RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno L n. 67 - Testo della trasmissione di mercoledì 8 marzo 2006
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
Oggi,
8 marzo, si celebra la Giornata internazionale della donna: intervista con Luca
Lo Presti
CHIESA E SOCIETA’:
Oggi la Chiesa ricorda
la figura di San Giovanni di Dio, fondatore dei Fate
Bene Fratelli
L’Unione Europea chiede all’Iran l’immediata sospensione
dell’arricchimento dell’uranio. Ma Teheran minaccia
di usare il petrolio come arma riducendo l’export del greggio
8 marzo 2006
ANCHE NELLA DIFFICOLTA’ DELL’ANNUNCIO EVANGELICO E NELL’ORA
DELLA PROVA LA CHIESA HA SEMPRE SULLA SUA BARCA LA
GUIDA DI CRISTO RISORTO.
COSI’ IL CARDINALE MARCO CÉ NELLA TERZA GIORNATA
DI ESERCIZI SPIRITUALI IN VATICANO
Le difficoltà che comporta la predicazione del
Vangelo e il coraggio della fede in Dio anche nelle prove che la Chiesa e i
suoi ministri si trovino ad attraversare. Sono, nella sostanza, i temi che hanno orientato questa mattina le due meditazioni del
cardinale Marco Cé, da tre giorni impegnato nella
predicazione degli esercizi spirituali della Quaresima al Papa e alla Curia
Romana. Per una sintesi dei due interventi, il servizio di Alessandro De
Carolis.
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Pregiudizi, malanimo,
indifferenza. Per tre anni la predicazione di Gesù, pur nei ripetuti bagni di
folla che spesso lo osannavano, ha dovuto farsi largo tra queste difficoltà.
Dai suoi concittadini, per i quali non era altro che “il figlio del
carpentiere”, agli scribi e farisei che chiedevano “segni” nonostante i
miracoli, il Vangelo di Marco annota e “non tace per nulla che Gesù dopo un primo momento di
entusiasmo e di successo in Galilea ha dovuto far fronte ad una diffidenza
crescente con il distacco e l’allontanamento di parecchi, sempre più numerosi”.
Così il cardinale Marco Cé ha introdotto la prima
riflessione della mattinata dedicata alle “tre parabole del seme”. “Più volte –
ha detto il Patriarca emerito di Venezia - si coglie sulle labbra di Gesù il lamento
per la fatica che incontra nel far capire il suo messaggio”. La scelta di
parlare per parabole, ha osservato, risponde “proprio a questa situazione di
crisi” e contiene un segno di ciò che la Chiesa è chiamata a fare con la nuova
evangelizzazione:
“L’invito
ad intraprendere con fiducia e coraggio l’impegno di una nuova
evangelizzazione, credendo alla forza della Parola. Il nostro ministero è in
qualche modo sacramento, è l’oggi del gesto di Gesù che esce a seminare la
Parola, la nostra fatica. Gli stessi insuccessi sono partecipazione della sua
fatica e della sua fedeltà al Padre anche nell’insuccesso, sicuri che nella
Parola c’è una potenza che è al di là dei nostri sforzi, per
cui essa cresce e porta frutto spontaneamente. Quindi, non lasciamoci turbare
dalla piccolezza della nostra iniziativa. E’ da Dio la forza che supera
l’abisso fra la nostra attività e l’efficacia soprannaturale del nostro
ministero”.
Il cardinale Cé ha preso
singolarmente in esame le tre parabole: quella del seme che germoglia
spontaneamente – simbolo della grazia di Dio che opera al di là dell’impegno
umano – quindi la parabole del granellino di senapa
che ancora una volta, ha spiegato il porporato, mostra nella “sproporzione tra
gli inizi e l’esito” della predicazione la generosità dell’intervento divino.
Infine, la parabola del seminatore nella quale i diversi terreni in cui cade il
seme mostrano via via la “totale estraneità” alla
Parola di Dio di alcune persone, o una Parola accolta debolmente, “per
estetismo o convenzione sociale”, o ancora soffocata dalle preoccupazioni del
quotidiano. C’è però anche il seme che cade e fiorisce nella terra buona, che
racconta dell’iniziativa di Dio e insieme della perseveranza dell’uomo:
“Ricordiamoci
che nel nostro ministero ha senso anche la croce della fatica, anche quella
fisica del servitore del Vangelo, che spesso non ha orari. Ha senso anche il
fallimento. Maria era convinta della sua piccolezza. Era solo la serva del
Signore, ma Colui che è potente si è servito proprio di lei, del suo silenzio e
della sua preghiera, per compiere nella storia degli uomini le cose più
grandi”.
Il predicatore degli esercizi è quindi passato,
nella seconda meditazione, alla spiegazione del miracolo della “tempesta
sedata”, narrato nel Vangelo di Marco. Contro la paura umanamente comprensibile
degli apostoli che stanno affondando spicca per contrasto la quasi esagerata
riprovazione di Gesù. Ma ciò che il brano evangelico vuole metter in risalto,
ha proseguito il cardinale Cé, è il desiderio di Gesù
per una fede che, nel cuore degli apostoli, resti salda
anche nella tempesta:
“Questo
episodio, per Marco e per noi, è anche una parabola della vita della Chiesa.
Essa vive nella storia, è segnata anche della nostra debolezza, talora conosce
la tempesta. Nel secolo appena chiuso la Chiesa è passata attraverso terribili
tempeste e il secolo appena aperto è pure molto minaccioso. Nei momenti di
fatica, la Chiesa deve soprattutto credere nel suo Signore, ma non si sta sotto
la croce se non con la forza della grazia”.
Un’esperienza
di fede pura, “nuda”, come l’ha definita il Patriarca emerito di Venezia,
trovando accenti di grande partecipazione per tradurre in parole ciò che è, e
dovrebbe essere, specialmente attraverso l’Eucaristia, l’esperienza quotidiana
di ogni cristiano, a partire dai pastori:
“La fede è una consegna totale di noi stessi a Dio.
Essa è dono. Mai noi amiamo Dio, come quando nella nuda fede crediamo, cioè ci
consegniamo a Lui: Non vedo nulla, non sento nulla. Tu però l’hai detto. La
Chiesa me lo insegna: io credo. Questo è il fondamento della nostra fiducia.
Questa è tutta la nostra sicurezza”.
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LA LIBRERIA VATICANA
PUBBLICHERA’ NEI PROSSIMI GIORNI il testo del dialogo
del Papa con il clero romano, il 2 marzo
scorso. TRA I TEMI TRATTATI,
C’è L’APPELLO PER
L’AFRICA DOVE – HA DETTO IL PAPA –
“GLI ABUSI COLONIALI
CONTINUANO”
- Intervista con il prof. Angelo Turco -
La
Libreria Editrice Vaticana pubblicherà nei prossimi giorni, nell’ambito della
collana “Il Magistero di Benedetto XVI”, il testo del dialogo del Papa con il
clero romano, che si è svolto in Vaticano il 2 marzo scorso. Nello stesso volumetto sono allegati i colloqui che il Papa ha avuto
sempre con il clero romano il 13 maggio 2005 in San Giovanni in Laterano e con
il clero della Valle d’Aosta, a Introd, il 25 luglio
2005. Dall’incontro più recente dei giorni scorsi si possono trarre diversi
spunti di riflessione. Oggi scegliamo di soffermarci su quanto Benedetto XVI ha
affermato in merito al continente africano. Il servizio è di Fausta Speranza:
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Il Papa
ha verificato, incontrando recentemente molti vescovi africani in visita ad Limina, il loro “alto livello teologico e culturale” e la
gioia della loro fede. Lo racconta, sottolineando che però purtroppo non si può
dimenticare che la Chiesa in Africa “soffre perché le Nazioni ancora non si
sono formate”. E il Papa ricorda che “il potere coloniale ha imposto frontiere
nelle quali adesso devono formarsi le Nazioni” e che permangono situazioni di
etnie dominanti. E il Papa è chiaro: “gli abusi
coloniali continuano”. A questo proposito ascoltiamo la riflessione dell’africanista Angelo Turco, docente di geografia politica
all’Università dell’Aquila:
R. – Il
Papa ha mostrato grande sensibilità nel richiamare questo grande problema
dell’Africa. Il colonialismo non solo ha lasciato eredità molto pesanti, che
l’Africa naturalmente adesso si trova a gestire, riguardanti la politica,
l’economia, la cultura, ma è ancora attivamente presente, in forme naturalmente
che non sono più quelle del passato, nel continente africano. Sono varie forme
di imperialismo, di neo-colonialismo o semplicemente di associazioni, di
comitati d’affari che, in certi casi, rischiano di stravolgere completamente la
vita normale delle popolazioni e degli Stati africani. Se vogliamo pensare a
qualche cosa di molto concreto a questo riguardo, pensiamo alla vicenda del
petrolio in Africa …
D. –
Professore, il Papa dice proprio: “Abusi e conflitti non avrebbero assunto la
forma che conosciamo se non ci fossero dietro gli interessi delle grandi
potenze”. E’ una denuncia precisa …
R. – E’
una denuncia precisa e una denuncia quanto mai opportuna, specialmente in
questa fase storica e in questo momento di ricomposizione degli interessi globalizzati, quando si vanno ridisegnando le strategie
relative alle risorse dell’Africa, non soltanto le risorse economiche, ma anche
quelle strategiche. Vecchi attori della presenza africana, come la Francia, come gli Stati Uniti, come la Gran Bretagna,
quindi potenze occidentali, ex-coloniali e non, vanno ridisegnando la loro
strategia perché in Africa si affacciano altri interessi ed altre potenze che
in questo momento fanno sentire la loro “concorrenza” su tutti i piani, non
soltanto sul piano economico. Basterà pensare, per tutte queste nuove potenze, alla Cina che attualmente svolge un ruolo molto, molto
attivo in Africa.
D. – In definitiva, secondo lei, cosa fare per contrastare tutto
ciò?
R. – Non
ci sono ricette, tanto meno ricette unilaterali. Certo, una
cosa importante da fare è mantenere desta l’attenzione sull’Africa. Non
è possibile continuare a parlare di Africa soltanto quando
ci sono le tragedie “dai mille morti in su”, o quando ci sono le carestie o
quando ci sono le grandi epidemie. L’Africa vive una sua quotidianità, una sua
normalità difficile e tanto più difficile in quanto ci sono interferenze
internazionali che rendono le cose molto, molto, molto più dure. E allora,
mantenere l’attenzione, i riflettori accesi su ciò che accade in Africa è un
elemento essenziale per dare corpo ad una strategia di aiuto e di risoluzione
dei problemi sulla scena africana.
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INIZIA DOMANI A BOGOTÀ
IL PRIMO INCONTRO DEI MOVIMENTI ECCLESIALI
E DELLE NUOVE COMUNITA’ IN AMERICA LATINA
- Intervista con l’arcivescovo Stanislao Rylko -
Inizia
domani a Bogotà, in Colombia, il Primo Incontro dei Movimenti
Ecclesiali e delle Nuove Comunità in America Latina. Organizzato dal Pontificio
Consiglio per i Laici e dal Consiglio Episcopale Latinoamericano si svolge sul
tema ‘Discepoli e Missionari di Gesù Cristo oggi’. Vi partecipano i rappresentanti di circa 50
movimenti e comunità presenti in America Latina insieme a 40 vescovi. Di questo
incontro ci parla il presidente del Pontificio Consiglio per i Laici,
l’arcivescovo Stanislao Rylko, al microfono di
Giovanni Peduto:
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R. – Il
Congresso si presenta come un importante avvenimento ecclesiale, soprattutto in
vista della V Conferenza dell’episcopato latino-americano, prevista per il mese
di maggio del 2007, a cui i movimenti vogliono dare il
loro contributo fattivo. Infatti, il tema del Congresso coincide con quello
della V Conferenza: ‘Discepoli e missionari di Cristo oggi’. Durante questo Congresso vogliamo riflettere insieme
su cosa voglia dire essere discepoli di Cristo in
America Latina oggi. Per un cristiano vivere questo rapporto maestro-discepolo
è fondamentale. E’ fondamentale per la sua identità. E’ fondamentale per la sua
missione. Oggi ci sono tanti falsi maestri che illudono con le promesse di
felicità a basso prezzo. Ecco, dunque, i movimenti ecclesiali e le nuove
comunità come una risposta tempestiva dello Spirito Santo a questa grande sfida
dei nostri giorni, come itinerari pedagogici di formazione dei cristiani adulti
nella fede e come itinerari di scoperta di Cristo come unico Maestro e Signore.
D. –
Eccellenza, qual è la realtà dei movimenti ecclesiali in America Latina?
R. – La
presenza dei movimenti ecclesiali e delle nuove comunità in America Latina è
molto forte. Oltre ai grandi movimenti internazionali come il Rinnovamento
nello Spirito, Focolarini, Cammino Neocatecumenale, ci sono delle realtà nate proprio in
America Latina, come ad esempio il Movimento di vita cristiana, nato in Perù,
la comunità Shalom, nata in Brasile, tutte e due ormai di carattere
internazionale. E’ un segno di forte vitalità missionaria della Chiesa
latino-americana. Il Congresso sarà una buona occasione per un rendimento di
grazie per i frutti preziosi di santità e di slancio missionario che i
movimenti e le nuove comunità generano in quel grande continente.
D. –
Questi movimenti cosa possono dare specificatamente alla Chiesa
latino-americana?
R. – I
movimenti e le nuove comunità, come ci ha insegnato Giovanni Paolo II, e oggi
ci insegna Benedetto XVI, portano nella Chiesa uno slancio missionario molto
forte. Hanno una incredibile fantasia missionaria e il
coraggio missionario. Offrono anche degli ambienti educativi di grande forza
persuasiva in cui si formano veri discepoli di Cristo. Formazione e annuncio
sono due grandi sfide che deve affrontare la Chiesa nei nostri giorni.
D. –
Eccellenza, un argomento delicato è come armonizzare il carisma dei movimenti
con l’istituzione per il bene di tutta la Chiesa …
R. –
Papa Giovanni Paolo II ci ha insegnato che l’istituzione e il carisma non sono
contrapposti, ma sono co-essenziali nella vita della
Chiesa. Papa Benedetto XVI ha ribadito che il rapporto tra il carisma e
l’istituzione non si risolve mediante una semplice dialettica dei principi,
perché il carisma ha bisogno dell’istituzione per essere confermato, per durare
nel tempo. Dall’altra parte l’istituzione ha bisogno del carisma per non
perdere l’anima. Non c’è, dunque, una contrapposizione, ma una
organica complementarità. Come armonizzare queste due dimensioni della
Chiesa? Giovanni Paolo II ha indicato una strada maestra: che i movimenti
sappiano inserirsi con umiltà, diceva il Papa, nel vivo tessuto delle Chiese
locali, con lo spirito di servizio, di collaborazione, e che i pastori li
sappiano accogliere con cordialità e accompagnarli con amore paterno.
D. –
Eccellenza, in America Latina c’è purtroppo il fenomeno delle sette …
R. –
Infatti, il fenomeno della diffusione delle sette costituisce una delle grandi
sfide della Chiesa in America Latina. La forza delle sette sta nelle piccole
comunità e in un calore umano molto forte che sanno generare. Ecco, dunque, i
movimenti e le nuove comunità sono proprio risposta provvidenziale ad una tale
sfida. Una volta il cardinale Ratzinger, futuro Papa,
ha detto che i movimenti, grazie a quella rete di piccole comunità che creano,
permettono ai fedeli di sentirsi nella Chiesa come a casa propria, senza
formare però un ghetto chiuso, al contrario, coltivando un’apertura universale,
fino ai confini della terra. Ecco, dunque, la risposta dei movimenti alla sfida
delle sette: le piccole comunità.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Apre la prima pagina l'India: strage nella città di
Benares; 23 morti nel triplice attentato dinamitardo
nella località meta del pellegrinaggio di molti hindu.
Servizio vaticano - Una pagina con le Lettere dei
Vescovi italiani.
Servizio estero - Nucleare: il Presidente iraniano
sfida anche l'"Aiea".
Servizio culturale - Un articolo di Fernando Salsano dal titolo "La fama nella Divina
Commedia".
Una monografica dal titolo "Globalizzazione ed Educazione": il Messaggio della Pontificia Accademia
delle Scienze e della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali".
Servizio italiano - In primo piano le elezioni:
nuove polemiche sul confronto in tv; Prodi intende rinunciare.
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8 marzo 2006
OGGI,
8 MARZO, SI CELEBRA LA GIORNATA INTERNAZIONALE DELLA
DONNA
- Intervista con Luca Lo Presti -
Oggi, 8 marzo, si celebra la
Giornata internazionale della donna. “Il progresso per le donne è progresso per
tutti”, ha affermato in questi giorni al Palazzo di Vetro di New York Marilyn Ann Martone,
rappresentante della delegazione vaticana all’ONU. “Il grande processo di
liberazione delle donne – ha detto – è stato difficile e complicato e, a volte,
non privo di errori, ma è stato sostanzialmente positivo, anche se non è ancora
finito, e tutte le persone di buona volontà si sforzano di far sì che le donne vengano riconosciute, rispettate ed apprezzate nella loro
particolare dignità”. Da parte sua, il segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan ha sottolineato la
necessità che “le donne prendano parte ai processi decisionali in tutte le
aree”. E oggi il presidente italiano Carlo Azeglio Ciampi ha detto che “il
diritto alle pari opportunità tra donne e uomini è conclamato, ma è ancora ben
lontano dall’essere tradotto in azioni concrete”. Per promuovere il rispetto dei diritti e
della dignità della donna, la Fondazione Pangea Onlus ha lanciato una campagna dal titolo “La vita riparte
da una donna”. Ce ne parla Luca Lo Presti, presidente di Pangea,
al microfono di Francesca Smacchia:
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R. – E’ una campagna che serve a
far riflettere, a far ragionare le persone in tutto il mondo sul fatto che
ancora, nonostante quanto si dica, malgrado 165 Stati abbiano ratificato la
Convenzione per l’eliminazione di ogni discriminazione, ancora oggi nel mondo
le donne sono decisamente discriminate. Un dato su tutti: quello che dice le
Nazioni Unite, che ci sono più donne che muoiono per violenza che per cause
naturali. Detto questo, la Fondazione Pangea decide
di ricominciare da una donna e basandosi sull’esperienza che ha potuto
realizzare in questi quattro anni di progetti che riguardano proprio le donne,
decide che la donna, oltre ad essere tutelata, è il punto focale della
rinascita e il punto centrale per far ripartire la vita.
D. – Qual è la differenza della
condizione femminile nei vari Stati dove voi avete attivato dei progetti?
R. – La differenza è sottile. Malgrado gli Stati siano i più diversi dall’Asia
all’Afri-ca, quasi sempre la condizione che noi possiamo osservare è quella
della disconoscenza. Un paio di esempi: parlando di Afghanistan, a tutti
vengono in mente le donne che spesso abbiamo potuto vedere purtroppo nei video
dei telegiornali, dove la figura della donna addirittura è negata da un punto
di vista fisico; ma ben più importante è la negazione della donna in quel Paese
proprio per quello che riguarda la vita sociale. Possiamo osservare come per esempio la donna
in Nepal non venga addirittura neanche censita al momento della nascita, o come
in India, il 50 per cento delle donne sia vittima di violenza fisica commessa
da familiari o mariti.
D. – Quali sono i campi nei quali
maggiormente vi attivate?
R. – Noi creiamo tutte quelle
condizioni necessarie perché la donna riprenda fiducia in sé; ad esempio, la
scolarizzazione di base, l’educazione sanitaria e poi, siccome tutto questo non
deve rimanere pura teoria, noi applichiamo le regole del microcredito, dando un
prestito ad una donna che magari prima era per bisogno
prostituta, questa stessa donna può diventare un’impren-ditrice.
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INIZIANO
OGGI NELLA CHIESA ROMANA DI SANTA MARIA
DELLA VITTORIA
UNA
SERIE DI INCONTRI DEDICATI AI SANTI
Da oggi a Roma “I ritratti di
Santi”, una serie di incontri nella chiesa barocca di santa Maria della
Vittoria in via Venti Settembre, dedicati alla lettura
di altissime figure della Chiesa. Noti attori presteranno la loro voce a Maria,
Madre di Dio, Teresa D’Avila e
ai Servi di Dio: Giovanni Paolo II e Vladimir Ghika.
Il servizio è di Paolo Ondarza:
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(musica)
La Santità, una vocazione per ogni
uomo. E’ questa la riflessione suggerita da “I ritratti di Santi”, racconti
suggestivi scaturiti dalla penna del teologo carmelitano padre Antonio Maria
Sicari e offerti alla meditazione di tutti coloro che ogni mercoledì vorranno
partecipare alle serate di Santa Maria della Vittoria a Roma. Gli attori
Claudia Koll, Giulio Base, Vincenzo Bocciarelli e Valeria Fabrizi
presteranno gratuitamente per l’occasione la voce a grandi figure di Santi e
Servi di Dio: Maria, Teresa d’Avila, Giovanni Paolo
II e il rumeno Vladimir Ghika. Padre Damiano La
Manna, animatore del MEC, il Movimento ecclesiale carmelitano che ha promosso
l’iniziativa:
“Questi incontri vogliono
testimoniare attraverso il racconto della vita dei santi che la vita di un
santo non è straordinaria, ma è straordinario quello che Dio comunica
attraverso di loro. Come ha detto Benedetto XVI nella Deus caritas est, nei santi diventa ovvio:
chi va verso Dio, non si allontana dagli uomini, ma si rende invece ad essi
veramente vicino”.
La serie di incontri nella
capitale parte con il ritratto, letto dall’attore Giulio Base, di una grande
figura femminile della Chiesa, Teresa D’Avila,
proprio nel giorno dell’8 marzo, festa della donna. Teresa Gentiloni,
responsabile del MEC:
“Intanto, abbiamo scelto Teresa d’Avila perché oltretutto è stata la prima donna ad essere
proclamata Dottore della Chiesa insieme a Caterina da
Siena. Da sempre, l’Ordine carmelitano ha al suo interno delle donne molto
importanti nella Chiesa: non solo Teresa d’Avila,
abbiamo Teresina del Bambin Gesù, Edith Stein, che per noi è una forma di orgoglio …”.
A rendere ancora più suggestivo
questo primo appuntamento sarà il riscontro visivo e scenografico dell’estasi
di Santa Teresa, celebre gruppo marmoreo, capolavoro di Gian Lorenzo Bernini, conservato nella chiesa romana di Santa Maria
della Vittoria.
(musica)
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8
marzo 2006
L’ESTREMO SALUTO DI OLTRE 2000 FEDELI DELLA
DIOCESI DI LINFEN, NELLA CINA CONTINENTALE ALLE ESEQUIE DEL LORO VESCOVO,
GIUSEPPE SUN YUANMO.
INFATICABILE LAVORATORE, ESORTAVA SPESSO A PREGARE
GESÙ EUCARISTIA
PECHINO. = Più di 2.000 fedeli della
Cina continentale, sacerdoti della diocesi di Linfen,
e tre vescovi delle diocesi limitrofe, nonostante la temperatura polare per
un’abbondante nevicata, hanno preso parte ai funerali del 28 febbraio di mons.
Giuseppe Sun Yuanmo,
vescovo di Linfen morto il 23 febbraio. Le esequie
sono state precedute da sei giorni di preghiera durante i
quali in tanti hanno partecipato alla Messa vespertina. Il presule aveva
86 anni, era nato il 7 novembre del 1920 a Zhangyuan.
Entrato nel seminario all’età di 15 anni, è stato ordinato sacerdote nel 1948.
Dopo alcuni anni trascorsi all’università Fu Jen di Beijing, ha svolto il suo apostolato nella provincia del Guanxi, nel sud della Cina.
Durante il difficile periodo della Rivoluzione culturale (1966-1976), era
ritornato al paese natale dove, per rieducazione, è stato
condannato, per 13 anni, ai lavori agricoli. In seguito, nella sua diocesi è
stato rettore del seminario minore. Consacrato vescovo, è stato alla guida
della diocesi, prima come ausiliare, poi, dal 1991, come ordinario. Un
sacerdote, che lo ha assistito fino agli ultimi giorni della sua vita ricorda:
“La sua gentilezza e spiritualità certamente hanno influito sulla mia
vocazione. Ci incoraggiava sempre a pregare e a fare l’adorazione davanti al
Santissimo Sacramento”. Altre persone che lo hanno conosciuto lo definiscono un
accanito lavoratore, molto gentile, severo con se stesso ma generoso verso gli
altri. La diocesi di Linfen (Hongdong)
conta oggi 36 sacerdoti, 60 suore e 30.000 cattolici. (T.C.)
OGGI LA CHIESA RICORDA
LA FIGURA DI SAN GIOVANNI DI DIO. FONDATORE DELL’ORDINE OSPEDALIERO OMONIMO, I FATE BENE FRATELLI.
HA INSEGNATO
AI SUOI RELIGIOSI A RISPETTARE LA DIGNITÀ DEL MALATO
- A cura di Tiziana Campisi
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ROMA. = La Chiesa ricorda oggi San Giovanni di
Dio, patrono degli infermi e ospedalieri e fondatore, 500 anni fa, dell’Ordine
che porta il suo nome, più conosciuto come Fate Bene Fratelli. Stamattina una
Messa è stata celebrata a Roma, all’isola Tiberina, dal Priore Generale
dell’Ordine ospedaliero di san Giovanni di Dio frà Pascual Piles Ferrando. Nato l’8
marzo del 1495 a Montemor-o-Novo,
in Portogallo, Giovanni ancora fanciullo scappa di casa e inizia una vita
disordinata. Si ferma ad Oropesa, dove chi lo
conobbe, ignorando il suo cognome, iniziò a chiamarlo Giovanni di Dio. Vive di
espedienti, poi intraprende la carriera militare e dopo varie traversie
raggiunge l’Africa. Tornato in Europa, si stabilisce a Granada.
Qui comincia il suo cammino di conversione. Ricoverato in un ospedale, incontra
la drammatica realtà dei malati, abbandonati a se stessi ed emarginati. Decide
così di consacrare la sua vita al servizio degli infermi e nel 1539 fonda il
suo primo ospedale grazie anche alle elemosine raccolte dicendo: “Fate bene,
fratelli, a voi stessi”. Voleva in questo modo far capire che chi aiuta il
prossimo fa anzitutto il proprio interesse spirituale.
Muore all’età di 55 anni. Era l’8 marzo del 1550. L’attenzione al malato nel
rispetto della sua dignità ed umanità è il principio ispiratore dell’opera di
San Giovanni di Dio. Oggi, sulle orme del loro fondatore i
Fate Bene Fratelli offrono cure e assistenza a malati e bisognosi
impegnati in 300 opere sparse in 49 nazioni di tutto il mondo. Quaranta mila i
collaboratori, tra religiosi, medici, infermieri e volontari, che assistono in
media 35 mila pazienti, avvalendosi anche del sostegno di circa 300 mila
benefattori. San Giovanni di Dio soleva dire ai suoi compagni: “Guardate a Dio
tutti i giorni della vostra vita… non dormite una sola notte in peccato
mortale… amate Gesù sopra tutte le cose del mondo… abbiate sempre carità,
perché dove non c’è carità non c’è Dio”.
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I VESCOVI DEL SUD-EST EUROPA CHIEDONO UN MAGGIORE
IMPEGNO PER FAVORIRE L’INTEGRAZIONE DEI MIGRANTI: ATTRAVERSO IL VANGELO È
POSSIBILE CREARE
LA FAMIGLIA
DI DIO FRA POPOLI DIVERSI
CORFÙ. =
Dare un volto umano al fenomeno delle migrazioni: è quanto si propongono i
presidenti delle Conferenze episcopali di Albania, Bulgaria, Bosnia ed
Erzegovina, Grecia, Romania e della Conferenza episcopale
Santi Cirillo e Metodio di Serbia, Montenegro e Macedonia, che domenica
scorsa, a Corfù, hanno concluso il loro sesto
incontro. Per far fronte alla “sfida delle migrazioni” - questo il tema sul
quale si sono confrontati i presuli – gli obiettivi che emergono nel documento
finale dei vescovi sono: la priorità alla pastorale per i migranti, l’impegno
per la loro
formazione e integrazione, la cura dei contatti tra Paesi d’origine e Paesi di
accoglienza, la programmazione di un lavoro ecumenico e la collaborazione fra
le diverse Chiese e comunità. In totale, nei cinque continenti, sono circa 190
milioni le persone che non vivono nel loro Paese d’origine. Nel sud-est Europa,
e in particolare in Albania, Bulgaria e Romania, sono molte le persone che, in
cerca di lavoro, hanno lasciato le loro città. La guerra nei Balcani poi, specie nella Bosnia Erzegovina, ha dato vita
alla piaga dei profughi. Tra le conseguenze del fenomeno migratorio il traffico
di donne e bambini e il commercio di organi. I membri delle conferenze
episcopali hanno sottolineato però che le migrazioni spingono ad una nuova
scoperta della universalità della Chiesa e che la capacità del Vangelo di
creare la famiglia di Dio fra popoli diversi è la vera risposta alle domande
della globalizzazione. (T.C.)
RISCHIA DI FALLIRE L’IMPEGNO DELLE NAZIONI CHE SI
SONO PROPOSTE DI RIDURRE
LA POVERTÀ NEL MONDO ENTRO IL 2015 DI ALMENO LA
METÀ. A LANCIARE L’ALLARME
IL SEGRETARIO GENERALE DELLA FAO, JACQUES DIOUF,
NEL CORSO DELLA CONFERENZA INTERNAZIONALE SULLA RIFORMA AGRARIA E LO SVILUPPO
RURALE A PORTO ALEGRE
- A cura di Maurizio Salvi
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PORTO
ALEGRE. = I partecipanti alla Conferenza hanno ascoltato in silenzio parole
pesanti come pietre dal segretario generale della FAO, il senegalese Jacques Diouf, secondo cui c’è un
forte rischio che il cammino intrapreso nel 1996, per cercare di ridurre la
fame nel mondo, si traduca in un grande fallimento. Sinteticamente, Diouf ha pronosticato che all’orizzonte 2015 – anno entro
il quale le nazioni del mondo si sono impegnate a ridurre la povertà alla metà,
la fascia dell’indigenza si sarà addirittura arricchita di 100 milioni di
persone. Se non si prenderanno le opportune misure per correggere ciò che non
va – ha assicurato – l’obiettivo del 2015 dovrà essere definitivamente
archiviato e sostituito con un lontanissimo anno 2150.
A Porto Alegre è stato anche diffuso un rapporto
denominato “Politiche e pratiche per garantire e migliorare l’accesso alla
terra”. Nel documento la FAO avverte che la globalizzazione ha creato una forte
pressione sulle fasce più povere impegnate nell’agricoltura nei Paesi in via di
sviluppo, che rischiano di perdere la proprietà della terra e quindi ogni
risorsa diretta di sostegno alimentare e finanziario. Diouf
ha sottolineato, in particolare, che sono crollati gli investimenti nell’agricoltura
familiare che dà sostegno al 75 per cento dei poveri del mondo e che in
generale, tra il 1990 e il 2000, l’aiuto dei Paesi ricchi allo sviluppo si è
ridotto del 50 per cento.
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A CINQUANT’ANNI
DALLA FONDAZIONE SI INCONTRANO OGGI A ROMA
I “VOLONTARI DI DIO”, LAICI DEL MOVIMENTO DEI
FOCOLARI IMPEGNATI
NELLA COSTRUZIONE DI UNA NUOVA UMANITÀ FONDATA SULLA
FRATERNITÀ
ROMA. = “Da Roma a Budapest. In
viaggio verso la fraternità universale”. E’il titolo dell’evento artistico-culturale che si terrà oggi, alle 18, a Roma,
nella sala della Protomoteca in Campidoglio, primo momento delle celebrazioni
per i 50 anni dalla nascita dei “Volontari di Dio”, uno dei rami in cui si
articola il Movimento dei Focolari. Nel 1956, di fronte all’invasione
dell’Ungheria, Papa Pio XII lanciava al mondo un accorato appello: “Dio! Questo
nome, fonte del diritto, di ogni giustizia, di ogni libertà, risuoni nei
Parlamenti, sulle piazze, nelle abitazioni e nelle officine…”. In risposta a questo appello, su ispirazione di Chiara Lubich, fondatrice dei Focolari, sorgeva il desiderio di
dare inizio ad un’altra invasione con una determinazione analoga ma di segno
contrario: quello di portare una
rivoluzione d’amore nella vita di ogni giorno, nella famiglia, nei luoghi di
lavoro e di impegno culturale, sociale e politico. Da allora si è diffuso in
tutto il mondo un movimento di laici, uomini e donne di tutte le età,
nazionalità e condizioni sociali che scelgono liberamente di seguire Dio per
costruire una nuova umanità fondata sulla fraternità. Sono appunto i “Volontari
di Dio”, oggi in circa 24 mila. Dei 50 anni di storia fin qui vissuta dai
volontari e in particolare della loro presenza e azione nella città di Roma, si
parlerà nell’incontro in Campidoglio di stasera in vista del grande
appuntamento internazionale promosso dal 14 al 16 settembre prossimo proprio a
Budapest, dove sono attese circa 10 mila persone coinvolte nella stessa
straordinaria avventura. (A. M.)
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8
marzo 2006
- A cura di
Amedeo Lomonaco -
L’Unione
Europea chiede un’immediata sospensione del processo di arricchimento dell’uranio mentre l’Iran minaccia di utilizzare “l’arma” del
petrolio. Sono le contrastanti posizioni emerse durante l’odierna riunione
dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica sul programma nucleare di Teheran. Il nostro servizio:
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L’Iran deve fermare completamente l’arricchimento di
uranio e cooperare pienamente con le ispezioni, se vuole evitare pressioni da parte
del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. E’ la richiesta rivolta dall’Unione
Europea all’Iran durante la riunione di questa mattina, a Vienna, dei
governatori dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA) sul dossier
iraniano. Subito dopo, il delegato iraniano ha parlato di possibili ritorsioni
contro gli Stati Uniti se il suo Paese sarà deferito al Consiglio di sicurezza
delle Nazioni Unite. Il rappresentante iraniano, che comunque considera aperte
le porte dei negoziati, ha spiegato che l’Iran, quarto produttore al mondo di
petrolio, potrebbe decidere di tagliare le esportazioni di greggio. Alle
minacce iraniane si contrappongono, poi, i moniti dell’ambasciatore
statunitense presso l’AIEA: il diplomatico americano ha avvertito che lo Stato
iraniano ha a disposizione una quantità d’uranio utile per costruire 10 bombe
atomiche. Ma la posizione dell’Iran, che conferma gli
scopi pacifici del suo programma, appare irremovibile. La Repubblica islamica – ha ribadito il presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad - non si piegherà alla forza, proseguirà
nelle attività di ricerca e continuerà su questa strada fino alla fine. A
rendere ancora più difficili le trattative è stato anche il mancato accordo sul
compromesso russo. Incontrando ieri a Washington il segretario di Stato
americano, Condoleezza Rice,
il ministro degli Esteri russo, Serghei Lavrov, ha detto che il governo di Mosca non ha lanciato
nuove proposte agli iraniani sull’arricchimento dell’uranio.
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In Iraq, almeno 4 civili sono rimasti uccisi per
l’esplosione di un ordigno vicino ad una scuola di Falluja.
A Baghdad, la deflagrazione di una bomba contro il convoglio del ministro
dell’Interno, non presente al momento dell’attacco, ha provocato poi la morte
di almeno una persona. Sempre nella capitale, le forze di sicurezza hanno
trovato, ieri sera, almeno 18 corpi senza vita all’interno di un minibus. La
polizia non ha rivelato l’identità delle vittime, trovate con mani legate e
occhi bendati, probabilmente per non alimentare ulteriori rappresaglie tra
sciiti e sunniti. Il vice ministro iracheno della Giustizia ha reso noto,
intanto, che oltre mille persone detenute nelle prigioni gestite dalle forze
multinazionali, verranno rilasciate entro marzo.
Il presidente palestinese Mahmoud
Abbas, detto Abu Mazen, incontrerà oggi il premier designato Ismail Haneya, esponente di
Hamas, per discutere sulla formazione del nuovo governo. A darne notizia sono
state fonti ufficiali palestinesi, precisando che l’incontro si svolgerà nella
sede dell’Autorità nazionale palestinese (ANP) a Gaza.
È tornata la calma nella città santa indiana di Varanasi, dove ieri almeno 23 persone sono rimaste uccise
per una serie di attentati che hanno colpito prima un tempio indù affollato da
centinaia di fedeli, poi la locale stazione ferroviaria. Dopo le esplosioni,
tutto il Paese è stato posto in stato di massima allerta per il timore di nuove
tensioni tra induisti e musulmani. La serie di attacchi è stata condannata, con
un documento, dai vescovi indiani. Il servizio di Roberto Piermarini:
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“Un
ignobile crimine contro l'umanità”. Con queste parole i presuli condannano gli
attentati che “hanno ucciso e ferito persone innocenti”.
Di fronte a questi atti, la Conferenza episcopale indiana chiede alle autorità
di New Delhi di adottare severe misure contro chi ha
commesso queste violenze per interessi di parte, in modo che siano ripristinate
legge e ordine al più presto e venga mantenuta un’atmosfera di pace e sicurezza
in tutto il Paese. “Rifiutiamo ogni forma di violenza per risolvere i
conflitti”, ha affermato padre Joseph Babu, portavoce dei vescovi indiani, in un’intervista
rilasciata all’agenzia “Asianews”. “La violenza – ha
spiegato padre Babu - ha l’unico effetto di
indebolire il delicato equilibrio tra le comunità della nostra società, in
particolare nelle zone più sensibili del Paese”. “Per questo – ha osservato –
nessuno sforzo deve rimanere intentato al fine di arginare le tendenze alla
divisione e alla violenza, affinché la popolazione possa vivere senza paura e
incertezza”. Secondo padre Nitilal, parroco di Varanasi, le bombe potrebbero addirittura mettere in crisi
la convivenza delle diverse comunità religiose.
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La Camera
degli Stati Uniti ha definitivamente approvato la nuova e definitiva versione
del Patriot Act, il pacchetto di leggi antiterrorismo
varato dopo gli attacchi terroristici dell’11 settembre. I “sì” sono stati 280
e i “no” 138.
In
Australia, la Camera Alta del Parlamento della regione di Sydney è la prima
istituzione ad abolire il giuramento di fedeltà alla corona britannica. A pochi
giorni dalla visita ufficiale di Elisabetta II, è stato approvato il disegno di
legge che sostituisce la tradizionale formula con cui parlamentari e ministri
giuravano obbedienza alla regina e ai suoi successori. Critici i conservatori,
che considerano il gesto una mancanza di rispetto proprio alla vigilia della
prossima visita di Elisabetta in Australia.
Tutti trepidiamo per la sorte del
piccolo Tommaso. Rivalersi su un piccolo innocente, è la crudeltà peggiore che
ci possa essere. Lo ha detto la moglie del presidente
della Repubblica italiana, Franca Ciampi, riferendosi al caso di Tommaso Onofri, il bimbo di 17 mesi rapito giovedì scorso nei
pressi di Parma. Su questa vicenda, gli inquirenti hanno chiesto un periodo di
silenzio stampa. Oltre ad aderire a questa richiesta,
che riguarda le indagini e le attività della polizia, ci uniamo anche ai
numerosi appelli per il rilascio del bimbo. A questi appelli, tra i quali
quello rivolto ieri dal Papa per la “liberazione immediata e senza condizioni
del piccolo Tommaso”, si aggiunge il parroco della chiesa di Sant’Andrea in Antoniano, a Parma, che chiede ai sequestratori di pentirsi
e di restituire il bimbo all’affetto dei suoi genitori. Ascoltiamo, al
microfono di Antonella Palermo, proprio il sacerdote, don Giacomo Spini:
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R. –
Tutti siamo sgomenti, siamo turbati di fronte a questa tragedia. Tutti
condannano il rapimento. Oltre a questa condanna, scaturisce una preghiera, che
viene innalzata in modo costante e continuo, con
fiducia, a Dio. La preghiera che mi sembra forse più significativa è quella che
un bambino, coetaneo del fratello di 8 anni di Tommaso, ha rivolto domenica
scorsa. La preghiera è stata rivolta nella comunità parrocchiale di
Sant’Andrea, dove Tommaso è stato battezzato il 2 aprile dello scorso anno.
Diceva così: “Pentitevi e non indurite i vostri cuori”. Che queste parole
arrivino ai rapitori, perché restituiscano presto il piccolo Tommaso ai
genitori.
D. –
Un’esortazione assolutamente evangelica. Tra l’altro fatta
in un tempo forte, come questo quaresimale, che invita proprio da un lato al
perdono e dall’altra alla conversione del cuore…
R. – Proprio
nella liturgia di uno dei giorni scorsi si era proposto come brano del Vangelo
il testo di Matteo, laddove Gesù ci dice: “Ogni volta che avete fatto queste
cose ad uno di questi miei fratelli più piccoli,
l’avete fatto a me”. Il male che è stato compiuto è già immane. Che ci possa
essere un ripensamento. L’auspicio è che questo ripensamento possa dare spazio
a comportamenti umani, alla pietà verso un piccolo innocente. Credo che questo
sia anche l’augurio di tutti.
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Dal dramma del sequestro di
Tommaso alla storia, fortunatamente a lieto fine, di un altro piccolo nello Sri Lanka: la polizia ha reso
noto che un ragazzino di 15 anni, arruolato con la forza dai guerriglieri Tamil, è riuscito a fuggire da una base dei ribelli. Dopo
essere scappato da un campo di addestramento, il bambino soldato ha poi
raccontato agli agenti la sua terribile esperienza e quella di altri ragazzi,
costretti a combattere per i ribelli.
In Cina, una bambina di nove anni
è morta a causa dell’influenza aviaria. Salgono così a dieci le vittime nel
Paese. Lo ha reso noto l’agenzia Nuova Cina citando il ministero della Sanità
di Pechino. In Albania è stato accertato, inoltre, il primo caso di influenza
aviaria in un pollo. In Germania, intanto, altri due gatti, trovati morti in
un’isola nel mar Baltico, sono risultati positivi al virus H5N1. Il ministro
dell’Agricoltura tedesco ha dichiarato che esiste un “pericolo potenziale” per gli essere umani, aggiungendo però che non c'è motivo di
cedere al panico.
In
Ecuador, il presidente Alfredo Palacio ha proclamato
lo stato d’emergenza in tre province del Paese in seguito ad una lunga serie di
scioperi indetti da circa 4.000 lavoratori dalla società Petroecuador.
I dimostranti chiedono un contratto di lavoro a tempo pieno. Lo stato di
emergenza limita alcuni diritti costituzionali come la libertà di
associazione. La produzione della Petroecuador è calata del 34 per cento, circa 132.000
barili in meno al giorno, da quando è iniziata la
protesta.
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