – E’ molto difficile dirlo. Abbiamo avuto in questi
anni un governo tra i cristiano democratici e i liberali. Adesso i liberali
hanno perso. Sarebbe logico, dunque, un governo tra i cristiano democratici e i
partiti della sinistra. Durante la campagna, però, gli attacchi reciproci sono
stati abbastanza feroci, abbastanza forti. Ci vuole allora un po’ di tempo per
guarire e dopo si vedrà se vincerà il senso del realismo – perché non ci
sembrano essere altre soluzioni – o questo risentimento sarà troppo forte per
arrivare ad un esecutivo tra questi due grandi schieramenti.
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Radici storiche dello schiavismo, gestione dei flussi
immigratori, diritto dei popoli a spostarsi: sono questi i temi affrontati dal
leader libico Muhammar Gheddafi,
nel discorso tenuto ieri sera, al primo vertice Unione Europea - Unione
Africana su immigrazione e sviluppo. L’incontro, in corso da ieri a Tripoli, è
finalizzato alla promozione di un partenariato
strategico fra Paesi d’origine, transito e destinazione dei migranti. A margine
dell’incontro, proseguono intanto i colloqui tra Italia e Libia sul progetto ‘Frontex’, un accordo bilaterale per il pattugliamento misto
delle coste.
L’ipotesi di una guerra tra l’esercito etiope e le corti
islamiche, che controllano gran parte della Somalia,
rischia di diventare una drammatica realtà. Nella regione, dove la tensione è alta
anche tra Ciad e Sudan, è sempre più grave, poi, la situazione umanitaria della
martoriata regione sudanese del Darfur. Il nostro servizio:
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Diventa sempre più reale l’incubo di una guerra tra
esercito etiope e guerriglieri islamici: il premier dell’Etiopia ha annunciato
che il suo Paese è pronto ad un conflitto contro le milizie fedeli alle corti
islamiche somale. Il primo ministro ha spiegato che è fallito ogni tentativo di
instaurare il dialogo con il movimento integralista. Per questo, ha aggiunto,
sono stati completati i preparativi per affrontare eventuali ostilità.
Sull’altro versante, le milizie islamiche che controllano Mogadiscio e gran
parte del centro e del sud della Somalia, hanno già
dichiarato la ‘jihad’ contro l’Etiopia, accusata di
aver schierato le proprie truppe a protezione del governo transitorio somalo,
insediato a Baidoa. Alle minacce sono già seguiti i
primi scontri: domenica scorsa, sei soldati etiopi sono morti in seguito ad un
attacco sferrato da guerriglieri delle corti islamiche. Il rischio di una
guerra regionale rende ancora più critica anche la drammatica situazione
umanitaria nel vicino Darfur,
dove ogni giorno muoiono, secondo l’ultimo rapporto dell’UNICEF, 80 bambini
sotto i 5 anni. Nel testo l’organizzazione umanitaria sottolinea che nonostante
gli aiuti, gli appelli e le pressioni internazionali, donne e bambini
continuano ad essere vittime di violenze. Attualmente,
almeno 4 milioni di persone - circa due terzi della popolazione del Darfur - subiscono direttamente le conseguenze di questa
tragedia: di queste, 2 milioni vivono in circa 700 campi di sfollati. A
completare l’inquietante quadro di questa martoriata zona d’Africa c’è, infine,
il recente annuncio dell’esecutivo del Ciad di voler inviare proprie truppe
nella Repubblica Centrafricana per fermare le
offensive dei ribelli appoggiati, secondo N’Djamena, dal governo sudanese.
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Un ostaggio britannico, due sequestratori e un soldato
nigeriani uccisi. E’ il tragico epilogo del blitz condotto ieri da forze
speciali della Nigeria per liberare sette tecnici petroliferi rapiti lunedì
scorso. In Nigeria,
ottavo produttore mondiale di petrolio, molti ribelli fanno parte del
cosiddetto ‘Movimento di emancipazione del delta del Niger’,
che chiede al presidente Obasanjo una distribuzione
più equa dei proventi del greggio.
In Mauritania, almeno
un milione di persone si è recato alle urne domenica scorsa per le elezioni
parlamentari, le prime dopo il colpo di Stato dell'agosto 2005. Per il Paese
africano si tratta della prima tappa verso la democrazia, un processo avviato
dalla giunta militare al potere che culminerà con le elezioni presidenziali
previste per il marzo 2007. Lo scrutinio è cominciato subito dopo la chiusura
dei seggi sotto la sorveglianza di oltre 500 osservatori internazionali e della
Mauritania. I risultati provvisori dovrebbero arrivare già entro stasera.
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