RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno L  n. 20  - Testo della trasmissione di venerdì 20 gennaio 2006

 

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

“C’è bisogno di sacerdoti preparati e coraggiosi che, senza ambizioni e timori, ma convinti della verità evangelica, si preoccupino  di annunciare Cristo,  pronti a chinarsi sulle sofferenze umane”. E’ quanto ha detto Benedetto XVI  ricevendo oggi docenti e seminaristi dell’Almo Collegio Capranica

 

E’ morto ieri il cardinale Pio Taofinu’u, arcivescovo emerito di Samoa-Apia. Aveva 82 anni. E’ stato il primo vescovo polinesiano nella storia della Chiesa

 

Terza giornata della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani: interviste con il Priore di Bose Enzo Bianchi e  mons. John Mutiso Mbinda

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

I dati Eurispes sul rapporto con la fede dei cattolici italiani, commentati da mons. Domenico Sigalini e  Salvatore Martinez

 

Il Forum delle famiglie lancia il suo manifesto alle forze politiche in vista delle prossime elezioni: in primo piano il diritto alla vita, le politiche di sostegno per la famiglia, ma anche scuola, lavoro e welfare. Ce ne parla Luisa Santolini

 

Nei cinema in Italia il film “Joyeux Noel”, del regista francese Christian Carion

 

CHIESA E SOCIETA’:

I vescovi del Venezuela incontreranno il presidente delle Repubblica, Chavez, il prossimo 24 gennaio

 

Torna nelle scuole russe l’ora di religione dopo decenni di ateismo di Stato

 

Appello dei vescovi del Gabon alla pace, dopo le violenze seguite alla rielezione per la sesta volta di Bongo Ondimba a capo dello Stato

 

In Colombia, quasi la metà dei cittadini vive in condizioni di povertà e indigenza

 

Ricostruito nello Sri Lanka il Santuario di Nostra Signora di Matara, distrutto dallo tsunami il 26 dicembre del 2004

 

24 ORE NEL MONDO:

In Iraq, l’Alleanza sciita vince le legislative senza la maggioranza assoluta. “No” di Washington alla proposta di tregua avanzata in un nuovo messaggio da Osama Bin Laden

 

 

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

20 gennaio 2006

 

 

“C’È BISOGNO DI SACERDOTI PREPARATI E CORAGGIOSI CHE,

SENZA AMBIZIONI E TIMORI, MA CONVINTI DELLA VERITÀ EVANGELICA,

SI PREOCCUPINO DI ANNUNCIARE CRISTO,  PRONTI A CHINARSI

SULLE SOFFERENZE UMANE”. E’ QUANTO HA DETTO BENEDETTO XVI

RICEVENDO OGGI I SEMINARISTI DELL’ALMO COLLEGIO CAPRANICA

 

Sacerdoti preparati e dotati di umanità e coraggio, per far rivivere Cristo in un mondo che tende a dimenticarlo. E’ un programma che vale una vita, quello consegnato da Benedetto XVI ai formatori e ai 50 studenti che dell’Almo Collegio Capranica, un’antica istituzione ecclesiale fondata nel 1457 dal cardinale omonimo. Il Papa li ha ricevuti per la prima volta in udienza, alla vigilia della festa di Sant’Agnese, patrona del Collegio. Il servizio di Alessandro De Carolis:

 

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Mura che raccontano oltre 500 anni di storia e cultura ecclesiale, di giovani seminaristi con il Papato nel loro destino, di formatori che hanno “profuso tesori di scienza e di bontà”. Così Benedetto XVI ha ricordato agli studenti del Collegio Capranica i segni di eccellenza di un’istituzione che ebbe una vocazione alla solidarietà fin dalla sua fondazione, quando il cardinale Capranica pensò al Collegio come a un asilo per la formazione di sacerdoti, in particolare quelli meno abbienti di Roma. “Frequentare gli studi teologici in questa nostra Città - ha riconosciuto il Papa nel suo discorso alla comunità del Collegio, guidata dal cardinale Camillo Ruini - offre una singolare opportunità di crescita e di apertura alle esigenze della Chiesa universale”.

 

Ma lo studio, ha raccomandato Benedetto XVI, deve progredire assieme alla “maturazione umana”, all’adesione al Magistero della Chiesa, all’“esercizio delle virtù”, in particolare l’umiltà e la carità, perché sono esse a dare spessore e credibilità al sacerdote:

 

“Per rispondere alle attese della società moderna, per cooperare alla vasta azione evangelizzatrice che coinvolge tutti i cristiani, c’è bisogno di sacerdoti preparati e coraggiosi che, senza ambizioni e timori, ma convinti della Verità evangelica, si preoccupino anzitutto di annunciare Cristo e, in suo nome, siano pronti a chinarsi sulle sofferenze umane, facendo sperimentare il conforto dell’amore di Dio e il calore della famiglia ecclesiale a tutti, specialmente ai poveri e a quanti versano in difficoltà”.

 

Il modello per ogni seminarista, ha concluso il Papa, è e rimane Cristo. “Quanto più, infatti, resterete in comunione con Lui – ha affermato - tanto più sarete in grado di seguirne fedelmente le orme, così che, “nella carità, che è il vincolo della perfezione”, maturi il vostro amore per il Signore, sotto la guida dello Spirito Santo”.

 

I 50 studenti attualmente nell’organico dell’Almo Collegio Capranica - che vanta tra i suoi ex alunni due nomi di assoluta importanza come Giacomo della Chiesa ed Eugenio Pacelli, ovvero i futuri Pontefici Benedetto XV e Pio XII – sono guidati dal rettore, mons. Ermenegildo Manicardi, e da tre padri spirituali. L’Alta direzione è detenuta dal cardinale vicario Camillo Ruini, dall’arcivescovo di Acireale, Pio Vittorio Vigo, e dall’arcivescovo di Siena-Colle di Val d’Elsa-Montalcino, Antonio Buoncristiani.

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UDIENZE E NOMINE

 

Benedetto XVI ha ricevuto, questa mattina, un gruppo di vescovi della conferenza episcopale della Repubblica Democratica del Congo in visita ad Limina. Il Papa riceverà questo pomeriggio, in udienza, l’arcivescovo William Joseph Levada, prefetto della congregazione per la Dottrina della Fede.

 

In Sri Lanka, il Papa ha nominato vescovo di Ratnapura il reverendo Ivan Tilak Jayasundera, del clero della diocesi di Kandy, professore di Liturgia presso il seminario nazionale maggiore di Kandy.

 

 

E’ MORTO IERI IL CARDINALE PIO TAOFINU’U, ARCIVESCOVO EMERITO DI SAMOA-APIA. AVEVA 82 ANNI. E’ STATO IL PRIMO VESCOVO POLINESIANO NELLA STORIA

DELLA CHIESA. ERA PARTICOLARMENTE VICINO AI POVERI

 

E’ morto ieri il cardinale Pio Taofinu’u, arcivescovo emerito di Samoa-Apia, in Oceania. Aveva 82 anni.  I funerali  si svolgeranno domani mattina ad Apia. La salma sarà sepolta nella Cattedrale dell’Immacolata Concezione. Il servizio di Sergio Centofanti.

 

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Una vita trascorsa all’insegna di Maria. Il cardinale Taofinu’u era nato da genitori indigeni, nelle Samoa Occidentali, nel 1923 nella Solennità dell’Immacolata Concezione. Ordinato sacerdote a 31 anni sempre l’8 dicembre, era entrato pochi anni dopo nella Congregazione dei padri Maristi, particolarmente attivi in Oceania. Con la nomina fatta da Paolo VI divenne nel 1968  il primo vescovo polinesiano nella storia della Chiesa. Era stato creato cardinale nel 1973. La sua attività pastorale si è svolta senza soste in questo piccolo Stato insulare dell’Oceano Pacifico che conta appena 180 mila abitanti (al 62% protestanti e al 21% cattolici): ha creato numerose scuole secondarie e istituti di formazione professionale, si è impegnato nell'apostolato e nel servizio dei poveri e degli anziani - per i quali ha creato una casa d'assistenza affidata alle Piccole Sorelle di Gesù - ha riorganizzato il seminario ed ha fondato un istituto teologico per la formazione di diaconi e catechisti. Nell'intento di promuovere l'indipendenza economica degli abitanti della diocesi, destinò tremila acri di terreno di proprietà della diocesi alla costruzione di una grande fabbrica per la trasformazione dei prodotti caseari.

 

Con la sua morte  il Collegio Cardinalizio risulta composto da 178 porporati, di cui 111 elettori, e 67 non elettori.

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TERZA GIORNATA DELLA SETTIMANA DI PREGHIERA PER L’UNITA’ DEI CRISTIANI.

I RAPPORTI TRA CHIESA CATTOLICA E CONSIGLIO ECUMENICO DELLE CHIESE

- Intervista con il priore di Bose Enzo Bianchi e con mons. John Mutiso Mbinda -

 

Oggi è la terza giornata della Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani. I discepoli di Cristo sono invitati in particolare a "pregare insieme nel nome di Gesù” nella consapevolezza che  Dio è disposto sempre a perdonare. Ma qual è attualmente la situazione a livello ecumenico? Sergio Centofanti lo ha chiesto al Priore di Bose Enzo Bianchi:

 

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R. – L’ecumenismo indubbiamente è un’opera che richiede tempo: occorre molto tempo infatti per arrivare alla comunione visibile delle Chiese. Con Benedetto XVI sembra ci siano maggiori disponibilità dalle altre Chiese verso il Papato e verso la Chiesa cattolica, perché Benedetto XVI fin dall’inizio del suo Pontificato ha detto che l’ecumenismo è il suo impegno primario e che per esso spenderà le sue forze. Questo fa sì che ci sia oggi un’attesa di gesti significativi, come lui ha detto, e che portino nella verità e nella carità ad una comunione visibile tra le Chiese.

 

D. – Che cosa è necessario oggi per avanzare sulla strada dell’ecumenismo?

 

R. – Quello che è sempre necessario è una vera e propria conversione dei cristiani e delle Chiese alla logica della comunione, voluta da Gesù. L’ecumenismo non è un fatto opzionale, sta all’interno della testimonianza cristiana. Può essere soltanto un’esecuzione della volontà di Gesù, che ha chiesto addirittura al Padre nella grande preghiera sacerdotale che i credenti in Lui siano visibilmente una sola cosa.

 

D. – Quale cammino, invece, voi percorrete come Comunità di Bose sulla strada dell’unità?

 

R. – Essenzialmente quello della preghiera e del vivere insieme, con una convergenza assoluta su Gesù Cristo, il Signore di tutti noi, cercando di beneficiare delle spiritualità comuni, ma cercando anche nella verità, avvicinandoci sempre più a Cristo, di trovarci sempre più vicini tra di noi.

 

D. – Il Papa ha definito un gesto della Provvidenza che, proprio durante la settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, il 25 gennaio prossimo, sarà pubblicata la sua prima Enciclica, intitolata “Deus Caritas est”, Dio è Amore…

 

R. – L’Apostolo Giovanni quand’era vecchio, si dice, di fronte alla Chiesa che era divisa, andando in assemblea, diceva soltanto: “Amiamoci gli uni con gli altri, Dio è carità”. Non diceva altro. Ecco, Benedetto XVI, che è anche un Papa anziano, ci dice la stessa cosa e in vista dell’unità, io credo, l’essenziale del messaggio: solo se c’è l’agàpe possiamo diventare una comunione visibile.

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Una delle istituzioni internazionali che più attivamente si occupa di dialogo interconfessionale è il Consiglio Ecumenico delle Chiese. La Chiesa cattolica vi partecipa come osservatore e tra poco meno di un mese sarà presente in Brasile per l’assemblea generale del Consiglio: un’occasione per tornare a riflettere sul futuro dell’ecumenismo, così come sta avvenendo in questi giorni della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Giovanni Peduto ha chiesto quali siano stati gli sviluppi registrati nel 2005 a mons. John Mutiso-Mbinda, che in seno al Pontificio Consiglio per la promozione dell’Unità dei cristiani si occupa dei rapporti con il Consiglio Ecumenico delle Chiese:

 

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R. – In primo luogo c’è stata una visita a Roma, nel mese di maggio, del segretario generale del Consiglio Ecumenico delle Chiese, il dott. Samuel Kobia. La visita si è conclusa con un’udienza privata con il Santo Padre, Papa Benedetto XVI. Secondo aspetto della nostra attività è stata la Conferenza missionaria del Consiglio Ecumenico delle Chiese ad Atene, nel mese di maggio, sul tema “Vieni Spirito Santo, guarisci e riconcilia”. La Conferenza ha avuto 650 partecipanti provenienti da tutto il mondo, con una delegazione ufficiale cattolica di 25 osservatori. Il terzo aspetto della nostra attività è stato il 40.mo anniversario del Gruppo misto di lavoro con due dimensioni, di cui una celebrativa, presso il centro del Consiglio Ecumenico delle Chiese a Ginevra, alla quale sono intervenuti il cardinale Walter Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’Unità dei cristiani, e il catholicos Aram I, moderatore del Comitato centrale del Consiglio Ecumenico delle Chiese. L’altra dimensione è stata quella valutativa, che ha avuto luogo all’Istituto ecumenico di Bosey, nei pressi di Ginevra, con lo scopo di uno studio comune sul mandato del Consiglio Ecumenico delle Chiese, per redigere una proposta dei principi e criteri per il funzionamento futuro del Gruppo misto di lavoro.

 

D. – Mons. Mutiso-Mbinda, cosa si prevede per il futuro? Quali sviluppi nel dialogo e quali impegni aspetta questo dialogo tra Chiesa cattolica e Consiglio Ecumenico delle Chiese?

 

R. – Per quanto riguarda il futuro, fra poco, nel mese di febbraio, dal 14 fino al 23, a Porto Alegre in Brasile, si terrà l’Assemblea generale del Consiglio Ecumenico delle Chiese, sul tema “Dio, nella tua grazia, trasforma il mondo”. Saranno presenti oltre 700 delegati che parteciperanno a nome delle Chiese membro del Consiglio Ecumenico delle Chiese. La Chiesa cattolica invierà una delegazione ufficiale di osservatori, composta da 18 persone provenienti da varie parti del mondo. Questa assemblea sarà molto importante, perché sarà l’occasione di valutare l’operato del Consiglio Ecumenico delle Chiese e di programmare l’attività del futuro. Quindi sarà anche un’occasione per prevedere cosa significhi l’ecumenismo nel XXI secolo.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

La prima pagina si apre con l’udienza di Benedetto XVI alla comunità dell’Almo Collegio Capranica. Il Papa ha sottolineato che vi è bisogno di sacerdoti preparati e coraggiosi, senza ambizioni e timori, per rispondere alle attese della società moderna.  

 

Servizio vaticano - Una pagina dedicata alla Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani.

 

Servizio estero - Terrorismo: Osama bin Laden offre una “tregua” condizionata ma promette sanguinosi attacchi contro gli USA.

 

Servizio culturale - Una riflessione di Marco Bellizi dal titolo “Lezioni di morte”: il seminario sull’eutanasia tenuto in un liceo scientifico di Torino.

 

Servizio italiano - In primo piano l’Iraq: la missione militare terminerà entro l’anno; subentrerà uno sostegno civile alla ricostruzione.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

20 gennaio 2006

 

 

I DATI EURISPES SUL RAPPORTO CON LA FEDE DEI CATTOLICI ITALIANI,

 COMMENTATI DAL VESCOVO DI PALESTRINA, DOMENICO SIGALINI,

E DAL COORDINATORE DI RINNOVAMENTO NELLO SPIRITO, SALVATORE MARTINEZ

 

L’88 per cento degli italiani afferma di essere cattolico, ma solo uno su tre va a Messa: è il contraddittorio dato emerso da una ricerca dell’Eurispes, pubblicata in questi giorni. Uno studio secondo il quale su temi fondamentali per la Chiesa come la difesa della vita fin dal concepimento e la centralità della famiglia si registrerebbe uno “scollamento” tra i fedeli e i propri pastori. Ma si può davvero parlare di spaccatura, come hanno ritenuto alcuni osservatori? Al microfono di Alessandro Gisotti risponde mons. Domenico Sigalini, vescovo di Palestrina:

 

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R. – Io sarei anche poco propenso a pensare ad una definizione del generale, questa spaccatura tra credenti e vertici della Chiesa, perché non si può da un sondaggio di questo genere definire una spaccatura. Diciamo, piuttosto, che c’è una appartenenza generalizzata del popolo italiano al mondo cattolico. Da qui a dire che questo è il mondo dei credenti ce ne passa tanto perché la fede non è un mettere una crocetta su un sì, no, non so. Evidentemente è un qualcosa di molto più profondo ed è un po’ il difetto che sta in tutti questi sondaggi, che sono sostanzialmente quantitativi e non sono qualitativi, cioè non vanno dentro in che cosa pensa la persona.

 

D. – Quali sono, secondo lei, comunque, le cause di questo fenomeno?

 

R. – Le cause di questo fenomeno, cioè di risposte così generalizzate, sono sicuramente molto dovute ai mass media. Potrebbero anche dire: avete visto che allora la gente la pensa come noi giornali? Ma io potrei dire: avete visto, voi giornali, come abituando la gente a non pensare riuscite ad ottenere delle divaricazioni all’interno della propria appartenenza di fede? Io,comunque, torno a dire che c’è un vero sentimento religioso nel mondo degli italiani e lo vedo con i giovani. L’80 per cento dei giovani ha bisogno di credere in Dio. E siccome siamo in Italia, evidentemente si collega al mondo cattolico. Però da qui a vedere tutte le varie coerenze con tutti i precetti della Chiesa ci vuole un po’ di rispetto e un modo di interrogare e di ragionare, di far ragionare che va un po’ più in profondità di quello che è un sì, no, non so.

 

D. – C’è un problema, un rischio – come qualcuno intravede – di una religione fai da te?

 

R. – C’è molta personalizzazione nella religione. Io direi che questo non è neanche male perché noi non siamo per una religione massificata. La Chiesa non è il regno sulle coscienze, ma è il regno delle coscienze. Quindi che ci sia una personalizzazione per me è un fatto positivo. Vuol dire che uno se va a Messa non ci va perché ci vanno tutti, ma perché lo decide. Da qui a pensare che l’unica soluzione sia il relativismo, ce ne vuole.

 

D. – Quanto emerge dalla ricerca Eurispes pone, comunque, delle sfide ai vescovi, in particolare sui temi centrali della vita e della famiglia. Cosa deve fare un pastore su questo fronte? Qual è la sua esperienza quotidiana?

 

R. – La mia esperienza quotidiana è che bisogna aumentare  gli spazi di formazione, cioè i luoghi nei quali con le persone non si sta a fare sondaggi, ma si sta a ragionare, si va in profondità.. Questo credo che sia l’insegnamento che io ne traggo ed è quello che io continuamente cerco di proporre all’interno della mia esperienza diocesana. Noi abbiamo bisogno di aiutare i giovani ad incontrarsi con la Parola di Dio, a far scattare questo incontro con Lui, con Gesù e questo cambia loro la vita. Questo avviene attraverso lavori concreti in parrocchia, la parrocchia diventa la casa della speranza, in cui si possono approfondire questi elementi. Spazi in cui si personalizza questo sentore di dire:io sono cattolico.

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I dati dell’Eurispes pongono degli interrogativi sul rapporto tra fede e società, in Italia. Ma tornano anche a sottolineare la questione se si possa essere credenti, ma al tempo stesso non praticanti. Tema, questo, sul quale si sofferma Salvatore Martinez, coordinatore nazionale del Rinnovamento nello Spirito, intervistato da Alessandro Gisotti:

 

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R. – Io ritengo che bisogna saldare questo binomio tra una fede pensata e una fede che va assolutamente praticata, ed è il binomio che rincorre la vita di un cristiano: per un cristiano, privato e pubblico non possono essere divaricati quasi che ci possano essere due vite. Il risultato sarebbe quello di rendere Cristo un fantasma nella storia. Bisogna invece fare della fede un fatto sempre più sociale, perché la fede ha implicazioni sociali e reclama ricadute sociali. Questi dati sono un richiamo per la comunità cristiana a riempire di significato tanti rapporti che sembrano svuotarsi di contenuto autentico.

 

D. – E’ più un problema di ‘disobbedienza’, da parte dei fedeli, nei confronti della parola dei pastori, oppure c’è proprio una mancanza, forse anche un’indifferenza, nei confronti della parola dei vescovi, del Papa, dei sacerdoti?

 

R. – Forse, più che di ‘disobbedienza’, che significa poi alla lettera ‘mancanza di ascolto’, è forse ‘distrazione’: tante voci, tanti rumori che attraggono, distraggono e in qualche modo fanno perdere di vista quello che è l’obiettivo primo del nostro esistere, le nostre capacità di relazionarci agli altri: penso in primo luogo alla famiglia. E’ anche un problema di identità che va riaffermata, io ritengo, proprio a partire da questo richiamo forte delle verità fondamentali. Che ci sono, che vengono – lo abbiamo visto da Benedetto XVI – riproposte anche in un modo chiaro. Bisognerebbe forse provare a riamplificarle anche con metodi nuovi.

 

D. – Da parte dei giovani c’è un forte bisogno di religiosità. Come venire incontro a questa esigenza?

 

R. – Giovanni Paolo II ha educato questi giovani, che in fondo sono cresciuti con lui e che sono la nuova generazione, a saper distinguere il bene dal male, e Benedetto XVI si sta ponendo sulla stessa lunghezza d’onda con molta fermezza ma anche con molto amore. I giovani rispondono, a questo appello, ed è estremamente incoraggiante, allora, vedere il ritorno alla preghiera, il ritorno al discernimento spirituale, il desiderio di cercare risposte più vere, più profonde, provare a trovare dal di dentro e non dal di fuori le ragioni di un’esistenza che vale la pena vivere.

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IL FORUM DELLE FAMIGLIE LANCIA IL SUO MANIFESTO  ALLE FORZE POLITICHE

IN VISTA DELLE PROSSIME ELEZIONI: IN PRIMO PAINO IL DIRITTO ALLA VITA,

LE POLITICHE DI SOSTEGNO PER LA FAMIGLIA,

MA ANCHE SCUOLA, LAVORO E WELFARE

- Intervista con Luisa Santolini -

 

Diritto alla vita, politiche di sostegno per la famiglia, ma anche scuola, lavoro e Welfare. Sono alcuni dei punti del “Manifesto” politico che il Forum delle Associazioni familiari ha presentato ieri a Roma. Il testo è indirizzato a tutti gli schieramenti politici in vista delle prossime elezioni, affinché la famiglia abbia uno spazio prioritario nei programmi elettorali. Massimiliano Menichetti.

 

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E’ un momento di emergenza per la famiglia. Così, senza mezzi termini, Luisa Santolini, presidente del Forum delle Associazioni familiari, organismo che racchiude 43 tra gruppi e associazioni e movimenti, ha aperto la presentazione del Manifesto “Famiglia – 6 priorità”. Il documento programmatico, rivolto a partiti, politici, cittadini propone sei punti centrali per lo sviluppo e il sostegno alle famiglie, tra cui dare più potere all’associazionismo familiare, un fisco che non distingua solo tra redditi alti e bassi, ma che tenga conto anche – a parità di reddito – di chi ha più figli. Luisa Santolini:

 

“Un fisco più equo per le famiglie, il riconoscimento del ruolo educativo, la scuola si deve sentire sussidiaria alla famiglia, un welfare, cioè un sistema di servizi a misura di famiglia”.

 

Uno dei fronti, quello della tutela della vita, ovvero il “no” all’eutanasia, il miglioramento della legge 40 sulla procreazione artificiale e la corretta attuazione della legge 194:

 

“La 194 non è stata applicata nella sua completezza  e quindi passa per una legge sull’aborto, quando il titolo è tutela della maternità. Quindi davanti ad una legge che non ci piace chiediamo che almeno vengano applicati i primi due articoli cui si riconosce il valore sociale della maternità e si dichiara che la Repubblica difende la vita umana fin dal suo inizio”.

 

Insomma, secondo il Forum, parlare di politiche familiari significa superare le attuali forme di assistenzialismo e di intervenire non sui singoli, ma sulla famiglia nel suo insieme. Altra frontiera quella del lavoro. Nella società attuale è difficoltoso per le donne che vogliono diventare mamme. Ancora la Santolini:

 

“Noi proponiamo l’applicazione della legge che fu fatta dall’allora ministro  Turco, che fu la legge sui congedi parentali, che è disattesa soprattutto dalle aziende. Chiediamo che il part time venga diffuso, non precarietà,non necessariamente una eccessiva mobilità”:

 

Lei ha aperto questa conferenza ribadendo che la famiglia è un soggetto ben preciso. L’Europarlamento ha adottato una risoluzione di condanna dell’omofobia, cioè di ogni atteggiamento di discriminazione contro gli omosessuali. Molti vedono in questo la legittimazione, da un punto di vista giuridico, delle coppie omosessuali nell’Unione Europea e la possibilità di sanzionare quei Paesi che porrebbero ostacoli a richieste in tal senso:

 

“Credo che siano discriminazioni al contrario. Cioè non si può, in nome di una presunta libertà e di presunti riconoscimenti, discriminare, viceversa, la famiglia fondata sul matrimonio; non riconoscere la differenza tra un uomo e una donna, che è una differenza naturale, scritta nella vita di ognuno di noi e in nome di questa libertà si compie un’azione violenta nei confronti di quelli che credono delle altre cose. Questo credo che possa essere tranquillamente rifiutato”.

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NEI CINEMA IN ITALIA IL FILM FRANCESE “JOYEAUX NOEL”,

UN RACCONTO DI CHRISTIAN CARION SULLA PRIMA GUERRA MONDIALE

 

“Una verità dimenticata dalla storia” recita il sottotitolo del commovente e nobile film francese “Joyeux Noel” di Christian Carion, da oggi nelle nostre sale. La verità è il “miracolo” avvenuto, durante la Notte di Natale del 1914, nel cuore dei soldati impegnati ad uccidersi senza ragioni. Dalle trincee si leva un canto, escono giovani impauriti e sperduti, ritrovano una speranza: la follia umana la cancella velocemente. Il servizio è di Luca Pellegrini:

 

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Lo sguardo del sacerdote anglicano si fa terreo: è il 4 agosto del 1914, quando la notizia della dichiarazione di guerra dell’Inghilterra alla Germania raggiunge la Scozia. Due giovani, invece, sono colti da fatui entusiasmi: finalmente un senso alla vita, uno scopo. Ma quale scopo? Se lo domanderanno gli storici alle prese con l’interpretazione di una “inutile strage” che soltanto dopo cinque anni di massacri e milioni di morti porterà l’Europa e il mondo ad un nuovo, labile, provvisorio equilibrio. Ed è un fatto storicamente accertato che la vigilia di Natale del primo anno di guerra, quando si credeva che nel giro di pochi mesi tutto sarebbe finito, i soldati inglesi, tedeschi e francesi, al canto di “Stille Nacht” intonato da un tenore tedesco, e di una vibrante “Ave Maria” che la moglie soprano leva nella notte commuovendo i cuori di tutti, uscirono dalle trincee e per sole 24 ore fraternizzarono.

 

Il bel film del francese Christian Carion, che si è avvalso della consulenza storica di Marc Ferro ed è frutto di quattro anni di ricerca negli archivi, molti militari, delle nazioni allora in guerra, racconta proprio questo sconosciuto episodio protrattosi per un giorno soltanto ma dalla forte valenza simbolica: nel fondo dell’animo umano, pur sconvolto da un’assurda propaganda di odio, l’anelito alla pace si fa sempre strada, contro le ideologie, contro la violenza, contro l’intolleranza. Una Messa viene celebrata in quella santa notte: “l’altare del Signore – è una battuta del film – è il fuoco che scalda il gelo dei campi di battaglia”. Pregano, i soldati, e poi insieme mangiano, giocano, si scambiano ricordi. Ma non hanno futuro: le bombe torneranno a scoppiare, alimentate dalle parole di chi ha sulle spalle la terribile responsabilità di avere creato un nemico e le distorte ragioni per eliminarlo. Sembra una ferita lontana, che il progresso o la paura di nuove stragi potrebbero aver suturato. Invece, ed è questa l’attualità del film ed il suo messaggio, è ancora un diffuso pericolo nei nostri giorni inquieti.

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CHIESA E SOCIETA’

20 gennaio 2004

 

 

I VESCOVI DEL VENEZUELA INCONTRERANNO IL PRESIDENTE DELLE REPUBBLICA,

CHAVEZ, IL PROSSIMO 24 GENNAIO. L’UDIENZA GIUNGE DOPO LE POLEMICHE

INSORTE TRA IL CAPO DI STATO ED IL CARDINALE CASTILLO LARA,

CHE HA FORTEMENTE CRITICATO IL GOVERNO DI CARACAS

 

CARACAS. = I vescovi venezuelani incontreranno il presidente delle Repubblica, Hugo Chavez, il 24 gennaio prossimo nella residenza di Palazzo de Miraflores, per affrontare “temi di interesse comune”. Il presidente della Conferenza episcopale, mons. Ubaldo Santana, ha tenuto a precisare che “non verranno rivolte scuse formali a Chavez”, anche se richieste dallo stesso capo di Stato, all’indomani delle accuse rivoltegli dal cardinale Rosalio Castillo Lara. Il porporato aveva criticato duramente l’esecutivo durante l’omelia pronunciata di fronte a migliaia di fedeli riuniti nella cattedrale di Barquisimeto, nella Messa al termine della processione della Divina Pastora. Secondo il cardinale Castillo Lara il governo, eletto democraticamente sette anni fa, ha “perso il suo aspetto democratico e presenta segni di dittatura”. Secondo mons. Ubaldo Santana il cardinale “ha esercitato il suo diritto di critica, come è nelle facoltà di qualunque cittadino”. Oltre al presidente dei vescovi venezuelani, saranno presenti all’incontro il vice presidente vicario della Conferenza episcopale, mons. Roberto Lückert, l’altro vice presidente, mons. Jorge Urosa Sabino e il segretario generale, mons. Ramon Viloria, il quale ha precisato: “Non possiamo chiudere la bocca a nessuno perché in Venezuela c’è libertà di parola e di pensiero.” Inoltre, mons. Ubaldo Santana ha ricordato che il porporato “non fa parte giuridicamente dell’episcopato” e pertanto “non riteniamo opportuno emettere un comunicato a nome dei vescovi”. Lo stesso registro viene usato dall’arcivescovo di Mérida, mons. Baltazar Porras Cardozo: “Le dichiarazioni di Chavez contro i pastori della Chiesa hanno come unico intento quello di distrarre la popolazione dai problemi reali del Paese. Il suo obiettivo è creare confusione e divisione. Le questioni vere non riguardano i rapporti tra Stato e Chiesa. Rimane, comunque, da parte nostre la piena disponibilità a risolvere i problemi”. (D.D.)

 

 

TORNA NELLE SCUOLE RUSSE L’ORA DI RELIGIONE DOPO DECENNI DI ATEISMO

DI STATO. NELLE REGIONE DI VLADIMIR, KALUGA E KALININGRAD

SARANNO AVVIATI CORSI DI CULTURA ORDODOSSA,

TENUTI DA ESPONENTI DEL CLERO

 

MOSCA. = Dopo decenni di ateismo di Stato, torna nelle scuole russe l’ora di religione. Sarà avviato nelle regioni di Vladimir, Kaluga e Kalinigrad un esperimento pilota destinato a riportare il Crocefisso fra i banchi, attraverso l’offerta di corsi - al momento facoltativi - di “fondamenti della cultura ortodossa”, tenuti da rappresentanti del clero ortodosso russo. E presto la materia diventerà obbligatoria,  sebbene gli studenti potranno comunque chiedere l'esonero. L’annuncio ha provocato reazioni irritate da parte delle  altre confessioni religiose: per il portavoce del Consiglio dei muftì russi, il musulmano Gulnur Gaziev, “le scuole statali devono rimanere laiche, la teologia va studiata solo negli istituti religiosi”; e Borokh Gorin, rappresentante della  Comunità ebraica della Federazione russa, ha detto al quotidiano “Izvestia” di ritenere l’iniziativa “foriera di divisioni etniche e religiose fra gli studenti: la scuola  dovrebbe restare multietnica e multiconfessionale”. Per la Chiesa ortodossa russa, la decisione delle autorità scolastiche di Vladimir, Kaluga e Kaliningrad è invece una riconquista importante, che giunge insieme alla ricostruzione della chiesa del Cristo Salvatore di Mosca e la riconversione dell’ex Museo sovietico dell’ateismo di San Pietroburgo in cattedrale di Nostra Signora di Kazan. E’ un chiaro segnale di come i tempi siano cambiati: fino a qualche anno fa, ad essere obbligatorio in Russia - almeno per gli studenti universitari - era il corso di “ateismo scientifico”. (R.G.)

 

 

APPELLO DEI VESCOVI DEL GABON ALLA PACE, DOPO LE VIOLENZE SEGUITE

ALLA RIELEZIONE PER LA SESTA VOLTA DI BONGO ONDIMBA A CAPO DELLO STATO.

IL DIALOGO È LA BASE PER RISOLVERE I CONFLITTI, RACCOMANDANO I PRESULI

 

LIBREVILLE.= I vescovi del Gabon, in un messaggio “ai cristiani, agli uomini di buona volontà e a tutto il popolo gabonese”, reso noto il 17 gennaio scorso, condannano gli atti di violenza che si sono verificati nel Paese, a seguito della rielezione per la sesta volta di Omar Bongo Ondimba a capo dello Stato. Come riferisce l’agenzia vaticana Fides, i presuli hanno più volte invitato la popolazione, in questa fase di transizione, a mantenere la calma e a mettere da parte ogni sentimento di odio e vendetta. Inoltre, nel documento i vescovi indicano la strada del dialogo come unico strumento valido alla risoluzione dei conflitti. Il ricorso alla violenza – scrivono – non ha mai portato da nessuna parte. (A.E.)

 

 

IN COLOMBIA, QUASI LA METÀ DEI CITTADINI VIVE IN CONDIZIONI DI POVERTÀ

E INDIGENZA. A RIVELARLO È L’ULTIMO RAPPORTO DEL DIPARTIMENTO NAZIONALE

DI PIANIFICAZIONE COLOMBIANO, MA LA CENTRALE UNITARIA DEI LAVORATORI

DENUNCIA CHE LA SITUAZIONE E’ ANCORA PIU’ GRAVE

 

BOGOTÁ.= In Colombia, scende l’indice di povertà ma non ci sono ancora le condizioni per garantire una sussistenza dignitosa a tutta la popolazione. E’ quanto emerge dall’ultimo rapporto del Dipartimento nazionale di pianificazione (DNP), che ha svolto la sua ricerca basandosi su dati registrati negli ultimi tre anni. Risulta, infatti, che dal 2002 al 2005 la povertà è scesa dal 57 al 49 per cento. Tale miglioramento, che interessa 2 milioni e 300 mila colombiani, si deve – secondo il direttore del DNP, Trujillo - alle conseguenze positive della crescita economica del Paese e delle politiche sociali, con la creazione di nuovi posti di lavoro e la riduzione del divario tra i più ricchi e i meno abbienti. Tuttavia, si stima che siano ancora 22 milioni le persone costrette a vivere nell’indigenza, di cui il 42 per cento residente nelle aree urbane e il 68 per cento nelle zone rurali, tra l’altro le più colpite dal conflitto interno. A questo proposito, Trujillo ha spiegato che a peggiorare la situazione nelle campagne, dove ancora non ci sono adeguate politiche agricole e sociali, contribuiscono i gruppi armati illegali che sfruttano i campesinos nelle piantagioni di coca e papavero da oppio. Il rapporto del DNP è stato però criticato dalla Centrale unitaria dei lavoratori (CUT), secondo la quale altre statistiche e altri studi, da loro ritenuti più affidabili, hanno invece documentato che la crescita del 5 per cento del PIL ha favorito solo i più ricchi, con uno scenario dunque più drammatico. (A.E.)

 

 

RICOSTRUITO NELLO SRI LANKA IL SANTUARIO DI NOSTRA SIGNORA DI MATARA,

DISTRUTTO DALLO TSUNAMI IL 26 DICEMBRE DEL 2004:

LO HA ANNUNICATO IL RETTORE PADRE HEWAWASAM

 

COLOMBO. = Il Santuario di Nostra Signora di Matara, uno dei principali dello Sri Lanka, è stato ricostruito dopo essere stato distrutto dallo tsunami che ha flagellato il sud-est asiatico. Lo ha reso noto il rettore del Santuario, padre Charles Hewawasam, che si è salvato per miracolo quando il tempio è stato invaso dalle acque il 26 dicembre 2004. Delle 75 persone riunite nel Santuario, ne sono morte più di 20. Quando la marea è scesa, le acque si sono portate via anche la veneratissima immagine di Nostra Signora di Matara, per tornare a depositarla, con grande sollievo di padre Charles e dei cattolici dello Sri Lanka, tre giorni dopo sulla riva del mare. In una lettera inviata all’Associazione “Aiuto alla Chiesa che Soffre”, che ha collaborato alla ricostruzione, il sacerdote ha reso noto di avere ora il progetto di costruire un nuovo tetto per la chiesa ed un nuovo presbiterio che sostituisca il precedente, gravemente danneggiato dal maremoto. (R.G.)

 

 

 

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24 ORE NEL MONDO

20 gennaio 2006

- A cura di Amedeo Lomonaco -

 

In Iraq la commissione elettorale ha diffuso i risultati delle elezioni legislative tenutesi nel Paese arabo lo scorso 15 dicembre e vinte dall’Alleanza sciita. Il capo di Al Qaeda torna, intanto, a far sentire la propria voce. Il nostro servizio:

 

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I conservatori sciiti hanno vinto le legislative irachene senza ottenere, però, una maggioranza assoluta. Secondo i dati ufficiali, l’Alleanza sciita ha ottenuto 128 seggi su 275, contro i 53 dei curdi e i 44 della principale formazione sunnita. Prima della comunicazione dei risultati, il governo aveva disposto la chiusura di tre province a maggiore rischio di attacchi terroristici. Ma nonostante queste straordinarie misure di sicurezza, la guerriglia ha sferrato nuovi attacchi. Almeno 4 persone sono morte nell’e-splosione di una bomba a Baghdad. L’ordigno, collocato in una zona commerciale del centro, aveva come obiettivo un convoglio di soldati americani. Violenze anche a Kerbala, dove i guerriglieri hanno ucciso un ufficiale di polizia. Sul fronte dei sequestri, il ministero degli Esteri del Kenya ha reso noto che due ingegneri kenioti sono stati rapiti dopo l’attacco di mercoledì scorso contro un convoglio di dipendenti di una società di comunicazioni e costato la vita a 10 persone. Un nuovo appello è stato lanciato inoltre dal padre di Jill Carroll, la giornalista americana rapita in Iraq. Oggi scade l’ultimatum dei sequestratori, che chiedono la liberazione di alcune detenute irachene. A questa drammatica sequenza di attacchi e sequestri ad opera della guerriglia, si deve poi aggiungere un nuovo messaggio di Al Qaeda. Dopo oltre un anno di silenzio, Osama Bin Laden ha nuovamente minacciato, infatti, gli Stati Uniti con un messaggio audio trasmesso ieri dall’emittente araba “Al Jazeera”. Secondo la CIA, la voce impressa sul nastro è proprio quella del capo di Al Qaeda. Nel messaggio, l’emiro saudita propone anche “una lunga tregua” al popolo americano in cambio del ritiro dall’Iraq. Questa proposta è stata respinta dalla Casa Bianca.

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Ma perché Osama Bin Laden è tornato a farsi sentire proprio adesso, dopo oltre un anno dall’ultimo messaggio? Giancarlo La Vella lo ha chiesto all’esperto di terrorismo del Corriere della sera, Guido Olimpio:

 

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R. – Innanzitutto, perché nella strategia di Al Qaeda rientra il piano di lanciare messaggi in modo periodico e continuato per tenere alta la tensione, e anche – probabilmente – per smentire le voci secondo cui Osama sarebbe morto. Si cerca inoltre di esortare e compattare i seguaci di quella che non è più un’organizzazione ma un movimento. Quindi, con questi messaggi, si vuole trasmettere l’idea di una struttura presente,in grado di andare avanti.

 

D. – Perché proprio in un momento in cui le situazioni in Afghanistan e in Iraq, sia pure con tutte le difficoltà del caso, però si stanno comunque avviando verso la democratizzazione?

 

R. – Questo perché Al Qaeda vuole essere un soggetto, prima “militare” e quindi politico. In questa seconda direzione, va letta l’offerta di tregua, respinta dagli americani. La proposta di tregua significa: “Voi dovete considerarci”.

 

D. – Perché tutte queste difficoltà da parte dell’intelligence americana, di scovare Osama Bin Laden?

 

R. – Da una parte, possiamo fare i dietrologi: c’è chi può pensare che non lo vogliano prendere. D’altra parte, però, bisogna essere onesti: la zona dove si nascondono i capi di Al Qaeda è una area molto vasta e, soprattutto, è impervia. In questa zona le protezioni sono fortissime. Magari, Osama non è neppure lì: forse si nasconde in una città! Per questo, sono molteplici i dubbi e gli interrogativi su tale aspetto.

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La decisione dell’Italia di ritirare il proprio contingente dall’Iraq entro la fine dell’anno è un riflesso dei progressi ottenuti nel Paese. Lo ha detto il portavoce della Casa Bianca, McClellan, spiegando come la decisione sia stata presa in stretta consultazione con le forze della coalizione. L’annuncio del ritiro è stato dato ieri dal ministro della Difesa italiano, Antonio Martino. Il ministro ha precisato che 300 militari rientreranno nei prossimi giorni, altri mille a giugno.

 

Non si placano le polemiche sul nucleare iraniano. La Cina ha esortato il governo di Teheran a tornare al tavolo dei negoziati sul proprio programma di ricerca atomica. Per Pechino, i negoziati con Gran Bretagna, Francia e Germania rimangono la strada per risolvere pacificamente il contenzioso. Temendo sanzioni da parte dell’ONU a causa del programma nucleare, l’Iran ha cominciato inoltre a trasferire i propri depositi bancari da conti europei in quelli di banche asiatiche.  Intanto, il direttore dell’agenzia atomica russa ha annunciato che il governo iraniano manderà nei prossimi giorni a Mosca una delegazione per proseguire le trattative sulla possibilità di far arricchire l’uranio in Russia.

 

“Nessuna causa giustifica atti destinati a uccidere e ferire civili”. Con queste parole il segretario generale dell’ONU, Kofi Annan, ha condannato l’attentato suicida di ieri nei pressi di una vecchia stazione degli autobus a Tel Aviv. L’Azione terroristica ha provocato, oltre alla morte del kamikaze, il ferimento di almeno 30 persone. Secondo il ministro della Difesa israeliano, Shaul Mofaz, Iran e Siria sono tra i responsabili dell’attentato kamikaze. A Gerusalemme, intanto, restano immutate le condizioni di Ariel Sharon, ricoverato in terapia intensiva e in coma profondo indotto farmacologicamente per il sedicesimo giorno consecutivo, in seguito all’ictus dello scorso 4 gennaio.

        

In Pakistan almeno 8 mila persone hanno manifestato a Wana, città della regione tribale del Waziristan, per protestare contro l’attacco missilistico americano di una settimana fa a Damadola, remoto villaggio nella parte nord-occidentale del Paese. Il raid aereo aveva come obiettivo il vice di Osama Bin Laden, Al-Zawahiri, ma nell’azione sono rimasti uccisi almeno 18 civili. Secondo l’intelligence pakistana, l’attacco avrebbe provocato anche la morte di alcuni importanti militanti di Al Qaeda.

 

Tensione in Nepal. Coprifuoco e arresti di oppositori imposti dal governo nel giorno in cui il Paese è mobilitato per una imponente manifestazione a Kathmandu contro la monarchia. Circa 15.000 soldati e poliziotti stanno pattugliando le strade della città, per la protesta promossa dai 7 partiti di opposizione contro il re Gyanendra, protagonista meno di un anno fa di un duro colpo di mano con cui ha sciolto l’esecutivo, nominato un nuovo governo e limitato le libertà civili. Il governo intende impedire la dimostrazione per evitare infiltrazioni di ribelli maoisti, che dal ‘96 puntano a rovesciare la monarchia.

 

Sciagura aerea in Ungheria: un aereo militare slovacco è precipitato, ieri, nel nord est dell’Ungheria. Le persone rimaste uccise nello schianto sono 42, una è sopravvissuta. Secondo una prima ricostruzione, il pilota del velivolo, che trasportava un gruppo di soldati della NATO di ritorno dalla loro missione in Kosovo, potrebbe aver tentato un atterraggio di fortuna.

 

E’ salito ad almeno 52 morti il numero delle vittime per la sciagura stradale avvenuta nella parte meridionale dello Stato indiano del Jammu, dove un pullman di linea sovraccarico di passeggeri è precipitato in un burrone profondo circa 400 metri.

 

Incidente stradale anche in Bolivia, dove almeno 37 persone, tra cui diversi bambini, sono morte quando un bus è finito in un profondo dirupo. L’inci-dente è avvenuto a 640 km da La Paz in una zona di  montagna tra le province di Potosi e Tarij.

 

In Italia, il presidente della Repubblica, Ciampi, ha rinviato alle Camere la legge sulla riforma dell’appello. Ciampi, a norma dell’articolo 74 della Costituzione, ha chiesto una “nuova deliberazione” della legge. Le nuove norme stabilivano l’impossibilità di appello per le sentenze di primo grado se l’imputato è stato riconosciuto innocente.

 

Secondo stime dell’OPEC, la domanda mondiale di petrolio crescerà, nel 2006, dell’1,9 per cento arrivando a 84,8 milioni di barili al giorno. Intanto, dopo le tensioni sul fronte internazionale, le nuove minacce di Bin Laden e il riaprirsi della crisi delle forniture di gas dalla Russia, il prezzo del petrolio è salito a 67,11 dollari al barile nelle contrattazioni after hours (dopo la chiusura ufficiale della borsa) a New York.

 

Il termometro a Mosca ha toccato temperature polari, scendendo fino a 32 gradi sotto zero. Almeno sette persone sono morte per congelamento. Il grande freddo ha anche provocato una riduzione nella fornitura di gas.

 

In Nigeria, i ribelli che tengono in ostaggio otto operai della compagnia Shell hanno nuovamente minacciato le società petrolifere straniere che operano nel Paese africano. In un messaggio, inviato alla agenzia Reuters, i sequestratori hanno nuovamente intimato alla stessa compagnia di sborsare un miliardo e mezzo di dollari per risarcire le popolazioni del delta del Niger per l’inquinamento ambientale provocato dalle attività estrattive. Le organizzazioni sindacali del settore petrolifero nigeriano hanno proposto di ritirare i lavoratori dagli impianti se continueranno le violenze che oppongono militanti etnici alle forze locali.

 

 

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